IL PROBLEMA PASTORALE DEI DIVORZIATI RISPOSATI O RIACCOMPAGNATI E DEL LORO ACCESSO AI SACRAMENTI. STATUS QUAESTIONIS

Transcript

1 IL PROBLEMA PASTORALE DEI DIVORZIATI RISPOSATI O RIACCOMPAGNATI E DEL LORO ACCESSO AI SACRAMENTI. STATUS QUAESTIONIS (Incontro clero bolognese sull Amoris laetitia) Mi è stato chiesto di tratteggiare, in pochi minuti, un breve status quaestionis. Lo faccio cominciando dalla sintetica illustrazione della disciplina vigente nella Chiesa cattolica fino alla AL. Vi sono 3 differenti categorie di battezzati (i divorziati risposati civilmente o riaccompagnati, gli sposati solo in civile, i conviventi) ai quali, a motivo delle loro scelte e del loro stato di vita in ambito coniugale/familiare era negato l accesso ai sacramenti, in particolare l assoluzione sacramentale e, conseguentemente, la comunione eucaristica, fintanto che non avessero regolarizzato la loro situazione. Di questi 3, 2 (sposati solo in civile e conviventi) erano meno problematici perché la loro situazione poteva essere risolta tramite la scelta di sposarsi in chiesa. Il caso dei divorziati risposati civilmente o riaccompagnati rappresentava invece il caso serio, giacché spesso non è possibile un ritorno alla condizione anteriore. La disciplina cattolica stabiliva infatti che coloro che, dopo aver contratto validamente matrimonio, ora vivono more coniugali con altra persona diversa dal coniuge legittimo non possono ricevere l assoluzione sacramentale né la comunione eucaristica fintanto che non si siano separati dal nuovo/a compagno/a e, lì dove possibile, abbiano ricostruito la prima unione. Qualora gravi ragioni morali (per esempio figli della seconda unione) rendano però non opportuna la separazione devono impegnarsi a rinunciare agli atti propri del matrimonio, cioè gli atti sessuali, e quindi a vivere come fratello e sorella Le ragioni teologiche e morali sottese a detta disciplina giuridica e pastorale della Chiesa sono sostanzialmente di due ordini: 1) da un lato c è l insegnamento evangelico di Gesù sull indissolubilità del matrimonio, a cui la Chiesa si sente vincolata e che non può in alcun modo rinnegare o attenuare (con la conseguente impossibilità per la Chiesa di riconoscere come celebrata nel Signore una seconda unione quando e fintanto che la prima sia da ritenersi valida). La Chiesa non può rinnegare o trascurare l insegnamento del suo Signore, perché rinnegherebbe se stessa e la sua missione 2) l altra motivazione riguarda la natura specifica dei tre sacramenti del matrimonio, dell eucarestia e della penitenza. Tanto il matrimonio che l eucarestia sono sacramento della fedeltà di Dio alla sua Chiesa e della Chiesa al suo Dio, dell unione di amore totale, indefettibile e fedele tra 1

2 Cristo e la sua Chiesa. Ora: come può partecipare all eucarestia (segno dell irrevocabile fedeltà di Dio e dell amore di Cristo per la Chiesa) chi vive in una situazione personale e permanente di infedeltà a una alleanza d amore (anche essa sacramento, cioè segno e strumento della fedeltà divina) precedentemente contratta col matrimonio? Mi si consenta tuttavia di proporre una ermeneutica di questo secondo aspetto. Non si tratta di un giudizio sulla qualità morale delle persone coinvolte, ma di prendere atto di una contraddizione oggettiva esistente tra la situazione in cui esse vivono ed il significato intrinseco dell eucarestia. E quanto ribadisce anche papa Benedetto XVI nell esortazione apostolica sull eucarestia Sacramentum caritatis del 2007, dove si afferma che la disciplina della Chiesa di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati si spiega perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell eucarestia. L eucarestia, infatti, è detto poco prima, esprime l irreversibilità dell amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa e quindi si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare (n. 29). Per questa oggettiva contraddizione, e per il rispetto dovuto ai due sacramenti dell eucarestia e del matrimonio, la Chiesa chiede loro di astenersi dalla comunione. Si potrebbe obiettare che importanti, in realtà, sono soprattutto le disposizioni interiori, le intenzioni del soggetto, non anche le sue condizioni oggettive esterne. Ed effettivamente, lo stesso Magistero della Chiesa ripetutamente sollecita i pastori ed i confessori a tener debito conto della diversità delle situazioni soggettive, senza fare di ogni erba un fascio. Dice ad esempio Familiaris consortio al n. 84: Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C è infatti differenza fra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell educazione dei figli e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido. Nasce spontanea la domanda: ma se si è tenuti a discernere le situazioni, allora perché l esclusione dai sacramenti è uguale per tutti? Per comprendere questa apparente incoerenza è necessario ricordare la differenza esistente tra il giudizio morale sulle persone ed il giudizio canonico sulla loro situazione. La Chiesa non può giudicare le persone, ma solo i comportamenti che hanno un rilievo pubblico, comportamenti che potrebbero impedire l annuncio trasparente e limpido dei contenuti del Vangelo. 1 Ora, tanto il 1 ) A. FUMAGALLI, Le situazioni matrimoniali irregolari. Disciplina ecclesiale e misericordia evangelica, Rivista del clero italiano (2004) nn. 7-8, p. 534?. 2

3 sacramento dell eucarestia quanto quello del matrimonio non sono fatti privati, ma atti di Cristo e della Chiesa con un intrinseca valenza comunitaria e pubblica. Chiedendo perciò ai divorziati risposati di non comunicarsi, la Chiesa non si pronuncia sulle loro disposizioni interiori; la richiesta di astenersi dai sacramenti non è motivata da ragioni propriamente morali, dal fatto cioè che le persone in situazione matrimoniale irregolare siano più peccatrici di altre, ma da ragioni di ordine canonico sacramentale, che regola quei comportamenti della vita cristiana che hanno rilevanza pubblica. Accerta cioè una manifesta contraddizione tra il significato del sacramento e la condizione oggettiva di chi lo riceve. Analogo motivo vale pure per l impossibilità di ricevere l assoluzione. A queste motivazioni che hanno giustificato teologicamente e fondato finora la prassi della Chiesa sono state però opposte una serie crescente di obiezioni e critiche. Ne propongo qui una sommaria elencazione senza commenti: - la disciplina della Chiesa è troppo dura e rigida e non lascia affatto trasparire la maternità della Chiesa (la Chiesa si autodefinisce madre e maestra ; ma in questo caso, secondo molti, sembra risaltare solo il volto della maestra, la dimensione magisteriale, non anche quella materna ) né traspare la misericordia divina; anzi, secondo alcuni autori, si registra qui un autentico tradimento della misericordia di Gesù, e quindi della vera essenza del vangelo; - è assurdo negare la grazia della riconciliazione e dell eucarestia a coloro che sono pentiti del loro peccato ma non possono più tornare indietro e che ordinariamente sono proprio quelli che ne hanno maggior bisogno; - come pure è contraddittorio dire, come fanno i documenti pontifici, che i divorziati risposati devono partecipare alla vita della Chiesa e non devono sentirsi esclusi o emarginati da essa, e poi però escluderli dalla riconciliazione sacramentale e dalla comunione eucaristica, perché proprio queste norme generano in loro l impressione di essere tagliati fuori dalla comunità; - la disciplina attuale tratta tutti i divorziati risposati allo stesso modo mentre, anche se non è sempre facile né possibile la definizione ed attribuzione delle responsabilità, occorrerebbe distinguere, anche dal punto di vista delle sanzioni, tra persone che hanno voluto e provocato la fine della prima unione e persone che invece l hanno piuttosto subita ( coniuge innocente ) e hanno poi deciso di risposarsi solo per il bene dei figli o perché non ce la facevano a star sole tutta la vita; - ci sono molteplici casi in cui il matrimonio potrebbe essere nullo per le cause più diverse e di tale nullità sono convinti sia gli sposi che i confessori o direttori spirituali, ma tale nullità non è dimostrabile in sede giuridica; in questi casi perché negare i sacramenti semplicemente a causa di una difficoltà giuridica? - una prassi così rigida ed impietosa diverge da quella delle chiese separate; 3

4 - le trasformazioni sociali e culturali degli ultimi decenni hanno reso in molti casi più difficile e a volte praticamente impossibile la fedeltà eroica richiesta al coniuge innocente; hanno screditato la sua eventuale rinuncia a rifarsi, come si dice, una vita; hanno teorizzato l'impossibilità di un silenzio sessuale totale; ed hanno incentivato in ogni modo le nuove nozze, sradicando dalla coscienza collettiva il senso di colpa che in passato era ad esse collegato. Tutto questo fa sì che la colpevolezza soggettiva di chi attenta alle nuove nozze o divorzia sia oggi spesso assai attenuata; - molti coniugi divorziati vedono in nuove nozze, per diversi motivi, talora plausibili (educazione dei figli, assistenza reciproca), l'unica via d'uscita umanamente ragionevole dalla loro situazione di solitudine e di scacco; scacco che d'altra parte è reale ed irreversibile e che nessuna legge può eliminare per il solo fatto di ignorarlo o di non riconoscerlo; A motivo di queste obiezioni, da più parti in sede ecclesiale sono state avanzate richieste e proposte di modifica della prassi fin qui seguita. Le proposte sono state tantissime ed anche molto diversificate tra loro. Non entro qui nei dettagli. 2) la dottrina della Amoris laetitia L insegnamento offerto dalla AL privilegia decisamente la prospettiva pastorale rispetto a quella canonica. E la visione pastorale di papa Francesco, come ormai universalmente noto, è decisamente e fortemente caratterizzata da un primato dato alla misericordia divina, di cui la Chiesa deve farsi strumento, e da un attenzione privilegiata agli ultimi, ai poveri, alle situazioni di fragilità e di limite di cui è pieno il mondo. Situazioni di fragilità che, in rapporto alla tematica matrimonio e famiglia, configurano anche, ma non esclusivamente, quei casi che la dottrina passata definiva irregolari e che ora vengono affrontati secondo uno stile pastorale che raccoglie e coniuga una triplice esigenza, significativamente espressa e riassunta dal titolo del capitolo 8 del documento con 3 termini: accompagnare, discernere e integrare. Non voglio togliere ulteriore spazio e tempo alle due relazioni di oggi ed alle osservazioni certamente ricche ed originali che S.E. Paglia e Mons. Ottani ci offriranno. Mi permetto solo di dar voce alla preoccupazione di tanti confratelli con cui in questi giorni ho parlato e che sta anche all origine, credo, della programmazione dell incontro odierno: nel momento in cui si supera il principio della norma canonica valida per tutti i casi, com era finora, e si privilegia invece, come chiede papa Francesco, la logica di un discernimento che mira da un lato a ribadire ed anzi approfondire la bellissima notizia del vangelo della famiglia, e dall altro ad accompagnare ed integrare nella quotidiana vita e pastorale della Chiesa la realtà di tante famiglie oggi non in regola, secondo però un criterio di gradualità che non può significare apertura indiscriminata ad 4

5 ogni richiesta o ad ogni pretesa, è avvertita da tanti la necessità che la Chiesa Madre e Maestra non abbandoni i suoi ministri che sono confessori o parroci e li aiuti a definire quei criteri di discernimento che la AL esplicitamente non fornisce ma che risultano necessari non tanto per avere un altra norma canonica cui attaccarsi quanto per poter svolgere al meglio, ed in chiave prettamente ecclesiale-comunitaria e non puramente privatistica, il compito richiesto. Perché l accesso ai sacramenti non è mai riducibile a questione privata, ma implica sempre una dimensione ecclesiale, a motivo della quale il discernimento della comunità cristiana, sotto la guida del vescovo, è non solo legittimo ma dovuto. Dico questo alla presenza di due qualificati esponenti della Conferenza Episcopale Italiana, perché penso che la CEI stessa potrebbe aiutare le nostre Chiese locali in tale lavoro. Don Massimo Cassani Seminario 19 /05/2016 5