Verità di fede e munus docendi Ecclesiae Mons. Mauro Rivella Giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese-Torino

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1 Pontificia Università della Santa Croce - Facoltà di Diritto Canonico - XVII Convegno di studi Roma, aprile 2013 FEDE EVANGELIZZAZIONE E DIRITTO CANONICO Verità di fede e munus docendi Ecclesiae Mons. Mauro Rivella Giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese-Torino La formula verità di fede non ricorre nel codice di diritto canonico ma, nella sua sinteticità, esprime incisivamente quel bene prezioso di cui la Chiesa è a un tempo beneficiaria, custode e annunciatrice. Fede e verità si incontrano apicalmente in Gesù Cristo, che si autodefinisce via, verità e vita (Gv 14,6). A sua volta, la fede nasce dall ascolto del Logos che si è fatto carne (cf. Rm 10,17 e Gv 1,14). Del resto, dal punto di vista epistemologico, la verità è essenzialmente una relazione, più precisamente la corrispondenza appropriata fra la realtà e l intelletto che la conosce (adaequatio rei et intellectus). Accostarsi alle verità di fede costituisce perciò un opzione a favore dell intelligibilità della realtà e della possibilità di conoscere Dio, che è la realtà per eccellenza. Come afferma la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell evangelizzazione, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 3 dicembre 2007, nulla come la ricerca del bene e della verità mette in gioco la libertà umana, sollecitandola ad un adesione tale da coinvolgere gli aspetti fondamentali della vita. Questo è in modo particolare il caso della verità salvifica, che non è soltanto oggetto del pensiero ma avvenimento che investe tutta la persona intelligenza, volontà, sentimenti, attività e progetti quando essa aderisce a Cristo (n. 4) 1. Tale approccio è conforme a una visione del diritto non meramente formale, convenzionale o arbitrariamente positivista, ma sostanzialmente realista. Si è discusso a lungo circa l effettiva portata giuridica delle norme codiciali contenute nel Libro III del codice di diritto canonico, dedicato al munus docendi Ecclesiae 2. A trent anni dalla loro promulgazione, credo si possa affermare che esse, se adeguatamente contestualizzate e ricapitolate in maniera sistematica, contengono elementi preziosi per individuare doveri e diritti concretamente esigibili, e pertanto dotati davvero di rilevanza giuridica. Anche in questo ambito è comunque necessario operare un cambiamento di paradigma, leggendo la singola determinazione codiciale, pure quando fosse in continuità testuale con la disciplina del codice piano-benedettino, alla luce dell ecclesiologia del Vaticano II, nella consapevolezza che il codice del 1983 costituisce un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico l ecclesiologia conciliare 3. La singola norma, infatti, deve essere intesa secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto (can. 17), avendo però presente il fine e le circostanze della legge e l intenzione del legislatore. Il tenore marcatamente dottrinale delle disposizioni contenute in questa parte del codice canonico esige, pertanto, che la loro lettura e interpretazione avvenga a partire dai contenuti del magistero conciliare, esplicitato e interpretato dall ampia serie di ulteriori interventi dei Romani 1 La prospettiva dell interazione con il sapere filosofico è molto interessante per delimitare il concetto di verità di fede. Si vedano, in proposito, le occorrenze dell espressione nella Lettera enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14 settembre 1998), dedicata al rapporto tra fede e ragione (nn. 41, 77, 97, 105). È molto acuta e sintomatica della sua impostazione di pensiero l annotazione di JOSEPH RATZINGER BENEDETTO XVI, in Introduzione alla fede, Brescia [ed. orig. 1968], p. 45: Io sono convinto che in fondo non sia stato solo un puro caso, se il messaggio cristiano nella sua stessa fase di formazione è penetrato in primo luogo nel mondo greco, fondendosi qui con il problema della comprensione, con la ricerca della verità. 2 Osserva in proposito CARLOS JOSÉ ERRÁZURIZ M. in La parola di Dio quale bene giuridico ecclesiale, Roma 2012, p. 14: La questione giuridica per eccellenza non consiste più nel determinare quali sono le norme applicabili a un determinato problema, ma nell accertare ciò che è giusto in ogni situazione, e a tale scopo servono le norme, sia quando esse dichiarano il giusto preesistente, sia quando introducono delle legittime determinazioni storiche. In quest ottica realista le questioni riguardanti la parola di Dio appaiono nella loro vera importanza giuridica, a prescindere dal fatto che esse pongano abitualmente meno problemi da risolvere con la metodologia tipica del diritto. 3 GIOVANNI PAOLO II, Cost. Ap. Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio /6 -

2 Pontefici e della Santa Sede. Fra tutti, spicca in particolare la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum. Presentandone il testo alla votazione finale davanti all assemblea conciliare, il 29 ottobre 1965, il relatore, card. Ermenegildo Florit, non esitò ad affermare che essa esprimeva il nesso fra tutte le questioni trattate dal concilio, dal momento che il rapporto fra Scrittura e Tradizione che è il contenuto centrale delle verità di fede si situa nel cuore del mistero della Chiesa e nell epicentro della problematica ecumenica. Già nell autunno 1964 la Commissione teologica aveva rilevato che il De revelatione costituiva in certo modo la prima di tutte le costituzioni conciliari, di modo che il suo preambolo ne rappresentasse per così dire l introduzione generale. In religioso ascolto della parola di Dio (DV 1) sta a indicare che tale parola non si dà se non nell atto stesso in cui essa viene ascoltata e accolta e che non è attingibile se non nell atto stesso della sua interpretazione. Per questo, nel prosieguo della costituzione si dice che la tradizione della Chiesa consiste nella trasmissione di tutto ciò che ella è, di tutto ciò che ella crede (cf. DV 8). L annuncio del Vangelo è veicolato dall accoglienza della parola evangelica, cioè nel processo ecclesiale della sua interpretazione, che è la vita stessa della Chiesa. Con molta proprietà, indicendo l Anno della fede, Benedetto XVI ha osservato che il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato 4. Alla luce di queste considerazioni, ci è più chiaro perché, una volta adottato nella scansione codiciale il modello dei tria munera Ecclesiae 5, la trattazione sul munus docendi sia stata anteposta a quella sul munus sanctificandi e alle tematiche amministrative, penali e giudiziarie, tutte riconducibili all esercizio del munus regendi. La priorità attribuita al Libro III dipende dalla constatazione che la parola è costitutiva della realtà della Chiesa e precede, almeno cronologicamente, i sacramenti e la vita comunitaria. Da ciò consegue che il primo dovere che incombe sul popolo di Dio è l annuncio della parola, che deve poi essere celebrata nella liturgia e vissuta nella carità. Tale parola è affidata al popolo di Dio nel suo complesso, sebbene talune funzioni, in particolare quella di magistero autentico 6, competano propriamente alla gerarchia. A partire da una diversa prospettiva ecclesiologica, il codice piano-benedettino trattava la materia all interno del Libro III De rebus, nella parte IV dedicata al magistero ecclesiastico. Nell insegnamento autorevole della gerarchia e nel suo ruolo di prevenzione e controllo si individuava uno strumento (res) specifico messo a disposizione dei fedeli perché potessero conseguire con certezza la salvezza delle loro anime. L impostazione attuale, invece, inserisce i compiti peculiari della gerarchia nel più ampio quadro dell annuncio evangelico, affidato all intera comunità ecclesiale, come enuncia con chiarezza il can. 211: Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Il Libro III è suddiviso in cinque titoli, introdotti da nove canoni preliminari, privi di titolazione, dedicati al magistero gerarchico, alla libertà religiosa e all ecumenismo. La materia è articolata secondo uno sviluppo non privo di organicità: il primo titolo, infatti, tratta del ministero della parola divina, che comprende la predicazione e la catechesi; il secondo, dell azione 4 BENEDETTO XVI, lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011, n L applicazione alla Chiesa dei tria munera Christi è desunta dalla costituzione conciliare Lumen gentium, che tratta al n. 25 della funzione di insegnamento, al n. 26 della funzione di santificazione e al n. 27 della funzione di governo. 6 Per magistero ecclesiastico si intende il compito di insegnare che, per istituzione divina, è proprio del collegio episcopale o dei singoli vescovi uniti con il Sommo Pontefice in comunione gerarchica : COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Il mutuo rapporto fra magistero ecclesiastico e teologia, tesi 1, Afferma in proposito DV 10: L ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio. - 2/6 -

3 missionaria, che si sviluppa a partire da esse. I restanti titoli trattano temi strumentali rispetto ai primi due: l educazione cattolica, gli strumenti di comunicazione sociale e la professione di fede. Ciò detto, pare utile affrontare in maniera sistematica le questioni legate all esercizio del munus docendi Ecclesiae e alla dimensione giuridica insita nella parola di Dio, articolando l esame delle disposizioni codiciali a partire da tre snodi: la ricezione della parola divina, la conservazione e l approfondimento e, infine, la sua diffusione 7. Inserito fra i canoni che illustrano gli obblighi e i diritti comuni a tutti i fedeli, il can. 213 enuncia il loro dovere-diritto di impegnarsi perché l annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. A esso corrisponde specularmente il dovere dei ministri ordinati di annunciare a tutti il Vangelo di Dio, qualificato dal can. 762 come uno tra i principali e realizzato mediante la predicazione. L accesso dei fedeli alle verità di fede avviene anche attraverso l educazione cristiana, che costituisce un loro diritto e ha come obiettivo, secondo la formulazione del can. 217, la debita formazione per conseguire la maturità personale e contemporaneamente per conoscere e vivere il mistero della salvezza. A tale diritto è connesso l obbligo e diritto di conoscere la dottrina cristiana. Riferito dal can ai laici, esso si estende ragionevolmente a ogni fedele ed è finalizzato a consentire a tutti di vivere in maniera coerente con la dottrina professata, per essere in grado di annunciarla e, se necessario, difenderla e per poter partecipare all esercizio dell apostolato. Dal combinato disposto di questi canoni, emerge con chiarezza come tale diritto fondamentale non si limiti alle modalità classiche della predicazione e della catechesi, a cui il can. 761 attribuisce il primo posto nell esercizio del ministerium verbi, ma si estenda a ogni forma di educazione e formazione cristiana. L annuncio del Vangelo, per innervarsi efficacemente nella cultura e per ispirare scelte di vita e comportamenti individuali e collettivi conseguenti, deve suscitare processi educativi capaci di plasmare la persona orientandone la libertà. In questo orizzonte, è evidente l importanza della catechesi e della scuola, ma è chiaro che tutta l azione pastorale deve caratterizzarsi per un impronta marcatamente formativa 8. Del tutto peculiare è il ruolo inalienabile dei genitori nell educare cristianamente i propri figli, espressamente richiamato nel can : a loro, infatti, spetta primariamente la cura dell educazione cristiana della prole secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa. L annuncio della parola deve caratterizzarsi in due direzioni: fondato sulla sacra Scrittura, la tradizione, la liturgia e la vita della Chiesa, deve proporre fedelmente e integralmente il mistero di Cristo (cf. can. 760), senza riduzioni arbitrarie o interpretazioni distorte. Nel contempo, deve essere proposto in maniera conforme alla condizione degli uditori e adattarsi alle necessità dei tempi (cf. can. 769), favorendo il processo di inculturazione. Una particolare sollecitudine è raccomandata ai pastori delle anime, soprattutto vescovi e parroci, affinché la parola di Dio sia annunciata e possa raggiungere anche i cosiddetti lontani, cioè quei fedeli che, per la loro condizione di vita, non usufruiscono a sufficienza della cura pastorale ordinaria o ne sono del tutto privi (cf. can ) 9. Anche la conservazione della parola è un dovere che incombe sull intero Popolo di Dio. La dimensione istituzionale della custodia, che spetta anzitutto alla gerarchia, non esaurisce il compito di proteggere il depositum fidei, affidato non solo ai sacri pastori, ma anche a tutti i fedeli. Ogni persona, infatti, in base alla condizione creaturale e per la portata universale della redenzione attuata dal mistero pasquale, ha la capacità e il dovere di ricercare assiduamente la verità (cf. can , 7 Mi rifaccio alla prospettazione sviluppata da Errázuriz, in particolare in Il munus docendi Ecclesiae : diritti e doveri dei fedeli, Milano 1991, e in La parola di Dio quale bene giuridico ecclesiale, cit. Egli inquadra i rapporti giuridici riguardanti la parola di Dio secondo tre fattori: i soggetti di tali rapporti, le funzioni integranti il munus docendi e i beni giuridici tutelati (cf. La parola di Dio, pp ). 8 È questa l idea portante degli Orientamenti pastorali dell Episcopato italiano per il decennio corrente, Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre A questa duplice preoccupazione risponde anche la recente decisione di trasferire la competenza sulla catechesi dalla Congregazione per il clero al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione: cf. BENEDETTO XVI, lett. ap. Fides per doctrinam, 16 gennaio /6 -

4 da leggersi alla luce di DH 1-2). Quando, poi, giunge a conoscere la verità che riguarda Dio e la Chiesa, ha il diritto e il dovere di abbracciare e osservare la fede cristiana. Speculare a tale dirittodovere, è il diritto alla libertà religiosa, enunciato in DH 2 e ribadito nel can : non è mai lecito ad alcuno indurre gli uomini ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza. Fra gli interventi autoritativi a tutela del depositum fidei, spicca in particolare la procedura dichiarativa di competenza della Congregazione per la dottrina della fede 10, che può condurre alla riprovazione di scritti e opinioni erronee o pericolose in materia di fede. Il can conferisce ai pastori della Chiesa il dovere-diritto di vigilare che non si arrechi danno alla fede e ai costumi dei fedeli con gli scritti o con l uso degli strumenti della comunicazione sociale; di esigere che siano sottoposti al loro giudizio prima della pubblicazione gli scritti dei fedeli che toccano la fede e i costumi; di riprovare gli scritti che portino danno alla retta fede o ai buoni costumi. Tale dovere e diritto compete non solo alla suprema autorità nei confronti della Chiesa universale, ma anche ai vescovi, come singoli o mediante i concili particolari o le conferenze episcopali, per le Chiese loro affidate. Il problema della vigilanza si pone oggi in termini inediti nei confronti dei nuovi media e di internet, strumenti o piuttosto ambienti caratterizzati dalla continua e inarrestabile evoluzione e dalla velocità e pervasività nella diffusione dei contenuti: tutti elementi che rendono praticamente impossibile esercitare su di essi un controllo efficace ricorrendo a interventi anche sanzionatori adatti a forme di comunicazione su supporto statico, quali le pubblicazioni a stampa o la pellicola cinematografica. Al diritto alla vigilanza da parte dei pastori corrisponde l obbligo dei fedeli di osservare con cristiana obbedienza ciò che essi dichiarano come maestri della fede. Sono interessanti i due incisi contenuti nel can , che enuncia tale principio. Riprendendo LG 37, si precisa che ai pastori l obbedienza è dovuta in quanto rappresentano Cristo. In secondo luogo, essa viene esercitata dai fedeli consapevoli della propria responsabilità, cioè del fatto che l obbedienza nei confronti dell autorità legittimamente costituita e nelle forme previste dal diritto costituisce la modalità per vivere nella comunione ed edificare la comunità ecclesiale. I canoni introduttivi del Libro III, dal can. 749 al can. 754, propongono una sintesi sui soggetti e l oggetto del magistero ecclesiastico, dando così concretezza al dovere dei fedeli di obbedire agli insegnamenti ufficiali della Chiesa. Circa i soggetti della potestà di magistero infallibile, il can. 749 ricorda che essi si identificano con il duplice soggetto inadeguatamente distinto della suprema autorità della Chiesa: il Romano Pontefice (cf. can. 331) e il collegio dei vescovi, costituito dall insieme dei vescovi in comunione gerarchica con il Romano Pontefice (cf. can. 336). Le due modalità di esercizio dell infallibilità da parte del collegio dei vescovi indicate nel can trovano corrispondenza nei primi due paragrafi del can È evidente che, anche se muta la modalità con cui si esprime il magistero infallibile (Papa o collegio dei vescovi, nel concilio ecumenico o dispersi nel mondo), non cambia la qualità del pronunciamento. In ogni caso, la definizione di una dottrina come infallibile deve constare in modo manifesto (cf. can ). Il can precisa l oggetto primario della fede divina e cattolica: la fede è chiamata divina, in quanto il suo oggetto è sicuramente rivelato da Dio; è detta cattolica, quando lo stesso oggetto, oltre a essere rivelato da Dio, è come tale anche proposto espressamente dal magistero della Chiesa. Devono essere credute con fede, non soltanto divina, ma anche cattolica, tutte quelle verità che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata oralmente dagli apostoli ai loro successori, cioè l unico totale deposito della fede affidato alla Chiesa, e da questa proposto come divinamente rivelato. Tale dichiarazione può avvenire o mediante il magistero solenne (Romano Pontefice che definisce ex cathedra o pronunciamento definitivo del concilio ecumenico), in cui espressamente si dichiara una verità da tenersi come rivelata; oppure con il magistero ordinario e universale, che però in tal caso viene manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del magistero. In altre parole, la Chiesa intera vive unanimemente la fede in certe verità, anche senza che ci sia stato un pronunciamento magisteriale solenne ed esplicito. Come conseguenza, tutti i 10 Regolamento per l esame delle dottrine, 29 giugno /6 -

5 fedeli sono tenuti in coscienza a evitare qualsiasi dottrina contraria a queste verità e ad aderirvi totalmente con l intelletto e con la volontà. Con la lettera apostolica Ad tuendam fidem, pubblicata il 18 maggio 1998, Giovanni Paolo II ha integrato le norme codiciali con un esplicito riferimento al dovere di fermamente accogliere e ritenere le verità connesse per necessità logica con la rivelazione: tale intervento è stato recepito con l inserzione nel codice latino del 2 del can Nella nota dottrinale illustrativa della Congregazione per la dottrina della fede Inde ab ipsis primordiis (29 giugno 1998) dette verità vengono esemplificate con la dottrina dell infallibilità del Romano Pontefice, prima della definizione dogmatica del concilio Vaticano I, e più recentemente, con la dottrina sulla riserva ai soli uomini dell ordinazione sacerdotale, sull illiceità dell eutanasia, della prostituzione e della fornicazione. Rientrano ugualmente in questo gruppo le verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate: si pensi alla legittimità dell elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, alle canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici) o la dichiarazione di Leone XIII sull invalidità delle ordinazioni anglicane. A quanti contravvengono al disposto del can si applicano le sanzioni penali previste dal can. 1371, Il can. 751 specifica che cosa debba intendersi per adesione a una dottrina contraria alle verità da credersi per fede divina e cattolica e dà la definizione di eresia, apostasia e scisma. Si tenga presente che, alla luce di UR 3, il canone si riferisce solo a quanti hanno abbracciato la fede cattolica per poi abbandonarla del tutto o in parte in modo cosciente e formale: sono pertanto esclusi i cristiani battezzati ed educati al di fuori della Chiesa cattolica. I colpevoli dei delitti di eresia, apostasia e scisma incorrono nella scomunica latae sententiae (cf. can ). Il can. 752 affronta la questione del grado di adesione a cui si è tenuti nei confronti del magistero non infallibile ordinario autentico, che di fatto costituisce la gran parte dell insegnamento dei pastori. In primo luogo si precisa che a esso non è dovuto un assenso di fede (che è riservato alle verità di fede), ma un adesione schietta, radicata nel fatto che si tratta di un insegnamento impartito dall autorità costituita da Cristo nella Chiesa. Tale adesione, definita come religioso ossequio dell intelletto e della volontà, è richiesta alla dottrina enunciata dal Papa o dal collegio dei vescovi, sia sulla fede sia sulla morale, nell esercizio del loro magistero autentico, anche se non intendono proclamarla in modo definitivo, come invece avviene per la dottrina di fede. I fedeli devono di conseguenza evitare tutto quanto che non concorda con essa. Ciò esige non solo un atto formale esterno, ma anche un atto religioso interno, consistente nella docilità della mente e della volontà all insegnamento del magistero e quindi nell adeguamento a esso della propria mente. Esso trova la motivazione non nella competenza scientifica del Romano Pontefice o dei vescovi, ma nella loro competenza religiosa per la missione ricevuta da Cristo: se il fedele si trovasse in difficoltà ad aderire intellettualmente alla dottrina proposta dal magistero, dovrebbe comunque accoglierla, riconoscendo in forza di un atto di volontà il carisma certo della verità e l assistenza dello Spirito concessa al Romano Pontefice e ai vescovi. Il can. 218 enuncia il diritto ad approfondire la parola di Dio, riferendolo a coloro che si dedicano alle scienze sacre. Essi godono della giusta libertà di investigazione, a cui è connessa quella di manifestare prudentemente il loro pensiero su ciò di cui sono esperti. È giusta quella libertà che si esercita nella competenza e nel rigore metodologico, mentre la prudenza richiesta nel divulgare i risultati degli studi richiede un ossequio non meramente formale nei confronti del 11 La promulgazione di Ad tuendam fidem ha suscitato un vivace dibattito fra canonisti e teologi. Non sono mancate prese di posizione molto critiche in ordine alla convenienza di sanzionare l obbligo di fermamente accogliere e ritenere le verità necessariamente connesse con la divina rivelazione sia per ragioni storiche sia come logica conseguenza (cf. ATF 3). Si vedano, in proposito, gli atti del convegno tenuto il 3-4 dicembre 1999 presso l Istituto per le scienze religiose di Bologna, dal titolo emblematico Disciplinare la verità, in Cristianesimo nella storia XXI/1 (2000). In un altra prospettiva, cf. LUIS GAHONA FRAGA, La connessione tra rivelazione divina e magistero della Chiesa come fondamento della potestà di magistero, alla luce di Ad tuendam fidem, in DAVIDE CITO FERNANDO PUIG (a cura di), Parola di Dio e missione della Chiesa. Aspetti giuridici, Milano 2009, pp /6 -

6 magistero gerarchico ed è finalizzata al servizio della comunità ecclesiale, rispettandone i tempi di crescita 12. Diffondere la parola di Dio è compito di ogni fedele, perché ciascuno partecipa, nel modo suo proprio, alla funzione profetica di Cristo ed è chiamato ad attuare, secondo la condizione che lo caratterizza, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tale principio, enunciato nel can , viene ribadito nel già citato can. 211, dove si afferma il dovere-diritto di tutti i fedeli a impegnarsi perché l annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più tra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Da ciò deriva il diritto di promuovere o di sostenere l attività apostolica con proprie iniziative, di cui ciascuno assumerà la responsabilità, pur partecipando alla missione comune della Chiesa. Il can , infine, ricorda che i laici, sia come singoli sia in forma associata, sono tenuti all obbligo e hanno il diritto di impegnarsi perché l annuncio divino della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo. Tale dovere, comune a tutti i fedeli secondo la condizione di ciascuno, si fa per loro più stringente in quelle situazioni in cui la testimonianza laicale costituisce di fatto l unica occasione di evangelizzazione. Scrive Benedetto XVI: La conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore 13. Al diritto, dimensione irrinunciabile dell esperienza ecclesiale, tocca propiziare e difendere, secondo le dinamiche sue proprie, questi processi che attingono al cuore della vita del credente. La rinnovata attenzione ai profili giuridici del munus propheticum Ecclesiae, nella duplice dimensione del coinvolgimento attivo di tutti i fedeli nella corresponsabilità dell annuncio, ricezione, conservazione, approfondimento e diffusione della parola e delle verità di fede, e in quella specifica dei pastori sacri dell insegnamento autorevole e della vigilanza, non può che giovare a una più feconda accoglienza del depositum fidei. Il rispetto della diversità dei ruoli e delle funzioni all interno del popolo di Dio, unito alla promozione della legittima libertà e della giusta autonomia dei fedeli nell esercizio della loro partecipazione al munus docendi, con particolare attenzione alle esigenze della ricerca teologica e al valore della libertà religiosa, costituisce la chiave di volta per edificare la comunità e porre le basi di un annuncio credibile e perciò efficace. 12 Il teologo, non dimenticando mai di essere anch egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede. La libertà propria alla ricerca teologica si esercita all interno della fede della Chiesa. L audacia pertanto che si impone spesso alla coscienza del teologo non può portare frutti ed «edificare» se non si accompagna alla pazienza della maturazione. Le nuove proposte avanzate dall intelligenza della fede «non sono che un offerta fatta a tutta la Chiesa. Occorrono molte correzioni e ampliamenti di prospettiva in un dialogo fraterno, prima di giungere al momento in cui tutta la Chiesa possa accettarle» : CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, istr. Donum veritatis, 24 maggio 1990, n Porta fidei, cit., n /6 -

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