I VIZIETTI DELL INFORMAZIONE 10 errori da evitare quando si parla di persone LGBT di Claudio Rossi Marcelli*

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1 I VIZIETTI DELL INFORMAZIONE 10 errori da evitare quando si parla di persone LGBT di Claudio Rossi Marcelli* Testo degli interventi ai seminari di formazione per giornalisti L orgoglio e i pregiudizi, organizzati da Redattore Sociale e Unar a Milano il 15 ottobre 2013 e a Roma il 16 ottobre Il testo è affiancato da una presentazione con slide che si può visualizzare cliccando qui. 1. Coming out 2. Immagini 3. Lesbiche 4. La mamma 5. La comunità gay 6. Il Fidanzato 7. Transessualità 8. Famiglie gay 9. Icona gay 10. Parole omofobe Quando mi hanno comunicato il titolo del mio intervento, ho trovato davvero azzeccato il riferimento al Vizietto, il film del 1978 con Michel Serrault e Ugo Tognazzi. Questo perché quel film, dal momento in cui è uscito, è diventato lo stigma che ha accompagnato la rappresentazione mediatica dei gay durante il periodo in cui gli omosessuali hanno cominciato a uscire allo scoperto. Per un buon decennio, nella testa degli italiani l'idea degli omosessuali ha coinciso con quella dei protagonisti del film e io stesso, da ragazzino, sono cresciuto con quasi solo quel modello davanti agli occhi. Tra l'altro, in un periodo tra i 12 e i 14 anni mi ero quasi rassegnato all'idea che avrei dovuto procurarmi un kimono di seta e indossare solo quello per il resto della mia vita. Poi, per fortuna, i nostri modelli di riferimento si sono evoluti e a 15 anni ho capito che potevo anche restare vestito, purché mi attenessi scrupolosamente alle sobrie regole di stile dettate da Elton John o Boy George. I mass media italiani, che non sono mai stati campioni del politicamente corretto, eccellono invece in una disciplina: la semplificazione. E così anche oggi, dove il modello del Vizietto è stato finalmente e faticosamente superato, la tendenza è sempre quella ad appiattire il fenomeno dell'omosessualità: ed ecco che sulla stampa italiana i gay sono tutti ricchissimi e istruiti, i maschi hanno tutti i muscoli, le donne i capelli corti, le transessuali vanno sempre in giro con le tette di fuori e, tutti indistintamente, vivono in un mitico paese lontano che risponde al nome di Sordido Ambiente Omosex. Bene, oggi siamo qui per ribaltare le parti, e scovare i vizietti e i cliché in cui cade quotidianamente la stampa italiana, per far vedere che a volte basta soffermarsi un attimo su una parola, per capire che si tratta di una piccola violenza nascosta che si può e si deve evitare. 1. COMING OUT Il punto di partenza più logico mi sembra che sia il coming out, cioè il momento in cui una persona dichiara la propria omosessualità. Chiaramente la parola viene presa in prestito dall'inglese, perché noi italiani le parole nuove non sappiamo assolutamente inventarle, non ci riusciamo proprio, se c'è una nuova invenzione, siamo costretti a dargli un nome in inglese perché l'italiano, con le sue misere voci nel dizionario, non riesce a trovare le parole giuste. La stessa cosa è avvenuta con gay, che chiaramente viene dall'inglese. Che, poi, bisogna fare una distinzione: con gli insulti andiamo fortissimo, abbiamo una fantasia sterminata (e basti pensare a frocio, finocchio, checca, ricchione, culattone, cula, buco e chi più ne ha più ne metta), ma se poi chiedi a un italiano di trovare una parola per definire semplicemente un omosessuale, eh allora, no, deve per forza andare a pescare gay dall'inglese perché se no non gli viene in mente proprio nulla.

2 Insomma, siamo schiavi dell'inglese, e questo già si sa sapeva, ma il problema più grave è un altro: è che l'inglese non lo sappiamo! E così spessissimo sulla stampa italiana invece di coming out si trova la parola "outing", che vuol dire tutt'altro. L'outing, quando si parla di omosessualità, è quando qualcuno svela pubblicamente e spesso anche senza permesso l'omosessualità di qualcun altro. Per tornare agli insulti, che in italiano non mancano MAI, vuol dire sputtanare qualcuno. Sono famosi gli outing da parte degli attivisti dei politici gay non dichiarati, delle star del cinema, o anche solo del vicino di casa alla riunione di condominio. Ma quando ho letto che Tiziano Ferro aveva fatto outing su Vanity Fair, la mia prima risposta è stata: "E di chi?". Secondo molti giornalisti italiani, quindi, l'omosessuale italiano non fa coming out, ma più che altro si sputtana da solo. E il problema è che ormai il termine outing, sicuramente anche perché è più immediato ed economico di coming out, è entrato nel linguaggio comune. E così si sente in giro sempre più gente dire cose tipo: "Faccio outing: sono un fan di Antonello Venditti". Che in questo caso è, sì, un autosputtanamento non indifferente, ma forse non era quella l'intenzione iniziale di chi l'ha detto. Oppure la notizia degli ultimi giorni è che Raul Bova non è gay, che ormai attraverso la stampa è già passato alla storia come l'outing etero di Raul Bova (vedi articolo). 2. FOTO Guardate un attimo questa foto. Queste due tipe sono uno schianto, no? E poi la foto è bella, vestiti brillanti, tripudio di piume, paillettes colorate e perfino un cielo terso e azzurro che per Praga, la città in cui è stata scattata questa foto, è un vero evento. Insomma, una bellissima foto, che sarebbe perfetta per illustrare un articolo su un gay pride, o sull'impennata dei prezzi delle piume di struzzo o sull'ondata di caldo che ha colpito la repubblica Ceca. Insomma, una foto che andrebbe bene per un buon numero di articoli, meno quello sotto cui l'ho trovata: un articolo sull'adozione per le coppie gay. In questo caso specifico, devo ammetterlo, il colpevole non era un giornale italiano ma svizzero, anche se mi diverte sempre molto notare che questi scivoloni li prende molto più spesso la stampa della svizzera italiana rispetto a quella francese e tedesca. Come a dire, il lupo perde la cittadinanza ma non il vizio. Era un articolo molto serio e dettagliato, che spiegava l'introduzione in Svizzera di una legge che consente l'adozione dei figli del partner all'interno di una coppia gay o lesbica unita in un'unione civile. Era una bella notizia, trattata con elvetica sobrietà e senso civico, solo che alla fine dell'articolo ecco qua una bella foto di due splendide transessuali al gay pride di Praga. Con tanto di didascalia che annunciava candidamente: "Nella foto: due drag queen al gay pride di Praga". Ma, sul serio, cosa c'entra il gay pride di Praga con le famiglie omogenitoriali in Svizzera? Il bello è che è bastata un' di una riga per far cambiare istantaneamente la foto, e farla sostituire con una serissimo sit in do fronte al parlamento di Berna. Perché è così, spesso basta semplicemente sottolineare qualche automatismo per far capire al giornalista che ha fatto una cosa quanto meno molto buffa. Questa cosa delle foto delle transessuali è una vecchia storia, ma si capisce anche perché: i pride sono stati per anni la sola occasione di visibilità delle persone lbgt in Italia, ed è chiaro che i giornalisti si affollassero intorno alle creature più luccicanti e soprattutto più svestite. Il problema però è che i tempi sono cambiati, la visibilità à aumentata, oggi la premier dell'islanda o il sindaco di Parigi sono degli omosessuali, e non possiamo continuare a illustrare l'omosessualità solo con paillettes e lustrini. Un esempio italiano e più recente su questa cattiva rappresentazione del modello omosessuale ci arriva dall'espresso di qualche settimana fa. Giornale tradizionalmente progressista, spesso sostenitore dei diritti gay, l'espresso ha dedicato la sua copertina a l'omofobia in Italia, con un articolo assolutamente valido. Peccato che le foto fossero queste qui. Come al solito la cosa più esilarante sono le didascalie, perché riescono nell'impresa di rendere il ridicolo ancora più ridicolo, mettendolo ingenuamente nero su bianco: "Nella foto, due ragazzi si abbracciano in una darkroom". Per i meno informati di voi, una darkroom è una stanza buia all'interno di una discoteca in cui si può fare un po' quello che vuoi con il primo che capita. Quindi è chiaramente uno dei luoghi meno omofobi del pianeta, o comunque non il primo posto che ti viene in mente quando pensi alla violenza contro gli omosessuali. E in questo caso non credo si tratti di malafede, ma solo di un misto di voyeurismo della stampa italiana (che non rinuncia mai a far vedere un pezzetto di

3 pelle in più), ma anche un vero e proprio vizietto, un tic che i giornalisti continuano a passarsi l'un l'altro, senza mai soffermarsi un momento per ragionare su quello che fanno. 3. LESBICHE Come sempre, le donne se la passano peggio. Perché se è vero che l'italiano è stato in grado di produrre solo decine d'insulti per gli omosessuali maschi e neanche una parola neutra, con le lesbiche ha fatto di peggio: non ne ha prodotto neanche uno. Le donne gay valgono talmente poco, che non ci siamo sprecati neanche a inventarci un insulto, come invece hanno fatto molte altre lingue e così il corrispettivo femminile di «brutto frocio» è solo «brutta lesbica». Così sulla stampa questa parola a volte è avvertita erroneamente come offensiva e la si usa una certa cautela, attenzione, oppure non si usa affatto e si parla solo di gay in quanto omosessuali maschi. L'errore che invece la stampa italiana commette molto spesso è ricorrere a tutta una serie di eufemismi che hanno un certo sapore pornografico e voyeuristico, come per esempio primo tra tutti: il suffisso lesbo. Vediamo per esempio questo articolo sul primo matrimonio tra due donne in Francia, tratto dal freepress Leggo. (Leggo l'articolo). Un "tenero bacio lesbo"? Ma non vi sembra una roba da giornalino porno? Ma poi, riflettendo un attimo, questo articolo si chiude con l'affermazione che "ogni coppia che si rispetti termina la cerimonia con un tenero bacio lesbo". Ma da quando in qua? Certe frasi davvero basta leggerle a voce alta per rendersi conto che sono delle frasi inaccettabili, senza alcun senso. Sono due donne, è un matrimonio tra donne, e alla fine le due si scambiano un bacio, no? C'è bisogno di specificare che è un bacio lesbo? Ma di esempi ce ne sono molti. Vediamo questo titolo di Libero del maggio scorso: "Delitto di Ostia, spunta la pista lesbo". Dal Messaggero: "Mel B, video lesbo e confessione hot: ho baciato con la lingua tutte le Spice Girls". Non mi venite a dire che questo non è soft porno. L'altro aggettivo pornografico molto in voga nella stampa italiana è "saffico". Anche se l'origine storica dell'aggettivo è la stessa di lesbica, è evidente che la stampa italiana usa "saffico" per rendere più seducente, e adatto a un pubblico maschilista, l'idea di due donne insieme. Saffico fa pensare a i costumi rilassati dell'antica Grecia, vestali semi nude e orge a base di vino e baci saffici. Insomma, spesso la definizione di lesbica è fatta a uso e consumo del pubblico di uomini, che spesso sono quelli che mettendo "bacio lesbo" dentro google trovano l'articolo in questione. La parola lesbica si può e si deve usare, anche se personalmente non sono contrario a cominciare a usare gay anche per le donne, come si fa in inglese. Così per esempio quando si parla di matrimonio gay si includeranno anche i matrimoni tra donne. 9. MAMMA Il prossimo argomento è la mamma, quindi preparate i fazzoletti. La questione mamma, un po' come quella della famiglia, per la stampa italiana è una questione cruciale. Perché da noi la "mamma è sempre la mamma". E invece il problema è che la "madre non è sempre la mamma". Anche se le due cose spesso coincidono, madre e mamma hanno due significati diversi, ed è necessario che in certi casi il giornalista sappia fare la differenza. Vi faccio subito un esempio: una donna che adotta una bambina è sua madre, ed è la sua mamma. Le due cose coincidono. Ma la donna che l'ha messa al mondo non è la sua mamma. È sua madre, la sua madre biologica, ma non la sua mamma che invece implica un ruote genitoriale. La stessa cosa avviene per le famiglie con due papà: nel caso di ricorso alla gestazione per altri, a una madre surrogata, per intenderci, la donna che dona l'ovulo e poi quella che ha portato avanti la gravidanza non sono mamme. Al limite la donatrice di ovulo è la madre biologica, ma usare il termine mamma per definire queste donne è un modo per aumentare il sentimentalismo e sensazionalismo della notizia trovando un tasto, quello della mamma, che ci trova tutti molto sensibili. Guardate questo titolo del Corriere: "Elton John papà di Zachary, il compagno Furnish è la mamma". La notizia riguarda iil fatto che nei modulo dell'anagrafe non c'era la casella per due padri e così Furnish ha messo il suo in quello riservato alla madre. Tra l'altro un temo di stretta

4 attualità in Italia. Ma passare dal fatto che "ha usato la casella riservata alla madre" a dire "il compagno Furnish è la mamma" c'è una bella differenza, no? Pensi subito a quest'uomo con parrucca e grembiule che fa la mamma, è questa l'immagine che evoca. Andiamo avanti, restando su questo tema. Ancora il Corriere: "Ricky Martin diventa padre di due gemelli, grazie a una "mamma in affitto". Anche qui è evidente che l'uso della parola mamma non è corretto perché c'è una differenza tra madre portatrice e mamma. Tra l'altro l'abuso della parola "mamma" avviene anche in altri contesti, basti pensare all'usatissimo "mammo", che sul la stampa si usa per parlare di padri che crescono i figli. Non esiste una definizione che corrisponde all'inglese "stay-home dad". Il massimo che possiamo fare è casalingo oppure, appunto, mammo, usando questa parola un po' maschilista per dire quello che si potrebbe dire molto semplicemente con un altra parola: papà. È chiaro che la questione di come si usa il termine mamma riguarda soprattutto le coppie di genitori maschi, ma il problema c'è anche per le donne: se ci sono due madri, ci sono due mamme, e al limite c'è una sola madre biologica. Ma la mamma non è solo lei. E poi il donatore di seme lui può essere definito il padre biologico, ma non il papà. Poi tutto questo non toglie che si possa commentare in un modo o nell'altro la scelta di alcune coppie gay di ricorrere alla gestazione per altri o alla fecondazione artificiale, però è bene farlo con le parole giuste e non affidandosi a trucchetti per provocare la reazione desiderata nel lettore. 5. COMUNITA' GAY Chi di voi conosce gli Stati Uniti, saprà di certo che lì la società è composta di communities, cioè di comunità. È un paese fatto di gruppi e di minoranze, che sono organizzate in associazioni o gruppi di pressione, le famose lobby. Ecco, in italia però non è così, almeno non dal punto di vista sociale. E soprattutto non è così per quanto riguarda gli omosessuali, le lesbiche e i transessuali. Per qualche motivo però alla stampa piace molto parlare di comunità gay, o anche nell'accezione ancora più generalista "il mondo gay", che è davvero un mondo perché mette sotto la stessa definizione degli attivisti, dei gestori di locali, dei ragazzini presi in giro a scuola, buona parte dei commessi dei negozi delle grandi firme e, in generale, una marea di gente che ha davvero poco a che spartire. La comunità lgbt è un'invenzione, che spesso viene confusa con le associazioni. Vi faccio un esempio recente, da un titolo di Repubblica: "Guido Barilla fa pace con il mondo gay". Cosa vuol dire questa cosa, che Guido Barilla si è presentato con un pacco di spaghetti regalo davanti alla porta di ogni ogni singola persone omosessuale d'italia? No, vuol dire che ha incontrato i vertici di varie associazioni, che non sono elettive e non rappresentano nessuno se non loro stesse, e ci ha fatto pace. Ma poi non è detto che adesso tutti i gay italiani, per non parlare del resto del mondo, riprendano allegramente a comprare la pasta Barilla. Questo problema della comunità gay, diventa popi ancora più fastidioso quando si cita un nome specifico: Franco Grillini. Franco Grillini è un mito, in quel periodo in cui io mi rassegnavo a dovermi mettere il kimono, a 14 anni, per fortuna c'era già lui che rompeva le palle ai politici. È il mio eroe, e ha fatto una grande carriera d attivista e politico, che non è ancora finita. E quindi è con tutto il rispetto che dico: Franco Grillini NON è il mondo gay. E questo lo dico per tutti quei giornali, ancora tanti ve lo assicuro, che per commentare qualunque notizia che sfiori il tema dell'omosessualità, pubblica immediatamente le quattro domande a Grillini e la sua reazione ai fatti. Oppure quella di altri due o tre nomi emersi negli ultimi anni. Non è possibile che per dare il punto di vista di quello che pare sia tra il 5 e il 10 per cento della popolazione, si sente sempre e comunque di poche persone. Ci sono altri leader più giovani, ci sono giornalisti, scrittori, ci sono persone famose, non tante, ma qualcuno c'è. Sono finiti da un pezzo i tempi in cui l unico a parlare era Grillini, possibile che si debba ricorrere sempre ancora a lui? Per pigrizia, sì, è possibile. E quindi ecco quel titolo di Repubblica di cui parlavo prima che continua così: "Guido Barilla fa pace con i gay, incontro a Bologna con Grillini". Cioè, quindi per fare pace con questo famoso mondo gay, basta fare pace con Grillini. Come fosse il minuscolo pianeta del Piccolo Principe in cui abita solo il povero Franco Grillini. Scendi, lo saluti, gli presenti le scuse, è la pace col mondo gay è presto fatta. Mentre poi leggi

5 l'articolo e scopri che con Grillini c'erano tutti i leader delle principali associazioni lgbt italiane, e che il pianeta gay è un po' meno piccolo di quello che pensiamo. 6. IL FIDANZATO Considerato l'imbarazzo generale che per decenni ha circondato la questione omosessuale, e considerando che una volta i personaggi pubblici omosessuali erano praticamente inesistenti, è inevitabile che la stampa abbia fatto sempre una gran fatica a parlare in modo chiaro delle relazioni omosessuali tra persone. Quando è morto Lucio Dalla, quando nei giorni immediatamente successivi alla sua morte ho letto che Marco Alemanno veniva definito "il suo stretto collaboratore" mi si è stretto il cuore. Cioè, non nego che i due potessero avere anche un rapporto professionale, ma è un po' come se dicessimo che Al Bano è un excollaboratore di Romina Power. Che poi mi fa ridere perché, se al mio funerale definissero mio marito un mio stretto collaboratore non avrebbero neanche tutti i torti: vi assicuro che dopo anni e anni insieme, e i figli, e le bollette da pagare la sera ci troviamo a fare soprattutto discussioni di organizzazione e logistica domestica di altissimo livello. Ma tornando a Marco Alemanno, Luca Bianchini su Vanity Fair aveva fatto una lista di alcuni degli epiteti con cui era stato definito nei giornali nei giorni successivi alla morte di Dalla: 1. Stretto collaboratore; 2. Gli era vicino da anni; 3. Amico intimo; 4. Amico vicinissimo 5. La persone che più è stata vicino a Lucio negli ultimi anni. E io ne aggiungo un altro sentito in radio quegli stessi giorni, quando parlando dell'eredità di Dalla ho sentito parlare di "eventuale compagno", quindi mettendo anche in dubbio l'esistenza stessa di questo povero fidanzato, e che comunque per la legge italiana non avrebbe ricevuto nulla. Ora, bisogna che spezzi una lancia a favore di noi poveri giornalisti, che comunque in questo caso hanno semplicemente trattato la relazione tra Dalla e Alemanno con la stessa vaghezza e quasi segretezza con cui la trattavano gli innamorati stessi. Capisco che se Dalla non aveva mai fatto cenno al livello pubblico alla sua omosessualità, a molti giornalisti è sembrato indelicato parlare esplicitamente della loro relazione. Ma la lista di epiteti messa insieme da Bianchini è comunque un modello di riferimento per molte altre coppie, quando si preferisce per motivi di pudore o altro non definire in modo chiaro un rapporto, o si nasconde un giudizio morale come per esempio un vecchio che si mette con la sua badante. Oppure vi faccio un esempio: Yoko Ono spesso si trova definita come "la donna che gli è stata vicina negli ultimi anni", usando questa frase fatta che ha lo scopo segreto di ridimensionare il ruolo di una donna che la maggior parte dei fan dei Beatles non sta per niente simpatica. Ma purtroppo per loro, John Lennon è stato più tempo "vicino+ a questa donna che nei Beatles. Quindi si tratta di una definizione non corretta e evidentemente sprezzante. Ma tornando al nostro tema. Negli ultimi anni vedo che la stampa italiana su questi temi ha fatto dei grandi passi avanti, e quindi si parla della moglie della premier islandese, o del compagno di Nicki Vendola, stano man mano scomparendo gli stretti collaborati e gli amici vicinissimi. Il problema ora è quell'opposto: ormai i gay e le lesbiche sono tutti sposati. E quindi quando la parlamentare Paola Concia, che all'epoca era deputata, ha contratto un'unione civile con la sua compagna in Germania, la stampa italiana ha parlato di "nozze tedesche" per la concia, causando così una catena di reazioni politiche sul fatto che questo matrimonio in Italia fosse contro la costituzione. Oppure, all'epoca dell'introduzione dei pacs, cioè delle coppie di fatto in Francia, un'istituzione molto blanda e lontanissima da un matrimonio, ci fu il caso della coppia di uomini italo-francese che fece il pacs all'ambasciata francese a Roma, facendo parlare tutti i giornali di primo matrimonio gay in Italia. Insomma, o sono stretti collaboratori o sono coniugi, quello che manca sui giornali italiani è una sana via di mezzo, che per me potrebbe essere ilc aro e vecchio fidanzato e fidanzata.

6 7. TRANSESSUALITA' Il tema della transessualità è forse quello più delicati di tutti, e chiaramente quello in cui si fanno gli strafalcioni peggiori. Credo che sulla questione ci sia un'ignoranza di base che lo rende ancora un grande tabù. Io ho l'impressione che la maggiori parte dei giornalisti non abbia ben chiaro cosa vuol dire transessuale, transgender, drag queen, e usa tutto in maniera un po' confusa. Cominciamo da un punto fondamentale: le persone che sentiamo continuamente chiamare "i trans" in realtà sono "le trans". Ed è una cosa che comunque salta all'occhio, no? Vedi una foto di una super donna, con i capelli lunghi, tacchi altissimi, tettone giganti, ti dovrebbe proprio venire spontaneo dire una trans, no? E invece no, c'è questa voglia profonda di ribadire in modo morboso che prima era un uomo, peggio, che al livello genitale lo è ancora. E quindi senti persone che ti chiedono ma è un uomo o una donna, come la differenza la facesse solo l'aspetto genitale. In realtà, e io non sono un esperto quindi lo dico in termini semplici, per la transessualità vale soprattutto il principio dell'identità, e non quello genitale: questa persona, cosa sente di essere, una donna? Ok, allora non importa in che fase della sua transizione è, e neanche se la compirà fino in fondo, se lei sente di essere una donna va trattata come tale. I trans, quindi, quelli che per la nostra stampa affollerebbero le strade la sera, in realtà sono le persone nate donna che diventano uomini, quelle per cui si usa spesso la sigla F2M, da femmina a maschio. Su questa cosa la stampa fa molta fatica a capire, e io stesso che lavoro per una rivista piuttosto attenta a questi temi, ricordo che anni fa sono dovuto andare nella stanza del mio direttore a dirgli: "Senti Giovanni, una volta per tutte: si dice le trans e non i trans". Platinette, non è né un trans né una trans, è una drag queen. Non userei neanche tanto il termine travestito, perché drag queen è quello che meglio descrive il travestitismo come performance e non come stile di vita. Se non sbaglio Platinette nella vita si veste da maschio, no? In ogni caso, ecco une esempio della fissazione della stampa per i trans: Platinette rilascia una dichiarazione sulla presenza di una transessuale a Miss Italia, e nel titolo la parola viene cambiata con un transessuale (articolo platinate). Altro esempio, da Repubblica: grande scandalo perché Vladimir Luxuria non poteva fare da testimone di nozze per via del veto del vescovo, e poi la situazione si risolve così: "Vladimir Luxuria si è presa la sua rivincita. Il trans più famoso d'italia potrà fare infatti da testimone al matrimonio di sua cugina". Altro fatto increscioso sulla questione transessuale è la tendenza a scadere in certe battutine di basso livello, cosa che l'omosessualità non si fa quasi più mentre invece sembra essere più tollerata per le trans e i trans. Su Repubblica Zucconi ha scritto un ritratto molto interessante di Bradley Manning, il soldato da cui è partito il grande scandalo di Wikileaks, che durante il suo processo ha dichiarato di essere transessuale e voler cambiare sesso. E anche all'interno di un articolo piuttosto lucido e sensibile, comunque il giornalista non rinuncia a una battutina e parla della giudice e colonnello di Manning mettendo tra parentesi (lei nata donna). Questo è un esempio perfetto di tic, non omofobia, ma piccoli automatismo che si insinuano nell'articolo senza che il giornalista se ne renda neanche conto. La storia di Bradley Manning, oggi Chelsea Manning, ne ha fatti venire fuori tanti. Per esempio anche la vignetta in prima pagina sull'unità in cui Staino scherza sul fatto che Berlusconi per sfuggire alle condanne dovrebbe dichiarare di voler diventare donna. Per carità, è una vignetta, ma resta il fatto che la transessualità è ancora troppo spesso al centro di battutine stupide. 8. FAMIGLIA GAY Quando parlano della mia famiglia come "famiglia gay" io li interrompo sempre e dico: "Per il momento gli unici gay in casa siamo noi papà, sui figli non ci sono ancora notizie certe e, anche se saranno etero, per noi due non cambierà nulla e gli vorremo bene lo stesso". Sì, perché dire famiglia gay è abbastanza bizzarro, no? Pensate poi se chiamassi una famiglia con due madri una famiglia lesbica. Magari hanno un paio di figli grandi e grossi che dicono: "Io ho una famiglia lesbica". Per non parlare poi di famiglia trans. No, davvero,è bene restare sui

7 genitori e parlare di famiglia omogenitoriale, o se volete famiglia con genitori gay, con due mamme eccetera. Ma questa è una battaglia quasi persa, perché comunque la famiglia gay è l'argomento più caldo del momento e se ne parla sempre e lo si chiama sempre così. Ultimamente anche a tutto il rumore causato dalle dichiarazioni di Guido Barilla, che avendo inventato la famiglia del Mulino Bianco di famiglia ne sa qualcosa. E stavolta sono colpevoli anche gli americani, sempre così corretti nelle loro espressioni, parlano continuamente di gay family. Tra i pochi che invece usano il termine corretto, ce ne sono non pochi che sbagliano comunque, perché parlano di omoparentalità. Abitando in un paese francofono è un errore che anch'io faccio spesso, ma in realtà è sbagliato perché in francese les parents sono i genitori mentre da noi una famiglia omoparentale potrebbe essere al massimo una con un'alta incidenza di nonni, zii e cugini gay. Una definizione che ha preso un certo piede e che personalmente mi piace molto è "famiglie arcobaleno". Il nome nasce dall'associazione italiana, ma che all'estero ha spesso lo stesso nome, che riunisce i genitori e aspirante genitori lgbt. C'è il riferimento alla bandiera arcobaleno del movimento per i diritti civili degli omosessuali, e l'idea di una diversità che coesiste in armonia, come l'arcobaleno appunto. L'unico lato negativo di questa definizione è la sua connotazione un po' politica: se leggi qualcosa sulle famiglie arcobaleno potrebbe trattarsi semplicemente di famiglie omoparentali ma anche invece dell'associazione in modo più specifico, che in quanto tale ha una connotazione attivista. Però non sarebbe male come soluzione per tutti, anche delle famiglie dell'associazione non sono membri. E poi c'è il problema del rovescio della medaglia. Come le chiamiamo le famiglie non omoparentali? Un nome gli va trovato perché comunque ne esiste ancora qualcuna in giro. Le alternative per ora sono famiglia tradizionale o la famiglia formata da uomo e donna. Be', la prima a me sembra davvero poco gentile. Nell'idea di famiglia tradizionale c'è quest'alone di vecchio, un po' ammuffito, sembra quasi dispregiativo: da un lato la nuovissima e scintillante famiglia omoparentale, e dell'altro la famiglia tradizionale. La seconda invece, famiglia formata da uomo e donna, fa un po' libro della Genesi ma comunque è corretta. Decisamente poco economica ma corretta. E questa piace molto al Vaticano, che però continua ad avere una definizione assolutamente preferita: la famiglia naturale. Il fatto è che una definizione svelta va ancora inventata, e che per ora quella che non è omoparentale si chiama solamente famiglia. Quello che mi domando, è se faremo prima a veder nascere la temibile definizione di famiglia etero, con buona pace di tutti i figli e le figlie gay che in quelle famiglie ci nascono, oppure se faremo prima a far cadere le etichette e parlare di famiglia e basta, senza troppe specifiche sull'orientamento dei genitori. 9. ICONA GAY Veniamo ora a un fenomeno assolutamente dilagante: quello delle icone gay. La definizione più appropriata che potrei trovare per "icona gay" è un personaggio pubblico con un pubblico quasi esclusivamente gay o con una percentuale sproporzionata di omosessuali tra il suo pubblico, che ne formano lo zoccolo duro, e con cui spesso il personaggio famoso intrattiene un rapporto privilegiato. Nel primo caso, quelli con solo pubblico gay, posso farvi l'esempio di Dana International. E chi è Dana International, dirà la maggior parte di voi? Questo perché presumibilmente la maggior parte di voi siete eterosessuali. So lo sapreste. Nel secondo caso invece posso citare Madonna, mega-star per molti eterosessuali, ma imperatrice del pop per il pubblico gay, per cui lei ha sempre avuto un occhio di riguardo e per i cui diritti si è sempre schierata. Poi ci sono anche le eccezioni, quei personaggi tipo Raffaella Carrà, Abba che diventano icone gay senza davvero volerlo, a volte senza neanche saperlo, e in quel caso si tratta solo si una questione estetica, musicale, di costume. Insomma, le icone gay esistono, e sono tante. Ma per la stampa italiana sono davvero troppe. In generale basta che la celebrità in questione sia omosessuale, e questo già la promuove a icona gay. Sei famoso e sei gay? Allora sei un'icona gay, a prescindere da quello che dici. E quindi per il Corriere della Sera non c'è nulla di strano in un titolo tipo questo:

8 "L'icona gay Rupert Everett: Non c'è nulla di peggio che essere cresciuto da due papà". Che, insomma, non è proprio il massimo della stima nei confronti del suo pubblico gay. Forse sarebbe meglio definirla icona omofona. Ma addirittura non è necessario neanche essere davvero gay, basta averne interpretato uno in un film che già sei promosso a icona: e così durante la polemica sulle dichiarazioni di Guido Barilla ho letto varie volte qualcuno che faceva notare che l'azienda ha fatto pubblicità con Antonio Banderas, che sarebbe una nota icona gay. La confusione diventa poi ancora più grande quando avvengono le "autoproclamazioni". Di recente Barbara d'urso si è eletta icona gay, davvero non so su quali basi. Forse è un'icona tra i suoi amici gay, ma al di là di quello davvero non so. Mentre poi la vera bomba è stato scoprire che perfino Gasparri pensa di essere un'icona gay. Etero, non bello, senza nessun legame col mondo dello spettacolo, di destra, Gasparri potrebbe davvero essere il perfetto esempio dell'anti-icona gay, una specie di anti-cristo dell'omosessualità. E invece, per via del fatto che ormai sono tutte icone gay, anche lui pensa di esserlo. Davvero mi meraviglia il fatto che nessuno giornale, per adesso, abbia annunciato che la nuova icona gay globale è papa Bergoglio. In fondo due o tre dichiarazioni non omofobe l'ha fatte, no? Che poi, e questo invece è assolutamente vero, la Chiesa cattolica la sua icona gay ce l'ha eccome, ed è un'icona molto più degli altri visto che è perfino un santo: si tratta di san Sebastiano, il martire che avrete visto nei quadri legato a un palo e tutto infilzato di frecce. Ora non voglio andare fuori tema e raccontarvi la lunga storia di come San Sebastiano è diventato il santo protettore dei gay, ma posso comunque riassumerla in due parole: fisico da paura e sempre semi-nudo. 10. PAROLE OMOFOBE Ho tenuto come ultima voce una che forse le racchiude tutte. Il tic, abbastanza diffuso nella stampa italiana quando si tratta di parlare di omosessualità, di non soppesare le parole, di non interrogarsi del vero valore che c'è dietro, ma di ripetere automaticamente quello che è stato fatto finora. Partiamo dall'espressione "gusti sessuali", che sulla stampa continua a essere usata come sinonimo di identità di genere o anche solo di orientamento sessuale. Nei giorni scorsi ha fatto molto rumore l'uscita di un'attrice bulgara che ha dichiarato che la fidanzata di Berlusconi, la Pascale, sarebbe lesbica. negli articoli su questa vicenda, tipo questo di Affari italiani, si legge che racconta i gusti sessuali della Pascale. Ecco, essere lesbica non è un gusto sessuale, non è una pratica con cui uno si diverte a letto, è una cosa che riguarda la sfera emotiva, prima ancora che sessuale. È un identità, non un gusto. Peggio ancora c'è "scelte sessuali", gettonassimo anche questo. E, se più insidioso, perché radicato nella convinzione che omosessuali ci di diventi, e ci si diventi per scelta. Anche in questo caso si sottolinea l'aspetto sessuale a discapito di quello emotivo. Un altro grande classico è l'uso di tollerare e accettare al posto di rispettare. Molto usati in passato, oggi soprattutto il verbo tollerare non è più accettabile. Ne sa qualcosa Rita Dalla Chiesa, che in una puntata di forum ha dichiarato che i gay vanno tollerati, ma non devono ostentare la loro omosessualità. È stata ricoperta di critiche, perché ha riassunto molto bene lo spirito che si cela dietro l'dea che gli omosessuali vadano tollerati, che vuol dire praticamente sopportati. Per quanto riguarda un tema più specifico, la maternità surrogata, in Italia si usa ancora una definizione decisamente forte, e cioè "Utero in affitto". Ogni volta che la sento a me viene in mente se il prezzo si calcola al metro quadro Questa definizione è particolarmente odiosa perché ha insito in sé un giudizio negativo. Perché non considera il fatto che collegato a quest'utero ci sia una donna, e che possa essere una donna che fa una scelta personale e condivisibile. È una definizione che giornalisticamente parlando è scorretta perché non è neutra, non lascia spazio all'indagine e al dubbio. È praticamente un insulto. Quando dico in Francia che in Italia si usa questo termine restano a bocca aperta, e da loro la maternità surrogata è esplicitamente illegale, non come in Italia dove invece può essere praticata ma solo all'estero. Molto lentamente ci stiamo spostando verso l'anglicismo "maternità surrogata", anche se anche qui c'è qualcosa di poco corretto, visto che surrogate in inglese vuol dire

9 semplicemente sostitutivo, mentre in italiano il termine surrogato implica una sostituzione ci valore inferiore, come a dire in mancanza di meglio c'è questo. La parola è un falso amico, e traducendola male in italiano ci stiamo infilando dentro un giudizio di valore che in inglese non c'è. I termini corretti sono gestazione per altri o maternità di sostituzione, ma devo dire che anche maternità surrogata va bene, basta che abbattiamo che questo Utero in affitto perché davvero non si può sentire. * Giornalista di Internazionale, ha scritto Hello daddy! Storie di due uomini, due culle e una famiglia felice (Mondadori, 2011).

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