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1 I governi: niente processi ai nazisti. La ricerca dei responsabili dell'insabbiamento delle inchieste in un libro di Franco Giustolisi e nel lavoro della commissione parlamentare d'indagine. Ecco i documenti sulle stragi insabbiate. Roberto Bernabò, Il Tirreno 25/04/2004 Giulio Andreotti, la memoria dei segreti del Belpaese, dice di non sapere: "Mi meraviglia che la magistratura militare, se ha avuto quest ordine, che era a mio avviso fuori della legalità, lo abbia accettato. E che mai nei decenni successivi da essa sia stata presa l iniziativa di chiedere al potere politico - parlo di quello che io avrei dovuto altrimenti conoscere - se rimaneva quella inibizione". Andreotti non sa e lo dice al Senato - il 25 febbraio votando sì alla commissione parlamentare d'inchiesta che dovrà far luce sull'armadio della vergogna, scoprire chi decise di insabbiare le indagini sulle stragi compiute dai nazisti dopo l'8 settembre. Nessun politico sa, o sembra sapere, lasciando ricadere tutte le responsabilità sui procuratori militari. Andreotti, però, dice di essere curioso di sapere la verità, come ha scritto all'onorevole Carlo Carli che gli ha inviato un ponderoso fascicolo sulla strage di Sant'Anna di Stazzema e che della commissione d'inchiesta è vice presidente. Il senatore comunque ha una certezza che nega alla radice il lavoro della commissione: "Queste iniziative sbagliate non corrispondono, a mio avviso, ad alcun disegno politico collegato con le nostre alleanze", disse in Senato. Mentre tutto veniva insabbiato Andreotti era in posti chiave della Repubblica: sottosegretario alla Presidenza del Consiglio tra il 1946 e il 1948 quando il governo discute di come difendere i criminali di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia e da altri paesi dell'est; ancora ad inizio anni Cinquanta quando il problema è piuttosto di come sostenere la ricostituzione dell'esercito tedesco. È, infine, ministro della Difesa il 14 gennaio 1960, giorno in cui il Procuratore militare generale Enrico Santacroce scrive in calce a tutti i fascicoli: "Archiviazione provvisoria". L'insulto giuridico che segna il definitivo insabbiamento fino al 91, quando l'armadio è ritrovato in un antico palazzo romano. Perciò, la commissione si attende dal senatore probabilmente qualcosa di più nella ricerca della verità sui "mandanti" della Notte della Verità. Anche perché il lavoro d'inchiesta appassionato e scrupoloso di Franco Giustolisi, giornalista dell'espresso, che da dieci anni raccoglie documenti, spulcia archivi,

2 intervista testimoni, lascia pochi dubbi: ci fu una precisa volontà politica che portò a non fare i processi. E lo dimostra in L'Armadio della vergogna, un libro fondamentale, appena pubblicato da Nutrimenti e che stamani sarà presentato in uno dei luoghi simbolo della ferocia nazista ma anche della vergogna dell ingiustizia: Sant Anna di Stazzema. Ma la commissione potrà contare anche sugli archivi della Presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri, che si stanno aprendo per identificare i soggetti politici che ordinarono o invitarono, comunque spinsero le Procure militari prima a rallentare le indagini, poi ad insabbiare tutto. Quel virtuoso armadio della vergogna che la commissione sta ricostruendo ricevendo in copia dalle Procure distrettuali i fascicoli avuti nel 1996 sarà insomma decisivo. Mentre a fine anni Quaranta, nato per meglio coordinare le inchieste, divenne prestissimo il grimaldello dell'ingiustizia, oggi l'armadio-bis può riscattare quella brutta storia iniziata il 20 agosto Quel giorno, su invito della Presidenza del Consiglio dei ministri, si riuniscono i vertici della Procura militare, della Cassazione, dell'aeronautica, del ministero della Guerra e degli Affari esteri. Che fare delle tante denunce, delle centinaia di rapporti dei carabinieri sulle stragi naziste? "II materiale deve essere accentrato presso la Procura militare che provvederà a esaminarlo e estrarne le denunzie del caso", viene deciso. Accentrare per indagare con più efficacia e rispedire poi agli uffici competenti per i processi, è l obbiettivo dichiarato. Certo l impresa appare ardua e il procuratore generale Borsari dà l'allarme sulle "gravi difficoltà materiali che comporta tale nuova incombenza che viene addossata al personale della Giustizia militare in un momento in cui trovasi eccezionalmente impegnato nel lavoro di istruzione di moltissimi reati". La decisione è presa e il 7 novembre la Procura generale militare informa la Presidenza del Consiglio che alle procure distrettuali è stato chiesto di inviare a Roma tutte le denunce per istituire un archivio generale "che servirà sia ai fini giudiziari sia allo scopo di documentare in maniera completa i delitti commessi dai tedeschi". Le denunce saranno poi trasmesse "ai tribunali competenti per territorio ai quali saranno date istruzioni per un rapido ed efficace svolgimento delle indagini". L'armadio si apre e inizia a fagocitare la verità. Un registro annota in voci ciò che contiene: 695 fascicoli di indagini sui crimini dei nazisti; per 415 con nomi e cognomi dei responsabili. Un pieno di testimonianze, con tanto di sigle di reparti e nomi di capi militari che hanno ordinato il massacro di migliaia di civili. Ma l'attivismo

3 della Procura militare dura poco. Si blocca praticamente nella primavera del "Al grido di nessuno tocchi i nostri criminali, ecco che tutti i criminali si salvano", sostiene Giustolisi nella sua ricostruzione. In una relazione del febbraio 1948, il segretario generale del ministero degli esteri, Vittorio Zoppi, parla infatti dei criminali di guerra richiesti dalla Jugoslavia e da altri paesi: "I processi contro i presunti criminali di guerra italiani si svolgerebbero, se fatti ora, contemporaneamente a quelli contro i presunti criminali tedeschi da parte dei tribunali militari italiani. E poiché le accuse che noi facciamo ai tedeschi sono analoghe a quelle che gli jugoslavi muovono contro gli imputati, si creerebbe una situazione alquanto imbarazzante sia per i nostri tribunali, sia per i riflessi internazionali che l andamento dei processi potrebbe comportare". Dunque meglio prendere tempo, consiglia Zoppi. La relazione è allegata ad un documento della Presidenza del Consiglio. "Il presidente del Consiglio dei ministri concorda sulle conclusioni raggiunte dalla commissione interministeriale riunitasi presso il Ministero degli Affari esteri in merito al seguito da dare alle richieste jugoslave di consegna di presunti criminali di guerra italiani". Firmato? Il sottosegretario di Stato Giulio Andreotti. La Doppia Impunità matura lì. E Andreotti forse potrà appagare non solo la sua curiosità ma anche quella della commissione parlamentare se accetterà davvero di rispondere, a differenza di quanto fece nel 1999 con il Consiglio superiore della magistratura militare che doveva stabilire le responsabilità amministrative dell'insabbiamento dei fascicoli. Il Cmm finì per indicarne le cause nel clima della guerra fredda che imponeva di non danneggiare, con i processi ai nazisti, l'immagine della Germania Ovest che doveva ricostruire il suo esercito e diventare dentro la Nato un baluardo anti Unione Sovietica. E imputò la colpa, comunque, ai soli procuratori militari. Ma una traccia in più esce, altrettanto importante, è già uscita dagli archivi e lo stesso Andreotti, nell'intervento in Senato, l'ha confermata parlando del "disagio che si aveva nei confronti di alcuni italiani ingiustamente reclamati come criminali di guerra (ricordiamo il ministro Marazza)". Umberto Borsari, Arrigo Mirabella ed Enrico Santacroce, i procuratori generali che costituirono l'armadio della vergogna e poi lo chiusero girandolo con le porte verso il muro - per la vergogna, come felicemente scrive Giustolisi - risposero ad un duplice bisogno politico: prima assicurare l'impunità dei criminali (o presunti tali) italiani, poi difendere gli equilibri internazionali. Queste preoccupazioni per i nuovi scenari

4 internazionali diventano progressivamente fortissime ad inizio anni Cinquanta. E un carteggio del 1956 tra il ministro della Difesa Taviani e il ministro degli Esteri Martino le mette nero su bianco. Invitato da un procuratore militare a chiedere l'estradizione dei capi militari nazisti autori della strage di almeno soldati italiani a Cefalù, Martino si interroga "sulla sfavorevole impressione che produrrebbe sull'opinione pubblica tedesca e internazionale una richiesta di estradizione al governo di Bonn alla distanza di ben 13 anni". Le implicazioni politiche gli sembrano anche ben più gravi: un'iniziativa giudiziaria italiana alimenterebbe la polemica "sul comportamento del soldato tedesco" proprio nel momento in cui "l attuale governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo allo scopo di vincere le resistenze che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle Forze armate di cui la Nato reclama con impazienza l allestimento". Taviani riceve e annota in calce a penna: "Concordo pienamente con il ministro Martino". Necessità storica che non rinnegherà neanche nel 2000, non molto tempo prima di morire, in un intervista a Giustolisi. Ma anche l Italia era appunto sottoposta alle richieste di Unione Sovietica, Grecia, Albania e Jugoslavia che pretendevano di giudicare moltissimi presunti criminali di guerra Un centinaio erano i più ricercati per reati commessi durante l'occupazione fascista di questi Stati. In cima alla lista l'ex capo di Stato maggiore Mario Roatta e l'ex governatore della Dalmazia Giuseppe Bastianini poi diventato sottosegretario agli Esteri. Gli jugoslavi avevano addirittura richiesto l'incriminazione del ministro Achille Marazza, ex maggiore, uomo di punta della Dc. Lasciar passare il tempo fu il consiglio di Zoppi; concordo con le vostre conclusioni, scrisse il presidente del Consiglio in una nota a firma Andreotti. Così, "nei confronti di alcuni fu spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo", hanno ricostruito gli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer, principali sostenitori della tesi che la spinta iniziale, almeno temporalmente, alla lunga Notte della Verità sia stata questa. Un mix micidiale di valutazioni politiche portò dunque, nel 1960, a sprangare l'armadio della vergogna con il suo fardello di orrori. Solo negli ultimi anni le inchieste sono ripartite e qualche processo, come quello per Sant'Anna, è iniziato. La verità politica è nelle mani della commissione parlamentare d'inchiesta. In quell'armadio-bis che spulciato cercando la verità

5 potrà forse emendare anche il suo predecessore e accendere nuove clamorose luci su questa lunga Notte. Anche se Andreotti dovesse continuare a non ricordare.

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