Meditazioni sulle letture Messa in Coena Domini. 3^ serata

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1 Meditazioni sulle letture Messa in Coena Domini 3^ serata Siamo alla seconda lettura della messa in coena domini e per questo utilizzeremo la prima lettera di San Paolo ai Corinzi. Ne leggeremo durante la serata una breve parte, molto importante avere uno sguardo generale per evitare di perdere alcuni elementi essenziali a capire cosa noi siamo chiamati a fare dopo aver celebrato la cena del Signore, sia quella che ricorda l ultima cena, sia tutte le volte che celebriamo la cena del Signore nella messa. Poniamo l attenzione da metà del cap. 11 in poi, (1Cor 11,17) dalle parole E mentre vi do queste istruzioni perché questo ci sarà utile per comprendere tutto il contesto. San Paolo scrive la prima lettera ai Corinzi circa 25 anni dopo la morte di Gesù e la indirizza a una comunità piccola, composta al massimo da 50/60 persone, in buona parte da gente del popolo e schiavi, ma nella quale era anche presente qualche benestante. Questa comunità era stata da lui stesso fondata 5 anni prima, e la lettera viene scritta su sollecitazione della comunità stessa che aveva posto a Paolo alcune questioni, una delle quali riguardava problemi di vita interna, soprattutto per quanto concerneva le funzioni liturgiche. 1Cor 11, Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. 2 Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. 3 Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo, e capo di Cristo è Dio. 4 Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. 5 Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata. 6 Se dunque una donna non vuole coprirsi, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. 7 L'uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. 8 E infatti non è l'uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; 9 né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. 10 Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli. 11 Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna. 12 Come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. 13 Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio col capo scoperto? 14 Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, 15 mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo. 16 Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio. Nei versetti precedenti, Paolo, lodando l osservanza delle tradizioni così come lui stesso le ha trasmesse, risponde ad una questione che gli era stata posta: l abbigliamento da osservare da parte dei profeti e delle profetesse, uomini e donne illuminate che interpretavano nelle chiese il kerigma (annuncio del Signore). A tale riguardo precisa che gli uomini devono rimanere a capo scoperto, perché per un uomo pregare a capo coperto significa mancare di riguardo al proprio capo, cioè a Cristo. Le donne, invece, che dipendono dall uomo, devono coprirsi con un velo per non mancare di riguardo al proprio capo, che è l uomo. Altrimenti, perché Dio avrebbe dato loro i capelli lungi, se non per coprirsi il capo? Paolo gioca con il doppio senso della parola capo, inteso come testa e

2 come capo della chiesa, il Cristo. Naturalmente questa visione della società risente dei condizionamenti culturali del tempo, ma è giunta abbastanza intatta sino a noi, se pensiamo che le nostre nonne erano tenute ad entrare in chiesa con il velo, mentre i nostri nonni erano tenuti a togliersi il cappello, cosa che avviene ancora oggi. Comunque, cosa rivoluzionaria, le donne possono parlare in pubblico, avendo come unica condizione quella di coprirsi il capo. Invece, nei versetti 11, Paolo interviene su una questione su cui non era stato interpellato: l atteggiamento tenuto dalla comunità durante l eucaristia. Per questo la comunità non riceve la lode ma un forte rimprovero. 1Cor 11, Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18 Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19 È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 20 Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21 Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22 Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! 23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 26 Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. 27 Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28 Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29 perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30 È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31 Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32 quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. 33 Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34 E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta. San Paolo probabilmente ha ricevuto informazioni su ciò che succede durante le celebrazioni della cena del Signore (così allora si chiamava la messa) nella piccola comunità di Corinto e ha percepito che lo spirito della messa è stato alterato. C è qualcosa che non va. Storicamente, il brano fa riferimento al modo pratico in cui nei primi tempi della chiesa veniva celebrata l eucaristia, che era diverso da quello attuale. Anzitutto non c erano le chiese in cui si potessero tenere le celebrazioni, le quali avvenivano nelle abitazioni dei privati benestanti, che possedevano una casa capiente, in quanto è ovvio che uno schiavo che non possedeva una casa non poteva certo ospitare persone che facevano parte della comunità; quindi la messa doveva

3 essere celebrata dalle persone abbienti che disponevano dei mezzi necessari per ospitare un certo numero di persone. La casa veniva messa a disposizione per la celebrazione settimanale, e gli invitati dovevano portare qualcosa da mangiare perché la messa non consisteva, come oggi, solo in una celebrazione liturgica, ma si trattava di un vero e proprio pasto comune, un cenare insieme in memoria dell ultima cena. Gli esegeti non hanno ancora chiarito quale fosse la reale sequenza della messa, ovvero se prima avvenisse la cena vera e propria e poi si celebrasse il memoriale o se il rito iniziasse con la celebrazione della frazione del pane seguita dalla cena normale e, a conclusione, il rito della condivisione dei calici di vino. La cosa più probabile era che si cominciasse con la cena normale, al termine della quale si celebrava l eucaristia. Naturalmente i più ricchi arrivavano con il cestino pieno e i poveri con il cestino quasi vuoto o senza niente, ma un altro problema consisteva nel fatto che i poveri, dovendo lavorare per sostenersi, a volte non potevano rispettare gli orari prestabiliti e quindi arrivavano in ritardo. Coloro che erano presenti sin dall inizio, sapendo che la prima cosa da fare era consumare il pasto normale, iniziavano a cibarsi delle vivande presenti sulla tavola, per cui i più poveri, al loro arrivo, spesso non trovavano più nulla da mangiare o trovavano solo le briciole, cosa che li umiliava. In questo clima con i primi ben sazi e gli ultimi affamati si iniziava la celebrazione dell eucaristia. Tra l altro, la tradizione del digiuno eucaristico si basa su questo brano. San Paolo ha sentito dire che nella celebrazione dell eucaristia vi sono divisione nella comunità, e non si tratta di divisioni tra teologi, ma delle solite divisioni tra ricchi e poveri, come sempre è successo: la condivisione è la misura effettiva della coesione della comunità. E la divisione non era solo una questione di quantità di cibo consumato, ma era una questione di mentalità. Addirittura, dice San Paolo, queste divisioni sono necessarie per comprendere a che punto è il cammino della nostra spiritualità. Più divisioni ci sono più siamo lontani da Cristo Signore. E questo è un criterio che va benissimo per verificare la nostra vita oggi e vita delle nostre comunità, perché se la comunità è divisa il vangelo è stato messo nel dimenticatoio, nonostante le apparenze, la pratica della liturgia e le buone intenzioni. Su questo hanno ragione i non cristiani a criticarci, perché se non condividiamo abbiamo poco da spartire con il vangelo, quindi non siamo credibili. Paolo rimprovera i Corinzi dicendo che, quando si trovano insieme, il loro non è più mangiare la cena del Signore, non è più l eucaristia, non è più la messa, perché se si è divisi non si può celebrare l eucaristia, quello che celebrano è qualcos altro. In effetti, dice Paolo, se ciascuno quando siede a tavola comincia a prendere il proprio pasto mette in pratica una forma di individualismo e di egoismo che annulla la comunione, ed è proprio questo che rende quell azione liturgica non più la cena del Signore ma esattamente il contrario. Per fare questo non è necessario ritrovarsi, basta la propria casa per mangiare e ubriacarsi, non è necessario farlo nel momento della celebrazione eucaristica gettando il disprezzo sulla chiesa di Dio e umiliando i poveri. Paolo passa dalla questione pratica del mangiare a quella profonda dell umiliazione dei poveri; comportarsi così significa per Paolo umiliare i poveri. Se noi, al di là della celebrazione eucaristica non viviamo la condivisione umiliamo i poveri gettando discredito sulla chiesa perché noi celebriamo una cosa e ne facciamo un altra. In pratica utilizziamo la messa per il nostro pasto cioè per i nostri fini e non per consumare il pasto insieme agli altri, cioè per condividere con la comunità. Non c è continuità tra condivisione ed eucaristia e viceversa, la nostra non è l eucaristia di Cristo, è un altra cosa.

4 Nonostante tutte le nostre belle celebrazioni, se non c è la continuità tra la condivisione del pane eucaristico e la condivisione del pane materiale, la condivisione del pane eucaristico è una bugia, e questo bisogna avere il coraggio di dirlo a noi stessi e alle nostre comunità perché qui ne va del credito alle nostre comunità cristiane. Un padre della chiesa, san Giovanni Crisostomo, scrive a proposito di questa lettera: Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia nudo. Dopo averlo onorato in chiesa con stoffe di seta, non permettere che fuori egli muoia di freddo e di nudità. Colui che ha detto: questo è il mio corpo, confermando con la sua parola l atto che compiva, ha anche detto: ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare. Qual vantaggio può avere Cristo se il suo altare è coperto d oro mentre egli stesso muore di fame nel povero? Comincia a saziare lui che ha fame (nel povero) e in seguito, se ti resta ancora del denaro, orna anche il suo altare. Gli offrirai il calice d oro e non gli darai un bicchiere d acqua fresca? Che beneficio ne trarrà se ti procuri per l altare veli e vesti in tessuti d oro e a lui non offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava? Dico questo non per pietà di onorare Cristo con tali doni, ma per esortarti a offrire aiuto al povero insieme a quei doni, o meglio, a far precedere ai doni simbolici l aiuto concreto. Questa è la vita del cristiano. Al versetto 23 Paolo dice: Io infatti ho ricevuto dal Signore quello che vi ho trasmesso. Quindi non posso lodarvi perché vi ho trasmesso cose diverse da quelle che fate. Il Signore Gesù, nella notte in cui viene tradito (tradire non significa solo tradimento, ma in questo caso significa consegnare), viene consegnato nelle mani degli uomini, quindi la notte che noi celebriamo nel giovedì santo non è, in primo luogo, la notte dell istituzione dell eucaristia, la notte del tradimento vero e proprio di Giuda, è la notte in cui Gesù viene consegnato, anzi è la notte in cui Gesù si consegna Quando Pietro nel giardino degli ulivi estrae la spada, Gesù gli impedisce di utilizzarla: è lui che si consegna, è Gesù che dice io do la mia vita, nessuno me la prende, sono io che la do. Nella notte in cui lui si consegna, nel pane e nel vino anzitutto, Gesù compie due gesti ripresi dalla tradizione pasquale ebraica, a cui però attribuisce un significato completamente diverso. Prende il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezza dicendo una cosa del tutto illogica: Questo è il mio corpo, e poi aggiunge che è per voi, in greco un corpo per voi, in dono. Nella notte in cui si consegna, consegna anzitutto ai suoi discepoli in dono il suo corpo, e poi aggiunge Fate questo in memoria di me. Questo dovete fare anche voi. Come io divento pane consegnato, corpo consegnato per la vostra salvezza, così deve essere la vostra vita, un corpo che si dona, un dono per aprire la strada della salvezza. Poi, dopo aver cenato, prende il calice dicendo questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue Lc 22,20. Nuova alleanza fatta con il sangue di Gesù in riferimento all antica alleanza fatta con il sangue degli agnelli, alleanza completamente nuova, dunque, il Nuovo Testamento. Ogni volta che farete questo rinnoverete anche voi la vostra alleanza con Dio e con gli uomini, donando il vostro sangue e il vostro corpo come offerta del sacrificio del sangue versato per gli altri. Paolo ci ricorda che ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo da questo calice, per il fatto stesso di averlo fatto, noi siamo salvati definitivamente e nessuno, tranne noi, potrà sciogliere questo vincolo di salvezza che ci è stata data.

5 Secondo Paolo, ciò che succede nell eucaristia è talmente importante che chi lo celebra in modo indegno si rende colpevole nei confronti del corpo del corpo e del sangue di Gesù. Una delle affermazioni più dure del nuovo testamento. La mancanza di sentimenti di condivisione diventano elemento di condanna. La condivisione non è un accessorio, non è beneficenza, è un atteggiamento imprescindibile nel cristiano, non è un tratto accessorio, è l essenziale, senza il quale la fede è lettera morta (Gc). Paolo insiste ancora E per questo che tra voi ci sono molti malati e infermi e un buon numero sono pure morti. Non è un modo per collegare la malattia al peccato, ma è un modo per sottolineare l importanza di questo aspetto. Anche Luca al cap. V degli Atti ribadisce lo stesso concetto quando riporta l episodio di Anania e Safira, i quali, in segno di condivisione, vendono il loro campo e ne portano il ricavato agli apostoli perché lo distribuiscano tra i poveri, ma prima, molto umanamente, trattengono per sé parte del ricavato. Pietro, invece di ringraziarli, li rimprovera, dicendo che Satana è entrato dentro di loro. Anania e Safira non si sono fidati di Dio, hanno deciso in proprio, si sono creduti in grado di decidere senza di Lui. Moriranno per questo, ma probabilmente non si tratta di una morte fisica ma interiore, perché Safira muore ai piedi degli apostoli dove avrebbe dovuto depositare l offerta. Questo vuol dire che la condivisione è una cosa seria, troppo importante nella vita delle persone della comunità per essere sminuita. Finché non supereremo la logica delle buone azioni (elemosina) sostituendola con quella della condivisione eucaristica (io mi faccio sacrificio per offrirmi come Gesù è diventato l agnello sacrificale) o perlomeno non tenderemo a questo non comprenderemo mai a fondo l eucaristia. Prosegue Paolo: Fratelli miei, quando vi radunate per la cena non incominciate a mangiare prima, aspettatevi gli uni e gli altri, abbiate la pazienza di aspettare. Non avventiamoci su quello che ci è stato messo tra le mani, aspettiamo gli altri Non è un invito a non mangiare, è un invito ad attendere gli altri in modo che tutti possano mangiare, perché ciò che possediamo è grazia di Dio e come tale va condivisa. Ciò che abbiamo non è nostro ma ci è stato donato per instaurare il regno di Dio sulla terra. Solo così si può vivere la vita cristiana. La messa deve essere qualcosa che ci cambia profondamente la vita, perché non possiamo celebrare un Dio che si fa pane e vino e poi consumare nel segreto il nostro pane e il nostro vino senza condividerli. Se qualcuno ha fame prima, mangi a casa, perchè non vi raduniate a vostra condanna. Allora concludo con una domanda che nel 1971 pose un vescovo del Brasile, Helder Camara: Cosa ne abbiamo fatto dell eucaristia?. Quanto le nostre messe ci hanno aperto alla condivisione, ci hanno portato a essere dono per gli altri? Quanto hanno cambiato la nostra logica del fate questo in memoria di me?. Il primo nome greco dato all eucaristia era crasma, che significa spezzato, come il pane spezzato per essere condiviso, segno eucaristico senza il quale l eucaristia diventa una menzogna. Il giovedì santo diventi un impegno forte per rendere l eucaristia momento di salvezza, occasione per riscoprire il senso del mangiare ogni domenica il corpo del signore, per diventare anche noi spezzati, crasma nei confronti delle persone che incontriamo ogni giorno.

6 Il discepolo di Gesù è colui che è si spezzato come si è spezzato lui. Dobbiamo diventare pane spezzato e vino versato come il chicco di grano che produce frutto solo se muore.

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