Tutela del minore, principi e garanzie processuali in cinque importanti sentenze della Cassazione

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1 Tutela del minore, principi e garanzie processuali in cinque importanti sentenze della Cassazione Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n Cass. civ. Sez. I, 21 novembre 2014, n Cass. civ. Sez. I, 4 dicembre 2014, n Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre n Cass. civ. Sez. I, 12 dicembre 2014, n I. Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n Le pratiche di maternità surrogata sono vietate e contrastano con l ordine pubblico II. Cass. civ. Sez. I, 21 novembre 2014, n Nei procedimenti di autorizzazione al riconoscimento tardivo il minore è parte è deve essere obbligatoriamente ascoltato III. Cass. civ. Sez. I, 4 dicembre 2014, n La notifica della sentenza di adottabilità ai fini del termine di impugnazione non può essere surrogata dalla comunicazione a cura della cancelleria della sentenza ancorché nel testo per intero IV. Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre n L attribuzione del cognome del genitore che effettua il riconoscimento tardivo è facoltativa e la decisione del giudice deve basarsi sull interesse del figlio al cognome che più ne connota la sua identità personale. V. Cass. civ. Sez. I, 12 dicembre 2014, n La costituzione del fondo patrimoniale anche quando effettuata nell interesse dei figli minori non costituisce un atto dovuto ed è suscettibile di revocatoria I Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n [Presidente Luccioli, Relatore Giancola] Le pratiche di maternità surrogata sono vietate e contrastano con l ordine pubblico In materia genitoriale, l ordinamento italiano prevede che madre è colei che partorisce, vietando, all art. 12, comma 6della legge n. 40 del 2004, la surrogazione della maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presti ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un altra donna. Detto divieto non è travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell analogo divieto di fecondazione eterologa, di cui all art. 4, comma 3 della medesima legge, pronunciata dalla corte Costituzionale con la recente sentenza n. 162 del Il divieto di pratiche di surrogazione, penalmente sanzionato, è ispirato dal rispetto dell ordine pubblico, venendo in rilievo la dignità umana della gestante e l istituto dell adozione con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, l ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato. 1

2 Svolgimento del processo Con ricorso del 20 gennaio 2012 il pubblico ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia chiese dichiararsi lo stato di adottabilità del minore P.C., nato in (OMISSIS), figlio dei coniugi sig. P.D. e sig.ra Pa. An.. Riferì che questi ultimi erano sottoposti a procedimento penale per il delitto di alterazione di stato, sospettandosi la non veridicità della loro dichiarazione di nascita, in quanto la sig.ra Pa. aveva subito un intervento di isterectomia nel 2010 e il sig. P. era affetto da oligo- spermia. Con decreto del 31 gennaio 2012 il Tribunale, comunicata la richiesta del PM ai coniugi P., nominò un curatore speciale per il minore e affidò quest ultimo ai servizi sociali con collocazione presso gli apparenti genitori. Costituitisi, i coniugi P. dichiararono che la sig.ra Pa. non era in realtà madre biologica del piccolo C., il quale era stato generato grazie a surrogazione di maternità conformemente alla legge ucraina, che consente tale pratica. Il Tribunale, accertato mediante consulenza tecnica di ufficio che anche il sig. P. non era padre biologico del minore, dichiarò lo stato di adottabilità di quest ultimo, dispose il collocamento del medesimo presso una coppia da scegliersi tra quelle in lista per l adozione nazionale, sospese i coniugi P. dall esercizio della potestà di genitori e nominò un tutore. Motivò osservando: che oggetto del giudizio era accertare se coloro che risultavano, dalla dichiarazione di nascita, genitori biologici del neonato fossero effettivamente tali; che dagli accertamenti effettuati era risultato che P. D. e Pa.An. non erano genitori biologici del minore; che la pratica della maternità surrogata, così come la fecondazione eterologa, in Italia è vietata dalla L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14; che la legge ucraina consente tale pratica a condizione che gli ovociti non appartengano alla donna che esegue la gestazione e che almeno il 50 % del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente, onde il contratto di surrogazione di maternità concluso dai P. con la gestante era nullo anche secondo la legge ucraina; che conseguentemente la denuncia della filiazione era avvenuta in frode alla disciplina dell adozione; che sia il sig. P. sia la sig.ra Pa. avevano da tempo superato l età in cui è consentita l adozione di un neonato, e inoltre per tre volte erano state in precedenza respinte loro domande di adozione per grosse difficoltà nella elaborazione di una sana genitorialità adottiva. La Corte di Brescia ha poi respinto l appello dei coniugi P. osservando: che, essendo pacifico che neppure il sig. P. è padre biologico del piccolo C., era stata violata anche la legge ucraina sulla maternità surrogata, la quale ammette tale pratica solo a condizione che almeno il 50 % del patrimonio genetico del nascituro appartenga alla coppia genitoriale committente, e dunque era irrilevante l allegazione, da parte degli appellanti, della liceità, secondo la legge ucraina, della donazione di ovociti nella fecondazione extracorporale (eseguita nell ambito della surrogazione di maternità); che il certificato di nascita ucraino, benché debitamente apostillato, non poteva essere riconosciuto in Italia ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 65, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, essendo contrario all ordine pubblico, atteso che la L. n. 40 del 2004, cit., vieta qualsiasi forma di surrogazione di maternità e la stessa fecondazione eterologa; che pertanto veniva a mancare in capo al minore lo status di figlio legittimo degli appellanti, e da ciò conseguiva de plano l accertamento della situazione di abbandono - e dunque lo stato di adottabilità - del minore stesso ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8, dato che il bambino, nato in Ucraina ed accudito dai P., non era assistito dai genitori o da altri parenti; che il predetto accertamento costituiva l unico oggetto del procedimento in corso, onde erano inammissibili le deduzioni degli appellanti circa la loro idoneità genitoriale e la violazione del diritto del minore a rimanere nella famiglia che lo aveva accolto sin dalla nascita, nonché la reiterazione dell istanza di affido provvisorio in attesa dell esito della domanda di adozione proposta ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. a); che, in ogni caso, l allontanamento del minore dal nucleo familiare degli appellanti era giustificato dal comportamento di questi ultimi, i quali avevano volontariamente eluso la legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita e avevano falsamente dichiarato di essere i suoi genitori naturali. I coniugi P. hanno proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi di censura. Il tutore ha resistito con controricorso. Anche il curatore speciale ha presentato controricorso a seguito dell integrazione del contraddittorio nei suoi confronti disposta da questa Corte. I ricorrenti hanno anche presentato memorie. Motivi della decisione 3. - Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 218 del 1995, art. 16, dell art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 2

3 27 maggio 1991, n. 176, e dell art. 23 Reg. CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003r nonché vizio di motivazione. Viene censurata la statuizione di contrarietà all ordine pubblico del certificato di nascita ucraino del piccolo C., lamentando che essa sia motivata con il semplice richiamo al divieto di surrogazione di maternità e di fecondazione eterologa previsto dalla L. n. 40 del Ad avviso dei ricorrenti, invece, la valenza probatoria del predetto certificato potrebbe essere esclusa solo ove si riscontrasse nella normativa ucraina che disciplina l accertamento del rapporto di filiazione in quel paese una incompatibilità con le norme di ordine pubblico italiane ai sensi della L. n. 218, cit., art. 16, ovvero del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 7 (rectius, art. 18), sull ordinamento dello stato civile. E l ordine pubblico, essi aggiungono, non coincide con il c.d. ordine pubblico interno, cioè con qualsiasi norma inderogabile dell ordinamento italiano, bensì con l ordine pubblico internazionale, costituito dai soli principi fondamentali caratterizzanti l atteggiamento etico-giuridico dell ordinamento in un determinato periodo storico; sicchè occorre individuare i valori condivisi dalla comunità internazionale armonizzandoli con il sistema interno. In quest ottica, non è dunque sufficiente avere individuato la violazione del divieto di cui alla L. n. 40 del 2004, ma occorre tener conto delle dichiarazioni e convenzioni internazionali ispirate alla protezione dei minori, in primis la Convenzione ONU sopra richiamata, art. 3, secondo cui l interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente, nonchè l analoga previsione del richiamato reg. CE, art. 23; senza trascurare, inoltre, i principi sanciti dall art. 31 Cost. in tema di protezione dell infanzia, in forza dei quali deve ritenersi che, a prescindere dalla nullità dei contratti di maternità surrogata prevista dalla L. n. 40 del 2004, una volta che un tale contratto abbia avuto esecuzione ed il bambino sia nato e sia stato immediatamente accolto dalla coppia committente, ciò che conta è assicurare che egli conservi gli stessi genitori che ha avuto sin dalla nascita. Insomma, il superiore interesse del minore (...) costituisce il parametro ed il principio di ordine pubblico internazionale a cui conformare ogni decisione, e nella specie il piccolo C. era stato amorevolmente atteso ed accudito dai coniugi P., fino a quando non è stato loro brutalmente sottratto, con trauma indelebile, nel mero perseguimento della punizione dei coniugi P., colpevoli di avere eluso la legge italiana Il motivo è infondato. E certamente esatto che l ordine pubblico non si identifica con le semplici norme imperative, bensì con i principi fondamentali che caratterizzano l ordinamento giuridico; è invece inesatto che tali principi si identifichino, come sostengono i ricorrenti, con i valori condivisi della comunità internazionale che il prudente apprezzamento del Giudice non può trascurare, armonizzandoli con il sistema interno. L ordine pubblico internazionale, infatti, è il limite che l ordinamento nazionale pone all ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna; dunque non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili. E peraltro evidente che, nella individuazione di tali principi, l ordinamento nazionale va considerato nella sua completezza, ossia includendovi principi, regole ed obblighi di origine internazionale o sovranazionale. Tanto premesso, va osservato che l ordinamento italiano - per il quale madre è colei che partorisce (art. 269 c.c., comma 3) - contiene, alla L. n. 40 del 2004, cit., art. 12, comma 6, un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un altra donna; divieto non travolto dalla declaratoria d illegittimità costituzionale parziale dell analogo divieto di fecondazione eterologa, di cui all art. 4, comma 3, della medesima legge, pronunciata dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 162 del 2014 (nella quale viene espressamente chiarito come la prima delle due disposizioni sopra indicate non sia in nessun modo e in nessun punto incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia ). Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali. Vengono qui in rilievo la dignità umana - costituzionalmente tutelata - della gestante e l istituto dell adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato. Le aperture, registrate in dottrina, verso alcune forme di maternità surrogata solitamente non riguardano la surrogazione eterologa, quella cioè realizzata mediante ovociti non appartenenti alla donna committente, che è priva perciò anche di legame genetico con il nato, com è pacifico nel caso in esame; né tantomeno riguardano le ipotesi in cui neppure il gamete maschile appartiene alla coppia committente, come nella specie è risultato all esito degli accertamenti disposti dal Tribunale. E nemmeno rileva qui domandarsi se siano configurabili (e come reagiscano, eventualmente, sul divieto penale di surrogazione di maternità ora previsto dalla legge), fattispecie di maternità surrogata caratterizzate da intenti di pura solidarietà e perciò tali da escludere qualsiasi lesione della dignità della madre surrogata, come pure in dottrina si è sostenuto, inerendo interrogativi siffatti a problematiche non attinenti alla fattispecie in esame. 3

4 Neppure può sostenersi che il divieto in discussione si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, da considerare preminente in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi ai sensi dell art. 3 della Convenzione di New York richiamata nel ricorso. Il legislatore italiano, invero, ha considerato, non irragionevolmente, che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando, come detto, all istituto dell adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. E si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto. Il richiamo, poi, pure fatto dai ricorrenti, all art. 23 reg. CE n. 2201/2003 (che consente il non riconoscimento di decisioni straniere relative alla responsabilità genitoriale se, tenuto conto dell interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all ordine pubblico dello Stato membro richiesto ) è fuori luogo, riguardando detto regolamento le decisioni giudiziarie, mentre nella specie viene in considerazione un atto amministrativo (il certificato di nascita ucraino del piccolo C., sul quale i ricorrenti basano il loro rapporto di filiazione). Inoltre lo stesso regolamento esclude espressamente dal proprio campo di applicazione le decisioni relative alla determinazione o all impugnazione della filiazione e all adozione, alle misure che la preparano o all annullamento o alla revoca dell adozione (art. 1, par. 3, lett. a) e b). Né, infine, è esatta l affermazione, contenuta nella seconda memoria depositata dai ricorrenti ai sensi dell art. 378 c.p.c., secondo cui la Corte Europea dei Diritti dell Uomo, Quinta Sezione, avrebbe, nelle sentenze gemelle emesse il 26 giugno 2014 nei confronti della Francia sui ricorsi n /11 (Mennesson c. Francia) e n /11 (Labassee c. Francia), affermato il diritto del nato mediante surrogazione di maternità ad essere riconosciuto come figlio legittimo della coppia committente. Vero è, invece, che in dette sentenze la Corte ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento discrezionale ai singoli Stati sul tema della maternità surrogata, in considerazione dei delicati interrogativi di ordine etico posti da tale pratica, disciplinata in maniera diversa nell ambito dei paesi membri del Consiglio d Europa, e ha ravvisato il superamento di detto margine nel difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre committente allorché quest ultimo sia anche padre biologico (difetto di riconoscimento che, rileva la Corte, viola il diritto al rispetto della vita privata del figlio, ai sensi dell art. 8 della Convenzione, comprendente il diritto all identità personale sotto il profilo del legame di filiazione) Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna dei ricorrenti alle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese processuali in favore del tutore di P.C., liquidate in Euro 3.200,00, di cui e 3.000,00 per compensi di avvocato, oltre spese forfettarie ed accessori di legge, nonchè in favore dell Amministrazione Finanziaria dello Stato quanto alle spese processuali del curatore del medesimo P.C., da liquidarsi a cura della Corte d appello di Brescia. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, il 26 settembre Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2014 II Cass. civ. Sez. I, 21 novembre 2014, n [Presidente Vitrone, Relatore Campanile] Nei procedimenti di autorizzazione al riconoscimento tardivo il minore è parte è deve essere obbligatoriamente ascoltato In tema di riconoscimento dei figli naturali, nel procedimento di cui all art. 250, comma 4, c.c., l audizione obbligatoria del minore infrasedicenne trova il suo ineludibile fondamento non già in ragione di mere esigenze istruttorie, bensì nella stessa qualità di parte da riconoscere al minore medesimo. 4

5 Svolgimento del processo 1 - Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da M.M. nei confronti di B.A.H. avverso la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma con la quale costei era stata autorizzata, ai sensi dell art. 250 c.c., comma 4, ad effettuare il riconoscimento, posto in essere per primo dall appellante, della figlia minore M.G È stato posto in evidenza l interesse della predetta minore al riconoscimento, sottolineandosi l importanza di due figure genitoriali di riferimento e osservando che i rilievi del M. circa la personalità della B.A. non erano condivisibili, in quanto la stessa - pur avendo convissuto con un cittadino libico sospettato di aver compiuto un attentato terroristico in (OMISSIS) - risultava esente da precedenti penali e giudiziari. Inoltre alcuni comportamenti, definiti maldestri, inerenti al tentativo della madre di avvicinare la bambina, erano da inquadrare nella necessità dell elaborazione, in seguito, di un piano di recupero della capacità genitoriale Per la cassazione di tale decisione il M. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui la B.A. resiste con controricorso. Motivi della decisione 2 - Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell art. 250 cod. civ., in relazione all omessa audizione della minore, ancorché richiesta sia in primo grado, sia con l atto di appello La seconda censura prospetta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi della controversia, con riferimento sia alla situazione di pericolo derivante dal coinvolgimento della B.A. in situazioni delicate, tali da farla sottoporre a un programma di protezione, sia all incapacità genitoriale della stessa, da desumersi dalle lunghe e ingiustificate assenze, sia, infine, al rigetto di specifiche istanze istruttorie Con il terzo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 250 e 2697 cod. civ., avendo la corte territoriale omesso di considerare i benefici del secondo riconoscimento, non in astratto, ma in relazione allo specifico interesse della minore nel caso concreto, sulla base dell assolvimento, nella specie carente, di un preciso onere probatorio da parte della madre Si rappresenta, infine, l estraneità al procedimento previsto dall art. 250 cod. civ. dei provvedimenti intesi a regolare i rapporti fra la madre e la figlia, adottati dal giudice di primo grado e confermati dalla Corte di appello. 3 - Il primo motivo è fondato Questa Corte ha già affermato, anche a Sezioni unite, il valore fondamentale del principio dell ascolto del minore, sancito nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, art. 12, riferito ad ogni procedura giudiziaria o amministrativa in quella di Strasburgo del 1996, art. 6, nell art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione Europea, e recepito, quindi, nell art. 155-sexies c.c., introdotto con la L. 8 febbraio 2006, n. 54. In particolare, è stato rilevato che l audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n e 18 marzo 2006 n. 6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (la citata Cass. n del 2007) (Cass. Sez. un., 21 ottobre 2009, n ) L operatività, in linea generale, del principio comporta l insussistenza della necessità di motivare specificamente le ragioni della disposta audizione del minore; per converso, si ritiene che il giudice, nelle ipotesi in cui ravvisi di escludere l ascolto, vale a dire solo quando esso sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori del fanciullo stesso (Cass., 26 aprile 2007, n. 9094; Cass., 11 agosto 2011, n ), sia tenuto a fornire adeguata giustificazione L imprescindibilità dell audizione, nei termini sopra delineati, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti sostanziali del procedimento (cfr. la citata Cass., n del 2009), ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto. Naturalmente le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi (v. anche Cedu 9 agosto 2006, in ric. n /02): al riguardo si ritiene sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore (Cass., 17 maggio 2012, n. 7773). 4 - Per completezza di esposizione mette conto di precisare che con la L. n. 219 del 2012, mediante l introduzione dell art. 315-bis c.c., applicabile ratione temporis, il diritto del minore di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano è stato ribadito in via generale, e che, con il D.Lgs. n. 154 del 2013, il principio in esame ha trovato ulteriori esplicazioni ed articolazioni nelle specifiche procedure riguardanti i minori (art. 336 c.c., comma 2; art. 336-bis c.c.; art. 337-octies c.c.). 5

6 5 - Per quanto riguarda, poi, il procedimento di cui all art. 250 c.c., comma 4, sussistono specifiche ed ancora più pregnanti ragioni che impongono l ascolto del minore L obbligatorietà dell audizione del minore infrasedicenne (ora infraquattordicenne) nel procedimento di cui all art. 250 c.c., comma 4, è sempre stata riconosciuta da questa Corte sul rilievo che, pur non assumendo il minore la qualità di parte del procedimento, la legge impone che sia sentito - sempre che non ne sia incapace per ragioni di età o per altre cause, da indicare nella motivazione del provvedimento - a fini istruttori, in vista dell accertamento della rispondenza al suo interesse dell opposizione al riconoscimento dell altro genitore (ex multis Cass. 6660/1981, 2654/1987, 6093/1990, 6470/2001, 21359/2004, 395/2006) Più recentemente, tuttavia, la Corte costituzionale, nell escludere l incostituzionalità dell art. 250 c.c., comma 4, per la omessa previsione della necessità della nomina di un curatore speciale del minore - necessità normalmente negata da questa Corte sul fondamento della mancanza della qualità di parte in capo a quest ultimo (cfr. Cass. 6660/1981, 2654/1987, 6093/1990, 6470/2001) - ha affermato, al contrario, che al minore va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all art. 250 c.c., di regola rappresentata dal genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento, ma per la quale può essere nominato un curatore speciale, ai sensi della norma generale di cui all art. 78 c.p.c., tutte le volte in cui si profili in concreto un conflitto d interesse con il genitore rappresentante (sent. n. 83 del 2011, nonché ord. n. 301 dello stesso anno) Tale interpretazione, posta dal giudice delle leggi a fondamento dall esclusione dell illegittimità costituzionale della norma in questione, è già stata recepita da questa Corte con recenti pronunce (Cass., 13 aprile 2012, n. 5884; Cass., 24 dicembre 2013,n ), che hanno espresso un orientamento che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità. Deve invero ritenersi che la diversa giustificazione della già ritenuta obbligatorietà dell audizione del minore degli anni sedici nel giudizio di cui all art. 250 c.c., comma 4, non più radicata in mere esigenze istruttorie, bensì nella qualità di parte riconosciuta al minore stesso, renda il precetto in esame maggiormente ineludibile. Del resto, questa Corte aveva già affermato che l audizione del minore infrasedicenne, nella previsione dell art. 250 c.c., è considerata la prima fonte del convincimento del giudice ; di conseguenza deve essere disposta d ufficio e la sua omissione determina un vizio del procedimento (Cass., 9 novembre 2004, n ). Sotto tale profilo l eccezione di inammissibilità del motivo, fondata sulla mancata richiesta dell ascolto, non può essere condivisa. La giustificazione della disposizione in esame sulla base della richiamata pronuncia del giudice delle leggi costituisce altresì il portato, come avvertito da autorevole dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte, della priorità, nell ambito della sempre più affermata esigenza dell audizione del minore in tutti i procedimenti che lo riguardano (art. 315-bis c.c.), dell interesse del figlio minore che non abbia compiuto i sedici anni (ora quattordici), nel procedimento previsto dall art. 250 c.c., comma 4, al riconoscimento della paternità naturale, come complesso dei diritti che a lui derivano dal riconoscimento stesso, ed in particolare, del diritto all identità personale nella sua precisa ed integrale dimensione psico-fisica (Cass., 5 giugno 2009, n ). Non può omettersi di rilevare, d altra parte, come le Sezioni unite di questa Corte, in una nota pronuncia (Cass., 21 ottobre 2009, n ), abbiano posto in evidenza, in materia di affidamento, come costituisca violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto del minore, che non sia sorretto da espressa motivazione sull assenza di discernimento che ne può giustificare l omissione, in quanto lo stesso è portatore d interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale. 6 - Ha dunque errato la Corte d appello di Roma nell omettere di procedere all audizione senza indicare alcuna ragione di incapacità della minore a renderla. 7 - Le superiori considerazioni impongono di rilevare come l omessa audizione della minore M.G., nata nel (OMISSIS), e quindi certamente in grado di esprimere la propria volontà in merito alla questione sottoposta all esame del giudice del merito, abbia inficiato il procedimento, ragion per cui si impone - rimanendo assorbite le altre censure - la cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà sul reclamo all esito dell audizione della predetta minore, provvedendo altresì in ordine al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 6 giugno Depositato in Cancelleria il 21 novembre

7 III Cass. civ. Sez. I, 4 dicembre 2014, n [Presidente Forte, Relatore Genovese] La notifica della sentenza di adottabilità ai fini del termine di impugnazione non può essere surrogata dalla comunicazione a cura della cancelleria della sentenza ancorché nel testo per intero In tema di notificazioni disposte d ufficio dalla legge, con riferimento alla notifica d ufficio della sentenza della Corte d Appello Sezione minori, non è idonea a far decorrere - per la proposizione del ricorso per cassazione - il termine dimidiato di trenta giorni, di cui all ultimo comma dell art. 17 della legge adozioni n. 184 del 1983, la comunicazione della sentenza per posta elettronica certificata (PEC) effettuata dalla cancelleria del giudice, quand anche essa sia eseguita (anteriormente alla vigenza del nuovo testo dell art. 133 cod. proc. civ.) con l invio del testo dell intero provvedimento, ai sensi dell art. 45 disp. atto cod. proc. civ., atteso che la disposizione dell ultimo comma dell art. 17 della legge n. 184, menzionata, richiede espressamente l esecuzione formale della notifica senza che questa possa essere surrogata da una comunicazione (non importa se per estratto o per intero) della sentenza. Svolgimento del processo 1. Il Tribunale per i minorenni (d ora in avanti solo TM) di Torino ha dichiarato, con sentenza, lo stato di adottabilità del minore A.A. (nato il (OMISSIS) dal matrimonio fra A. M. e Ha.Fa.) ed ha disposto il suo inserimento in una famiglia affidataria, avente i requisiti per l adozione, sospendendo incontri e rapporti, di ogni tipo, con genitori e parenti del piccolo Avverso tale decisione hanno proposto appello le signore Ha.Fa., madre del minore, H.N. e H.F., zie materne, oltre che Ar.Am., zio paterno di A.. Secondo gli appellanti, il TM avrebbe errato nelle sue decisioni, a cominciare dalla violazione del contraddittorio nell esperimento della CTU, fino all esame delle sue risultanze ed al giudizio conclusivo circa lo stato di abbandono del bambino, per essere tutti gli zii disponibili all affidamento e non potendo costoro essere discriminati per la loro condizione di stranieri. Nel giudizio sono intervenuti il PG presso la Corte d Appello, il tutore provvisorio e il curatore speciale del minore. 2. La Corte d Appello (d ora in avanti solo CA) di Torino ha respinto il gravame. Per quanto ancora interessa in questa sede, la CA, anche in rapporto al materiale istruttorio raccolto (p. 12 sent. ), ha condiviso ogni giudizio dato dal TM, ed in particolare che: a) i genitori del minore A.A. sarebbero stati inadeguati allo svolgimento del loro ruolo; b) in particolare, la madre, signora Ha.Fa., pur essendo legata al figlio, avrebbe una personalità rigida ed essenziale, che si manifesterebbe in episodi di violenza o minaccia, e sarebbe priva delle risorse adeguate per assolvere il suo ruolo di madre del minore, incapace di dare sostegno affettivo, psicologico e materiale, al punto da incidere gravemente sulla personalità del minore e comprometterne lo sviluppo; c) il padre avrebbe riconosciuto la propria inadeguatezza e si sarebbe augurato che il figlio potesse trovare un ambiente più idoneo (p. 11 sent.); d) gli zii paterni, che pure potrebbero costituire una risorsa per il minore, non sarebbero in condizione di esserlo per l ostilità e le minacce della madre, esplicite e contrarie, in modo drastico e deciso, a tale possibilità; e) le zie materne, invece, non sarebbero neppure adeguate, per il giudizio acriticamente positivo dato sulla sorella come madre e per l incapacità di arginarne le interferenze, oltre che mancanti di rapporti significativi con il nipote. La CA ha rilevato che il minore, pur avendo avuto ben cinque inserimenti in diversi ambienti, avrebbe ora trovato, con la nuova famiglia affidataria, una idonea sistemazione, cosi come risulterebbe dalle relazioni di aggiornamento del nucleo adozioni, i quali descriverebbero il bambino come positivamente inserito nel nuovo nucleo familiare. Essa ha respinto le eccezioni di nullità della CTU svolta dal Tribunale in quanto la mancanza del CTP, tardivamente nominato dal nuovo difensore della genitrice, quando già erano in corso le operazioni peritali, era 7

8 stata surrogata dalla presenza del suo difensore, le cui obiezioni alle risultanze della CTU avrebbero avuto, però, natura marginale (essendo pienamente condivisibile la motivazione svolta e la metodologia adottata) e non potrebbero sostituirsi a valutazioni di esclusiva competenza tecnica con la conseguenza che le osservazioni depositate non possono essere equiparate, e prese in considerazione, come note di un consulente di parte (p. 6 sent.). 3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la signora Ha.Fa., madre del minore, affidato a cinque motivi, e le signore N.N. e F., zie materne, con ricorso forte di due mezzi di impugnazione. 4. La curatrice ed il tutore della minore resistono con controricorso. Motivi della decisione 4. Va esaminata l eccezione preliminare sollevata dalla tutrice del minore, nel suo controricorso Secondo la controricorrente, i ricorsi sarebbero tardivi (e andrebbero dichiarati inammissibili) in quanto notificati (il 21 novembre 2013) oltre il termine di trenta giorni, di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 17, calcolato dalla notifica della sentenza di appello (avvenuta il 21 maggio 2013) In particolare, mentre i ricorrenti affermano, nel loro ricorso, che la sentenza di appello sarebbe stata comunicata a mezzo PEC in data 21 maggio 2013 e non ancora notificata, la resistente sostiene che tale affermazione, vera in punto di fatto, avrebbe ben altro significato sotto il profilo giuridico, atteso che, per effetto della modifica dell art. 45 delle disposizioni di attuazione del c.p.c., la comunicazione elettronica del biglietto di cancelleria avrebbe comportato anche la conoscenza del testo integrale della sentenza impugnata, così trasformandosi la comunicazione in una vera e propria notificazione, ai sensi della Legge Adozioni n. 184 del 1983, art Del resto, dovendo le comunicazioni e le notificazioni, eseguite a cura della cancelleria, avvenire solo per via telematica, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, convertito nella L. n. 221 del 2012 (applicabile al caso), la sentenza della Corte d Appello era stata notificata a mezzo PEC, in quanto la comunicazione sarebbe avvenuta, in forma integrale, al difensore Di conseguenza, la notificazione del ricorso per cassazione, avvenuta solo il 21 novembre 2013, sarebbe tardiva (così come sarebbe inammissibile il ricorso). 5. L eccezione pone al Collegio un problema assai dibattuto nella prassi giudiziario - forense: quello della portata delle comunicazioni di cancelleria effettuate a mezzo della Posta elettronica certificata (PEC) e delle sue conseguenze giuridiche La tesi della resistente è questa: le prassi delle cancellerie (le quali comunicano il testo integrale del provvedimento, per ragioni di maggiore comodità e praticità: anziché estrarre i dati dal provvedimento, con la comunicazione, preferirebbero trasmettere l intero testo del provvedimento giudiziale, economizzando i tempi), consacrate anche dalla disposizione normativa (nella specie: l art. 45 disp. att. c.p.c., comma 2, secondo cui Il biglietto contiene in ogni caso l indicazione dell ufficio giudiziario, della sezione alla quale la causa è assegnata, dell istruttore se è nominato, del numero del ruolo generale sotto il quale l affare è iscritto e del ruolo dell istruttore, il nome delle parti ed il testo integrale del provvedimento comunicato ) avrebbero eliminato del tutto la differenza tra le comunicazioni e le notificazioni. Ricevendo una comunicazione, infatti, il suo destinatario conseguirebbe - in realtà - la vera e propria notificazione dello stesso provvedimento, specie quando questa ipotesi è stabilita dalla legge come obbligo del cancelliere, come nel caso in esame, dove è prevista dalla Legge Adozioni n. 184 del 1983, art. 17, u.c In effetti, secondo tale ultima disposizione, la notifica d ufficio della sentenza della Corte d Appello - Sezione minori - è idonea a far decorrere il termine dimidiato di trenta giorni, senza che tale limitazione temporale, quali che siano i motivi del ricorso, arrechi, nel giudizio di legittimità, alcun apprezzabile vulnus al diritto di difesa delle parti interessate, che sono perciò comunque tenute al suo rispetto, sicchè il ricorso in cassazione, proposto oltre detto termine, deve essere dichiarato inammissibile (da ultimo, Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n del 2012) Tuttavia, a complicare la soluzione del problema è il rilievo dell intervento del legislatore, per mezzo del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), il quale ha novellato l art. 133 c.p.c., che ora recita: Il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne da notizia alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all articolo 325. Risulta necessario, perciò, coordinare tale nuova regola con la previsione dell art. 45 disp. att. c.p.c., già citato (al p.5.1.). 8

9 5.4. Va prima di tutto osservato che, nel caso di specie, non è applicabile il ius superveniens, trattandosi di una comunicazione effettuata (precisamente, il 21 novembre 2013) prima dell intervento della nuova disciplina legislativa. Allora, infatti, era in vigore il solo nuovo testo dell art. 45 disp. att. c.p.c., il cui tenore è stato sopra richiamato (al p.5.1.) e che stabiliva le modalità di effettuazione delle comunicazioni telematiche da parte delle cancellerie. Tuttavia la nuova disposizione va presa in considerazione perchè offre un importante metro di interpretazione del complesso normativo considerato Vigente la sola previsione del nuovo testo dell art. 45 richiamato (e non anche quella dell art. 133 c.p.c.) deve escludersi che il nuovo tenore della disposizione di attuazione possa aver stabilito una efficacia così stringente alla comunicazione effettuata a mezzo PEC, da farla risultare - ove è previsto anche l obbligo di notificazione d ufficio - come una vera e propria notificazione. E ciò non solo perchè il legislatore è intervenuto successivamente, con il nuovo testo dell art. 133 c.p.c., per chiarire che tale comunicazione non poteva avere l efficacia della notificazione, almeno rispetto al decorso dei termini di impugnazione, ma anche perchè il processo civile telematico (PCT), nel cui ambito si inseriscono le comunicazioni mediante PEC, non era, a quella data, neppure generalizzato, rivestendo valore legale solo le attività autorizzate con riferimento a singoli uffici giudiziari (e nella specie non è neppure allegato se la Corte d Appello di Torino avesse ricevuto tale attribuzione). Non si capirebbe, allora, il perchè detto valore rafforzato dovrebbe aver addirittura preceduto una minore efficacia giuridica rispetto a quella attuale, quale è stata stabilita dal nuovo testo dell art. 133 c.p.c., dettato proprio quando il PCT ha ulteriormente progredito nella sua disciplina e nel suo accrescimento di rilievo giuridico Del resto, considerati i termini assai ristretti che la notificazione d ufficio della sentenza della Corte territoriale comporta per gli intimati e potenziali ricorrenti, ai sensi della Legge Adozioni n. 184 del 1983, art. 17, in una materia particolarmente delicata qual è quella dell adozione di minori, si comprende che, in generale, l accertamento della sua esistenza debba essere compiuto con particolare rigore, non potendosi - in mancanza di specifica prova - considerare una comunicazione di cancelleria come equipollente di una notificazione eseguita d ufficio Infatti, nella specie, la copia conforme della ricevuta di comunicazione telematica, rilasciata in data 6 dicembre 2013, prodotta dal difensore della resistente (doc. 4 del fascicolo per il giudizio di Cassazione), contiene solo un estratto dei dati della sentenza di appello e non anche la allegazione di copia del provvedimento nel suo testo integrale In conclusione, l eccezione deve essere respinta in ossequio al principio di diritto secondo cui, in tema di notificazioni disposte d ufficio dalla legge, con riferimento alla notifica d ufficio della sentenza della Corte d Appello - Sezione minori, non è idonea a far decorrere - per la proposizione del ricorso per cassazione - il termine dimidiato di trenta giorni, di cui alla Legge Adozioni n. 184 del 1983, art. 17, u.c., la comunicazione della sentenza per posta elettronica certificata (PEC) effettuata dalla cancelleria del giudice, quand anche essa sia eseguita (anteriormente alla vigenza del nuovo testo dell art. 133 cod. proc. civ.) con l invio del testo dell intero provvedimento, ai sensi dell art. 45 disp. att. c.p.c., atteso che la disposizione della L. n. 184, art. 17, u.c., menzionata, richiede espressamente l esecuzione formale della notifica senza che questa possa essere surrogata da una comunicazione (non importa se per estratto o per intero) della sentenza. P.Q.M. Riunisce i ricorsi e li respinge. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione, dando atto che non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 11 novembre Depositato in Cancelleria il 4 dicembre

10 IV Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre n [Presidente Luccioli, Relatore Campanile] L attribuzione del cognome del genitore che effettua il riconoscimento tardivo è facoltativa e la decisione del giudice deve basarsi sull interesse del figlio al cognome che più ne connota la sua identità personale. In materia di filiazione naturale, l attribuzione del cognome del genitore che effettua il secondo riconoscimento, anche in aggiunta al cognome del genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento del figlio, costituisce facoltà e non anche necessità. In ipotesi siffatte l esigenza preminente è quella di garantire l interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità. L organo giurisdizionale, pertanto, deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento del secondo genitore (specificamente il padre), ed è chiamato ad emettere un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero e prudente apprezzamento, nell ambito del quale assume rilievo centrale l interesse del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito. Tale statuizione, proprio in quanto connotata da ampia discrezionalità, è incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivata. Svolgimento del processo 1 - Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto da M.A. e D.N. A.L.L. avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni di Bari in data 10 gennaio 2013 con il quale era stato disposto che al loro figlio D.N.G., nato il (OMISSIS), riconosciuto dal padre nel luglio dell anno (OMIS- SIS), fosse attribuito, in aggiunta, il cognome paterno A giudizio della Corte territoriale, secondo la novellata disposizione contenuta nell art. 262 c.c., la richiesta delle parti aveva natura eccezionale, in quanto solo allorché l aggiunta o la sostituzione del cognome paterno arrechi al minore un concreto e comprovato pregiudizio, il giudice può escluderla. Nel caso di specie non sarebbero emerse controindicazioni all assunzione del cognome paterno, dovendosi anzi ritenere che da tale soluzione il minore avrebbe dovuto trarre vantaggio, considerato anche il valore, dal punto di vista sociale, della figura paterna Per la cassazione di tale provvedimento i signori D.N. e M. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La parte intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione 2 - Con il primo motivo, denunciandosi violazione dell art. 262 cod. civ., ai sensi dell art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che con la decisione in esame si sarebbe, da un lato, affermata una prevalenza del patronimico che non trova riscontro nel quadro normativo vigente e, dall altro, non si sarebbe tenuto conto del diritto del minore a conservare il matronimico, ormai assurto a segno distintivo dell identità personale Con il secondo mezzo la violazione della norma sopra indicata, nonché dell art. 155 cod. civ. viene prospettata sotto il profilo dell erroneità dell attribuzione al patronimico di un favor che non troverebbe riscontro né nella normativa di riferimento, nè nella prevalente giurisprudenza di legittimità Con la terza censura, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell art. 262 cod. civ., commi 2 e 3, in relazione agli artt. 2 e 22 Cost., si ribadisce che l interpretazione compiuta dalla Cote di appello, sostanzialmente incentrata sulla prevalenza del patronimico, contrasterebbe non solo con gli impegni assunti dal nostro Paese in sede sovranazionale, ma accorderebbe priorità a una visione dell attribuzione del cognome in funzione del collegamento con il nucleo familiare, in luogo del necessario riferimento all esigenza di preservare l identità personale, anche in funzione dell età del minore, il quale, per altro, così come entrambi i genitori, si era espresso per la conservazione del solo matronimico. 3- Il ricorso è infondato. 10

11 Al di là di alcuni profili di natura motivazionale, che debbono correggersi ai sensi dell art. 384 cod. proc. civ., e che possono individuarsi nell erroneo riferimento alla necessità, e non alla facoltà, di attribuire, anche in aggiunta, il cognome del genitore che effettua il secondo riconoscimento ed a qualsiasi richiamo a discipline diverse da quella prevista dall art. 262 cod. civ., la decisione impugnata deve ritenersi sostanzialmente corretta ed esente da vizi rilevabili in questa sede. 4 - Questa Corte, invero, ha affermato che poiché i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione esclusiva del suo interesse, che è essenzialmente quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, e poiché l art. 262 cod. civ. disciplina autonomamente e compiutamente la materia, la scelta del giudice non può essere condizionata nè dal favor per il patronimico, nè dall esigenza di equiparare almeno tendenzialmente il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dal citato articolo, che presiedono all attribuzione del cognome al figlio legittimo o legittimato (del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 33), delle quali, peraltro, sono stati già evidenziati profili di non aderenza al dettato costituzionale ed alle norme sovranazionali (cfr. da ultimo, Corte Cost n. 61; Cass., ord., ). 5 - Tanto premesso, deve rilevarsi che la questione dell attribuzione del cognome nell ipotesi del secondo riconoscimento ad opera del padre non ha subito, nell evoluzione del quadro normativo, pure invocata dai ricorrenti, una sostanziale modifica, in quanto con il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 è stato previsto, in conformità a una linea interpretativa già proposta in relazione alla precedente formulazione della norma, che il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Non è chi non veda come la possibilità di anteporre il cognome del genitore che effettua il secondo riconoscimento, che non rileva nel presente giudizio, essendosi nella specie disposto che il cognome del padre fosse aggiunto a quello della madre, costituisca l espressione dell ampliamento delle valutazioni e delle scelte che, nella delicata materia in questione, debbono essere adottate nell esclusivo interesse del minore. 6 - In linea generale, la tendenziale abolizione del solo patronimico, da sostituirsi, secondo proposte che trovano riferimento in vari ordinamenti e che - de iure condendo - stanno affermandosi anche nel nostro, si colloca in un ambito culturale e giuridico del tutto differente dal denunciato favor per il solo patronimico, che costituisce il dato fondante, ma non pertinente nella specie, delle doglianze dei ricorrenti. Ed invero, premesso che la pur invocata pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell Uomo in data 7 gennaio 2014 non attiene alla fattispecie in esame, la questione, nei termini astratti proposti nel ricorso, può trovare adeguata risposta nella giurisprudenza di questa Corte, laddove si è affermato che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona, avente copertura costituzionale assoluta, quale strumento identificativo di ogni individuo. È stato poi precisato che la ratio della norma non va individuata nell esigenza di rendere la posizione del figlio naturale quanto più simile possibile a quella del figlio legittimo, ma in quella di garantire l interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità. L organo giurisdizionale deve pertanto aver riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento da parte del padre, ed è chiamato ad emettere, prescindendo da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome dell uno o dell altro genitore, un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero e prudente apprezzamento, nell ambito del quale assume rilievo centrale non tanto l interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito. Ne consegue che, oltre che nei casi in cui ne possa derivare un diretto pregiudizio al minore in ragione della cattiva reputazione del padre, l assunzione del patronimico con esclusione del cognome materno non può essere disposta quando l esclusione di detto cognome, ormai naturalmente associato al minore nel contesto sociale in cui egli si trova a vivere, si risolva in una ingiusta privazione di un elemento distintivo della sua personalità (Cass., 1 agosto 2007, n ; Cass., 26 maggio 2006, n ). Si è quindi affermato che legittimamente viene disposta l attribuzione al minore, in aggiunta al cognome della madre, di quello del padre, allorché il giudice del merito, da un lato, escluda la configurabilità di un qualsiasi pregiudizio derivante da siffatta modificazione accrescitiva del cognome (stante l assenza di una cattiva reputazione del padre e l esistenza, anche in fatto, di una relazione interpersonale tra padre e figlio), e, dall altro lato, consideri che, non versando ancora nella fase adolescenziale o preadolescenziale, il minore, tuttora bambino, non abbia ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità, in ipotesi suscettibile di sconsigliare l aggiunta del patronimico (Cass., 5 febbraio 2008, n. 2751). 7 - Chiarito che, in linea di principio, la statuizione impugnata non si colloca su un versante difforme dagli orientamenti di questa Corte, deve ribadirsi, per altro verso, che l ampia discrezionalità attribuita, nei termini sopra indicati, al giudice del merito, comporta che tale decisione - da maturare nell esclusivo interesse del minore, tenendo conto della natura inviolabile del diritto al cognome, tutelato ai sensi dell art. 2 Cost. - è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata (Cass., 17 luglio 2007, n ). Sotto tale profilo deve rilevarsi che non risulta denunciato alcun vizio motivazionale, per altro, avuto riguardo alla modifica dell art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ratione temporis, virtualmente soggetto alle limitazioni introdotte dalla nuova disciplina. 11

12 8 - Non va adottata alcuna statuizione in merito al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 24 giugno Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2014 V Cass. civ. Sez. I, 12 dicembre 2014, n [Presidente Ceccherini, Relatore De Marzo] La costituzione del fondo patrimoniale anche quando effettuata nell interesse dei figli minori non costituisce un atto dovuto ed è suscettibile di revocatoria L atto di costituzione di un fondo patrimoniale può essere oggetto di azione revocatoria anche in presenza di figli minori. La costituzione del fondo predetto al fine di fronteggiare i bisogni della famiglia, invero, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, pertanto suscettibile di revocatoria, ex art. 64 legge fallimentare, (R.D. n. 267 del 1942). Resta salva l ipotesi in cui si dimostri, in concreto, la esistenza di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l atto in questione. Svolgimento del processo Con sentenza depositata in data 17 luglio 2007 la Corte d appello di Catania ha rigettato l appello proposto da C.M. avverso la sentenza che, in accoglimento della domanda proposta dalla curatela del fallimento di S.A., aveva dichiarato inefficace nei confronti della massa: a) l atto di vendita dal S. alla C. dei beni descritti nel rogito per notar Patti del 21 novembre 1995; b) l atto di costituzione di fondo patrimoniale rogato il giorno seguente dal medesimo notaio. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale: a) ha escluso che la domanda avanzata imponesse l integrazione del contraddittorio nei confronti dei figli della coppia S. C.; b) ha ribadito l assoggettabilità a revocatoria dell atto di costituzione del fondo patrimoniale, non costituente adempimento di un dovere giuridico, ma espressione di un fine di liberalità; c) ha ritenuto che, nel caso di specie, la prossimità cronologica dell atto di costituzione del fondo e della vendita di alcuni immobili in favore della C., il rapporto di coniugio tra quest ultima e il S. e, infine, l assenza di una seria giustificazione razionale per la costituzione del fondo dimostrassero la dolosa preordinazione di quest ultima a ridurre le garanzie dei creditori. Avverso tale sentenza la C. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La curatela del fallimento non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 4. Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, criticando la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente la malafede della C., la quale, al contrario, se avesse voluto pregiudicare le ragioni dei creditori, avrebbe ceduto l immobile a terzi. Il finale quesito di diritto si traduce della richiesta di affermazione del principio per cui la creazione di un fondo patrimoniale in presenza di figli minori non è aggredirle con l azione revocatoria. 12

13 La questione, in tali termini prospettata, non risulta formulata con l atto di appello e comunque è manifestamente infondata, alla luce del costante, contrario orientamento espresso da questa Corte (v., di recente, Cass. 08/08/2013, n ), secondo il quale la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un attribuzione in favore dei disponenti, ed è pertanto suscettibile di revocatoria, a norma della L. Fall., art. 64, salvo che si dimostri l esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l atto in questione. 6. In conclusione, il ricorso va respinto. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese dal momento che l intimata curatela non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, il 27 ottobre Depositato in Cancelleria il 12 dicembre

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