Sommario. Danno catastrofale: come si distingue dal danno biologico - terminale (Cass. Civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n ).

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1 Sommario PARTE I - CIVILE Il Punto di Civile * di Paolo SPAZIANI... 6 Questioni attuali in tema di procreazione medicalmente assistita: fecondazione eterologa e diagnosi preimpianto alla luce della giurisprudenza della Corte EDU... 6 Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile di Maria IANNONE Danno catastrofale: come si distingue dal danno biologico - terminale (Cass. Civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n ). 14 La Rassegna di diritto Civile sostanziale di Giovanni GUIDA Perdita di chances 1. Sulla natura della domanda per perdita di chances. 22 Diritto al nome 2. Sull ambito di tutela del diritto al nome inteso quale diritto fondamentale. 29 Consenso informato 3. Sui requisiti del consenso informato che deve essere prestato dal paziente. 33 Rilevabilità d ufficio della nullità 4. Sulla rilevabilità d ufficio della nullità in caso di domanda di annullamento del contratto. 38 Il Focus sul processo Civile di Fabio COSSIGNANI Mediazione obbligatoria 1. Sulla illegittimità costituzionale della mediazione obbligatoria di cui all art. 5 del d.lgs. n. 28/ Patrocinio a spese dello Stato 2. Sulla legittimità della riduzione della metà dei compensi liquidati al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo e tributario. 53 Processo esecutivo 3. Sui riflessi dell accertamento dell inesistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata sull aggiudicazione o sulla vendita del bene pignorato. 60 La Sentenza del mese * di Marco FRATINI e Angelo SALERNO Il risarcimento del danno da nascita indesiderata (Cass. Civ., sez. III - 12 ottobre 2012, n ) Parte II - PENALE Il Punto di Penale di Lucia GIZZI La sicurezza dello sci tra obblighi del gestore e norme di circolazione Sommario 1

2 Sommario Il Dibattito nella Giurisprudenza Penale di Pierpaolo BORTONE Reato continuato: alle Sezioni Unite la questione dei criteri di identificazione della violazione più grave. (Cass. Pen., sez. II, 22 ottobre 2012, n ). 85 La Rassegna di diritto Penale sostanziale di Floriana LISENA Diritto penale dell immigrazione 1. Sulla compatibilità del reato di clandestinità di cui all art. 10 bis t.u. imm. con la direttiva rimpatri. 91 Stupefacenti 2. Sulla pubblicità finalizzata alla vendita dei semi di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti: intervengono le Sezioni unite. 94 Il Focus sul processo Penale di Gianmichele PAVONE Letture 1. Sulla legittimità della lettura delle dichiarazioni rese dall imputato che non si sia presentato all'udienza fissata per l'esame. 102 Revoca della sentenza 2. Sulla costituzionalità della mancata previsione della revocabilità della sentenza di condanna in caso di mutamento giurisprudenziale. 110 La Sentenza del mese di Gioacchino ROMEO Pena imputabile ad aggravante incostituzionale e sorte del giudicato di condanna (Cass. Pen, sez. I - 16 ottobre 2012, n ) Parte III - AMMINISTRATIVO Il Punto di Amministrativo di Mariagrazia GALATI Giudizio di ottemperanza e risarcimento del danno Il Dibattito nella Giurisprudenza Amministrativa di Francesco PIPICELLI Sulla (in)sussistenza del dovere di provvedere in ordine alle istanze di esercizio dei poteri di autotutela. (Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5199) 143 Sommario La Rassegna di diritto Amministrativo sostanziale di Ida FADIGATI Tutela del legittimo affidamento 1. Sulla considerazione delle posizioni di affidamento maturate dal privato come limite all esercizio del potere amministrativo: alcune osservazioni sulla latitudine applicativa del principio. 152 Esame d avvocato: limiti all utilizzabilità del parere pro veritate 2. Sui limiti di utilizzabilità del parere pro veritate nell ambito della verificazione disposta per verificare 2

3 Sommario l erroneità della valutazione espressa dalla commissione d esame. 156 Deliberazioni del CSM per l attribuzione di incarichi direttivi e semi-direttivi 3. Sui criteri di valutazione per l attribuzione di incarichi direttivi e semi-direttivi e sui limiti in cui la delibera del CSM sia sindacabile dal g.a. 160 Il Focus sul processo Amministrativo di Alessandro AULETTA Modalità di riedizione della gara 1. Sulle modalità di riedizione della gara in caso di accertata illegittimità dell esclusione, laddove il criterio di aggiudicazione sia quello dell offerta economicamente più vantaggiosa. 170 D.i.a./s.c.i.a e tutela del terzo 2. Sulla tutela del terzo a fronte di attività edilizie intraprese sulla base di dichiarazione privata: la posizione vecchio stile del Tar Lazio. 174 Responsabilità civile in materia di contratti pubblici 3. Sui criteri di imputazione della responsabilità civile in materia di contratti pubblici. 177 La Sentenza del mese di Lorenzo CORDÌ Blocco delle assunzioni ed inquadramento in ruolo di docenti universitari già in servizio: affermazioni particolari e principi generali nella soluzione dell Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen maggio 2012, n. 17) * Il Punto e la Nota a sentenza del presente fascicolo avviano sul tema generale dell inizio e fine vita una riflessione che si concluderà nel fascicolo di Febbraio. Sommario 3

4 Avvertenza AVVERTENZA Gentile lettore, le pronunce contraddistinte da questo simbolo sono consultabili on line sul sito con una password che le verrà fornita spedendo via fax il coupon, compilato in ogni sua parte, che si trova alla fine del presente fascicolo. Per coloro che sottoscriveranno un abbonamento presso le librerie sarà fornita dallo stesso libraio, previa comunicazione dell abbonamento, una password valida per un anno. Per coloro, invece, che sottoscriveranno un abbonamento annuale scrivendo a info@neldiritto.it riceveranno la password di consultazione delle pronunce dalla redazione di Neldiritto tramite o fax. Avvertenza LA RIVISTA NELDIRITTO Registrata presso il Tribunale di Trani n. 02/09 del Direttore responsabile: M. E. Mancini Direzione scientifica Guido ALPA Giovanni FIANDACA Roberto GAROFOLI Franco Gaetano SCOCA Comitato scientifico Alessandro AULETTA (Assegnista di ricerca, già dottore di ricerca) Maria Rosaria BONCOMPAGNI (Avvocato) Carlo BUONAURO (Magistrato amministrativo) Pina CARLUCCIO (Magistrato ordinario) Giuseppe CASSANO (Avvocato) Giuseppe CHINÈ (Magistrato amministrativo) Giulia FERRARI (Magistrato amministrativo) Rosaria GIORDANO (Magistrato ordinario e Dottore di ricerca in Tutela giurisdizionale dei diritti) Lucia GIZZI (Magistrato ordinario e Dottore di ricerca in diritto penale) Giovanni GRASSO (Magistrato amministrativo) Maria Cristina IEZZI (Avvocato) Vincenzina MAIO (Avvocato) Alfonso MEZZOTERO (Avvocato dello Stato) Mauro OREFICE (Magistrato Corte dei Conti) Nicola PIGNATELLI (Avvocato e Professore a contratto) Aristide POLICE (Professore) Pietro Maria PUTTI (Professore) Alberto ROMEO (Magistrato e Dottore di ricerca in procedura penale) Saverio RUPERTO (Professore) Giuseppe SANTALUCIA (Magistrato ordinario) Paolo SPAZIANI (Magistrato Ordinario) Coodinamento di Redazione: Dott.ssa Talita Sasso Condizioni di Abbonamento SINGOLO NUMERO 18 ABBONAMENTO STANDARD 11 numeri + accesso a tutte le pronunce indicate nel numero cartaceo 198 = 190 ABBONAMENTO SPECIALE rivista cartacea + abbonamento a 11 numeri + accesso integrale a tutta la rivista e a tutta la banca dati del sito = Per abbonamenti rivolgersi in libreria o scrivere a info@neldiritto.it CONCEPT E GRAPHIC DESIGN Pantaleo MEZZINA Aranea internet marketing s.r.l Molfetta (BA) FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GENNAIO 2013 DA: Martano Editrice Srl Viale Belgio Z.I Lecce ISSN X ISBN NELDIRITTO EDITORE srl, Roma La traduzione, l adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi. I lettori che desiderano essere informati sulle novità di Neldiritto Editore possono scrivere a info@neldiritto.it o visitare il sito 4

5 Autori AUTORI hanno collaborato in questo numero Alessandro AULETTA Assegnista di ricerca, già dottore di ricerca in Diritto amministrativo presso l Università degli Studi di Napoli Federico II ; giudicato idoneo al concorso per magistrato ordinario bandito con d.m. 12 ottobre 2010 e ss. mm. Pierpaolo BORTONE Magistrato Ordinario Lorenzo CORDÌ Procuratore dello Stato Fabio COSSIGNANI Avvocato e dottorando di ricerca in Diritto processuale civile nell Università di Roma La Sapienza Giovanni GUIDA Funzionario MEF (Dir. Affari legali - Tesoro) - Professore a contratto di Diritto romano Università Roma Tre e LUISS Maria IANNONE Magistrato Ordinario Floriana LISENA Avvocato e dottoranda di ricerca in Diritto Pubblico presso l Università di Palermo Gianmichele PAVONE Avvocato e Cultore della materia Diritto processuale penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell Università degli Studi di Bari A. Moro Ida FADIGATI Dottoranda in Diritto amministrativo presso l'università degli Studi di Napoli Federico II Marco FRATINI Avvocato, Funzionario CONSOB Mariagrazia GALATI Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto privato e nuove tecnologie presso l'università degli Studi di Bari "Aldo Moro" Lucia GIZZI Magistrato Ordinario Francesco PIPICELLI Giudicato idoneo al concorso per magistrato ordinario bandito con d.m. 12 ottobre 2010 e ss. mm. Gioacchino ROMEO Magistrato Ordinario Angelo SALERNO Dottore in Giurisprudenza Paolo SPAZIANI Magistrato Ordinario Autori 5

6 Parte Prima - Civile Questioni attuali in tema di procreazione medicalmente assistita: fecondazione eterologa e diagnosi preimpianto alla luce della giurisprudenza della Corte EDU di Paolo SPAZIANI La legge n.40 del 2004, contenente la disciplina della procreazione medicalmente assistita, ha posto per diversi anni all attenzione del giurista questioni di difficile soluzione, quali, in particolare, quella relativa alla conformità a Costituzione del divieto di fecondazione eterologa e quella relativa all ammissibilità della diagnosi preimpianto sugli embrioni prodotti in vitro. Tali questioni sono tornate di stretta attualità alla luce delle recenti pronunce rese sui temi evocati dalla Corte Europea dei Diritti Umani, che costituiscono punti di riferimento ineludibili per il giudice nazionale, avuto riguardo alla necessità nel quadro del sistema integrato delle fonti risultante dalla riforma del titolo V della Costituzione operata con legge cost.n.3 del 2001, nonché dalle sentenze della Corte Cost. n.348 e 349 del 2007 di interpretare le disposizioni della legge n.40 del 2004 in senso conforme alle norme della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali. Nel presente saggio si esamina, in particolare, la questione se, alla luce degli orientamenti espressi dalla Corte di Strasburgo, il ricorso alla fecondazione eterologa e alla diagnosi preimpianto trovino tutela nelle norme della Convenzione, anche tenendo conto, con specifico riguardo alla diagnosi preimpianto, delle implicazioni derivanti dal prevalso orientamento della giurisprudenza interna volto a riconoscerne l ammissibilità. Il Punto di Civile SOMMARIO 1.- Premessa. 2.- La fecondazione eterologa e il divieto di cui all art.4, comma 3, legge n.40 del Il problema della compatibilità del divieto con l art.8 Convenzione EDU. La decisione della Corte EDU 3 novembre 2011 (S.H. e altro c. Austria) e la sua rilevanza per l ordinamento italiano. 4.- La diagnosi preimpianto e l interpretazione costituzionalmente orientata degli artt.13 e 14 della legge n.40 del II problema della legittimità costituzionale dell art.4, comma 1, legge n.40 del La decisione della Corte EDU 28 agosto 2012 (Costa e Pavan c. Italia). 1.- Premessa. Le recenti pronunce della Corte Europea dei Diritti Umani hanno fatto tornare di attualità talune questioni in tema di procreazione medicalmente assistita, già oggetto di acceso dibattito in sede di prima applicazione della legge n.40 del 2004, recante la complessiva disciplina della fecondazione artificiale nel nostro ordinamento. La novità deriva dalla circostanza che, come è noto, le norme contenute nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali (Convenzione EDU), in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione (operata con legge costituzionale n.3 del 2001) ed alla luce della nuova formulazione dell art.117, comma primo, della nostra carta fondamentale, hanno assunto la natura di regole interposte tra la legge e il parametro costituzionale che sono deputate ad integrare. In ragione di ciò, le eventuali antinomie tra norme interne e norme convenzionali non sono più regolate dal mero criterio cronologico di raccordo tra le fonti del diritto 1, ma dal diverso criterio gerarchico, in base al quale la prevalenza spetta sempre alla norma della convenzione, con la conseguenza che, sebbene al giudice non sia consentito procedere all applicazione diretta di quest ultima, tuttavia egli è tenuto ad interpretare le norme di diritto interno in senso conforme alle norme convenzionali, e, nei casi in cui l interpretazione conforme non risulti possibile, a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma interna per violazione del citato parametro costituzionale, come integrato dalla norma convenzionale 2. 1 Tale criterio, operante tra le fonti di pari grado e fondato sulla prevalenza della fonte successiva rispetto alla precedente, era stato tradizionalmente ritenuto applicabile dalla Corte Costituzionale ai rapporti tra norme di legge interna e norme della Convenzione Europea dei Diritti Umani, sul presupposto che queste ultime, avendo natura di norme di diritto internazionale pattizio, non trovassero una copertura costituzionale né nell art.10 Cost. (riferibile esclusivamente alle norme di diritto internazionale consuetudinario) né nell art.11 Cost., la cui operatività presuppone una limitazione di sovranità nazionale non riscontrabile nella mera attuazione di un trattato (v., per tutte, Corte Cost.22 dicembre 1980 n.188). 2 Cfr. Corte Cost. 24 ottobre 2007 n.348 e Corte Cost.24 ottobre 2007 n.349, in Gazz. Uff. 31 ottobre 2007 n.42. Nello stesso senso, successivamente, Corte Cost.26 novembre 2009 n.311, in Gazz. Uff. 2 dicembre 2009 n.48 e Corte Cost.4 dicembre 2009 n.317, in Gazz. Uff. 9 dicembre 2009 n

7 Il Punto di Civile Il nuovo sistema dei rapporti tra le norme di legge ordinaria statale e le norme contenute nella Convenzione EDU ha determinato conseguenze rilevanti sulla disciplina della procreazione medicalmente assistita in quanto si è riproposto, sotto nuovi profili, il problema della legittimità costituzionale di taluni divieti e di taluni limiti contenuti nella legge n.40 del 2004, legge che, come è noto, ha costituito il sofferto punto di arrivo di un processo volto a realizzare il non facile compromesso tra posizioni politiche e culturali fondate su diverse, e talora inconciliabili, convinzioni ideologiche, etiche e filosofiche. Le questioni concernono, in particolare, la legittimità del divieto di fecondazione eterologa posto dall art.4, comma 3, e la legittimità dei limiti, previsti dall art.4, comma 1, all accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, avuto riguardo, con specifico riferimento alla seconda questione, non solo alle pronunce dei giudici di Strasburgo, ma anche alle implicazioni derivanti dal prevalso orientamento della giurisprudenza nazionale, volto a riconoscere l ammissibilità della diagnosi preimpianto. 2.- La fecondazione eterologa e il divieto di cui all art.4, comma 3, legge n.40 del Le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono essere di tipo omologo o di tipo eterologo. Si parla di fecondazione omologa quando entrambi i gameti utilizzati per formare l embrione provengono dalla coppia. Si parla di fecondazione eterologa quando uno dei due gameti (ovocita femminile o seme maschile) proviene da soggetto esterno alla coppia, e cioè da una donatrice (nel caso di ovocita femminile) o da un donatore (nel caso di seme maschile). Quando viene donato l ovocita femminile, la fecondazione eterologa è sempre fecondazione in vitro. Precisamente, con un intervento in laparoscopia vengono prelevati dalla donatrice alcuni ovociti che sono poi fecondati in vitro con il seme dell aspirante padre e impiantati nell utero della madre portatrice la quale inizia una normale gravidanza. Quando viene donato il seme maschile, la fecondazione può essere sia in vitro sia intracorporea, a seconda che l inseminazione avvenga all esterno o all interno del corpo dell aspirante madre. Nel nostro ordinamento vige il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa. L art.4, comma 3, della legge n.40 del 2004 stabilisce, infatti, che è vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. È interessante rilevare, per evidenziare la divisione politica sulla norma in esame, come in relazione ad essa sia stato richiesto un referendum abrogativo 3 e come tale referendum sia stato vanificato dalla circostanza che alla relativa votazione non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto 4. Non è facile individuare il fondamento giuridico del divieto. Sulla fecondazione eterologa, infatti, si registra, nel dibattito filosofico e politico, una contrapposizione fondata su ragioni ideologiche. Di tale contrapposizione ha risentito e risente anche il dibattito giuridico, nel quale le argomentazioni squisitamente tecniche sono contaminate da giudizi di valore morale, diversi a seconda dell estrazione culturale, politica e, persino, religiosa degli autori. In ogni caso, le argomentazioni utilizzate per giustificare il divieto possono orientativamente riassumersi nelle seguenti: a) l esigenza di tutelare il diritto del figlio a conoscere il proprio patrimonio genetico, che si scontrerebbe con la necessità di mantenere l anonimato del donatore; b) l esigenza di consentire l accesso alle informazioni sul patrimonio genetico per ragioni sanitarie, che si scontrerebbe con la medesima necessità; c) gli scompensi psicologici che potrebbero derivare al bambino da una famiglia asimmetrica, dove non vi è piena coincidenza tra i genitori biologici e coloro che provvederanno ad allevarlo; d) la precarietà psicologica della coppia, la quale sarebbe maggiormente esposta a pericolo di crisi per il fatto che soltanto uno dei due membri è biologicamente legato al figlio; e) le aberrazioni conseguenti ai possibili abusi, quali la maternità sostitutiva, la fecondazione post mortem e, soprattutto, il perseguimento di finalità eugenetiche, volte a soddisfare l esigenza di avere figli con determinate caratteristiche, fisiche o intellettive, attraverso la richiesta di gameti derivanti da donatori aventi specifici requisiti sotto il primo o sotto il secondo profilo 5. Alle prime due argomentazioni si obietta che le due necessità contrapposte (quella di consentire al figlio di accedere ad informazioni sul patrimonio genetico, per esigenze di conoscenza o per motivi sanitari, e quella Il sistema è rimasto inalterato successivamente all entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009) con cui sono stati modificati il Trattato sull Unione Europea e il Trattato sul funzionamento dell Unione Europea (già trattato istitutivo della Comunità Europea), in quanto la Corte Costituzionale non ritiene, allo stato, che l avvenuta comunitarizzazione della Convenzione EDU operata mediante il riconoscimento (art.6, par.1, nuova formulazione, del Trattato sull Unione Europea) dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) consenta di ricondurre le norme della Convenzione sotto la copertura dell art.11 Cost., e di accedere conseguentemente alla possibilità di una loro diretta applicazione da parte del giudice nazionale, con contestuale disapplicazione della norma interna contrastante (cfr. Corte Cost.11 marzo 2011 n.80,. in Gazz. Uff. 16 marzo 2011 n.12; Corte Cost. 7 aprile 2011 n.113, in Gazz. Uff. 13 aprile 2011 n.16; Corte Cost. 22 luglio 2011 n.236, in Gazz. Uff. 27 luglio 2011 n.32). 3 Il referendum è stato dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza 28 gennaio 2005 n.49 (in Gazz. Uff. 2 febbraio 2005 n.5) ed indetto con D.P.R. 7 aprile 2005 (in Gazz. Uff. 12 aprile 2005 n. 84). 4 Cfr. il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri (in Gazz. Uff. 15 luglio 2005 n. 163) con cui si rende noto che l Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione ha accertato la circostanza con verbale chiuso in data 11 luglio Con il termine eugenetica o eugenica si indica la teoria che promuove il miglioramento della specie umana attraverso le generazioni, in modo analogo a quanto avviene per le piante in coltivazione e gli animali in allevamento, mediante processi artificiali che consentano la diffusione dei caratteri ereditari positivi (caratteri eugenici) impedendo quella dei caratteri ereditari negativi (disgenici). Al riguardo cfr. la Voce Eugenetica (o eugenica), in Dizionario di medicina, 2010, Treccani.it.. Il Punto di Civile 7

8 Parte Prima - Civile Il Punto di Civile di tutelare l anonimato del donatore) potrebbero essere efficacemente contemperate dal legislatore, come avviene in altri ordinamenti (Svezia, Spagna, Gran Bretagna e Francia) e come avviene, tra l altro, nella disciplina dell adozione legittimante, ove si ammette la possibilità per i genitori adottivi, nell esercizio della potestà genitoriale (se sussistono gravi e comprovati motivi), nonché, in ogni caso, all adottato, al raggiungimento dell età di venticinque anni (o anche solo della maggiore età, se sussistano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica) di accedere, su autorizzazione del tribunale dei minorenni, alle informazioni riguardanti l identità dei genitori biologici, con la sola esclusione delle informazioni riguardanti la madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi del DPR n.396/2000 (art.28, commi 4, 5 e 7, legge n.184 del 1983). Alla terza e alla quarta argomentazione si obietta che esse sono legate ad una concezione limitata del rapporto di filiazione, incentrato unicamente sul legame di sangue, e che le gravi conseguenze paventate trovano una smentita nella pluriennale esperienza dell adozione legittimante, la quale ha dimostrato come l essenza della genitorialità sia legata piuttosto alla concreta relazione affettiva che si instaura con il bambino, a prescindere dal rapporto di sangue, e come essa relazione produca, tra gli altri, l effetto di rinforzare il legame di coppia e la saldezza della famiglia, corroborando i legami tra i vari membri di essa. Alla quinta argomentazione si obietta che il pericolo di abusi, insito in qualsiasi attività umana, non può essere invocato per inibire l attività medesima quando essa, nei limiti di un uso corretto, consente di raggiungere un obiettivo moralmente apprezzabile e condivisibile, consistente, nel caso della fecondazione eterologa, nel rimedio alle forme più gravi di sterilità. 3.- Il problema della compatibilità del divieto con l art.8 Convenzione EDU. La decisione della Corte EDU 3 novembre 2011 (S.H. e altro c. Austria) e la sua rilevanza per l ordinamento italiano. Come si è accennato, si pone il problema se il divieto di fecondazione eterologa previsto dall art.4, comma 3, legge n.40 del 2004 sia compatibile con le norme della Convenzione EDU. Più precisamente, si pone la questione se il divieto di accedere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo non sia lesivo del diritto al rispetto della vita privata e familiare riconosciuto dall art.8 della Convenzione, con conseguente illegittimità costituzionale della norma di legge interna (non essendo evidentemente possibile, in ragione del carattere perentorio del divieto, utilizzare il rimedio dell interpretazione conforme) in riferimento all art.117 Cost.. La Corte Europea dei Diritti Umani ha recentemente affrontato la questione con riferimento al divieto vigente nell ordinamento austriaco, ritenendo che lo stesso, pur costituendo un interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare degli aspiranti genitori, riguarda una materia controversa ed eticamente sensibile per la cui disciplina normativa spetta agli Stati un ampio margine di apprezzamento, ed è il frutto di un bilanciamento accettabile tra i diritti degli aspiranti genitori e quelli dei terzi e della collettività, non lesivo degli artt.8 e 14 della Convenzione EDU 6. Ad avviso della Corte, precisamente, ogni Stato ha un notevole margine di discrezionalità nella disciplina dell accesso alla procreazione assistita di carattere eterologo e tale margine si estende sia alle sue decisioni di legiferare in materia che, eventualmente, alle regole dettagliate da esso previste ai fini di un equilibrio tra gli opposti interessi pubblici e privati 7 ; pertanto non deve reputarsi contrastante con le regole della Convenzione (ed in particolare con il diritto al rispetto della vita privata e familiare), la norma di legge interna volta prevedere il divieto di ricorrere a talune forme di fecondazione eterologa. La Corte ha aggiunto, peraltro, che la materia della procreazione artificiale, in cui il diritto sembra essere in costante evoluzione e che è particolarmente soggetta ad un rapido sviluppo per ciò che attiene alla scienza e al diritto, richiede un esame permanente da parte degli stati contraenti 8. Alla luce della pronuncia della Corte di Strasburgo, la giurisprudenza interna che in passato non aveva mancato di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell art.4, comma 3, legge n.40 del 2004 in riferimento (anche) all art.117 Cost. 9 sembra essersi attestata su una posizione più moderata, ritenendo che il divieto di fecondazione eterologa non eccede il margine di discrezionalità consentito al legislatore nazionale dall art.8 Convenzione EDU 10. La stessa Corte Costituzionale, inoltre, ha mostrato di prendere atto della decisione della Corte di Strasburgo, rinviando gli atti ai giudici remittenti, e chiedendo loro di rivalutare la sollevata questione di legittimità costituzionale dell art.4, comma 3, legge n.40 del 2004 alla luce del novum costituito dalla predetta decisione 11. Va tuttavia evidenziato che il divieto di accedere a tecniche di procreazione medicalmente assista di tipo eterologo, vigente nell ordinamento austriaco, non è perfettamente sovrapponibile a quello previsto nell ordinamento italiano. Quest ultimo, infatti, è un divieto assoluto che investe 6 Corte EDU 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, in Foro it., 2012, IV, Così testualmente la citata Corte EDU 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria (par.97 della motivazione). 8 Così, ancora, testualmente la citata Corte EDU 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria (par.118 della motivazione). 9 Cfr. Trib. Firenze, Ord. 13 settembre 2010, in Dir. fam., 2011, 1, 25 e Trib. Catania, Ord. 21 ottobre 2010, in Dir. fam., 2011, 1, In tal senso, cfr., da ultimo, Trib. Salerno, Ord. 10 luglio 2012, in Guida al diritto, 2012, 39, 55, che ha rigettato la domanda di provvedimento cautelare ante causam proposta da una coppia di coniugi, per ottenere la declaratoria del loro diritto di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ad utilizzare i gameti provenienti da un terzo donatore anomino, a sottoporsi ad un protocollo idoneo ad assicurare le migliori possibilità di risultato utile e a sottoporsi a un trattamento sanitario eseguito secondo tecniche e procedure compatibili con un alto livello di protezione della salute della donna. 11 Corte Cost., Ord. 22 maggio 2012 n.150, in Gazz. Uff. 13 giugno 2012 n

9 Il Punto di Civile tutti i tipi di fecondazione eterologa mentre il primo riguarda soltanto la fecondazione in vitro con donazione di ovociti femminili o di seme maschile ma non la fecondazione intracorporea con donazione di seme maschile. Questa circostanza impone di considerare la possibilità che il verdetto della Corte avrebbe potuto essere diverso ove fosse stata chiamata a pronunciarsi sul divieto previsto dalla legge italiana. I giudici di Strasburgo, infatti, sono partiti dalla premessa secondo la quale il divieto concreta comunque un interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare tutelato dall art.8 della Convenzione ed hanno concluso che tale interferenza è giustificata quando, fruendo dell ampio margine di apprezzamento derivante dal carattere eticamente sensibile della materia, il legislatore interno effettui un bilanciamento accettabile tra i diritti degli aspiranti genitori e quelli dei terzi e della collettività, vietando il ricorso (non a tutte ma) ad alcune forme di fecondazione eterologa, tra l altro, dovendo tener conto dei mutamenti introdotti dalla scienza medica 12. La previsione di un divieto assoluto, volto a precludere l accesso a qualsiasi forma di fecondazione eterologa, potrebbe dunque essere ritenuta incompatibile con le norme della Convenzione, in quanto, lungi dal realizzare l auspicato bilanciamento, si traduce in un totale sacrificio del diritto degli aspiranti genitori. 4.- La diagnosi preimpianto e l interpretazione costituzionalmente orientata degli artt.13 e 14 della legge n.40 del La legge n.40 del 2004 non chiarisce se le coppie che fanno ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita possono far sottoporre gli embrioni prodotti attraverso la fecondazione artificiale alla c.d. diagnosi genetica preimpianto (rifiutando conseguentemente l impianto degli stessi nell utero, allorché la diagnosi sia positiva per la presenza di malattie genetiche) oppure se tale diagnosi sia preclusa, con conseguente impossibilità di indagare sull eventuale presenza di patologie e di rifiutare l impianto degli embrioni nell utero. In particolare, le disposizioni contenute nell art.13 (Sperimentazione sugli embrioni umani) e nell art.14 (Limiti all applicazione delle tecniche sugli embrioni) appaiono reciprocamente contraddittorie: l art.13 vieta qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano (comma 1), nonché ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni (comma 3, lett. b)), consentendo la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano soltanto alla condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della 12 Giova riportare un altro passo della motivazione dei giudici di Strasburgo: il fatto che il legislatore austriaco, nell emanazione di una legge sulla procreazione artificiale che sanciva la decisione di non consentire la donazione di sperma o di ovuli per la fecondazione in vitro, non vietava al contempo la donazione di sperma per la fecondazione in vivo una tecnica tollerata da lungo tempo e comunemente accettata dalla società è un elemento importante del bilanciamento dei rispettivi interessi e non può ridursi a una semplice questione di efficacia del controllo dei divieti (così, ancora, testualmente la citata Corte 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria (par.114 della motivazione). salute e allo sviluppo dell embrione stesso (comma 2), con apparente esclusione, dunque, dei casi in cui la ricerca sia finalizzata, in funzione della tutela dei diritti della donna o della coppia, all accertamento di patologie genetiche che potrebbero indurre, invece, alla soppressione dell embrione medesimo; l art.14 oggetto di parziale declaratoria di illegittimità costituzionale nella parte in cui (comma 2) limitava il numero degli embrioni producibili a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto e comunque ad un numero non superiore a tre, nonché nella parte in cui (comma 3) non prevedeva che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, dovesse essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna 13 pur vietando, in generale, la crioconservazione e la soppressione di embrioni (comma 1), consente, tuttavia, la crioconservazione medesima allorché il trasferimento nell utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione (comma 3) e attribuisce espressamente ai genitori il diritto di essere informati non solo sul numero ma anche sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell utero (comma 5). Più perspicuo era invece il decreto del Ministro della salute con cui, ai sensi dell art.7 della legge n.40 del 2004, erano state per la prima volta definite le Linee Guida contenenti l indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita 14. Questo provvedimento prevedeva, infatti, con chiarezza, il divieto di ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica e precisava, con altrettanta chiarezza, che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale. Dinanzi a tale panorama normativo, sono state formulate tesi interpretative contrapposte, alcune volte ad ammettere altre volte a negare la liceità della diagnosi preimpianto 15. Per quanto in particolare riguarda la giurisprudenza, si registra un percorso abbastanza nitido da un orientamento più risalente di carattere particolarmente rigoroso ad uno più recente di segno diametralmente opposto. Secondo la tesi interpretativa più rigorosa, formulata dalla giurisprudenza in sede di prima applicazione della legge e del decreto ministeriale, sussisterebbe il divieto di diagnosi preimpianto e la conseguente impossibilità di compiere una selezione degli embrioni prodotti, al fine di separare quelli sani da quelli malati e di procedere all impianto soltanto dei primi, destinando i secondi alla soppressione 16. Gli argomenti posti a fondamento di questa tesi sono i seguenti: a) l argomento letterale, basato sul combinato disposto 13 Corte Cost. 31 marzo-8 maggio 2009 n.151, in Gazz. Uff. 13 maggio 2009, n.19, Prima serie speciale. 14 D.M.21 luglio 2004, in Gazz. Uff. 16 agosto 2004 n Sul tema v., in via generale, VILLANI, La procreazione assistita. La nuova legge 19 febbraio 2004, n.40, Torino, 2004, 61 e ss. 16 In tal senso cfr., ad es., Trib. Catania 3 maggio 2004, in Foro it., 2004, I, Il Punto di Civile 9

10 Parte Prima - Civile Il Punto di Civile degli artt.13 e 14 della legge n.40 del 2004 (il secondo solo apparentemente più permissivo del primo, dovendo essere letto alla luce delle rigorosissime Linee Guida ministeriali, aventi funzione integrativa della legge), il quale non consentirebbe alle coppie, sterili o non, di ricorrere alle tecniche di procreazione artificiale al solo fine di effettuare una diagnosi preimpianto; b) Il rilievo dato dalla legge alla tutela dell embrione, il cui diritto a vivere (come quello delle persone) sarebbe tutelato indipendentemente dal suo stato di salute e non potrebbe ritenersi soccombente, in un eventuale giudizio di bilanciamento, rispetto al diritto alla salute della donna (eventualmente suscettibile di essere inciso in caso di malattia genetica dell embrione impiantato nell utero) e rispetto al diritto all autodeterminazione di entrambi i membri della coppia (eventualmente suscettibile di essere inciso per il fatto di portare avanti la gravidanza senza avere consapevolezza della malattia del nascituro); c) il divieto, immanente nella legge e nei suoi principi ispiratori, ed esplicitato anche nelle Linee Guida ministeriali, del perseguimento di ogni finalità eugenetica, e cioè di risultati di processi di selezione volti a privilegiare la nascita di persone aventi unicamente caratteri fisici ed intellettivi positivi. L opinione più rigorosa ha ceduto il passo, in tempi più recenti, ad un opinione di segno diverso, secondo la quale la diagnosi preimpianto dovrebbe reputarsi, entro certi limiti, ammessa 17. Gli argomenti posti a fondamento di questa tesi sono i seguenti: a) una diversa lettura del testo normativo, secondo la quale gli artt. 13 e 14 della legge 40/2004 non sarebbero destinati entrambi alla disciplina della medesima fattispecie (con conseguente necessità, per l interprete, di tener conto del loro combinato disposto e di interpretarne il senso alla luce anche dell integrazione contenuta nel decreto ministeriale attuativo), ma sarebbero norme dettate per la disciplina di fattispecie diverse. L art.13 disciplinerebbe la ricerca e la sperimentazione sugli embrioni: nella disciplina di tale fattispecie, verrebbero in considerazione, quali interessi contrapposti, l interesse allo sviluppo della ricerca scientifica e l aspettativa di vita del singolo embrione; nell operare il giudizio di bilanciamento tra questi due interessi, in astratto entrambi meritevoli di tutela, il legislatore avrebbe dato assoluta prevalenza al secondo, vietando conseguentemente ogni forma di ricerca e sperimentazione che non sia volta alla tutela e allo sviluppo dell embrione medesimo. L art.14 disciplinerebbe invece la produzione di embrioni nell ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita: nella disciplina di tale fattispecie, verrebbero in considerazione, quali interessi contrapposti, da un lato, sempre l interesse alla tutela dell embrione, ma, dall altro lato, il diritto alla 17 Cfr., ad es., Trib Cagliari 24 settembre 2007, in Foro it., 2007, I, 3245 e in Giur. cost., 2008, I, 537; Trib. Firenze 17 dicembre 2007, in Foro it., 2008, I, 627 e in Giur. merito, 2008, 997; Trib. Bologna 29 giugno 2009, in Giur. merito, 2009, Cfr., inoltre, la recentissima Trib.Cagliari, Ord.12 novembre 2012, ined. salute della donna e il diritto all informazione e all autodeterminazione di entrambi i membri della coppia; in questa fattispecie, in altre parole, l interesse dell embrione (la sua aspettativa di vita) non si contrapporrebbe all interesse impersonale della scienza, ma a due diritti soggettivi fondamentali (l uno della donna, l altro di entrambi i genitori); in questo caso, nell operare il giudizio di bilanciamento, il legislatore avrebbe dato prevalenza ai secondi, attribuendo, ai genitori, il diritto ad essere informati sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell utero (art.14, comma 5), diritto la cui realizzazione potrebbe passare anche attraverso la diagnosi preimpianto e che non potrebbe reputarsi soddisfatto attribuendo alle indagini carattere esclusivamente osservazionale; b) tale innovativa lettura del testo normativo non sarebbe ostacolata dal rilievo attribuito dalla legge e dai suoi criteri ispiratori alla tutela dell embrione, la quale, anzi, in una interpretazione costituzionalmente orientata della legge medesima, ben potrebbe cedere il passo, nel giudizio di bilanciamento, ad interessi di indubbio rango costituzionale; c) neppure avrebbe valenza ostativa il divieto, pur sussistente, di perseguire finalità eugenetiche, in quanto non contrasterebbe con tale divieto la possibilità di ricorrere alla diagnosi preimpianto soltanto al verificarsi di rigorose condizioni, ed esclusivamente in funzione degli interessi costituzionali di cui si è fatta menzione, evitando accuratamente di trasformarla in uno strumento di selezione utilizzabile per esaudire desideri di procreazione eugenetica; d) la nuova lettura proposta sarebbe decisivamente avvalorata, inoltre, dal riferimento alla disciplina dell aborto posta dalla legge n.194 del 1978, della quale dovrebbe tenersi conto sia in applicazione del criterio sistematico di interpretazione della legge (anche la legge sull aborto, nel bilanciare i contrapposti interessi costituiti dal diritto alla salute della donna e dall aspettativa di vita del nascituro, attribuisce prevalenza al primo rispetto al secondo) sia per evitare un interpretazione irragionevole, e dunque illegittima in riferimento all art.3 Cost., della legge 40 del 2004 (essendo contrario a ragionevolezza oltre che lesivo della coerenza del sistema l obbligo normativo di procedere all impianto di embrioni malati, laddove l ordinamento consente l interruzione della gravidanza anche quando la salute della donna potrebbe essere compromessa a seguito di malformazioni o anomalie del feto, specie se si tenga conto del maggior grado di sviluppo del feto rispetto all embrione e della circostanza che il primo, in caso di aborto, è ineluttabilmente destinato alla soppressione mentre per il secondo si pone anche l alternativa della crioconservazione); e) vi sarebbe da considerare, infine, anche la, ormai diffusa, pratica della diagnosi prenatale (svolta attraverso ecografie, esame dei villi coriali, amniocentesi ecc.), spesso propedeutica all eventuale decisione di aborto, che non solo è considerata legittima, ma la cui esecuzione è ritenuta indice dell esatto adempimento dell obbligazione del medico e della struttura sanitaria che ne siano richiesti, i quali incorrono in responsabilità in ipotesi di inesatta 10

11 Il Punto di Civile esecuzione di tale prestazione; dunque, non si capisce perché un indagine diagnostica finalizzata alla tutela dei diritti alla salute e all informazione della donna (che viene così messa nelle condizioni di decidere consapevolmente se portare avanti o meno il progetto di gravidanza) debba considerarsi lecita in sede prenatale e illecita in sede di preimpianto. Tenendo conto di ciò, la giurisprudenza di merito, disapplicando le Linee Guida amministrative approvate con D.M. 21 luglio 2004, ritenuto illegittimo, è giunta ad ammettere la liceità della diagnosi genetica preimpianto allorché essa risponda alle seguenti caratteristiche soggettive, oggettive e finalistiche: 1) sul piano soggettivo, sia stata richiesta dai soggetti di cui all art.14, comma 5, della legge n.40 del 2004 (e cioè dai membri della coppia che chiede di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita); 2) sul piano oggettivo, abbia ad oggetto esclusivamente gli embrioni destinati all impianto nel grembo materno; 3) sul piano finalistico, infine, sia strumentale all accertamento di specifiche malattie dell embrione e finalizzata a garantire a coloro che abbiano avuto legittimo accesso all inseminazione artificiale un adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da impiantare in relazione a quelle malattie 18. Sulla stessa linea della giurisprudenza ordinaria si è attestata la giurisprudenza amministrativa, la quale, sul presupposto dell illegittimità dell atto amministrativo per eccesso di potere, ha annullato le Linee Guida di cui al D.M. 21 luglio 2004 nella parte relativa alle Misure di Tutela dell embrione, laddove si statuisce che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, dovrà essere di tipo osservazionale 19. All esito di tale sentenza sono state emanate nuove Linee Guida con D.M. 11 aprile : in tale provvedimento è stato conservato il divieto di diagnosi preimpianto a finalità eugenetica ma è stato eliminato il riferimento al carattere esclusivamente osservazionale delle indagini. L opinione volta a ritenere ammessa, sia pure entro le rigorose condizioni surrichiamate, la diagnosi genetica preimpianto e la conseguente possibilità di rifiutare l impianto degli embrioni malati, è decisamente prevalsa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittimo l art.14 della legge n.40 del 2004 nella parte in cui (comma 2) limitava il numero degli embrioni producibili a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto e comunque ad un numero non superiore a tre, nonché nella parte in cui (comma 3) non prevedeva che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, dovesse essere effettuato senza pregiudizio della salute della 18 In tal senso, cfr., particolarmente, la citata Trib Cagliari 24 settembre TAR Roma Lazio 21 gennaio 2008 n.398, in Foro it., 2008, III, 207: È illegittimo il divieto di diagnosi preimpianto circa le condizioni di salute degli embrioni, previsto dalle linee guida in materia di procreazione assistita, introdotte con d.m. 21 luglio 2004, che ammettono solo indagini di tipo osservazionale, in quanto tale divieto, introdotto da una norma regolamentare, restringe quanto previsto dall'art. 13 l. 40/04 in tema di interventi terapeutici e diagnostici sugli embrioni. 20 D.M.11 aprile 2008, in Gazz. Uff. 30 aprile 2008 n.101. donna, in riferimento agli artt.3 e 32 Cost. 21. L art.14, nel prevedere i limiti succitati in ordine al numero di embrioni producibili e alla necessità che essi fossero impiantati contemporaneamente, privilegiava, nel giudizio di bilanciamento, la tutela dell aspettativa di vita dell embrione rispetto a quella del diritto alla salute della donna. La previsione di limiti generalmente ed astrattamente fissati dalla legge e non rimessi di volta in volta alla valutazione discrezionale del medico rispondeva all esigenza di scongiurare la possibilità che fossero prodotti embrioni in avanzo, ineluttabilmente destinati alla soppressione o alla crioconservazione a tempo indeterminato (entrambi espressamente vietate), ma nel contempo costringeva il medico medesimo a seguire una prassi vincolata, senza poter tenere conto delle circostanze del caso concreto (ad es. l età della donna o le sue specifiche condizioni di salute) cosicché la produzione necessitata di tre embrioni, tutti destinati ad un unico impianto, poteva risultare insufficiente per difetto o per eccesso, nel primo caso non consentendo di raggiungere il risultato della procreazione (e costringendo la donna a sottoporsi a successivi tentativi, con nuovi prelievi di ovociti spesso preceduti da cicli di stimolazione ormonale, con aumento del rischio per la salute), nel secondo caso determinando l insorgenza di gravidanze plurime (anche in tale ipotesi con aumento del rischio per la salute dei nascituri e della gestante). La previsione normativa che realizzava un tale sistema è costituzionalmente illegittima, secondo la Corte Costituzionale, non solo per violazione dell art.3 Cost. (in quanto tratta in modo indifferenziato situazioni diverse), ma anche per violazione dell art.32 Cost., in quanto omette di realizzare un giusto bilanciamento tra la tutela dell embrione (che viene ingiustificatamente assolutizzata ) e la tutela del diritto alla salute della donna, che viene ingiustificatamente compresso. Sotto tale ultimo profilo, la Corte osserva come, a prescindere dalle enfatiche proposizioni contenute nell art.1 (ove si proclama che la presente legge... assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito ), la tutela dell embrione non appare assoluta neppure nel contesto della legge 40, in quanto la stessa previsione del limite di tre embrioni destinati al contemporaneo impianto, non essendo evidentemente finalizzata a determinare l insorgenza di gravidanze trigemellari, considera la fisiologica possibilità che taluni embrioni vengano perduti nel processo procreativo. Ma se la tutela dell embrione, lungi dall essere assoluta, è limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione 22 nello stesso isolato contesto della legge 40, a maggior ragione si pone, nel quadro dei rapporti tra legge e Costituzione, la necessità di bilanciare essa tutela con quella di altri diritti costituzionalmente rilevanti, in primis quello alla salute della donna. La rilevanza data dall esaminata pronuncia della Corte Costituzionale alla tutela della salute della donna 21 Corte Cost. 31 marzo-8 maggio 2009 n.151, cit.. 22 Corte Cost. 31 marzo-8 maggio 2009 n.151, cit., par.6.1 del Considerato in diritto. Il Punto di Civile 11

12 Parte Prima - Civile Il Punto di Civile rispetto a quella dell embrione, consente di ritenere che tale pronuncia assuma importanza anche ai fini della decisiva soluzione del problema della liceità della diagnosi preimpianto, che deve quindi ritenersi ormai senz altro ammessa nell attuale ordinamento II problema della legittimità costituzionale dell art.4, comma 1, legge n.40 del La decisione della Corte EDU 25 agosto 2012 (Costa e Pavan c. Italia). Il prevalso orientamento giurisprudenziale volto ad ammettere, attraverso la lettura costituzionalmente orientata degli artt.13 e 14 della legge n.40 del 2004, la liceità della diagnosi preimpianto, pone il problema della legittimità costituzionale dei limiti di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, previsti dall art.4, comma 1, della medesima legge. Questa norma, come è noto, stabilisce la regola generale secondo cui il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è... circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico. A tali fattispecie, le Linee Guida approvate con D.M. 11 aprile 2008, hanno aggiunto quelle caratterizzate da analoga impossibilità di accedere alla procreazione per via naturale, sia pure per motivi diversi dall infertilità o sterilità nelle quali l uomo sia portatore di virus trasmissibili per via sessuale (HIV o virus delle Epatiti B e C). In astratto la previsione legislativa non sembra poter essere tacciata di illegittimità costituzionale: poiché il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale costituisce un rimedio all impossibilità di procreare naturalmente, il presupposto oggettivo di esso non può che consistere nella predetta impossibilità, per ragioni di infertilità o sterilità oppure per motivi legati alla necessità di evitare il contatto sessuale e il contagio di gravi patologie. Si giustificava perfettamente, pertanto, in origine, il divieto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili, quand anche si fosse trattato di coppie a rischio genetico, e cioè di coppie composte da persone portatrici sane di betatalassemia, fibrosi cistica o altre patologie genetiche. Una volta ammessa la liceità della diagnosi preimpianto, peraltro, la prospettiva cambia: attraverso questa diagnosi, infatti, le coppie infertili o sterili che decidono di accedere alle tecniche di inseminazione artificiale, hanno la possibilità di acquisire preventivamente informazioni su eventuali malformazioni degli embrioni, rifiutando l impianto degli stessi ove si accerti la presenza di patologie; tale possibilità resta invece preclusa alle coppie fertili (anche se si tratti di coppie a rischio genetico), le quali, non essendo ammesse alla fecondazione artificiale, possono giovarsi unicamente dei più tardivi strumenti di diagnosi prenatale e, nell impossibilità di evitare l impianto di embrioni malati, sono costrette a ricorrere, ove tale circostanza si verifichi e non intendano dare 23 In tal senso cfr., da ultimo, Trib. Cagliari, Ord. 12 novembre 2012, ined. alla luce un bambino malformato, al triste rimedio dell interruzione della gravidanza. La fattispecie è stata di recente portata all attenzione della Corte Europea dei Diritti Umani 24, alla quale si era rivolta una coppia di portatori sani di mucoviscidosi che dopo aver riferito di aver messo già messo al mondo, in passato, una figlia affetta da fibrosi cistica e di avere successivamente fatto ricorso all interruzione della gravidanza per impedire la nascita di un secondo bambino affetto dalla medesima patologia avevano lamentato, in fatto, di non potere giovarsi, in quanto coppia fertile, della diagnosi genetica preimpianto al fine di selezionare preventivamente un embrione sano (poiché tale strumento diagnostico, potendo essere utilizzato unicamente nell ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riservato alle coppie infertili o sterili) ed avevano dedotto, in diritto, che con tale divieto lo Stato aveva leso sia il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare (in violazione dell art.8 Convenzione EDU) sia il divieto di discriminazione di cui all art.14 della Convenzione medesima. La Corte ha ritenuto effettivamente esistente la violazione dell art.8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) sulla base dei seguenti argomenti: 1) il concetto di vita privata ai sensi dell art.8 è un concetto ampio, comprendente il diritto della persona di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi preimpianto al fine di mettere al mondo un figlio non affetto dalla specifica malattia genetica di cui essa è portatrice; 2) vietando tale possibilità ai ricorrenti (non rientranti nella categoria delle coppie ammesse alla procreazione medicalmente assistita), l ordinamento dello Stato Italiano realizza un ingerenza in tale diritto; 3) l ingerenza è sproporzionata in quanto il sistema legislativo italiano manca di coerenza, da un lato vietando la possibilità di selezionare in sede di preimpianto gli embrioni non affetti dalla patologia genetica di cui i genitori sono portatori, dall altro lato autorizzando i genitori medesimi a ricorrere all aborto terapeutico per sopprimere il feto affetto da quella stessa patologia 25. La Corte Europea dei Diritti Umani ha invece escluso la violazione dell art.14 Convenzione EDU sul divieto di discriminazione, ma probabilmente tale decisione è fondata su un presupposto erroneo, e cioè sul presupposto, allegato dal Governo Italiano resistente e recepito passivamente dalla Corte, che nel nostro ordinamento la diagnosi preimpianto sia sempre vietata, anche per le coppie ammesse alla procreazione medicalmente assistita 26, ciò che, come si è evidenziato 27, non corrisponde allo stato del diritto vivente ed effettivo, il quale invece ammette, sulla base di un univoca evoluzione giurisprudenziale in tal senso, la liceità della predetta diagnosi. Alla luce della pronuncia della Corte di Strasburgo e del prevalso orientamento giurisprudenziale interno in tema di diagnosi preimpianto, il giudice nazionale deve 24 Cfr. Corte EDU 28 agosto 2012, C. e P. c. Italia, in Guida al diritto, 2012, fasc.37, p.103, con nota di CASTELLANETA. 25 Cfr. Corte EDU 28 agosto 2012, C. e P. c. Italia, cit., par Cfr. Corte EDU 28 agosto 2012, C. e P. c. Italia, cit., parr V., supra, par

13 Il Punto di Civile interrogarsi sulla liceità dei presupposti e dei limiti di accesso all inseminazione artificiale, ancora previsti dall art.4, comma 1, legge n.40 del 2004, domandandosi se questa norma non debba considerarsi illegittima, in riferimento agli artt.3 e 117 Cost. (parametro, quest ultimo, integrato dalle norme interposte costituite dagli artt.8 e 14 Convenzione EDU), nella parte in cui non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita nei casi di coppie fertili, portatrici sane di patologie genetiche. Alla predetta disposizione, infatti, potrebbe essere attribuita, oltre che una portata lesiva del diritto alla vita privata e familiare dei membri della coppia fertile portatrice di rischio genetico (in conformità al decisum dei giudici di Strasburgo), anche un carattere irragionevole e discriminatorio, in quanto volta a realizzare, con riguardo all accessibilità alla diagnosi preimpianto, un regime differenziato tra coppie ugualmente portatrici del medesimo rischio genetico, regime differenziato fondato unicamente sul dato (significativo in relazione all accesso alla procreazione artificiale ma neutro in relazione alla finalità della diagnosi preimpianto) della fertilità od infertilità. Nell ipotesi in cui a questa questione desse soluzione positiva, il giudice interno dovrebbe poi ulteriormente chiedersi se alla ritenuta illegittimità della norma in esame possa rimediarsi con un interpretazione conforme alle norme convenzionali e orientata al rispetto dei parametri costituzionali 28 oppure se sia indispensabile sollevare la questione di legittimità costituzionale. Il giudice dovrebbe però anche rendersi conto del pericolo connesso alla lettura forse fin troppo facile offerta nel caso in esame dalla Corte di Strasburgo, pericolo del quale la stessa Corte mostra di rendersi conto nel momento in cui, quasi a voler ritrarre la mano dopo aver tirato il sasso, contrariamente ad una tendenza largamente ricorrente nella propria giurisprudenza, non formula allo Stato soccombente alcuna richiesta di modifica della disciplina interna ritenuta in contrasto con la Convenzione, ma si limita semplicemente ad accordare ai ricorrenti vittoriosi un equa soddisfazione di carattere monetario 29. Il pericolo in questione è quello di dare la stura ad un uso improprio della procreazione medicalmente assistita 30, nell ambito del quale il ricorso a tale tecnica diventi, in un ottica di assoluta liberalizzazione, lo strumento per usufruire in ogni caso della diagnosi 28 Tale soluzione si ritrova in una, allo stato, isolata pronuncia giurisprudenziale, nella quale si è, in sostanza, ritenuto che, non ostante i limiti previsti dall art.4, comma 1, legge n.40 del 2004, deve ugualmente reputarsi consentito alla luce dell evoluzione della giurisprudenza in tema di diagnosi preimpianto e delle nuove Linee Guida approvate dal Ministero della salute nel 2008 il ricorso alla procreazione medicalmente assistita delle coppie non sterili né infertili, le quali, per le loro patologie genetiche trasmissibili, rischiano concretamente di mettere al mondo figli affetti da gravi malattie: Trib. Salerno 9 gennaio 2010 n.191, in Dir. fam., 2010, Cfr. Corte EDU 28 agosto 2012, C. e P. c. Italia, cit., parr Per tale rilievo v., incisivamente, MALFATTI, in Riv. telematica giuridica dell AIC, 2012, 3, la quale parla di uso strumentale della legge 40 nell ambito del quale l accesso alla PMA servirebbe esclusivamente per accedere alla diagnosi preimpianto. preimpianto, anche quando la coppia (recte: la donna) non presenti problemi di infertilità né sia portatrice di specifico rischio genetico, ma ritenga semplicemente più vantaggioso, in funzione di prevenzione per le patologie più comuni (ad es. sindrome di Down), sottoporsi alla diagnosi preimpianto nell ambito di una procedura di inseminazione artificiale anziché ricorrere alle pratiche di diagnosi prenatale (esame dei villi coriali, amniocentesi ecc.) nell ambito di una gravidanza naturale, posto che in quest ultimo caso, in ipotesi di diagnosi positiva, per evitare di generare un bambino malato dovrebbe ricorrere all aborto terapeutico, mentre nel primo le sarebbe sufficiente rifiutare l impianto degli embrioni. Il Punto di Civile 13

14 Parte Prima - Civile Danno catastrofale: come si distingue dal danno biologico terminale di Maria IANNONE Come si distingue il danno catastrofale dal danno biologico? (Cass. Civ., Sez. III, 13 dicembre 2012, n ). Il danno catastrofale è il danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita. Tale danno è distinto dal danno biologico e terminale o tanatologico che è il danno connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute. Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile Con la sentenza in commento, il giudice della nomofilachia si sofferma sulla annosa questione del c.d. danno catastrofale, delineandone la distinzione rispetto al danno biologico - terminale. Il danno da morte, disciplinato dal combinato disposto dell art c.c. con l art. 2 cost., designa il danno subito dal soggetto che muore a causa di una condotta illecita altrui. Con il sintagma danno tanatologico si descrivono, in realtà, due distinte ipotesi di danno, originate dal medesimo evento: il danno da morte iure hereditatis e il danno tanatologico iure proprio. Il primo definisce il danno subito dalla vittima primaria dell illecito che può essere rivendicato dai suoi eredi; il danno tanatologico iure proprio, invece, ha ad oggetto la violazione, patita dai parenti della vittima, dell interesse all intangibilità della sfera degli affetti reciproci. Quest ultimo interessa la lesione di due beni della vita, inscindibilmente collegati: il bene dell integrità familiare, con riferimento alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, (artt. 2, 3, 29, 30, 31, 36 cost.); il bene della solidarietà familiare, sia in relazione alla vita matrimoniale che in relazione al rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi conviventi (artt. 2, 3, 29, 30 cost.). Sotto la stessa voce di danno (tanatologico) sono state spesso sussunte anche le figure del danno biologico terminale e del danno morale terminale (o catastrofico). Il danno biologico terminale è quello che sorge in capo alla vittima nel caso in cui tra la lesione della salute e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; dopo la morte del danneggiato si trasmette, per successione, ai suoi eredi. Per danno catastrofico si intende il danno psichico subito dalla vittima, dopo il decorso di un intervallo di tempo anche molto breve tra le lesioni e la morte, quando si accerta una sofferenza di tale intensità da configurare nella percezione della vittima un danno (catastrofico) consistente nella lucida percezione della morte imminente. La Corte si sofferma sulle diverse tipologia di danno di cui abbiamo accennato meglio individuandone le linee di confine. SOMMARIO 1.1- Breve sintesi dei fatti di causa I termini della questione La decisione della Terza Sezione della Corte di Cassazione Conclusioni Breve sintesi dei fatti di causa. La comprensione dell iter argomentativo sviluppato dal giudice di legittimità impone di ripercorrere, brevemente, i fatti di causa. Il Tribunale era stato adito dai figli, dai fratelli e dai nipoti della vittima, deceduta a seguito di un sinistro provocato da un autocarro assicurato con la Augusta Assicurazioni SpA, al fine di ottenere il risarcimento del complessivo pregiudizio da ciascuno subito, assumendo la responsabilità esclusiva del conducente. Nel giudizio di primo grado si erano costituiti entrambi i convenuti ed avevano resistito alla domanda, deducendo la colpa, quanto meno concorrente, della vittima; in ogni caso, avevano contestato il quantum richiesto a titolo risarcitorio. Il Tribunale, ritenuta la responsabilità esclusiva del camionista, aveva accolto la domanda e condannato i convenuti al risarcimento dei danni pretesi, tra gli altri, dalle figlie del defunto, liquidando in loro favore la somma di lire , in solido, nonché la somma di lire ciascuna, oltre interessi. Avverso detta decisione era stato proposto appello da parte di entrambi i soccombenti e si erano costituiti in secondo grado gli appellati, la Corte d'appello territorialmente competete aveva accolto parzialmente il gravame, rideterminando nella somma di Euro ,00 (oltre interessi legali dalla data del fatto al saldo), l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico iure hereditatis in favore delle figlie della vittima e confermando nel resto la sentenza appellata, con condanna degli appellanti al pagamento delle ulteriori spese processuali. 14

15 Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile Avverso la sentenza della Corte d'appello, le figlie soccombenti hanno propostt ricorso affidato ad un unico motivo. La compagnia di assicurazioni si è costituita resistendo con controricorso, mentre gli altri intimati non si sono difesi. In particolare le ricorrenti hanno ritenuto la sentenza impugnata affetta da palese inadeguatezza motivazionale, proprio in ordine alla liquidazione equitativa riconosciuta alle figlie della vittima dell'incidente stradale, deceduta dopo 14 giorni, a titolo di. risarcimento del danno qualificato come biologico iure hereditatis. Le ricorrenti hanno ritenuto che, pur avendo il giudice di seconde cure riconosciuto la sussistenza di lesioni gravissime e pur essendo stata la degenza ospedaliera della vittima "travagliata" - il padre era sempre rimasto cosciente e consapevole delle sue condizioni fisiche - nell'esercitare il potere di liquidazione equitativa del danno, non avrebbe adeguatamente motivato la relativa quantificazione, da reputarsi "irrisoria". La Terza Sezione della Cassazione, con la sentenza in esame, ha respinto il ricorso ritenendo logico e coerente l iter argomentativo adottato dalla Corte di Appello per la liquidazione equitativa del danno catastrofale, nonché conforme a diritto. L assunto nodale che costituisce il punto attorno al quale si snoda la soluzione offerta dagli Ermellini consiste nel ritenere che il danno catastrofale a cui si sono riferiti sostanzialmente le ricorrenti negli atti di causa, va definito come il danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita (cfr., da ultimo, Cass. n. 1072/11, n /11). Nel ripercorrere la propria giurisprudenza di legittimità sul punto, confermandola, la Cassazione afferma che tale ultimo danno, per un verso, debba essere distinto dal danno biologico e terminale o tanatologico (danno connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute), il cui risarcimento non risultava però essere stato oggetto di domanda da parte delle odierne ricorrenti; per altro verso, deve essere tenuto distinto dal danno biologico rivendicato iure hereditatis dagli eredi di colui che, sopravvissuto per un considerevole lasso di tempo ad un evento poi rivelatosi mortale, abbia, in tale periodo, sofferto una lesione della propria integrità psico-fisica autonomamente considerabile come danno biologico, quindi accertabile (ed accertata) con valutazione medico-legale e liquidabile alla stregua dei criteri adottati per la liquidazione del danno biologico vero e proprio. La Suprema Corte di Cassazione ha, quindi, dichiarato inammissibile il ricorso, per le ragioni che di seguito si esamineranno I termini della questione. Sempre più spesso, in giurisprudenza ed in dottrina 1, si è discusso di una particolare figura di danno 1 V. per una completa rassegna CERRI, il danno in tanatologico, in Dir. civ. e com., 01/12/2011. denominato danno c.d. catastrofico (o, ancor più recentemente, tanatologico). Ad avviso della giurisprudenza di legittimità Il danno cosiddetto "tanatologico" o da morte avvenuta a breve distanza di tempo da lesioni personali, deve essere ricondotto nella dimensione dei danni morali e concorre alla liquidazione degli stessi da configurare in modo unitario ed onnicomprensivo, procedendosi alla personalizzazione della somma complessiva che tenga conto, perciò, anche della suddetta voce di danno, ove i danneggiati ne abbiano fatto specifica e motivata richiesta e sempre che le circostanze del caso concreto nel giustifichino la rilevanza (Cassazione civile, sez. III, 08/04/2010, n Ruggieri e altro c. Enel Distribuzione Campania e altro Red. Giust. civ. Mass. 2010, 4). Il c.d. danno da morte, come accennato in premessa, è destinato a riverberarsi sulla vittima e sui parenti. Nel primo caso rientra quella sofferenza limitata nel tempo ma intensa patita dalla vittima che attende lucidamente l estinzione della propria vita. Detto danno può essere rivendicato iure successionis dai suoi eredi. Il danno tanatologico iure proprio, invece, ha ad oggetto la violazione, patita dai parenti della vittima, dell interesse all intangibilità della sfera degli affetti reciproci. Quest ultimo interessa la lesione di due beni della vita, inscindibilmente collegati: il bene dell integrità familiare, con riferimento alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, (artt. 2, 3, 29, 30, 31, 36 cost.); il bene della solidarietà familiare, sia in relazione alla vita matrimoniale che in relazione al rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi conviventi (artt. 2, 3, 29, 30 cost.) 2. Illuminante al fine di comprendere tale distinzione è una recente pronuncia della Cassazione 3, nella quale la Corte riconosce che alla morte della vittima consegue insieme al «massimo sacrificio del diritto personalissimo ( ) l estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima, a loro volta lesi nell interesse all intangibilità della sfera degli affetti reciproci ed alla scambievole solidarietà che connota la vita». Sotto la stessa voce di danno (tanatologico) sono state spesso sussunte anche le figure del danno biologico terminale e del danno morale terminale (o catastrofico). Il primo consiste appunto in quella sofferenza patita dalla vittima nel caso in cui tra la lesione della salute e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; danno che dopo la morte del danneggiato è destinato a trasmetterso, per successione, ai suoi eredi 4. Il secondo (cd. Danno catastrofico) 5 si intende il danno psichico subito dalla vittima, dopo il decorso di un intervallo di tempo anche molto breve tra le lesioni e la morte, allorché sia accertata una sofferenza di tale intensità da configurare nella percezione della vittima un danno (catastrofico) consistente nella lucida percezione 2 V. Cass., 12 luglio 2006, n , in CED, V. Cass., 12 giugno 2006, n , in CED, Sul punto v. Cass., 31 maggio 2003, n. 8828, in CED, 2003; Cass., 13 gennaio 2006, n. 517, in CED, 2006; Cass., 22 marzo 2007, n. 6946, in CED, Cfr. Cass., 02 aprile 2001, n. 4783, in CED, 2001; Trib. Palermo, 04 luglio Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile 15

16 Parte Prima - Civile Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile della morte imminente. Detto danno, come affermato anche dalla decisione in commento (infra) segue, per la liquidazione, le regole proprie del danno biologico. In entrambe le ipotesi dianzi delineate, la giurisprudenza maggioritaria riconosce la possibilità di riconoscere un ristoro in termini di risarcimento, iure successionis, del danno sia esso biologico terminale o catastrofico 6. La prima ipotesi impone tuttavia una puntualizzazione: la Corte di Cassazione ne ammette la risarcibilità nei confronti del danneggiato e la sua successiva trasmissibile agli eredi solo nel caso in cui, tra le lesioni subite dalla vittima dell illecito e la morte causata dalle stesse, intercorra un «apprezzabile lasso di tempo» 7. Nessun risarcimento è invece riconosciuto ed ammesso nel nostro sistema giuridico al danno da privazione della vita in sé considerato (c.d. danno tanatologico iure hereditatis), mentre in giurisprudenza è ammessa il ristoro del danno tanatologico iure proprio ai familiari della vittima. La giurisprudenza e dottrina maggioritaria ritengono, infatti, che il danno tanatologico iure hereditatis non possa trovare ingresso nel nostro sistema giuridico, che non contempla diritti privi di titolari. Detto diritto infatti è destinato a sorgere a seguito e per l effetto della definitiva compressione del bene vita del suo titolare, ossia a sorgere quando il soggetto non è più in vita 8. La perdita della vita impedirebbe ab origine che la lesione subita a seguito del fatto illecito si trasformi in un danno per la persona che tale pregiudizio ha 6 V. Corte App. Milano, 14 febbraio 2003, in Giur. milanese, 2003, 305, «Secondo l esperienza medico legale e psichiatrica le lesioni mortali, qualora non conducano a morte istantanea, producono, nell intervallo di tempo fra le lesioni medesime e la morte, un danno catastrofico (per intensità) a carico della psiche del soggetto che, lucidamente, attende l estinzione della propria vita. Detto danno (qualificabile non già come dolore, ma essenzialmente come sofferenza esistenziale ), in quanto danno psichico può essere apprezzato dal soggetto danneggiato, in tutta la sua intensità, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita, essendo in tal caso non solo e non tanto il fatto della durata a determinare la patologia, ma la stessa intensità della sofferenza e della disperazione. Esso è quindi risarcibile ai familiari della vittima iure hereditatis e deve essere liquidato con riferimento al momento dell evento dannoso senza che vi incidano fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso». 7 V. Cass., 22 marzo 2007, n. 6946, in Mass. Giust. civ., 2007, 3, «La lesione dell integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, poiché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis». 8 La soluzione trae origine da una pronuncia della Corte costituzionale. La Corte dopo aver riconosciuto che la vita e la salute sono «beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti» stabilisce che «la lesione dell integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale implica la permanenza in vita della vittima, sia pur con menomazioni invalidanti»: Corte cost., 27 ottobre 1994, n Sulla scia tracciata dalla Consulta si pongono Cass., 10 settembre 1998, n. 8970, in Danno e resp., 1999, 306; Cass., 17 novembre 1999, n , in Danno e resp., 2000, 321; Cass., 14 febbraio 2000, n. 1633, in Mass. Giust. civ., 2000, 331; Cass., 02 aprile 2001, n. 4783, in Corr. giur., 2001, 876. patito. Il venir meno della personalità giuridica a seguito della morte renderebbe il soggetto incapace di diventare titolare del diritto al risarcimento, pertanto, nessuna perdita potrebbe derivare dall evento in capo ad un soggetto che nel momento stesso del verificarsi dell accadimento lesivo non risulti più titolare di soggettività giuridica perché non più in vita 9. In altri termini, si ritiene che nel patrimonio dell offeso non sorga alcun diritto al risarcimento per la perdita della vita trasferibile, iure successionis, agli eredi, poiché, nel nostro sistema di responsabilità civile, l oggetto del risarcimento deve conseguire a una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, che in questo caso difetterebbe del proprio titolare. Ove si ammettesse la configurabilità di un simile danno, infatti, si avrebbe un diritto al risarcimento adespota. Con la morte la persona offesa perde la capacità giuridica, in mancanza della quale è logicamente e giuridicamente impossibile l acquisto del diritto al risarcimento e, a fortiori, la sua trasmissibilità agli eredi della vittima. Vi è chi ha ritenuto che detta ricostruzione non appaia condivisibile, in quanto, anche nell ipotesi di morte immediata, sussiste il nesso di causalità tra la causa (evento) e la conseguenza (la morte della persona offesa) che impedisce di dubitare della scissione cronologica dei due momenti 10. La 9 V. Cass. 16 maggio 2003, n. 7632, in CED, 2003: «In tema di danno biologico, richiesto iure hereditatis (ma il discorso è identico per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita, detto anche danno tanatologico), la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere»; Trib. Milano 11 giugno 2007, n «Non è fondata la domanda di risarcimento del danno da "perdita del diritto alla vita", o danno tanatologico, proposta iure hereditatis dagli eredi, poiché la lesione dell'integrità fisica col verificarsi dell'evento letale immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico. Quella lesione infatti comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, rispetto alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, essendo inconcepibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste. I congiunti quindi non hanno diritto al risarcimento di alcun danno a titolo creditorio, bensì unicamente al risarcimento del loro personale danno». 10 Le cognizioni scientifiche hanno accertato che la morte conseguente ad una lesione traumatica non è mai immediata (con le sole eccezioni della decapitazione e dello spappolamento del cervello). 16

17 Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile sussistenza di un lasso temporale tra la lesione e la morte consente al diritto al risarcimento di far ingresso nel patrimonio della vittima e divenire suscettibile di essere trasmesso, per intero, agli eredi. Questa soluzione è stata fatta propria da la sentenza della III sezione della Cassazione (civile) del 12 luglio 2006, n , che non solo ha riconosciuto, in un obiter dictum, la risarcibilità dal danno tanatologico iure hereditatis ma ha affermato anche, sulla scia di quanto autorevolmente sostenuto in dottrina, 11 che i rapporti giuridici non sono regolati dal tempo bensì dalla logica. Ne deriva che è sempre possibile distinguere la lesione dalla morte, in modo da evitare di far sì che, nel nostro ordinamento, sia economicamente più vantaggioso uccidere che lesionare una persona 12. Avvalora tale ricostruzione, la considerazione che, nell ipotesi in cui l evento che cagiona la morte della persona offesa sia un sinistro stradale, ove oltre alla perdita della vita restino danneggiati o vengano distrutti beni materiali appartenenti alla vittima, la lesione della proprietà sicuramente determina il sorgere un obbligo al risarcimento in capo al danneggiante trasmissibile, iure successionis, agli eredi della vittima. Nessuno, infatti dubita che in detta evenienza dall occorso scaturisca un diritto di credito, benché il pregiudizio alla proprietà si verifichi contemporaneamente alla lesione del bene vita. Anche in questo caso dunque ci sorge un diritto apparentemente adespota, ossia privo di titolare, ma non vi è dubbio che lo stesso sia trasmissibile agli eredi. Sarebbe illogico ed incoerente un sistema giuridico che ammette il ristoro, in detta ipotesi, della proprietà ma nega il risarcimento alla più grave delle lesioni alla persona. Ostano al riconoscimento della trasmissibilità di questo danno (danno da perdita della vita) il carattere personalissimo e intrasmissibile del diritto leso e la tradizionale funzione assolta dalla responsabilità civile nel nostro ordinamento. Sotto il primo aspetto è evidente l errore generato dalla confusione tra diritto alla vita e diritto al risarcimento per lesione del bene giuridico della vita: ciò che si trasmette non è il diritto bensì l obbligazione risarcitoria sorta in capo alla persona offesa. Quanto alla funzione della responsabilità aquiliana è da sempre in discussione se il risarcimento danni abbia natura esclusivamente 11 MONATERI, La Babele delle vittime di rimbalzo: i limiti strutturali dell illecito e il lavoro del lutto, /17.html. L. A. commentando la sentenza del Trib. Firenze 18 novembre 1991, in Arch. giur. gircolaz., 1992, 39 sottolinea che «il decesso per quanto ravvicinato all evento lesione non può che porsi ontologicamente, prima che temporalmente, fra le conseguenze del fatto. In parole povere, ma con estremo rispetto della coerenza funzionale, non può convenire uccidere una persona piuttosto che renderla inferma». 12 Hanno riscontrato tale paradosso oltre a MONATERI, cit., GIANNINI, Il danno biologico in caso di morte, in Resp. civ. prev., 1989, 385; FOFFA, il danno tanatologico e il danno biologico terminale, in Danno e resp., 2003, 11, 1092 nonché PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno ingiusto (Dall ermeneutica bipolare alla teoria generale monocentrica della responsabilità civile) Parte I - Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel law in action, in Riv critica dir. priv. 2003, 17. compensativa 13 ovvero se sia possibile e coerente riconoscerne anche una sanzionatoria 14. Preferibile, sommessamente anche ad avviso di chi scrive, è riconoscere al risarcimento del danno una funzione ripristinatoria de soggetto leso con effetto sul suo patrimonio 15 e non sanzionatoria dell autore dell atto illecito 16. A differenza della giurisprudenza 17 la dottrina sembra riconoscere, accanto alla finalità riparatoria e di reintegrazione anche una funzione sanzionatoria al risarcimento 18. Alle considerazioni dianzi indicate, va aggiunta una ulteriore ragione che esclude il risarcimento di tale voce di danno. Notoriamente la responsabilità civile assolve ad una funzione riparatoria/satisfattiva 19, nel senso che con il risarcimento si tende a ricostruire, in forma specifica o per equivalente, la consistenza del patrimonio (inteso in senso lato, comprensivo anche dei diritti della persona) del soggetto vittima dell illecito. In caso di decesso della persona offesa, tuttavia, ciò non sarebbe possibile né in forma specifica né per equivalente, a causa della mancanza del soggetto che dell utilità sostitutiva del bene perduto possa giovarsi 20. L impossibilità di risarcire la privazione della vita discenderebbe, quindi, dalla peculiare natura del diritto alla vita, che ha ad oggetto un bene del quale solo il titolare può godere, e può fruirne esclusivamente in natura, non essendo possibile ipotizzare un godimento per equivalente. Anche tale assunto è privo di fondamento, dal momento, che, pur condividendosi che la vita sia un bene fruibile esclusivamente in natura, è possibile rilevare che la lesione del bene «vita» facente parte del patrimonio del soggetto offeso, può concretamente essere riparato solo per equivalente. Il risarcimento per equivalente, infatti, non deve 13 Ritiene che la responsabilità civile abbia quale effetto giuridico la nascita dell obbligazione di ristorare il danno CASTRONOVO, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv., 3, La natura sanzionatoria del rimedio risarcitorio è affermata, invece, da SALVI, La responsabilità civile, Milano, 2005, 37 s. nonché da DI MAJO, La tutela civile dei dirititi, Milano, 2003, 173 ss. Colora l art c.c. con sfumature punitive anche PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno ingiusto (Dall ermeneutica bipolare alla teoria generale monocentrica della responsabilità civile) Parte I - Ingiustizia, patrimonialità e risarcibilità del danno nel law in action, in Riv critica dir. priv. 2003, 53.; Id. Il danno ingiusto (Dall ermeneutica bipolare alla teoria generale monocentrica della responsabilità civile) Parte II - Ingiustizia, patrimonialità, non patrimonialità nella teoria del danno risarcibile, in Riv critica dir. priv., 2003, 219 ss. 15 Sul punto v. CASTRONOVO, Il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., II, 2006, 94 ss. 16 Come già sottolineato in precedenza «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre»: Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n , cit. 17 V. Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Europa dir. priv., 4, 2007 con nota di SPOTO, I punitive damages al vaglio della giurisprudenza italiana. 18 Cfr. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit. nonché SALVI, La responsabilità civile, cit. 19 Ex multis Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, in CED, 1997; Cass., 20 gennaio 1999, n. 491, in CED, V. Corte cost., 24 ottobre 1994, n. 372 e Cass., 20 gennaio 1999, n. 491, in CED Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile 17

18 Parte Prima - Civile Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile sopperire al mancato godimento del bene specifico con un altro equivalente bene, bensì mirare alla reintegrazione del patrimonio della persona lesa. Quanto innanzi indicato finisce comunque per trovare ricomposizione nell ambito della ricostruzione operata dalle Sezioni Unite in termini bipolari del risarcimento del danno, come prescritta dal legislatore (racchiudendo tutti i danni nelle due categorie dei danni patrimoniali e non patrimoniali), in guisa da far assumere natura meramente descrittiva alle varie denominazioni formulate da dottrina e giurisprudenza. Nondimeno il monito delle Sezioni Unite è chiaro, laddove stabilisce che nel liquidare il danno non patrimoniale in un unica voce il giudice pur evitando duplicazioni risarcitorie dovrà comunque procedere a un risarcimento integrale del danno. Facendo applicazione di detto principio ispiratore anche nel caso di danno tanatologico, ad avviso delle Sezioni Unite, la quantificazione della somma dovuta a titolo di danni morali deve tener conto «anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l agonia, in consapevole attesa della fine» sì da colmare «il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega ( ) il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita» 21. Va sottolineamento l orientamento oscillante della giurisprudenza successiva a questa pronuncia, che non sempre si è uniformata alle linee guida tracciate dagli ermellini. L analisi delle sentenze sul tema non hanno consentito di elaborare criteri unitari di accertamento e liquidazione di questo danno. In tal senso se la maggior parte dei giudici di merito hanno fatto applicazione dei principi sanciti dalla Cassazione, dall altro non sono mancate pronunce che hanno continuato ad avvalersi del criterio dell apprezzabile lasso di tempo quale condizione imprescindibile per la liquidazione del danno tanatologico (o morale iure hereditatis nella nuova più ampia accezione delineata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione). Nel primo caso si è riconosciuto che «anche se tra la lesione ( ) e il decesso non sia intercorso un intervallo temporale significativo, il relativo risarcimento del danno c.d. tanatologico va senz altro riconosciuto agli stretti congiunti del deceduto in seguito all altrui illecito» 22 e stabilito che «la sofferenza patita dalla vittima durante l agonia è autonomamente risarcibile, non come danno biologico, ma come danno morale iure hereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in grado di percepire il proprio stato» 23. Ad avviso della Corte però «il danno morale, in ogni caso, non può prescindere da un lasso di tempo apprezzabile, parametrabile in giorni, non in ore» 24. In applicazione di questo principio è stata esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale iure hereditario nel caso in cui la vittima abbia sofferto 21 V. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n , cit. 22 Cfr. Trib. Terni 4 marzo V. Cass., 13 gennaio 2009, n. 458, in Mass. Giust. civ., 2009, 1, V. Cass., 28 settembre 2009, n , in CED, intensamente per meno di un ora «circostanza che, sebbene toccante sotto un profilo morale, non integra i presupposti richiesti dal Supremo Collegio per ritenere entrata nella sfera giuridica del soggetto leso il diritto di credito: un apprezzabile lasso di tempo ( ) si può affermare che un lasso temporale inferiore ad un ora non sia apprezzabile» 25. Emblematiche sono due sentenze della Corte di Cassazione, di poco successive l una all altra 26 che evidenziano la disomogeneità che informa la materia de qua: la prima riconosce il danno morale terminale, iure hereditatis, ai parenti di un motociclista deceduto a distanza di ventotto ore dall evento, la seconda, invece, lo nega ai parenti di un soggetto deceduto a distanza di quaranta ore dall evento 27. La Corte di Cassazione 28 è poi tornata nel 2010 ad affrontare nuovamente l annosa questione in esame, esaminando e vagliando la pronuncia del giudice di seconde cure 29, che, in parziale riforma della decisione del Tribunale - con la quale 30 invece erano state integralmente accolte le domande attrici e riconosciuto agli eredi della persona offesa il risarcimento del danno non patrimoniale, a titolo di danno biologico iure successionis aveva negato il risarcimento del danno biologico iure hereditario riducendo la somma liquidata in risarcimento dei danni non patrimoniali perché, a suo avviso la morte era stata pressoché immediata. Contro la decisione della Corte Territoriale gli eredi della vittima erano ricorsi in Cassazione lamentando «vizi di motivazione e violazione degli artt. 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226 c.c., nella parte in cui la Corte di appello aveva negato loro il diritto di conseguire iure haereditario il risarcimento del danno biologico subito dal defunto per effetto dell incidente» 31. In particolare «Le ricorrenti censura(va)no l'interpretazione della Corte di appello, secondo cui - ove la morte sopraggiunga immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo - la lesione viene a colpire non il diritto alla salute, ma il diritto alla vita, del quale ultimo non può essere attribuita riparazione alcuna, qualora venga a mancare, con la morte, il soggetto che dovrebbe soffrire la perdita» 32. La pronuncia della Corte d appello aveva preso le mosse da una decisione della Corte costituzionale del ove si tracciava una netta distinzione tra la vita e la salute quali «beni giuridici diversi, oggetto di 25 V. Trib. Rovigo (sez. di Adria) 2 marzo V. Cass., 28 novembre 2008, n e 28423, in CED, Altrettanto ambigue le pronunce della giurisprudenza di merito lombarda. Nel febbraio 2009 si ammette la liquidazione del danno biologico terminale per quattordici ore di sopravvivenza, pur in assenza di lucidità (Trib. Milano 16 febbraio 2009) e la si nega, un mese più tardi, per la morte di un bimbo a distanza di sei giorni dal sinistro per il breve lasso di tempo intercorso per risarcire il danno biologico e per liquidare il danno morale, atteso che il bimbo era già in coma al momento dei primi soccorsi ed era rimasto incosciente fino al decesso (Trib. Busto Arsizio 24 marzo 2009). 28 V. Cass., 08 aprile 2010, n. 8360, in CED, V. Corte App. Salerno 15 marzo V. Trib. Nocera Inferiore sent. n. 1098, V. Cass., 08 aprile 2010, n. 8360, cit. 32 V. Cass., 08 aprile 2010, n. 8360, cit. 33 Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, in CED,

19 Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile diritti distinti» con il corollario che «la lesione dell integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale implicava la permanenza in vita della vittima, sia pur con menomazioni invalidanti» 34. Tale assunto era divenuto il fondamento per negare la sussistenza di un danno quando la morte seguiva con immediatezza, o dopo breve tempo, la condotta illecita. In tale prospettiva, la morte non costituiva la massima lesione possibile del diritto alla salute bensì era destinata ad incidere sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, a causa del venire meno del soggetto non poteva tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi. Necessitando il danno biologico di una proiezione futura e di una durata della vita, questo non era configurabile nel caso di morte del soggetto leso. Il danno è risarcibile alla persona offesa e trasmissibile da questa agli eredi solo nell ipotesi in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del sinistro e la morte causata dalle stesse. È possibile rintracciare la prima apertura alla risarcibilità del danno da perdita della vita, seppure in un obiter dictum, in una sentenza della Cassazione del , ad avviso della quale era possibili l integrale risarcibilità del «danno da morte come perdita dell integrità e delle speranze della vita biologica, in relazione alla lesione del diritto inviolabile alla vita, tutelato dall art. 2 Cost. ed ora anche dall art. II-62 Cost. europea, nel senso di diritto ad esistere». Di poco successiva è un altra decisione della Suprema Corte 36 che finisce con l affermare che la brevità del periodo di sopravvivenza della vittima alle lesioni patite, in conseguenza di un sinistro stradale, non esclude che la medesima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenze. In questo caso il diritto al risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta, pertanto, già entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte e può conseguentemente essere fatto valere iure hereditatis. L intervento delle Sezioni Unite nel 2008 tanto agognato non è servito a fugare i dubbi dianzi enucleati in ordine al danno tanatologico 37. Si è già avuto modo di verificare che secondo la citata sentenza nella quantificazione della somma dovuta in risarcimento dei danni morali si deve tenere conto «anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia, in consapevole attesa della fine». Percorrendo tale via si evita «il vuoto di tutela 34 Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, cit.. 35 V. Cass., 12 luglio 2006, n , in CED, V. Cass., 6 agosto 2007, n , in CED; V. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n , cit. Nel commentare tale pronuncia PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un de profundis per il danno esistenziale, in Danno e resp., I, 2009, 39, osserva che «probabilmente il diritto alla vita, a differenza di quello alla salute, non è, secondo la Suprema Corte, un diritto inviolabile della persona». determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega (...) il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita» 38. La decisione del 2010 si muove nel solco tracciato dalle Sezioni Unite 39 laddove afferma che «Il giudice deve personalizzare la liquidazione dell'unica somma dovuta in risarcimento dei danni morali, tenendo conto anche del c.d. tanatologico, ove i danneggiati ne facciano specifica e motivata richiesta e le circostanze del caso concreto ne giustifichino la rilevanza» 40. Ne deriva che, accertato il contrasto della sentenza di secondo grado con detti principi il Supremo Collegio ha cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla mancata liquidazione delle somme richieste a titolo di risarcimento del danno morale subito dal defunto (erroneamente definito come danno biologico) 41. Ad avviso della Corte, dunque, la domanda di risarcimento dei danni morali subiti dalla vittima nel tempo che ha preceduto la morte, proposta dai ricorrenti a titolo ereditario, doveva essere accolta 42 : l agonia seppur di breve durata dev essere risarcita qualora la vittima sia rimasta lucida «in consapevole attesa della fine». In conclusione, già ne 2010 la Suprema Corte aveva ribadito la risarcibilità del danno tanatologico sussumendolo sotto la voce di danno morale, trasmissibile iure hereditatis, «nella sua nuova più ampia accezione» 43. Anche la sentenza della Terza Sezione della Corte di Cassazione in esame si muove in questo solco. Ciò posto, occorre focalizzare l attenzione sulla soluzione interpretativa offerta dalla sentenza in commento La decisione della Terza Sezione della Corte di Cassazione. Con l'unico articolato motivo di ricorso era stata denunciata la violazione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. in relazione agli artt e 2056 cod. civ. per illogica e contraddittoria motivazione e/o macroscopica inadeguatezza, per difetto, dell'entità della liquidazione equitativa operata dalla Corte d'appello, al fine di censurare la determinazione di quanto dovuto alle odierne ricorrenti, figlie della vittima dell'incidente stradale, deceduta dopo 14 giorni, a titolo di risarcimento del danno qualificato come biologico iure hereditatis. Le ricorrenti avevano sostenuto che il Tribunale aveva applicato un criterio di liquidazione a punto, prendendo a parametro l'invalidità permanente del 100%, e quindi, fissato in 38 V. Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, n , cit. 39 Così Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n , cit.. 40 V. Cass., 08 aprile 2010, n. 8360, in CED, «Nella specie la Corte di appello, in contrasto con i suddetti principi, ha del tutto negato ai ricorrenti il risarcimento, a titolo ereditario, dei danni morali subiti dalla vittima, a causa delle gravi sofferenze che hanno preceduto la morte. La somma liquidata in risarcimento dei danni morali risulta infatti quantificata con esclusivo riferimento al compenso spettante ai superstiti per i danni morali subiti iure proprio, a causa della perdita del rapporto parentale», Cass., 08 aprile 2010, n. 8360, cit. 42 Sul punto v. anche Cass., 28 novembre 2008, n , in CED, 2008; Cass., 30 novembre 2009, n , in CED; 2009; Cass., 19 gennaio 2010, n. 702, in CED, Così Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n , cit. Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile 19

20 Parte Prima - Civile Il Dibattito nella Giurisprudenza Civile lire il valore del punto, aveva determinato il quantum, per tale voce di danno, complessivamente in lire ; che invece la Corte d'appello aveva riportato il danno nei parametri dell'inabilità temporanea assoluta e l'aveva riferito al periodo di tempo trascorso tra il sinistro ed il decesso, considerando le risultanze della perizia autoptica quanto alle lesioni occorse alla vittima e la durata della degenza ospedaliera; che era così pervenuta all'importo di Euro ,00, da reputarsi, secondo le ricorrenti, frutto di valutazione contraddittoria ed illogica e comunque di liquidazione manifestamente inadeguata al caso concreto e perciò censurabile. Era stato sostenuto con il ricorso che, pur riconoscendo la sussistenza di lesioni gravissime e pur essendo stata la degenza ospedaliera "travagliata" ed essendo rimasta la vittima sempre cosciente e consapevole delle sue condizioni fisiche, la Corte territoriale, nell'esercitare il potere di liquidazione equitativa del danno, non avrebbe adeguatamente motivato la relativa quantificazione, da reputarsi "irrisoria". La Suprema Corte ha ritenuto che il motivo di ricorso non fosse meritevole di accoglimento. La Corte parte da una premessa, che definisce non solo terminologica, ma anche concettuale: sebbene le ricorrenti facciano riferimento al "danno biologico iure hereditatis" e sebbene questa espressione sia stata ripresa anche dalla Corte d'appello, risulta dagli atti, dal ricorso e dal complesso della motivazione della sentenza impugnata, così come dai precedenti richiamati sia da quest'ultima che dagli atti di parte, che le ricorrenti e il giudice d'appello (e, prima di questo, anche il Tribunale) si siano riferiti al danno c.d. catastrofale. Così individuato l oggetto del contendere, gli ermellini definiscono quest'ultimo come il danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita (cfr., da ultimo, Cass. n. 1072/11, n /11). La Corte passa quindi in rassegna la propria pregressa giurisprudenza, nell intento di confermarla, affermando che tale ultimo danno, per un verso, debba essere distinto dal danno biologico cd terminale o tanatologico (danno connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute), il cui risarcimento non risulta essere stato rivendicato dalle odierne ricorrenti; per altro verso, si distingua - distinzione, che più rileva ai fini della decisione in esame - dal danno biologico rivendicato iure hereditatis dagli eredi di colui che, sopravvissuto per un considerevole lasso di tempo ad un evento poi rivelatosi mortale, abbia, in tale periodo, sofferto una lesione della propria integrità psico-fisica autonomamente considerabile come danno biologico, quindi accertabile (ed accertata) con valutazione medico-legale e liquidabile alla stregua dei criteri adottati per la liquidazione del danno biologico vero e proprio. Nel caso venuto all attenzione della Cassazione, osservano gli ermellini che la Corte d'appello ha premesso di voler effettuare la liquidazione commisurata al lasso temporale intercorso tra l'incidente e la morte, ma nella... liquidazione dovrà tenersi conto del fatto che, se pure temporaneo, tale danno tende ad un aggravamento progressivo ed è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è cosi elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte e, nel prosieguo, ha liquidato il danno tenendo presente che le lesioni gravissime della vittima ne avevano determinato il decesso in pochi giorni ed avevano comportato il presagio della propria fine imminente. Ha perciò proceduto ad una liquidazione equitativa c.d. pura, cioè non basata sui criteri di liquidazione tabellari adottati per il danno biologico, permanente o temporaneo, ma motivata tenendo conto dell'età della vittima, della gravità delle lesioni, delle cure effettuate e delle sofferenze patite durante il ricovero, del periodo intercorso tra l'incidente e la morte, dello stato di coscienza in tale arco temporale di quattordici giorni. Il danno di che trattasi (c.d. catastrofale, secondo quanto sopra) è risarcibile sotto il profilo del danno non patrimoniale (definito "morale" nella terminologia adottata prima della sentenza a Sezioni Unite n /08) e, corrispondendo alle sofferenze patite dalla vittima per la consapevolezza della gravità delle lesioni e/o della imminente perdita della vita (cfr., tra le altre, Cass. n. 458/09, n /10), entra nel suo patrimonio ed è trasmissibile iure hereditatis e liquidabile secondo il criterio equitativo che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto (cfr. Cass. n /07, n. 8360/10). Malgrado le imprecisioni terminologiche di cui si è detto, la Terza Sezione ha ritenuto che la Corte d'appello si sia attenuta a tali principi e sia addivenuta ad una liquidazione secondo criteri equitativi. La motivazione è stata ritenuta ampia ed adeguata, in quanto tale non censurabile con riguardo ai parametri di riferimento adottati (e sopra richiamati); sebbene si faccia cenno in ricorso ad una pretesa contraddittorietà della motivazione, non è esplicitato quali argomenti della stessa sarebbero tra loro contrastanti o logicamente incompatibili, né siffatta incompatibilità logica è oggettivamente rinvenibile. In effetti, la sentenza risulta censurata solo perché sarebbe pervenuta ad una liquidazione irrisoria e manifestamente inferiore a quanto liquidato dalla stessa Corte d'appello in casi simili: orbene, ad avviso della Terza Sezione, il giudizio di inadeguatezza della liquidazione appare meramente soggettivo e non supportato da alcun riferimento a dati di comune esperienza; l'assunto di disparità di trattamento rispetto a casi simili è, a sua volta, privo di qualsivoglia riscontro; infine, non può assurgere a parametro di riferimento la liquidazione operata dal primo giudice e riformata dalla Corte d'appello, proprio in ragione della congruità della motivazione che sorregge l'accoglimento del gravame sul punto. Il motivo di ricorso così come proposto è stato dichiarato inammissibile alla stregua del principio per il quale la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di 20

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