1. L AMBIENTE E LA NATURA

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1 1. L AMBIENTE E LA NATURA 1.1 I MONTI DELLA TOLFA Partendo da Civitavecchia, attraverso le stazioni Aurelia e Mole del Mignone, si arriva ad Allumiere, località fra le più importanti dei Monti della Tolfa. Le località principali di questa oasi protetta, Allumiere e Tolfa, sono collegate tra loro e con Civitavecchia mediante frequenti corse dei mezzi pubblici, mentre da Rota a Civitella Cesi i collegamenti sono assai difficoltosi. E possibile spostarsi a piedi e in bicicletta sulle carrozzabili non asfaltate, e a piedi, con una certa difficoltà per la presenza di sassi, rovi e traversine sulla linea ferroviaria ad oggi abbandonata. Forse i Monti della Tolfa costituiscono una tra le aree meno modificate dall uomo, giacché le terre vi sono quasi del tutto spopolate. Più che di monti si può parlare di colline, quantunque si possano osservare nelle loro forme anche da lontano, perché le rupi trachitiche ricche di silice (rappresentano una delle più antiche manifestazioni del vulcanismo dell Antiappennino, i cui apparati sono stati da tempo smantellati) con le loro forme aspre e bizzarre, spesso a fianchi ripidissimi, determinano un paesaggio pittoresco in forte contrasto con quello circostante. I centri abitati più importanti sono arroccati su cocuzzoli, nella parte settentrionale della regione: Allumiere (m 552) e Tolfa (m 484).

2 Intorno a questi centri abitati sono disposte le maggiori elevazioni: Monte le Grazie (m 616), Monte Sassinari (m 526) e Monte Piantangeli (m 515), tra Tolfa e Il Mignone. Addirittura uno sperone dei monti della Tolfa arriva al mare a Capo Linaro; altri spuntoni isolati (qui detti dicchi ) emergono qua e là, come i Sassi, presso uno dei quali sorge l antico Casale denominato appunto il Sasso. Le colline contengono svariati minerali. Vi sono giacimenti di caolino sfruttati per la produzione di cemento bianco. Ma l intensa attività mineraria di un tempo oggi è quasi del tutto assente. Tolfa fu un importante zona mineraria etrusca come dimostrano i resti di villaggi e necropoli sparsi sulle alture che fiancheggiano il fiume Mignone. Sotto l accorta direzione del demanio pontificio Tolfa divenne miniera di Roma e nel 1560 Francesco Boschi riattivò le miniere di ferro con regolare permesso di produzione. L allume nel medioevo serviva alla concia delle pelli; dopo la conquista turca nel 1455, di Focea, che lo esportava in tutti i paesi mediterranei, la scoperta delle ricche cave di Tolfa costituì una ricchezza per la regione tanto che nel 1462 Giovanni da Castro vi fondò il centro di Allumiere. Ma dopo la metà del secolo scorso, l introduzione di altri processi per la concia delle pelli, ha fatto perdere l importanza delle cave tolfesi. Sono frequenti le sorgenti di acque minerali. Le terme di Stigliano si trovano in località solitaria tra pascoli e boschi sul versante orientale dei monti della Tolfa. Le terme sono alimentate da varie sorgenti appartenenti alla categoria delle sulfuree-solfato-alcaline. Il vapore che satura una grotta detta romanescamente Bagnarello viene usato per bagni a vapore. Biotopo segnalato dalla regione Lazio, questo residuo d arcaici vulcani, un tempo sfruttati per l estrazione di ferro, allumite, caolino e cinabro, potrebbe conoscere prospettive migliori con l istituzione da tempo auspicata di un parco naturale. Compresi fra il mare e il lago di Bracciano, i monti della Tolfa hanno un clima senza eccessi né contrasti termici. Le piogge sono abbondanti perché esposti ai venti del II e III quadrante, e in particolare al libeccio, che dominano, in autunno e primavera, le stagioni più umide. Nei boschi prevalgono le querce e in special modo il cerro; una bella faggeta è quella di Allumiere, dove si incontra il faggio ad una delle altitudini più basse del Lazio. Nei fondi dei canjons del Biedano, Marta, Vesca e Mignone crescono cerri, càrpini, ornielli e noccioli.

3 La fauna conta qualche lupo, un discreto numero di martore, di gatti selvatici, di istrici e di volpi. Forse la lontra è scomparsa già da qualche anno. I rapaci sono numerosi: si contano dieci specie, tra le quali quelle del nibbio reale, del lanario, del biancone, dell albanella minore e perfino del rarissimo capovaccaio. 1.2 IL PARCO REGIONALE MARTURANUM L'area protetta è stata istituita nel 1984 con la Legge Regionale n 41; la sua estensione è di ettari contraddistinti da diversi ambienti, i valloni, l'area del prato-pascolo e le sommità delle rocche tufacee, centro storico di Barbarano compreso. All'interno dello splendido scenario naturalistico delle profonde forre fluviali, dalla ricca vegetazione, si trovano le testimonianze archeologiche più rilevanti: la Necropoli etrusca di San Giuliano e la rocca medievale di Marturanum LA GEOLOGIA Il settore più settentrionale del Parco è caratterizzato dalla presenza di vasti plateau di tufo: essi si sono formati con l'accumulo ed il successivo compattamento dei detriti vulcanici del vicino complesso vicano, l'odierno lago di Vico.

4 Sopra gli strati di roccia del Pliocene, calcari, marne e argille, si sono depositate nel Pleistocene grandi quantità di ceneri, lapilli e pomici che, assumendo la consistenza della roccia, hanno dato luogo al "tufo rosso a scorie nere", la caratteristica roccia locale entro cui gli scalpellini etruschi hanno scavato con maestria le grandi camere funerarie e con cui, soprattutto in età medievale, sono state costruite le caratteristiche abitazioni della città abbandonata di Marturanum e dell'attuale Barbarano Romano. Questi strati di roccia tufacea sono stati in seguito profondamente incisi dall'azione erosiva dei corsi d'acqua, di portata notevolmente maggiore nel periodo post-glaciale, che hanno creato delle profonde e spettacolari forre, dalle pareti scoscese alte sino a settanta metri. Lo scavo millenario dei torrenti ha scoperto lo strato di roccia calcarea presente prima delle eruzioni vicane, assai meno erodibile del tufo, caratterizzante il letto dei torrenti stessi e del principale corso d'acqua, il Biedano, affluente del Marta. Su un'alta rocca tufacea sorgeva l'antica Marturanum e su un'altra, assai più scoscesa e quindi più facilmente difendibile dagli attacchi del nemico, Barbarano. Anche il centro storico della medievale Barbarano, cui si accede attraverso una porta cinquecentesca che attraversa le rosse mura merlate, fa parte dell'area protetta. Il settore meridionale del Parco, denominato "il Quarto" dall'antica consuetudine di dividere in quattro parti i territori comunali a seconda dell'uso che se ne faceva, è adibito dall'età medievale al pascolo brado di vacche e cavalli maremmani.

5 Questa pratica secolare ha portato ad una forte alterazione del manto vegetazionale dell'area che, lontano dallo stato climax della vegetazione stessa, si presenta in alcuni tratti come una prateria secondaria, in cui riescono solo a sopravvivere radi boschetti di piante spinose e non commestibili per gli erbivori. In quest'area troviamo la presenza di strati di flysch, con argille, marne e calcari compatti. Rare le lenti di tufo, quasi del tutto asportate dall'azione degli agenti meteorici. La scarsa permeabilità di questo suolo, non trattiene le acque pluviali tanto che nei periodi di magra i piccoli corsi d'acqua sono asciutti, i pascoli si seccano ed i proprietari degli animali al pascolo sono costretti ad alimentare con il fieno tagliato in primavera e conservato i propri capi. Questo territorio, dall'aspetto aspro e selvaggio ed in cui riescono a sopravvivere solo le razze maremmane, temprate dai millenni in un ambiente talvolta ostile, è molto suggestivo e costituisce la caratteristica "Maremma laziale" LA VEGETAZIONE

6 La copertura vegetazionale è condizionata da diversi fattori, tra cui il soleggiamento, il tipo di suolo e l'umidità: distinguiamo così tre ambienti, le forre, il prato pascolo e la sommità degli acrocori tufacei. 1.4.A LE FORRE Sul fondo delle forre c'è un particolare microclima, legato all'elevata umidità ed allo scarso soleggiamento; la permeabilità dei tufi fa in modo che le acque meteoriche ne attraversino gli strati e sgorghino alla base delle pareti di tufo ove sono gli strati calcarei assai meno permeabili. Torrenti e piccoli corsi d'acqua perenni alimentano una fitta vegetazione igrofita tra cui prosperano il carpino nero e quello bianco (Ostrya carpinifolia e Carpinus betulus), il nocciolo (Corylus avellana), l'ontano (Alnus glutinosa), e persino il faggio (Fagus sylvatica), sebbene ci si trovi ben al di sotto del limite altimetrico della specie. Felci di diverse specie, tra cui la rara Osmunda regalis, e verdi muschi, azzurre pervinche, gialle primule, violette, ciclamini fucsia e rosse bacche del pungitopo, colorano nelle diverse stagioni il fitto sottobosco, creando una policromia affascinante che si accende di colore con i rari raggi di sole che riescono a forare la folta chioma degli alberi. Le pareti tufacee esposte al sole ospitano invece una vegetazione più legata al clima mediterraneo: sulle rossastre falesie prosperano, abbarbicati alle rocce, esemplari secolari di leccio (Quercus ilex), bianche fioriture di erica (Erica arborea), vaste formazioni di licheni dal colore arancione acceso. 1.4.B LA SOMMITA DELLE ALTURE TUFACEE Sopra i pianori tufacei si assiste spesso alla coltivazione della vite e dell'olivo, nonché alla presenza di orti e frutteti in cui abili mani riescono a far crescere moltissimi frutti della terra. Nelle aree non sottoposte a coltura, crescono boschetti di roverella (Quercus pubescens) frammisti ad altre piante tipiche della vegetazione mediterranea, tra cui la ginestra (Spartium junceum), il corbezzolo (Arbutus unedo), la fillirea (Phillyrea latypholia), il nespolo nostrano (Mespilus germanica), il biancospino (Crataegus monogyna) e la rosa canina. Diverse le specie legate al clima particolarmente caldo ed asciutto quali il profumatissimo timo (Thymus serpillum), il cisto dai grandi fiori bianchi (Cistus salvifolius) e diverse specie di orchidee selvatiche. 1.4.C IL PRATO PASCOLO Nell'area del Quarto prosperano solo le piante che non sono appetite dagli erbivori che, con l'alimentazione quotidiana, hanno inconsciamente operato una forte selezione che ha favorito le piante spinose o velenose. Tra le prime segnaliamo la marruca (Paliurus spinachristi), il prugnolo (Prunus spinosa), il pero selvatico (Pyrus pyraster), il rovo (Rubus sp.), il biancospino (Crataegus sp.), il melo selvatico (Malus sylvestris) e l'asparago (Asparagus acutifolia). Tra le piante velenose o comunque sgradevoli ricordiamo l'asfodelo (Asphodelus ramosus) e la parte aerea del gigaro (Arum maculatum). Diverse orchidee impreziosiscono il brullo pascolo LA FAUNA

7 Le pareti delle forre ospitano nidi e posatoi di diversi rapaci tra cui la poiana (Buteo buteo) ed il gheppio (Falco tinnumculus); fino alla metà degli anni '70 vi nidificava anche un avvoltoio, il capovaccaio (Neophron percnopterus) o Avvoltoio degli Egizi, che aveva come territorio di nutrimento le vaste estensioni dei pascoli in cui si cibava delle carogne degli animali morti. La netta diminuzione delle attività di allevamento ha fatto mancare il necessario apporto alimentare a quest'animale africano, che ha preferito non trascorrere più in queste zone il periodo estivo. Attualmente due esemplari sono collocati in una grande voliera ai piedi del paese di Barbarano, in vista di una reintroduzione della specie. Tra gli altri rappresentanti dell'avifauna ricordiamo il picchio verde (Picus viridis), il gufo (Asio otus), la civetta (Athene noctua), il barbagianni (Tyto alba), la ghiandaia marina (Coracias garrulus) e la gazza (Pica pica). Nel Parco si trovano diversi mammiferi tra cui il cinghiale (Sus scrofa), il gatto selvatico (Felis silvestris), il tasso (Meles meles), la volpe (Vulpes vulpes) e l'istrice (Istrix cristata). Tra gli anfibi importante la presenza della salamandrina dagli occhiali (Salamandra terdigitata), del tritone (Triturus cristatus, T. italicus, T. vulgaris), dell'ululone a ventre giallo (Bombina variegata) e della raganella verde (Hyla arborea). Tra i serpenti troviamo la biscia dal collare (Natrix natrix), il cervone (Elaphe longissima quatuorlineata) e la luscengola (Anguis fragilis). Presenti esemplari di tartaruga terrestre (Testudo hermanni). La limpidezza e pulizia di alcuni corsi d'acqua è testimoniata tra l'altro dalla presenza di larve di tricotteri, insetti che allo stadio larvale vivono nelle acque basse e calme costruendosi una teca di sassolini o frammenti legnosi. 1.6 LE RISORSE STORICO-ARCHEOLOGICHE Una particolarità del Parco Marturanum è quella di avere rilevanti testimonianze del passato immerse in un ambiente naturale assai ben conservato. Passeggiando lungo i sentieri naturalistici si resta stupefatti dalle facciate rupestri delle tombe etrusche i cui ingressi oscuri si aprono improvvisi tra la vegetazione. L'unicità poi della Necropoli

8 è quella di offrire un panorama completo sullo sviluppo dell'architettura funebre di questo popolo, dalle tombe a pozzo e fossa dell'età del Ferro ai grandi tumuli orientalizzanti, dalle tombe a rupestri arcaiche a quelle a dado ellenistiche: scendendo nel fondo della forra sembra di scendere nel tempo, dal VII al III secolo a.c.. Circondata dalle numerose necropoli è la rocca di San Giuliano, dalle imponenti mura difensive in tufo, forse sede dell'abitato etrusco, in seguito di quello medievale di Marturanum, abbandonato all'inizio del II millennio per motivi di sicurezza a favore del sito dell'attuale Barbarano: sulla rocca restano le suggestive strutture della chiesa romanica di San Giuliano, dalla struttura semicrollata a tre navate, con pitture del XIV e XV secolo. Accanto ad essa un romitorio dove, sembra, abbia dimorato un eremita fino alla fine del secolo scorso: dal piccolo balcone lo sguardo, rivolto attorno a 360, spazia sul settore settentrionale dell'area protetta, non disturbato da alcuna costruzione ed opera dell'uomo. Nel settore meridionale del Parco (area del Quarto) rimangono i resti del tracciato romano della Via Clodia che, dopo aver attraversato i pascoli, scompaiono nel Bosco della Bandita, una cerreta ad alto fusto.

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