Roberto Maffioletti LA SCELTA. Roma 1943/1944

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1 Roberto Maffioletti LA SCELTA Roma 1943/1944

2 Collana Extravagantes 10

3 10 / Collana Extravagantes Titolo dell opera: La Scelta. Roma 1943/1944 Autore: Roberto Maffioletti Immagine copertina e progetto grafico: elaborazione nuanda & nuanda da un dipinto originale (tempera a spatola) di Roberto Maffioletti 2011 GB EditoriA, Roma Proprietà letteraria riservata Finito di stampare nel mese di marzo 2011 presso Plan.ed, Roma ISBN:

4 Roberto Maffioletti La Scelta Roma 1943/1944 GBE / Ginevra Bentivoglio EditoriA

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6 Indice Introduzione Angeli su Roma Una risposta di classe Operazione Valletta Quei lunghi mesi del Roma liberata Appendice fotografica Indice dei nomi 85

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8 a Luisa

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10 Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane. Italo Calvino, Le città invisibili

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12 Introduzione Con questi brevi racconti ho voluto ripercorrere i fatti, i singoli passaggi e gli stati d animo vissuti nella Roma degli anni 43 e 44, accennando agli episodi più significativi e curiosi, perché non si perdesse da parte mia il controllo della memoria, ma anche per testimoniare per quali vie la mia generazione riuscì a superare l opprimente egemonia del regime fascista e a conquistare la propria emancipazione, non per calcolo ma esponendosi nell azione, così maturando umanamente nella libertà. *** Il 1943 fu l anno dalle molte svolte : militare con l armistizio e l inizio della guerra di liberazione contro la Germania, civile con il passaggio dal fascismo al governo Badoglio. La svolta profonda e duratura però fu nell animo delle persone, delle masse popolari e degli intellettuali, ma soprattutto nell orientamento delle generazioni cresciute sotto il regime fascista. Senza quella rottura, così improvvisa, come i crolli disastrosi delle case bombardate, non ci sarebbe stata neppure la Resistenza. Gli strati più avveduti e colti, la classe operaia in gran parte e tanti giovani, rivolsero subito il loro impegno di riscatto contro l occupazione tedesca, come riemergesse a un tratto, l antico nemico del Risorgimento. La patria ritrovata e sentita come comunità di liberi e di eguali, giusta nel diritto e nella realtà sociale, riscattata dal predominio classista e dinastico, risalì come un sentimento collettivo riposto in fondo all animo della mia generazione, come una febbre interiore, un senso ultimo che si accresceva fino a prevalere sulla rabbia proletaria, sullo scatto d ira e di odio popolano, commista all orgoglio cittadino ferito, assieme a quello dei soldati fedeli al giuramento. *** Il fascismo aveva ristretto l idea di patria identificandola con il partito; noi brancolavamo nel vuoto ma non volevamo che quell idea ci trascinasse 11

13 ancora in rovina. Quel proclama inaspettato dei sei partiti del CLN, apparso sulla stampa di un giorno, ci ridette una speranza. Apparve come un lampeggiare di luce improvviso che ci apriva la mente. Partiti dai nomi storici, esponenti dai nomi sconosciuti: da dove venivano quei nuovi protagonisti? Dalle carceri, dal confino, dall estero dove si annidavano i famosi fuoriusciti demonizzati dai fascisti! Il partito si poteva scegliere, per schierarsi in prima linea in una lotta di riscossa nazionale; le scelte politiche di ciascuno sarebbero state rivolte al futuro. La pluralità di idee non era più di ostacolo e ciascuno poteva farsi portatore di valori di liberazione umana senza contraddire il sentimento nazionale. *** è difficile ancora oggi spiegare come sia stato possibile per tanti giovani cresciuti nel regime fascista, in un paese provato dalla sconfitta e dalle atrocità di una guerra ingiusta, sfidare tanti pericoli per un riscatto morale spinto fino al rischio della vita, tanto più che a questo traguardo si arrivò senza grandi maestri. Ripensando alla mia formazione forse la prima pietra venne posta in quella scuola elementare Giuseppe Garibaldi di via Mondovì, dove si recitavano a memoria le belle poesie, si leggeva ad alta voce Cuore di De Amicis, si studiava la storia patria come fosse un epopea, una storia in cui risaltavano in primo piano i moti insurrezionali, il volontariato garibaldino, l apostolato mazziniano. Sul fondo dell aula campeggiava una bandiera tricolore stranamente priva dello stemma sabaudo. Nel mio immaginario, come nei miei giochi di guerra, su tutto dominava la suggestione della barricata, simbolo di rivolta popolare contro l oppressione dei potenti. *** L altro sentimento presente in me era legato ai valori del mondo dei lavoratori che circondavano la mia vita e dominavano il quartiere dove crescevo. socialista che venne a maturarsi negli anni successivi si accompagnò alla mia crescita culturale e prese le mosse da quelle premesse ambientali. Fu un processo naturale : l eloquenza tacita di mio padre, il suo coraggio mite, l odore e il rumore amico delle macchine tipografiche, il legame tra la carta stampata e il lavoro di quegli uomini attorno ai banconi, alle prese con i caratteri di piombo, la foto di gruppo con la comitiva dei sin- 12

14 dacalisti prima che la sede della Federazione dei Poligrafici fosse bruciata dalle squadre fasciste in piazza Sonnino, erano rimaste impresse profondamente nella mia mente ancora inconsapevole. *** Il conflitto storico tra appartenenza al movimento operaio e l idea di nazione si ricompose nella temperie della seconda guerra mondiale e nella lotta partigiana. La drammaticità dello scontro in atto imponeva di sciogliere ogni contrasto nell unicità della linea del fuoco, nella guerra contro il comune nemico. Anche la differente impostazione della sinistra non comunista sull alleanza con i monarchici, espressa dai socialisti con la critica alla svolta di Salerno del PCI, si concluse con il comunicato attribuito alla penna di Pietro Nenni e pubblicato sull Avanti! clandestino del 5 aprile 1944, in cui si affermava che da parte socialista vi sarebbe stata comunque: «una sola pregiudiziale: l esigenza della vittoria nella lotta di vita e di morte nella quale siamo tutti impegnati e per la quale il fiore della nostra gente muore nei massacri ordinati dai nazisti e dai fascisti». *** Su quella linea ci attestammo uniti, con motivazioni diverse, ma insieme riuscimmo a costituire quel primitivo collettivo che permise di scambiarci forza e consapevolezza, di superare la tempesta che si scatenava dentro e davanti a noi, di intuire le prime fondamenta delle nostre convinzioni e di compiere la nostra scelta. 13

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16 Angeli su Roma A Napoli, a Milano, dovunque era diffusa la battuta di chi viveva sotto le bombe della RAF e dell US Air Force: «Perché non vanno a bombardare Roma?!»: questa era l opinione dell uomo della strada, circa l ingiustizia della cosiddetta intoccabilità di Roma. Un modo per prendersela con il fascismo e con i gerarchi. Convinzione comune della cittadinanza romana era che gli americani non avrebbero mai avuto il coraggio di bombardare una città con tremila anni di storia, sede del papato, di distruggere il Colosseo, l Arco di Tito, le opere d arte, il Vaticano. Se ne sentivano tante nei caffè, nei mercati, sui tram; è probabile che queste voci esprimessero anche la convinzione delle gerarchie militari e dei gerarchi fascisti. Quella mattina del 19 luglio del 43 quando arrivarono a Roma i novecentoquaranta aerei Liberators, le Fortezze volanti, bombardieri leggeri e aerei da caccia che volavano a seimila metri d altezza e oltre, la gente si affacciava dalle terrazze romane e molti dicevano: «Dove andranno?». Nessuno pensava che gli aerei il cui rombo si sentiva lontano stessero venendo a Roma. L incredulità era diffusa anche in chi avrebbe dovuto approntare la difesa antiaerea della città, come dimostra questo dialogo radiotelefonico dal posto di avvistamento di Capodichino (ore 10,28), trascritto nei documenti della Regia aereonautica: «Pronto, pronto, comando rete è urgente, perdio» «Qui passano a centinaia, vengono verso di voi, sono tutti bombardieri, capito!!». Dopo due minuti interviene un tenente colonnello da Roma, Ministero Ufficio Difesa Contraerea: «Chi sei?» - risposta: «Sono il tenente Comandini, signore, qui stanno passando grosse formazioni di bombardieri americani. Abbiamo contato almeno centotrenta Fortezze volanti, cento Liberators, numerosi bombardieri Marander e Mithcell; hanno una fortissima scorta di caccia, quelli a doppia coda». «I Lightning?» «Sì, signore, proprio i Lightning»; «quanti sono?» Risponde il tenente:«non lo so esattamente, signore, ma non sbaglio di molto se dico almeno un migliaio, forse più» «Un migliaio!? Ma è proprio sicuro, tenente; non si è fatto prendere la mano dall emozione?». «Ma no, no! Glielo assicuro. C è in ballo qualcosa di grosso, potrebbero anche puntare su 15

17 Roma». Tenente colonnello:«roma? Cosa le viene in mente! La strategia la lasci decidere a noi. Lei seguiti a contare e rilevi la rotta. Mi richiami appena l intera formazione è passata». Clic 1. La nostra contraerea era scarsa e poteva al massimo arrivare a colpire al limite dei seimila metri, con sistemi di puntamento antiquati e affidata principalmente alla milizia fascista con pezzi di artiglieria da settantacinque di vecchio tipo. Ai tedeschi era stato richiesto di installare qualche batteria, con cannoni superiori per calibro e moderni apparati di puntamento, organizzati nella FLAK 2. Le batterie attorno a Roma spesso non erano adeguatamente rifornite di munizioni. Angelo era il codice-radio usato dai piloti americani della 12^ Air Force per indicare la quota di trecento metri; twenty angels l altezza indicata per eseguire il bombardamento del 19 luglio 1943 su Roma, ossia ventimila piedi corrispondenti a seimila metri. La quota effettiva variava fino a settemila metri e oltre perché gli aerei procedevano con la formazione combat box, ossia posti a triangolo e con quote sfalsate in modo da non avere ostacoli e angoli morti nel tiro di difesa anticaccia 3. L allarme venne dato quando le formazioni alleate erano già sopra la città. Il cielo era di un azzurro intenso e senza la più piccola nube, il suono delle sirene alle 11,03, ci richiamò alla dura realtà e mentre scendevamo le scale per raggiungere il rifugio ci invadeva uno sgomento silente. Erano arrivati i liberatori. Lentamente e altissime si dispiegavano le formazioni destinate a sganciare le bombe con sei ondate successive. Inizialmente questa massa sterminata di aerei, luccicanti nel sole, destava ammirazione e speranze. Una potenza, più forte del tedesco occupante che dominava la città, mostrava ora tutta la sua forza imponente. La mia abitazione era collocata all ultimo piano di un palazzo, affacciato nel suo fronte principale sulla via Appia Nuova, mentre di fianco distava due o trecento metri dalla linea ferroviaria che conduceva alla stazione Tuscolana. I rifugi erano costituiti da castelli di pali di legno, con pareti esterne rinforzate e ingressi protetti da sacchetti di sabbia. Il nostro era null altro che la vecchia cantina rivestita da pi- 1 Cesare De Simone, Venti angeli sopra Roma, Mursia, Milano 1993, pp FLAK: acronimo di FLiegerAbwehrKanone, (cannone antiaereo). 3 De Simone, ibidem. 16

18 lastri e travature di legno, costruita come scongiuro, piuttosto che nell ipotesi del crollo di un edificio di cinque piani. I primi boati non tardarono; il filo di polvere bianca che filtrò dal tavolato che copriva il soffitto, funzionò da segnale: quella volta eravamo veramente sotto un bombardamento pesante. Dopo i primi boati si distinsero i colpi dei cannoni antiaerei ancora più vicini che partivano dalle poche batterie dislocate intorno a Roma. Sotto il pavimento di legno si percepiva un tremolio sordo man mano che i colpi si susseguivano, fino a che, assieme all intensificarsi del cannoneggiamento, si sentì chiaramente che le bombe piovevano a grappolo sui quartieri a noi vicini e sulla stazione Tuscolana. Roma non era più intoccabile. Le bombe cadevano sulla città come su un teatro di operazioni belliche. La guerra era entrata nelle nostre case. Alcuni coinquilini, devoti alla massima assai diffusa: «Non scendo di sotto: non voglio fare la fine del topo», cominciavano anch essi a scendere furtivamente. Arrivò anche mio padre che era sempre rimasto in casa. Noi giovani abituati a considerare queste discese in cantina come diversivi senza conseguenze, eravamo silenziosi e composti, come nell attesa che passasse la bufera; le madri e le donne più anziane mormoravano il rosario; avevano portato con loro qualche rifornimento, la borsa con i gioielli di famiglia e ogni tanto, allo scoppio più ravvicinato, corrispondeva l urlo collettivo di orrore e di paura. Fuori la città solitaria era sotto un clima arroventato: il termometro segnava trentotto gradi. Caddero sullo scalo San Lorenzo e sul cimitero del Verano, le bombe da duecentocinquanta chili; caddero bombe attorno all Università, poi sulla Prenestina, sulla Casilina, attorno piazza Bologna, a viale Manzoni. I puntatori a bordo dei bombardieri avevano l ordine di sganciare sugli obiettivi ormai indicati dalle nuvole di polvere e dai fumi neri che si levavano dalle zone colpite. Il quartiere San Lorenzo e la via Tiburtina furono devastati: i morti non si contavano; ancora oggi non esiste una statistica ufficiale; è presumibile che i morti non siano stati inferiori a duemila, oltre mille i feriti. La carneficina fu completata dai mitragliamenti a bassa quota da parte dei caccia che falciavano e colpivano qualsiasi cosa o persona in movimento. Quel giorno Mussolini era a Feltre a colloquio con Hitler, in realtà muto e sbigottito testimone di un furente monologo hitleriano. Le 17

19 sorti della guerra avevano cambiato di segno. Lo scrivono oggi gli storici, i commentatori di quelle vicende, ma lo avvertimmo noi, ragazzi educati dal fascismo a credere, obbedire e combattere : la tragedia stava ormai per consumarsi. Alle 14 circa il cessato allarme risuonò raucamente, con un tono che ci sembrò lacerante e disperato; l urlo delle sirene non era ancora spento che, risalendo le scale per il rientro nelle case, più acuto e straziante, si udì quello delle donne di una famiglia colpita dalla prima notizia: le bombe avevano distrutto la rimessa dei mezzi dell ATAC sulla via Prenestina, dove lavorava il padre di un mio amico, vicino di casa. Bisognava correre a verificare sperando di riportare notizie rassicuranti. Quei familiari furono da tutti obbligati a rimanere in casa, sbigottiti, in attesa di notizie. La mia offerta di aiuto fu accolta; devo a questo la mia più diretta esperienza di cosa significasse un moderno bombardamento aereo su quartieri civili, sulle strade e sugli impianti di una città. Correvo noncurante del caldo asfissiante, fra le nuvole di polvere bianca che a ogni angolo di strada segnavano le zone colpite. Di corsa passai davanti ai palazzi sventrati attorno a piazza Ragusa incrociando i veicoli dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa. Al Prenestino arrivai evitando buche e macerie sparse, finché appena varcato il grande cancello d ingresso lo spettacolo del deposito distrutto mi apparve come un inferno. Erano rimasti in piedi, sbrecciati e pericolanti, soltanto i muri perimetrali dell ampio capannone, dove lavoravano i tecnici addetti alla manutenzione delle vetture. Al centro un ammasso enorme di detriti ancora fumanti era aggredito convulsamente soltanto dalle mani e dai pochi picconi dei soldati della Croce Rossa, da poche decine di Vigili del Fuoco, a terra poche barelle inutilizzate: i caduti sul lavoro erano lì sotto, sepolti da quel cumulo informe di calcinacci e di travi spezzate. Il mio ritorno fu ancor più penoso, non solo per lo spettacolo degli sventramenti e le notizie che dovevo riportare a casa, tragiche senza possibilità di errore, ma per le grida, le piccole folle piangenti, le prime avvisaglie di una rabbia sorda dei gruppi di popolo, che si affollava agli angoli delle strade. Nessuno dei gerarchi fascisti mise piede a San Lorenzo; Vittorio Emanuele il giorno dopo fu costretto a rientrare a villa Savoia tra gli insulti e le sassate; Mussolini si limitò a una visita lampo nella notte. Ancora oggi è ricordato, come simbolo contrastante con la rovinosa 18

20 condotta dei governanti, il sopraggiungere del Papa e poi della principessa di Savoia. Roma era stata esposta senza difesa, mentre too easy (troppo facile) fu definita l incursione aerea da parte del capo di stato maggiore USA gen. Spaatz (27 luglio 1943). Gli aerei da caccia della Regia aereonautica disponibili erano circa venti su trenta presenti negli aeroporti intorno a Roma. Alla Difesa Contraerea (DICAT), il preallarme alle batterie venne disposto dall ufficiale di servizio, in viale Romania, in sostituzione del comandante generale non rintracciabile. Su novecentotrenta aerei americani, ne furono abbattuti due: uno dall aereo da caccia Mac 200, levatosi da Ciampino e l altro dalla FLAK nella zona di Nettuno 3bis. Il regime seguitava a mentire sull esito della guerra mentre le forze angloamericane erano già sbarcate in Sicilia. Si può sostenere che il bombardamento di Roma non fosse necessario dal punto di vista strettamente militare; in verità fu concepito come un tragico atto di sollecitazione rivolto all Italia e certamente ebbe un decisivo effetto politico. Di lì a poco, infatti, il fascismo sarebbe caduto. Nei giorni che seguirono il bombardamento, la mia famiglia si trasferì in via Puglie, in casa della nonna paterna; a fianco del suo appartamento eravamo nati e cresciuti per i primi anni della nostra vita. La sospensione delle lezioni per le ferie estive, ci spinse ancor più a quel trasferimento e ne fui contento, ma non lo furono i miei, costretti ad affrontare una convivenza forzata e un trasloco di fortuna. In verità non ho mai amato quella casa da cui fuggivamo: il mio cuore era rimasto altrove: era bella l aria che si respirava in quella zona di Roma dove si tornava, a due passi da villa Borghese. In quella strada del quartiere Ludovisi la mia famiglia aveva conquistato il proprio avvenire con tanta fatica, ma nessuno di noi si era mai sentito povero, anche se in una certa misura lo eravamo. Ricordavo allora un infanzia felice, le cure con cui tutto si costruiva attorno a noi piccoli, il decoro quotidiano, le poche festività celebrate con dignità, la domenica a piazza Fiume per il gelato da Fassi, i colletti inamidati di mio padre con il bottone centrale che si perdeva spesso sul pavimento, il suo abito sempre completo di giacca e cravatta. 3bis De Simone, op. cit., pp

21 Tanti valori, primo tra tutti quello del lavoro che obbligava mio padre a levarsi alle 6 del mattino per arrivare al Poligrafico entro le 7, andare a piedi fino alla stazione e poi prendere il cosiddetto tranvetto. Ogni mattina beveva un uovo, bucato con uno spillo e poi una tazza di caffè di cui sentivo arrivare il profumo dal mio letto. Si tornava alle origini. Il 25 luglio successivo in via Puglie con le radio accese a tutto volume risuonò nel cortile il comunicato che annunciava le dimissioni del cavalier Benito Mussolini e l incarico di capo del governo conferito dal Re al Maresciallo Badoglio. Era difficile allora immaginare gli eventi epocali che sarebbero intervenuti e che accaddero dopo quel 25 luglio. La caduta del regime avvenne senza che nessuna forza organizzata reagisse: la sera stessa i fascisti erano scomparsi, chiuse le centinaia di sedi dei gruppi rionali e le sedi nazionali del PNF, deserta la caserma Mussolini della Milizia, dissolti i battaglioni M accampati alla Camilluccia, fuggiti i moschettieri del Duce posti a guardia di palazzo Venezia. Un crollo a cascata del regime era avvenuto nell urbe, simbolo di potenza e prestigio, centro ideale del sistema. Roma fu dichiarata città aperta dal governo Badoglio il 14 agosto 1943, ma le autorità angloamericane non riconobbero mai questo status e si impegnarono solo a non danneggiare la Città del Vaticano e le zone archeologiche e centrali di Roma, in quanto convinti si trattasse di uno stratagemma del governo Badoglio per prendere tempo. Scoprii allora, insieme ai miei compagni di scuola, il vero volto del fascismo e provai insieme alla disillusione una grande voglia di reagire. 20

22 Una risposta di classe In quelle ore tra l 8 e il 9 settembre del 1943, correvamo come anime perse per la città con le nostre biciclette, alle prese con una guerra non dichiarata. Roma era divenuta, all improvviso, una retrovia e nello stesso tempo zona di operazioni. Chi di noi era riuscito a raggiungere gli accampamenti della Divisione Piave, all interno villa Borghese, percepì una smobilitazione imminente; chi invece riuscì ad avvicinarsi alla Passeggiata archeologica, si trovò sotto il tiro dei panzer tedeschi, che scendevano dall alto delle Terme di Caracalla. Due piccoli carri armati del Regio esercito erano lì, immobili, ancora fumanti e insanguinati al loro interno. L 8 settembre le forze motocorazzate tedesche penetrarono dal lato di Ostia e Pratica di Mare. I reparti dell esercito rimasero a difendere Roma senza ordini, mentre all alba del 9 lo stato maggiore e il re Vittorio Emanuele lasciavano la città diretti a Pescara e i tedeschi lanciavano reparti di paracadutisti alle porte di Roma. Il 10 settembre gli alti comandi italiani firmarono l accordo che dichiarava Roma città aperta, ma le forze germaniche il giorno dopo, in modo unilaterale, assumevano il comando della città, estendendo a tutto il suo territorio le leggi tedesche di guerra. Il regio liceo ginnasio Augusto di Roma è ancora oggi al suo posto: ai margini della ferrovia che conduce dopo alcune centinaia di metri alla stazione Tuscolana. All epoca non era stata ancora costruita quella parte dell edificio scolastico che ora affaccia sulla via Appia Nuova; al suo posto si stendeva un grande prato incolto che noi attraversavamo lungo viottoli che consentivano di raggiungere l ingresso della scuola in minor tempo. Una posizione estremamente pericolosa nel settembre 1943, che avrebbe costretto l istituto, di lì a poche settimane, a traslocare in via dell Olmata, a Santa Maria Maggiore. L 8 settembre fu l accadimento più atroce per chi lo visse direttamente come i nostri soldati e i civili in balia dell esercito tedesco. Dopo l ambiguo messaggio dell armistizio da parte del maresciallo Badoglio già il 21

23 12 settembre Roma era governata dai bandi del maresciallo Kesserling, che dominavano minacciosamente i muri cittadini. I granatieri, i lancieri di Montebello e pochi altri reparti dell esercito erano stati impegnati a porta San Paolo e alla Montagnola, a sud dell Ostiense, reparti di artiglieria e dei Carabinieri a Monterotondo, mentre il grosso dell esercito, presente sulla piazza di Roma, era abbandonato dal re e dai suoi generali al più disonorevole dei disfacimenti. Da poco era alle nostre spalle la consumazione tragica della beffa di Roma città aperta : arrestato Calvi di Bergolo, disarmati i Carabinieri e le Divisioni Piave e Ariete, che dovevano garantire lo status della città, le truppe tedesche potevano farsi scudo della città aperta per il transito dei propri mezzi diretti al Sud, rivolti a contrastare la risalita ormai inarrestabile degli eserciti alleati lungo la penisola. Questi grandi eventi erano deflagrati nel profondo della coscienza di giovani educati e cresciuti nell ambito del fascismo e nella GIL. La Gioventù Italiana del Littorio disciplinava tutto l arco della vita giovanile, soprattutto nella scuola e all Università. Si passava, secondo l età, dai Figli della Lupa, ai Balilla, agli Avanguardisti, ai Giovani Fascisti, ai Gruppi Universitari (GUF). L attrattiva per noi più festosa era costituita dalle manifestazioni ginnico-sportive, dove andavamo insieme alle Giovani Italiane, gradita occasione di incontro e di amori a prima vista. Eravamo ragazzi ancora privi di coscienza politica, che si trovavano ad andare al liceo in una città occupata, coinvolti in vicende destinate a condizionare a fondo le loro convinzioni, ancora non pienamente consapevoli di quanto sarebbe accaduto, ma già convinti che quel passaggio cruciale non poteva essere affrontato nell attesa passiva di essere liberati dagli eserciti alleati. Il nostro era un gruppo composto di otto o dieci ragazzi tra i quindici e i sedici anni, appartenenti a due classi del liceo. Nei giorni fatidici del luglio e dei primi di settembre, l intesa tra noi si era stabilita d incanto. Era arrivata improvvisa la consapevolezza della falsificazione storica che ci aveva imposto il regime: sulla guerra, sui suoi fondamenti e sulle sue ragioni, sull idea stessa di patria. Dal nostro 22

24 compagno Adriano, figlio di un militante socialista, che poi venne arrestato dalle SS tedesche e fucilato alle Fosse Ardeatine, venne l invito a organizzarci nell ambito del Partito socialista che si era ricostituito il 25 agosto I nostri primi passi furono la raccolta e il seppellimento di bombe di mortaio e a mano, oltre a stabilire un raccordo con il centro operativo dell Organizzazione Militare (O.M.) 5 per la diffusione dell Avanti!. I giornali clandestini ci venivano consegnati in piccoli quantitativi, con grande cautela, in luoghi e da persone diverse che riconoscevamo solo mediante segnali convenuti. Il nostro gruppo si organizzò nell ambito della Federazione giovanile socialista e venne inquadrato nella VI zona; alla riunione costitutiva intervenne Giuseppe Lo Presti, che coordinava le diverse squadre presenti nel quartiere Appio- Tuscolano; così lo ricorda lo storico Claudio Pavone che partecipò a una di quelle prime riunioni. Lo Presti venne catturato nel marzo 1944; torturato a via Tasso non rivelò alcun nome; venne fucilato alle Fosse Ardeatine 6. Il padre di Adriano era anche il nostro eroico protettore, che, credo, cercò di non esporci più di tanto ad azioni temerarie o troppo rischiose. Noi avevamo però voglia di riscattare l apatia e la rassegnazione che circondava la nostra vita, mortificava i nostri ideali e minava alla radice i nostri sogni giovanili, fatti anche di amore del rischio e della gloria. Del resto tanti anni d insegnamento in cui erano state esaltate le virtù romane della stirpe italica, qualcosa avevano sedimentato e contrariamente al fine perseguito dalla retorica fascista, avevano fatto maturare in noi proprio quella nuova passione civile, che, da subito, era stata garibaldina e repubblicana. La significativa partecipazione popolare ai fatti d arme di Porta S. Paolo, mostra senza ombra di dubbio quale fosse lo spirito che animò quelle giornate: un sentimento prevalente di difesa patriottica e antitedesca. 4 PSIUP: Partito Socialista di Unità Proletaria, costituitosi mediante la fusione del vecchio PSI (Lizzadri, Romita, Vernocchi) con l Unione Proletaria (Andreoni e altri), nonché con il Movimento di Unità Proletaria (Zagari, Corona, Vecchietti), con l intervento di Nenni, Saragat, Basso e Buozzi, poi fucilato a La Storta il 3 giugno Dopo la liberazione di Roma assunse il nome di Brigata Matteotti. 6 Claudio Pavone, Una guerra civile, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p

25 I caduti militari negli scontri avvenuti tra il giorno 8 e il 9 settembre furono circa duecentosettanta, i civili caduti accorsi volontariamente a combattere a fianco dei soldati furono oltre duecento. Nella nostra classe vi erano anche alcuni neofascisti, un numero sparuto, il quale non si palesava se non con i musi lunghi dei protagonisti, già compagni di allegre scampagnate in bicicletta, che mostravano in modo sornione di non gradire più la nostra compagnia. Ci guardavano in cagnesco, senza parlare apertamente e francamente delle loro opinioni, senza entrare in aperto conflitto. Diffusa era la convinzione che la fine rovinosa di Mussolini comportasse l impossibilità storica di un ritorno dei fascisti. In città si manifestò una totale indifferenza, assieme a scetticismo, dinanzi alla presa di possesso da parte di un centinaio di uomini in camicia nera del palazzo Wedekind in piazza Colonna, con il fine di ricostruire la sede del Partito fascista. I fascisti erano quindi riapparsi, coperti dall occupante tedesco, mentre Mussolini, liberato dai tedeschi e tornato dalla Germania, aveva annunciato la fondazione del Partito fascista repubblicano. Roma era stata sfidata, tradita e calpestata dalle truppe germaniche. L odio antitedesco era alimentato dalle retate effettuate in pieno centro, per fornire forza-lavoro all organizzazione Todt 7, dalle ruberie, dagli arresti dei soldati italiani allo sbando, dalle vessazioni contro gli ebrei romani che furono poi deportati in massa il 16 ottobre La vita della città continuava, ma sotto una cappa di piombo e di paura. Quella mattina di fine settembre avevamo appena ricominciato la scuola e ascoltavamo le lezioni della prima ora; ancora presi dal sonno dei giusti e un po distratti dallo spettacolo triste che si scorgeva dalle ampie finestre della nostra aula della I C. Al fianco dell istituto scorreva la strada ferrata, separata da una scarpata alta, coperta d erba e chiusa da un vecchio recinto. 7 Agli studenti era rilasciato una specie di lasciapassare che evitava di essere fermati e arruolati al lavoro forzato. Nel testo originale, che conservo, si imponeva l obbligo di frequentare le lezioni. 24

26 Dall alto delle nostre finestre si vedevano i treni, fermi sui binari morti, in attesa che le linee, sottoposte a bombardamenti continui tra Roma e Napoli, potessero consentire la continuazione dei viaggi. Questi convogli militari portavano carri armati e cannoni, coperti da ampie reti mimetiche. Oltre la ferrovia s imponeva la fila ininterrotta dei palazzi con le loro facciate più squallide. La mia casa si trovava oltre quella fila, che sovrastava i binari ferroviari, scavalcati dal cosiddetto ponte lungo. Quel giorno accadde che l altoparlante, collocato al centro della parete, sopra la cattedra degli insegnanti, cominciasse stranamente a gracchiare e a sibilare, come se qualche inesperto tentasse di metterlo in funzione. Il nostro ricordo, bonario e affettuoso, andò a quando quell altoparlante propagava la voce altisonante del nostro preside. Questi era un uomo basso e impettito, con una grossa testa e l occhio furente, che aveva però un grave difetto fonico o di pronuncia: l ultima vocale, soprattutto nei suoi proclami radiofonici, si allargava inesorabilmente verso la lettera a, così accadeva che il suo eloquio a noi rivolto: «Cari alunni e alunne», suonasse «Cari alunn...a e alunn...a», tra le nostre irrefrenabili risate! Quel mattino invece c era poco da ridere. Ci piombò addosso una voce metallica e tagliente, in un italiano stentato ma scandito, che cominciò ad inveire contro il tradimento del re e di Badoglio e incitava la gioventù italiana a arruolarsi a fianco dell esercito germanico. Questa voce, che si seppe poi appartenere a un ufficiale del comando tedesco, non usava mezzi termini nel sottolineare che l unico presidio per la difesa dell Italia era il rafforzamento delle forze armate del Terzo Reich. La classe restò muta come pietrificata e il nostro professore rimase a capo chino. Si riprese la lezione, ma cominciò il nostro mormorio e il passa parola. Concordammo una riunione a casa di Giorgio e all uscita si convenne, con una rapida consultazione, che occorreva dare una risposta immediata. Incaricammo Adriano di predisporre un piano di azione. Quello stesso pomeriggio, in genere dedicato formalmente allo studio e ai compiti a casa, Adriano, attento lettore di libri gialli, ci propose di penetrare nella scuola, all imbrunire, al limite dell inizio del coprifuoco, stabilito allora dai tedeschi alle 20 di sera. Bisognava rom- 25

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