PARTE PRIMA DIRITTO ECCLESIASTICO
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- Flavia Zanella
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1 PARTE PRIMA DIRITTO ECCLESIASTICO
2 CAPITOLO I LA COSTITUZIONE ITALIANA E IL FENOMENO RELIGIOSO GUIDA Sezione I. IL DIRITTO ECCLESIASTICO 1. Il concetto di diritto ecclesiastico 2. L evoluzione storica Sezione IIA.) LE FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO ITALIANO 1. Caratteri del sistema delle fonti del diritto ecclesiastico italiano: norme statuali di origine unilaterale e norme di origine bilaterale 2. L Accordo del 1984 come accordo-quadro e la sua attuazione 3. Rilevanza delle norme di origine confessionale 4. La riforma dell art. 117 della Costituzione Sezione IIB.) LA GERARCHIA DELLE FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO ITALIANO 1. La legislazione unilaterale dello Stato: i principi supremi dell ordinamento costituzionale 2. La legislazione unilaterale dello Stato: le norme costituzionali 3. La legislazione pattizia. I Patti lateranensi: il Trattato e il Concordato. L Accordo di Villa Madama 4. Gli accordi tra Stato e Chiesa cattolica che disciplinano materie la cui regolamentazione è stata ad essi espressamente rinviata dall Accordo di Villa Madama 5. Le fonti bilaterali dirette a disciplinare i rapporti tra Stato e confessioni non cattoliche. Le nuove intese 6. Le norme dell Unione Europea 7. La Convenzione europea dei Diritti dell uomo (CEDU) e le altre norme internazionali poste a tutela dei Diritti umani fondamentali 8. Le leggi ordinarie dello Stato e le leggi regionali 9. Le intese di 2 grado tra le competenti autorità dello Stato (generalmente i Ministri) e la CEI oppure tra Regioni e Conferenze Episcopali Regionali (o Assessorati regionali e vescovi competenti) 10. Lo Scambio di Note diplomatiche 11. Le circolari Sezione III. I FONDAMENTI COSTITUZIONALI 1. Il principio personalista (art. 2 Cost.) 2. Il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) 2.1. L art. 3, 1º comma, Cost. L uguaglianza formale 2.2. L art. 3, 2º comma, Cost. L uguaglianza sostanziale 3. L art. 7 della Costituzione 3.1. Il principio della distinzione degli ordini (art. 7, 1 comma, Cost.) 3.2. L art. 7, 2 comma, Cost.: interpretazioni dottrinali e pronunce della Corte costituzionale 4. L art. 8 della Costituzione 4.1. L eguale libertà delle confessioni (art. 8, 1 comma, Cost.) 4.2. L autonomia delle confessioni acattoliche (art. 8, 2 comma, Cost.) 4.3. Le intese (art. 8, 3 comma, Cost.) 5. La libertà religiosa (art. 19 Cost.) 5.1. Le Carte sovranazionali e la disciplina della libertà di religione. La CEDU 5.2. Il diritto di libertà religiosa nella Costituzione italiana 5.3. Libertà religiosa e libertà di coscienza. L ateismo. L obiezione di coscienza 5.4. La libertà religiosa nei rapporti tra privati: a) Diritto di famiglia b) Rapporti di lavoro 6. Il divieto di discriminazione nei confronti degli enti ecclesiastici (art. 20 Cost.) 7. Il principio di laicità dello Stato
3 5 SEZIONE I IL DIRITTO ECCLESIASTICO 1. Il concetto di diritto ecclesiastico. Il diritto ecclesiastico costituisce quel settore dell ordinamento giuridico dello Stato che disciplina il fenomeno religioso. Esso va distinto dal diritto canonico che è il complesso delle norme poste e fatte valere dalla Chiesa cattolica per regolare la propria organizzazione e per disciplinare l attività dei propri membri secondo i fini che essa si pone. Il diritto ecclesiastico è invece costituito da un complesso di norme poste dallo Stato e, oggi, anche dalle Regioni, dall Unione Europea e dalla Comunità internazionale. La funzione di tali norme è sempre stata condizionata dalle ideologie politiche e giuridiche dominanti nelle varie epoche e dalla struttura costituzionale assunta dagli Stati. Possiamo dire che da una concezione che vedeva il diritto ecclesiastico come insieme di norme che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa intesi come rapporti tra vertici, ossia tra Sovrano e Pontefice, rapporti in cui la religione era considerata essenzialmente come instrumentum regni, perché essa era la base del potere del Principe si è passati, con l avvento dello Stato democratico, ad una diversa visione della materia, condizionata dal nuovo ruolo dello Stato che tende a soddisfare i bisogni dei cittadini. Tra questi vi è il bisogno del sacro. Il sentimento religioso si presenta come elemento diretto, immediato e fondamentale della personalità umana. Esso viene quindi a configurarsi come espressione dello spirito. La Costituzione repubblicana ha tenuto conto di queste esigenze spirituali ed ha dettato alcune disposizioni che colgono l espressione del sentimento religioso
4 6 PARTE PRIMA DIRITTO ECCLESIASTICO nella sua dimensione individuale e associata. Tra queste norme, fondamentali sono quelle che garantiscono la libertà religiosa individuale e collettiva e l uguale libertà delle confessioni. Si tratta di norme che, attraverso enunciati tra loro intersecantisi e connessi, sono venute a formare un sistema e ciò anche a seguito dell opera interpretativa della Corte costituzionale, che ha sviluppato i significati di quelle norme ed ha enucleato come si vedrà una serie di principi supremi, dotati di un rango, nel sistema delle fonti, superiore alle stesse norme della Carta. Le disposizioni che vengono in considerazione sono quelle contenute negli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. (le prime quattro rientrano tra i principi fondamentali della Repubblica, le altre tra i diritti e doveri dei cittadini ), che vanno legate anche all art. 117 nella nuova versione. Esse hanno la funzione di garantire la libera estrinsecazione del sentimento religioso, sia del singolo sia dei gruppi e delle collettività, cioè delle confessioni religiose e degli enti che di queste sono espressioni. Muovere dall art. 2 della Costituzione significa segnalare che il complesso normativo afferente le credenze di religione ha la finalità di valorizzare l individuo, come tale e nelle formazioni sociali, e quindi anche queste, e pertanto di garantire l espressione del sentimento religioso individuale e collettivo mediante l operatività del diritto di libertà religiosa, che è libertà di dichiarare o non dichiarare la propria credenza o la propria non credenza, nonché la appartenenza a questa o a quella confessione o a nessuna; di professare in privato e in pubblico i principi cui individuo o gruppo aderiscono, senza che da tale professione l ordinamento dello Stato faccia derivare per il suo autore alcuna conseguenza negativa; ancora, di tenere un comportamento coerente con tali principi, sempre che ciò non comporti la violazione di altri valori garantiti dalla Costituzione. Questa funzione appare particolarmente importante oggi. La tendenza degli Stati a disciplinare con norme ogni momento della vita dell uomo fa sorgere spesso dei conflitti di lealtà nel cittadino, che si trova a domandarsi a quale norma deve obbedire: a quella dello Stato, che gli concede determinate facoltà e diritti, o a quelle della confessione, che gli proibisce determinati comportamenti o gli impone di non usare delle facoltà che lo Stato gli offre (p. es. il divorzio, l aborto). A partire dagli anni 80 del secolo scorso, istituzioni e forze religiose hanno elevato una sfida culturale, sociale, politica, mettendo in discussione la pretesa neutralità dello Stato sui valori fondamentali e ribaltando la tradizionale distinzione tra etica pubblica ed etica privata. Di qui la tendenza a proclamare la necessità di far coincidere i principi e valori su cui si fonda l ordinamento giuridico dello Stato con i valori di una determinata credenza religiosa, in un tentativo di adeguare lo Stato a quelli. Tale conflitto, che ha trovato espressioni anche in
5 CAPITOLO I IL DIRITTO ECCLESIASTICO 7 Italia, forse a seguito della massiccia immigrazione, specialmente islamica, appare drammatico nel caso del risorgente fondamentalismo religioso, per il quale i libri sacri contengono una verità assoluta onde ne è esclusa ogni interpretazione libera secondo la ragione umana perché il messaggio di quei libri non va collocato in un contesto storico, ma andrebbe applicato integralmente come tale, ossia così come enunciato alle origini (come, per es., l I.S.I.S.). I temi che rientrano nel diritto ecclesiastico si sono allargati oltre la tutela della libertà religiosa del singolo e dei gruppi: l eguaglianza e la non discriminazione; i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni e i procedimenti legislativi per pervenire alla disciplina di tali rapporti; la situazione delle confessioni senza intese e dei gruppi religiosi; la posizione delle persone e dei ministri di culto; i nuovi profili della obiezione di coscienza; gli effetti civili dei matrimoni religiosi; il riconoscimento degli enti ecclesiastici, anche come onlus; l assistenza spirituale nelle strutture pubbliche; l insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, la istituzione e disciplina delle scuole confessionali; le problematiche dell edilizia di culto; il nuovo regime dei beni culturali di interesse religioso; la tutela dei dati personali; le questioni connesse alla bioetica e quelle concernenti la legge 40/2004; quelle connesse al problema del c.d. testamento biologico e della fine della vita; le questioni poste dall immigrazione e concernenti gli status pluriconiugali e quindi lo status delle persone; le recenti questioni sollevate intorno ai simboli religiosi (il crocifisso, il chador, gli interventi sul corpo, ecc.) ed ai rapporti di famiglia. Ecco i problemi che si pongono per il diritto ecclesiastico attuale! 2. L evoluzione storica. Per comprendere la odierna situazione del diritto ecclesiastico italiano e i principi fondamentali che lo regolano è importante ricordare brevemente i precedenti legislativi. Possiamo individuare tre fasi. Dal 1848 al Possiamo muovere dalla considerazione dello Statuto Albertino, concesso con legge 4 marzo 1848, che all art. 1 proclamava il principio che la religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato e che gli altri culti sono semplicemente tollerati conformemente alle leggi. La successiva evoluzione dottrinale finì per considerare l art. 1 come norma programmatica, ossia come disposizione che avrebbe assunto un contenuto in dipendenza dalla legislazione emanata. Si affermò poi l idea, anche in sede parlamentare, che essa fosse solo una norma di cerimoniale, nel senso che detto articolo si sarebbe limitato a prescrivere l obbligatorietà del rito cattolico laddove fosse prevista una cerimonia religiosa ufficiale.
6 8 PARTE PRIMA DIRITTO ECCLESIASTICO Con la legge Sineo (dal nome del proponente) del 19 giugno 1848, n. 735, volendosi togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini che non professassero la religione cattolica, si stabilì che la differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all ammissibilità alle cariche civili e militari. Vanno poi ricordate le c.d. leggi Siccardi (dal nome del Ministro che le propose), che abolirono il privilegio del foro ecclesiastico (per cui gli ecclesiastici in precedenza erano sottratti, qualora si fossero resi autori di fatti penalmente rilevanti, alla giurisdizione dello Stato e affidati al tribunale del Vescovo): si volle proclamare l unicità della giurisdizione dello Stato come espressione della sovranità. Per i governi liberali della seconda metà dell ottocento il problema fu quello della fondazione dello Stato moderno, che doveva essere caratterizzato dalla identificazione di laicismo e libertà, in cui la religione doveva essere un fatto privato dei singoli e la Chiesa solo una istituzione tradizionale di particolare prestigio e valore, ma senza possibilità di pretese nel campo temporale dello Stato. Aggiungasi che nel 1861, contestualmente alla proclamazione del Regno d Italia, il Cavour aveva posto al Parlamento italiano la questione romana ossia la necessità che Roma, facente parte ancora dello Stato pontificio, divenisse la capitale del nuovo Stato unificato sotto il regno dei Savoia. Tale movimento suscitò l ostilità del Papato. Si sviluppò quindi un diritto ecclesiastico caratterizzato dall esigenza di creare le categorie dogmatiche e le norme positive per l assoggettamento delle forme sociali organizzate del fenomeno religioso al potere unitario ed esclusivo dello Stato di diritto. Si introdusse anche l autorizzazione governativa (legge n. 1037/1850 restata in vigore fino alla legge n. 127/ 1997) per gli acquisti dei corpi morali onde evitare il sorgere della manomorta. Nel 1865 vi fu l emanazione del primo codice civile del Regno d Italia, che introdusse il matrimonio civile come unica forma valida ed efficace per lo Stato. Furono di quel periodo anche le c.d. leggi eversive dell asse ecclesiastico, che provvidero alla soppressione di corporazioni e associazioni religiose e degli enti che non attendessero alla cura d anime, all educazione o all assistenza religiosa, togliendo loro (legge n. 878 del 1855; d.lgs. n del 1866; legge n del 1867) la capacità di acquistare e di possedere (e quindi la personalità giuridica) ed avocando allo Stato i loro patrimoni in quanto beni della nazione. Dopo la presa di Roma del 20 settembre 1870 da parte delle truppe italiane, che provocò la fine per debellatio dello Stato pontificio, la legge più importante fu indubbiamente la legge delle Guarentigie Pontificie, che fu legge unilaterale dello Stato (13 maggio 1871 n. 214), emanata per salvaguardare la persona del Sommo Pontefice, proclamandola sacra e inviolabile e attribuendo ad essa gli onori sovrani; era inoltre garantita la intangibilità della città Leonina (che pur era sotto la sovranità italiana), in cui il Pontefice risiedeva; si regolavano inoltre alcuni aspetti della situazione della Chiesa in Italia. In essa all art. 2 si procla-
7 CAPITOLO I IL DIRITTO ECCLESIASTICO 9 mava la piena libertà di discussione in materia religiosa. Tale legge non fu accettata dal Pontefice e la questione romana rimase aperta con profonde lacerazioni negli equilibri politici del nuovo Stato (come la non partecipazione dei cattolici alla vita politica, dichiarata appunto non opportuna dalla Santa Sede nel 1874 con il c.d. non expedit ). Infine, il codice penale del 1889 (c.d. codice Zanardelli dal nome del ministro proponente), introducendo il capo intitolato delitti contro la libertà dei culti, abolì la categoria dei reati contro la religione e tutelò in modo uguale dalle offese la situazione di ogni cittadino credente. Dal 1929 al L 11 febbraio 1929 furono stipulati tra il Regno d Italia e la Santa Sede i Patti lateranensi (in quanto firmati a Roma nel palazzo del Laterano) resi esecutivi con la legge 27 maggio 1929, n Essi constavano di tre strumenti: Trattato, Concordato, Convenzione finanziaria. Il primo abrogò la legge delle Guarentigie e risolse la questione romana con la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, che doveva rappresentare il segno tangibile dell indipendenza del Sommo Pontefice ( Capitolo II). Inoltre l art. 1 del Trattato richiamava il principio di cui all art. 1 dello Statuto Albertino ( pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato ), conferendo al nuovo regime un carattere confessionista, nel quale si ripristinava una vera e propria presenza privilegiata della Chiesa cattolica nell ordinamento dello Stato. Il Concordato disciplinava la situazione della Chiesa cattolica in Italia, mentre la Convenzione finanziaria chiudeva i rapporti economici pregressi tra Stato italiano e Santa Sede, riconoscendo a quest ultima una somma a titolo di indennizzo per la perdita degli stati pontifici. La conciliazione fu il momento di più alto prestigio internazionale della dittatura mussoliniana, il cui disegno comportava la cancellazione dei diritti di libertà, e di libertà religiosa in particolare, onde la posizione del singolo era tutelata nei limiti e nella misura in cui coincidesse con l interesse della istituzione. Per l applicazione del Concordato furono emanate due leggi: la legge 27 maggio 1929 n. 847 per il matrimonio e la legge 27 maggio 1929, n. 848 per gli enti ecclesiastici. In queste materie si affermò il principio per cui ciò che era esistente e valido per l ordinamento della Chiesa, doveva esserlo anche per quello dello Stato (così per il matrimonio concordatario, così per gli enti ecclesiastici). Per completare il quadro normativo avente ad oggetto il fenomeno religioso, si ricorda che con la legge 24 giugno 1929 n (e con il relativo regolamento r.d. 28 dicembre 1930, n. 289) fu disciplinato l esercizio dei culti ammessi nello Stato e il matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi. Detta legge, tra l altro, prevedeva che potessero essere ammessi nello Stato italiano i culti diversi dalla religione cattolica purché non professassero principi o non seguissero riti contrari all ordine pubblico o al buon costume (art. 1) (si parlò di
8 10 PARTE PRIMA DIRITTO ECCLESIASTICO culti ammessi, ma si precisò che la differenza rispetto all uso dell espressione culti tollerati era puramente lessicale). La legge prevedeva inoltre una serie di controlli da parte dello Stato riguardo alla costituzione, alla gestione degli enti e alla nomina dei ministri dei culti ammessi. Va segnalato che all art. 5 di detta legge, che proclamava la libertà di discussione in materia religiosa, fu data dalla P.A. e dalla giurisprudenza amministrativa una interpretazione fortemente restrittiva della libertà di proselitismo e ciò avvenne fino agli anni in cui cominciò ad operare la Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 45 del 1957 e n. 59 del 1958). Con il r.d. n. 1731/1930 e con il r.d. n. 1561/1931, infine, furono disciplinate le Comunità israelitiche e la Unione di tali Comunità. Nel 1930 fu pubblicato il nuovo codice penale che prevedeva una serie di reati che tutelavano il sentimento religioso. L art. 402 c.p. puniva il vilipendio della sola religione dello Stato, ossia della sola religione cattolica; mentre gli articoli successivi punivano il vilipendio di persone e di cose e la turbativa di funzioni religiose (artt c.p.); la pena era tuttavia diminuita (art. 406 c.p.) se i fatti di reato, di cui agli artt , si fossero realizzati contro i culti ammessi ( Tutela penale e religione). La ratio stava in ciò che solo la religione cattolica costituiva tradizione secolare e quindi elemento unificatore del popolo italiano nel regime fascista, mentre i culti ammessi, pur essendo fattori di elevazione morale, non rientravano in quella tradizione italiana e rappresentavano la diversità. In questo quadro si inserirono, infine, le c.d. leggi razziali, che dal r.d.l. 5 settembre 1938, n (Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista) fino al r.d.l. 17 novembre 1938, n (Provvedimenti per la difesa della razza italiana), trasformati nelle leggi n. 94, n. 98, n. 99, n. 274 del 1939 colpivano i cittadini italiani di razza ebraica, che venivano dichiarati decaduti da qualsiasi ufficio o impiego pubblico, nonché dagli impieghi presso banche e società assicurative; tali disposizioni imposero tra gli altri il divieto di esercitare qualsiasi professione, di gestire imprese, di essere proprietari di immobili; di contrarre matrimoni con soggetti di razza ariana; ai fanciulli ebrei fu impedito di frequentare scuole pubbliche; i genitori ebrei potevano essere dichiarati decaduti dalla patria potestà sui figli se appartenenti a religione diversa da quella ebraica. La Repubblica Sociale italiana, infine, con provvedimento 30 novembre 1943, dispose l arresto di tutti gli ebrei. Le leggi razziali che ben a ragione furono dette leggi della vergogna vennero abrogate nell Italia del Sud liberata, con r.d.l. 30 gennaio 1944, n. 25 e n. 26, che reintegrò nei diritti civili e politici e patrimoniali i cittadini italiani e stranieri già dichiarati o considerati di razza ebraica. Tali provvedimenti di reintegro furono estesi, sia pure con grande lentezza, a tutta Italia dopo il 25 aprile 1945 e la fine della guerra civile.
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