Licenziamento individuale
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- Gildo Pavone
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1 Licenziamento individuale La regola generale affermata dalla legge 604/66 (come modificata dalla legge 108/90) è quella della necessaria sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo per poter procedere a un licenziamento individuale. Giustificato motivo di licenziamento potrebbe essere oltre al calo di attività anche il rifiuto del lavoratore alla trasformazione da tempo pieno a tempo parziale (art.5,c.1 D.L gs n.61/00),quando il datore di lavoro fornisca la prova della necessità di adeguare l orario di lavoro,tanto più se a salvaguardia dei posti di lavoro. A pena di inefficacia, il licenziamento deve essere comunicato per iscritto. Ugualmente inefficace è il licenziamento senza l'indicazione dei motivi, se il lavoratore nei 15 giorni successivi alla sua ricezione chieda di conoscerne le motivazioni e il datore di lavoro non fornisca una risposta entro 7 giorni. La mancanza di una giusta causa o di un giustificato motivo determina l'illegittimità del licenziamento, con conseguenze diverse secondo la dimensione aziendale. Per i dipendenti dei datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti nella stessa unità produttiva, oppure nel territorio comunale o comunque più di 60 dipendenti nell'intero territorio nazionale, è prevista la "tutela reale" consistente nella reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro (ovvero il rapporto di lavoro continua come se non si fosse mai interrotto) e nel risarcimento del danno dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegra, in misura comunque non inferiore a 5 mensilità. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come sopra descritto, il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro, anziché la reintegra, una indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto (articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori). Indipendentemente dai limiti dimensionali dell'azienda la tutela reale opera anche nei casi di licenziamento nullo (ad esempio perché discriminatorio) o nel caso di licenziamento inefficace. Se il datore di lavoro occupa meno di 15 dipendenti opera la "tutela obbligatoria", consistente nell'obbligo del datore di lavoro di riassumere (con la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro) il lavoratore illegittimamente licenziato entro 3 giorni dalla sentenza, oppure a corrispondergli un'indennità determinata dal giudice da un minimo di 2,5 a un massimo di 6 mensilità, in considerazione di una serie di parametri determinati dalla legge. Quindi l'ordine di reintegrazione disposto dall'art. 18 S.L. per il caso di licenziamento illegittimo opera solo per le imprese che occupino più di quindici lavoratori nella medesima unità produttiva o nello stesso comune, o comunque che abbiano complessivamente almeno sessanta dipendenti. Negli altri casi, ovvero quando l impresa sia di dimensioni ridotte, le conseguenze sono assai più modeste, poiché il datore di lavoro, invece che riammettere in servizio il lavoratore illegittimamente licenziato, pu corrispondergli solo un risarcimento del danno, di entità normalmente ricompresa tra 2,5 e 6 mensilità.
2 La flessione dell attività lavorativa può determinare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento,come previsto dall art.3 della legge 604/1966 e tra l altro corrisponde al diritto costituzionalmente garantito dell imprenditore di organizzare liberamente la propria attività. Non vi sono criteri di scelta cui il datore di lavoro deve attenersi né priorità da rispettare nella scelta dei lavoratori da licenziare ( come invece nel caso di licenziamenti collettivi e cioè di almeno 5 dipendenti in 120 giorni) ; il datore di lavoro dovrà solo dimostrare il nesso di causalità tra la crisi aziendale ed il licenziamento nonché la mancanza di possibilità alternativa di utilizzo del lavoratore. Esistono, per, delle ipotesi in cui anche il lavoratore di un impresa di dimensioni ridotte può vedere riconosciuto il proprio diritto non solo al risarcimento del danno, ma anche alla ripresa dell attività lavorativa. Il caso tipico è quello del licenziamento intimato verbalmente: poiché la legge (art. 2 L. 604/66) impone per il licenziamento l adozione della forma scritta, quando questa manchi, il licenziamento si considera come inesistente. Dunque, una volta che l esistenza di tale vizio sia stata accertata da un giudice, il lavoratore ha diritto di riprendere l attività lavorativa che, giuridicamente, si considera come non mai interrotta, oltre a ricevere un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perse in attesa di riprendere il lavoro. Un altra ipotesi, di cui si sono recentemente occupate le Sezioni Unite della Cassazione, è quella relativa alla mancata comunicazione dei motivi del licenziamento. Il secondo comma del citato art. 2 della L. 604/66 prevede, infatti, che il lavoratore, una volta ricevuta la lettera di licenziamento, possa, nei quindici giorni successivi, chiedere al datore di lavoro i motivi di tale decisione. Laddove tali motivi non vengano comunicati, il licenziamento si considera, secondo la legge, inefficace. Con la recente sentenza n. 508 del 27 luglio 1999, le Sezioni Unite della Cassazione, ovvero l organo giudicante cui vengono assegnate le questioni maggiormente controverse hanno ribadito che un licenziamento inefficace è un licenziamento privo di effetti, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, e pertanto non può validamente interrompere il rapporto di lavoro. Anche in questo caso, dunque, una volta che sia stata accertata la violazione del diritto del lavoratore di conoscere i motivi del licenziamento a lui intimato, dovrà essere garantito il suo diritto di riprendere la propria attività lavorativa
3 Aziende con una minore soglia occupazionale: la "tutela obbligatoria" Quando il licenziamento illegittimo è intimato da aziende di dimensioni più ridotte (sino a 15 dipendenti), la sentenza stabilisce un obbligo alternativo in capo al datore di lavoro (art. 8 legge n. 604/66), il quale può scegliere tra riassumere il lavoratore entro tre giorni dalla pubblicazione della sentenza ovvero pagare all'ex dipendente una indennità risarcitoria, compresa tra 2,5 e 6 mensilità (estensibile sino a 10 per i lavoratori con almeno dieci anni di anzianità, e fino a 14 per i dipendenti in servizio da più di venti anni). La misura dell'indennità è stabilita dal giudice sulla base dell'anzianità di servizio, delle dimensioni aziendali, nonché al comportamento tenuto dalle parti. A differenza di quanto stabilito per le aziende maggiori, nell'area della tutela obbligatoria il licenziamento - seppur illegittimo - determina la cessazione del rapporto. L'obbligo imposto al datore di lavoro soccombente nel giudizio è quindi diverso da quello previsto in regime di tutela reale: non si tratta infatti di reintegrazione nel rapporto di lavoro, ma di riassunzione. Il lavoratore è quindi assunto nuovamente sulla base di un nuovo contratto, con conseguente azzeramento della pregressa anzianità di servizio. Per il periodo intercorrente tra licenziamento e riassunzione il datore di lavoro non è tenuto a pagare né la retribuzione, né i contributi assistenziali e previdenziali. Qualora il datore non provveda alla riassunzione nel termine di legge, egli è tenuto a pagare l'indennità prevista, oltre all'indennità di mancato preavviso (che recente giurisprudenza [7] ha ritenuto compatibile con il sistema sanzionatorio della tutela obbligatoria). La differenza sostanziale fra tutela reale e tutela obbligatoria, ossia fra reintegra e riassunzione, è che dove vige la tutela obbligatoria, nelle aziende con meno di 15 dipendenti, il datore può rifiutarsi di riammettere il dipendente nel posto di lavoro, e pagare un'indennità.
4 LICENZIAMENTO LAVORATORI A TEMPO DETERMINATO E APPRENDISTI Una particolarità della disciplina del lavoro a termine riguarda il licenziamento: il lavoratore assunto a tempo determinato non può essere licenziato prima della scadenza del termine se non per giusta causa, cioè per un fatto talmente grave da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. Non è possibile, in altre parole, il licenziamento per giustificato motivo, sia soggettivo che oggettivo (ad esempio per riduzione dell'attività dell'impresa). Il licenziamento intimato senza giusta causa prima della scadenza del termine comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, pari a tutte le retribuzioni che sarebbero spettate al lavoratore fino alla scadenza inizialmente prevista, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore lavorando presso un altro datore di lavoro nel periodo considerato. Diverse regole vigono per i rapporti di apprendistato,pur essendo gli stessi sempre a tempo determinato. Il datore di lavoro può recedere dal contratto alla fine del periodo di apprendistato, ma, diversamente dai rapporti a tempo determinato (che si risolvono automaticamente alla scadenza), deve comunicare al lavoratore formale disdetta, con l osservanza del periodo di preavviso. Inoltre, il datore di lavoro può, peraltro, determinare la cessazione del rapporto di apprendistato prima della scadenza del termine con il riconoscimento anticipato della qualifica professionale, oppure mediante recesso per giusta causa o per giustificato motivo. IMPORTANTE: qualora al termine del periodo di apprendistato non sia data disdetta, l apprendista rimane in servizio con la qualifica conseguita e il contratto viene trasformato a tempo indeterminato. Giurisprudenza: agli apprendisti si applicano integralmente le disposizioni sui licenziamenti individuali (C. Cost. 28 novembre 1973, n. 169), limitatamente al recesso intimato nel
5 corso del rapporto. Al contrario, la disdetta intimata al termine del rapporto, nel rispetto del preavviso, rappresenta la legittima volontà di non trasformare l apprendistato in un normale rapporto a tempo indeterminato quando è ormai esaurita la causa negoziale dello speciale contratto.
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