Una minaccia si aggira per l Europa

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1 N 1 - GENNAIO SHEVAT 5774 ANNO XLVII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n 46) art. 1 comma 1 Roma MONDO MANDELA E IL SENSO DELLA STORIA ITALIA I GIOVANI E LA MEDIA RENZIANA LIBIA È MORTO GHEDDAFI MA NON IL GHEDDAFISMO שלוםSHALOM EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Una minaccia si aggira per l Europa בס ד 27 Gennaio: no alla Memoria che delegittima Israele FOCUS

2 EDITORIALE 2 La Memoria in frantumi Mancano pochi mesi alle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. Al voto del maggio saranno chiamati alle urne circa 300 milioni di elettori, in rappresentanza di 28 Paesi, che dovranno eleggere 751 deputati. Non sarà una tornata elettorale come le altre. Mai come in questa occasione c è il concreto rischio che un quarto del prossimo Parlamento di Bruxelles possa essere formato da movimenti populisti, euroscettici, di estrema destra se non addirittura razzisti e antisemiti. Spira in molte zone del Vecchio continente un aria mefitica di intolleranza, di violenza contro i diversi e gli stranieri, di rigurgiti neonazisti che si alimentano della crisi, della povertà prodotta dalle politiche economiche di austerità, che si richiamano a valori nazionalistici e a ideali di purezza, da contrapporre al multiculturalismo europeo e alle politiche di accoglienza ed integrazione. E un Europa nera che non si deve fare l errore di considerare marginale o folkoristica: in alcune regioni è giunta già al governo; è presente nei parlamenti ungherese e greco; stringe alleanze transnazionali. È un Europa che minaccia l Europa stessa nei suo valori fondanti, che passivamente osserva senza reagire alla formazione di vere e proprie zone franche nei grandi sobborghi dove la legge dello Stato è sostituita dalla legge della Sharia, dove un ebreo che cammina con la kippà in testa rischia la vita. Abbiamo scelto di raccontare questa Europa volutamente nel numero di gennaio per la concomitante ricorrenza del Giorno della Memoria. Assisteremo - come al solito - ad una profusione di belle parole, di impegni a non dimenticare, convinti che la lezione che deriva dalla Shoah sia stata imparata, che le nostre società abbiamo gli anticorpi pronti ad attivararsi davanti ad ogni negazionismo, ad ogni banalizzazione. Non per difendere l onore degli ebrei, ma per difendere la verità storica, per fornire alle nuove generazioni gli strumenti culturali per non venire attratti dalle ideologie totalitarie e dal fanatismo. Ma se questo è il panorama, se questa è l Europa che si è andata costruendo, il Giorno della Memoria rischia di apparire come una bella dichiarazione di intenti, come un impegno solenne che non si riesce a mantenere. O meglio è un impegno limitato al ricordo dei sei milioni di morti. Ma oggi la Memoria - che si può sintetizzare nella parola mai più - bisogna saperla mettere in pratica rispetto ai vivi, nei confronti di tutte quelle minoranze che sono oggetto di persecuzioni, che sono additate come corpi estranei. Chi pratica il valore della Memoria deve rispondere e isolare coloro che accusano gli ebrei di cospirativismo, di controllare l economia mondiale, che diffamano gli ebrei, di coloro che boicottano e delegittimano lo Stato degli ebrei, lo Stato di Israele. Bisogna dirlo chiaramente, non ci potrà mai essere una Memoria condivisa se Israele verrà isolata, se non la si difenderà come ultimo ed unico bastione di democrazia שלוםSHALOM COPERTINA 3 Antisemitismo, un vento che soffia dall Europa ai Paesi arabi UGO VOLLI Elezioni europee 2014: ampia scelta nell urna fra xenofobi e cospirativisti DANIEL MOSSERI Il Front National: una estrema destra ambigua che tenta di darsi una ripulita STEFANO GATTI Il mio Paese, così antisemita eppure così ebraico ALESSANDRA FARKAS Dalla Russia con razzismo NICOLA ZECCHINI MONDO 12 Troppi sorrisi e strette di mano tra Italia e Iran FIAMMA NIRENSTEIN Omissione e Ossessione ANGELO PEZZANA Mandela e il senso della storia GIORGIO ISRAEL è morto Gheddafi ma non il gheddafismo RAPHAELINO LUZON PENSIERO 17 La matematica ha una nuova regola: la media renziana CLELIA PIPERNO Il Giorno della Memoria e quello dei finti smemorati PIERO DI NEPI Il ruolo di Israele nella costruzione della memoria ebraica del dopoguerra DAVID MEGHNAGI Israele, laboratorio della globalizazione INTERVISTA A DONATELLA DI CESARE

3 COPERTINA Antisemitismo, un vento che soffia dall Europa ai Paesi arabi È un odio risorgente che per dimensioni, continuità e violenza non è paragonabile a nessun altro fenomeno razzista che esiste e resiste anche dove non ci sono ebrei Ci abbiamo creduto un po' tutti. Anche i più pessimisti nel mondo ebraico e soprattutto in quella che si usa chiamare "società civile" dell'europa e degli Stati Uniti hanno dato per scontato che con la fine del nazismo e con la trasformazione delle chiese fosse finito anche l'antisemitismo. Il "mai più" rispetto ad Auschwitz sembrava un fatto più che una promessa, se non per quanto riguarda la capacità delle società umane di produrre atrocità e stragi, mai venuta meno, almeno per la sua concentrazione particolare sul piccolo popolo ebraico. Mai più genocidi, si pensava, ma anche mai più antisemitismo, la lezione è stata troppo atroce per poter essere dimenticata. Certo, dalla sua nascita non era mai tramontata l'ostilità araba verso Israele, diffusa poi a buona parte della sinistra e dei paesi del "terzo mondo", ma quello era un conflitto politico, si diceva, non c'entrava con l'identità ebraica, era solo un problema di confini che si sarebbe presto risolto. E invece non è andata così, ormai è chiaro. Un piccolo demagogo che si fa intervistare per spiegare che i mali del mondo derivano dal fatto che le persone più ricche del mondo sono ebree o che sono ebraiche le banche (falso, naturalmente); una televisione rumena che trasmette canti natalizi che incitano a sterminare gli ebrei; il capo dell'associazione degli studenti arabi di un'università americana che si fa ritrarre con un coltello per sgozzare gli ebrei... sono notizie delle ultime ore che ho letto mentre scrivo questo articolo, ma notizie del genere non mancano mai e spesso sono peggiori: omicidi a freddo in Israele e fuori, tentati rapimenti, bombe, cimiteri sconsacrati, boicottaggi, luoghi in Europa in cui è molto pericoloso farsi identificare come ebrei, come lo è già in tutti i paesi musulmani, negazionismi sulla Shoà, attribuzioni di ogni tipo di colpe agli ebrei... L'aspetto più preoccupante di questa storia è che non si tratta di incidenti organizzati e attribuibili a un singolo centro, che potrebbe essere combattuto o almeno isolato. Sono ormai luoghi comuni, codificati nella cultura di massa, che fanno parte di quell'enciclopedia degli imbecilli che viene continuamente riflessa e riprodotta nei social media. Ognuno di noi ebrei in Europa vede solo una piccola parte del fenomeno: gli ungheresi vedono un governo che rivaluta i vecchi alleati dei nazisti e i partiti che li minacciano; i greci, dopo aver subìto incendi di sinagoghe e profanazioni di cimiteri, devono ora fare i conti con la popolarità di Alba Dorata. In Olanda, in Danimarca, in Norvegia, in Gran Bretagna, girare con una kippah è tanto pericoloso da essere sconsigliato dalle istituzioni ebraiche; in Francia l'antisemitismo ha superato i limiti dell'omicidio nei casi del rapimento di Ilan Halimi e nell'assalto alla scuola di Tolosa. In Italia abbiamo i negazionisti neonazisti, le minacce squadristiche, ma anche l'odio per Israele a sinistra e le menzogne populiste dei forconi e dei grillini. Il mondo anglosassone è percorso dalle ondate "benpensanti" del boicottaggio. Spesso si sostiene che questo odio risorgente, che per dimensioni, continuità e violenza non è paragonabile a nessun altro fenomeno razzista, sarebbe provocato dalle "politiche del governo israeliano" e che ciò lo renderebbe, se non condivisibile, almeno comprensibile. Le "critiche" di queste "politiche" sarebbero "legittime"; se ogni tanto esse "esagerano" prendendosela con gli ebrei "innocenti" (come se gli israeliani fossero "colpevoli" di volersi difendere...), be', bisogna capire e portar pazienza, o, ancor meglio, gli ebrei dovrebbero unirsi a quelle "critiche", cercando di cambiare le "politiche" o addirittura il "governo israeliano", rendendolo accomodante alla "giusta lotta" dei "palestinesi" che rivendicano null'altro se non la "loro terra". Questo discorso è ipocrita e subdolo, oltre che del tutto infondato. Le "politiche" non c'entrano affatto, per esempio questo è un periodo di trattative, in cui il governo di Israele sta cercando di vedere se esista una via di accordo con l'anp. Ma questo non ha affatto bloccato i boicottaggi né tanto meno gli atti e i discorsi antisemiti. E non solo non c'entrano le politiche, ma neppure i governi e il loro orientamento: non ce n'è stato uno, dalla fondazione dello Stato di Israele, che si sia sottratto a odi e boicottaggi. Solo la malafede o la "sindrome di Stoccolma" (quella che proverbialmente porta ad appoggiare i propri persecutori, giustamente ritradotta da Kenneth Levin nel titolo di un libro importante "The Oslo Syndrome") di una certa sinistra ebraica autorizza tesi così aberranti. Del resto basta aver seguito un po' la pubblicistica dei vari movimenti palestinesi, aver letto i loro statuti e seguito quel che dicono in arabo alle loro televisioni invece che in inglese all'opinione pubblica internazionale, per capire che lo scopo finale della loro azione è l'eliminazione di Israele e degli "ebrei", non la costruzione di uno "stato palestinese" che è solo uno strumento utile per la lotta antisemita, destina- 3

4 COPERTINA to ad essere abbandonato dopo la "vittoria". Il fatto è che non la lotta contro Israele è causa dell'antisemitismo, ma esattamente l'opposto: è l'antisemitismo (arabo o marxista, cristiano o fascista) a spiegare l'odio per Israele. E' un antisemitismo che non ha bisogno di ebrei per svilupparsi (tant'è vero che i paesi d'europa che più si rivelano antisemiti ai sondaggi sono quelli dove gli ebrei non ci sono quasi più, come la Spagna e la Polonia). E l'antisemitismo fiorisce anche in luoghi pochissimo sfiorati dalla diaspora ebraica, come il Giappone. Il fatto è che l'antisemitismo ha pochissimo a che fare con quello che fanno in effetti gli ebrei, con la loro presenza reale. Con buona pace di storici poco scrupolosi e per nulla accorti che hanno cercato di sfruttare il tema, forse alla ricerca della pubblicità fornita dagli scandali, "l'accusa del sangue", quell'infame calunnia per cui gli ebrei furono perseguitati per secoli in quanto assassini di bambini cristiani che avrebbero usato per confezionare il pane azzimo, non ha nulla a che fare con le pratiche dell'ebraismo, anzi contraddice alcune delle leggi più sacre della Torà; ma è stato usato per molti secoli contro le comunità ebraiche dall'inghilterra fino alla Siria, dalla Russia alla nostra Italia. E così per l'accusa di deicidio, per quella fabbricazione della polizia zarista che si intitola "Protocolli dei Savi di Sion" e ancora oggi è usata per l'antisemitismo arabo; così per l'accusa di un'influenza economica esagerata ("i cinque uomini più ricchi del mondo sono ebrei", ha detto uno sprovveduto, ma non isolato masaniello contemporaneo). Dimostrare che queste accuse sono false, documentarne la formazione truffaldina, far presente la loro palese assurdità non serve a nulla. Perché come scrive David Nirenberg nella sua bellissima storia dell'"antigiudaismo", gli ebrei cui si riferiscono gli antisemiti di tutte le stagioni, dall'antico Egitto (quello tolemaico, non quello dei Faraoni), dove probabilmente questa storia è cominciata, fino ai paesi arabi contemporanei, passando per la Chiesa e Maometto, per i filosofi dell'illuminismo e il nazismo, quasi mai sono i veri ebrei in carne ed ossa, con i loro meriti e i loro indubbi difetti. Si tratta invece di fantasmi, di costruzioni ossessive spesso del tutto staccate dalla realtà, cui sono attribuite certe caratteristiche di comodo, magari ereditate dalla tradizione e mai verificate, che servono spesso a fare i conti nell'ambito dello stesso fronte antisemita, dove l'accusa di essere "come gli ebrei" o addirittura membri del popolo di Israele è la massima ragione di squalifica. Che poi ci rimettano gli ebrei veri ed essi siano mandati in esilio, nei roghi dell'inquisizione o in quelli dei lager, ha sempre importato poco. E questo è vero anche oggi, quando l'odio antisemita si concentra non solo sui singoli ebrei o sulle loro piccole comunità della diaspora ma soprattutto sul loro stato rinato, Israele. Una rinascita vissuta come un trauma aperto dall'islam, ma più nascostamente anche da settori non piccoli della Cristianità, dato che entrambi, in maniera non dissimile, avevano profetizzato e preteso la dissoluzione di un popolo antiquato rispetto alle nuove profezie che li costituivano come religioni. Per questa ragione non è accettabile alcun varco di separazione fra antisemitismo e antisionismo o "israelofobia", secondo la parola proposta da Fiamma Nirenstein. Perché il nemico di Israele (o ipocritamente delle "politiche" del suo "governo") è un antisemita. Anche se per caso si trova ad essere di origini ebraiche, come parecchi negli Stati Uniti e anche in Europa e in Italia: essere antisemiti con sangue ebraico nelle vene non è affatto impossibile, vi sono molti casi illustri che lo dimostrano, dai neofiti che facevano i consulenti dell'inquisizione a Otto Weininger, fino ai sedicenti intellettuali filopalestinesi d'oggi. E il solo modo per combattere l'antisionismo oggi è difendere Israele. Ugo Volli 4 kosher restaurant Vuoi gustare la miglior cucina kosher? Il ristorante più glamour di Roma è in Viale Libia, 54 Aperto pranzo e cena Contatti per info e prenotazioni: tel info@tayim.it

5 Elezioni europee 2014: ampia scelta nell urna fra xenofobi e cospirativisti C è il rischio di avere il risultato più antieuropeista della storia A fine maggio 2014 si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. In Italia e in ognuno degli altri 27 stati membri gli elettori saranno chiamati a scegliere i delegati da mandare a Strasburgo. Due le novità: voteranno anche i cittadini della Croazia, entrata nell Ue a luglio di quest anno, e c è da aspettarsi il risultato più antieuropeista della storia. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Enrico Letta che, in tema di Unione europea, è da considerarsi persona molto ben informata. La forza di chi contesta la costruzione europea, a cominciare dalla moneta unica, è alimentata dalla crisi economica. Il lavoro che scompare, il calo dei redditi, i prezzi delle case inaccessibili danno impulso a chi se la prende con l euro, accusato di avere imbrigliato e affossato l economia. Peccato, però, che chi punta il dito contro la moneta comune se la prende anche contro gli immigrati, contro rom e sinti, contro la diversità in genere. È il caso della Lega nostrana, del Front National francese e degli svedesi di Sverigedemokraterna, dei nazionalisti fiamminghi del Vlaams Belang o di quelli olandesi del Partito della Libertà. Ogni nazione europea ospita almeno una formazione politica della destra più o meno estrema che, almeno a parole, dice no a più integrazione, alla moneta unica, e all immigrazione specialmente se di matrice islamica. I sondaggisti indicano in una cifra anche superiore al 20 per cento i consensi che i partiti anti Ue riusciranno a raccogliere sul Vecchio continente. Viene dunque da chiedersi se dietro ai toni populisti si nasconda anche lo spettro dell odio antiebraico. Assolutamente sì risponde Stefano Gatti, ricercatore dell Osservatorio sull antisemitismo presso la Fondazione Cdec : alcuni di questi partiti hanno chiare origini fasciste come il Front National che nasce nella Francia di Vichy. Così il Vlaams Belang ha origine nel nazionalsocialismo. E alla fine le radici contano. Certo, i nazionalisti britannici del British National Party non nascono nel fascismo ma nazionalismo, antisemitismo, xenofobia sono tratti che accomunano tutti questi partiti. A parte gli eccessi antisemiti degli ungheresi dello Jobbik, Gatti rileva che il problema ebraico non è più centrale per queste formazioni, concentrate sulla crisi economica la cui responsabilità è attribuita agli immigrati. In altre parole l ebreo resta un nemico, ma non quello principale. Anzi, ricorda il ricercatore, oggi può fare comodo avvicinarsi agli ebrei o a Israele in chiave anti-islamica. Ecco allora sia il Fronte Nazionale che il Bnp organizzare al proprio interno gruppetti filo ebraici per allontanare da sé l accusa di antisemitismo. Come sintetizza bene nel suo studio ( The rise of the radical right in Europe and the Jews ) anche Michael Whine, consulente del Consiglio d Europa, la destra radicale non ha sviluppato alcuna empatia per gli ebrei né ha abbandonato l antisemitismo. Piuttosto, vede Israele come alleato nella lotta contro l Islam (..) il che permette ad alcuni leader di attaccare le comunità ebraiche locali e di lodare Israele allo stesso tempo. L ondata di odio anti-islamico coincide con alcune battaglie delle destre per mettere al bando la circoncisione dei bambini o la macellazione rituale di bovini e ovini. Due attività praticate, con le dovute differenze, sia dagli ebrei che dai musulmani. Singolarmente, ebrei e musulmani stanno lottando insieme in Europa per il mantenimento delle proprie tradizioni. Sono temi osserva Gatti che si difendono all interno di una società democratica e liberale, non certo nel modello di società proposta dal Fronte Nazionale, dal Bnp o dalla Lega Nord, che non riconoscono questi come valori propri. E se i nazionalisti sono ben chiari e visibili, resta ancora un filone politico venato di antisemitismo: È il cospirativismo riprende Gatti che è una componente importante del Movimento 5 Stelle in Italia, con alcuni rappresentanti che hanno ricordato in Parlamento le tesi complottiste sull 11 settembre. Il cospirativismo non è sempre sinonimo di antisemitismo ma purtroppo spesso ne è innervato. Alla fine il burattinaio è immancabilmente un vecchio ebreo perché alla base dell ideologia cospirativista ci sono sempre i Protocolli dei Savi di Sion. Daniel Mosseri 5

6 COPERTINA 6 Il Front National: una estrema destra ambigua che tenta di darsi una ripulita Il partito guidato da Marine Le Pen sta per raccogliere un consenso storico Il partito di estrema destra francese Front National, secondo gli ultimi sondaggi, ha il 30% dei consensi contro il 24% rilevato al mese di ottobre dopo la vittoria alle comunali di Brignoles. Se questo ritmo di crescita dovesse mantenersi costante, alle elezioni europee di maggio 2014 diventerà il primo partito di Francia. Il Front National è stato fondato nel 1972 ad ispirazione del Movimento Sociale Italiano (di cui ha ripreso il simbolo della fiamma tricolore) e diretto per circa quarant anni da Jean-Marie Le Pen, temi connotanti del partito: nazionalismo con tratti sciovinisti, ostilità nei confronti dell immigrazione, concezione forte dello stato, difesa dei valori tradizionali e dell identità francese dai corpi estranei, il tutto inserito in una concezione organicistica e corporativa dello stato. Dal 1984 il FN è in continua ascesa ed è stabilmente uno dei primi tre partiti francesi. L ex pied-noir Le Pen, oggi ottantacinquenne, è un estremista di matrice poujadista con una lunga storia di antisemitismo, razzismo e xenofobia, che ha spesso usato una retorica di odio contro i gruppi di minoranza francesi, tra cui gli ebrei. Le Pen ha abbracciato anche il negazionismo e la banalizzazione della Shoah, ad esempio nel 1987 ha detto che i campi di sterminio nazisti furono un mero dettaglio della Seconda Guerra mondiale, nel 1988 ha fatto un gioco di parole sul ministro Durafour Dura/four crematoire (Dura forno crematorio) in un contesto in cui banalizzava il genocidio antiebraico, nel 1997 ha detto che non si sarebbe più espresso sulla Shoah perché è un tema tabù protetto dal diritto penale e l unica opinione che può venire espressa è quella autorizzata dai media. Per Le Pen le razze non sono uguali, razze differenti hanno qualità differenti, ecco perché i neri sono più bravi negli sport. Frequente il ricorso agli stereotipi classici della polemistica antisemita, nel 1990 accusò l allora presidente Chirac di essere al soldo delle organizzazioni ebraiche, ed in particolare del famigerato B nai B rith. Nell aprile 2000 Le Pen è stato persino espulso per un anno dal parlamento europeo dopo aver aggredito un parlamentare socialista. Dal gennaio 2011 l ormai anziano politico è diventato presidente onorario del partito, ed il ruolo di leader è stato affidato a Marine Le Pen, terzogenita del fondatore e per anni dirigente del FN. La nuova presidente sta cercando di voltare pagina e di cambiare l ideologia e l immagine del partito, ad esempio durante le recenti elezioni presidenziali e legislative, i gruppi di skinheads che spesso accompagnavano suo padre durante le manifestazioni, sono state sostituite da gruppi famigliari. Marine Le Pen dice di voler abbandonare il vecchio estremismo xenofobo e razzista del FN per dare vita ad un moderato partito dei patrioti che si unisca agli altri partiti europei contrari all Unione Europea e all immigrazione per dare vita ad un movimento paneuropeo, per l Italia ne fa parte la Lega Nord. In questo suo processo di modernizzazione e dédiabolisation del partito, Marine ha assunto alcuni toni liberal nei confronti delle persone omosessuali e dei temi bioetici, e sta facendo tentativi per guadagnarsi la fiducia degli ebrei francesi. Il 3 febbraio 2011 ha detto che ciò che è accaduto nei campi nazisti è il punto più alto della barbarie, e poi ha degradato oppure allontanati dal FN alcuni degli elementi più estremisti, come Christian Bouchet, grande sostenitore dell Iran degli ayatollah, oppure Alexandre Gabriac, che ha fatto il saluto nazista durante una manifestazione di partito. Marine Le Pen ha preso anche le distanze da Alain Solal, attivo polemista antisemita considerato uno degli intellettuali di punta del FN, e contemporaneamente ci sono state anche delle aperture plateali, come quando nel novembre 2011 si è fatta fotografare con l ambasciatore israeliano Ron Prosor nella sede dell ambasciata francese ONU di New York. Danny Shek, ambasciatore di Israele in Francia dal 2006 al 2011, ha detto che la signora Le Pen sta dando una ripulita alla casa e che va aiutata, Richard Pasquier, presidente del Crif (equivalente francese dell UCEI) ha detto che ci sono antisemiti nel FN ma che non sono la maggioranza e l antisemitismo non è più un elemento caratterizzante, e Theo Klein, predecessore di Pasquier, ritiene sincero il tentativo della Le Pen di eliminare le componenti di estrema destra e nostalgiche dal partito. Secondo il politologo Jean-Yves Camus Marine Le Pen è libera dall antisemitismo e negazionismo paterno, invece per studiosi di antisemitismo e scienze politiche come Marc Knobel o Nonna Mayer la matrice del FN, a parte piccoli cambiamenti di facciata, rimane quella di un partito di estrema destra, e gli esempi al proposito non mancano. Il FN continua a giovarsi dei servizi di PR da parte di Frederic Chatillon - grande amico della Le Pen - acceso sostenitore del movimento antisemita di Hezbollah e promotore della saggistica negazionista. Marine Le Pen non ha abbandonato il filoarabismo paterno, infatti sostiene il programma nucleare dei mullah iraniani, e mantiene il vecchio lo slogan La Francia ai francesi, con la sua politica di ostilità verso un nemico, ieri identificato principalmente nell ebreo, ed oggi nell immigrato o il musulmano. Nei suoi discorsi contro la UE la presidente del FN prende spesso di mira il mondialismo, termine caro all estrema destra e con cui viene identificato il capitalismo finanziario che distrugge (anche attraverso l immigrazione) le nazioni con lo scopo di creare una monorazza indistinta di consumatori. Nel settembre 2013 Marine Le Pen ha chiesto di proibire l uso in pubblico della kippah, così come è stato proibito l uso in pubblico del velo islamico femminile: E chiaro che se è stato messo fuori legge il velo, bisogna proibire anche la kippah. Il FN ha mutato alcuni dei suoi aspetti, ma il suo atteggiamento nei confronti degli ebrei rimane di difficile decifrazione, non ha sviluppato empatia verso di essi e continua a fare uso di alcuni temi dell antisemitismo. Ogni tanto il FN si avvicina all ebraismo, e in particolare ad Israele perché lo vede come un naturale alleato nella guerra contro l Islam, e ciò spiega perché i dirigenti del FN continuano a pronunciarsi contro gli ebrei delle comunità francesi ma ad elogiare alcuni aspetti di Israele. Il FN rimane però ostile alla società aperta e pluralistica, ed anche se identifica nell immigrato il nemico principale, continua a vedere l ebreo e l ebraismo come corpo estraneo. Stefano Gatti

7 Le Pen guarda oltre i confini Sta stringendo accordi con i partiti più estremisti d Europa, e in Italia con la Lega Fuga dalla Francia Cresce ogni anno il numero di ebrei che abbandonano il Paese e scelgono di vivere in Israele Nello scorso mese di ottobre, un sondaggio dell'istituto Ifop per il settimanale Nouvel Observateur ha assegnato al Front National di Marine Le Pen il 24% delle preferenze: due punti di vantaggio sull'ump e cinque sui socialisti al governo. Un dato che non può passare inosservato, specie a pochi mesi dalle elezioni europee. Marine Le Pen, figlia di quel Jean Marie che arrivò al ballottaggio nelle presidenziali francesi del 2002, ha avviato il processo di dédiabolisation, uno sdoganamento del suo partito: alle elezioni presidenziali del 2012 il Front National aveva già ottenuto il 18%, proponendo l abrogazione immediata del Trattato di Shenghen sulla libertà di circolazione in Europa, con la stessa Le Pen che aveva annunciato che, se fosse stata presidente, sarebbe uscita dalla Nato. Adesso si appresta ad affrontare le elezioni per il Parlamento europeo con l intenzione di raccogliere il malcontento euroscettico diffuso presso la popolazione francese e non solo. Marine Le Pen ha già siglato un accordo con il leader del Partito per la libertà olandese (Pvv) Geert Wilders e si prepara a reclutare altri seguaci: potenziali candidati sono i secessionisti fiamminghi del Vlaams Belang, i Democratici svedesi (estrema destra), l Alternativa per la Germania (Afd), il Partito della Libertà austriaco (Fpoe) e la Lega Nord. Esclusi invece i greci di Alba Dorata, i bulgari di Ataka e gli ungheresi di Jobbik, tutti accusati di derive razziste e antisemite. Le Pen, infatti, vuole ottenere la propria legittimazione in patria e in Europa senza apparire troppo radicale, tanto che definisce il suo partito solo di destra, mentre chi parla di estrema destra viene accusato di diffamazione. Un aspetto interessante di questo percorso si ravvisa nel tentativo (in parte riuscito) di coinvolgere anche l elettorato ebraico, con una strategia di rottura rispetto al padre. A tal fine, Marine Le Pen ha utilizzato argomentazioni abbastanza persuasive: la sua personalità e soprattutto la sua ostilità nei confronti dell Islam, il cui peso in Francia è particolarmente elevato, trattandosi del Paese europeo con il maggior numero di musulmani, circa 5 milioni. La religione islamica è, infatti, intollerante e incompatibile con la nostra società secondo il 74% dei francesi ascoltati da un sondaggio dell inizio del 2013 condotto dall istituto Ipsos in collaborazione con il Centre d études politique di Sciences Po e la Fondazione Jean-Jaurès. Il dibattito è comunque aperto: Haaretz, già nel gennaio 2011, si era domandato se non fosse una minaccia più insidiosa l immagine moderata di Marine Le Pen rispetto all esplicito antisemitismo del padre; Marine, infatti, è riuscita persino a convincere a candidarsi al Parlamento con il FN Michel Thooris, ex membro del Crif (Consiglio nazionale delle organizzazioni ebraiche francesi). Tuttavia, esistono posizioni molto diverse: Jonathan Hayoun, presidente dell Union des étudiants juifs de France (UEJF), per esempio, si è detto preoccupato per la crescita del Front National, visto soprattutto dai giovani come un normale partito, mentre continua a strutturarsi sul razzismo, l antisemitismo, la paura degli immigrati e degli stranieri. Nonostante questo processo di normalizzazione, infatti, il Front National, nella sua base, resta di estrema destra. La stessa Marine Le Pen, nel gennaio 2012, ha destato scalpore partecipando a Vienna al ballo delle «Burschenschaften», corporazioni studentesche nate a metà del XIX secolo e cresciute nell odio verso la Francia napoleonica e verso gli ebrei da essa emancipati, e dove, ancora oggi, sono vivi i miti dell antisemitismo e del nazismo. L approccio populista intrapreso negli ultimi mesi, facendo leva sull ondata euroscettica che si è alzata in gran parte del continente, potrebbe però garantire a Marine Le Pen palcoscenici più prestigiosi del previsto. Daniele Toscano 2185 francesi hanno fatto l alyà nel 2013 (fino al mese di settembre). Nel corso dell intero 2012 erano stati L impennarsi del fenomeno è dovuto secondo agli analisti a più fattori: innanzitutto, il crescente antisemitismo che pone la Francia ai primi posti per il moltiplicarsi di casi di violenza. Con il dilagare dei social network, non si contano ormai i siti incriminati per istigazione all odio razzista, soprattutto dopo l attentato di Tolosa alla scuola ebraica, del marzo del 2012, che vide l assassinio di tre bambini e di un professore. Influisce anche la crisi economica, che vede lo Stato transalpino tra i più colpiti dagli stretti vincoli imposti dai trattati europei, e fa fatica come l Italia ha intraprendere la strada della ripresa. L immigrazione francese in Israele è composta da numerosi giovani in età universitaria. Quest anno sono un migliaio, rispetto ai settecento dell anno passato, che prendono parte al programma Masà Israel. Tutto ciò porterà a investimenti maggiori dell Agenzia ebraica per agevolare e implementare l inserimento nei programmi di studio e nella società israeliana dei nuovi arrivati. Se si passeggia nelle strade di Netanya e di Tel Aviv ci si accorge che non si sente parlare solo ebraico e russo, ma anche la lingua di Balzac. Si tratta di un immigrazione significativa, oltre al risvolto sociale, anche per l economia. A detta degli esperti, l alyà dalla Francia ha contribuito a tenere alto il mercato immobiliare israeliano che non ha risentito della battuta d arresto e della crisi che da diversi anni ha investito i Paesi occidentali. Ai numeri citati sopra vanno aggiunti quelli di tante migliaia ormai di ebrei francesi che passano molti mesi nello Stato ebraico, che fanno da pendolari, e non hanno ancora deciso il passo definitivo. Comunque la tendenza è delineata, e andrà sicuramente a rimpolpare di grosso la cifra di cinquantamila aliot che sono avvenute dal 1990 ad oggi dalla Francia. Alla lunga, viene così accolto l invito dell allora premier israeliano Ariel Sharon che nel luglio del 2004, dopo i tanti episodi antisemiti accaduti oltralpe, tra un vespaio di polemiche, incitò i francesi a un alyà di massa con queste parole: Lasciate il paese immediatamente e venite in Israele. In Francia esiste un antisemitismo sfrenato, provocato anche dal fatto che il 10% della popolazione è di confessione musulmana. Jonatan Della Rocca 7

8 COPERTINA L Ungheria strizza l occhio a Hitler Il partito neonazista e nazionalista Jobbik ha il 20% dei consensi con 43 parlamentari 8 Gridano Porci ebrei, viva Auschwitz, viva Hitler, ma ce n è anche per zingari e Rom. Hanno un organizzazione militare denominata la Magyar Garda, fuori legge, riconvertita sotto altro nome: Magyar Nemzeti Garda, ovvero Guardia Nazionale Magiara. Si tratta del partito Jobbik, che significa Movimento per un Ungheria Migliore, che ha ottenuto quasi il 20% dei consensi ed eletto 43 parlamentari. Il 20% degli ungheresi ha votato per un partito dichiaratamente antigiudaico che dichiara apertamente attraverso il suo numero due Marton Gyoengyoessi che l ran è un Paese minacciato d'aggressione che si difende, mentre Usa e Israele sono visti dalla maggioranza nel mondo come aggressori". Jobbik si dichiara, al contrario dei movimenti neonazisti fioriti in tutta Europa, apertamente pro-islamico in funzione anti-giudaica. Péter Krekò, analista politico ungherese, in un intervista concessa a Repubblica ha affermato che all'ambasciata della Repubblica islamica a Budapest c'è un alto funzionario responsabile degli amichevoli rapporti tra Iran e Jobbik. Si chiama Jahromi Afi. Ci sono persino gemellaggi tra comuni dove governa Jobbik e città iraniane. Jobbik parla apertamente di asse Usa-Israele. Ma come è nato e come è proliferato in così pochi anni una partito così estremista? La scalata al potere è iniziata alle elezioni parlamentari dell aprile 2010, dove il movimento si è aggiudicato ben 47 seggi sui 386 disponibili all Assemblea Nazionale (sistema unicamerale), imponendosi come terza forza elettorale del Paese dopo il Fidesz, partito del Premier Orban e MSZP il partito socialista ungherese. Nato nel 2002 come movimento studentesco di estrema destra e trasformatosi in partito l anno successivo, Jobbik affonda le sue radici nei temi tradizionali dell estrema destra ungherese identificando come nemici della patria etnie, culture e tendenze politiche tra le più disparate: zingari, gay, socialisti (bolscevichi), capitalisti, politici corrotti ma anche il presunto asse diabolico Tel Aviv Washington Bruxelles. In Jobbik vi è inoltre una forte componente antieuropeista dovuta alla tanto attesa adesione all Unione Europea nel 2004, che non ha portato però né all atteso boom economico né ad una stabilità politica, al contrario di come è accaduto ai vicini di casa Repubblica Ceca e Polonia. Jobbik cita come sopruso storico subìto dal popolo ungherese il Trattato del Trianon che dopo la fine della Grande Guerra smantellò il Regno d Ungheria riducendone il territorio di due terzi e la popolazione da 19 a 7 milioni. Dopo il 1918, l'ungheria non ebbe più l'accesso al mare che invece il Regno di Ungheria aveva avuto, attraverso i territori dell'attuale Croazia, per oltre 800 anni. Ultima provocazione del partito, in ordine di tempo, l inaugurazione di un busto dedicato ad un dittatore alleato di Hitler, cosa mai avvenuta in un paese membro dell'unione europea e della Nato. Il busto, eretto nella famosa Piazza della Libertà, ritrae l'ammiraglio Horthy, il reggente dispotico e antisemita al potere in Ungheria tra dal 1920 al 1944, alleato del Terzo Reich. Così, a seguito delle proteste della comunità ebraica ungherese (in più di mille si sono radunati di fronte alla statua indossando un cappotto su cui era cucita la stella gialla), il ministero dell'interno ha visto bene di inviare in difesa un drappello di agenti. A difesa di chi? Della statua. Nicola Zecchini

9 Il mio Paese, così antisemita eppure così ebraico Esclusiva intervista a György Konrád, celebre scrittore-saggista ungherese credo che la natura dell uomo sia intrinsecamente buona, teorizza György Konrád nel suo nuovo libro Ebrei - Il popolo Universale, raccolta Non di 20 saggi scritti dal 1985 al 1997 (uno dei quali dedicato al pittore Istvàn Farkas, mio nonno) e pubblicata di recente in Italia da Gaspari con la traduzione di Éva Horváth. Il pessimismo del più celebre scrittore-saggista ungherese vivente, ex presidente del PEN Club International e della prestigiosa Akademie der Kunste di Berlino, è giustificato. Dopo essere scampato per un soffio alla deportazione ad Auschwitz dove furono trucidati tutti i bambini della sua cittadina Berettyóújfalu, ed essere stato perseguitato dal regime comunista (nel 1956 partecipò alla Rivoluzione ungherese e nel 1974 fu arrestato per sovversione contro lo stato ) oggi Konrad continua a essere ostracizzato dal governo di estrema destra di Viktor Orbán. Lo scorso anno un suo duro editoriale sul New York Times contro la deriva autoritaria dell Ungheria suscitò la violenta reazione delle autorità magiare, che apostrofarono l autore di best-seller quali Il Perdente (Anabasi) e Il Visitatore (Bompiani), definendolo arrogante, aggressivo e bugiardo. Questa compagine governativa ha ormai i giorni contati, racconta al telefono dalla sua casa di Budapest l 80enne scrittore, uno dei massimi teorici della libertà individuale, paragonato dai critici a Milan Kundera e Václav Havel per la sua influenza sui movimenti democratici nell Europa dell Est. Le politiche di Orbán sono disastrose per tutti: giovani, vecchi, ebrei, cristiani, uomini, donne. Nel paese si respira un clima di paura che porta le persone persino a mentire ai sondaggisti. Per il timore di perdere il lavoro, di subire ritorsioni da parte del Governo, la gente non rivela per chi voterà l anno prossimo. Questo libro è stato definito un itinerario culturale intorno alla Shoah. La maggioranza degli ungheresi non fece nulla per salvare noi ebrei durante la Shoah ma preferì guardare dall altra parte. I pochi che salvarono vite umane rischiando la propria erano singoli individui che obbedivano alla loro coscienza capace di compassione. Uno dei suoi saggi punta il dito contro il ruolo svolto dall intellighenzia ungherese durante l Olocausto. La codardia degli intellettuali di fronte alle dittature è una costante della storia. La maggior parte degli scrittori del tempo non denunciò neppure l ecatombe dei bambini: il crimine più atroce di tutti. Il famosissimo romanziere Ferenc Herczeg arrivò a tradire la fiducia dell amico Farkas, non mantenendo la promessa d intercedere presso l ammiraglio Horthy per sottrarlo ad Auschwitz. Ma oggi, 70 anni dopo la morte del pittore, quasi a chiedere perdono, Budapest sta riscoprendo uno dei suoi grandi artisti. Lei racconta che il suo amico Amos Oz le ha chiesto perché continua a vivere nel paese che voleva ucciderla. Anche se un ebreo è a casa ovunque nel mondo, io mi sento a casa in Ungheria. Questo è il paese che chiamo patria. Il luogo dove sono nato, la terra della lingua che parlo e in cui scrivo, il suolo dove riposano i miei antenati. Amo il suo paesaggio e sono affezionato agli alberi che proprio adesso vedo dalla mia finestra. Non abbandonai il paese neanche dopo l invasione sovietica del 56 perché credevo che una democrazia forte poteva nascere anche qui. Continuo a crederlo, anche se ho pensato spesso di andar via. Perché non l ha fatto? Finirei come il mio amico proprietario di un negozio di vini kosher nell antico quartiere ebraico di Pest che è ritornato in Ungheria dopo solo tre settimane di esilio newyorchese. Ero finito nel quartiere ungherese sulla 2a Avenue dove sono tutti ebrei provenienti da Erzsébetváros. Tanto vale restare a Pest, mi ha spiegato. Lei è molto critico nei confronti degli ebrei ungheresi. Sono stati in parte artefici del loro tragico destino. Prima della guerra, molti non esitarono ad assimilarsi convertendosi o sostituendo la Menorah con l albero di Natale. Durante il conflitto, altri peccarono di arroganza pensando di salvarsi per gli intimi rapporti con l entourage governativo. Altri ancora si rassegnarono salendo, quasi volontariamente, sui treni per Auschwitz. Dopo la guerra, molti si professarono atei, dimenticando ciò per cui erano stati perseguitati. Pagarono però un prezzo altissimo: occultarono la propria identità a figli e nipoti che solo ora stanno scoprendo la verità sulle proprie origini. Lei scrive che gli arbitri della politica nazionale dal 1945 al 1956 erano tutti di origine ebraica. La Russia appariva ai loro occhi come una potenza liberatrice. I comunisti promisero la fine dell antisemitismo e delle discriminazioni. Proclamarono l avvento di un nuovo ordine in cui gli ebrei sarebbero stati considerati al pari di tutti gli altri, dove anche la nazionalità sarebbe stata irrilevante vista la vocazione internazionale del movimento. E poi gli ebrei di ritorno dai campi di lavoro, senza più una famiglia, cos altro potevano fare se non adeguarsi al nuovo regime? Dopo Auschwitz, l avventura degli ebrei nell Europa Centrale è finita? Può sembrare un paradosso ma, nonostante l Ungheria abbia uno dei Governi più antisemiti d Europa, la cultura ebraica nel paese non è mai stata più viva. Il dinamismo intellettuale ebraico qui è superiore a quello di Polonia e Repubblica Ceca messe insieme. Budapest è ancora un centro di attrazione per l intellighenzia europea, nelle arti e nelle scienze. L annuale festival di cultura ebraica si è appena concluso con uno straordinario successo di pubblico e sono molti gli scrittori ebrei ungheresi contemporanei di talento: Péter Nádas, Peter Korniss e Petri György. Budapest oggi è la terza capitale europea per numero di ebrei dopo Londra e Parigi. L Ungheria farà mai i conti col passato? E un processo lento e arduo. E difficile ammettere di essere stati perpetratori di uno sterminio. Se si tace, la colpa ricade implicitamente su tutti quanti, anche coloro i quali non hanno commesso alcun torto. Ma verrà un giorno in cui una nuova generazione, non più toccata in prima persona da quella tragedia, riscriverà finalmente la storia. I tedeschi ci sono riusciti. Il mea culpa è stato pronunciato solo dai tedeschi della Repubblica Federale. Quelli dell ex Repubblica Democratica continuano a ripetere che gli assassini erano dall altra parte della Cortina di Ferro. Anche l Europa deve ancora fare piena chiarezza sul suo passato. Subito dopo l Olocausto, si è diffusa una nuova forma di antisemitismo tra gli europei. Un sentimento d intolleranza camuffato da antisionismo filoarabo e filopalestinese contro Israele. Lei sostiene che Israele dovrebbe entrare nella UE. Nessun paese europeo ha un pedigree democratico più affidabile di Israele che, anche a livello economico, soddisfa tutti i parametri richiesti. Se si considera l entrata della Turchia in Europa, allora la buona fede dell Unione è credibile solo se anche Israele ne entrerà a far parte. L idea di un Europa unita in passato si è diffusa soprattutto fra gli ebrei: i primi a considerarsi europei a tutti gli effetti. Alessandra Farkas 9

10 COPERTINA 10 Il loro ultimo nemico è l arabo o l islamico. La pelle è marchiata da tatuaggi con simboli nazisti, imperialisti, esoterici. Marciano insieme agli ambientalisti, ai comunisti, ad alcuni attivisti politici: eccoli i neonazisti russi, che oltre ad ebrei e rom hanno messo nel mirino chi, prima della disgregazione dell Urss, abitava alla periferia dell Impero e senza bussare alla porta, adesso è entrato in casa. Come i tagiki e uzbeki che lasciano le proprie terre senza speranza, stremati dalla guerra di stato e dal terrorismo per cercare fortuna nelle megalopoli di San Pietroburgo e Mosca. Persino il famoso blogger anti Putin Aleksej Navalnyj, finisce per ammettere di partecipare alle Marce russe organizzate da loro. E' bene non lasciarli soli - spiega - Alcune idee non sono male e non devono restare monopolio dei violenti. Alcune idee non sono male, dichiara Vladimir Putin ripetendo quello che ormai sta diventando un mantra per il 60% della popolazione Russa che, secondo una stima resa pubblica dal centro di analisi Levada, approva lo slogan «La Russia ai russi» e dichiara di non amare affatto gli stranieri. Quando nel 1991 l Urss è crollata, la Russia ha aperto i propri confini e negli anni centinaia migliaia di persone provenienti dal Caucaso e dall Asia Centrale si sono riversate ogni anno nel Paese. L entusiasmo iniziale seguito alla caduta del regime ha presto lasciato spazio alla disillusione per l economia di mercato che porta con sé disoccupazione e stagnazione. In questa situazione gli estremismi hanno avuto terreno fertile per attecchire in una società per lungo tempo repressa e il rigurgito razzista, latente negli anni del regime, è esploso come reazione impulsiva e irrazionale della popolazione russa divisa tra crisi economica e guerra cecena. Tra le rovine dell Unione Sovietica sono proliferate ideologie xenofobe che hanno trovato nei nostalgici valori totalitari l humus su cui attecchire. Una nuova generazione razzista, paramilitare, intollerante ed apertamente nazista è fiorita nella società, affermandosi come il più violento, pericoloso ed organizzato fenomeno in Europa. Centinaia di migliaia di immigrati dalle ex periferie dell'impero, dal Kirghizistan, dal Tagikistan, dall'uzbekistan hanno riempito in pochi anni i quartieri dormitorio delle periferie, portandosi dietro le loro tradizioni, e soprattutto la loro fede. Sono loro gli obiettivi delle incursioni Dalla Russia con razzismo Gli appartenenti a movimenti di estrema destra sono oltre più spettacolari, violente e sanguinarie. La nuova svastica colpisce nell'indifferenza del cittadino medio che nell ombra cova insofferenza per l'invasione straniera. Secondo il Nucleo Antiterrorismo Russo gli appartenenti a movimenti di estrema destra sono oltre , distribuiti in bande che possono contare anche solo 4 o 5 membri. Il neonazismo russo appare poco legato a grossi movimenti o partiti, tra i quali il maggiore è ancora il Partito Nazional Socialista Russo. Il RNSP, nato nel 1998 dalla frantumazione dell organizzazione Pamyat (Memoria), è sempre stato un punto di riferimento per i gruppi minori ed ha introdotto nella destra radicale un ideologia che si ispira liberamente al nazismo hitleriano ma con alcune differenze significative. Nella visione dei nazional socialisti russi infatti i popoli slavi sono posti sullo stesso piano degli ariani, e il nemico si è allargato ai popoli caucasici e dell Asia Centrale. Questo perché molti reduci dalla guerra in Cecenia sono confluiti nei gruppi radicali di estrema destra portando con sé non solo le tecniche di guerriglia di cui si sono serviti in guerra ma anche il concetto di difensori della Russia di fronte al pericolo musulmano, mutuato dalla propaganda assorbita nell esercito russo. Questa percezione dell Altro, è ben rappresentata da quello che è stato uno dei gruppi neonazisti più temuti e pericolosi dell intera Russia: gli Schulz88. Fondati a Pietroburgo da Dmitri Bobrov, un militare che ha prestato servizio nel Caucaso del nord, si sono resi colpevoli di numerosi omicidi di immigrati, al punto da diventare un vero e proprio problema d ordine pubblico. Bobrov, intervistato dal Time dichiarò di rifarsi alle tecniche di guerriglia di Al Qaeda, ammirandone la mobilità e la struttura in cellule. Proprio a causa degli Schulz88 le autorità russe sono state costrette a dover abbandonare un certo doppiogiochismo per adottare una politica che fosse più repressiva. Il punto di svolta fu l omicidio, avvenuto nel 2004, di Nikolai Girenko, etnografo, antropologo ed attivista difensore dei diritti delle minoranze etniche. Grienko fu promotore di diversi processi contro gruppi neonazisti, ed in particolare contro quello di Bobrov, riuscendo a far condannare gli imputati non come teppisti ma come motivati da odio razziale: questo gli costò la vita. Il rigurgito razzista, latente negli anni del regime, è esploso come reazione impulsiva e irrazionale della popolazione russa divisa tra crisi economica e guerra cecena Il neonazismo russo ha imitato Al Qaeda anche nelle forme estetiche di violenza, utilizzando video di torture nei confronti di minoranze etniche, pubblicandoli e viralizzandoli sui social network per creare un terrore diverso, per generare ansia nell'avversario, per colpirlo psicologicamente e anche per fare proseliti. L ultimo caso è quello di Maxim Martsinkevich, detto Tasek, 190mila fan su VK.com, il Facebook russo. Martsinkevich è uno dei leader di un gruppo di neonazisti, Occupy Pedofili. Sui social network russi il gruppo nazista ha pubblicato video e foto di torture effettuate contro i gay caduti nelle loro mani. Ogni video ha lo stesso incipit: un saluto di Tasek ai suoi amici nazisti, definiti piccoli amici dell estremismo. Putin utilizzò questi movimenti in occasione del lancio della campagna cecena, ma col tempo queste bande di teppisti, ultras e naziskin sono sfuggite di mano alle autorità diventando un vero e proprio pericolo sociale. Per arginare l afflusso di giovani nella galassia neonazista il governo russo favorì, nel 2007, la nascita del movimento giovanile Nashi connotato da un forte nazionalismo e dall antifascismo. Tuttavia questo movimento non ha mai attecchito negli strati più marginali e poveri della popolazione dove invece hanno trovato adepti i gruppi neonazisti. E ora Putin dovrà fare i conti con tutti quei movimenti frastagliati di estrema destra che ha lasciato proliferare per convenienza politica. L unica a denunciare le torture nei confronti dei cittadini gay è stata una Ong, Spectrum Humans Rights Alliance, che recentemente ha anche denunciato un caso di omicidio ai danni di un adolescente sottoposto allo stesso genere di assalti da parte dei gruppi neonazisti, che adesso, dopo le norme contro l omosessulaità varate da Putin, sono proliferati, arrivando a superare, solo nel caso di quelli legati a Occupy Pedofili, la quota di 440. Nicola Zecchini

11 Allarme in Slovacchia: eletto governatore il neonazista Marian Kotleba Allarme neonazismo in Slovacchia dopo l'inattesa vittoria dell'ultranazionalista Marian Kotleba nella regione di Banska Bystrika. Il Congresso ebraico europeo ha lanciato un appello ai vertici dell'ue: Prima che sia troppo tardi, bisogna intervenire contrastando l'avanzata dei partiti politici neonazisti,, ha affermato il presidente Moshe Kantor. Loro, ha aggiunto, vincono e usano i sistemi democratici contro la democrazia, che invece arretra. La vittoria di Kotleba, noto per gli argomenti razzisti usati contro i rom, è avvenuta nonostante che gli analisti gli avessero date scarse probabilità di diventare governatore. Invece il 55,5% conseguito nella conta delle schede è riuscito a trasformarlo nel simbolo di ciò che l'europa potrebbe diventare se si alleassero le Un Europa unita dal nazionalismo Molti i partiti che rifiutano il concetto di integrazione e sono intolleranti verso stranieri e culture diverse destre xenofobe in vista delle prossime elezioni europee. Insegnante, Kotleba è stato il leader del partito di estrema destra Slovenska Pospolitos t (Comunità slovacca), sospeso per legge, ma poi ricostituito nell attuale partito Nostra Slovacchia, i cui membri si riuniscono negli appuntamenti ufficiali vestiti in uniforme militare. Diverse volte Kotleba è stato arrestato e accusato di incitazione all'odio etnico contro i rom, che in Slovacchia sono circa , dei quali la metà perfettamente integrati. Nel mirino dei suoi comizi e delle sue dichiarazioni sono entrati oltre ai rom, la Nato, definita un'organizzazione terrorista; l'euro, che getterebbe nella spazzatura; e l'olocausto, puntualmente negato. Insomma, tutto l'armamentario concettuale del populismo europeo e neonazista. Dopo la prima guerra mondiale la piccola Europa si ritrovò a guardare in faccia una gigantesca crisi, non solo una crisi economica ma anche una crisi di identità. Un gap morale che ha poi ha portato ai campi di sterminio, al nazifascismo, e più intrinsecamente all odio contro altri esseri umani, una colpevolizzazione delle minoranze. Odio, violenza ed intolleranza che oggi riappaiono. Alba Dorata in Grecia è il partito macchiatosi dell'assassinio del rapper Pavlos Fyssas. Accusato di aver costituito gruppi armati paramilitari e campi di addestramento, è riuscito a far eleggere 18 militanti in parlamento. Un altro partito di matrice estremista, che si oppone alla globalizzazione e al multiculturalismo, ma che parallelamente detiene 47 seggi all interno del Parlamento Nazionale e 3 al Parlamento Europeo è "Jobbik", la punta dell'estrema destra ungherese e terzo partito della nazione. Marton Gyongyosi, deputato di spicco di questo partito, propose addirittura di stilare una lista dei funzionari statali di religione ebraica perché ritenuti "una minaccia per la sicurezza del paese", affermazione poi corretta cambiando le parole "religione ebraica" con "cittadinanza israeliana". Come non citare i "Democratici Svedesi", ai quali senza lasciarsi ingannare dal nome, la politica nazional-conservatrice ha fruttato ben 20 seggi in parlamento. In Svezia non sono l'unico gruppo xenofobo, altri tre gruppi che non hanno rappresentanti sono i "Democratici Nazionali", il "Partito degli Svedesi" e il "Movimento di Resistenza Svedese" di chiara tendenza neonazista. I "Veri Finlandesi" poi, in lotta contro gli stranieri nonostante risultino essere solo il 2,5% della popolazione, si ritrovano a definirsi "amici di Israele", portando avanti però un'aspra critica contro la burocrazia Europea. La lista non finisce qui: in Germania la Corte Costituzionale non ha mai accettato di dichiarare l'incostituzionalità del "Partito Nazional-Democratico Tedesco", dichiaratamente ispirato alle politiche hitleriane. Considerando anche il ruolo di Le Pen in Francia, è ormai chiaro che stanno risorgendo le grandi spinte nazionaliste. Rebecca Mieli 11

12 MONDO Troppi sorrisi e strette di mano tra Italia e Iran È una caratteristica culturale del nostro Paese abbandonarsi con facilità alla retorica, dimenticando che gli ayatollah sono una dittatura e guidano un regime integralista 12 Quuando arrivo in Italia da Israele, sono affamata di giornali, notizie, rassegne stampa. E una inveterata abitudine da giornalista, la droga del mestiere, e anzi mi domando sempre come ho potuto, a Gerusalemme, consumare dosi tanto basse di eccitante nostrano. La risposta però mi viene dalle pagine stesse dei nostri giornali: quando sono distratta da altre notizie, quelle del mondo, leggo poco la nostra stampa, specie nelle pagine di esteri, perché si tratta di sostanza tossica. Per esempio, in questi giorni sono rimasta avvelenata dall eccitazione inconsulta che ha accompagnato il viaggio in Iran di Emma Bonino, il nostro ministro degli esteri con la quale ho una antica consuetudine e una certa condivisione di obiettivi relativi alle donne, ai diritti umani, all avversione alla pena di morte, al rifiuto di ogni discriminazione razziale e sessuale. La Bonino che è radicale, è anche necessariamente pacifista: so let it be. Fa parte della sua storia, del suo gusto, del suo diritto. Ma i giornalisti, non sono tutti pacifisti. E invece è stata una vera e propria sbornia collettiva quella che ha accompagnato il viaggio del nostro ministro degli Esteri, le parole alate con cui si sono descritti i suoi incontri con i vari rappresentanti della politica e della società del Paese degli ayatollah. Tutto La biografia di Rohani non contiene l'elemento della "moderazione", come vorremmo. Lui stesso ha dichiarato che i suoi voleri sono quelli legati al consiglio supremo guidato dal leader massimo, Khamenei è stato dato per fatto e soprattutto la speranza convinta che la Bonino, nella sua visita ufficiale a Teheran, abbia potuto insegnare le buone maniere in campo di pena di morte, di diritti umani, di diritti delle donne, e forse anche di arricchimento dell uranio. La sua visita avrebbe in certo modo certificato le buone intenzioni della dittatura degli ayatollah: ma che quel suo velo in testa sia di aiuto e non di danno alla battaglia di libertà delle donne nei Paesi islamici, così dura e tragica laddove ancora si lapidano per sospetto di una relazione illecita, è molto imprudente pensarlo. E una caratteristica culturale del nostro paese abbandonarsi con facilità alla retorica, senza pensare in termini analitici sull idea (ritenuta automaticamente positiva) che l Italia sia in prima fila in quello che viene chiamato senza esitazione il nuovo Iran o esaltarsi quando Rohani afferma che l Italia ha aperto le porte al paese degli Ayatollah. Ma questa certificazione di moderazione e di novità suona come un puro wishful thinking, o peggio un oltraggio, se vi capita, come è capitato a me, di raccogliere le lacrime di chi è stato toccato direttamente dalle 400 esecuzioni che sono state compiute dal momento dell elezione di Rohani. La questione iraniana è innanzitutto minaccia nucleare per il mondo intero (fra un attimo ne parleremo), ma occorre anche sempre ricordare che troppi sorrisi e strette di mano non sono consoni al rapporto con un governo che opprime nel suo paese tutte le minoranze, Azeri, Kurdi, Baluchi, Arabi e altri; che odia Israele e ne promette la totale distruzione anche nei giorni delle trattative del P5+1; propugna una teoria fondamentalista che programma l imposizione del califfato e la sharia universali; promuove il terrorismo in tutto il mondo in prima persona e tramite l uso degli Hezbollah (che sono nella lista europea e americana del terrore) cui ha fornito 70mila missili; sostiene Assad, il rais siriano che compie genocidio contro il suo popolo, e lo aiuta nelle sue stragi di civili; tortura, imprigiona, uccide i dissidenti, impicca gli omosessuali. Oggi come oggi la situazione è questa, perché anticipare rispetto a ogni prova che vi sia un reale cambiamento in corso, il sorriso della speranza? Prima i fatti, poi le parole. La biografia di Rohani non contiene l elemento della moderazione, come vorremmo. Lui stesso ha dichiarato che i suoi voleri sono quelli legati al consiglio supremo guidato dal leader massimo, Khamenei. Il presidente iraniano è un personaggio di lungo curriculum super islamista, a suo tempo molto vicino a Khomeini e adesso tanto vicino al leader supremo Khamenei da essere stato sostanzialmente selezionato da lui, fra decine di contendenti, come candidato principe alla presidenza. Khamenei è una antica volpe dall immenso potere e dalle immense ricchezze, la cui consapevolezza che le sanzione create dai duri toni di Ahmadinejad stavano portando il suo Paese alla rovina è sfociata nella convinzione di dovere mostrare al mondo una faccia un pò diversa da quella del puro odio per l occidente. Ma Khamenei è il sommo leader che ha da pochi giorni chiamato Israele un cane rabbioso da eliminare e ha fatto scandire ai suoi morte all America. E

13 Rohani è l ayatollah che era consigliere per la sicurezza nazionale quando nel 2003 l Iran decise di nascondere lo sviluppo nucleare al mondo e divenne operativo lo Shihab 3, il missile che può portare le testate atomiche. E un teorico dell infingimento, la taqiyeh teorizzata dall Islam, e ha spiegato lui stesso come ha saputo mentire come nessun altro mentre era capo negoziatore durante i colloqui con l UE 3, Germania, Francia e Inghilterra. Se ne è vantato in un famoso discorso che avrebbe dovuto restare segreto del 2006, quando ha dichiarato in tono molto fiero: Mentre parlavamo agli europei a Teheran, installavamo parti dell impianto di Ishfahan. L accordo semestrale del novembre scorso è un accordo che i P5+1 hanno coralmente descritto, chi più chi meno, come un accordo monco. In una parola il fatto che l uranio arricchito resti sul suolo nazionale, che la sua degradazione sia tutta in mani iraniane, che l Iran per la prima volta nella storia abbia avuto l autorizzazione internazionale a arricchire l uranio sia pure al 3,5 per cento, crea una situazione di estrema incertezza perché i mezzi in mano del governo iraniano sono tali che un puro cambiamento di volontà politica può portare a un rapido arricchimento fino a ottenere la quantità necessaria di uranio per la bomba. Tutti i contraenti desiderano migliorare l accordo e ottenere dall Iran delle autentiche rassicurazioni che per ora sono solo pie illusioni, tanto che il Senato americano non solo non è stato d accordo con la diminuzione delle sanzioni, ma ne vorrebbe imporre di nuove. Insomma la questione iraniana deve ancora essere affrontata a fondo rispetto al tema nucleare, già di per sé enorme, carico di punti interrogativi che riguardano il futuro dei nostro figli e nipoti. In più la questione iraniana riguarda la nostra disponibilità a ricordare le stragi del 2009 quando Neda fu uccisa per strada dai Basiji mentre protestava per un futuro migliore, riguarda la necessità di fermare la violenza di un regime spietato in cui le Guardie della Rivoluzione la fanno da padrone, di costringere uno stato aggressivo, antisemita, antioccidentale e terrorista a cambiare strada. MIìi sembra che ce lo siamo dimenticato. Prima di abbeverarci alle fonti dell ebrezza pacifista, ricordiamoci le nostre responsabilità. FIAMMA NIRENSTEIN Nella pagina a fianco: Emma Bonino con il ministro degli Esteri Iraniano Mohammad Javad Zarif. In alto: L Ayatollah Ali Khamenei (a sinistra) con il Presidente Hassan Rohani GRANSALUTE La sicurezza delle migliori cure per tutta la vita Puoi sottoscrivere GRAN SALUTE FINO A 55 ANNI! GRANSALUTE è la polizza sanitaria che ti consente di costruire una copertura assicurativa per avere le migliori cure ed un efficace servizio di prevenzione per tutta la vita. GRANSALUTE offre certezza e serenità PER SEMPRE: infatti, dopo il primo rinnovo, la polizza può essere disdetta solo dall Assicurato e in nessun caso dalla Compagnia. GRANSALUTE offre un check-up completo e gratuito ogni 2 anni, in base alle proprie condizioni di polizza. Vieni in agenzia per avere maggiori informazioni e chiederci un preventivo AGENZIA GENERALE DI ROMA PARIOLI Shirly Tammam Via D. Chelini, ROMA (RM) Tel. 06/ Fax 06/ agenziam05@toroassicurazioni.net Attenzione: tutte le prestazioni indicate sono fornite alle condizioni e nei limiti previsti dal fascicolo informativo Prima della sottoscrizione leggere il Fascicolo Informativo reperibile nelle Agenzie Toro o sul sito internet 13

14 MONDO Omissione & Ossessione Il costante tentativo di delegittimare Israele, perfino in occasione dei funerali di Mandela Tra le varie forme di delegittimazione di Israele, ce ne sono due, meno evidenti, ma proprio per questo più pericolose. La prima consiste nell omissione, cioè non rendere pubblica una certa notizia oppure darla omettendo parti essenziali che ne permetterebbero una corretta comprensione. La seconda potremmo definirla Israele come ossessione, che appartiene in genere a chi non fa parte di gruppi o movimenti legati vistosamente a iniziative chiaramente politiche, come, ad esempio, il BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), ma opera piuttosto a livello culturale, accademico. Cominciamo dalla prima. Bibi Netanyahu è stato protagonista di un iniziativa che avrebbe dovuto interessare i media di tutto il mondo, quei media che non perdono mai occasione di presentare Israele quale responsabile del mancato progredire dei colloqui di pace con la controparte Anp. Invece nulla, è stata ignorata pressoché integralmente. Che cosa aveva detto Bibi di così importante? Giudichi il lettore: aveva invitato Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell Anp a venire a Gerusalemme, dove avrebbe potuto rivolgersi agli israeliani dalla tribuna della Knesset, un onore che viene concesso in genere ai capi di Stato. Il pensiero corre immediatamente a un precedente illustre, l arrivo nella capitale di Israele del presidente egiziano Anwar Sadat, che nel 1977 dalla Knesset rivolse a Israele un discorso dal quale nacque la pace fra i due Stati. Bibi, come Begin, aveva lanciato a Abu Mazen la stessa opportunità, un occasione per un doppio riconoscimento, che avrebbe pesato positivamente sui colloqui in corso. Bibi affermò che non era possibile riconoscere uno Stato palestinese se l Anp non riconosceva contemporaneamente lo Stato degli ebrei. Sarebbe andato poi a Ramallah, per ricambiare la visita. La risposta di Abu Mazen è stata un secco NO, non riconoscerò mai il carattere ebraico di Israele, disse. Uno si chiede come mai una notizia simile sia stata censurata da giornali e Tv di tutto il mondo, anche se la risposta è facile, il gesto di Netanyahu avrebbe fatto capire all opinione pubblica internazionale da che parte stava la volontà di pace e chi vi si opponeva. Le seconda, è quella di chi vive Israele come una ossessione, non un Paese normale, ma uno Stato che va criticato - quindi delegittimato - qualunque cosa dica o faccia. L occasione è stato il funerale di Nelson Mandela, al quale hanno partecipato primi ministri e capi di Stato. Israele ha inviato il presidente della Knesset e esponenti politici e diplomatici di alto livello, ma non il Primo Ministro e non il Capo dello Stato. Netanyahu aveva impegni importanti da seguire e Peres era a letto con l influenza. Invece di prenderne atto come un fatto normale, si sono scatenate le interpretazioni. Ecco come una docente universitaria - a Firenze insegna storia contemporanea - Maria Grazia Enardu, ha scritto su un sito, il cui direttore è il giornalista Giancarlo Santalmassi e il presidente del comitato scientifico è Innocenzo Cipolletta, non proprio degli ultimi arrivati, sotto al titolo: Mancava solo Bibi ( net/esteri/ /2268/ mancava_solo_bibi/): Chi non c'era era Bibi, noto anche come Benjamin Netanyahu, e per quale ragione? non voleva pesare sul contribuente per gli alti costi del viaggio. L'uomo sbeffeggiato sui giornali per un faraonico viaggio a Londra, per le migliaia di dollari spesi in candele profumate e gelati, risparmia almeno su questo. E' la scusa più idiota, anzi offensiva, che abbia potuto trovare. Certo, non può dire che considera il defunto troppo filopalestinese e anche un po critico di Israele, paese che Mandela peraltro rispettava molto, ma non su certi aspetti. E' anche vero che avrebbe rischiato di incontrare il presidente dell'iran Rouhani, ma poteva sempre chiedere una seggiola da un'altra parte. Comunque non c'è andato, spiazzando molti in Israele e anche il presidente Peres, pare, reduce da un'influenza con i suoi 90 anni. Ha mandato una folta delegazione, sei parlamentari, compreso lo speaker della Knesset, si saranno persi nella folla. Se questi sono i toni con i quali si esprime una docente di Storia Contemporanea, non ci vuole molto a capire il livello delle sue lezioni. Quale insegnamento ne trarranno i malcapitati suoi studenti? E così che si insegna Storia? E questo il linguaggio di una docente universitaria, o non è piuttosto la manifestazione, grossolanamente volgare, di una ossessione che non può fare a meno di alimentarsi a qualunque costo? Sono due esempi che ci aiutano a capire come si trasmette la disinformazione: omettendo e ossessivamente - manipolando. Angelo Pezzana 14

15 Penso che la saggistica postmoderna che addebita alla cultura occidentale essenzialista tutti i mali del mondo sia un prodotto ideologico deteriore. A tale categoria appartiene il celebre saggio Orientalism di Edward Said che riduce tutte le manifestazioni culturali dell occidente a espressioni di una mitologia razzista che vede le culture diverse come un folklore orientale e mette nel mirino soprattutto il sionismo visto come somma manifestazione di questo razzismo. Le generalizzazioni sfociano sempre nella più rozza intolleranza, ma il rigetto di quegli eccessi non può farci chiudere gli occhi di fronte alle manifestazioni di razzismo della cultura europea che racchiudono i germi delle tragedie del Novecento. Lasciano esterrefatti i passaggi dedicati da Georg Wilhelm Friedrich Hegel all Africa, che egli considerava come un continente privo di storia. Egli scriveva: «Nell Africa vera e propria (l Africa subsahariana) è la sensibilità il punto a cui l uomo resta fermo: l assoluta incapacità di evolversi. [ ] È il paese dell oro, che resta concentrato in sé: il paese infantile, avviluppato nel nero colore della notte al di là del giorno della storia consapevole di sé. [...] In questa parte principale dell Africa non può aver luogo storia vera e propria. Sono accidentalità, sorprese, che si susseguono. Non vi è un fine, uno stato, a cui si possa mirare: non vi è una soggettività, ma solo una serie di soggetti che si distruggono». E a proposito degli africani: «Nel caso dei negri, l elemento caratteristico è dato proprio dal fatto che la loro coscienza non è ancora giunta a intuire una qualsiasi oggettività come, per esempio, Dio, la legge: mediante tale oggettività l uomo se ne starebbe con la propria volontà e intuirebbe la propria essenza. Nella sua unità indistinta, compressa, l africano non è ancora giunto alla distinzione fra se stesso considerato ora come individuo ora come universalità essenziale, onde gli manca Mandela e il senso della storia Riappropriamoci dei grandi sentimenti e degli ideali che hanno sconfitto l apartheid: rompere le barriere dell odio, condividere i valori universali, affermare l uguaglianza degli uomini qualsiasi nozione di un essenza assoluta, diversa e superiore rispetto all esistenza individuale. [ ] il negro incarna l uomo allo stato di natura in tutta in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza. Se vogliamo farci di lui un idea corretta, dobbiamo fare astrazione da qualsiasi nozione di rispetto, di morale, da tutto ciò che va sotto il nome di sentimento: in questo carattere non possiamo trovare nulla che contenga anche soltanto un eco di umanità». È anche ben nota la lettera in cui Hegel raccontava le sue impressioni di fronte a Napoleone che entrava a cavallo in Jena alla testa delle truppe francesi vittoriose: «Ho visto l imperatore quest anima del mondo cavalcare attraverso la città per andare in ricognizione: è davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su di un cavallo, abbraccia il mondo e lo domina». Sarebbe interessante chiedere a Hegel redivivo quali sentimenti desta la fotografia di Nelson Mandela che stringe la mano al capitano degli Springboks, la squadra di rugby sudafricana, che era uno dei simboli dell apartheid, mentre ne indossava egli stesso la maglia. Forse è un immagine meno pomposa di un uomo a cavallo. Ma non è una straordinaria espressione dell anima del mondo, di un mondo che vuole rompere le barriere dell odio con un atto di suprema generosità? Non diremmo che in quella persona e in quel luogo africano si è avuta una delle massime manifestazioni della storia? Altro che continente e uomini senza storia! È piuttosto il nostro continente a essersi svuotato di storia, prima per aver coltivato i miti dell igiene razziale e sociale, e ora per l incapacità di vivere grandi sentimenti e ideali e per la miseria di credere che sia possibile sopravvivere appesi ad aride manipolazioni tecnocratiche. Oggi il Sudafrica è un paese attraversato da terribili contraddizioni che potrebbero far fallire il progetto di Nelson Mandela, ma gli resta lo spirito impresso dal suo messaggio e cioè una voglia fortissima di andare avanti e costruire, qualcosa di cui le nostre stanche società sono sempre più povere. Il rischio della retorica è sempre in agguato e v è chi ha messo in guardia contro di esso in questi tempi di commemorazione della figura di Mandela, ma questo non può essere un pretesto per sminuirne la grandezza in tempi così poveri di ideali e della loro realizzazione. L esempio concreto dell abbattimento di barriere di odio che erano state consolidate per tanto tempo in modo implacabile non può non essere a cuore di chi, come gli ebrei, è stato vittima per eccellenza dell odio razziale. Fa piacere leggere l analisi documentata con cui si è mostrato che il famoso parallelismo tra palestinesi e neri sudafricani non è stato mai pronunciato da Mandela, ma anche se egli avesse commesso questa scivolata il giudizio su di lui non sarebbe potuto essere diverso e una presenza ai massimi livelli del governo israeliano ai funerali sarebbe stata una scelta giusta. Sappiamo bene che il parallelismo tra la condizione palestinese e l apartheid ha attecchito, soprattutto in parecchie università sudafricane (pur con significative prese di distanza), ma questo è un motivo di più per combattere senza quartiere la propaganda che tenta di alimentare l odio e le divisioni. Una persona mi ha scritto chiedendosi perché non vi sia un Mandela nel mondo arabo. In verità, vi è stato, nella persona del presidente egiziano Sadat, e si sa quale ne fu la sorte. Si sa anche quale fu la risposta da parte israeliana, a dimostrazione che il riconoscimento del diritto all esistenza di Israele è la chiave che apre tutte le porte. È un esempio che andrebbe ricordato continuamente per far capire quanto sia sbagliato ogni paragone con l apartheid e quanto sarebbe facile aprire le porte della pace. Tanto quanto è difficile che nasca un Mandela dove manca un autentico senso della storia. Giorgio Israel 15

16 ITALIA Accordo nucleare iraniano: l unica a guadagnarci è Teheran sul programma nucleare iraniano del 24 novembre scorso tra Teheran e il cosiddetto gruppo dei 5+1 (USA, Russia, Regno Unito, Cina, Francia e L accordo Germania) ha lasciato molte perplessità. Su questo argomento si è svolta la tavola rotonda «Un nuovo Iran? Cosa si nasconde dietro la charm diplomacy iraniana», organizzato dalla Fondazione Magna Carta. Dopo i saluti iniziali del Presidente della Commissione Esteri della Camera Fabrizio Cicchitto, sono intervenuti esperti relatori, moderati da Emanuele Ottolenghi, Senior Fellow alla Foundation for defence of democracy di Washington. Questi ha illustrato i reali vantaggi ottenuti dall Iran con l alleggerimento delle sanzioni: assai limitati saranno i profitti per i privati, mentre a fruirne saranno i settori petrolchimico, automobilistico e dell aviazione, dietro i quali si celano i poteri forti del Paese, con società controllate dalla Guida Suprema, l ayatollah Khamenei, o dai Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, le categorie che in Iran di fatto detengono anche il potere politico. A Ginevra, altri due elementi che fungevano da deterrenti sono venuti meno: il timore di un rovesciamento del regime e la minaccia militare, per un atteggiamento dell Occidente percepito a Teheran come una sostanziale acquiescenza, ha concluso Ottolenghi. Luca La Bella, Senior Analyst Desk Asia al Centro Studi Internazionali, si è soffermato ancora sugli equilibri economici e sulle competenze politiche dei diversi organi: i Pasdaran, già forti dei guadagni ottenuti anche negli anni delle sanzioni grazie alla gestione dell economia sommersa, si sono così garantiti ulteriori profitti. Contrariamente alle Guardie della Rivoluzione e a Khamenei, al Presidente spettano invece poteri assai limitati, tanto più nel caso di Rouhani, che si presenta appoggiato da una delle fazioni più deboli. Per questi motivi, anche secondo La Bella, l accordo di Ginevra non è stato il migliore degli accordi possibili né un vero e proprio rapprochement tra Iran e Stati Uniti. L intervento di Fiamma Nirenstein, giornalista esperta di Medio Oriente ed ex parlamentare, si è basato sugli scenari futuri. A Ginevra non si è vietato all Iran l arricchimento dell uranio, né si è intervenuti sulle quantità già arricchite. Con questo trattato, inoltre, si è elusa la maggiore ampiezza della questione iraniana, non legata esclusivamente al problema del nucleare: si tratta di uno Stato che ha minacciato la distruzione di un altro Paese, esporta terrorismo, lapida le donne, incarcera gli oppositori politici, sottopone a persecuzioni le minoranze. Il gesto di Obama, dunque, basato sulla buonafede e finalizzato al raggiungimento della pace, rischia di sortire l effetto opposto, generando ulteriori spaccature in un Medio Oriente già instabile dove i movimenti estremisti, da al Qaeda ai salafiti, si stanno rafforzando. Proprio alle minoranze ha rivolto la propria attenzione il ricercatore curdo iraniano Alan Salehzadeh: l Iran continua a diffondere un ideologia anti-israeliana ed una propaganda contro i diritti umani e la democrazia; in questo quadro, i diritti per le minoranze, circa il 50% della popolazione, non vengono rispettati: arabi, curdi, azeri, balusci sono infatti considerati cittadini di seconda classe. Emiliano Stornelli, Senior Fellow del Comitato Atlantico, ha ravvisato nelle esigenze economiche l incentivo dell Iran a negoziare con l Occidente, proponendo un analogia con il 1989, quando, all indomani della guerra con l Iraq, si iniziò una svolta moderata con Rafsanjani, con lo scopo di acquisire credibilità e soprattutto di attrarre investimenti dall estero. Non mancano i buoni auspici: come ha fatto notare l Ambasciatore Guido Lenzi, intervenuto dal pubblico, l Iran è oggi tornato ad essere un membro effettivo della Comunità internazionale e potrà essere messo di fronte alle proprie responsabilità. Sperando che questo non sia, come ha replicato Fiamma Nirenstein, un vantaggio troppo piccolo. Daniele Toscano 16

17 La matematica ha una nuova regola: la media renziana Nessun dubbio che serva nel Paese una ventata di ringiovanimento, ma attenzione: la qualità non sta automaticamente nell età anagrafica C è una frase terrificante che ha caratterizzato le ultime giornate della vita politica del Partito Democratico, non ti posso includere fra gli incarichi politici, perché mi alteri la media. Qualunque forma di esclusione predeterminata viola il principio di uguaglianza su cui si basa ogni democrazia, ma ciò che è più grave è che un criterio del genere sia stato assimilato come se fosse un valore dell essere giovani, e non un dato. La stampa ha assorbito il vulnus come fosse normale, fatte salve rarissime eccezioni, sostenendo che questa sia la sola cura per il nostro paese. L ospizio Italia chiude: apre l asilo? La gioventù è una fase della vita e non una sua ragione e laddove l accezione diventi questa, i risultati in quanto tali, possono anche essere ridicoli, nella migliore delle ipotesi, o razzisti in quella peggiore ma più definitiva. Nessun dubbio che serva nel Paese una ventata di ringiovanimento, spazzare via gente che era ancorata alle proprie rendite, di posizione o potere non importa. Ma pensare che tutto questo si risolva chiudendo gli ultracinquantenni a Villa Arzilla, mi fa venire i brividi, ma forse è l inverno Giovinezza che si fugge tuttavia. Quando sarà fuggita che faranno i giovani che oggi sono nella media? Gli correranno dietro liftati? Non ho risposte chiare: provo a tentare qualche ragionamento. In questo anno appena concluso abbiamo festeggiato il centenario di un grande movimento l Hashomer Hatzair, un movimento sionista socialista che tanta parte ha avuto nella forma in cui lo Stato ebraico è venuto a costruirsi, e che ha educato decine di migliaia di giovani ebrei in tutto il mondo, nei festeggiamenti è stato, giustamente sottolineato, il ruolo che il movimento ha avuto nella formazione dell identità ebraica, e non, di intere generazioni. Due parole vanno evidenziate nel passaggio precedente: educare e generazioni. Da quando esiste il mondo l esperienza, la saggezza sono valori che si trasmettono non solo educando ma anche in contesti di confronto e dialogo, in cui le medie esistono solo come valore matematico su cui riflettere. Il patto fra generazioni, ha imposto a me, che venivo da una famiglia decimata dalla Shoà, avvilita dalle sofferenze della guerra, stremata dalla malnutrizione, l impegno politico. Il mio impegno nel mondo ebraico ha rinforzato l atmosfera ebraica delle nostre feste, la mia famiglia si è allargata, ma si è allargata anche quella dei miei genitori, coinvolti in sedarim in cui i posti a sedere erano talmente tanti da mettere le tavole imbandite in diagonale, altrimenti non ci sarebbe stato posto per tutti. Oppure quando proseguendo l impegno sono passata dall associazionismo ebraico a quello laico europeo, dove ero sempre in nome e per conto della mia associazione la FGEI, lì ho potuto aprire le porte del mio mondo a spazi di confronto che sono stati fonte anche di scontri all interno della mia famiglia e della mia comunità. Ma non l ho mai fatto perché ero giovane; ero, come tanti, appassionata dell avventura di poter rappresentare il nostro pensiero, potermi battere per le nostre battaglie in luoghi inimmaginabili fino a dieci anni prima, stiamo parlando degli anni Settanta, non della fine dell Ottocento. La mia identità ha forgiato il mio modo di pormi nella politica come poi nella professione. Senza quella scelta di impegno profondo non ci sarebbe stata l avventura di Mosca del 1984, in cui una delegazione italiana, composta da tutte le associazioni, partitiche, non governative, laiche confessionali, atterra e porta 350 giovani ebrei, che partecipano a quell evento in quanto tali e non altro. Prima di partire fummo tutti istruiti su quello che ci aspettava e su come sarebbe stato opportuno affrontarlo, noi ci andavamo in quanto giovani perché quello ero un luogo di incontro di giovani. Non voglio vivere in un paese in cui sei rottamata perché mi alzi la media. Fra l altro non sono ancora riuscita a capire: cosa pensa il giovane segretario del PD del confronto con le altre identità culturali, religiose, etniche? Sono certa che qualcuno sarà già salito sul carro per spiegarglielo, ma speriamo sia giovane a sufficienza perché lui lo ascolti. Nel frattempo seguiterò ad insegnare spiegando a chi avrà la bontà di stare a sentire, ciò che ho imparato in anni di studi e seguiterò ad imparare dalle tantissime persone, senza distinzione di religione, razza, sesso, ed età, che hanno tantissime cose da insegnarmi. Clelia Piperno LITOS ROMA Via G. Veronese, 34 Tel PARTECIPAZIONI BIRCHONIM - LIBRETTI 17

18 GENNAIO 2014 SIVAN SHEVAT FOCUS 27 GENNAIO Il Giorno della Memoria e quello dei finti smemorati Per certe indispensabili contabilità il tempo dei bilanci dovrebbe sempre coincidere con il tempo di ogni giornata. No, non ci riferiamo alla disastrata contabilità della Repubblica Italiana, e neppure ai problematici bilanci delle Comunità. Più semplicemente, occorre rendersi conto che anche per il Giorno della Memoria, fissato per legge al 27 gennaio di tutti gli anni, è arrivata la stagione della contabilità, senza retorica e senza ipocrisie istituzionali. E la contabilità più spietata è quella dei risultati operativi in termini di educazione alla buona cittadinanza, al rispetto dei diritti umani elementari, alla memoria storica libera da illusioni e pratiche consolatorie. Altrimenti quel che è accaduto accadrà di nuovo anche in Europa: come insegnano le pulizie etniche nella ex-jugoslavia, anche se non sappiamo ancora per quali vittime già designate. Molte volte abbiamo visto nelle rievocazioni del secondo conflitto mondiale i campi di sterminio, le colonne infinite di prigionieri russi destinati alla morte dalle SS, come anche Hitler e Mussolini acclamati da folle in festa per la distruzione delle città inglesi nel Ma poi ad accompagnare surrettiziamente sofisticate analisi storiografiche poco fruibili da un opinione pubblica spesso distratta e impreparata, ecco scorrere le immagini strazianti dei bombardamenti alleati sull Italia e sulla Germania, o addirittura delle rovine radioattive di Hiroshima e Nagasaki. Mettendo malignamente sullo stesso piano i mezzi che si dovettero usare per battere coloro che a Berlino, a Roma e a Tokio avevano attentamente preparato l aggressione, e si erano poi macchiati di crimini spaventevoli. Il Giorno della Memoria vale ormai soprattutto per studenti volenterosi e per i loro insegnanti, se preparati e motivati quando li guidano durante una decisiva esperienza di formazione. Studentesse e studenti che ci aiutano a dimenticare troppe spente celebrazioni scolastiche e troppi ragazzi che seguono le seduzioni della nuova destra, intellettuale o forconiana che sia. Vediamo benissimo però quanti fanno del revisionismo Master internazionale in didattica della Shoah Bando di iscrizione anno accademico Sono aperte le iscrizioni al Master internazionale di II livello in didattica della Shoah presso l'università Roma III. Il Master è al nono anno di attività. Alle attività formative del Master, ideato e diretto dal prof. David Meghnagi, concorrono storici, psicologi, filosofi, sociologi e studiosi di arte e letteratura delle principali università italiane ed estere (Roma Tre, La Sapienza. Tor Vergata, Torino, Bologna, Padova, Brescia, Boston, Parigi La Sorbona, Tel Aviv, Gerusalemme, Berlino). Sono previste borse di studio per studenti meritevoli. Il numero massimo d iscritti è fissato a 10 studenti per un totale di 1500 ore formative. Per informazioni contattare david.meghnagi@uniroma3.it storico una professione ben retribuita, e della criminalizzazione di ogni differenza un progetto politico lucidamente perseguito ed orientato. Dei luoghi comuni antiebraici si fa normale merce di scambio mediatica, nell attesa della dichiarazione di pubblica condanna che puntualmente arriverà dall UCEI. Condanne giuste, inevitabili, ma scontate. Le quali provocano purtroppo anche il danno collaterale di garantire a chiunque visibilità e perfino quei 15 minuti di celebrità non innocua dei quali raccontava Andy Warhol. Ma cos altro si potrebbe fare in momenti difficili, quando ormai il più antico, tradizionale e talvolta letale antisemitismo della destra estrema è tornato a rialzare la testa senza paura e senza maschera? Dopo i comunicati stampa resterebbe forse lo sciopero istituzionale. No, care Grandi Istituzioni della Repubblica non stiamo più al gioco, se dobbiamo adattarci a scuse tardive dopo l uso del termine marchette, quasi lo Stato si fosse prostituito per un riconoscimento ai luoghi veri della memoria; se leggiamo di un agitatore di piazze che blatera di Italia schiava dei banchieri ebrei ; se ascoltiamo il comico di un varietà televisivo dare per scontato che nel gergo del bar sotto casa il termine rabbino equivale a tirchio. Sciopero istituzionale? Ma no, troppo difficile spiegare che certo non si mette in dubbio la buona fede e la sicura fede democratica dei governanti Però è forse arrivato il momento della tolleranza zero, poiché la più antica delle minoranze presenti sul territorio della Repubblica francamente non ne può più. Né ci si deve nascondere la realtà preoccupante di una sinistra - o sedicente tale - che da decenni alimenta i peggiori stereotipi antiebraici riversando sullo Stato di Israele le peggiori responsabilità: che si tratti di estremismo islamico, di incertezze statunitensi nella crisi siriana, di golpismo dei militari egiziani, di insediamenti in Giudea e Samaria (per zone forse equivalenti all area interna al Grande Raccordo Anulare, in termini di superficie, ma elevate al rango di massimo fattore destabilizzante nella grande politica internazionale), e non importa se non funziona più la favola del militarismo sionista che mette in pericolo l ordine tranquillo, soltanto un po autoritario, dei regimi arabi confinanti. Non a caso, in Israele si ritiene Putin più affidabile di Obama. E qui da noi? Dalle news ufficiali del servizio pubblico presunto progressista il popolo italiano può tuttora apprendere che la posizione israeliana sui progetti atomici di Teheran è oltranzista. Guarda caso, proprio mentre Lady Ashton - dopo aver negoziato per conto dell Unione Europea un malfunzionante patto del diavolo con l Iran - si preoccupa chissà mai perché dei missili nuovamente schierati dalla Russia un tempo sovietica sui confini orientali dell Europa. Certo, il Giorno della Memoria staremo tutti dove siamo attesi. Ma per favore sia avviata anche una spending review dell ipocrisia, quando l Italia e l Europa ricordano la Shoà. Piero Di Nepi

19 Il ruolo di Israele nella costruzione della memoria ebraica del dopoguerra Lo Stato ebraico non è nato a causa della Shoah, ma nonostante la Shoah Proviamo a immaginare che cosa sarebbe accaduto se lo Stato ebraico, appena proclamato, fosse uscito sconfitto nel violento attacco che gli era stato mosso dagli eserciti arabi. Proviamo a immaginare quale sarebbe stata la vita ebraica nel dopo guerra se, all indomani della più grande delle catastrofi, le speranze residue di una rinascita fossero state violentemente spezzate e gli scampati dai Lager fossero stati uccisi insieme a chi aveva creato le basi per una vita indipendente nella Terra dei padri. Il lutto sarebbe diventato senza fine e la melanconia avrebbe rischiato di prendere il sopravvento sull amore per la vita. Se Israele fosse stato distrutto sul nascere, forse alcuni di coloro che oggi la osteggiano in nome di una malintesa e ipocrita solidarietà con gli oppressi, ne piangerebbero la distruzione. Alcuni di coloro che oggi cavalcano le false equazioni delle vittime di ieri trasformatesi in carnefici, ne piangerebbero la fine accusando l Occidente di avere tradito le sue promesse anche dopo l ecatombe nazista. Per fortuna le cose sono andate diversamente. Israele esiste e la vita ebraica è tornata a pulsare anche se nulla potrà mai riportare un intero mondo andato perduto. L identificazione crescente che gli ebrei di ogni luogo hanno in seguito sviluppato, ha qui il suo richiamo profondo. A differenza di quanto comunemente si ritenga, Israele non è nata a causa della Shoah. Non fu un atto di riparazione del mondo, come se ci fosse la possibilità di riparare un male così grande. Israele nacque nonostante la Shoah, per la capacità ebraica di sublimare il dolore, per la capacità della leadership sionista dell epoca di raccogliere con intelligenza e lungimiranza le sfide della politica. La tentazione, in alcuni settori del mondo politico europeo, di abbandonarlo al suo destino è un grave sintomo di fuga dalle responsabilità della politica, segno di un incomprensione profonda della vera posta in gioco oggi nei rapporti fra civiltà e culture. Non è in discussione il diritto di ogni democratico alla critica contro scelte politiche da cui dissente. La premessa è d obbligo per evitare fraintendimenti e falsi equivoci. La discussione critica è il sale della democrazia e la stampa israeliana è la prima a esercitarla in forme che farebbero il vanto di molte democrazie occidentali. A essere in discussione sono le forme talora assunte dalla critica, le figure e la retorica del discorso, i fantasmi sottesi. Per non parlare della falsificazione dei fatti, dei doppi standard di giudizio, delle false equazioni e della demonizzazione. Il debito che l Occidente ha verso Israele va oltre le tragedie che hanno insanguinato il secolo che si è chiuso. L Occidente così come si è definito dopo Auschwitz ha le sue origini in quel lembo di terra conteso. È l Europa a essere in realtà parte di Israele, perché l idea di Europa come la conosciamo dal dopoguerra è figlia della tragedia di Auschwitz e senza Israele sarebbe come se non fosse mai rinata. È l Occidente ad avere bisogno di Israele per dire a se stesso che la liberazione dei campi fu il passaggio a un nuovo ordine di valori condivisi, che hanno trovato posto nel diritto internazionale per quanto contraddittoria sia stata la loro successiva attuazione, l alba di un nuovo inizio e non una tregua, come Primo Levi con angoscia adombrava nei suoi incubi notturni dopo il suo ritorno a casa. Difendendo l esistenza di Israele, l Europa difende l unica immagine credibile di un suo futuro possibile. L accettazione piena di Israele e della sua esistenza nella sua antica striscia di terra madre, libererebbe l Islam dai conflitti in cui è avviluppato e aprirebbe la strada a un rinnovamento culturale per l intera regione mediorientale. Aprirsi un varco nel cuore dei popoli arabi, è per Israele una necessità vitale, oltre che un richiamo fondamentale ai valori che ne fondano l esistenza. L Europa e il mondo arabo, l Occidente e l Islam potranno parlarsi se Israele, in pace con il mondo arabo, sarà presente come testimone dei propri lutti e dei loro. David Meghnagi Prima agenzia a Roma certificata ISO 9001:2008 Funerale con inumazione nel cimitero Flaminio: - Autofunebre Mercedes - Feretro completo di accessori - Atto di morte e mod. 10 per inumazione - Auto assistenza al servizio (Rabbino) - Valletti per trasporto a spalla del feretro - Diritti di agenzia TOTALE: 1.680, H Via R. Lanciani, Roma - TRASPARENZA - QUALITÀ - CONVENIENZA GENNAIO 2014 SIVAN SHEVAT

20 ISRAELE Israele e Birmania, paesi amici nati nello stesso anno Agricoltura, sanità, difesa e istruzione sono i principali campi di una cooperazione che, tra alti e bassi, risale agli inizi degli anni La Birmania, nota ufficialmente col nome di Myanmar dal 1989 per volere della giunta militare allora al governo, sta attraversando una delicata fase di transizione che si gioca su almeno tre fronti (dalla dittatura alla democrazia, dalla chiusura economica alla globalizzazione, dalla guerra alla pace); tuttavia, questo Paese presenta delle interessanti potenzialità. Posto in un area strategicamente rilevante, quel sudest asiatico che ha già visto l exploit economico di numerosi altri Stati, il governo di Yangon si vede corteggiato sia dalla Cina, che guarda con interesse ad un possibile sbocco sull Oceano Indiano, sia dagli Stati Uniti, che, sin dal primo mandato di Obama, stanno rafforzando il quadro delle alleanze in estremo oriente. C è chi parla già di una nuova Tigre asiatica; una simile definizione è ad oggi prematura, ma innegabile è sicuramente l evoluzione politica, in corso ormai dal 2011, in virtù delle riforme promosse dal suo Presidente Thein Sein, sin dalla sua nomina a Capo di un governo nominalmente civile. Un amnistia ha concesso la libertà a numerosi prigionieri politici, inclusa Aung San Suu Kyi, che nel 2012 ha potuto finalmente ritirare il Premio Nobel per la pace assegnatole nel 1991 e che probabilmente correrà alle prossime elezioni presidenziali nel I progressi politici hanno portato anche un alleviarsi delle sanzioni, favorendo così una ripresa economica. Anche Israele ha dunque iniziato a guardare con interesse alle opportunità offerte dal nuovo corso del Myanmar. Un filo sottile già accomunava la storia dei due Paesi: entrambi hanno ottenuto l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948, anno in cui sono state inaugurate relazioni diplomatiche amichevoli. Non bisogna poi dimenticare la comunità ebraica presente in Birmania sin dal XVIII secolo. Nel 1955, poco dopo la Conferenza di Bandung, il Capo del Governo birmano U Nu visitò lo Stato ebraico, mentre David Ben Gurion, Primo Ministro israeliano, trascorse un lungo viaggio ufficiale nello Paese asiatico, inaugurando una tradizione che sarebbe stata mantenuta anche da altri suoi successori, tra cui Moshe Sharett, Golda Meir, Abba Eban, Moshe Dayan e Shimon Peres. Un accordo speciale concluso nel 1956 costituì la base per la costante crescita della cooperazione tra i due Paesi: da quel momento, infatti, Israele ha inviato numerosi esperti di agricoltura per aiutare i progetti birmani, contribuendo anche a dare vita al modello di un borgo agricolo nella zona secca a nord (il progetto Namsang ); sono poi stati messi in moto sistemi di irrigazione; l industria farmaceutica birmana è stata rifornita della tecnologia israeliana; è stata fondata in comune un impresa di costruzioni. La cooperazione si è estesa anche all esercito, con la formazione del corpo birmano dei paracadutisti da parte dei militari israeliani. Sotto il profilo commerciale, Israele negli anni ha importato un notevole quantitativo di riso dalla Birmania. Dal 1963 i rapporti si sono raffreddati, a causa soprattutto della scelta del Generale Ne Win di intraprendere una politica di nazionalizzazioni, autosufficienza e chiusura all esterno. Questa fase fu dura anche per le minoranze del Paese, cosicché molti ebrei birmani optarono per l Alyah. Ciononostante, scambi commerciali, rapporti culturali e flussi turistici tra Israele e Birmania sono proseguiti. Recentemente, Israele e Myanmar hanno avviato nuove iniziative di cooperazione in materia di agricoltura, sanità e istruzione; sono in procinto di essere coinvolti anche il commercio, la cultura, il turismo. A tale proposito, si possono citare i moderni metodi di irrigazione, la coltivazione di ortaggi, frutta e fiori e più in generale la gestione dell acqua, per la quale Israele costituisce un modello; grazie alla collaborazione israeliana, poi, è stato possibile introdurre tecnologie avanzate nell'allevamento del bestiame. Inoltre, migliaia di studenti birmani trascorrono parte del loro percorso in Israele, mentre molti israeliani visitano ogni anno il Myanmar. In un contesto geopolitico che vede il riallinearsi delle potenze mondiali ed in particolare nuovi equilibri in Medio Oriente ed in un contesto economico che ha come protagonisti i cosiddetti Stati emergenti, Israele si adegua e guarda ad Oriente, tenendo in considerazione anche il Myanmar e le sue molteplici potenzialità. Daniele Toscano In alto: Ben Gurion con il costume tradizionale birmano durante la sua visita a Rangoon nel 1961 Al centro: La sinagoga di Yangon In basso: Il primo ministro birmano Nu tra Moshe Shareet e Moshe Dayan all aereoporto di Lod nel 1955

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