07 - Derivate ed applicazioni del calcolo differenziale
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- Annalisa Marconi
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1 Università degli Studi di Palermo Facoltà di Economia CdS Sviuppo Economico e Cooperazione Internazionale Appunti del corso di Matematica 07 - Derivate ed applicazioni del calcolo differenziale Anno Accademico 203/204 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
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3 . Introduzione. Introduzione Nelle due figure riportate di seguito sono riportate due rette secanti una curva e passanti per i punti A e B. E interessante esprimere le coordinate del punto B in funzione della distanza h dall ascissa di A. Il punto A è identificato dalle coppia ordinata ( 0, f( 0 )). Ad esempio, in figura, A = (0.50, 0.45). Dalle coordinate di A possiamo immediatamente ottenere le coordinate di qualsiasi punto B la cui ascissa disti, con > 0, dall ascissa di A: B = ( 0 +, f( 0 + )). L equazione della retta passante per due punti A = ( A, y A )) e B = ( B, y B )) y y A = A, y B y A B A da cui, esplicitando la y, otteniamo: y = y B y A B A ( A ) + y A. Questa equazione ci consente di esprimere il coefficiente angolare, cioé la pendenza, della retta in funzione delle coordinate dei due punti: m = y B y A. B A Quindi, se applichiamo questa formula al calcolo del coefficiente angolare della retta secante i punti A = ( 0, f( 0 )) e B = ( 0 +, f( 0 + )) otteniamo: m = f( 0 + ) f( 0 ). Tale quantità prende il nome di rapporto incrementale della funzione f relativo al punto 0 e all incremento. Se facciamo tendere Figure. Esempi di rette secanti una curva. a 0 la quantità, allora i punti A e B tenderanno a sovrapporsi e il ite per tendente a 0 del rapporto incrementale f( 0+ ) f( 0 ), se finito, rappresenterà il coefficiente angolare della retta tangente alla D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 3
4 . Introduzione curva nel punto A = B = ( 0, f( 0 )) e verrà indicato con la notazione f ( 0 )... Definizione di funzione derivabile e derivata. Una funzione f : A R R si dice derivabile in 0 A se il ite f( 0 + ) f( 0 ) 0 esiste finito. Il valore assunto da tale ite é detto derivata di f in 0 e si denota con f ( 0 ). Se il precedente ite esiste finito 0 A, allora diremo che la funzione é derivabile in A. Se il precedente ite non é finito o non esiste, diremo che la funzione non é derivabile in 0. Esempi. Derivata della funzione f() =. Calcoliamo il ite del rapporto incrementale in un generico punto 0 : f( 0 + ) f( 0 ) 0 ( 0 + ) 0 = = = =. 0 Quindi, la derivata della funzione f() = é pari ad uno. Derivata della funzione 2. Sia f() = 2 e calcoliamo il ite del rapporto incrementale nel generico punto 0 : f( 0 + ) f( 0 ) 0 ( 0 + ) = 0 = 0 = 0 = 0 = = h = + 2 = 2. Quindi la derivata della funzione f() = 2 è una funzione di e, in particolare, è una funzione lineare passante per l origine: f () = 2. In figura 2 è riportata f() = 2 e la sua derivata f () = 2. Si osservi che la tangente in A = (, ) ha come pendenza m = 2, che è proprio il valore che assume f () in =. 4 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
5 . Introduzione Trattandosi del calcolo di un ite, la funzione non ammetterá derivata in 0 quando f( 0 + ) f( 0 ) 0 + f( 0 + ) f( 0 ) 0. In questo caso avremo invece una derivata destra ed una derivata sinistra della funzione in 0. Vediamo ora alcuni esempi di derivata di una funzione. Figure 2. Grafico della funzione f() = 2 e della sua derivata f () = 2. In generale, se una funzione f è derivabile in 0, la retta passante per il punto ( 0, f( 0 )), tangente alla funzione f, ha come coefficiente angolare f ( 0 ) e la sua equazione è data da y f( 0 ) = f ( 0 ) ( 0 ) Si osservi inoltre che tale retta è la migliore approssimazione lineare di f nell intorno di 0. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 5
6 . Introduzione Esercizio. Verificare che le derivate delle funzioni f() = e g() = sono, rispettivamente: f () = 2, g () = 2. Si noti che la funzione f() = NON é derivabile in 0 = 0, nonostante sia ivi definita. Un altro esempio di funzione definita e continua in 0, ma ivi non derivabile è la funzione f() =. Infatti, facendo il ite del rapporto incrementale in = 0 otteniamo: = = 0 = + = Quindi, poiché ite destro e ite sinistro del rapporto incrementale sono diversi, allora il ite non esiste e la funzione NON è derivabile in 0 = 0. Si noti invece che essa lo è > 0 in cui f () = e < 0 in cui f () =. Il seguente teorema mostra che la continuità è condizione necessaria (ma non sufficiente) alla derivabilità. Teorema. (Continuità e derivibilità). Se f è una funzione derivabile in 0 Dom(f) allora f è continua in 0. Proof. Dalla definizione di derivata abbiamo che esiste finito il ite del rapporto incrementale di f in un intorno di 0 : f( 0 + ) f( 0 ) 0 = f ( 0 ). La condizione di continuità richiede che 0 f() = f( 0 ) che, posto = 0 +, possiamo riscrivere 0 f( 0 + ) = f( 0 ) ovvero che 0 f( 0 + ) f( 0 ) = 0. Nel nostro caso abbiamo: f( 0 + ) f( 0 ) = 0 0 f( 0 + ) f( 0 ) = = f ( 0 ) 0 = f ( 0 ) 0 = 0. Quindi 0 f(+ ) f() = 0 e pertanto f è continua in 0. Come per il calcolo dei iti, la determinazione delle derivate per funzioni più complesse si basa sui seguenti teoremi. 6 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
7 2. Notazione di Lagrange, notazione di Leibniz e derivate successive Teorema.2. Sia α R ed f e g due funzioni derivabili in, allora: () (f + g)() = f() + g() (f + g) () = f () + g (); (2) (α f)() = α f() (α f) () = α f (); (3) ( (f ) g)() = f() g() (f g) ) () = f () g() + f() g (); () = g () (4) (5) ( g f g ( () =, g() 0 g() ) ( () = f(), g() 0 g() g f g g() 2 ; ) () = f ()g() f()g () g() 2 ; 2. Notazione di Lagrange, notazione di Leibniz e derivate successive Finora abbiamo utilizzato la notazione di Lagrange per indicare la derivata di una funzione. Un altra notazione molto usata è la notazione introdotta da Leibniz che rende esplicita la variabile rispetto alla quale una funzione y viene derivata: dy d se y è funzione di, dy se y è funzione di t, dt eccetera. Così, se y = 3, scriveremo mentre, se y = t 2 scriveremo: dy d = 3 2, dy dt = 2 t 3 = 2 t 3, o, ancora, se y = z allora dy dz = 2 z. La notazione con la doppia d può essere usata come prefisso dell espressione che deve essere derivata. Ad esempio: d d ( 2)2 = 2 ( 2); oppure d dt (t2 + 2 t ) = 2 t + 2 Nella notazione di Leibniz, ad esempio, alcune delle regole di derivazione già viste si scrivono: d d [f() + g()] = d d f() + d d [ ] d = d g() [g()] 2 g() = df d + dg d ; d d g() = dg g 2 d. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 7
8 3. Derivazione delle funzioni composte Come osservato in procedenza, quando si deriva una funzione si ottiene una nuova funzione. Quest ultima può essere a sua volta derivata così da ottenere la derivata seconda. Derivando ancora si ottiene la derivata terza, e così via. Nella notazione di Lagrange, se f() = 4 5 si ha: f () = 20 4 ; f () = 80 3 ; f () = ; f (4) () = 480 ; f (5) () = 480 e, per n 6, f (n) () = 0. Nella notazione di Leibniz si osserva che se y è funzione di allora dy rappresenta la (funzione) derivata prima. La derivata seconda è d data da [ ] d dy = d2 y d d d. 2 Iterando, otteniamo che la derivata n-esima è denotata da d n y d n 3. Derivazione delle funzioni composte Siano f : A R B e g : B R R due funzioni componibili nella funzione (g f) : A R R, con f derivabile in 0 e g derivabile in y 0 = f( 0 ). La funzione composta (g f)() = g(f()) sará derivabile in 0 con derivata prima pari a (g f) ( 0 ) = g [f( 0 )] f ( 0 ). Enunciamo ora lo stesso teorema con la notazione di Leibniz. Se y è funzione di u, y(u), e, a sua volta, u è una funzione di, u(), la funzione composta y(u()) può essere derivata rispetto ad come segue: dy d = dy du du d. Quindi la derivata di y rispetto ad si ottiene moltiplicando la derivata di y rispetto ad u calcolata nel punto u = u() per la derivata della funzione u() nel punto. Questa formula è nota anche come chain rule. Esercizio 3. Si determini attraverso la regola di derivazione delle funzioni composte la derivata delle seguenti funzioni: y = ( 3 ) 2 e y = ( ) 2. 8 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
9 3. Derivazione delle funzioni composte Esempio 3. Si determini la derivata della funzione ( y = + ) 2. Possiamo sviluppare il quadrato e procedere con le regole di derivazione già apprese, oppure, preferibilmente utilizzare la regola di derivazione delle funzioni composte. Iniziamo da quest ultima. Considerando la funzione composta y(t()), con y(t) = t 2 e t() = +. Abbiamo: y () = dy dt dt d = 2 t dt d = 2 t ( ) = 2 2 = 2 ( + 3 ) = 2 ( 3 ). ( + ) ( ) = 2 Vediamo ora che si può ottenere lo stesso risultato svolgendo prima il quadrato e poi derivando: ( y = + ) 2 = = Allora: y () = = 2 ( 3 ). In questo esercizio, potrebbe sembrare che svolgere i quadrati sia più semplice che utilizzare la chain rule e per certi versi lo è davvero. Si provi pero ad immaginare di voler derivare: ( y = + ) 4 Con la chain rule otteniamo immediatamente: ( y () = 4 + ) 4 ( ) ( = 4 + ) 3 ( ). 2 2 Si provi ora a sviluppare la quarta potenza del binomio per poi derivare. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 9
10 3. Derivazione delle funzioni composte 3.. Derivata della funzione logaritmo. Calcoliamo la derivata della funzione log() attraverso il ite del rapporto incrementale: ( d d log log a() = a ( + ) log a () log + ) a = = 0 0 ) ] = 0 log a = 0 log a = 0 log a = t 0 log a = log a(e). Quindi la derivata della funzione ln() è: ( [ ( + = log a + ) = 0 [ ( + ) ] [ ( = 0 log a + ) ] = [ ( + ) ] ( = posto t = ) = [ ] ( + t) t = (per uno dei iti notevoli studiati) = d d ln() = Derivata della funzione esponenziale. Calcoliamo la derivata della funzione a come ite del rapporto incrementale. d a + a d a = 0 = a e 0 = a lg(a). a ( a ) = 0 = 0 a a = (per uno dei iti notevoli studiati) = Quindi la derivata della funzione e è e lg(e), cioé la funzione stessa: d d e = e. La relazione che lega a ad e, a = e ln(a), si utilizza per calcolare la derivata della funzione d d f()g(), in cui si assume che f() e g() siano entrambe derivabili e che f() > 0: d d f()g() = d d eg() ln[f()] = e g() ln[f()] d [g() ln[f()]] = [ d =e g() ln[f()] g () ln[f()] + g() f ] () = f() [ =f() g() g () ln[f()] + g() f ] (). f() 0 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio =
11 4. Derivata della funzione inversa 4. Derivata della funzione inversa Si consideri una funzione f() biettiva e la sua funzione inversa f (y). Supponiamo che la funzione f sia derivabile in e indichiamo con f () la sua derivata. Possiamo calcolare la derivata della funzione inversa f nel punto y = f() sfruttando la regola di derivazione delle funzioni composte. Infatti, per definizione di funzione inversa, abbiamo: (f f) () = f (f()) =. Deriviamo ambo i membri di questa uguaglianza rispetto ad e sfruttiamo la regola di derivazione delle funzioni composte: d d (f f) () = d d = d df f dy d = d dy f f () =. Da questa equazione possiamo ricavare d dy f. Infatti d dy f = f (). Possiamo usare la regola di derivazione delle funzioni inverse per calcolare, ad esempio, la derivata della funzione ln(y) come derivata della funzione inversa di y = e. Abbiamo già visto che d d e = e. Allora: d dy ln(y) = e = y. Esercizio 4. Derivare le seguenti funzioni: () f() = 2 (2) f() = ( + 2 ) 5 (3) f() = ( 5 0 ) 20 (4) f() = ( ) ) 4 (5) f() = ( (6) f(t) = ( ) 4 +t (7) f() = ( ) 4 (8) f(t) = (t t 2 ) 3 (9) f(t) = (t + t 2 ) 4 (0) f() = ( ) ) 4 () f() = ( (2) f() = [(2 + ) 2 + ( + ) 2 ] 3 (3) f() = ( + ) (4) f() = ( + e ) (5) f() = a D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
12 4. Derivata della funzione inversa Esercizio 4.2 Calcolare la derivata dy delle seguenti funzioni composte: d () y =, u = 2 + ; +u 2 (2) y = u +, u = (3 + u )4 ; (3) y = 2 u, u = (5 4 u 2 + ) 4 ; (4) y = u 3 u +, u = +. Esercizio 4.3 Disegnare il grafico della derivata di ciascuna delle funzioni disegnate di seguito. Figure 3. Grafico delle funzioni relative all esercizio 4.3. Esercizio 4.4 Determinare la funzione y = f() tale che: () y () = (2) y () = (3) y () = (4) y () = Esercizio 4.5 Calcolare la derivata dy delle seguenti funzioni composte: dt () y = 7 u, u = 2 +, = 2 t 5; +u 2 (2) y = + u 2, u = 7, = 5 t D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
13 5. Teoremi sulle funzioni derivabili 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Teorema 5.. Sia f : A R R una funzione continua in A e derivabile in A/{ 0 }, se 0 f () esiste finito, allora la funzione é derivabile in 0 e risulta f ( 0 ) = 0 f ( 0 ). In pratica il teorema sancisce una condizione sufficiente per l esistenza della derivata di una funzione in un punto. Teorema 5.2 (del valor medio o di Lagrange). Sia f una funzione continua nell intervallo chiuso [a, b] e derivabile nell intervallo aperto ]a, b[, allora esiste almeno un c ]a, b[ tale che f f(b) f(a) (c) = b a Graficamente, il teorema del valor medio postula l esistenza di una o più rette parallele alla secante passante per i punti (a, f(a)) e (b, f(b)) e tangenti alla curva nel punto (o nei punti) (c, f(c)). La figura 4 fornisce la rappresentazione grafica del teorema di Lagrange nel caso di uno e due punti c. Figure 4. Rappresentazione grafica del teorema di Lagrange nel caso di uno e due punti c. Il teorema di Lagrange consente di dimostrare due importanti proprietá: Corollario 5.3. Se f() é una funzione continua in un intervallo [a, b] e derivabile in un intervallo ]a, b[ e ]a, b[ si ha f () = 0, allora la funzione é costante in [a, b]. Corollario 5.4. Se f() é una funzione continua in un intervallo [a, b] e derivabile in un intervallo ]a, b[ e ]a, b[ si ha che f () > 0, allora la funzione é crescente in [a, b]. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 3
14 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Corollario 5.5. Se f() e g() sono due funzioni continue in un intervallo [a, b] e derivabili in un intervallo ]a, b[ e ]a, b[ risulta che f () = g (), allora le due funzioni differiscono per una costante in [a, b]. Teorema 5.6 (di Rolle). Sia f una funzione continua nell intervallo chiuso [a, b] e derivabile nell intervallo aperto ]a, b[. Se la funzione assume agli estremi dell intervallo lo stesso valore: f(a) = f(b) allora esiste almeno un punto c ]a, b[, ossia interno al dominio, tale che f (c) = 0 La figura 5 fornisce la rappresentazione grafica del teorema di Rolle nel caso di tre punti c. Il teorema di Rolle postula l esistenza di uno o più punti in cui la tangente a f è parallela all asse delle ascisse. Il teorema di Rolle può essere utilizzato per stabilire l esistenza di una o più radici reali di un polinomio. Figure 5. Rappresentazione grafica del teorema di Rolle nel caso di tre punti c. Teorema 5.7 (Teorema di Cauchy). Siano f() e g() due funzioni continue nell intervallo chiuso [a, b] e derivabili nell intervallo aperto ]a, b[, allora esiste almeno un c ]a, b[ tale che f (c) g (c) = f(b) f(a) g(b) g(a) 4 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
15 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Esempio 5. Il polinomio cubico p() = ha almeno una radice reale (in realtà le soluzioni di un polinomio di terzo grado sono sempre tre, ma le altre due soluzioni potrebbero essere o reali oppure complesse coniugate). Si tratta di stabilire se sono più di una (tre radici reali). Se fossero più di una si avrebbero due punti distinti a e b, con a < b in cui p(a) = p(b) = 0 e, per Rolle, deve esistere c (a, b) tale che p (c) = 0. Se si dimostra che l equazione p (c) = 0 ha soluzioni, allora p() avrà più di una radice (e quindi tre). Nel caso in questione p (c) = = 0 è impossibile per qualunque. Ne consegue che p() ha una sola radice reale. Esempio 5.2 Si dimostri che l equazione = 0 non ha più di due radici reali distinte. Si assuma che l equazione abbia più di due radici reali distinte, per esempio, < 2 < 3, ordinate per convenienza. Per il teorema di Rolle devono allora esistere due punti c (, 2 ) e c 2 ( 2, 3 ) tali che p (c ) = p (c 2 ) = 0 ove p () = Si osservi che p () = 0 ha una sola radice reale, quindi, p() ha al più due radici distinte. Esempio 5.3 Sia f derivabile in (, 4) e continua in [, 4], con f() = 2. Si ipotizzi inoltre che 2 f () 3 (, 4). Qual è il valore minimo che può assumere f(4)? Per il teorema del valor medio f(4) f() = f (c)(4 ) da cui f(4) = 2+3f (c). Poichè f () 2, avremo che f(4) = 8. Poichè f () 3, avremo che f(4) =. Quindi il valore minimo che può raggiungere f(4) è 8. Teorema 5.8 (Regola di de l Hôpital). Siano f() e g() due funzioni continue nell intervallo chiuso [a, b] e derivabili nell intervallo aperto ]a, b[, compresi i casi a = e/o b = +, con g () 0 [a, b] tranne al piú il punto c ]a, b[, se c f() = g() = 0, c D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 5
16 5. Teoremi sulle funzioni derivabili oppure e c f() = g() = ±, c f () c g () = L R f() c g() = L. In altre parole, il ite di una forma indeterminata 0/0 o / può essere calcolato risolvendo il ite del rapporto tra le derivate delle due funzioni: f() c g() H f () = c g () = L Il teorema di de l Hôpital può essere applicato indirettamente anche alle altre forme indeterminate: basta trasformare queste forme in forme indeterminate del tipo 0/0 o / attraverso opportuni passaggi algebrici. Nel caso delle altre forme indeterminate, i passaggi algebrici per ricondursi alle forme indeterminate per cui risulta possibile applicare il teorema di de l Hôpital sono: caso +, f() g() = f() f() g() = g() f() f()g() [ g() ] = g() f() f() f() caso f() g() = ln e f() ln e g() = ln ef() e g() 0, f() g() = g() f() f() g() = f() g() caso, f() g() = e g()ln f() = e ln f() g() caso 0 0, f() g() = e g()ln f() = e ln f() g() caso 0, f() g() = e g()ln f() = e ln f() g() 6 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
17 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Esempi 5.4 Forme indeterminate / Sia α > 0. Determinare il seguente ite: ln() +. α Applichiamo il teorema di de l Hôpital: ln() = H + α + = α + + α = α α = α α 0 = 0. α + = Determinare e +, k con k N. Applicando k volte il teorema di de l Hôpital otteniamo: e H e = H e = = H... = H + k + k k + k(k ) k 2 + e k! = Esempi 5.5 Forme indeterminate 0/0 Calcolare e. 0 2 Come nei casi precedenti, possiamo applicare il teorema di de l Hôpital 0 e 2 = H e 0 2 = 2 e 0 = (sfruttando il ite notevole già studiato) = 2. E tuttavia interessante notare come allo stesso risultato saremmo potuti arrivare applicando nuovamente il teorema di de l Hôpital: e H e = = 2 e 0 H = 2 0 e = 2 = 2. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 7
18 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Esempi 5.6 Determinare ln(). 0 + Questa è una forma indeterminata del tipo 0. Per poter applicare il teorema di de l Hôpital è necessario trasformare questa forma indeterminata in una forma indeterminata del tipo 0/0 o /. Si ha: ln() = 0 + ln() 0 +, che è una forma indeterminata del tipo /. Possiamo dunque applicare la regola di de l Hôpital a questa forma: ln() ln() = H / = = 2 /2 = / Esempi 5.7 Determinare. 0 + Questo ite presenta una forma indeterminata del tipo 0 0, che appartiene alla classe di forme indeterminate che si ottengono da funzioni del tipo [f()] g(), con f() > 0. A questa classe appartengono anche le forme indeterminate e 0. Tali forme indeterminate possono essere risolte notando che, in generale: [f()] g() = e g() ln[f()]. e quindi calcolando il ite dell esponente, ossia di y = g() ln[f()]. Nel nostro caso risulta = e ln() e quindi y = ln(). Dobbiamo quindi calcolare il seguente ite: ln(), 0 + che è una forma indeterminata del tipo 0, ma che possiamo facilmente ricondurre, ad una forma / cui applicare direttamente la regola di de l Hôpital: Quindi: ln() ln() = H = = e 0 + ln() = e 0 =. 0 + = = D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
19 5. Teoremi sulle funzioni derivabili Esempi 5.8 Determinare 0 +( + ). Questa è una forma indeterminata del tipo, che possiamo risolvere come nel caso precedente scrivendo: 0 +( + ) = e ln(+) = e 0 + ln(+) 0 + e risolvendo il ite ad esponente (che è una forma indeterminata del tipo 0/0) sfruttando il teorema di de l Hôpital: da cui ln( + ) 0 + H = ( + ) + = =, = e = e Esempi 5.9 Determinare + (a + b ), con < a < b. Questo ite presenta una forma indeterminata del tipo 0. Anche in questo caso sfruttiamo le proprietà delle funzioni esponenziale e logaritmo per ricondurci ad una forma indeterminata su cui sia applicabile la regola di de l Hôpital: + (a + b ) = e ln(a +b ) = e + ln(a +b ). + Il ite + ln (a + b ln(a ) = +b ) + rappresenta una forma indeterminata del tipo /. Quindi: ln (a + b ) + Quindi: H a ln(a) + b ln(b) = = + a + b = + ( a b ) ln(a) + ln(b) ( a ) = ln(b) b + + (a + b ) = e ln(b) = b. = ln(b). ATTENZIONE: Un uso inappropriato della regola di de l Hôpital (ossia la sua applicazione in casi in cui le ipotesi del teorema NON siano soddisfatte), può condurre ad errori. Per esempio applicarlo a iti in una forma diversa da 0/0 o / porta ad errori. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 9
20 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti L obiettivo di questa sezione é ricercare i punti di massimo e di minimo relativi, interni all insieme di definizione della funzione, supponendo che questa sia derivabile Teorema 6.. Sia f una funzione derivabile in 0 punto interno dell insieme A di definizione della funzione. Se f ( 0 ) > 0, allora f() è crescente in 0. Teorema 6.2. Sia f una funzione derivabile in 0 punto interno dell insieme A di definizione della funzione. Se f ( 0 ) < 0, allora f() è decrescente in 0. Teorema 6.3. Sia f una funzione derivabile in 0 punto interno dell insieme A di definizione della funzione. Se f() ha un punto di massimo o di minimo relativo in 0, allora f ( 0 ) = 0. I teoremi 6. e 6.2 esprimono una condizione sufficiente perché una funzione derivabile risulti crescente o decrescente in un punto 0, interno al suo dominio. Il teorema 6.3 esprime invece una condizione necessaria ma non sufficiente perché una funzione derivabile presenti un estremante relativo in un punto 0, interno al suo dominio. Ne costituisce un esempio la funzione f() = 3 che è crescente in 0 pur essendo f (0) = 0. La condizione necessaria espressa dal teorema 6.3 viene anche detta condizione del primo ordine. Essa opera una prima selezione: affinché un punto 0 (interno al dominio di una funzione f derivabile) sia un estremenate, deve almeno annullare la derivata prima di f. I punti che non sono soluzione dell equazione f () = 0 sicuramente non sono estremanti. Il fatto che la derivata prima si annulli nel punto 0 non ci assicura che in quel punto la funzione abbia un minimo o un massimo. Potrebbe avere un flesso orizzontale o addirittura potrebbero presentarsi situazioni ancora piú complicate. Occorre quindi necessariamente studiare il segno della derivata prima nei punti a sinistra e nei punti a destra di 0. Teorema 6.4. Sia 0 un punto che, assieme alla derivata prima, annulla tutte le derivate della funzione f fino a quella di ordine n-, ma non quella di ordine n: f ( 0 ) = f ( 0 ) = f ( 0 ) = = f (n ) ( 0 ) = 0 con f (n) ( 0 ) 0. Se n é pari, il punto 0 é di massimo quando risulta f (n) ( 0 ) < 0 e di minimo quando risulta f (n) ( 0 ) > 0; se n é dispari il punto 0 non é né di massimo né di minimo. 20 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
21 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Teorema 6.5. Sia 0 tale che f ( 0 ) = 0 e sia f una funzione continua in 0. Se δ > 0 tale che: i: f () > 0, ( 0 δ, 0 ) e f () < 0, ( 0, 0 + δ), allora f( 0 ) è un massimo locale ii: f () < 0, ( 0 δ, 0 ) e f () > 0, ( 0, 0 + δ), allora f( 0 ) è un minimo locale iii: f () ha lo stesso segno su ( 0 δ, 0 ) ( 0, 0 + δ), allora f( 0 ) non è un estremo locale (ossia né un massimo, né un minimo). Teorema 6.6. Sia f una funzione derivabile in tutti i punti interni dell insieme A di definizione: i: se f () > 0, interno ad A, allora f() è crescente in A; ii: se f () < 0, interno ad A, allora f() è decrescente in A; iii: se f () = 0, interno ad A, allora f() è costante in A. Proof. Dimostriamo il caso (i). Per il teorema del valor medio, esiste almeno un c A tale che f (c) = f( 2) f( ) 2 con < 2. Per ipotesi f () > 0 e quindi f (c) > 0, per cui f( 2 ) f( ) > 0 2 Tale frazione è maggiore di zero se il numeratore è maggiore di zero, ossia f( 2 ) > f( ), pertanto la funzione è crescente. Si osservi che la (i) e la (ii) sono condizioni sufficienti, ma non necessarie (la funzione f() = 3 è crescente su R, ma f (0) = 0). La (iii) esprime invece una condizione necessaria e sufficiente, ossia vale la doppia implicazione: f () = 0 f è costante I punti di massimo e minimo relativo sono stati ricercati nell ipotesi che tali punti fossero interni al dominio della funzione e che questa fosse derivabile. Senza queste ipotesi restrittive, giá la condizione f () = 0 non é piú necessariamente soddisfatta dagli estremanti, come accade nel punto 0 = 0 delle funzioni rappresentate nella figura 6. Per la funzione y = la derivata nel punto 0 = 0 non esiste. Per la funzione y =, la derivata prima in 0 = 0, f ( 0 ), é diversa da 0. In entrambi i casi 0 é un estremante della funzione. Per arrivare a conclusioni generali occore dunque aggiungere, ai punti critici ottenuti con le precedenti regole, lo studio dei punti in cui la funzione non é derivabile e dei punti di frontiera del suo dominio. Confrontando le immagini dei punti cosí individuati, si perverrá alla determinazione degli eventuali punti di massimo e minimo assoluti. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 2
22 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Figure 6. Funzioni con estremanti per cui risulta f ( 0 ) = oppure f ( 0 ) 0. Esempio 6. Determinare in quali intervalli la funzione f() = è crescente o decrescente. Si osservi che la f() è definita, continua e derivabile su tutto R. La sua derivata è f () = = 4( + 2)( ) 2 ( 3) Vediamo qual è il segno di f (). In particolare ( 3) ( ) 2 ( + 2) Quindi f() è crescente su (, 2), decrescente su ( 2, 3) e crescente su (3, + ). Esempio 6.2 Determinare i punti critici della funzione f() = 3 2. Dalla definizione di punto critico, sappiano che i valori di per cui f () = 0 sono punti critici, quindi Quindi, = 0 è un punto critico. f () = 2 = 0 per = 0 22 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
23 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Esempio 6.3 Sia f() = Determinare i punti critici. Si osservi che { se + 0 f() = ( + ) + 2 se + < 0 quindi { se > f () = se < I punti critici vanno ricercati dove si annulla la derivata prima o dove la derivata prima non esiste. In questo caso f () 0 sempre. Per = la derivata prima non esiste. Per =, f( ) = 2 < f(), R e. Quindi = é un punto critico. Esempio 6.4 Determinare i punti critici della funzione f() = 2 2. { f() = 2 2 se ( 2 2) se 2 2 < 0 ossia f() = { 2 2 se 2 oppure 2 ( 2 2) se 2 < < 2 La derivata prima vale { 2 se < 2 oppure > 2 f () = 2 se 2 < < 2 In questo caso, f () = 0 per = 0, inoltre, in = 2 la derivata f () non esiste. Quindi i punti critici sono = 0 e = 2. A tal fine si osservi la figura 7. Esempio 6.5 Determinare i punti critici della funzione f() =. Si osservi che f() è definita in (, ) (, + ) e che anche f () = è definita sullo stesso dominio. In = f () non ( ) 2 esiste, ma = non è un punto critico in quanto non appartenente al dominio di f(). D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 23
24 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Figure 7. Punti critici della funzione f() = 2 2 Figure 8. Punti critici delle funzioni f() e g() dell esempio D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
25 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Figure 9. Punti critici della funzione g() = Esempio 6.6 (Figura 8) { 7 2 se 2 { + 2 se (i) f() = se > 2 (ii) g() = 5 se > Nel caso (i), in = 2 la funzione è continua ma f (2) non esiste. In = 2 la funzione non assume nè massimo nè minimo in quanto f () < 0 in (2 δ, 2) (2, 2 + δ). Per quanto riguarda il caso (ii), f () in = non esiste e, sebbene f () > 0 in ( δ, ) e f () < 0 in (, + δ), in = la funzione non è continua e quindi non possiamo dire nulla in base al teorema, visto che esso NON può essere applicato. Come si vede dalla figura 8, tuttavia, il punto = è un punto di massimo (locale e assoluto). Vi sono casi in cui è difficile determinare il segno di f nell intorno del punto critico. Inoltre, è importante fornire una condizione sufficiente affinchè un punto critico possa essere identificato come un massimo o un minimo. Questa condizione si basa sullo studio del segno della derivata seconda, f (), e prende il nome di condizione del secondo ordine. Teorema 6.7 (Test della derivata seconda). Sia f (c) = 0 e si ipotizzi che esiste f (c). Allora: i: se f (c) > 0, f(c) è un minimo locale ii: se f (c) < 0, f(c) è un massimo locale Nulla si può concludere se f (c) = 0. Se f (c) = 0 non possiamo concludere che f(c) non sia estremo. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 25
26 6. Punti di massimo e di minimo. Funzioni cescenti e decrescenti Esempio 6.7 Determinare gli estremi delle seguenti funzioni (i) f() = ; (ii) g() = ; (iii) h() = 2 2 i: f () = = 0; = 2 2 (2 3) = 0; i punti critici sono = 0 e = 3 2. Studiamo il segno della derivata prima: min Quindi in = 0 non abbiamo estremi (vedremo in seguito che f(0) è un flesso). Mentre, in = 3 si ha un minimo. 2( ) 3 In particolare f = ii: g () = = ( + ) = 0. Si osservi che in = 0, g () non esiste e che g () si annulla in =. Pertanto, ma min Dalla figura 9 si evince che in = 0 la funzione assume un minimo. iii: Come già visto, per h() = 2 2 abbiamo che { 2 se < 2 oppure > 2 h () = 2 se 2 < < 2 e h () = 0 in = 0, mentre, h () non esiste in = 2. Studiamo il segno di h (). Se < 2 e > 2, allora f () = 2, e quindi per < 2, f () < 0 mentre per > 2, f () > 0. Se 2 < < 2, allora f () = 2, quindi, per 2 < < 0, f () > 0 e per 0 < < 2, f () < min ma min 26 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
27 7. Concavità e convessità Esempio 6.8 Siano date le funzione f() = 3, g() = 4 e h() = 4. Esse hanno un punto critico in c = 0. Se applichiamo il test della derivata seconda osserviamo che f () = 6 con f (0) = 0; g () = 2 2 con g (0) = 0; h () = 2 2 con h (0) = 0. Nel primo caso, f() in c = 0 non ha nè massimo nè minimo; nel secondo caso, g() assume un minimo in = 0; infine, nel terzo caso, h() assume in = 0 un massimo. Lo studente verifichi che il test della derivata prima permette di giungere alle tre conclusioni senza ispezione dei grafici delle tre funzioni. Esempio 6.9 Determinare gli estremi della seguente funzione: (i) f() = ; (i) Calcoliamo le derivate, prima e seconda di f(): f () = e f () = 2 6. Poniamo a zero la derivata prima al fine di determinare i punti critici. Possiamo fattorizzare f () ottenendo 6( 2)( + ) = 0 da cui i punti critici risultano essere = 2 e =. Per tali punti f (2) = 8 > 0 e f ( ) = 8 < 0. Pertanto,f(2) è un minimo mentre f( ) è un massimo. 7. Concavità e convessità Lo studio del segno della derivata prima permette l individuazione dei valori estremi di una funzione. Vedremo adesso come lo studio del segno della derivata seconda permetta di stabilire in quali intervalli la funzione sia concava o convessa. Teorema 7.. Condizione necessaria e sufficiente perché una funzione f sia convessa (concava) in un intervallo [a, b] é che la sua derivata f sia crescente (decrescente) su [a, b]. Teorema 7.2. Condizione necessaria e sufficiente perché una funzione f, derivabile due volte nell intervallo [a, b], sia convessa (concava) é che [a, b] risulti f () 0 (f () 0). Teorema 7.3. Condizione necessaria e sufficiente perché una funzione derivabile f sia convessa (concava) in un intervallo [a, b] é che il suo diagramma si trovi sempre al di sopra (al di sotto), o per lo meno non al di sotto (non al di sopra), di quello della retta tangente al diagramma stesso in un generico punto [a, b]. Si noti che, nella definizione di funzione concava e convessa la necessità che la funzione sia derivabile nell intervallo aperto (a, b) segue dalla D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 27
28 7. Concavità e convessità necessità di poter definire la retta tangente ad f in ogni punto di tale intervallo. Se si indica con t() = f( 0 ) + f ( 0 ) ( 0 ) la retta tangente ad f nel punto ( 0, f( 0 )), la funzione è convessa nell intervallo (a, b) se 0 (a, b) e, dato 0, [a, b] si ha che: f() t() = f( 0 ) + f ( 0 ) ( 0 ). In modo analogo, la funzione sarà concava in (a, b) se 0 (a, b) e, dato 0, [a, b] risulta: f() t() = f( 0 ) + f ( 0 ) ( 0 ). Nella figura 0 è riportato il grafico di una funzione convessa nell intervallo (, 0.29), concava nell intervallo (0.29,.7) e (ancora) convessa nell intervallo (.7, + ). Si noti che nei punti F e G in figura, di ascissa 0.29 e.7, rispettivamente, avviene il cambiamento da concava a convessa e viceversa. In tali punti, che prendono il nome di punti di flesso la funzione NON è né concava né convessa. Figure 0. Grafico di una funzione convessa nell intervallo (, 0.29), concava nell intervallo (0.29,.7) e (ancora) convessa nell intervallo (.7, ) Definizione Un punto 0 (a, b) si dice punto di flesso per la funzione f : (a, b) R se δ > 0 tale che f risulti convessa nell intervallo ( 0 δ, 0 ) e concava nell intervallo ( 0, 0 + δ), o viceversa. 28 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
29 7. Concavità e convessità Teorema 7.4. Se il punto ( 0, f( 0 )) è un punto di flesso allora f ( 0 ) = 0 oppure f ( 0 ) non esiste. Come per i punti critici, il teorema precedente fornisce una condizione necessaria ma non sufficiente: ( 0, f( 0 )) è un punto di flesso f ( 0 ) = 0 o f ( 0 ) non esiste. Si noti che NON è sempre vera l implicazione inversa (per esempio la funzione y = 4 ammette derivata seconda che si annulla in 0 = 0, ma il punto (0,0) non è un flesso). Esempio 7. Determinare gli eventuali punti di flesso, nonché gli intervalli di concavità e convessità delle seguenti funzioni: (i) f() = ; (ii) g() = ; (i) Determiniamo f () e f (). Queste sono, rispettivamente, f () = e f () = 6 2. Si osservi che f () = 0 per = 2. Tramite lo studio del segno di f () riportato in Fig. possiamo individuare in quale intervallo f() è convessa e in quale è concava. In particolare, si ottiene che f() è concava in (, 2) e convessa in (2, ). Il punto (2, f(2)) è un punto di flesso. Figure. Concavità e convessità della funzione f() = (ii) Le derivate prima e seconda di g() sono: g () = e g () = La derivata seconda non si annulla mai ed è discontinua in = 0. Questo è dunque un potenziale punto di flesso. In Fig.2 è riportato lo studio del segno di g (), da cui si evince che g() è concava in (, 0) e convessa in (0, ). Lo studente determini gli eventuali punti di massimo e minimo di f() e g(). D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 29
30 8. Asintoti Figure 2. Concavità e convessità della funzione g() = Figure 3. ESERCIZIO (di approfondimento): Determinare gli intervalli in cui la f() è crescente e decrescente. 8. Asintoti Definizione Un asintoto é una retta tale che la distanza tra essa e la funzione y = f() tende a 0 per ± (asintoti orizzontali o obliqui) o per che tende ad un punto ove la f non é definita o é discontinua (asintoti verticali). Possiamo classificare tre tipi di asintoti: 30 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
31 8. Asintoti i: Asintoti Verticali Si dice che la retta = 0 é un asintoto verticale per la funzione y = f() se c é un punto singolare 0 (punto di accumulazione escluso dal dominio) in cui si abbia oppure f() = ± f() = ± In pratica la curva si avvicina sempre piú alla retta di equazione = 0 senza mai attraversarla né toccarla. La ricerca degli asintoti verticali deve quindi avvenire nell intorno di quel (quei) valore(i) 0, se esiste (se esistono), in cui la funzione non é definita. Pertanto una funzione che non abbia punti singolari non puó avere asintoti verticali. ii: Asintoti Orizzontali Si dice che la retta di equazione y = k é un asintoto orizzontale per la funzione y = f() se si verifica una delle seguenti condizioni: oppure f() = k + f() = k dove k un numero reale. In pratica la curva si avvicina sempre pi ad una retta di equazione y = k ed in questo caso é il numero k quel che dobbiamo determinare. iii: Asintoti Obliqui Se non esiste l asintoto orizzontale dobbiamo cercare l eventuale asintoto obliquo (sia per tendente a +, che per tendente a ). La retta di equazione y = a + b (dove a 0, altrimenti si tratterebbe di un asintoto orizzontale) si dice asintoto obliquo se il grafico della funzione si avvicina ad essa, al tendere di verso piú o meno infinito. Bisogna quindi determinare i valori A (coefficiente angolare) e b (ordinata allorigine). D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 3
32 9. Indicazioni per lo studio di una funzione Si ha: e f() ± = a, con a R e a 0 f() a = b, con b R. ± Evidentemente possono presentarsi simultaneamente l asintoto per + (asintoto destro) e (asintoto sinistro) che in generale sono distinti, ovvero uno soltanto dei due. y y=a+b y=k =0 Figure 4. Grafico di una funzione che presenta i tre tipi di asintoto. 9. Indicazioni per lo studio di una funzione Le operazioni da compiere per effettuare lo studio di funzione sono: Determinazione dell insieme di definizione (o dominio) della funzione, cioé il sottoinsieme dei numeri reali piú esteso entro il quale l espressione che definisce la funzione non perda di senso; 32 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
33 9. Indicazioni per lo studio di una funzione Simmetrie e periodicitá. Se individuate, semplificano notevolmente lo studio della funzione; Intersezioni con gli assi e segno della funzione. Si opera come segue: intersezioni con l asse, basta sostituire nell espressione algebrica della funzione alla y il valore 0 e risolvere, se possibile, l equazione. intersezione con l asse y. Esiste solamente se lo 0 (zero) appartiene al dominio della funzione, nel qual caso questa intersezione é unica per definizione stessa di una funzione, e sará il punto di coordinate (0, f(0)). In questa fase, si studia anche il segno della funzione, cioé ci si chiede quando la funzione é positiva (sopra l asse ) o negativa (al di sotto dell asse ); Calcolo dei iti agli estremi del campo d esistenza e nei punti singolari. Il calcolo dei iti permette di verificare la continuitá di una funzione o di valutarne le discontinuitá. Con il calcolo dei iti si é in grado anche di individuare l esistenza di eventuali asintoti verticali, orizzontali o obliqui. La presenza dell asintoto orizzontale esclude la presenza di quello obliquo. Da notare che potranno esserci da zero a infiniti asintoti verticali, da zero a due asintoti orizzontali, da zero a due asintoti obliqui; Massimi, minimi, crescenza e descrescenza della funzione. Si effettua il calcolo della derivata prima della funzione per studiarne la crescenza e stabilire l esistenza di eventuali punti stazionari. Tramite lo studio del segno della derivata prima si é in grado di individuare eventuali punti di massimo o di minimo relativi; Concavitá, convessitá e flessi della funzione. Si effettua lo studio del segno della derivata seconda in modo da valutare se esistono punti di flesso (nei punti dove la derivata seconda si annulla) nonché se i punti stazionari trovati con lo studio della derivata prima sono massimi, minimi di funzione o punti di flesso a tangente orizzontale. Grafico della funzione. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 33
34 9. Indicazioni per lo studio di una funzione Figure 5. ESERCIZIO 2 (di approfondimento): Determinare massimi, minimi, flessi e intervalli di concavità e convessità delle seguenti funzioni. 34 D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio
35 9. Indicazioni per lo studio di una funzione Figure 6. ESERCIZIO 3 (di approfondimento): Determinare massimi, minimi, flessi e intervalli di concavità e convessità delle seguenti funzioni. D. Provenzano, M. Tumminello, V. Lacagnina e A. Consiglio 35
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