CAPITOLO 3. Design e Cultura Materiale: un Binomio Italiano

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1 CAPITOLO 3 Design e Cultura Materiale: un Binomio Italiano

2 Michelangelo Pistoletto Porta - Segno Arte (rosso ciclamino) legno e laminato plastico, 230 x 140 cm Foto: J.E.S. 85

3 Introduzione: verso una definizione di design Delimitare l'oggetto dell'indagine quando si parla di design è piuttosto complesso, anche perché si rischia facilmente di sconfinare nell'ambito di altri settori, oggetto di questo Rapporto, quali moda, pubblicità o comunicazione. Un primo sforzo va dunque fatto per capire che cosa intendiamo studiare sotto la dizione di design: vi sono diverse accezioni, infatti, di questo termine nei Rapporti sulla Creatività sinora redatti con cui dovremo confrontarci (Kea, 2006, UK,2007).Un ulteriore sforzo dovrà essere dedicato a spiegare perché abbiamo inteso associare la produzione di design in Italia alla cultura materiale, associando quindi la produzione di design a quelle produzioni di carattere artigianale che attingono al patrimonio culturale tangibile e intangibile che caratterizza i nostri territori e che, come cercheremo di dimostrare, costituisce una peculiarità tutta italiana. Il design e la sua sottostante componente creativa, sono sicuramente un asset fondamentale delle produzioni delle economie post-industriali, in cui la qualità e l'unicità del prodotto costituiscono delle variabili su cui misurare il grado di competitività sui mercati internazionali, al pari della tecnologia e del prezzo (Rapporto KEA, 2006). Potremmo pensare al design come a un mero intervento di carattere estetico che mira a differenziare un prodotto di massa attraverso l'individuazione di caratteristiche che non incidono sulla funzionalità del bene ma solo sulla modalità che ha il consumatore di esperirlo, cioè sui valori simbolici e sul messaggio evocativo ed emozionale che il progetto di design riesce a trasmettere. Il design in questo caso agisce come strumento di differenziazione orizzontale di produzioni di massa che - in contesti in cui la competizione di prezzo risulta una strategia aziendale perdente nel lungo periodo, in quanto conduce ad una riduzione progressiva dei margini di profitto - contribuisce ad individuare specifici segmenti di mercato e permette alle imprese di incrementare i margini di profitto appropriandosi di parte della rendita del consumatore. Un tale intervento di design non riguarda necessariamente il prodotto in sé ma può esplicarsi nella campagna di comunicazione che si costruisce intorno al prodotto stesso e/o nelle attività di servizio, intese sia come tipo di servizi accessori di cui corredarlo, sia di canali distributivi prescelti, che gli conferiscono un valore in più sul mercato. Ad esempio, l'impresa Flou, leader nella produzione di letti e accessori per la camera da letto, ha costruito l'immagine del prodotto collocandolo nella fascia medio-alta del mercato selezionando i rivenditori autorizzati e procedendo ad una integrazione a valle, aprendo degli show-room mono-marca, e fornendo non un semplice prodotto ma un sistema-prodotto che comprende non solo il prodotto principale - il letto - ma anche una linea di accessori coordinati per la camera da letto. Tuttavia, concepire il design unicamente come intervento relativo all'immagine e ai servizi connessi al prodotto, che riguardano gli aspetti immateriali, per quanto possa risultare più attuale, sulla base dei grandi cambiamenti intervenuti nelle discipline progettuali a cui hanno contribuito anche i cambiamenti tecnologici, tradisce quella che è la traduzione originale del termine anglosassone di design, cioè progettare, che indica la materializzazione concreta di un prodotto frutto di un'attività di progetto; prodotto che si presta ad una riproduzione a carattere seriale di carattere industriale.l'attività di design, o più precisamente di design industriale, può costituire l'unico intervento nella progettazione del prodotto o uno degli interventi che si associa al design nella comunicazione e nei servizi ad esso 86

4 connessi. Nel caso, ad esempio, di numerose imprese che operano nel settore casa (arredi, illuminazione, sanitari) come Artemide, Flos, o ancora Flou, il design di comunicazione e di servizio si associa all'elaborazione di nuovi cataloghi di produzione sviluppati grazie alla collaborazione con designer esterni all'impresa a cui viene commissionata la realizzazione di una singola opera che verrà collocata sul mercato con due segni distintivi: il marchio aziendale e la firma individuale del designer normalmente già affermato. Distinguiamo quindi tre categorie di design che concorrono tutte all'elaborazione di un sistema-prodotto: Design di prodotto che comprende la concezione del prodotto, sia esso di carattere industriale o artigianale e che nel settore della moda diventa il fashion designer, che crea la propria linea di alta moda o realizza alcune apposite linee di produzione su richiesta di alcune catene di grandi magazzini internazionali; Design di comunicazione che comprende i designer grafici che lavorano alla presentazione grafica di prodotti e documenti, compresi i multimedia, il web design e coloro che curano la veste editoriale del prodotto nelle riviste specializzate e in quelle di più larga diffusione; Design di servizi che comprende l'attività di consulenza dell'arredatore di interni (interior design), del progettista di esterni (environmental design), degli organizzatori di eventi ed esibizioni che costituiscono l'anello terminale di questo sistema produttivo determinante, nel caso, ad esempio, dell'arredatore d'interni per coniugare le esigenze del consumatore finale massimizzando le prestazioni dei prodotti per l'arredamento della casa (mobili, illuminazione, piastrelle, ecc.). Tutte queste categorie partecipano a quello che, più in generale, è il ruolo del designer: un integratore di competenze. Secondo la definizione generale dell'adi (l'associazione per il Disegno Industriale nata in Italia nel 1956), "Il design è un sistema che mette in rapporto la produzione con gli utenti occupandosi di ricerca, di innovazione e di ingegnerizzazione, per dare funzionalità, valore sociale, significato culturale ai beni e servizi distribuiti sul mercato". Le specializzazioni del design sopra individuate partecipano alla realizzazione di questo obiettivo anche se richiedono competenze diverse, difficilmente rintracciabili in un'unica figura professionale che deve saper coniugare le esigenze del consumatore finale con i prodotti già esistenti sul mercato (arredatore d'interni), o saper interpretare e sintetizzare graficamente il messaggio che vuole trasmettere l'impresa con i propri prodotti (designer di comunicazione), o saper addirittura anticipare le esigenze del consumatore e realizzare, grazie anche ad un bagaglio di conoscenze di carattere interdisciplinare, beni o servizi innovativi non solo nell'aspetto esterno ma anche nelle funzioni che riescono ad assolvere ricorrendo, se necessario, a nuovi materiali e a nuove tecniche costruttive (designer di prodotto). L'acquisizione di questo know-how deve passare necessariamente da percorsi formativi adeguati, ma molto spesso è frutto anche dell'interazione tra designer che operano nelle diverse fasi del sistema-prodotto, e dell'interazione tra designer e altri soggetti che partecipano al processo produttivo e che, in modo consapevole o inconsapevole, partecipano all'innovazione di cui si fa interprete il disegnatore industriale e il designer di prodotto. E' su quest'ultima forma di design che ci soffermeremo particolarmente in questo capitolo (escludendo il fashion design di cui ci si occupa nel capitolo dedicato al settore della moda) anche perché è in questo tipo di design che si manifesta maggiormente il rapporto con la cultura materiale di un territorio. In un 87

5 contesto di sviluppo industriale a carattere distrettuale come quello italiano, dove il processo innovativo è diffuso e attinge alle radici più profonde e all'identità dei luoghi, si pongono alcuni problemi di analisi particolarmente rilevanti. In particolare, risulta difficile procedere a definire in termini quantitativi la dimensione del settore del design in Italia: si può infatti decidere di includere in questa categoria solo gli studi di design, cioè tutte quelle imprese individuali o collettive che individuano nel design la loro principale attività, sottostimando di fatto il dato (scelta operata dal Department for Culture, Sport and Media del Regno Unito nel suo Rapporto del 2007), oppure si può estendere questa categoria sino ad includere i dati economici complessivi delle imprese che operano in settori economici che, potremmo definire "ad alta creatività" e che, nella realtà italiana, coincidono con gran parte del cosiddetto "made in Italy". Il dato economico sarà sicuramente sovrastimato ma, soprattutto per quanto concerne la realtà italiana, cercheremo di dimostrare che è preferibile questa seconda soluzione. Il design dell esperienza Sta emergendo quella che potremmo considerare una quarta categoria del design: il design dell esperienza. Di seguito qualche considerazione che la differenzia dal generico design dei servizi. L esperienza è la relazione emotiva e cognitiva che noi instauriamo con il mondo, e avviene in uno specifico contesto. Il luogo funge quindi sia da cornice per ospitare l esperienza, sia da contesto per darle significato. Il luogo può naturalmente essere sia fisico che virtuale. La sua rilevanza economica nasce dalla semplice constatazione che il valore aggiunto di un prodotto è oggi sempre meno legato alla dimensione prestazionale e sempre di più alla capacità di evocare esperienze uniche e memorabili; pertanto un esperienza positiva giustifica il premium price pagato dal consumatore, fidelizza il consumatore (che vuole sempre ri-vivere un'esperienza memorabile) e soprattutto crea il passa-parola, meccanismo fondamentale del marketing virale. Inoltre l esperienza rimette il consumatore al centro, dandogli un nome e un ruolo (e quindi combattendo due mali contemporanei: l anonimato e la passività). Infine in un mondo sovraffollato di informazioni, sono efficaci solo quelle che promettono esperienze interessanti e piacevoli. Poiché oggi l unica risorsa veramente limitata è l attenzione, tendiamo a cogliere solo quelle segnalazioni che ci promettono esperienze positive. Ogni prodotto o servizio deve quindi evocare per il consumatore un esperienza memorabile e raccontabile. La psicoanalisi ha compreso questo aspetto: sa infatti che un esperienza vissuta ma non raccontabile non riesce a liberare la sua energia vivificante ma rimane bloccata nel profondo. La rilevanza dell esperienza viene anche rafforzata dal fatto che la tendenza attuale è la produzione non solo di beni, ma soprattutto di ricordi; anche i prodotti tradizionali tendono infatti ad essere esperienzializzati. Il focus del processo di acquisto è non più tanto il possesso di un bene, quanto il suo utilizzo per vivere una specifica esperienza. Spesso il motivo per cui viviamo un esperienza è 88

6 soprattutto il poterla raccontare agli amici, il poterla condividere con gli altri, suscitando magari un po di invidia. Progettare un esperienza (positiva) vuol dire realizzare le funzionalità (servizi e contenuti), che soddisfano una specifica esigenza pratica ed esplicitabile o un desiderio profondo non ancora emerso ma individuabile con tecniche specifiche (ad esempio la cosiddetta osservazione etnografica). Ma significa anche creare degli attivatori simbolico-emozionali, in grado di dilatare l utilizzo ed evocare immagini profonde (quasi archetipiche) in grado di creare un esperienza appassionante, avvolgente e memorabile. Oltre a ciò la progettazione dell esperienza legata a un prodotto o servizio deve anche basarsi su una chiara consapevolezza dei contesti d uso (terminali, luoghi, postura,...), delle paure associate (anche inconsapevoli) a tale uso e soprattutto dei costi di utilizzo nascosti (ergonomici e cognitivi) dell utente, riuscendo a trasformarlo da utilizzatore passivo in autentico regista e protagonista dell esperienza. Strettamente legata all esperienza anzi aspetto costitutivo è quindi la possibilità di raccontarla. Noi siamo esseri narranti e, come osservava Gaston Bachelard, di fatto conserviamo «solo ciò che é stato drammatizzato dal linguaggio». Inoltre la narrazione ci consente di capire gli altri e di capire noi stessi, costruendo, interpretando e condividendo specifiche esperienze. Infine un bravo narratore è colui capace di avvicinare eventi apparentemente lontani (più la distanza diventa vicinanza più viene rilasciato del piacere che scaturisce dal senso inatteso di stare insieme). Afferma il fisico Victor Weisskopf (che era anche un pianista): «Ciò che c è di bello della scienza è la stessa cosa che c è in Beethoven. C è una nebbia di eventi e improvvisamente vedi una connessione». Un ultimo aspetto legato alla progettazione dell esperienza sono le interfacce. Il loro ruolo è fondamentale e spesso sottostimato anche dai progettisti. L interfaccia non è solo la superficie dove si scambiano le informazioni e si attivano le funzioni. Rappresenta anche la struttura profonda secondo cui informazioni e funzioni si organizzano e un suggerimento una chiave di interpretazione per un loro corretto utilizzo. Pierre Lévy ha osservato più volte che l uso sociale delle tecnologie deriva dalle loro interfacce. In pratica non è il principio costitutivo di una macchina a determinarne l'uso, ma le modalità attraverso cui questo principio viene articolato nel rapporto tra uomo e macchina e cioè nell'interfaccia. Viene in mente un aforisma bruciante di Paul Valéry: «la cosa più profonda é la pelle». D altra parte l uomo è un essere complesso e contraddittorio che va compreso e decodificato e non ridotto a fatto statistico. Le storie personali, i gusti estetici, gli stili di relazione e interazione, le aspirazioni e le paure, hanno oramai rilevanza progettuale. È pertanto assurdo che la stragrande maggioranza dei programmi informatici abbiano un unica interfaccia, pretendendo che il giovane e l anziano, lo studente e l operaio, il provocatore e l insicuro interagiscano con quel software allo stesso modo. Chi fa design in Italia e dove? Vi è una vastità e varietà di attori che partecipano al successo del design italiano. E' infatti opinione condivisa che soprattutto nel design di prodotto, su cui ci concentriamo in questo capitolo, operino sia soggetti che rientrano ufficialmente 89

7 nella categoria dei designer per il percorso formativo compiuto e l'attività svolta presso studi specializzati ma anche tutta una serie di operatori che non sono meri esecutori del concept del designer ma partecipano attivamente alla realizzazione del prototipo. Potremmo quindi affermare che nel settore esistono due segmenti operativi: un design palese e un design di fatto. (Maffei S.- G.Simonelli, 2002, pag.15). Questi due segmenti del mercato comprendono operatori con un diverso grado di consapevolezza del loro ruolo, che hanno anche una diversa localizzazione sul territorio: gli uni, i designer, per così dire professionisti, si localizzano preferibilmente in poche grandi aree urbane; gli altri, artigiani e tecnici, costituiscono l'espressione tangibile della ricchezza delle nostre aree a vocazione distrettuale e operano pertanto nei contigui centri urbani di piccole e medie dimensioni che tipicamente caratterizzano i distretti italiani. La complementarietà di queste due categorie di attori costituisce l'aspetto idiosincratico del design italiano: il design infatti non è nato in Italia ma nei paesi del Nord Europa di più antica industrializzazione ma si è diffuso in Italia nei primi decenni del Novecento proprio quando ancora il nostro processo di industrializzazione non era particolarmente avanzato. Quello che poteva sembrare un limite della matrice del design italiano, "un oggetto senza industria" (Brusatin, 2007) è diventato invece uno dei suoi punti di forza perché il disegno è stato messo a punto e realizzato grazie al contributo fondamentale degli artigiani di elevata qualità e competenza, profondamente radicati nel territorio che, anche se non dotati di un particolare livello di istruzione, possedevano quel livello di industriosità che permetteva loro non solo di realizzare il prototipo ma molto spesso anche di sperimentare soluzioni innovative per materiali e morfologie. Tutto ciò sia di comune accordo con l'ideatore del progetto sia autonomamente a fini puramente emulativi e di competizione sul mercato. Esistono quindi -in modo schematico- due categorie di operatori (o due luoghi), in cui si articola la produzione di design: il design della comunicazione e dei servizi (nei distretti culturali metropolitani 1 ) e il design di prodotto (realizzato principalmente in alcune aree distrettuali), con problematiche specifiche per le quali bisogna proporre soluzioni diverse. Nel prosieguo di questo Capitolo tratteremo infatti separatamente queste due componenti fondamentali del design italiano anche se forse il primo problema da porsi, anche in sede di elaborazione di obiettivi, da conseguire è come intensificare il dialogo tra esse. Il design nei distretti culturali metropolitani Gli studi di progettazione individuali o associati, come sempre di più sta avvenendo proprio per l'esigenza di avvalersi di competenze specialistiche sempre più variegate, sono fortemente concentrati nelle grandi città: in Italia, si può tranquillamente affermare, senza far torto a nessuno, che il sistema del design si identifica tuttora con la città di Milano. Ciò è imputabile ad una serie di motivi: una maggiore visibilità nazionale e internazionale: il grande centro urbano funge da vetrina non solo per i prodotti ma anche per coloro che li hanno ideati. Questo aspetto è particolarmente rilevante nell'attuale fase di globalizzazione non solo di merci ma anche di servizi. Potremmo definire il mercato del lavoro in cui si offrono un mercato internazionale con le caratteristiche tipiche dei mercati del lavoro artistici: un eccesso di offerta di lavoro con prospettive di affermazione 1 Per una tassonomia dei distretti culturali vedi Santagata W. (2000). 90

8 particolarmente allettanti sia per remunerazione sia per gratificazione ma purtroppo conseguibili solo da un limitato numero di "grandi firme" o superstar. Così come per la moda, è opportuno che gli studi di progettazione si localizzino nei luoghi in cui è più probabile acquisire quel capitale relazionale necessario per farsi conoscere ed apprezzare; le economie di varietà e di scopo che caratterizzano, in generale, i centri urbani di grande dimensione. La maggiore facilità, con cui idee diverse si diffondano e si confrontino e stimolino a loro volta idee innovative, spinge maggiormente i "creativi" a localizzarsi nelle città, paradossalmente proprio nell'epoca in cui le tecnologie ci potrebbero permettere di attingere alla conoscenza da ogni luogo (Lorenzen M.-L.Frederiksen, 2007). Solo nelle città e, nelle grandi metropoli, solo se si vive in alcuni quartieri, è possibile godere di quelle esternalità positive che derivano non solo dalle occasioni di incontro ma anche dalle esperienze culturali espresse nei diversi linguaggi dell'arte che possono essere "consumate" in modo libero ma consapevole. Questa partecipazione attiva ai consumi culturali costituirà un input fondamentale per l'elaborazione di nuove idee e progetti anche nel settore del design. la presenza di istituzioni come il Consiglio Nazionale del Design, istituito nel 2007 su iniziativa del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Ministero dello Sviluppo Economico, ed altre ancora quali archivi, musei, deputate a raccogliere il patrimonio materiale del passato che può costituire fonte di ispirazione per nuove idee; la maggiore concentrazione di istituti preposti alla formazione: università, centri di ricerca. Nelle città creative (Cooke P.- L.Lazzaretti, 2007), è possibile attingere ai fondamentali input produttivi con minori costi di transazione e maggiore certezza sulla qualità delle risorse umane se si sono formate presso scuole di consolidato prestigio nazionale ed internazionale. i vantaggi in termini di capacità di intercettare in anticipo le nuove tendenze, i nuovi valori culturali che i designer devono interpretare ed introdurre nei loro progetti. Tutti questi costituirebbero buoni motivi per localizzare la propria attività non solo nei centri urbani, ma proprio in quei (pochi) centri urbani che nel mondo riescono a fornire questo vantaggio competitivo (Londra, New York). Si colgono però anche immediatamente i potenziali costi e rischi di accesso a questo tipo di mercato: elevate barriere di ingresso per i più giovani, difficoltà ad affermarsi in modo individuale (con la propria firma o con il proprio marchio, se studio associato), competizione di carattere internazionale che richiede una certa disponibilità di capitali sia per avviare un'attività, sia per garantire quei periodi di permanenza all'estero che diventano un momento essenziale della formazione e dell'affermazione sul mercato in quanto fonte di maggiore visibilità ed ispirazione. Se, da un lato, questo tipo di designer è proiettato a realizzare progetti competitivi sui mercati internazionali di cui cerca di cogliere l'evoluzione del gusto e delle tendenze; dall'altro, i designer che decidono di lavorare in Italia (sia italiani sia stranieri, in numero sempre crescente) operando questa scelta intendono mettersi in contatto con quelle profonde radici del nostro artigianato, con quel sistema industriale composto da piccole imprese concentrate in aree distrettuali, in grado di esprimere nelle loro produzioni l'essenza stessa del gusto e del savoir vivre italiano. Il design nei distretti industriali Molti prodotti italiani di successo, tuttavia, sono nati non dal contributo di un professionista del design ma dalla collaborazione di diverse figure professionali 91

9 che operano all'interno della medesima impresa o nell'ambito della filiera integrata verticalmente che caratterizza i distretti industriali: da un'idea dello stesso imprenditore che, grazie alla collaborazione nella fase progettuale di tecnici ed operai, depositari di competenze altamente specializzate, e alla condivisione di un medesimo linguaggio e sistema di valori, perviene alla realizzazione di un prodotto innovativo; dall'apprendimento localizzato all'interno dell'impresa delle figure professionali direttamente coinvolte nel processo di produzione (direttore della produzione, tecnico specializzato, operaio) che attraverso processi di learning by doing possono contribuire ad introdurre nel processo produttivo non solo innovazioni volte ad incrementare la produttività ma anche innovazioni di prodotto; dall'apprendimento collettivo localizzato che si trasmette attraverso la rete formale e informale di conoscenze che collega tutti gli attori economici, sociali e istituzionali che operano nel territorio, coinvolgendo non solo coloro che sono interessati alla produzione caratteristica dell'area ma anche i primi destinatari di queste produzioni, i consumatori locali che costituiscono gli utenti finali più qualificati ed esigenti da cui ricevere sollecitazioni per ulteriori miglioramenti. (learning by interacting). La possibilità di attingere a questo sistema stratificato di conoscenze diffuse nel territorio che si trasmettono più in forma tacita che in modo codificato di generazione in generazione, e che si incarnano in quelle figure di artigiani, tecnici specializzati ed operai depositari, spesso inconsapevoli, del patrimonio di cultura materiale di un territorio è al tempo stesso un elemento di forza e di debolezza. E' un elemento di forza poiché ciò esprime l'idiosincraticità del design italiano; è un elemento di debolezza perché proprio questi meccanismi di trasmissione di un patrimonio di conoscenze che costituiscono un bene pubblico locale pongono dei problemi di sostenibilità nel lungo periodo intesa come preservazione e valorizzazione del patrimonio stesso. La stessa storia del design italiano che, nel settore automobilistico, riconosce in Giugiaro e Pininfarina due delle sue espressioni più alte, ha beneficiato dell'intenso rapporto con le competenze artigiane presenti nel territorio circostante, nel caso specifico, con i maestri artigiani del legno per la realizzazione del modello e con quelli della lamiera per la carrozzeria. Individuiamo le cause che possono indebolire l'attuale sistema produttivo del design di prodotto italiano: La delocalizzazione di alcune fasi del processo produttivo, che si realizza nei distretti per esigenze di contenimento dei costi di produzione, può incidere negativamente nel dialogo tra le diverse figure specializzate coinvolte nel processo innovativo e interrompere il processo di produzione collettiva di design, tipico delle aree distrettuali e, in particolare, di quelle specializzate nelle produzioni del made in Italy 2. Solo nelle aree che gravitano intorno al polo di Milano, si assiste a un fenomeno inverso: numerosi sono gli studi internazionali di designer che aprono a Milano delle sedi e numerosi sono i designer stranieri che vengono attratti da Milano non solo per la rete di relazioni che il centro urbano permette di acquisire tra professionisti del settore ma anche per la possibilità di entrare in contatto e interagire nella realizzazione dei loro progetti con gli artigiani specializzati che operano nel territorio circostante. 3 2 L'Istituto Nazionale di Statistica (Istat) comprende nelle produzioni del cosiddetto made in Italy i seguenti settori: alimentari e bevande; persona e tempo libero; casa e arredamento; meccanica strumentale. 3 In un'intervista, comparsa sul Sole 24 ore del 18/03/2008, Patricia Urquiola, giovane designer spagnola che vive e lavoro a Milano, afferma che uno dei motivi principali per lavorare in Italia, e a Milano in particolare, è che si incontrano "imprenditori, architetti, ma anche artigiani. Ho presentato i progetti più strani e a volte mi sono stati rivolti 92

10 La scarsa consapevolezza, non tanto a livello individuale ma piuttosto a livello sistemico, dell'importanza di questa componente artigianale diffusa nel territorio quale elemento caratterizzante della qualità del design italiano, può incidere sulle sue prospettive future e sulla possibilità di trasmissione di queste conoscenze alle generazioni future. Più alti costi-opportunità, cioè una maggiore attrattività di altre professioni in termini di migliori aspettative di remunerazione, potrebbero disincentivare le giovani generazioni ad investire il proprio tempo nell'acquisizione del know-how locale e a proseguire l'attività svolta, se non dalla loro stessa famiglia, da gran parte dei residenti nel loro territorio d'origine. Può sorgere quindi un problema di trasmissione generazionale di conoscenze espressione della cultura materiale del territorio che, vista anche l'elevata componente tacita della conoscenza, può non essere compensata dall'ingresso di nuove forze, esterne al territorio stesso. Affinché ciò sia possibile, è opportuno che a livello sistemico, i diversi attori locali, privati e pubblici, si sforzino di rendere quanto più possibile codificato e in quanto tale più facile da preservare e valorizzare il patrimonio di conoscenze tacite espresse dal territorio. A tal fine, potrebbe essere utile intensificare il ricorso all'istituzione di scuole e corsi di formazione specializzati nonché di strumenti di certificazione della qualità della produzione locale quali i diritti di proprietà collettiva (Cuccia T., Santagata W., 2004). Gli elementi di contaminazione che derivano anche dall'operare in mercati internazionali di sbocco e dalla crescente interazione con designer stranieri devono fungere da stimolo ulteriore ad una rilettura dei canoni del design internazionale, che sembrano talvolta cedere anch'essi ad un processo di omologazione, sulla base del patrimonio locale di cultura materiale. L'adozione di strumenti quali i diritti di proprietà collettiva, finalizzati a preservare il patrimonio comune di conoscenze legate al territorio, che non preclude la possibilità di avvalersi di segni distintivi individuali quali la firma, può essere d'ausilio anche in questo caso. Le istituzioni pubbliche e private coinvolte nel conferimento di tali segni distintivi agli operatori locali possono assolvere ad un ruolo ad un tempo di tutela dell'identità locale e di "ancoraggio" degli stimoli all'innovazione provenienti dall'esterno a quelle che sono da ritenersi le caratteristiche essenziali che qualificano la specificità della produzione locale. Esse possono inoltre svolgere un'azione più incisiva nei confronti di eventuali tentativi di appropriazione indebita (ad esempio, fenomeni di contraffazione, falsi) nei casi in cui il capitale culturale intangibile di un territorio si concretizza nella produzione di beni materiali differenziabili sul mercato. I rapporti di collaborazione tra designer e imprese E' opportuno analizzare quale tipo di interazione e grado di collaborazione sussiste tra le figure ufficiali di designer e il contesto produttivo in cui operano. Ciò rileva sia per definire meglio i contorni di questa figura professionale che, per i motivi in precedenza riportati possono risultare molto sfumati, sia per accostarci alle problematiche di questo mercato del lavoro in cui si fronteggiano due attori - i designer e gli imprenditori- animati da esigenze diverse che a volte possono risultare difficili da conciliare. Da un lato, i designer che si offrono sul mercato del lavoro ambiscono a mantenere una propria autonomia e ad affermarsi individualmente, realizzando, grazie alla collaborazione con il mondo delle imprese, i propri progetti; dall'altro sguardi strani. Nessuno però mi ha mai detto: spiacenti, questo proprio non si può fare. La flessibilità mentale di chi lavora nella filiera italiana del design non esiste in alcun altro paese al mondo". 93

11 lato, gli imprenditori che richiedono la collaborazione dei designer sono disposti ad attribuire loro un pubblico riconoscimento, promuovendo il prodotto realizzato insieme con entrambi i segni distintivi (quello dell'azienda produttrice e la firma del designer), solo quando si tratta di un designer già affermato; in caso contrario, se si avvalgono della collaborazione di uno staff di designer con cui si stabilisce un rapporto di lavoro più continuativo, preferiscono mantenere il contributo di questi nell'anonimato. A titolo d'esempio, nel catalogo di molte aziende che operano nel settore dell'illuminotecnica, come Fontana Arte, sono distinti gli oggetti realizzati da designer italiani e stranieri già affermati da quelli realizzati dallo "studio Fontana Arte". Più in generale, possiamo distinguere differenti modalità di appropriazione del design da parte delle imprese che variano a seconda delle caratteristiche strutturali del settore produttivo in cui l'attività del designer si inserisce (tessile, mobile, illuminazione, automobilistico, ecc.) e di come i rapporti tra questi due soggetti si sono evoluti nel corso del tempo (Benghozi P.J., 2005) L'intervento del designer, da come abbiano precedentemente individuato, si può esprimere in diversi momenti del processo produttivo: può contribuire a realizzare il concept di un nuovo prodotto, a modificarne il processo produttivo o la fase di distribuzione. Ciò inciderà sulla possibilità di vedere apposto il proprio nome sul prodotto finito: ovviamente le probabilità sono maggiori se il contributo è di design di prodotto e non di design di comunicazione. Un primo modello di designer-produttore sintetizza un tipo di rapporto tra designer e impresa, che ha caratterizzato molte significative esperienze in diversi settori in Italia: il medesimo soggetto svolge contemporaneamente sia l'attività di imprenditore sia l'attività di progettazione industriale. Questa figura, che per affermare i propri progetti arriva addirittura ad assumersi il rischio di impresa (si pensi, ad esempio, a Cappellini nel settore del mobile, a Gismondi di Artemide, nel settore dell'illuminazione, ma ve ne sono molti altri), opera in mercati di nicchia e fa coincidere l'affermazione del marchio d'impresa con la propria affermazione individuale. Se questo modello può avere contribuito all'affermazione dei prodotti di designer non solo in Italia ma anche all'estero (uno degli esempi storici è sicuramente la sedia di August Thonet), non può, in termini di policy, essere considerato il modello da proporre per lo sviluppo del design, sia per la crescente poliedricità degli interessi dei designer, sia per le inevitabili barriere all'ingresso che i giovani designer-imprenditori incontrerebbero, in termini di disponibilità di capitale di rischio e di capacità di accesso, che richiederebbero competenze manageriali che non rientrano necessariamente nel loro profilo professionale. Un secondo modello, che possiamo definire del designer-creatore, prevede una collaborazione temporanea su uno o più progetti specifici tra un imprenditore e un designer che viene resa esplicita in quanto il progetto realizzato dall'imprenditore porta non solo la marca del produttore ma anche la "firma" del designer o dello studio di designer cui è stato commissionato il progetto. Esempi famosi sono i progetti di Philippe Starck realizzati in svariati settori (illuminazione, utensili per la casa, sanitari, ecc.). Ovviamente solo i designer già affermati e le superstars del settore possono godere di questo potere contrattuale e conferire con la propria firma un valore aggiunto al prodotto realizzato dall'impresa. Essi godono inoltre di totale autonomia e possono lavorare simultaneamente per più produttori anche di settori diversi. Per promuovere questo tipo di rapporto, che più di ogni altro probabilmente rispecchia le aspettative dei giovani designer, 94

12 sarebbe opportuno creare occasioni di incontro e dare opportunità ai più giovani che vogliono entrare nel mercato di accumulare quello stock di capitale relazionale che permette non solo di far maturare il proprio talento ma anche di renderlo visibile. I due modelli precedentemente descritti possono coesistere ed evolvere in un unico modello che possiamo definire di designer-produttore manifatturiero che riguarda sempre un ristretto segmento di designer caratterizzati da una forte autonomia, indipendenza e notorietà. E' possibile infatti che il designer sia legato contrattualmente ad un'impresa di produzione per la realizzazione di un progetto, che sarà contrassegnato sia dal marchio dell'azienda che dalla firma del designer, ma contestualmente produca e commercializzi beni e servizi in qualche modo complementari al progetto realizzato in collaborazione con l'impresa, contrassegnati solo dalla propria firma o logo. A titolo di esempio, si possono riportare, nel settore automobilistico, i casi di designer italiani molto noti come Bertone, Giugiaro e Pininfarina che possono contemporaneamente collaborare con case di produzione automobilistiche per fornire loro dei servizi integrati e contestualmente operare come imprenditori autonomi, rafforzando il proprio marchio individuale, realizzando prodotti del medesimo settore produttivo (modelli speciali di automobile, componenti, carrozzerie) o di settori produttivi molto lontani dalla loro specializzazione ma in qualche modo complementari a quello originario (accessori, abbigliamento, ottica, ecc.). In tal caso, loro stessi si avvarranno della collaborazione di giovani designer che lavorano ai progetti che verranno realizzati con la firma o il logo del designer-produttore, e che contemporaneamente possono continuare a realizzare progetti con il proprio nome. Spetterà inoltre al designer stesso prescegliere il canale distributivo da utilizzare per commercializzare i prodotti che riportano il suo marchio. Questa strategia genera dei mutui benefici, sia al designer-produttore industriale, sia alle imprese produttrici con cui collabora poiché si rafforzano reciprocamente i segni distintivi dei due attori. I giovani designer che prestano la loro opera per designer già affermati in altre aree di progettazione possono avere occasione di maturare un'esperienza di grande arricchimento professionale e non precludersi la possibilità di proseguire in un cammino di affermazione individuale. Vi è, invece, un altro tipo di rapporto tra imprenditori e designer - il modello del creatore anonimo - che mantiene nell'ombra il contributo dei designer. Essi prestano la loro opera sulla base di contratti di lavoro temporanei o continuativi con le imprese produttrici e/o distributrici che rimangono però le uniche a contrassegnare con il proprio marchio il prodotto finale. La scarsa visibilità del contributo originale del designer rende queste figure meno forti contrattualmente e più facilmente sostituibili. Ciò si ripercuote sia nel livello di remunerazioni che riescono ad acquisire, sia nella sicurezza e nella stabilità della posizione lavorativa acquisita. Questo tipo di rapporto non è particolarmente auspicato neanche dai più giovani poiché non permette loro né di costruirsi una carriera autonoma né di avere grandi soddisfazioni sia in termini di remunerazione monetaria sia di gratificazione psicologica. A seconda della scala di produzione dei prodotti ad alta componente di design, del settore e della lunghezza della filiera produttiva, è possibile individuare un altro modello che vede l'attività di design stimolata e trainata dalla società di distribuzione del prodotto anziché dalla società produttrice: tale modello si può definire del "design trainato dalla distribuzione" e si può articolare in due diversi casi. 95

13 In un primo caso, l'impresa di distribuzione si limita a svolgere un ruolo di selezionatrice di creazioni di designer e/o aziende produttrici e decide di distribuire nella propria rete di show-room i prodotti selezionati contrassegnandoli con il proprio marchio ed eventualmente anche con quello dei designer (si pensi, ad esempio, alla catena internazionale del settore dell'arredo per la casa, Habitat). In un secondo caso, l'impresa di distribuzione esercita un ruolo più attivo nella progettazione del prodotto, elaborando un'idea che dovrà essere sviluppata da designer opportunamente selezionati, a cui verrà sottoposta, e che potranno essere esterni all'impresa o integrati anche temporaneamente nella struttura produttiva di questa. I designer, in tal caso, avranno minore autonomia in quanto dovranno sviluppare un'intuizione dell'impresa di distribuzione che, poiché opera a più stretto contatto con il pubblico, ritiene di poter anticipare le preferenze dei consumatori meglio di altri attori del processo produttivo. Una volta sviluppato il progetto insieme ai designer, l'impresa di distribuzione si rivolgerà alle imprese produttrici, prescelte anche per la loro convenienza economica in termini di costi di produzione, per inserirlo nei piani di produzione che, generalmente, operano su ampia scala. Si pensi ai mobili e agli arredi per la casa di Ikea, Carrefour, Emmelunga: in questo caso si tratta di design su scala industriale. Questo tipo di rapporto può costituire un punto di partenza per i giovani designer, soprattutto quando si permette loro di apporre la propria firma al progetto; ma nella maggior parte dei casi comporta condizioni di remunerazione e di tutela giuridica piuttosto insoddisfacenti. I rapporti sin qui descritti tra designer e imprese riguardano forme di collaborazione esterne che hanno come oggetto principale la progettazione industriale. Se, come anticipato in precedenza, il designer non si limita alla progettazione di prodotto ma estende la sua attività di consulenza al sistema-prodotto e segue e interviene dal momento dell'elaborazione dell'idea sino alla sua realizzazione e comunicazione sul mercato, non solo nel momento in cui il prodotto innovativo fa il suo ingresso sul mercato ma anche durante tutto il suo ciclo di vita, il rapporto designer-impresa si fa più intenso e continuativo e l'imprenditore potrebbe ritenere più conveniente, in termini di minori costi di transazione, integrare questa figura all'interno dell'organizzazione d'impresa. In questo caso, i designer possono esercitare il loro ruolo in diversi modi all'interno dell'impresa. Essi possono operare in stretta collaborazione con l'area R&D promuovendo, ad esempio, attività di ricerca di nuovi materiali su cui elaborare progetti, o sperimentando nuove applicazioni dei risultati delle ricerche già compiute. Possono altresì coadiuvare anche l'attività dei servizi commerciali e acquisire informazioni sull'andamento delle vendite dei prodotti realizzati da cui desumere le preferenze e l'orientamento dei consumatori da assecondare anche negli sviluppi futuri della produzione. Possono infine operare come un centro di ricerca autonomo che in modo trasversale interagisce con tutte le aree dell'impresa (R&D, produzione e marketing). In quest'ultimo caso l'attività dei designer si trasforma in una attività di consulenza interna sul sistema-prodotto. Tale attività, a seconda delle dimensioni dell'impresa, può essere svolta da personale interno all'impresa o da società di consulenza esterne che comunque devono trovare all'interno dell'impresa delle figure professionali di designer o di tecnici, artigiani ma anche 96

14 operatori dell'area commerciale, orientati al design in grado di condividere una comune filosofia, un comune linguaggio aziendale. Per coloro che intendono l'attività di designer come una più generale attività di consulenza d'impresa, può essere sicuramente gratificante dal punto di vista professionale maturare delle esperienze lavorative all'interno di imprese che fanno del design la propria strategia aziendale; ciò potrà rappresentare sia il punto di arrivo del proprio percorso professionale ma anche un buon punto di partenza per svolgere successivamente un'attività di consulenza autonoma. Un caso emblematico: Milano e gli attori del design nel settore dell arredamento Allo stato attuale, vi è un'unica area in Italia in cui sono rintracciabili e coesistono le diverse forme di collaborazione tra designer e imprese sopra menzionate: il cosiddetto metadistretto del design lombardo, che si sviluppa su sessantacinque Comuni di sei Province lombarde, Como, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova e Lecco, per un totale di addetti, una popolazione di abitanti, e registra la presenza di undici centri di ricerca (Club dei distretti, Si stima che il fatturato annuo del metadistretto ammonti a circa 250 milioni di euro e circa il 40% della produzione è destinato alle esportazioni. La denominazione di metadistretto si riferisce alla peculiarità di quest'area di ampie dimensioni che comprende il tradizionale distretto del mobile, diffuso nei Comuni della Brianza milanese e comasca, ed ha nella capitale lombarda il suo epicentro, soprattutto per quanto concerne l'offerta di servizi integrati che vanno dall'elaborazione dell'idea e dalla ricerca al prodotto finito, nonché alla sua promozione sul mercato. Il carattere policentrico tipico delle aree distrettuali persiste ma vi è una specializzazione produttiva all'interno di questa area che dipende anche dalla dimensione dei centri urbani interessati: nei territori che ricadono nei Comuni della Brianza si svolgono prevalentemente le attività di produzione che, oggi, non si limitano solo al settore del mobile ma riguardano anche settori affini, come quello dell'illuminotecnica o dei tessuti per arredo, che rientrano nella più ampia categoria denominata "casa e arredamento"; nel capoluogo, si concentra invece un insieme articolato di attori che in modo diretto o indiretto è collegato al settore del design. Un recente studio del Politecnico di Milano (Bertola P, et alii, 2002) rileva che nell'area metropolitana di Milano operano: più di 80 delle 140 imprese italiane del settore dell'arredamento che fanno produzioni di design (quasi il 60%), e che in quanto imprese leader del settore (Cassina, B&Bitalia, Artemide, Flou, FontanaArte, solo per fare alcuni esempi) realizzano quasi l'80% del fatturato complessivo; più del 60% degli studi di design registrati presso l'adi (circa 1000) che si occupano principalmente di progettazione nel campo dell'arredo, dell'oggettistica, degli accessori e del tessile, e di comunicazione dei prodotti (advertising e grafica); Il Consiglio Nazionale del Design; le principali case editrici specializzate che pubblicano riviste d'arredamento e di design (Domus, Casabella, Abitare, Interni, Ottagono, ecc.); scuole, università e centri di ricerca di chiara fama, nazionale ed internazionale, (Domus e il Centro Studi Domus, l'istituto Europeo del Design e il Centro 97

15 Ricerche IED, la Nuova Accademia di Bella Arti e, dal 1993, la Facoltà di Disegno Industriale del Politecnico, ecc.), della cui offerta formativa parleremo più diffusamente nel paragrafo sulla formazione; le associazioni di categoria degli operatori del settore: l'associazione per il Disegno Industriale (ADI); l'associazione dei progettisti in Architettura d'interni (AIPI) e l'associazione dei Progettisti di Comunicazione Visiva (AIAP) che raggruppa tutti gli operatori nel settore della comunicazione, dalla grafica tradizionale alla multimedialità. Milano è anche il principale polo fieristico in Italia e la recente assegnazione a Milano dell'expo del 2015 non potrà che consolidare questo ruolo. A Milano vi è il maggior numero di spazi espositivi (16 di diversa dimensione e importanza) che ospitano numerose manifestazioni fieristiche che riguardano i più vari settori produttivi (dalla moda al turismo). Per quanto riguarda il settore dell'arredamento e del design, un appuntamento immancabile è rappresentato dal Salone del Mobile che non occupa solo i tradizionali spazi della Fiera ma coinvolge molti altri spazi espositivi della città (gli showroom delle aziende ubicati nel centro storico, le Gallerie d'arte, gli istituti culturali e persino gli studi professionali) con una fitta rete di eventi culturali che ne amplificano la portata comunicativa. Non mancano, infine, nel sistema del design milanese, rinomato per il settore dell'arredamento, della grafica pubblicitaria e della moda (questi ultimi sono oggetto di approfondimento in altri capitoli del rapporto), quegli attori che assolvono al contempo al ruolo di memoria storica e di stimolo di nuove idee: archivi privati e pubblici, istituzioni museali, quali la collezione permanente del design alla Triennale. La domanda dei servizi che il sistema del design milanese è in grado di offrire proviene sia dagli imprenditori del metadistretto sia da imprenditori italiani e stranieri dei settori industriali interessati. I designer sono legati da diverse forme di collaborazione che ripercorrono i modelli descritti in precedenza (Politi, 2007): nel settore della moda, è più diffusa la progettazione all'interno dell'azienda e quindi i modelli di collaborazione sono quelli del creatore-anonimo o, nei casi più fortunati, di creatore-produttore. nel settore "casa e arredamento", è molto frequente che le aziende di produzione integrino l'attività di progettazione, svolta da designer interni all'azienda, con progetti specifici con studi di designer indipendenti. Questi ultimi sono pertanto dei designer-creatori, e in taluni casi possono anche divenire dei designerproduttori manifatturieri, quando assumono direttamente l'iniziativa e propongono essi stessi alle aziende produttrici dei propri progetti. Recenti indagini su un campione di studi professionali di design di Milano e provincia (Politi, 2007) rilevano che l'attività di progettazione riguarda principalmente i seguenti settori merceologici: mobili e complementi, pubblicità, grafica, illuminotecnica, allestimenti e stand, ecc. nel settore della pubblicità e della grafica, l'attività di progettazione è svolta in modo indipendente ed autonomo e riguarda tutti i settori economici non solo quello della moda e della "casa e arredamento". Se questa attività di comunicazione è inserita in un più ampio progetto di sistema-prodotto affidato a consulenti esterni all'impresa, che collaborano però in modo continuativo con essa, l'attività di design di prodotto e di comunicazione si trasforma in una più generale attività di consulenza strategica all'impresa. I committenti degli studi di progettazione sono prevalentemente italiani per quanto riguarda la comunicazione mentre per la progettazione di prodotti la provenienza dei committenti è più varia: poco più del 40% sono di Milano e 98

16 provincia, poco meno del 60% è ripartito in parti pressoché uguali tra Italia e estero (Politi, 2007). Una descrizione più puntuale del rapporto tra aziende del settore dell'arredamento e designer è fornita da un'indagine campionaria basata sul database del motore di ricerca Webmobil.it contenente quasi prodotti di circa 380 su 500 aziende industriali italiane del settore, che rappresentano almeno il 70% dell'offerta di mobili in valore (Politi, 2007). Queste rappresentano i soggetti più rappresentativi di un settore in cui operano circa 36 mila imprese di produzione, in gran parte artigiane, specializzate solo in alcune fasi del processo produttivo; solo poco più di 1500 imprese (di cui circa 1000 artigiane) si collocano direttamente sul mercato con un proprio catalogo. La ricerca svolta su questo ampio campione di aziende industriali del mobile (Politi, 2007, pag.227) distingue "aziende design" (143/380 pari al 38%), che hanno in catalogo quasi esclusivamente prodotti firmati da designer; "aziende non-design con prodotti firmati" (111/380, pari al 29%), che alternano nel catalogo di produzione prodotti firmati da designer e prodotti non firmati, e infine "aziende non design" che non hanno in catalogo prodotti firmati ma che, soprattutto, nei mercati esteri beneficiano dell'effetto positivo che le produzioni di design italiane generano su tutte le produzioni italiane del settore (si pensi a molte imprese italiane di fascia media come la Natuzzi, la Snaidero e la Calligaris percepite all'estero come aziende di design). Particolarmente numerose sono le collaborazioni con designer stranieri soprattutto nelle aziende design (circa il 45% dei designer attivati è straniero). (vedi Tab.1) Tab.1 Aziende del segmento design e designer attivati (comprese le duplicazioni) Aziende Prodotti Prodotti Designer di cui firmati stranieri Aziende Design Aziende Non-design con prodotti firmati Aziende Non-design senza firme Totale Fonte: Politi, 2007, pag.228. Il design: alcuni numeri E' difficile procedere ad una valutazione economica del contributo del design in termini di valore aggiunto e di occupati nell'intera catena di formazione del valore, così come effettuato per altri settori inclusi nel Rapporto. Le difficoltà derivano, in primo luogo, dalla definizione stessa di design: un'attività trasversale determinante per attivare dei processi di innovazione di prodotto e di processo in molteplici settori produttivi, con particolare rilievo in alcuni settori del cosiddetto made in Italy (quelli che rientrano nelle categorie individuate dall'istat di "persona e tempo libero", casa e arredamento" e in parte anche in "meccanica strumentale"). In secondo luogo, dal modo in cui coloro che rientrano nella categoria professionale dei designer, sono rilevati dalle fonti statistiche e in particolare 99

17 dalle fonti censuarie. Infatti, la voce ATECO comprende "design e stiling relativo a tessili, abbigliamento, calzature, gioielleria, mobili e altri beni personali e per la casa" ma non distingue gli stilisti del settore della moda dai designer: il dato è quindi inevitabilmente sovrastimato. E' auspicabile che le associazioni di categoria e il Consiglio Superiore del Design si pongano come obiettivo la redazione di un rapporto annuale sull'andamento del settore, così come avviene in altri paesi quali il Regno Unito, in cui i dati annuali sugli studi professionali di design sono raccolti e pubblicati separatamente dal British Design Innovation e dal Design Council. I rapporti delle associazioni di categoria si limitano tuttavia a monitorare solo i propri soci, cioè coloro che svolgono tale attività in modo consapevole e che rientrano quindi nella categoria del "design palese" 4. Rimangono pertanto esclusi coloro che svolgono un'attività di design all'interno delle imprese nelle diverse fasi della catena del valore (concezione, produzione, distribuzione), in qualche modo complementare all'attività principale per la quale sono stati assunti: in questo caso il contributo del design in termini di valore aggiunto e di occupati è praticamente impossibile da rilevare. Se si assume, però, che in Italia questa forma di design diffuso caratterizza il sistema produttivo dei distretti industriali e soprattutto dei distretti del cosiddetto made in Italy è possibile imputare indirettamente le performance di questi distretti all'imprescindibile contributo fornito dall'attività di design, svolta sia in forma esplicita, attraverso l'impiego di specifiche figure professionali, sia in forma tacita, con il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti nel processo produttivo. Pur consapevoli del rischio, riteniamo comunque opportuno fornire alcuni dati di riferimento da considerare con la dovuta cautela che i limiti menzionati in precedenza impongono. Certamente, l'attività dei designer esplica il suo maggior contributo nelle fasi di concezione e produzione. Secondo le stime presentate nel primo capitolo sulle attività economiche collegate alla valorizzazione del patrimonio culturale, la categoria "design e cultura materiale", ha generato nel 2004 complessivamente un valore aggiunto pari a ,7 milioni di euro, corrispondenti allo 1,57% del PIL; di questo, ,1 milioni di euro, allo 1,14% del PIL, sono stati realizzati nelle fasi di concezione e produzione. In questa categoria, rientrano 29 attività economiche tra cui l'attività dei designer 5 e molte altre attività produttive selezionate soprattutto sulla base delle loro origini, che normalmente affondano nella cultura materiale del territorio (fabbricazione di tulle, illuminazione, ricami, lavorazione del vetro, lavorazione di pietre preziose, fabbricazione di prodotti in ceramica, di articoli di coltelleria e posateria, di strumenti musicali, fabbricazione di mobili, ecc.). Complessivamente, nelle fasi di concezione e produzione del "design e cultura materiale" operano addetti, pari all'1,43% del totale degli occupati in Italia. Da un lato, i dati riportati possono risultare sottostimati poiché non sono state incluse delle attività produttive che sicuramente rientrano in attività produttive ad alto contenuto di design, soprattutto se localizzate in aree distrettuali (ad esempio, fabbricazione di rubinetti); dall'altro lato, i dati riportati potrebbero risultare sovrastimati poiché si assume che non solo coloro che sono assunti in qualità di designer ma tutti gli addetti delle altre 28 attività produttive 4 Analoghi limiti di carattere metodologico sono rilevati nel Rapporto sulla performance economica delle industrie creative nel Regno Unito (Department for Culture, Media and Sport,UK, 2007) 5 Il valore aggiunto dell attività di designer è imputato al 50%; l altro 50% è imputato al settore moda. Vedi Appendice cap

18 comprese in "design e cultura materiale" svolgano un'attività creativa a prescindere dagli specifici compiti che vengono loro assegnati. Soffermandoci solo su coloro che dichiarano di rientrare nella categoria "designer e stylist", le fonti censuarie rilevano che vi è stato un incremento degli addetti in questo settore. Confrontando i dati censuari del 1991 e del 2001, si osserva 6 che gli addetti al design e styling in Italia sono aumentati del 41,7%, passando da a unità. Sempre in questo studio (vedi tab.2) il dato relativo agli addetti al design e styling viene disaggregato a livello regionale nonché rapportato al numero di imprese che operano nei settori del cosiddetto "made in Italy" (alimentari e bevande, persona e tempo libero, casa e arredamento e meccanica strumentale) dove si presume che il contributo dei designer e degli stylist sia particolarmente significativo. Si rileva che a livello nazionale l'incidenza degli addetti al design sulle imprese del made in Italy è aumentata (da 1.8 a 2.77 addetti ogni 100 imprese del made in Italy) registrando un incremento dell'0.97 per cento. Se in Lombardia si registra sempre la maggiore concentrazione di designer e stylist in Italia (con un incremento del numero di addetti superiore al 30%) la percentuale sul totale nazionale ha una leggera flessione, passando dal 42,3% del 1991 al 38,9 % del 2001, per l'incremento registrato della quota di designer sul totale nazionale soprattutto in alcune regioni (Piemonte, Marche, Lazio). La variazione dell'incidenza di queste figure professionali sulle imprese del made in Italy sia in Lombardia sia in Piemonte, nelle Marche e in Lazio è superiore al dato nazionale; significativa risulta anche la variazione in Veneto, Emilia Romagna e Toscana, regioni in cui già nel 1991 si registrava una elevata concentrazione di addetti sul totale nazionale. Da una prima lettura di questi dati sembrerebbe, quindi, che in Italia, pur essendo la Lombardia la regione leadership nel settore del design, si assista oggi ad un ricorso sempre più frequente e consapevole alle figure professionali di designer soprattutto in quelle regioni il cui modello di sviluppo industriale è a carattere distrettuale. Infatti, secondo la metodologia Istat basata sui Sistemi Locali del Lavoro, le regioni che registrano il maggior numero di distretti, benché il dato del censimento 2001 sia inferiore a quello del 1991, sono la Lombardia e le Marche (entrambe con 27 distretti), il Veneto (22), la Toscana (15), l'emilia- Romagna (13) e il Piemonte (12). (Istat,2005) Si potrebbe inferire quindi che in queste regioni si avverta l'esigenza di integrare le forme di design diffuso, tipico dei distretti, all'interno di un'azione progettuale più ampia e articolata elaborata da figure professionali specializzate in grado di interagire e coinvolgere anche gli operatori delle singole imprese del distretto. 6 AASTER diretto da Aldo Bonomi,

19 Tab.2 Il design a livello regionale ( ) Addetti Design (cod.ate % sul Totale Nazional Incidenza add.design su imprese Addetti Design (cod.at CO ) (unità) e made in Italy ECO ) (unità) % sul Totale Nazionale Incidenza add.desig n su imprese made in Italy Var incidenza design su imprese Valle D'Aosta Piemonte Liguria Lombardia Trentino A.A Veneto Friuli V.G Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Fonte: Bonomi A. (2007) su dati Cis-Istat Il crescente ruolo dei designer nelle regioni a vocazione distrettuale è riconducibile anche ai cambiamenti avvenuti nei distretti industriali dal 1991 al Dall'indagine Istat sui distretti industriali (2005), emerge anche che il numero dei distretti industriali in Italia, che complessivamente assorbono il 70,2 % degli occupati nel settore manifatturiero, si è complessivamente ridotto da 199 nel 1991 a 156 nel 2001; le cause di questa diminuzione sono da ricondurre o a una crescita dimensionale delle unità produttive che ha trasformato i distretti in sistemi locali del lavoro di grande impresa o ad uno spostamento dell'apparato produttivo verso i servizi alle imprese tra cui rientrano anche i servizi dei designer. La specializzazione produttiva dei distretti si conferma quella tipica dei settori del made in Italy che possiamo raggruppare nelle seguenti categorie utilizzate dall'ice per evidenziarne la competitività sui mercati internazionali: alimentari e bevande, persona e tempo libero (in cui rientra anche il settore moda di cui si è discusso più ampiamente in un altro capitolo del rapporto), casa e arredamento e meccanica strumentale (ICE,2006). (tab.3). 102

20 Tab.3 Specializzazione produttiva distretti industriali e quota sull' export in Italia Distretti (2001) quota export n. % Alimentari e bevande Persona e tempo libero Casa e Arredamento Meccanica strumentale Totale distretti (col.1-2) e made in Italy (col.3-4) Fonte: Elaborazione personale dati Istat- ICE I servizi dei designer possono riguardare tutti i settori del made in Italy (persino il settore alimentare per quanto concerne il packaging e la comunicazione) ma certamente li riteniamo più diffusamente utilizzati per la realizzazione di prodotti che rientrano nelle categorie "persona e tempo libero" e "casa e arredamento". Si può osservare, nella tab.3, che, in una situazione complessiva in cui la quota dei distretti sulle esportazioni dei prodotti del made in Italy, seppur rilevante, risulta in leggera diminuzione (dal 38.1 al 35.6), i prodotti dei distretti che rientrano nelle categorie "persona e tempo libero" e "casa e arredamento" rimangono quelli trainanti, con percentuali rispettivamente del 47.6 e del 38.6, nel In particolare, per quanto riguarda i prodotti "casa-arredamento", la quota sull'export dei distretti è rimasta invariata pur in un contesto internazionale segnato da un andamento della nostra valuta che non dovrebbe favorire le nostre esportazioni. Non è ovviamente facilmente dimostrabile, ma si può immaginare che il crescente ruolo svolto dai designer nelle produzioni distrettuali del made in Italy possa avere contribuito positivamente. E' infine da segnalare che nei distretti specializzati in prodotti per la persona e il tempo libero sono stati inclusi anche sei distretti dei settori oreficeria e strumenti musicali 7 che più di altri rientrano nelle produzioni a carattere artigianale. Nel corso dei secoli, in questi distretti si sono raggiunti alti standard di qualità ed elevati livelli di produzione conciliando "produzione meccanica e manuale, coniugando perfezione meccanica e imperfezione manuale" (Friel M.- W. Santagata, 2007, pag.290) in un modello che si può definire di soft industrial design, in grado di competere sui mercati internazionali. Si stima che più del 70% delle esportazioni italiane di prodotti dell'oreficeria provenga dai distretti di Alessandria (Valenza Po), Vicenza e Arezzo-Cortona. Anche gli strumenti musicali di Recanati costituiscono una voce significativa dell'export del settore pari al 21.4 per cento delle esportazioni italiane del settore. La competitività di queste produzioni può essere di valido esempio e rappresentare un modello di 7 I sei distretti rilevati dall'istat sono: Alessandria, Sannazzaro de'burgondi, Vicenza, Arezzo e Cortona, specializzati in produzioni orafe, e Recanati, specializzato nella produzione di strumenti musicali.. 103

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