Azione di disconoscimento della paternità nelle ipotesi di fecondazione eterologa (Cass. n /2012) commento e testo

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1 Azione di disconoscimento della paternità nelle ipotesi di fecondazione eterologa (Cass. n /2012) commento e testo C. Spadea QDF.IT Con la complessa ed articolata sentenza di Cassazione n del 2012 gli Ermellini hanno esaminato il caso del coniuge che non abbia prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita eterologa, stabilendo che lo stesso è legittimato a promuovere azione di disconoscimento della paternità, purché questo avvenga, sempre, entro un anno dalla scoperta. L analisi della complessa vicenda ha portato la Corte a ripercorrere l acceso dibattito formatosi circa l esperimento dell azione di disconoscimento nelle ipotesi di fecondazione eterologa. Nella disamina della fattispecie il nesso tra filiazione e generazione si incrina con l ingresso nel nostro ordinamento della adozione speciale, nel 1967, in tal modo viene affiancata alla cd. filiazione di sangue un diverso modello di filiazione che scardina il principio della derivazione biologica come fondamento esclusivo della genitorialità e lo sostituisce con un legame che ha base nella assunzione di responsabilità e nella accoglienza nella famiglia cd degli affetti. Al pari della filiazione adottiva anche la procreazione assistita, che consente una dissociazione dei ruoli biologico e sociale pone in risalto i valori di responsabilità conseguenti ad una decisione liberamente assunta dalla coppia di accogliere e di crescere come proprio il figlio che nascerà in virtù delle tecniche di riproduzione assistita. Successivamente, il punto di equilibrio tra favor legitimatis e verità biologica viene posto in discussione con la riforma del 1975, momento nel quale il legislatore pone un limite, interrompendo la relazione verticistica tra filiazione e matrimonio, uniformandosi così al dettato costituzionale nella previsione all art. 30, comma 3, Cost. L intento del legislatore è quello di assicurare al nato fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, sempre che sia compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

2 L idea sottesa in sede di normazione garantisce la medesima dignità alla filiazione tout court, nella consapevolezza che l eventuale antagonismo tra le due forme di discendenza in discorso deve indurre alla decisiva emersione di quella forma di aggregazione qual è la famiglia fondata sul matrimonio. Tuttavia, il discorso non può essere ridotto al senso appena segnalato; all inverso, si rischierebbe di negare, in concreto, quei presìdi in primo luogo assiologici a favore del medesimo status filiationis, a prescindere dal sotteso rapporto di coniugio. [1] La legge 40 del 2004 in maniera ibrida, basata su una commistione filiazione biologica e meramente legale, ha creato una situazione di ipocrisia ed impari opportunità, la legge, all articolo 4 comma 3 recita: E vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.. di fatto, dall entrata in vigore della summenzionata legge si sono prodotti intensi flussi di turismo procreativo verso centri privati di altri paesi europei, così, l Italia proibisce l eterologa solo alle persone che economicamente non possono permettersela, con la conseguenza che chi la pratica si pone al di fuori delle garanzie proprie che uno Stato dovrebbe assicurare. La paradossale condizione in cui i futuri cittadini verrebbero a trovarsi è alquanto atemporale ed indegna, basti pensare che gli stessi sono stati definiti bastardi genetici, emblematica è la definizione data da un giudice di Cremona, nel 1994 che definì l eterologa adulterio genetico. Quando la tecnologia mette a disposizione strumenti per ovviare ad una incapacità, sempre che questo non contrasti con diritti altrui, potersene avvalere diventa un diritto e, come tale, va garantito dallo Stato secondo condizioni di pari opportunità. Nel quadro normativo a seguito della legge 40 del 2004 si inserisce la sentenza 347 del 1998 in cui la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile la questione di legittimità dell art 235 c.c., nella parte in cui non preclude l azione per il disconoscimento di paternità al padre legittimo, che abbia prestato il proprio preventivo consenso all inseminazione artificiale eterologa della moglie, non ha quindi azione di disconoscimento della paternità.

3 Nel solco della interpretazione del favor veritatis si inserisce la decisione n del 1999 per la quale s'insiste nell'affermare che il consenso prestato dal marito, in condizione di impotentia generandi, per la <<filiazione biochimica da datore sconosciuto>>, non è revocabile, quantomeno a seguito del concepimento della moglie, e costituisce ostacolo al disconoscimento. A sostegno di tale assunto si torna a considerare che l'art. 235 cod. civ., dettato per tutelare il marito a fronte di nascita ascrivibile alla relazione sessuale della moglie con un terzo, non può trovare applicazione nell'inseminazione artificiale, voluta e realizzata di comune accordo, trattandosi di una scelta non vietata, consentita dall'evoluzione della scienza, accettabile anche moralmente, ed idonea alla costituzione di un cosciente rapporto di <<filiazione civile>> cui deve, conferirsi cittadinanza e dignità pari a quello di funzione naturale. L'inapplicabilità della citata norma, ad avviso dei ricorrenti, esige il riferimento in via analogica alle regole dell'adozione, le quali non ammettono che i coniugi istanti, dopo il provvedimento giudiziale che disponga l'adozione medesima, rivedano o mutino il proposito in precedenza espresso. La diversa soluzione seguita dalla Corte di Brescia non sottrarrebbe l'art. 235 cod. civ. a sospetti d'illegittimità costituzionale, per l'arbitraria disparità di trattamento che si verificherebbe fra il figlio adulterino ed il figlio artificialmente concepito, con la condanna esclusivamente del secondo, all'impossibilità di accertare il padre naturale (dopo la perdita del padre <<presunto>>), nonché fra i due coniugi, dato che soltanto la moglie rimarrebbe irretrattabilmente vincolata agli effetti di quanto in precedenza concordato con il marito, non potendo dismettere il proprio ruolo di madre. Il quarto motivo, di natura subordinata, è inerente ai riflessi economici del disconoscimento, ove consentito. (Cass del 16 marzo 1999) Nella pronuncia della Consulta si ritiene, infatti, che la portata dell'art. 235 c.c. sia applicabile, solo alla generazione che segua ad un rapporto adulterino, precisando che il disconoscimento di paternità possa essere fatto valere in tassative ipotesi, ossia quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere che la gravidanza sia riconducibile, in violazione del dovere di reciproca fedeltà, ad un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge. Delineando la possibilità che ipotesi nuove, non previste dalla norma, possano essere disciplinate dalla stessa, ma ciò non è certamente possibile nel caso dell'equiparazione dell'ipotesi di

4 disconoscimento di paternità a seguito del consenso prestato per la fecondazione eterologa a quelle dissimili disciplinate dall'art. 235 c.c., mancando in assoluto omogeneità di elementi essenziali e identità di ratio. La Corte, quindi, ritiene la questione sollevata inammissibile, visto che l'estensione della portata normativa dell'art. 235 c.c. al caso in esame si risolverebbe in mero arbitrio. Tale sentenza è stata definita additiva, che muovendo da un'interpretazione dei principi costituzionali, individuando nell'interesse del figlio un principio fondamentale della disciplina dei rapporti familiari, interesse che sarebbe eluso se solo fosse accolta l'azione di disconoscimento, avrebbe meglio composto gli interessi in gioco in merito all'effettiva portata della sentenza della Corte Costituzionale, Il vero nodo gordiano da sciogliere è, quindi, costituito da quanto la sentenza in esame vincoli il giudice chiamato a decidere sulla esperibilità dell'azione di disconoscimento di paternità da parte di chi abbia prestato il proprio consenso alla fecondazione eterologa della moglie. In punto di diritto tre sono le soluzioni ipotizzabili: (i) la prima è di ritenere la completa vincolatività dell'interprete; (ii) la seconda è quella della irrilevanza dell'interpretazione fornita; (iii) la terza è di ritenere la vincolatività dell'interprete ma solo limitatamente ad una interpretazione idonea ad assicurare la protezione dei beni costituzionali della persona nata a seguito di fecondazione eterologa, ma non dell'interpretazione data dell'art. 235 c.c. La prima linea interpretativa, che pone come propria base la vincolatività della interpretazione della Corte, sembrerebbe impraticabile visto che il giudice delle leggi non è intervenuto con una pronuncia di merito (anche solo interpretativa, sia di accoglimento che di rigetto). La seconda che lascia del tutto svincolato il giudice, che, quindi, potrà continuare a seguire la ferma, se pur esigua, interpretazione della giurisprudenza di merito o, forte delle indicazioni, non vincolanti della Consulta, potrà dichiarare la non ammissibilità dell'azione di disconoscimento per mancanza di presupposti e costituire unleading case di un nuovo filone giurisprudenziale, sembra, in punto di diritto, la più corretta. Ma, se il giudice a quo decidesse per l'applicazione dell'art. 235 c.c., opterebbe per quella alternativa che nell'ordinanza di rimessione aveva qualificato del tutto irrazionale, applicando così la norma di legge nel senso da lui stesso già ritenuto non compatibile con superiori precetti costituzionali. La terza, ad avviso di chi scrive, rappresenta invece la più ragionevole. Infatti, il giudice che

5 dovrà pronunciarsi nel merito, sulla questione in esame, potrà certamente non ritenere vincolante l'interpretazione data dalla Corte dell'art. 235 c.c., in rapporto alla quale, alcuni dubbi sono legittimi, se solo si ricorda che, secondo una parte della dottrina, il legislatore ha attribuito distinta rilevanza alla violazione del dovere di fedeltà nella previsione di cui al numero 3 rispetto al numero 2, dove, per integrare le condizioni previste è sufficiente l'impotenza del marito, rimanendo del tutto irrilevante il modo attraverso cui si è giunti al concepimento. [2] In quest'ordine di considerazioni si pone la Corte di Cassazione che anzi insiste su un punto importante ossia sulla portata dell'art. 235 c.c., tale norma se permettesse l'azione di disconoscimento con conseguente privazione per il nato della figura paterna, per mezzo di una statuizione giudiziale resa proprio su istanza del soggetto che abbia determinato o concorso a determinare la nascita con il personale impegno di svolgere il ruolo di padre, eluderebbe i cardini dell'assetto costituzionale ed il principio di solidarietà cui gli stessi rispondono. Il principio di responsabilità genitoriale previsto dall art 30 della Costituzione, quale adempimento dei doveri di cura che sono propri di un genitore è incentrato sulla dimensione naturale della filiazione ed è indipendente dal tipo di rapporto esistente tra i genitori, si concretizza in qualcosa di non revocabile su base volontaria in nome del superiore interesse del figlio. A tal proposito e riferendosi al concetto di verità biologica è da considerare quanto statuito dalla Corte Costituzionale, che afferma È costituzionalmente illegittimo l art. 235 c.c., primo comma, numero 3, nella parte in cui, ai fini dell azione di disconoscimento della paternità, subordina l esame delle prove tecniche, da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, alla previa dimostrazione dell adulterio della moglie. Subordinare, infatti, l accesso alle prove tecniche, le quali, alla luce dei progressi della scienza biomedica, consentono di accertare la esistenza o la non esistenza del rapporto di filiazione, alla previa prova dell adulterio è, da una parte, irragionevole, attesa la irrilevanza di tale prova ai fini dell accoglimento nel merito della domanda e, dall altra, si risolve in un sostanziale impedimento all esercizio del diritto di azione garantito dall art. 24 Cost., in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica (Corte cost., 6 luglio 2006, n. 266).

6 La legge 40 con il divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo sottende un impostazione ben orientata, a favore della riaffermazione del principio della verità biologica nonostante questa, abbia dismesso l importanza di un tempo. Si potrebbe auspicare un nuovo concetto di filiazione, risultato di una nozione di padre e di madre, di genitori e di famiglia, non più caratterizzata esclusivamente dalla derivazione biogenetica del figlio dai genitori, ma anche soprattutto da una consapevole accettazione e volontà di svolgere un ruolo sociale, che la stessa Costituzione assegna al genitore al fine di garantire un corretto sviluppo della personalità del minore, il cui riconoscimento, in ultima analisi, spetta alla legge. Avv. Carmen Spadea [1] G. AUTORINO STANZIONE, La reale consistenza del favor legitimitatis è individuata, in Diritto di famiglia, Torino, [2] CASSANO G., I figli della scienza in Cassazione: il principio di autoresponsabilità e l'art. 235 c.c. Corte di Cassazione Civile n /2012 sez. I del 11/7/2012

7 Presidente: Luccioli Svolgimento del processo 1 Con atto di citazione notificato in data 16 gennaio 2007 il Dott. R..B. promoveva azione di disconoscimento della figlia G., nata il (omissis), in costanza di matrimonio, dalla moglie B..C.. L'attore, premesso che la coppia, non riuscendo inizialmente a concepire prole, si era inutilmente sottoposta a tentativi di inseminazione artificiale omologa, assumeva che, essendosi smesso di provare di ricorrere alla fecondazione assistita una volta sopravvenuta la scoperta che la moglie (evidentemente per ragioni naturali) era incinta, successivamente alla nascita della bambina si erano verificati una serie di episodi che lo avevano indotto a sospettare, in misura sempre maggiore, di non essere il padre della stessa. Ed invero la signora C., dopo che, nell'anno (omissis), era intervenuta la separazione personale, gli aveva rappresentato nella comparsa di risposta di un giudizio civile di essersi sottoposta a cure ormonali per concepire la figlia, la quale, d'altra parte, aveva cominciato ad assumere nei confronti del convivente della madre, già amico di famiglia, un atteggiamento filiale che determinava nell'attore una situazione di disagio. Aggiungeva l'esponente che, dopo aver partorito un figlio nell'ambito della sua nuova relazione affettiva, la signora C., nel (omissis), aveva cominciato a propalare la notizia che la bambina era nata a seguito di inseminazione artificiale eterologa. Il Dott. B., essendosi quindi sottoposto nell'ottobre del (omissis) ad accurati accertamenti sanitari, aveva ottenuto un responso di "severissima infertilità".

8 1.1 La signora C., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda e comunque eccepiva l'intervenuta decadenza dell'attore dalla proposizione dell'azione di disconoscimento, assumendo che egli da tempo era consapevole della propria infertilità, tanto che entrambi i coniugi avevano eseguito un programma di fecondazione assistita, al cui esito negativo aveva fatto seguito un tentativo, andato a buon fine, di inseminazione artificiale eterologa. Il curatore speciale della minore, all'uopo nominato, chiedeva il rigetto della domanda. 1.2 Il Tribunale di Torino, con sentenza del 9 marzo 2009, dichiarava inammissibile, per intervenuta decadenza, l'azione di disconoscimento della paternità. Veniva affermato, in particolare, che, non essendo emersa alcuna documentazione in merito alla sottoposizione della signora C. a inseminazione artificiale eterologa presso il centro Artes di Torino, era ipotizzabile una inseminazione non lecita, eventualmente per scelta della sola convenuta. In tal caso, come nell'ipotesi di relazione adulterina, il Dott. B. era decaduto dall'azione, per aver appreso già nella primavera ((omissis)) dell'anno (omissis) che la figlia G. non era stata da lui concepita naturalmente, senza proporre la domanda entro il termine di un anno. Tale circostanza veniva desunta dalla testimonianza resa dal padre della convenuta, C.A., al quale il Dott. B. l'aveva riferita nel corso di un concitato colloquio: l'attendibilità di tale costituto veniva ravvisata nella consultazione da parte di tale testimone, nell'immediatezza della rivelazione, ed al fine di ottenere chiarimenti su tali modalità di fecondazione, a lui sconosciute, del proprio medico curante, il quale aveva reso piena conferma al riguardo. Tale riferimento temporale trovava rispondenza nel periodo in cui il padre aveva troncato ogni rapporto con la bambina, verso la quale aveva in precedenza mostrato grande attaccamento, mentre non era credibile che solo nell'(omissis) il Dott. B., già sottopostosi a vari accertamenti nel tentativo di procreare, fosse stato edotto della sua severissima infertilità.

9 1.3 Con sentenza n depositata il 26 luglio 2010 la Corte di appello respingeva il gravame proposto dal B. avverso la decisione di primo grado, ribadendo, in primo luogo, l'attendibilità del teste C., e così privando di rilevanza le deposizioni rese da tali O. e L., le quali avevano collocato in epoca successiva la diffusione delle voci inerenti alla fecondazione a seguito di inseminazione artificiale eterologa. 1.4 Per la cassazione di tale decisione il B. propone ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la C.. Motivi della decisione 2 Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per non essersi la Corte di appello pronunciata, così determinando il vizio di omessa pronuncia, sulle concrete modalità di concepimento della minore G..B. e, quindi, sul tema ineludibile, una volta esclusa l'ipotesi dell'inseminazione artificiale eterologa dell'adulterio della signora C Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. e degli artt. 235, primo comma, n. 3 e 24 4, comma 2, c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c.. Non si sarebbe considerato che la conoscenza certa ed effettiva della non paternità, al fine della decorrenza del termine di decadenza, non può prescindere dalla consapevolezza delle modalità effettive del concepimento: assumere che il Dott. B. avrebbe assunto la conoscenza della non paternità sulla base di pettegolezzi, per poi asserire che su tale base sarebbe intervenuta la decadenza prevista dall'art. 244 cc.,

10 costituisce ad avviso del ricorrente una grave contraddizione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale. L'illogicità e l'insufficienza della motivazione, per altro, risulterebbero dall'inadeguata analisi delle risultanze istruttorie, distintamente indicate e valutate nel ricorso. 2.2 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta un'ulteriore violazione degli artt. 235 e 244 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ponendo in evidenza la singolarità del caso esaminato, nel quale vi sarebbe la conoscenza, a partire dalla primavera del (omissis), della "non paternità", ma mancherebbero le prove circa le modalità del concepimento, compreso l'adulterio allegato dal Dott. B.. 3 IL primo motivo è infondato. Deve premettersi che la violazione dell'art. 112 c.p.c., con riferimento al vizio di omessa pronuncia, non può sussistere qualora la decisione, anche implicitamente, abbia esaminato la domanda della parte, pronunciando una statuizione che ne implichi il rigetto (Cass., 4 ottobre 2011, n ; Cass., 10 maggio 2007, n ; Cass., 21 luglio 2006, n ). Nel caso in esame, la corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, all'esito di un esame approfondito delle risultanze processuali, ha ribadito la validità dell'eccezione di decadenza sollevata dalla convenuta, in relazione all'esercizio dell'azione di disconoscimento entro un anno dalla conoscenza, da parte del Dott. B., della gravidanza conseguente a fecondazione artificiale eterologa: in tal modo, ha categoricamente escluso che nella vicenda potesse assumere rilievo l'ipotesi dell'adulterio, in relazione al quale, per altro, non risultava dedotta alcuna prova significativa, se non, come fatto determinativo della relativa certezza, la certificazione di una propria "scarsissima fertilità", alla quale, secondo i giudici del merito, dopo vari tentativi di procreazione posti in essere in epoca precedente alla nascita della figlia, non potevano di certo attribuirsi i caratteri della novità. Per altro verso, il motivo in esame presenta profili di inammissibilità, laddove afferma che "una volta esclusa l'inseminazione artificiale

11 eterologa dal novero delle concrete modalità di concepimento di G., sul tappeto non restava che l'adulterio della moglie". Ed invero non viene colta la ratio della decisione, che proprio su detta inseminazione si fonda, a tacere del fatto che, una volta esclusa tale ipotesi di concepimento, non essendo escludibile a priori la paternità naturale del padre legittimo, non risultato totalmente affetto da impotentia generandi, l'ipotesi dell'adulterio non costituiva l'unica alternativa sul piano logico, ma un presupposto dell'azione che il Dott. B. avrebbe dovuto non soltanto allegare, ma, soprattutto, dimostrare (Cass., 2 luglio 2010, n ; Cass., 10 aprile 2012, n. 5653). 4 Il secondo e il terzo motivo possono essere congiuntamente esaminati, in quanto relativi a questioni fra loro intimamente connesse. Da un lato, invero, si propone una rilettura, in chiave critica, delle risultanze processuali, rimarcandosi la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, dall'altro si pone in evidenza una peculiarità della vicenda, vale a dire la conoscenza secondo la ricostruzione operata dalla corte territoriale della "non paternità", a partire dalla primavera del 2005, ovvero in un momento rispetto al quale l'azione sarebbe stata proposta oltre il termine annuale, avulsa dall'acquisizione della consapevolezza dell'adulterio. 5 Vale bene prendere le mosse dalle circostanze di fatto accertate dalla corte di merito e poste alla base della pronuncia di decadenza dall'azione di disconoscimento: la sentenza di secondo grado è incentrata sulla verifica, effettuata con esito positivo, dell'ipotesi della conoscenza da parte del Dott. B. della fecondazione artificiale eterologa in epoca successiva alla nascita ((omissis)), tanto da rivelarlo al suocero e da interrompere completamente, di lì a poco, il suo rapporto, precedentemente amorevole, con la bambina. Trattasi di questione riservata, per l'appunto, al giudice del merito, nel caso di specie condotta con estremo rigore e supportata da idonea motivazione, fondata su un esame critico delle risultanze processuali e dell'attendibilità delle testimonianze, con particolare riferimento a quella resa dal C., convalidata in maniera significativa dalle dichiarazioni rese dal medico curante, Dott. Sc.Gi.. Deve in proposito richiamarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire

12 il risultato ricostruttivo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, (Cass. n /10, in motivazione; Cass., n. 5797/05; Cass., n. 5693/04). Del resto, i vizi motivazionali per i quali è consentito il ricorso per cassazione non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 6064/08; nonché Cass. n /08 e 21062/09, in motivazione). 5.1 Una volta privilegiata la versione, ritenuta maggiormente attendibile, della conoscenza certa in capo al Dott. B. del fatto che "G. era nata da inseminazione eterologa e che non era sua figlia", non esiste alcuna contraddizione logica nella svalutazione delle deposizioni delle testi L. ed O., le quali, avendo riferito di aver appreso delle voci inerenti alla nascita di G. a seguito di inseminazione artificiale nel novembre del 2006, avevano evidentemente propalato circostanza già nota, e da tempo (quanto meno anteriormente al concitato incontro con il suocero, durante il quale si legge nell'impugnata decisione, l'agitazione del Dott. B. "rendeva verosimile che la circostanza fosse stata da lui appresa non fin dalla nascita della bambina, ma solo da poco tempo prima"). La Corte di appello, del resto, a conforto dell'irrilevanza delle deposizioni O. e L., ha evidenziato che il ricorrente, come da lui stesso affermato, si sarebbe rivolto a uno specialista, per una valutazione della sua fertilità, in epoca anteriore rispetto a quella in cui l'o. avrebbe riferito detta circostanza alla persona inspiegabilmente non indicata come testimone da cui il ricorrente l'avrebbe, secondo la propria versione, appresa. 6 Sulla base di tale ricostruzione la verifica della fondatezza della decisione impugnata implica la soluzione della questione, riproposta dalla difesa del ricorrente anche nell'odierna discussione, di una decadenza non collegata, se non in maniera indistinta, a una delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 235 c.c.. Sotto tale profilo deve osservarsi che il dispositivo della sentenza scrutinata appare meritevole

13 di conferma, dovendosi integrare la motivazione, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., nei seguenti termini. 6.1 Com'è noto, il tema della possibilità di esperire l'azione di disconoscimento della paternità a seguito di inseminazione artificiale eterologa in epoca non recente fu oggetto di un vivace dibattito sia in giurisprudenza che in dottrina. Il Tribunale di Cremona, con sentenza in data 17 febbraio 1994, accoglieva la domanda di disconoscimento paterno relativa a una filiazione determinata, col consenso dell'attore, mediante inseminazione artificiale eterologa, ribadendo il principio già affermato dal Tribunale di Roma in data 19 aprile 1956 secondo cui "il vigente ordinamento (salvo l'istituto speciale della adozione) non contempla alcun rapporto giuridico di filiazione che sia svincolato dal presupposto di un corrispondente rapporto biologico di sangue, con la conseguenza che solo la diretta derivazione genetica (costituente il fondamento stesso della presunzione di paternità di cui all'art. 231 c.c.) e non anche il semplice consenso (consensus non facit filios) è idonea a costituire un vero e proprio rapporto giuridico di filiazione". La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 10 maggio 14 giugno 1995, condivideva le statuizioni del Tribunale, osservando, fra l'altro, che la disciplina dell'inseminazione artificiale eterologa va desunta dai principi della filiazione, non da quelli dell'adozione, integrando un atto procreativo in senso proprio, ancorché disancorato da effettivo e fisiologico rapporto fra uomo e donna,e che la decisione congiunta dei coniugi di ricorrere a tale pratica medico chirurgica, per avere un figlio avvalendosi del seme messo a disposizione da un donatore anonimo, non è assimilabile all'accordo diretto ad adottare un minore in stato d'abbandono, e, quindi, non giustifica l'utilizzazione delle regole proprie dell'adozione cosiddetta legittimante. Ritenuta, quindi, sussistente la facoltà del marito, in condizione d'impotenza, di disconoscere come figlio il bambino generato dalla moglie con detto apporto esterno in base al disposto dell'art. 235 primo comma n. 2 c.c., corrispondente a un'esigenza di prevalenza del favor veritatis sul favor legitimitatis, si affermava che il consenso del marito alla fecondazione artificiale della moglie non costituisce fatto impeditivo del successivo disconoscimento, dato che sono indisponibili le azioni attinenti allo stato della persona, e che dunque il diritto di

14 chiedere il disconoscimento stesso (del resto spettante anche alla madre ed al figlio) non può venir meno in relazione a pregressi comportamenti di tipo abdicativo. 6.2 Con sentenza del 26 settembre 1998, n. 347, la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile la questione di legittimità dell'art. 235 c.c. (nella parte in cui non preclude l'azione per il disconoscimento di paternità al padre legittimo, che abbia prestato il proprio consenso all'inseminazione artificiale eterologa della moglie, in riferimento agli art. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost.), sollevata dal Tribunale di Napoli con ordinanza del 2 aprile Premesso che la norma di cui all'art. 235, primo comma, n. 2, c.c. "riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della paternità in tassative ipotesi, quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere che la gravidanza sia riconducibile, in violazione del dovere di reciproca fedeltà, ad un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge", e precisato che la possibilità di estendere detta disposizione ad ipotesi nuove, non previste al tempo della sua approvazione, non era da escludersi in generale, si affermava "l'estraneità della fattispecie oggetto del giudizio alla disciplina censurata", ponendosi in evidenza la preminenza delle garanzie per il nuovo nato, non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima in base all'art. 2 Cost. ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare. Si concludeva rilevando che l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore, precisandosi che, in una situazione di carenza legislativa, "spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali". 6.1 Questa Corte, accogliendo i ricorsi proposti avverso la menzionata sentenza della Corte di appello di Brescia, avendo in precedenza disposto un rinvio proprio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, con decisione n del 16 marzo 1999, escludeva la diretta riferibilità della normativa del disconoscimento di paternità ex art. 235 c.c. al caso d'inseminazione artificiale, e, pronunciando nel merito, respingeva la domanda di disconoscimento. In particolare, veniva affermata

15 l'estraneità della procreazione assistita alla nozione di adulterio, osservandosi che, al momento della formulazione della norma codicistica, la procreazione esigeva indefettibilmente la congiunzione carnale fra uomo e donna. Si aggiungeva che, poiché alla data della riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151), era già stata "scoperta" ed era in atto la fecondazione dell'ovulo della donna in forma assistita, senza rapporto sessuale, con intervento chirurgico costituito dall'introduzione di seme maschile, nella duplice forma dell'inseminazione omologa od eterologa, il legislatore, nel riscrivere l'art. 235 c.c., non era andato oltre una revisione terminologica mantenendo ferma, nella sostanza, l'originaria elencazione tassativa, nella quale l'inseminazione artificiale non poteva essere ricondotta, non costituendo adulterio della moglie (bensì l'espressione di un progetto di maternità basato proprio sul rifiuto di ricorrere all'infedeltà coniugale per procreare), né potendo la relativa scelta attribuirsi necessariamente all'incapacità del marito, essendo riferibile anche a ragioni diverse, quali l'età o le condizioni di salute del coniuge stesso, con i connessi rischi di trasmissioni genetiche sfavorevoli. Si escludeva, per altro, che l'inseminazione eterologa potesse ricondursi nell'ambito del disconoscimento per impotenza, sulla scorta di un'interpretazione estensiva o di un'applicazione analogica di detto n. 2 del primo comma dell'art. 235 c.c. oltre i casi e spressamente regolati, rilevandosi che, con riferimento all'ipotesi esaminata di inseminazione concordata dai coniugi, avessero valenza ostativa la natura costitutiva dell'azione di disconoscimento, la consistenza degli interessi alla cui protezione essa è rivolta, i precetti degli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione, nonché i canoni generali dell'ordinamento sul dovere di lealtà nei rapporti intersoggettivi. Quanto al primo aspetto, si osservava che l'azione di accertamento costitutivo, in assenza di una diversa (ed eccezionale) previsione, non può spettare proprio al soggetto che abbia posto in essere o concorso a porre in essere, con atti o comportamenti non vietati dalla legge, la situazione giuridica per la cui modificazione è apprestata. Quanto al secondo profilo, si osservava che il ristretto ambito di titolarità dell'azione, coordinato con la tassatività dei casi in cui è esercitabile e con i brevi termini di decadenza all'uopo stabiliti (art. 244 c.c.), indicherebbe che la preferenza e prevalenza della realtà sulla presunzione non sono incondizionate, non rispondono ad un'esigenza pubblicistica, ma mirano a difendere esclusivamente le posizioni di quei soggetti, ai quali soltanto è demandata la valutazione comparativa delle due situazioni in conflitto e la decisione di optare per l'una o l'altra, facendo emergere la verità, ovvero mantenendo la fictio iuris della paternità presunta, precisandosi che "un successivo ripensamento, a prescindere da

16 apprezzamenti di ordine etico, difetta della ratio su cui si fonda l'azione di disconoscimento, perché rinnega una scelta già espressa con l'assunzione di una paternità presunta nonostante la piena contezza della sua non rispondenza alla paternità biologica". Si rilevava, infine, che le disposizioni costituzionali attinenti alla protezione dei diritti inviolabili della persona, ed in particolare del minore, nella società e nel nucleo familiare in cui si trovi collocato per scelta altrui, sono le linee guida che devono orientare, come considerato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 347 del 1998, non solo il legislatore ordinario, ove colmi la lacuna attualmente esistente nell'ordinamento in materia di fecondazione assistita, ma anche l'interprete in sede di "ricerca nel complessivo sistema normativo dell'esegesi idonea ad assicurare il rispetto della dignità della persona umana". A tale proposito si osservava che l'attribuzione dell'azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia a suo tempo prestato assenso alla fecondazione artificiale della moglie con seme altrui, priverebbe il bambino, nato anche per effetto di tale assenso, di una delle due figure genitoria li, e, quindi, del connesso apporto affettivo ed assistenziale, trasformandolo per atto del giudice in "figlio di nessun padre", stante l'insuperabile impossibilità di ricercare ed accertare la reale paternità a fronte del programmato impiego di seme di provenienza ignota. 7 A giudizio del Collegio dall'epoca in cui è intervenuta la pronuncia testé richiamata e il momento attuale sono intervenuti significativi mutamenti, sia nel clima culturale, sia in ambito giurisprudenziale, sia, infine, nel quadro normativo, tali da indurre a ritenere, almeno in parte soprattutto con riferimento al caso di specie, in cui il consenso all'inseminazione eterologa non risulta preventivamente prestato dal marito applicabile la disciplina contenuta nell'art. 235 c.c. a filiazioni scaturite da fecondazione artificiale. Per il vero, già nell'immediatezza dell'emanazione di detta decisione, attenta dottrina poneva in rilievo l'intreccio fra il tema delle lacune dell'ordinamento, ineliminabili in presenza di sopravvenienze, anche di natura tecnologica o scientifica nella realtà sociale, e il principio del "venire contra factum proprium",

17 sostanzialmente applicato da questa Corte, rilevandosi che sarebbe stato sufficiente ricorrere alla clausola generale di buona fede. Ulteriori argomenti venivano svolti circa la portata del brocardo, riguardante un fatto e non una manifestazione di volontà, nonché con riferimento al sistema delle presunzioni di cui all'art. 231 c.c., si poneva in evidenza l'esigenza di un dato normativo che, vietando in determinati casi, come nell'inseminazione artificiale di tipo eterologo, l'azione di disconoscimento, determinasse una presunzione di legittimità. Non mancava, per altro, chi poneva l'accento sulla sempre maggiore prevalenza accordata alla verità biologica, come poteva desumersi dall'ampliamento della sfera dei soggetti legittimati all'esercizio dell'azione di disconoscimento, ritenendo inapplicabile la presunzione derivante dall'art. 231 c.c. all'inseminazione artificiale. 7.1 Negli ultimi tempi si è constatata una tendenziale prevalenza del favor veritatis, anche con riferimento all'interesse della prole, come emerge, in maniera significativa, dalle pronunce del giudice delle leggi, nelle quali si ribadisce che la crescente considerazione del favor veritatis (la cui ricerca risulta agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall'elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini: sentenze n. 50 e n. 266 del 2006) non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell'interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico (C. Cost., sentenze n. 7 del 2012; n. 322 del 2011, n. 216 e n. 112 del 1997). 7.2 Per altro verso, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo non è orientata in senso sfavorevole alle modalità di fecondazione in esame, pur ricordando che "uno Stato può, fermo restando quanto disposto dall'articolo 8 della Convenzione, adottare una legislazione che regoli a spetti importanti della vita privata che non preveda un bilanciamento degli opposti interessi per ciascun caso specifico. Laddove tali importanti aspetti siano in gioco, l'adozione da parte del legislatore di norme di natura assoluta volte a promuovere la certezza del diritto non è incompatibile con l'articolo 8" (Grande Chambre, 3 novembre 2011, che ha

18 modificato l'orientamento espresso con la sentenza del 1 aprile 2010, H. e altro c. Austria). 7.2 La legge n. 40 del 2004, con la quale viene regolamentata la fecondazione medicalmente assistita, all'art. 4, comma 3, vieta espressamente "il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo", stabilendo, poi (art. 9, comma 1), che "qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'art. 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'art. 235, comma 1, nn. 1 e 2 c.c., né l'impugnazione di cui all'art. 263 dello stesso codice". Una lettura costituzionalmente orientata di tale dato normativo induce a ritenere che il legislatore abbia inteso stabilire un preciso limite al favor veritatis, determinando evidentemente una convergenza del favor legitimationis con il divieto di "venire contra factum proprium". In luogo di un divieto generalizzato di disconoscimento del figlio nato da inseminazione artificiale eterologa, si è introdotta una specifica eccezione in tema di legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 235 c.c., escludendola nelle sole ipotesi in cui, anche "per facta concludentia", sia desumibile il consenso del coniuge che tale azione intenda esperire al ricorso al più volte indicato metodo di fecondazione assistita. In tutte le ipotesi non contemplate dalla norma derogatrice in esame, quelle nelle quali difetti l'elemento ostativo alla legittimazione costituito dal consenso preventivo alla fecondazione eterologa, l'azione di disconoscimento deve ritenersi ammissibile. In altri termini, il quadro normativo, a seguito dell'introduzione della legge n. 40 del 2004, per come formulata e per come interpretabile alla luce delle sempre più

19 incisiva affermazione del principio del favor veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi, per certi versi tipica, di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dall'art. 235 c.c., e che si fonda stante la non piena assimilabilità dell'inseminazione artificiale alle previsioni di tale norma, come evidenziato da questa Corte con la richiamata decisione n del 1999 sulla esigenza, sopra evidenziata e sempre più avvertita, di affermare la primazia del favor veritatis. Tale soluzione, a ben vedere, si colloca sotto il profilo soggettivo nell'ambito dell'ampliamento della sfera delle persone legittimate all'esercizio dell'azione di disconoscimento, nel senso che, una volta escluso il principio dell'incompatibilità fra fecondazione artificiale e disconoscimento, non sembra possano sussistere limiti per l'esercizio di tale azione da parte del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un interesse alla verità biologica che, per le ragioni indicate, deve considerarsi meritevole di tutela. 8 L'integrazione, nei termini sopra indicati, delle ipotesi previste dall'art. 235 c.c., non può non raccordarsi, stante l'identità della ratio e, comunque, per evidenti ragioni sistematiche, alle ipotesi di decadenza previste dall'art. 244 c.c., con riferimento soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui non risulti un consenso preventivo del coniuge all'inseminazione al momento in cui si sia acquisita la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione. La Corte territoriale, sotto tale profilo, ha ben messo in evidenza, con motivazione esente da censure, come nella primavera dell'anno 2005 il Dott. B. avesse già acquisito la certezza della nascita della figlia a seguito di inseminazione artificiale di tipo eterologo, ragion per cui, essendosi l'azione esercita nel gennaio dell'anno 2007, correttamente è stata rilevata la decadenza per decorso del termine annuale. 8 Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ricorrendo giusti motivi, avuto riguardo alla complessità dei temi e all'assenza di precedenti nel senso della decisione adottata, per l'integrale compensazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

20 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità.

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