Paolo Annunziato, Direttore Ricerca, Confindustria
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- Bernardo Pagano
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1 Convegno 12/13 dicembre 2003 Fortezza da Basso V.le F.Strozzi 1 Regioni&Innovazione Idee ed azioni a confronto per costruire uno sviluppo duraturo e sostenibile Paolo Annunziato, Direttore Ricerca, Confindustria Ringrazio gli organizzatori di quest incontro, in particolare l Assessore Brenna, per quest invito. Cercherò di essere più breve possibile ma credo che questa sia un occasione importante di confronto soprattutto per confrontarsi su alcune idee, su alcune linee, su alcuni messaggi e credo che oggi ne siano emersi tanti. Su molti di questi io mi trovo d accordo, su altri credo che sia utile un po provare ad aggiungere qualcosa. Prima di tutto vorrei cercare di spiegare come noi in Confindustria vediamo lo scenario della ricerca e dell innovazione in Italia. Ancora una volta siamo partiti o comunque abbiamo tutti in mente i dati sul ritardo tecnologico dell Italia. La Dottoressa Helander ha presentato alcuni dati in cui viene mostrato che l Italia non solo è in ritardo rispetto ai principali indicatori, ma mostra anche una certa lentezza nel recuperare il terreno perduto. In riferimento a questi indicatori, devo dire che nei confronti della ricerca si è creta un ipocrisia, nel senso che tutti, specialmente gli addetti a queste materie, conoscono che la spesa per la ricerca è un indicatore molto impreciso di un concetto più ampio che è l innovazione. E ovvio che la ricerca è fondamentale nell industria farmaceutica tanto che chi non fa non vende, perde quote di mercato, non occupa e quindi nell industria farmaceutica la ricerca è fondamentale per la competitività. Però qui stiamo parlando della ricerca definita dall OCSE, dall Istat, dall Unione europea ovvero quella fatta da persone che hanno un camice bianco e che lavorano in laboratorio. Se andiamo a guardare, per esempio, nel settore delle macchine utensili un impresa che utilizza un gas messo a punto dal Politecnico di Milano e lo sostituisce a quello precedente usato per raffreddare in metà tempo la macchina in modo da avere una macchina più efficiente rispetto al concorrente tedesco, questa non viene classificata come ricerca ma è fondamentale. Perché alla prossima fiera il nostro imprenditore vende più del suo collega tedesco. Questo non viene misurato. Noi continuiamo tutti quanti a ripetere il dato sulla ricerca ma si deve sottolineare che, prima di tutto, questo dato sulla ricerca è un indicatore di specializzazione. Evidentemente la bassa spesa per ricerca specialmente delle imprese italiane significa che noi siamo poco
2 presenti nei settori ad alta tecnologia.. Quindi la domanda diventa non più semplicemente come facciamo a spendere di più nella ricerca ma come cambiare il modello di specializzazione del sistema produttivo italiano. Nella maggior parte del mondo chi fa la ricerca sono le imprese ad alta tecnologia in alcuni settori chiave, principalmente le ICT e le biotecnologie. Se voi andate a vedere la differenza della spesa per la ricerca delle imprese tra Europa e Stati Uniti scoprite che la quasi totalità del gap è dovuto al differenziale di spesa per ricerca in questi due settori. Quindi il problema è come facciamo noi ad aumentare la spesa per la ricerca nell alta tecnologia in Italia? Difficile immaginare che da un giorno all altro ci inventiamo delle grandi aziende nell ICT o nelle biotecnologie. Ma non è così che ha fatto il Canada. Non è così che ha fatto l Irlanda. Non è così che ha fatto l Inghilterra, il Galles. Come hanno fatto? Hanno semplicemente attratto investimenti da multinazionali straniere. Allora il primo punto da dire è che se noi veramente vogliamo vedere l indicatore della spesa per ricerca salire dobbiamo fare in modo che le multinazionali straniere, la Siemens, la Macrosoft, la IBM o la Roche decidano di spendere in Italia. Finché loro decidono di andare in Canada o in Inghilterra o in Irlanda piuttosto che in Italia noi non vedremo aumentare la spesa per ricerca. La domanda è: ma come si fa ad attrarre le multinazionali straniere e ad investire in ricerca? E un punto che tratterò dopo, ma è il vero problema. Non occorre semplicemente spendere di più perché noi abbiamo una forte competitività, un vantaggio comparato in alcuni settori a media alta tecnologia come, per esempio, il settore dei macchinari oppure ad altissimo contenuto di conoscenza, come per esempio tutto il sistema moda, tutto il sistema made in Italy che ha nel design un vantaggio comparato fortissimo. Prima si parlava di Cina. Noi siamo a rischio su moltissimi settori, ma certamente non siamo a rischio sul made in Italy. Nel senso che certamente quello è un settore che resisterà alla concorrenza cinese, perché il problema di affrontare la concorrenza cinese è riuscire a produrre un qualche cosa che gli altri non riescono a produrre ovvero a differenziare i nostri prodotti in un modo che loro non possono. Però la Cina sta già attraendo moltissimi investimenti di multinazionali straniere sulla ricerca. C è stato di recente un documento, una riunione della European Round Table, che raccoglie le più grandi aziende multinazionali in cui è stato sottolineato lo spostamento di molti investimenti in ricerca da varie parti del mondo in Cina Il modello italiano, fatto di specializzazione in settori a media tecnologia maggiore di altri paesi come l Inghilterra e la Francia, inferiore solo alla Germania, deriva soprattutto dal fatto che, a partire da un certo punto in poi, cioè dagli anni 70, il trend di specializzazione del sistema produttivo italiano è cambiato totalmente. Fino agli anni 70 noi avevamo campioni industriali in settori ad alta tecnologia, l elettronica, l energia il farmaceutico, che dagli anni 70 in poi hanno cambiato strategie. Si sono scritti molti libri per spiegare che ci sono stati tutta una serie di errori, però bisogna fare attenzione a pensare agli imprenditori
3 italiani come quelli che sbagliano sempre, che non vedono a lungo termine, che non ottimizzano come invece fanno i loro colleghi stranieri. Bisogna pensare al fatto che un imprenditore ottimizza, massimizza il suo profitto sempre in base ai vincoli, alle condizioni in cui vive. Ma cosa è successo dagli anni 70 in poi? Dagli anni 70 in poi il costo del lavoro rispetto ad altri paesi è aumentato. la rigidità del mercato è aumentata, sono stati introdotti numerosi vincoli alla crescita delle imprese in una situazione in cui non esisteva una politica, una cultura di collaborazione tra università e impresa, in una situazione in cui non esisteva una politica della ricerca di lungo periodo che permettesse di fare strategie di lungo periodo, in cui invece esisteva una possibilità di recuperare competitività attraverso svalutazioni competitive, in cui il mercato non era così concorrenziale. In questa situazione il problema di molte aziende non è stato quello di competere sui mercati internazionali in settori ad alta tecnologia, fortemente incerti, con forti innovazioni di prodotto ma ovviamente è stato quello di ridurre il grado di rigidità del sistema, riducendo il fabbisogno unitario di lavoro con investimenti fortissimi in innovazione di processo. Un dato che non è molto conosciuto, ma il nostro rapporto capitale lavoro, se volete, semplificando, il numero di macchine per uomo in Italia, è uno dei più alti del mondo. Perché noi abbiamo investito tanto, troppo in macchine, più degli americani. Sembra paradossale dato che non siamo specializzati in alta tecnologia. Ma questa flessibilità, attenzione, non ha prodotto redditività. Abbiamo sì aumentato la flessibilità ma abbiamo ridotto la redditività rispetto ad altri paesi. Per fortuna questa situazione negli ultimi anni è andata cambiando. Certamente ora il grado di flessibilità comincia ad aumentare. Sarebbe un errore pensare che la flessibilità non è un fattore importante per l innovazione. Il costo del lavoro effettivamente si è ridotto rispetto agli altri Paesi ma soprattutto il mercato è diventato estremamente più concorrenziale. Lo scenario cambia totalmente, le imprese oggi si trovano a dover adottare politiche di massimizzazione dei profitti basate su l innovazione di prodotto, sulla capacità di competere con prodotti che non possono essere imitati da altri. Da qui c è una fortissima esigenza di innovazione, di passare da un innovazione che io chiamo generalmente di secondo livello cioè a un innovazione incrementale, da un innovazione soprattutto contingente, occasionale, a un innovazione di carattere più strutturato, a un innovazione pensata nel medio periodo, a un innovazione più profonda certamente fatta maggiormente in collaborazione con l università e in cui ovviamente la dimensione locale conta. Da qui nasce anche l interesse di Confindustria che da alcuni anni ha cominciato a focalizzare su questo tema per renderlo uno delle priorità del paese. Noi abbiamo fatto recentemente insieme alla Commissione europea e al CNR uno studio a anni sul futuro del settore manifatturiero. In altri paesi studi del genere sono abbastanza frequenti ma in Italia gli esercizi di scenario vengono fatti raramente. Facendo un esercizio di
4 scenario anni si dimostra che su tutta una serie di probabili driver di competitività del settore manifatturiero la tecnologia è fondamentale, così come la necessità di creare una qualità compatibile con l ambiente. Da quindi il problema dei biomateriali e delle nano e micro tecnologie. La richiesta di salute applicata a tutta una serie di prodotti dall alimentare al tessile sono problematiche che richiedono un forte investimento in tecnologia anche nei settori più tradizionali, anche nelle nostre piccole e medie imprese. Quindi lo scenario è quello di un impresa che non può più permettersi di non gestire l innovazione. Le imprese devono imparare a gestire l innovazione, se non lo fanno usciranno dal mercato. Quindi non è una scelta da parte delle imprese ma una necessità. Non è un problema di scegliere, è un problema di capire. Per questo noi crediamo in una politica dello sviluppo e questo credo sia stato veramente il punto in comune tra Confindustria e le tre principali confederazioni sindacali nel firmare l accordo per lo sviluppo, che significa fondamentalmente chiedere di guardare nel medio periodo, definire una politica nel medio periodo. Pe far ciò occorre necessariamente incominciare a operare oggi, introducendo una serie di meccanismi che possono creare delle evoluzioni, degli adattamenti in un certo numero di anni. Una cosa che certamente caratterizza una politica dello sviluppo è la definizione, la certezza, la stabilità delle politiche, che non sono quelle che vengono decise in ogni finanziaria giorno per giorno, anno per anno. E stato accennato prima, per esempio, alla tecno-tremonti. La tecno-tremonti è una cosa buona indubbiamente: finalmente in Italia un agevolazione fiscale per la ricerca, ma solo per un anno. Allora il problema qual è? Il problema deve essere quello di creare degli incentivi che siano anche intervento nel processo decisionale dell impresa, orientare una strategia di investimento che si allontani dal processo di automazione verso, per esempio, un miglioramento della qualità tecnologica dei prodotti. Ma questo si può fare soltanto se si ha un orizzonte per lo meno di qualche anno; purtroppo in Italia oggi non esiste non solo un orizzonte di qualche anno, ma assurdamente le imprese nel centro nord che hanno presentato progetti di ricerca sui principali strumenti per il finanziamento della ricerca industriale, cioè il fondo FAI e il fondo FIT, attendono ancora una qualche risposta. E stata approvata la Legge 488, la 46 per il FIT e la 297, ma, per esempio, quest ultima, che risale al 2001, per ciò che riguarda la ricerca industriale, ovvero gli articoli 5 e 6, non è mai stata finanziata. In questa condizione le imprese hanno certamente continuato a fare ricerca, perché è vero come diceva la dottoressa De Cesare che poi le imprese comunque non guardano soltanto al finanziamento,; infatti i dati ci dicono che il finanziamento pubblico alla ricerca industriale rappresenta solamente il 13% del totale. Però è un problema di politiche, di strategie: capire dove il governo andrà, dove andrà il paese, tanto più nel settore dell alta tecnologia in un contesto mondiale globalizzato.
5 Questa è un altro elemento che spesso conviene colto.oggi noi stiamo parlando delle politiche regionali dell innovazione, ma le imprese operano in un mondo globalizzato non soltanto perché si trovano il loro concorrente cinese in casa ma perché quando devono scegliere di comprare una macchina o quando devono scegliere di farsi fare una ricerca non possono pensare di rivolgersi soltanto alle università locali. Se vogliono stare sul mercato devono andarsi a cercare l occasione migliore. A questo proposito cito l esempio del Canada che, agli inizi degli anni 90, non vedeva un futuro in un industria in cui la stragrande maggioranza delle esportazioni erano esportazioni di materiali e quindi ha introdotto sia a livello federale che a livello regionale un credito d imposta per la ricerca e l innovazione non automatico, ma selettivo del 40% ovvero, fatta la valutazione principalmente ex post, con costi amministrativi bassissimi per l impresa, l impresa riceveva il 40% della spesa che aveva fatto. Hanno tagliato i fondi all università, intesi come fondi liberi, aumentando invece la quantità dei fondi orientati al trasferimento verso le imprese. E stata una scelta coraggiosissima che ha provocato una rivoluzione in Canada, però in questo periodo Crétien è rimasto continuativamente al governo. In questi 10 anni le più grandi imprese americane ed europee comprese diverse imprese italiane si sono tutte localizzate nel confine canadese-americano, in particolar modo nell Ontario e Québec, aree in cui adesso c è una concentrazione di imprese ad alta tecnologia impensabile 10 anni fa. Il 30% delle esportazioni canadesi oggi sono IT. Questi dati dimostrano che questa strategia è vincente. Questo è l esempio del Canada ma se andiamo a vedere altri paesi, come l Irlanda, il Galles, la Spagna oppure la Francia, possiamo vedere quali aspetti funzionano e quali no. Sappiamo tutti benissimo che l innovazione è un sistema composto da tanti sottosistemi che devono funzionare coerentemente ma occorre una politica di medio periodo in cui i meccanismi siano corretti. Le imprese non hanno tanto bisogno di incentivi intesi come soldi a fondo perduto che sono importanti per la ricerca più avanzata dove c è un alta quantità di rischio e mille ragioni economiche per giustificarlo. Ma l impresa ha bisogno, soprattutto, di certezze e stabilità delle risorse, politiche chiare, definite, meccanismi corretti che rendano più ottimale fare certe scelte piuttosto che altre. In Italia è stato più ottimale fare un distretto industriale che fare un impresa farmaceutica ma, nelle attuali condizioni di mercato, il rischio è che i distretti industriali oggi non vedano un futuro. Effettivamente molti distretti industriali stanno delocalizzando, cosa che sembra un po assurda perchè un distretto industriale che delocalizza significa che andiamo a perdere quel fattore di competitività fondamentale che era proprio la cultura del territorio. Delocalizzare, però, è obbligatorio perché il costo di produzione di uno scarpone da sci in Romania è troppo più basso che farlo a Montebelluna. Perciò si spostano in Romania e cosa rimane a Montebelluna?
6 Questa è la sfida. A Montebelluna deve rimanere la ricerca di nuovi materiali, deve rimanere il design. Dobbiamo inevitabilmente andare a cercare di ridefinire le competenze perché non riusciamo a competere con il basso costo del lavoro. In Cina il costo del lavoro è 30 volte più basso che in Italia. Probabilmente in 15 anni recupereranno molto di questo gap, ma servirà molto tempo. Volevo soltanto chiudere dicendo qualche cosa sul ruolo della politica regionale. Credo che ovviamente in questa sede non c è bisogno di ribadire che l innovazione ha una dimensione locale fondamentale. L innovazione avviene a livello locale; la scelta di introdurre una concorrenzialità nella gestione della politica della ricerca, attraverso una modifica costituzionale, non è stata soltanto una scelta politica, è l indirizzo in cui si muove il mondo, in cui si muove l Europa. In tutti i paesi la ricerca avviene a livello regionale, anche se, secondo me, a volte non capiamo bene come funziona questa dimensione regionale. La dimensione regionale soprattutto, per ciò che riguarda la capacità di sviluppare i settori a media alta tecnologia, avviene attraverso i cluster. Non sono le regioni intese come territorio, sono i cluster. Che cosa sono i cluster? I distretti? No, non sono i distretti industriali. I cluster tecnologici cioè quelli che attraggono ricerca, e ce ne sono molti esempi nel mondo ma anche in Italia, sono delle aree in cui si incontrano delle eccellenze scientifiche con degli incentivi intesi in senso generale, un costo ed una produttività della ricerca notevolmente vantaggiosi rispetto ad altre aree, per cui si crea un fattore di aggregazione. La ricerca è un economia di scala perché presenta rendimenti crescenti cioè più se ne fa, più si accumula e più aumenta la produttività; per questo motivo si realizza il fenomeno dei cluster. Ecco questo è il modo in cui noi dobbiamo pensare la politica regionale: quello di favorire lo sviluppo dei cluster. Come si fa a favorire lo sviluppo dei cluster? A questo proposito è fondamentale capire bene qual è il ruolo della politica nazionale e qual è il ruolo della politica regionale. La mia idea, riprendendo una definizione che ho sentito in un convegno sulle politica regionale a Perugia, è che la politica della ricerca non può essere una politica di coesione perché è una politica di selezione. Quindi sono d accordo con la dottoressa De Cesare quando ci mette in guardia dal rischio di moltiplicare la ricerca dell eccellenza. La capacità della politica regionale è creare tutto l ambiente ottimale affinché queste eccellenze si sviluppino ma le risorse per far crescere questi cluster devono essere liberate da scelte nazionali, anche se moltissimo può essere fatto a livello regionale per favorirne lo sviluppo. Un ultima cosa a cui tengo molto è il ruolo del sistema associativo. Soprattutto per ciò che riguarda le piccole e medie imprese, questo emerge anche da un indagine che abbiamo fatto insieme al Ministero alcuni anni fa, il problema è il loro isolamento. L innovazione è fondamentalmente collegata alla partecipazione in una rete di fornitori, di clienti, di altre imprese, dell università, è la rete associativa; un impresa isolata è un impresa che inevitabilmente è a rischio, che declina. Il sistema associativo è un sistema che in molti casi
7 costituisce una rete fondamentale. Credo che come sistema possiamo fare moltissimo sia per favorire un flusso di informazioni alle piccole e medie imprese, e lo facciamo già, sia soprattutto per creare uno sviluppo culturale anche con gli altri attori del sistema, in modo particolare con le università. Proprio qualche giorno fa abbiamo firmato un accordo con la conferenza dei Rettori per investire insieme in due direzioni: la prima è quella di una maggiore collaborazione tra università e imprese attraverso una serie di progetti, la seconda è quella di introdurre una cultura della valutazione all interno dell università. Credo che questo ruolo che può svolgere il sistema associativo sia nei confronti delle piccole e medie imprese che nei confronti del sistema è fondamentale.
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