Working poor: un analisi sui lavoratori a bassa remunerazione dopo la crisi
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- Giuseppa Castaldo
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1 Commissione istruttoria per le politiche del lavoro e dei sistemi produttivi (II) 1 luglio 2014 Seminario Working poor: un analisi sui lavoratori a bassa remunerazione dopo la crisi CNEL - Sala Gialla, ore 9.00
2 I dati riportati nel presente rapporto sono stati curati per il CNEL dal Centro di Ricerca sui problemi di Economia del Lavoro e dell'impresa (CRELI) dell'università Cattolica di Milano. Il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Claudio Lucifora con la collaborazione di Valentina Ferraris
3 Indice Capitolo 1 - Crisi, impoverimento ed effetti sui salari 5 Redditi sotto pressione Riquadro - L'indagine sulle condizioni di vita Riquadro - La caduta delle ore lavorate come conseguenza della crisi Riquadro - Le diseguaglianze promuovono o rallentano la crescita? Capitolo 2 - I working poor 28 Il lavoro è ancora un assicurazione contro la povertà? Chi sono e quanti sono i working poor Riquadro - working poor e sommerso Evoluzione temporale: prima e dopo la crisi Bassi salari e caratteristiche socio-economiche Mobilità salariale e bassi salari: gradino di ingresso o trappola della povertà? Riquadro: bassi salari e qualità del lavoro Capitolo 3 - Famiglie, lavoro e povertà 70 Cresce la povertà tra le famiglie italiane Lavoro e povertà: In-work poverty In-work poverty e working poor Capitolo 4 Le politiche di contrasto 85 Le principali conclusioni Le politiche di contrasto alla povertà degli individui Riquadro: I minimi contrattuali sono davvero minimi? Le politiche di contrasto alla povertà delle famiglie Bibliografia 102 3
4 Capitolo 1 - Crisi, impoverimento ed effetti sui salari Redditi sotto pressione La crisi che l'economia italiana sta sperimentando ormai da parecchi anni non ha precedenti, per intensità e durata, nella storia recente. La recessione è infatti in atto dal 2008, con la sola eccezione del 2010, e si è tradotta in una perdita complessiva di circa nove punti percentuali di prodotto tra il 2007 e il La perdita è molto ampia, e per alcuni importanti settori (industria e costruzioni) è stata ancora più rilevante. Ne sono derivati effetti notevoli anche sul mercato del lavoro. La contrazione nei livelli produttivi si è tradotta nella caduta della domanda di lavoro, sebbene nello stesso tempo di sia osservata una riduzione della produttività che ha assorbito parte degli effetti sull'occupazione. Il labour hoarding, ovvero il fenomeno di trattenere presso le imprese parte dell'occupazione in eccesso rispetto ai fabbisogni produttivi al fine di minimizzare i costi di recruitment una volta svoltato il ciclo, si è tradotto in una riduzione della produttività oraria. Inoltre, sono diminuite le ore lavorate, grazie al ricorso alla Cassa Integrazione, alle ferie arretrate, al taglio degli straordinari e alla diffusione del part time, limitando la flessione nel numero di occupati 1. Ciò nonostante, gli occupati negli ultimi cinque anni si sono ridotti complessivamente di oltre 4 punti percentuali: nel 2013 risultavano persi quasi 967mila posti di lavoro rispetto al Gli effetti sono stati devastanti anche dal punto di vista sociale. Se nella prima fase della crisi l'incremento della disoccupazione è stato contenuto (dalla flessione nell'offerta, legata anche al fenomeno dello scoraggiamento, e dal labour hoarding), nel corso dell'ultimo triennio il tasso di disoccupazione è invece rapidamente aumentato. Nel 2013 il tasso di disoccupazione è salito al 12.2 per cento, un livello mai toccato negli ultimi 36 anni, superiore ai massimi precedenti di metà anni novanta, e a gennaio 2014 il suo livello è stato record, pari al 12.9 per cento. Al contempo è cresciuta anche la diffusione della condizione di sottoccupazione, ovvero di persone che lavorano meno di quanto sarebbero disposte a fare o che svolgono lavori per i quali sono sovraqualificate. 1 La riduzione delle ore lavorate è stata notevole e, come si vedrà più avanti nel capitolo, ha colpito soprattutto i lavoratori a bassa retribuzione e quelli più deboli: la Cassa Integrazione, ad esempio, non è prevista per le posizioni apicali (es. dirigenti) e anche il ricorso al part time involontario è stato maggiormente diffuso tra chi entra nel mercato del lavoro. 4
5 Ad essere stati particolarmente colpiti sono i più giovani, che scontano ormai tempi di attesa molto lunghi, superiori a quelli della media europea, per entrare nel mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 24 anni) a inizio 2014 risulta essere del 42.4 per cento; i disoccupati rappresentano ormai l'11.3 per cento della popolazione nella fascia d'età anni. La situazione di debolezza in cui si trova il mercato del lavoro riflette la condizione di intensa difficoltà che tutto il sistema economico sta attraversando. A farne le spese sono anche i livelli retributivi. Sui rinnovi contrattuali ha pesato la congiuntura negativa e l elevata disoccupazione, che hanno frenato la dinamica contrattuale: nel privato (industria e servizi privati) la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali orarie nell ultimo triennio ha oscillato attorno al 2 per cento, a fronte di tassi medi prossimi al 3 per cento nel quinquennio precedente. Un altro aspetto rilevante che ha influito sulla dinamica complessiva delle retribuzioni è il blocco salariale nel settore pubblico: tale misura, introdotta per limitare la crescita della spesa pubblica e riportare sotto controllo i conti nella fase più acuta della crisi del debito sovrano, ha avuto come effetto una crescita nulla delle retribuzioni contrattuali nominali per i dipendenti pubblici. Tanto che negli ultimi anni i salari dei dipendenti pubblici hanno perso terreno rispetto a quelli dei dipendenti del privato. Dato il peso non trascurabile del settore pubblico sull occupazione (circa il 23 per cento), il blocco salariale nel pubblico si è riflesso in una crescita modesta delle retribuzioni pro capite complessive, che si è pressoché dimezzata nell ultimo triennio rispetto ai tassi osservati mediamente nel quinquennio precedente. La crisi ha comportato anche un indebolimento delle componenti retributive di secondo livello (come straordinari, premi di produttività, bonus), legate all andamento del ciclo. In una fase di debolezza del ciclo è normale che queste componenti vengano parzialmente meno; lo slittamento salariale, dato dalla differenza di crescita tra le retribuzioni di fatto che includono le componenti di secondo livello e quelle contrattuali è rimasto negativo nell ultimo triennio. Il wage drift negativo da tre anni e la dinamica contenuta delle retribuzioni contrattuali si riflettono in un evoluzione modesta delle retribuzioni pro capite di fatto. In termini nominali, queste sono cresciute mediamente di circa un punto percentuale su base tendenziale nel corso dell ultimo triennio. 5
6 Grafico Retribuzioni contrattuali - industria e servizi privati var % a/a indice delle retribuzioni contrattuali orarie, totale dipendenti al netto dei dirigenti. Fonte Istat Grafico 2 Retribuzioni contrattuali - PA var % a/a indice delle retribuzioni contrattuali orarie, totale dipendenti al netto dei dirigenti. Fonte Istat 6
7 Grafico 3 Retribuzioni di fatto pro capite var % a/a indice delle retribuzioni di fatto per ULA. Fonte Istat Grafico 4 Wage drift - industria e servizi privati differenza tra var % retribuzioni di fatto procapite e retribuzioni contrattuali orarie. Elaborazioni su dati Istat Se in termini nominali la dinamica salariale è risultata al più modesta, in termini reali si sono osservate variazioni negative. Benché l'inflazione abbia evidenziato una marcata 7
8 decelerazione nel corso del 2013, i tassi di crescita dei prezzi sono stati prossimi al 3 per cento nel biennio , comprimendo l andamento dei salari reali tanto da registrare tassi di variazione negativi. La caduta nei livelli occupazionali e la stagnazione dei salari reali si è riflessa sull'andamento sui redditi disponibili familiari, dei quali i redditi da lavoro rappresentano una componente prevalente. I dati Istat circa il reddito disponibile evidenziano come questo sia, in termini reali, in calo ininterrotto dal Nel corso degli ultimi sei anni la perdita complessiva è stata di oltre dieci punti percentuali. Considerando inoltre che nello stesso periodo la popolazione residente in Italia ha continuato a crescere, grazie all'apporto del saldo migratorio netto, il reddito pro capite ha registrato un crollo, tornando sui livelli della seconda metà degli anni ottanta. Il deterioramento delle condizioni economiche si è tradotto in un generale impoverimento delle famiglie italiane. È aumentata la diffusione della povertà, anche presso sottogruppi della popolazione che tradizionalmente presentano una incidenza del fenomeno molto contenuta (Rapporto di Coesione sociale 2013). Dai dati macro a quelli elementari I dati finora analizzati sono dati macroeconomici, di fonte prevalentemente di contabilità nazionale, che consentono di delineare un quadro macro delle evoluzioni del reddito e delle retribuzioni nel tempo. I dati pro capite di retribuzioni e reddito sono sostanzialmente una media (tra i residenti, tra gli occupati dipendenti, o tra le unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, in modo da tenere da conto delle differenze nelle ore lavorate). Per la loro natura, questi dati non consentono però di fare analisi approfondite sugli aspetti distributivi o sulle caratteristiche dei lavoratori 2. Per far ciò è necessario ricorrere a dati elementari, ricavati da indagini campionarie. Utilizzando questi dati è quindi possibile inferire alcune informazioni circa le retribuzioni e i redditi individuali, e osservarne la distribuzione. Riquadro - L'indagine sulle condizioni di vita (IT-SILC) 2 Com è noto, la media è un indicatore che descrive sinteticamente un insieme di dati ma, oltre a risentire notevolmente degli outlier, non fornisce informazioni sulla distribuzione dei dati in questione. 8
9 L Indagine sulle condizioni di vita condotta per l'italia dall Istat in collaborazione con Eurostat nasce all interno di un più ampio progetto denominato Statistics on Income and Living Conditions (SILC) deliberato dal Parlamento Europeo e coordinato a livello europeo da Eurostat. Il progetto consente di avere un informazione statistica dettagliata su argomenti come redditi, povertà, esclusione sociale, deprivazione, qualità della vita, con indicatori armonizzati a livello comunitario. L indagine contiene informazioni su redditi e spese familiari, ma anche informazioni individuali sui componenti della famiglia, riguardanti status occupazionale, istruzione, redditi percepiti, per gli anni compresi tra il 2004 e il Retribuzioni in flessione Le retribuzioni mensili lorde medie calcolate a partire dai dati elementari evidenziano una tendenza moderatamente crescente almeno fino al 2010, interrottasi poi nel I dati sono espressi in termini nominali, ovvero non corretti per l inflazione, e differiscono dai dati derivati dalla contabilità perché basati sulle dichiarazioni dei soggetti interpellati nell indagine. In media, le retribuzioni mensili lorde sono passate da 1734 euro nel 2004 a 1813 nel Correggendo però per l'inflazione si osserva, con una conferma del quadro delineato dai dati macro, che il trend dei salari reali medi si appiattisce tra il 2006 e il 2010, per poi registrare una contrazione nel Come è stato sottolineato, le medie risentono degli outlier, e nelle distribuzioni non simmetriche, come sono tipicamente quelle del reddito, in cui c è un addensamento verso i valori più bassi e la coda inferiore, mentre nella coda superiore ci sono meno osservazioni, ma con valori più alti che influiscono sulla media, i valori medi sono superiori alla mediana, che invece rappresenta la posizione centrale nella distribuzione. I trend descritti dalle mediane delle retribuzioni lorde mensili, sia in termini nominali che reali, non sono molto diversi da quelli delineati dalle medie, ma i valori sono ovviamente inferiori. Sulla base dei dati IT SILC si passa, in termini nominali, da 1514 euro lordi al mese nel 2004 a 1650 nel Secondo i dati dell'indagine SES (Structural Earnings Survey), condotta da Eurostat, nel 2010 la retribuzione mensile media in Italia era di 2286 euro, che però includeva anche le mensilità non standard; inoltre la survey è condotta presso le imprese - e non i lavoratori, come invece l'it SILC, e solo presso 9
10 Grafico 5 Retribuzioni lorde mensili - medie nominali reali indice base 2004=100, elaborazioni su dati IT-SICL Istat Grafico 6 Retribuzioni lorde mensili - mediane nominali reali indice base 2004=100, elaborazioni su dati IT-SICL Istat imprese con più di 10 addetti, escludendo così molte imprese in Italia, data la dimensione media ridotta, oltretutto imprese le cui retribuzioni tendono ad essere più basse. Sono inoltre esclusi molti settori. 10
11 Naturalmente, il fatto di lavorare a tempo pieno o parziale comporta livelli retributivi piuttosto diversi: poiché con la crisi il numero di lavoratori part time è aumentato, non è da escludere un effetto composizione che spieghi almeno in parte l'andamento stagnante delle retribuzioni reali osservato in termini reali. L'effetto composizione è più importante per le retribuzioni mediane: i lavoratori part time sono difatti pagati complessivamente meno, lavorando meno ore, e tendono a concentrarsi nella parte bassa della distribuzione. Distinguendo tra lavoratori dipendenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale si osservano due andamenti pressoché speculari delle retribuzioni (considerando i valori mediani). Per i lavoratori full time le retribuzioni mediane si sono ridotte in termini reali nella prima parte del periodo di osservazione (tra il 2004 e il 2007), riflettendo probabilmente anche composizioni meno favorevoli con un aumento della presenza di lavoratori a termine, a fronte di un lieve incremento invece delle retribuzioni mediane per i part time. La situazione si è invertita invece nel periodo post crisi; le retribuzioni per i lavoratori a tempo pieno sono rimaste pressoché stabili, mentre quelle dei lavoratori a tempo parziale, al di là di oscillazioni da un anno all'altro, hanno evidenziato dal 2010 una decisa riduzione. Sulla base di queste osservazioni preliminari, si rileva come il deterioramento recente si sia concentrato soprattutto sui lavoratori a tempo parziale, riflettendo probabilmente anche una composizione meno favorevole, con un incremento dell'incidenza di lavoratori in professioni meno qualificate o con contratti meno vantaggiosi. 11
12 Grafico 7 Retribuzioni lorde mensili reali - val.mediani dip.full time dip.part time indice base 2004=100. Elaborazioni su dati IT-SILC Istat Gli autonomi non sono stati risparmiati In Italia i lavoratori autonomi rappresentano una quota importante dell'occupazione complessiva: il lavoro autonomo, soprattutto durante le fasi di ristrutturazione industriale del passato, è stato spesso una maniera per assorbire occupazione dipendente in eccesso. Negli ultimi anni, però, l'occupazione autonoma ha anche incluso forme occupazionali che nei fatti sono poco autonome; è fiorito l'utilizzo delle partite Iva individuali per impiegare professionisti, soprattutto giovani, in forme di parasubordinazione. Benché inquadrati, ai fini della normativa fiscale e previdenziale, come autonomi, questi lavoratori sono di fatto impiegati in posizioni lavorative assimilabili per condizioni e prospettive a quelle dei dipendenti a termine. Un'analisi dei redditi da lavoro autonomo evidenzia come anche questi abbiano risentito della crisi. La crescita dei redditi si è interamente concentrata nel periodo pre-crisi, ma tra il 2007 e il 2011 i redditi medi da lavoro autonomo 4 si sono ridotti complessivamente dell'1,4 per cento. La contrazione è stata più intensa (-2,3 per cento) 4 Dall'analisi sono stati esclusi i redditi negativi, riducendo così il campione e "sottostimando" così la riduzione totale. 12
13 per i redditi mediani, evidenziando come è stata soprattutto la prima metà della distribuzione a subire le maggiori riduzioni. In termini reali, la riduzione del reddito mediano da lavoro autonomo tra il 2007 e il 2011 è stata di oltre 10 punti percentuali. D'altra parte con la crisi molte imprese, soprattutto piccole, hanno sperimentato grosse difficoltà (e molte hanno dovuto chiudere), e anche i lavoratori in proprio e i parasubordinati sono stati pesantemente colpiti. I cambiamenti nella distribuzione Nel complesso, le retribuzioni medie si sono deteriorate, in termini reali: ma all'interno della distribuzione, gli effetti non sono stati uguali per tutti. Se si guardano le variazioni delle retribuzioni reali tra il 2007 e il 2011, si osserva che la contrazione registrata per la retribuzione mediana è più ampia di quella registrata per la media 5. Scendendo nel dettaglio della distribuzione, si rileva come le contrazioni di entità maggiore si siano registrate in corrispondenza dei percentili inferiori della distribuzione, ovvero per quei lavoratori che ricevono retribuzioni più basse. Il primo decile ha sperimentato una riduzione delle retribuzioni reali di oltre il 10 per cento in un quadriennio, mentre per l ultimo decile la variazione è pressoché nulla. L impressione è che quindi la crisi, nei suoi effetti sui livelli retributivi, sia stata asimmetrica. Ad essere maggiormente colpiti sono stati i decili più bassi, con un conseguente aumento delle disuguaglianze. Inoltre, la concentrazione degli effetti sui decili più bassi (anche se quelli più elevati non sono stati esenti dalle perdite) si è tradotta in un aumento dei rischi di povertà: anche chi si trovava poco sopra le soglie di povertà ha sperimentato uno scivolamento verso il basso. 5 Che risente maggiormente dei valori elevati della distribuzione. 13
14 Grafico 8 La perdita complessiva delle retribuzioni lorde durante la crisi p95 p90 p75 p25 p10 p5-12% -10% -8% -6% -4% -2% 0% var % retribuzioni lorde mensili reali, per diversi percentili della distribuzione del reddito. Elaborazioni su dati IT-SILC Istat In termini di salario orario 6, invece, il quadro che si delinea appare contrastante con quello osservato in riferimento alle retribuzioni pro capite. I salari reali, infatti, mostrano un peggioramento abbastanza generalizzato, ma più marcato nella parte alta della distribuzione. Sembrerebbe esserci stata una sorta di compressione verso il basso dei salari nel corso del periodo , ovvero anche prima della crisi. Il confronto dell'evoluzione della distribuzione delle retribuzioni lorde e di quella dei salari orari, evidenzia due andamenti contrastanti: la prima suggerisce un ampliamento delle divergenze mentre la seconda, al contrario, una compressione verso il basso dei salari. Riquadro - La caduta delle ore lavorate come conseguenza della crisi Il puzzle dell'apparente contraddizione tra l'andamento delle retribuzioni e quello dei salari orari è risolto se si tiene in considerazione l'altro fattore, non meno importante - soprattutto durante le fasi di recessione o di espansione - che influisce sui livelli retributivi, ovvero il numero di ore lavorate. Il livello delle retribuzioni dall'andamento dei salari orari - che riflettono la 6 I salari orari lordi rappresentano il prezzo del lavoro rilevante per le imprese. 14
15 contrattazione e l'evoluzioni delle componenti di secondo livello - e da quello del numero di ore lavorate pro capite. Mediamente, le ore lavorate pro capite si sono ridotte tra il 2004 e il 2011: rimaste sostanzialmente stabili nella prima parte del periodo preso in esame, la contrazione si è concentrata soprattutto nella seconda parte (ed in particolare nel 2009). Per far fronte alla caduta della domanda e, di conseguenza, dei livelli produttivi, molte imprese hanno difatti ridotto le ore per lavoratore, ad esempio riducendo gli straordinari, utilizzando le ferie arretrate e quando possibile facendo ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni. Questo fenomeno, segnalato anche dai dati macro e noto anche come labour hoarding, è piuttosto comune nelle fasi iniziali di recessione, quando le imprese, non sapendo se l'episodio recessivo è temporaneo o di natura più persistente, preferiscono incorrere nei costi legati alla minore produttività (via compressione dei margini) piuttosto che trovarsi a dover affrontare i costi derivanti dalla riduzione del personale, legati alla necessità di operare di nuovo i processi di selezione e formazione qualora ci fosse una ripresa a breve. Nel 2010, in coincidenza con il miglioramento del ciclo, le ore lavorate pro capite sono lievemente cresciute, ma nel periodo post crisi si resta su livelli ben distanti da quelli osservati in precedenza. Il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni ha raggiunto livelli massimi negli anni della crisi. Un altro fenomeno che ha cominciato a manifestarsi negli anni della crisi è stato l'incremento della diffusione del part time. Il lavoro a tempo parziale sta diventando via via più comune, perché spesso utilizzato per facilitare la conciliazione tra impegni familiari e lavoro, soprattutto per la componente femminile dell'occupazione. Nel periodo di crisi però si è osservato un aumento della diffusione dell'occupazione a tempo parziale anche per lavoratori disponibili a lavorare un numero maggiore di ore, mentre si è ridotta l'occupazione a tempo pieno; in altre parole, è cresciuto il part time involontario, che è una forma di sottoccupazione. 15
16 Grafico 9 Part time involontario % di involontari tra occupati part time >15 anni. Dati Istat La diffusione del part time involontario, che interessa soprattutto chi entra nel mercato del lavoro, contribuisce a spiegare la riduzione delle ore lavorate pro capite. Se oltretutto si guarda come si sono ridotte le ore lavorate nei diversi decili della distribuzione dei salari è possibile rilevare come la caduta delle ore lavorate sia stata particolarmente marcata in corrispondenza dei primi decili, ovvero per quei lavoratori che percepiscono le retribuzioni più basse. La riduzione delle ore lavorate si è osservata anche nel periodo precedente la crisi, ma si è molto intensificata negli anni della crisi. Per i lavoratori dell'ultimo decile, invece, l'andamento delle ore lavorate non si è molto discostato da quello medio. In parte, la maggior tenuta delle ore per chi è nel decile più elevato è dovuta anche al fatto che in questo decile si concentrano i dirigenti, che non hanno diritto alla Cassa Integrazione. In conclusione, chi già lavora tendenzialmente meno ore (nel primo decile si trovano soprattutto lavoratori con retribuzioni molto basse e che lavorano meno di 30 ore settimanali nell'occupazione principale, dove già incide molto il lavoro a tempo parziale) è stato interessato da una riduzione più marcata degli orari lavorativi, soprattutto per effetto della crescente importanza di fattori istituzionali, come l'incremento della diffusione del part time involontario, di contratti a poche ore e del ricorso alla Cassa Integrazione. 16
17 Grafico 10 Ore lavorate in media a settimana totale lav.dipendenti primo decile ultimo decile ore lavorate nell'occupazione principale, media lavoratori dipendenti, indice base 2004=100. Elaborazioni su dati IT SILC Istat La diversa evoluzione delle ore lavorate, con una contrazione molto più marcata per i lavoratori del primo decile, contribuisce a spiegare perché, nonostante una riduzione delle distanze in termini di salari orari, si sia osservata una crescente divergenza nelle retribuzioni mensili all'interno della distribuzione, con perdite concentrate soprattutto sui decili più bassi. Una crescente divergenza anche tra i redditi netti Per verificare l'ipotesi di una crisi asimmetrica nei sui effetti, sono stati analizzati anche i redditi netti per lavoro dipendente e come è cambiata la loro distribuzione nel tempo. I redditi da lavoro dipendente riflettono non solo le retribuzioni monetarie, ma anche quelle non monetarie, in natura, come i benefits (che in alcuni casi possono avere un valore non trascurabile); inoltre essendo valori netti, tengono conto dell impatto del sistema fiscale, che ha anche la funzione di garantire una redistribuzione dei redditi. In questo caso si osserva una polarizzazione nell entità delle contrazioni dei redditi reali: le contrazioni maggiori si osservano in corrispondenza dei percentili più bassi (-17 per cento la riduzione del reddito netto per il primo decile), ma anche per quelli più elevati, mentre sono risultate più contenute le perdite in termini percentuali per le 17
18 posizioni centrali. In termini assoluti, tra il 2007 e il 2011 gli occupati del primo decile (quelli che guadagnano il 10 per cento dei redditi più bassi) hanno perso 1450 euro netti all anno in termini reali, un valore superiore alla perdita assoluta osservata per la media (1419 euro). Grafico 11 La perdita complessiva di redditi individuali netti da lavoro dipendente durante la crisi p95 p90 p75 p25 p10 p5-30% -25% -20% -15% -10% -5% 0% var % redditi reali netti, per diversi percentili della distribuzione del reddito. Elaborazioni su dati IT-SILC Istat Questi numeri suggeriscono come la distribuzione dei redditi da lavoro dipendente sia cambiata, andando verso una maggiore sperequazione. Un'ulteriore conferma viene dagli indicatori che generalmente sono utilizzati per valutare le disuguaglianze. Tra questi, i rapporti tra percentili e l indice di Gini 7. Il rapporto tra i percentili segnala se la distanza all'interno della distribuzione aumenta o si riduce nel tempo; un incremento dei rapporti tra percentili estremi indica una maggior diseguaglianza nella distribuzione dei redditi. 7 L'indice di Gini è un indicatore che offre una misura sintetica del grado di concentrazione nella distribuzione di una variabile: quanto più il valore è prossimo a 1 tanto più la distribuzione risulterà concentrata (la variabile, ad esempio il reddito, sarà interamente concentrata nell'ultimo percentile), mentre quando il valore è prossimo a 0 la distribuzione risulta equa (ogni percentile ha una quota uguale della variabile di cui si sta osservando la distribuzione). 18
19 Come segnalano le elaborazioni effettuate sulla base dei microdati da indagine IT SILC, l'indice di Gini per le retribuzioni lorde è sceso in misura statisticamente significativa 8 tra il 2004 e il Tra il 2008 e il 2010 l'indice è rimasto pressoché stabile, ma dal 2011 si osserva un'inversione di tendenza significativa, con un deciso incremento dell'indice, segnale che la crisi prolungata ha cominciato ad avere effetti sulla distribuzione delle retribuzioni, con un aumento della disuguaglianza. Più smussati gli andamenti dell'indice di Gini calcolato per i redditi netti da lavoro dipendente (che tengono conto dei trasferimenti), ma che confermano sostanzialmente l'aumento della concentrazione nell'ultima fase. Tra il 2004 e il 2007 l'indice è rimasto stabile (le variazioni non risultano statisticamente significative); dopo una riduzione temporanea nel 2008 e una sostanziale stabilità nel biennio successivo, dal 2011 l'indice ha registrato un incremento, ovvero un aumento della sperequazione e un deterioramento della posizione relativa dei decili più bassi. Grafico 12 Indice di Gini per redditi netti da lavoro dipendente i punti indicano gli estremi degli intervalli di confidenza. Elaborazioni su dati IT-SILC Istat 8 Ovvero quelle variazioni più ampie dell'intervallo di confidenza: quando sono variazioni all'interno di tale intervallo, si ritiene l'indice sostanzialmente stabile. 19
20 Ad ogni modo, l'evoluzione dell'indice di Gini suggerisce che la disuguaglianza nella distribuzione delle retribuzioni lorde e dei redditi netti è aumentata nell'ultima fase del periodo di osservazione, quando gli effetti della crisi hanno cominciato a manifestarsi in misura più marcata. Indicazioni non dissimili provengono dall'analisi dei rapporti inter-percentili. Esaminando i rapporti tra percentili dei redditi netti da lavoro dipendente, si osserva come in generale questi siano cresciuti tra il 2004 e il 2011 (periodo per il quale sono disponibili i microdati): se nel 2004 il reddito dell'ultimo decile era pari a 3,6 volte quello del primo decile, a fine periodo risulta essere pari a 4 volte, segno di un allargamento delle distanze tra gli estremi della distribuzione. Va sottolineato come il rapporto è rimasto sostanzialmente stabile nella prima parte del periodo, mentre è aumentato solo nell'ultimo triennio, quando hanno cominciato progressivamente a manifestarsi gli effetti della crisi. Guardando più nel dettaglio della distribuzione dei redditi netti, si osserva che la divergenza è stata prevalentemente nella metà inferiore della distribuzione: il rapporto tra la mediana e il primo decile, rimasto pressoché stabile nella prima parte del periodo, è aumentato nell'ultimo triennio di osservazione, raggiungendo quota 2,4. La distanza tra la mediana e l'ultimo decile è invece inferiore (l'ultimo decile è pari a 1,7 volte la media), e tale rapporto non ha sperimentato grossi mutamenti nel corso del periodo di osservazione. Considerando che nella seconda parte del periodo in esame i redditi mediani in termini reali sono rimasti stagnanti, per poi contrarsi nel 2011, l'aumento della distanza con i redditi più bassi suggerisce come per questi ultimi le difficoltà siano state ancora più intense. In altre parole, chi già percepisce redditi modesti da lavoro dipendente si è ulteriormente impoverito, sia in termini assoluti (come si è visto, per il primo decile i redditi reali si sono ridotti di 1450 euro nel periodo di crisi) che in termini relativi, ossia rispetto al resto della distribuzione. In conclusione, la crisi si è tradotta non solo in un arretramento delle retribuzioni e dei redditi, ma anche in un peggioramento della distribuzione delle stesse, con un ampliamento delle differenze e con un deterioramento soprattutto delle posizioni di chi già si trova a guadagnare redditi modesti. 20
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