Vol. II anno Attualità in Scienze della Nutrizione Umana - Scienze dietetiche e Nutrizione Clinica Riservato ai Soci Nutri.

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1 NUTRI.PROF magazine Federazione Nutrizionisti Italiani Associazione di riferimento nazionale per Medici, Biologi e Dietisti Vol. II anno 2013 magazine Attualità in Scienze della Nutrizione Umana - Scienze dietetiche e Nutrizione Clinica Riservato ai Soci Nutri.Prof - INTESTINO Una nuova nozione: MicrObesity TESSUTO OSSEO -Metabolismo del tessuto osseo: diete a confronto Dalle diete iperproteiche e con alto PraL alla dieta vegana. COMPOSIZIONE CORPOREA -Restrizione calorica e risparmio massa magra ALIMENTAZIONE E SPORT -Effetti della co-ingestione di proteine isolate del siero del latte e carboidrati sul recupero dall esercizio d endurance METABOLISMO -Restrizione calorica ed effetti metabolici su pazienti obesi e diabetici tipo 2 -Uova amiche o nemiche del colesterolo? 1

2 NUTRI.PROF magazine Federazione Nutrizionisti Italiani Associazione di riferimento nazionale per Medici, Biologi e Dietisti magazine Consente di effettuare anamnesi dettagliate, supportate da un vasto database di alimenti completo delle porzioni, costantemente aggiornato ed implementato con i valori delle principali banche dati ufficiali italiane (INRAN / IEO revisione 2008 / ADI). Il database attuale, completamente stampabile, vanta oltre alimenti/ricette e 114 componenti bromatologiche, compreso indice e carico glicemico, ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), PRAL (Potential Renal Acid Load). Garantisce flessibilità, personalizzazione e rapidità nell elaborazione della dieta in real-time. Grazie alle numerose funzioni di calcolo (attribuzione del target nutrizionale, funzione multi-equivalenza degli alimenti, frequenza di assunzione dei cibi ecc ) l utente può intervenire liberamente ed impostare la dieta secondo gli schemi preferiti: singolo giorno con alternative, dieta multigiorno o settimanale. A supporto del professionista viene fornito un archivio iniziale di piani nutrizionali per stati patologici e fisiologici personalizzabili in base alle esigenze del Paziente. Realizza la stampa della dieta in modo personalizzato attraverso molteplici opzioni. Oltre alla stampa standard con grammature e/o stampa fotografica, si può impostare un report con misure di uso casalingo e industriale. Inoltre per diete plurigiorno (da 2 a 99) è disponibile una stampa compatta (7 giorni su un foglio) e la stampa della lista della spesa. La consegna della dieta al paziente avviene tramite metodi classici (stampa cartacea) e innovativi (invio in posta elettronica). Si avvale di un gestionale anagrafico personalizzato dei pazienti. Permette l applicazione di filtri (stampabili) di selezione degli alimenti in base a vari parametri: patologie (con scelta anche multipla), intolleranze, allergie, stagionalità e gusti del paziente. Effettua la valutazione del soggetto con l analisi antropo-plicometrica bicompartimentale. Per la gestione della Paziente nella fase di gravidanza e allattamento, il modulo specifico indica l aumento del fabbisogno calorico necessario. Integra un Modulo Impedenziometrico con una sezione specifica per l inserimento dei dati derivanti da impedenziometria sia per utilizzatori di prodotti Akern (stampa e visualizzazione del BiaVector tramite immissione di resistenza e reattanza), sia per utilizzatori di prodotti di altre marche (con visualizzazione grafica dell andamento storico). Comprende un sistema esclusivo di anamnesi e prescrizione dell attività motoria che consente allo specialista di realizzare un piano dettagliato dell attività fisica del paziente, integrando la prescrizione motoria in quella dietetica come farmaco (Ricettario dell Attività Motoria). Dispone di un Modulo Pediatria che permette la valutazione dello stato nutrizionale attraverso l analisi dei percentili e dell antropo-plicometria nel bambino e nell adolescente da 0 a 17 anni. Aggiornato con le più recenti curve di crescita internazionali (OMS) e italiane (Cacciari) per peso, altezza e BMI. Il modulo LARN indica il fabbisogno dei singoli macro/micronutrienti del Paziente sano in base a sesso, età, peso e stato fisiologico segnalando in fase di elaborazione dieta gli eventuali scostamenti. Incorpora la storia clinica e gli esami di laboratorio del paziente. MètaDieta è il primo software ideato per seguire costantemente l utente grazie alla totale portabilità dei dati. L intero sistema risiede su un pendrive USB protetto, con possibilità di contenere file di backup ed eseguire l applicativo su qualsiasi pc fisso e mobile. 2

3 NUTRI.PROF magazine Federazione Nutrizionisti Italiani Associazione di riferimento nazionale per Medici, Biologi e Dietisti magazine 3

4 NUTRI.PROF magazine Federazione Nutrizionisti Italiani Associazione di riferimento nazionale per Medici, Biologi e Dietisti magazine Presidente Nutriprof: Prof. Riccardo Monaco Direttore Scientifico: Dott. Giovanni Borghini Responsabile progetto: Dott.ssa Barbara Chiarulli Collaboratori Dott.ssa Letizia Antonia D Alessandro Dott.ssa Arianna Rossoni Dott. Manuel Salvadori Dott.ssa Eleonora Spallotta Dott. Vincenzo Tortora Distribuzione esclusiva per i soci Nutriprof 4

5 Indice - MicrObesity a cura di Dott.ssa Arianna Rossoni Si analizzano le novità più recenti che possono parzialmente spiegare come i microorganismi simbionti dell uomo partecipino all accrescimento delle riserve di grasso e promuovono tanto l insulino-resistenza quanto un basso grado di infiammazione, tre determinanti che caratterizzano l obesità....pag.5 -Diete iperproteiche e rischio osteoporosi a cura di Dott.ssa Arianna Rossoni Si discute se le diete iperproteiche aumentano il rischio di osteoporosi. Lʼaumentata escrezione di calcio dovuta a diete HP non sembra essere connessa ad uno squilibrio dellʼomeostasi del calcio. Alcuni dati indicano che un intake di HP induce un aumento dellʼassorbimento di calcio a livello intestinale.. pag.22 -Diete a confronto per il benessere osseo a cura di Dott. Vincenzo Tortora Si approfondicono gli effetti di una dieta iperproteica e/o con alto potenziale di carico acido renale (PRAL) sull assorbimento/ ritenzione di calcio (Ca) e sui markers del metabolismo osseo. Studi recenti rilevano alcun cambiamento nei biomarkers di riassorbimento o di formazione ossea, indicando che una dieta iperproteica non è dannosa....pag.45 - Vegetarianismo e perdita massa ossea a cura di Dott.ssa Eleonora Spallotta Osservazione degli effetti di una dieta vegana e non sulla variazione dei biomarkers per il benessere del tessuto osseo. Non è stata trovata alcuna significativa differenza nel tasso di perdita di massa ossea tra i vegani e onnivori.... pag.55 -Diete ipocaloriche e risparmio massa magra. a cura di Dott. Vincenzo Tortora La restrizione calorica è uno dei più efficaci modi per promuovere la perdita di peso ed è noto che attivi vie metaboliche protettive. Assieme alla perdita di peso sono frequentemente riportate conseguenze indesiderate come la perdita della massa magra. Le diete ipocaloriche con aumentato introito proteico sono popolari e possono fornire benefici aggiuntivi attraverso il mantenimento della massa magra, paragonate ad una dieta normoproteica iperglucidica..pag.65 5

6 -Diete VLCD ed effetti su pazienti diabetici tipo 2. a cura di Dott. Manuel Salvadori Gli effetti metabolici della restrizione calorica (RC) di per sé potrebbero, almeno in parte, essere indipendenti dalla riduzione di peso. Studi preliminari hanno voluto constatare se, nei pazienti obesi diabetici di tipo-2, sette giorni di VLCD influiscono sul controllo glicemico attraverso cambiamenti sulle cellule β o sulla sensibilità insulinica o su entrambi.....pag.76 - Uova amiche o nemiche del colesterolo? a cura di Dott.ssa Letizia A. D Alessandro Indagine se un'alimentazione giornaliera di uova, con restrizione dei carboidrati, altera il metabolismo delle lipoproteine portando a profili lipoproteci aterogenici e se c è un influenza sull insulina resistenza in uomini e donne con sindrome metabolica..pag.82 -Effetti della co-ingestionedi proteine isolate del siero di latte e carboidrati sul recupero dall esercizio d endurance a cura di Dott. Manuel Salvadorie Dott. Vincenzo Tortora La co-ingestione di carboidrati e proteine isolate del siero del latte favorisce effetti benefici sul recupero e sugli adattamenti all allenamento d endurance attraverso un aumentata risposta insulinica ed up-regulation dell espressione del mrna del PGC-1 alfa...pag.95 6

7 Il microbiota intestinale come target terapeutico a cura di Arianna Rossoni Introduzione L obesità, il diabete di tipo 2 e l infiammazione cronica di basso grado stanno diventando epidemie mondiali. In questo contesto, la letteratura ha ideato un nuovo concetto chiamato MicrObesity (dalla crasi di Microbi e Obesità) che si propone di decifrare il ruolo specifico della disbiosi e il suo impatto sul metabolismo e sulle scorte energetiche dell ospite. Analizzaremo le novità più recenti che possono parzialmente spiegare come i microorganismi simbionti dell uomo partecipino all accrescimento delle riserve di grasso e promuovono tanto l insulino-resistenza quanto un basso grado di infiammazione - tre determinanti che caratterizzano l obesità. Negli anni recenti sono stati proposti numerosi meccanismi e sono state identificate diverse proteine. Tra i fattori collegati al microbiota intestinale che determinano l aumento delle riserve adipose si annoverano: il fattore adiposo indotto dal digiuno, la protein chinasi AMPattivata, il recettore 41 e il recettore 43 accoppaiti alle G-protein. Inoltre, la scoperta che un basso grado di infiammazione potrebbe essere direttamente collegato al microbiota intestinale attraverso l endotossiemia metabolica (elevati livelli di lipopolisaccaridi plasmatici) ha permesso l identificazione di nuovi meccanismi coinvolti nel controllo della barriera intestinale. Tra questi si sono investigati: l incidenza del glucagon-like peptide-2, il sistema degli endocannabinoidi e alcuni batteri specifici (ad es. Bifidobacterium spp.). In aggiunta, l avvento dei trattamenti con probiotici e prebiotici sembra essere un promettente approccio farmaco-nutrizionale per far regredire l alterazione metabolica dell ospite collegata alla disbiosi osservata in obesità. Nonostante i recenti ed efficaci approcci biologici ai sistemi molecolari abbiano offerto una panoramica veramente ottima in questo piccolo mondo interiore, sono necessari più studi che svelino come cambiamenti specifici al microbiota intestinale possano influenzare o contrastare lo sviluppo dell obesità e patologie correlate. Evidenze convincenti supportano la concezione che l obesità sia influenzata tanto dallo stile di vita quanto dalla suscettibilità del soggetto. L idea più diffusa circa le cause di obesità è quella di uno sbilancio tra ingresso e uscita energetica. Nonostante questa ipotesi sia largamente accettata, l incidenza sempre crescente di obesità negli ultimi 30 anni non può essere spiegata semplicemente con fattori genetici. L obesità è classicamente associata ad un ampio insieme di alterazioni metaboliche che includono intolleranza al glucosio, diabete di tipo 2, ipertensione, dislipidemia, disordini della fibrinolisi, malattie cardiovascolari e steatosi epatica non alcolica (NAFLD) (Eckel et al., 2005; Ogden et al., 2007). La maggior parte di queste alterazioni è collegata all omeostasi del glucosio e allo sviluppo di malattie cardiovascolari, che possono probabilmente risultare da una combinazione di associazioni variabili tra genetica e fattori ambientali (Alberti et al., 2005; Kahn et al., 2006; Matarese et al., 2007). In aggiunta alle cause di quest epidemia mondiale, l obesità è stata associata con un infiammazione cronica di basso grado che contribuisce allo sviluppo di insulinoresistenza, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari (Hotamisligil, 2008; Shoelson and Goldfine, 2009). I meccanismi che sottostanno all obesità, all aumento di massa grassa e allo sviluppo di infiammazione non sono ancora stati completamente chiariti. 7

8 Nei decenni precedenti sono stati indagati intensamente alcuni processi fisiologici che regolano il peso corporeo e l omeostasi energetica, compresi i segnali periferici e centrali che controllano l assunzione di cibo e la loro integrazione (Small & Bloom, 2004; Wynne et al., 2005; Levin, 2006; Chaudhri et al., 2008; Neary & Batterham, 2009). Discuteremo dell importanza di uno specifico fattore ambientale che evolve con noi e con le nostre abitudini dietetiche dalla nascita alla morte, e che contribuisce all obesità: il microbiota intestinale. Il microbiota intestinale: il nostro piccolo mondo interiore Da quando nel Novecento Robert Koch e Ilya Mechnikov sono stati insigniti di due Nobel in fisiologia e medicina per le loro scoperte che collegavano i microbi e la salute umana, si è indagato sui diversi determinanti dell interazione tra ospite e microbiota sia in senso spaziale (pelle, bocca e intestino) sia temporale (nascita e senilità). Sappiamo che il microbiota umano consiste in trilioni di microorganismi, un numero 10 volte superiore a quello delle cellule che esistono nel corpo umano (Savage, 1977); è facilmente capibile che sia gli uomini che i microbi sono continuamente influenzati dalla loro costante e intima storia co-evoluzionistica. In più, il microbioma codifica un consorzio di geni superiore il genoma umano di circa 150 volte. Questi dati messi insieme portano alla sorprendente conclusione che noi non siamo 100% umani, ma solo al 10% umani e al 90% microbi (Fig.1). Nello specifico è risaputo che in questo piccolo mondo interiore l intestino provvede ad un importante ruolo biologico e a funzioni metaboliche non potrebbero essere espletate dal metabolismo umano (Jia et al., 2008). Questa complessa simbiosi e il suo sviluppo sono probabilmente dipendenti dalle interazioni tra la genetica ospite-microbi e l ambiente (Ley et al., 2006a; Khachatryan et al., 2008). Nonostante l esatta composizione del microbiota intestinale non sia conosciuta, avanzate tecnologie in metagenomica hanno recentemente iniziato a sondare i nostri partner microbi (il microbioma umano) (Qin et al., 2010). E stato stimato che ciascun individuo ospiti almeno 160 specie da un consorzio di specie batteriche prevalenti (Qin et al., 2010). Tra questi batteri, il 90% dei filotipi è membro di due phyla (Bacteroidetes e Firmicutes), seguiti da Actinobacteria e Proteobacteria (Eckburg et al., 2005; Ley et al., 2005; Qin et al., 2010) (Fig.1). Molto importante è far notare che a causa della difficoltà di ottenere campioni da regioni differenti dell intestino, la maggior parte degli studi che hanno investigato l ecologia e l attività del microbiota nel tratto intestinale sono stati condotti usando campioni fecali (Robertfroid et al., 2010). Figura 1 Il piccolo mondo interiore. Noi siamo composti da diverse specie: eucarioti, batteri e archibatteri. Con una densità pari a 1011 cellule/g nel colon, è stato stimato che il censimento dei nostri microbi supera quello delle cellule eucariote di 10 volte portando alla stupefacente conclusione che noi non siamo al 100% umani, ma al 90% microbi e al 10% umani. 8

9 La comunità microbiotica dell intestino osservata nei campioni fecali non è rappresentativa al 100% dell intero piccolo intestino: quest obiezione deve essere tenuta in considerazione, e usata per incentivare ulteriori ricerche maggiormente specifiche. L evidenza per l interazione tra il microbiota intestinale e l omeostasi energetica Quest aumento di massa grassa era anche più pronunciata quando la comunità microbiotica dell intestino era derivata da topi geneticamente obesi (ob/ob) (Turnbaugh et al.,2006). Questi risultati sono probabilmente dovuti a differenze esistenti nel microbioma di topi magri e obesi e nei metaboliti derivati. In quest ottica, Ley et al. hanno dimostrato che topi obesi esibiscono una notevole differenza nella ripartizione dei due maggiori phyla (Firmicutes e Bacteroidetes), con un rapporto Firmicutes/Bacteroidetes maggiore nel cieco dei topi obesi rispetto a quello dei topi magri (Ley et al., 2005). Per spiegare questi interessanti esperimenti che collegano la composizione della comunità microbiotica dell intestino all omeostasi energetica sono stati proposti una serie di meccanismi. Una prima ipotesi suggerita dai ricercatori è stata l idea che la convezionalizzazione del microbiota intestinale risulti in un raddoppio della densità di capillari sull epitelio dei villi intestinali, cosa che potrebbe promuovere l assorbimento intestinale di Al giorno d oggi molta attenzione viene riservata al ruolo del microbiota intestinale in relazione all omeostasi energetica e alle funzioni metaboliche del soggetto-ospite. Per questo motivo il microbiota intestinale è stato recentemente proposto come un fattore ambientale coinvolto nel peso corporeo e nell omeostasi energetica (Backhed et al., 2004, 2005, 2007; Ley et al., 2005, 2006b; Turnbaugh et al., 2006). Questo organo interiorizzato contribuisce alla nostra omeostasi attraverso molteplici funzioni metaboliche e diversi meccanismi di controllo coinvolti nell estrazione delle calorie dagli alimenti ingeriti, e aiuta a stoccare queste calorie monosaccaridi (Staooenbeck et al., 2002). nel tessuto adiposo del soggetto per un utilizzo successivo. Ad oggi, la prova inequivocabile per il ruolo del microbiota intestinale nella gestione dell omeostasi energetica proviene da studi eseguiti su topi privi di flora intestinale (Backhed et al., 2004, 2007; Fleissner et al.,2010; Rabot et al., 2010). Ad esempio, i topi cresciuti in assenza di microorganismi (condizioni di sterilità prive di batteri e germi) erano più magri del 40% (meno grasso corporeo) rispetto a topi che vivevano con un microbiota intestinale normale (topi con colonizzazione dell intestino alla nascita o per Inoculazione, detti topi convenzionalizati), sebbene questi ultimi mangiassero circa il 30% in meno rispetto ai topi asettici (Backhed et al., 2004). In maniera più notevole, la convezionalizzazione dei topi asettici con microbi prelevati dal cieco di un topo magro induceva un ragguardevole aumento del peso corporeo (massa grassa totale) entro due settimane, sebbene la sua assunzione di cibo diminuisse (Backhed et al., 2004). Una seconda ipotesi è collegata all estrazione di energie da componenti di cibo indigerito, che sarebbero direttamente fermentati in acidi grassi da catena corta (SCFAs), i quali potrebbero da ultimo partecipare alla lipogenesi epatica de novo attraverso l espressione di diversi enzimi chiave come l acetil CoA carbossilasi (ACC) e la sintetasi di acidi grassi (FAS). Sia ACC che FAS sono controllati dalla proteina legante l elemento responsivo ai carboidrati (ChREBP) e dalla proteina legante l elemento responsivo agli steroli (SREBP-1) (Denechaud et al., 2008). In accordo a ciò, Backhed e colleghi hanno dimostrato che la convezionalizzazione di topi sterili promuove a livello epatico l espressione di ChREBP e SREBP-1 (Backhed et al., 2004) (Fig.2). E interessante notare che lo sviluppo del tessuto adiposo osservato a seguito della colonizzazione dell intestino con microbi non è direttamente spiegato dalla modulazione della differenziazione o lipogenesi del tessuto adiposo. 9

10 Figura 2 Il microbiota intestinale aumenta lo stoccaggio di energie. Il microbiota potrebbe essere coinvolto in questo stoccaggio attraverso diversi meccanismi, dimostrati in larga parte in topi asettici. Attraverso l aumento della produzione e dell assorbimento di acidi grassi a catena corta, il microbiota intestinale provvede a fornire substrati lipogenici all ospite, e dunque aumenta la sua lipogenesi epatica e il suo accumulo di grassi attraverso svariati meccanismi. Ad esempio attraverso la soppressione del fattore adiposo indotto dal digiuno (FIAF) nell intestino il microbiota intestinale controlla indirettamente l attività dell enzima lipoprotein lipasi (LPL). Inoltre, SCFA partecipa all accumulo di grasso attraverso GPR41 e GPR43. Infine, in risposta a una dieta ad elevato contenuto di grassi, il microbiota intestinale inibisce l ossidazione di acidi grassi dipendente da AMPK; comunque dovrebbe essere tenuto in considerazione che esistono altri meccanismi diretti o indiretti (linea tratteggiata). E stato proposto un ruolo per la lipoproteina lipasi degli adipociti (LPL). Coerentemente con questa ipotesi, gli autori hanno suggerito che il microbiota intestinale promuove l accumulo di grassi attraverso un meccanismo che lega i trigliceridi circolanti con la soppressione dell espressione intestinale di un inibitore della LPL (FIAF, fattore adiposo indotto dal digiuno) (Backhed et al., 2004). FIAF inibisce l attività di LPL, dunque diminuisce il rilascio di acidi grassi dai triacilgliceroli circolanti. Dunque, a seguito della colonizzazione dell intestino dal microbiota, l espressione di FIAF è ridotta e ciò porta a una maggiore attività di LPL e a un maggiore accumulo di grasso corporeo (Backhed et al., 2004) (Fig.2). In accordo con quest ipotesi, gli autori hanno trovato che topi carenti di FIAF erano anche resistenti all aumento di peso corporeo indotto dal microbiota intestinale (Backhed et al., 2004). Ad ogni modo, un recente studio ha suggerito che il meccanismo FIAF non è universalmente associato allo sviluppo di massa grassa determinata dal microbiota intestinale. Per esempio, è stato recentemente dimostrato che topi asettici sottoposti a dieta ricca di grassi mostravano un aumento dell espressione intestinale di mrna di FIAF senza cambiamenti nei livelli di FIAF circolanti quando comparati a topi convenzionalizzati (Fleissner et al., 2010). Una terza ipotesi esplora ulteriormente i meccanismi che sottostanno alla relazione esistente tra la resistenza di topi asettici all obesità dieto-indotta (dieta ricca di grassi) e a disordini metabolici associati (Fig.3) (Backhed et al., 2007). 10

11 In questo studio, l attivazione di protein chinasi attivate da AMP (AMPK) spiega l apparente resistenza di topi asettici allo sviluppo di obesità in risposta a una dieta ricca di grassi (Backhed et al., 2007). Più precisamente, si è scoperto che il microbiota intestinale sopprime l ossidazione di acidi grassi guidata da AMPK nel fegato e nel muscolo scheletrico (Backhed et al., 2007) (Fig.3). Una quarta ipotesi coinvolge invece SCFAs. Samuel et al. hanno dimostrato che topi con una specifica comunità microbica fermentativa ai quali è stata soppressa l espressione del recettore 41 accoppiato a G-protein (GPR41) resistono all aumento di grasso in modo migliore rispetto ai loro fratelli che esprimono tale recettore (Samuel et al., 2008). SCFAs agiscono come molecole di segnale e sono ligandi specifici per almeno due recettori accoppiati a G-protein, GPR41 e GPR43 (Le et al., 2003). In accordo con il potenziale ruolo giocato da queste GPRs nello sviluppo di massa grassa, un recente studio ha dimostrato che topi ai quali è stato soppresso il recettore 43 accoppiato a G- protein (GPR43) sono resistenti all obesità indotta dalla dieta (Bjursell et al., 2011). Di conseguenza quest insieme di esperimenti supporta fortemente l idea che metaboliti specifici provenienti dall intestino (ad es.scfas) agiscano in svariati modi (ad es. come substrati energetici e come regolatori metabolici) (Fig.3). L idea originale che il microbiota intestinale contribuisca all estrazione di energia dalla dieta attraverso una maggior produzione di SCFAs è stata ostacolata da numerosi paradossi. Per esempio non è chiaro in che modo la maggior quantità di SCFAs trovata nelle feci di animali o soggetti obesi possa direttamente contribuire allo sviluppo di massa grassa e aumento del peso corporeo (Ley et at., 2005, 2006b; Turnbaugh et al., 2006). Figura 3 Il microbiota intestinale è coinvolto nella genesi di disordini metabolici associati ad obesità: un modello. L obesità nutrizionale (dieta ad alto contenuto di grassi) e genetica (topi ob/ob) è associata ad una disbiosi intestinale. Questo porta a determinare la permeabilità intestinale (un alterata distribuzione delle proteine delle giunzioni serrate ZO-1 e occludine), promuovendo l endotosisemia metabolica e iniziando lo sviluppo di un basso grado di infiammazione e di insulino-resistenza nel fegato, nei muscoli e nel tessuto adiposo. 11

12 Al contrario rispetto agli esperimenti standard condotti con una dieta a pasti, i topi asettici alimentati con diete ad alto contenuto di grassi erano resistenti all obesità indotta dalla dieta tipica occidentale, mentre l intake energetico e il contenuto energetico fecale erano equivalenti nei topi asettici e nei topi convenzionalizzati. I nostri risultati indicano inoltre che una dieta arricchita con specifici carboidrati non digeribili porta a una maggiore produzione intestinale di SCFA ed è dunque in grado di rallentare l aumento ponderale, lo sviluppo di massa grassa e la severità dei casi di diabete (Cani et al., 2004, 2005a, b, 2006a, b). Questi specifici carboidrati non digeribili rappresentano il concetto proprio dei prebiotici: La stimolazione selettiva della crescita e/o della/e attività di uno o più generi/specie microbiche nella flora batterica intestinale che conferiscono benefici salutistici all ospite (Roberfroid et al., 2010). In più, queste componenti prebiotiche promuovono l aumento e lo sviluppo di ceppi batterici abili a digerire polisaccaridi e fornire energia in più all ospite, andando al contempo ad aumentare la massa totale dei batteri nel colon (Kleessen et al., 2001; Kolida et al., 2007, 2006). Sono stati pubblicati solo pochi ma promettenti studi riguardanti potenziali approcci terapeutici basati sulla modulazione del microbiota intestinale umano. E ben conosciuto che specifici cambiamenti nella composizione del microbiota attraverso l uso di prebiotici possa promuovere in maniera molto consistente la produzione di SCFA (Roberfroid et al., 2010). E interessante notare che questo fenomeno è stato associato a cambiamenti nel modo di alimentarsi grazie ad un meccanismo collegato alla modulazione della produzione e secrezione di peptidi intestinali (ad es. peptide-1 glucagonlike [GLP-1], peptide-yy e grelina). Per esempio, in soggetti in salute, l introduzione di fruttani inulino-simili (18-20 g/giorno) ha significativamente aumentato la fermentazione del microbiota intestinale (Piche et al., 2003; Cani et al., 2009a). In questi studi, l integrazione con prebiotici era associata a un aumento dei livelli plasmatici di GLP-1 (Piche et al., 2003; Cani et al., 2009a) e di peptide-yy (Cani et al., 2009a). In due studi differenti la fermentazione di prebiotici da parte del microbiota intestinale è stata messa in relazione a più bassi livelli di fame e aumento della sazietà, e di conseguenza ad una diminuzione dell intake energetico totale di circa il 10% (Cani et al., 2006a, 2009a). Altri due studi, uno di Archer et al. (2004) e uno di Whelan et al. (2006), hanno confermato che la fermentazione di carboidrati non digeribili da parte del microbiota intestinale era in grado di controllare il comportamento che porta all assunzione di cibo e l impatto sull intake energetico. E importante notare che cambiamenti nel microbiota intestinale indotti dai prebiotici in pazienti obesi diminuiscono i livelli circolanti di grelina e aumentano quelli di peptide-yy (Parnell & Reimer, 2009). Ad ogni modo, alcune pubblicazioni riportano che dosi massicce ma anche molto blande (<8g/giorno) di prebiotici non incidono necessariamente sull appetito (Peters et al., 2009; Hess et al., 2011). Uno studio recente ha dimostrato che una singola dose di prebiotici (ad es.inulina) è in grado di aumentare significativamente i livelli plasmatici postprandiali di GLP-1 e di diminuire i livelli plasmatici di grelina (Tarini & Wolever, 2010). Questa scoperta contraddice la precedente idea che solo una modulazione persistente e prolungata sia necessaria a determinare effetti sulla funzione endocrina dell intestino. Per quanto riguarda i meccanismi coinvolti nella secrezione endogena di peptidi intestinali, è stato proposto che SCFAs entrino direttamente in azione a seguito della fermentazione intestinale. Per esempio, alcuni autori hanno proposto che l acetato giochi un ruolo in questa regolazione importante, dal momento che hanno scoperto che la modulazione di SCFAs plasmatici è collegata a cambiamenti nei peptidi intestinali coinvolti nella regolazione dell appetito, ma anche ad una diminuzione di marker d infiammazione in soggetti insulinoresistenti (Freeland et al., 2010a; Freeland & Wolever, 2010). 12

13 I dati a nostra disposizione supportano la convinzione che il flusso metabolico dipendente dal microbiota giochi un ruolo nella regolazione delle riserve energetiche del corpo non sempre intese solo come riserve di grasso. La complessità del microbiota intestinale è tutt ora sotto indagine sia in uomini magri che obesi. Sebbene diversi studi osservazionali abbiano associato alcuni specifici phyla o ceppi ad obesità (Ley, 2010) o ad anoressia (Armougom et al., 2009), esistono risultati discordanti. Al di là di queste discrepanze, interventi terapeutici o modulazioni specifiche della composizione del microbiota intestinale attraverso l uso di prebiotici sono stati efficaci a dimostrare la crescita e l espansione di alcuni ceppi batterici, la cui presenza è spesso associata a effetti benefici per la salute (ad es.bifidobacterium spp.). Per esempio, il contributo relativo di Bifidobacterium spp. merita maggiori ricerche nel campo dell obesità (Boesten & de Vos, 2008; Boesten et al., 2009; Turroni et al., 2009). Inoltre l approccio prebiotico sembra anche interessare per aiutare a promuovere altri batteri benefici. In più, si è dimostrato che l integrazione con fruttani simil-inulina sia in grado di aumentare Faecalibacterium prausnitzii in volontari sani (Ramire-Farias et al., 2009). Questi batteri hanno dimostrato di saper modulare l infiammazione e il diabete in soggetti obesi (Furet et al., 2010). Da ultimo, il ceppo Lactobacillus spp., appartenente al phylum dei Firmicutes, è soggetto a risultati controversi e a discussioni all interno della letteratura (Raoult, 2008; Armougom et al., 2009; Delzenne & Reid, 2009; Ehrlich, 2009; Santacruz et al., 2009; Andreasen et al., 2010; Aronsson et al., 2010; Balamurugan et al., 2010; Kadooka et al., 2010; Luoto et al., 2011, 2010). Questo dibattito è inerente alla potenziale associazione tra lattobacilli e obesità. Stando alle conoscenze attuali, il dibattito rimane irrisolto: è probabile che quest associazione esista ma in modo duplice, dal momento che alcune specie sono protettive nei confronti dell obesità mentre altre sono di fatto associate all aumento di peso. Un analogia molto semplice può essere proposta facendo cenno al ceppo commensale di Escherichia coli, che può essere visto come potenziale agente patogeno, tenendo però presente che dei ceppi specifici di E.coli (come Nissle 1917) hanno un impatto positivo sull infiammazione intestinale (Trebichavsky et al., 2010). Questi dati sottolineano quanto sia cruciale porsi l interrogativo di quali effetti associati all obesità siano ceppo-specifici e, ancora più importante, quali meccanismi stanno alla base di azioni differenti. Il microbiota intestinale, l infiammazione e l insulino-resistenza Sebbene un consistente corpo di evidenze supporti l idea che l estrazione di energia dalla dieta da parte del microbiota intestinale porti in molteplici modi allo sviluppo di obesità e disordini metabolici ad essa collegati, queste teorie non hanno mai sondato le interazioni tra i microbi dell intestino, i disordini metabolici collegati all obesità e l insorgenza di infiammazione cronica di basso grado. Diversi studi supportano l idea che quest infiammazione possa derivare dall infiltrazione di macrofagi negli organi (tessuto adiposo, muscoli e fegato), condizione che promuove la secrezione di fattori pro-infiammatori (Weisberg et al., 2003; Xu et al., 2003; Tordjman et al., 2008; Olefsky & Glass, 2010). Cionondimeno, l esatto ruolo dei macrofagi e la sorgente e tipologia di fattori che scatenano l attivazione del sistema immunitario in questo specifico contesto rimane materia di dibattito (Odegaard & Chawla, 2008; Kosteli et al., 2010). Data la pletora di fattori infiammatori (ad es.interleuchina-1 [IL-1], fattore-α di necrosi tumorale [TNF-α], proteina-1 monocite chemotattica [MCP-1], sintetasi inducibile dell ossido nitrico [inos], interleuchina-6 [IL-6]) che sono fattori di causa dell indebolimento dell azione dell insulina (o dell insulinoresistenza) e di diverse interazioni molecolari tra immunità e segnali insulinici, abbiamo cercato un potenziale fattore in grado di spiegare questi meccanismi. 13

14 Ad esempio, la chinasi c-jun N-terminale (JNK), il fattore di trascrizione nucleare kb (NF-kB) e la chinasi proteica attivata dai mitogeni (MAPK) controllano specifiche vie molecolari che giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di infiammazione ed insulinoresistenza. L effetto pro-infiammatorio di una dieta ad alto contenuto di grassi è stato attribuito in larga parte alle proprietà infiammatorie degli acidi grassi dietetici (ad es.acido palmitico). Recentemente è stato proposto che questi acidi grassi stimolino una risposta infiammatoria attraverso l attivazione del recettore di LPS (tolllike receptor-4 [TLR-4]) che manda segnali ad adipociti e macrofagi, che potrebbero contribuire all infiammazione del tessuto adiposo nell obesità (Shi et al., 2006; Suganami et al., 2007a, b). Ad ogni modo la connessione diretta tra acidi grassi e TLR4 è stata rivisitata e contestata (Erridge & Samani, 2009). Questi step molecolari giocano un ruolo cruciale nell integrazione di risposta immune e metabolica nei confronti di infezioni attraverso l azione di composti derivati da batteri gram-negativi, chiamati lipopolisaccaridi (LPS) (Guha & Mackman, 2001). Dunque, dato che l obesità e il diabete di tipo 2 sono strettamente associati ad un basso grado di infiammazione cronica e dato che esiste un intricata influenza reciproca tra i recettori coinvolti nelle interazioni dei microbi umani, abbiamo investigato il ruolo di un fattore collegabile ai microbi nell eziologia dell obesità e di disordini associati. Recentemente abbiamo definito i LPS derivati dal microbiota intestinale come il primum movens nello sviluppo precoce dell infiammazione e di patologie metaboliche (Cani et al., 2007a). Più precisamente abbiamo dimostrato che l eccesso di grassi dietetici non solo aumenta l esposizione sistemica ad acidi grassi potenzialmente proinfiammatori e loro derivati, ma facilita anche lo sviluppo di endotossiemia metabolica (ad es.aumento di LPS plasmatici) (Cani & Delzenne, 2007; Cani et al., 2007a). Dato che i LPS possono determinare infiammazione ovunque nel corpo e che interferiscono sia con il metabolismo che con la funzione del sistema immunitario, questa nuova ipotesi fornisce una nuova prospettiva riguardo il ruolo di prodotti derivati dal microbiota intestinale e il nostro metabolismo. In accordo a ciò, è sempre maggiormente riconosciuto che il sistema immunitario innato e le vie metaboliche siano funzionalmente intrecciate (Olefsky & Glass, 2010). Una serie di esperimenti ha dimostrato che i batteri intestinali possono iniziare i processi infiammatori associati all obesità e all insulinoresistenza attraverso la modulazione dei livelli plasmatici di LPS (Fig.4). Il primo esperimento che ha supportato una connessione tra il microbiota intestinale e una dieta ad alto contenuto di grassi ha portato alla scoperta dell esistenza di una disbiosi microbica tra topi magri alimentati normalmente e tra topi alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi. In questo studio, una dieta ad alto contenuto di grassi ha aumentato i livelli plasmatici di LPS (endotossiemia metabolica) di due o tre volte. La dieta ad alto contenuto di grassi è anche stata connessa a specifici cambiamenti nella comunità microbica intestinale, con una riduzione marcata di Bifidobacterium spp., batteri connessi ai Bacteroides ed Eubacterium rectale-clostridium coccoides (Cani et al., 2007a, c). La rilevanza del segnale dei LPS allo sviluppo di un basso grado di infiammazione indotto dalla dieta è stata successivamente esplorata da uno studio su topi mancanti del co-recettore CD14 del TLR-4: CD14- /-. Dopo quattro settimane di dieta ad alto contenuto di grassi, questi topi esibivano più massa grassa e un peso corporeo maggiore, oltre che un basso grado di stato infiammatorio (fegato, tessuto adiposo e muscoli). In modo ancora più rilevante, in assenza di un recettore per LPS i topi erano resistenti all obesità dieto-indotta e disordini collegati (compresa insulino-resistenza epatica) (Cani et al., 2007a). Abbiamo anche dimostrato che l endotossiemia metabolica cronica prodotta da infusioni subcutanee croniche di LPS (che mimano l endotossiemia metabolica) riduce significativamente l infiammazione e l insulinoresistenza. 14

15 Figura 4 I cambiamenti indotti dai prebiotici nel microbiota intestinale possono eliminare i disordini che si associano all obesità. I prebiotici modulano la composizione del microbiota intestinale in un modo molto complesso in risposta a obesità genetica o dieto-indotta (ad es., aumentando Bifidobacterium spp.). Il trattamento con prebiotici diminuisce la permeabilità intestinale e l endotossemia metabolica ma aumenta l insulino-resistenza, la steatosi e il basso grado di infiammazione. Uno dei meccanismi che spiega questo fenomeno è l aumentata produzione endogena di GLP-2, che ristabilisce le funzioni di barriera dell intestino. Riguardo l aumento di massa grassa, la gestione cronica con LPS aumenta la massa sottocutanea e viscerale rispettivamente di circa il 30% e 40%. E stato notato che l aumento relativo alla massa grassa e al peso corporeo riconducibili al trattamento con LPS o alla dieta ad elevato contenuto di grassi e senza carboidrati utilizzati in questo protocollo era minore rispetto a quello osservato in una dieta di tipo occidentale. Cionondimeno, altri studi favoriscono quest ipotesi perché in assenza del recettore di LPS (modelli CD14-/- o TLR-4-/-) i topi sono resistenti ai disordini metabolici dietoindotti (Cani et al., 2007a; Tsukumo et al., 2007; Davis et al., 2008; Roncon-Albuquerque et al., 2008). E stato successivamente investigato il ruolo dei LPS derivati dal microbiota intestinale in quanto essi risultano essere fattori di stimolazione di un basso grado di infiammazione, di diabete di tipo 2 e di insulino-resistenza, un indagine che ha riguardato topi obesi sia per via nutrizionale che per via genetica attraverso una specifica modulazione della composizione del microbiota intestinale (Cani et al., 2008; Membrez et al., 2008). In primo luogo, abbiamo trovato che un cambiamento nel microbiota intestinale attraverso il trattamento antibiotico protegge verso lo sviluppo di massa grassa indotto dalla dieta, intolleranza glucidica, insulino-resistenza, infiammazione e stress ossidativo. Questo insieme di studi suggerisce in modo incisivo che una dieta ad alto contenuto di grassi potrebbe non essere causa diretta di obesità. In secondo luogo, abbiamo trovato che topi ob/ob geneticamente obesi esibivano un migliore fenotipo metabolico (cioè insulinoresistenza e infiammazione) a seguito di una manipolazione del microbiota intestinale, mentre il loro aumento ponderale totale rimaneva invariato (Cani et al., 2008). Per chiarire meglio il ruolo dei LPS nella patogenesi dell infiammazione e dell insulino-resistenza associate all obesità, abbiamo deciso di interferire con il segnale dei LPS attraverso l uso di due modelli specifici. Nel primo modello abbiamo somministrato infusioni sottocutanee croniche di LPS (polimixina B o inibitori di 15

16 endotossine) per quattro settimane a topi ob/ob geneticamente obesi. Il secondo modello consisteva in una generazione di topi ob/ob mancanti del recettore CD14 per LPS (ob/ob CD14-/-). I risultati ottenuti seguendo l investigazione di tutti questi specifici modelli hanno indicato una significativa diminuzione dell infiammazione e dell infiltrazione dei marker di macrofagi insieme con una migliorata tolleranza al glucosio e insulino-resistenza (Cani et al., 2008). Questi esperimenti dimostrano chiaramente il contributo all endotossiemia metabolica da parte di derivati da LPS del microbiota intestinale. Coerentemente con quest insieme di dati, altri studi hanno riportato che i livelli plasmatici di LPS sono elevati in topi ob/ob e db/db (Brun et al., 2007). In più, il trattamento con polimixina B, che elimina specificamente i batteri gramnegativi ed inoltre estingue LPS, diminuisce la steatosi epatica (Pappo et al., 1991). Insieme con i primi risultati, queste scoperte suggeriscono fortemente che il contributo del microbiota intestinale all endotossiemia metabolica ha a che fare sia con l obesità genetica che con quella indotta dalla dieta. Il rapporto tra una dieta ad alto contenuto di grassi, l obesità, il diabete di tipo 2 e i LPS è stato successivamente confermato nell uomo. Negli ultimi 3-4 anni, numerosi studi hanno confermato l ipotesi di un endotossiemia metabolica indotta da una dieta ad alto contenuto di grassi in soggetti sani e obesi. Prima, Erridge et al. hanno esaminato i livelli di concentrazione di endotossiemia in soggetti umani sani e hanno trovato che pasti ad alto contenuto di grassi inducono un endotossiemia metabolica che raggiunge rapidamente concentrazioni sufficienti a indurre un certo grado di infiammazione (Erridge et al., 2007). Abbiamo anche scoperto un link tra intake energetico (dieta ad alto contenuto di grasso) ed endotossiemia metabolica in una coorte di 211 soggetti (Amar et al., 2008). In più è stato dimostrato che l endotossiemia metabolica in volontari sani aumenta il TNF-α nel tessuto adiposo e le concentrazioni di IL-6, oltre che l insulino-resistenza (Anderson et al., 2007). Creely et al. hanno recentemente rinforzato l ipotesi che l endotossiemia metabolica possa agire come fattore collegato al microbiota intestinale e coinvolto nello sviluppo di diabete di tipo 2 e obesità nell uomo (Creely et al., 2007). Un recente studio che investigava l impatto degli inibitori alle lipasi pancreatiche e gastriche ha messo in evidenza il legame tra l endotossiemia metabolica e l alterazione della tolleranza al glucosio (Dixon et al., 2008). Inoltre è stato dimostrato che cambiamenti nell endotossemia metabolica in pazienti obesi con diabete 2 sono inversamente correlati a diversi parametri plasmatici (ad es.trigliceridi, colesterolo, glucosio e insulina) (Al-Attas et al., 2009). Da ultimo, la relazione tra dieta ad elevato contenuto di grassi ed endotossemia metabolica è stata confermata in diversi studi indipendenti (Ghoshal et al., 2009; Ghanim et al., 2009; Deopurkar et al., 2010; Laugerette et al., 2011). Messe insieme queste scoperte rinforzano il ruolo giocato dall intake (e dall assorbimento) di grassi nello sviluppo dell endotossiemia metabolica. Sebbene molti dati supportino la tesi di un meccanismo dipendente dall attivazione del complesso LPS-TLR-4/CD14, alcune evidenze emergenti supportano il concetto che altri TLR potrebbero essere coinvolti nello sviluppo dell insulino-resistenza e di un basso grado di infiammazione associati all obesità. Recentemente, diversi studi indipendenti che investigavano il ruolo di TLR-2 hanno associato causalmente lo sviluppo di obesità dieto-indotta e disordini metabolici a questo recettore associato a patogeni (Davis et al., 2011; Ehses et al., 2010; Himes & Smith, 2010; Kuo et al.,2011). TLR-2 riconosce un largo numero di molecole contenenti lipidi, compreso il lipopeptide batterico (Lien et al., 1999). In più l espressione e l induzione di TLR-2 sono direttamente controllati da LPS, ma TLR-2 può anche essere indotto dal TNF-α e da CD14 (Lin et al., 2000). Questi dati sono stati successivamente confermati, ed è stato proposto che la upregolazione di TLR-2 in presenza di bassi ma clinicamente rilevanti livelli di prodotti microbici sia un importante meccanismo attraverso il 16

17 quale il sistema immunitario aumenta la sua risposta a infezioni recenti (ad es.lps) (Nilsen et al., 2004). Dunque abbiamo proposto che l endotossiemia metabolica porti all attivazione di TLR-2, e dunque all amplificazione dei segnali del complesso LPS/TLR-4/CD14 a stimolare la risposta infiammatoria. Diversi studi hanno proposto che acidi grassi saturi promuovano l infiammazione di basso grado e l insulino resistenza attraverso un meccanismo dipendente da TLR-4 (Shi et al., 2006; Suganami et al., 2007a, b). Comunque, è stato suggerito che l effetto di acidi grassi saturi sull attivazione di TLR-4 possa essere dovuta alla contaminazione da LPS dei preparati di acidi grassi o dell albumina del siero bovino (utilizzata in questi studi) (Erridge & Samani, 2009). Si può suggerire con più certezza che questi acidi grassi sono coinvolti profondamente nella stimolazione del sistema immunitario innato, ma probabilmente in congiunzione con un iniziale stimolazione di LPS del complesso TLR-4/CD14 e una conseguente stimolazione TLR-2. Diverse osservazioni sono a sostegno di quest ipotesi: i) l alterazione del microbiota intestinale con antibiotici protegge i topi da un obesità dieto-indotta e da disordini metabolici, anche in presenza di recettori funzionanti TLR-4/2 (Cani et al., 2008); ii) topi a cui sia stato soppresso CD14 non sviluppano insulino-resistenza indotta dai grassi e infiammazione di basso grado, anche qualora i recettori TLR-4 e TLR-2 siano completamente espressi (Cani et al.,2007a; Roncon-Albuquerque et al., 2008), comunque dovrebbe essere ricordato che CD14 è richiesto per un appropriata funzionalità sia di TLR-2 che di TLR-4 (Buwitt-Beckmann et al., 2005; Heine & Ulmer, 2005); e iii) i topi asettici alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi sono resistenti allo sviluppo di infiammazione indotta da una dieta ad alto contenuto di grassi e resistenti ad insulino-resistenza, sebbene si siano completamente digeriti e assorbiti i grassi ingeriti (Backhed et al., 2007; Rabot et al.,2010). Presi insieme, questi esperimenti suggeriscono che una cascata di segnale iniziata da un meccanismo dipendente da LPS/TLR-4/CD14 attiva di conseguenza l espressione di TLR-2 a supporto della risposta infimmatoria del sistema immunitario innato. Il microbiota intestinale e la permeabilità intestinale: uno sguardo nella MicrObesità Tra le cause potenzialmente coinvolte nello sviluppo di un endotossiemia metabolica, numerosi studi supportano l idea che un mutualismo ospite-batteri porti al controllo delle funzioni della barriera intestinale (Brun et al., 2007; Cani et al., 2008, 2009b; De La Serre et al., 2010; Muccioli et al., 2010). L endotossiemia metabolica (o anche alti livelli plasmatici di LPS) può essere il risultato di molteplici meccanismi, compresa l aumentata produzione di endotossine su stimolazione di cambiamenti del microbiota intestinale (Cani et al., 2007a, c). In condizioni fisiologiche l epitelio intestinale agisce come una barriera continua ed efficace che previene la translocazione batterica (ad es.lps). Però diverse situazioni endogene e/o esogene sono associate ad un alterazione di questa funzione protettiva. Tra i fattori che portano ad un intestino permeabile (e quindi ad una condizione che promuove l endotossemia metabolica) sono state proposte la stasi allo stress (Mazzon & Cuzzocrea, 2008), l assunzione di alcol (Nanji et al., 1993; Nishida et al., 1994; Adachi et al., 1995; Enomoto et al., 1998; Rivera et al., 1998; Enomoto et al., 2001) e le radiazioni (Paulos et al., 2007). In più, noi e altri abbiamo recentemente proposto che cambiamenti nella distribuzione e localizzazione della zonulina Occludens-1 (ZO-1) e occludine (due proteine di giunzioni serrate) nel tessuto intestinale siano associate con un aumentata permeabilità intestinale, che si riscontra in topi obesi e diabetici (Fig.4) (Brun et al., 2007; Cani et al., 2008, 2009b; De La Serre et al., 2010; Muccioli et al., 2010). Diversi meccanismi sembrano spiegare il legame tra il cambiamento del microbioma intestinale in obesità e cambiamenti nelle funzioni della barriera intestinale (Fig.4 e 5). 17

18 In un recente studio abbiamo dimostrato che Messi insieme questi dati supportano l ipotesi l alterazione attraverso prebiotici del microbiota che cambiamenti specifici nel microbiota intestinale di topi geneticamente obesi può agire in modo favorevole sulla barriera intestinale; il intestinale migliorino la permeabilità intestinale e il tono infiammatorio attraverso meccanismi meccanismo attraverso il quale i probiotici GLP-2 dipendenti (Cani et al., 2009b) (Fig.4). migliorano la permeabilità intestinale nel A seguito di questi interessanti cambiamenti particolare contesto di obesità rimane da nella permeabilità intestinale con trattamento definirsi. Ad ogni modo abbiamo investigato il prebiotico, sono state condotte misurazioni ruolo di uno specifico peptide intestinale della permeabilità intestinale a livello del digiuno coinvolto nel controllo della proliferazione di e ileo, mentre sono state rilevate modulazioni cellule epiteliali e nell integrità di barriera del microbiota intestinale nella parte distale intestinale, chiamato peptide-2 glucagon-like dell intestino (colon). Tra i potenziali meccanismi (GLP-2) (Jeppesen et al., 2001; Thulesen et al., 2001; Martin et al., 2005; Chiba et al., 2007; Dube coinvolti, abbiamo proposto che il cambiamento del microbiota intestinale controlla e aumenta la & Brubaker, 2007). produzione endogena del peptide GLP-2 Abbiamo investigato questo particolare peptide perché in nostri lavori precedenti avevamo derivato dal proglucagone intestinotrofico, non solo nel colon ma anche nel digiuno (Cani et al., trovato che cambiamenti indotti dai prebiotici 2009b); di conseguenza migliorerebbe la nel microbiota intestinale promuovevano la funzionalità di barriera intestinale nella parte sintesi di GLP-1 (mrna proglucagone e peptide superiore dell intestino sia attraverso circoli GLP-1) nel colon prossimale attraverso un regolatori autocrini che paracrini (Cani et al., meccanismo collegato alla differenziazione delle 2009b). cellule precursori in cellule enteroendocrine In più era stato precedentemente trovato che i (Cani et al., 2004, 2005a, b, 2006b; Cani et al., prebiotici aumentano l altezza dei villi, la 2007b; Delzenne et al., 2007). Dato che entrambi profondità delle cripte e la densità degli strati i GLP sono prodotti e secreti dalle cellule-l e dato che la produzione di GLP-1 endogeno aumenta con cambiamenti indotti da prebiotici nella flora batterica intestinale, abbiamo focalizzato la nostra ricerca su GLP-2. Abbiamo trovato che un aumentata produzione endogena di GLP-2 era associata ad una migliorata funzionalità della barriera mucosale attraverso la restaurazione dell espressione e distribuzione di proteine delle giunzioni serrate (Fig. 4). Per investigare più in profondità il ruolo di GLP-2 nell effetto protettivo dei prebiotici, abbiamo bloccato i recettori per GLP-2 in concomitanza a cambiamenti associati ai prebiotici nella flora intestinale. Gli antagonisti di GLP-2 hanno completamente bloccato le maggiori caratteristiche del trattamento prebiotico. Dunque, senza una funzionalità del recettore GLP-2, il trattamento prebiotico è destinato a fallire nella riduzione dell endotossemia metabolica, dell infiammazione epatica e dei marker di stress ossidativo. mucosali nel digiuno e nel colon (Kleessen et al., 2003). Non possiamo poi ignorare che l integrazione con prebiotici influenzi la comunità microbiale che risiede nella prima parte dell intestino, sebbene quest ipotesi rimanga da confermare. Un meccanismo aggiuntivo potenzialmente coinvolto nell impatto del microbiota intestinale sullo sviluppo di obesità e disordini correlati è il sistema degli endocannabinoidi (ecb). L interesse per questo sistema biologico origina dalle seguenti osservazioni: 1. La massima espansione del tessuto adiposo in obesità è caratterizzata da un basso grado di infiammazione, forse controllato dal microbiota intestinale (attraverso LPS); 2. L obesità è anche caratterizzata da un aumentata responsività al sistema ecb (ad es., alterata espressione del recettore 1 cannabinoide (CB1 mrna) e aumentatol ivello plasmatico di ecb, e aumentati livelli di ecb nel tessuto adiposo) (Engeli et al., 2005; Bluher et al., 2006; Matias et al., 2006; Cote et al., 2007; 18

19 D Eon et al., 2008; Starowicz et al., 2008; Di Marzo et al., 2009; Izzo et al., 2009; Muccioli et al., 2010); 3. LPS stimola la sintesi di ecb (in vivo e in vitro) (Di Marzo et al., 1999; Maccarrone et al., 2001; Liu et al., 2003; Hoareau et al., 2009); 4. Il blocco genetico o farmacologico del recettore CB1 protegge dall obesità, dalla steatosi e dal basso grado di infiammazione attraverso meccanismi non ancora risolti (Osei- Hyiaman et al., 2005; Gary-Bobo et al., 2007; DeLeve et al., 2008; Osei-Hyiaman et al., 2008). Date quest evidenze emergenti che il sistema ecb, l infiammazione e l obesità sono interconnesse, abbiamo deciso di investigare in che modo il microbiota intestinale e le funzioni di barriera possano convergere in un meccanismo molecolare. Usando differenti modelli per studiare l inter-relazione tra l ospite e la sua comunità intestinale di microbi, abbiamo scoperto che cambiamenti specifici della flora batterica intestinale diminuiscono selettivamente l attività del sistema ecv nel colon e nel tessuto adiposo (tali cambiamenti comprendono topi asettici verso convenzionali; trattamenti dietetici che cambiano drasticamente o selettivamente la composizione del microbiota intestinale; dis-regolazione genetica delle interazioni tra batteri intestinali e ospite). (Muccioli et al., 2010). Sia in topi obesi per via dietetica che genetica, il sistema ecb era iperattivato nell intestino e nel tessuto adiposo (Fig.5). Abbiamo trovato che il sistema ecb, e più specificamente il recettore CB1, controlla la funzione della barriera intestinale. Per esempio il blocco del recettore CB1 in topi obesi riduce la permeabilità intestinale attraverso il miglioramento della distribuzione e localizzazione di proteine di giunzioni serrate (ZO-1 e occludine) (Fig.5). In più, l attivazione di CB1 aumenta in vitro e in vivo i marker di permeabilità intestinale (Alhamoruni et al., 2010; Muccioli et al., 2010). Dunque questo studio ha dimostrato in primo luogo che i recettori di CB1 controllano la permeabilità intestinale attraverso interrelazioni con il microbiota intestinale (Muccioli et al., 2010). Inoltre abbiamo dimostrato l esistenza di uno scambio reciproco tra ecb e microbiota intestinale che partecipa alla regolazione dell adipogenesi (Muccioli et al., 2010) (Fig.5). Abbiamo anche scoperto che cambiamenti nel microbiota intestinale attraverso l uso di prebiotici promuovono la normalizzazione della responsività del sistema ecb sia nell intestino che nel tessuto adiposo. Questi effetti sono fortemente associati alla diminuzione della permeabilità intestinale, dell endotossiemia metabolica e dello sviluppo di massa grassa (Fig.5). Cionondimeno, dovrebbe essere ricordato che anche se esistono forti correlazioni tra la composizione del microbiota intestinale ed elementi che controllano le funzioni di barriera intestinale (ad es.glp-2 e il sistema degli endocannabinoidi), il diretto coinvolgimento di specifici microbi intestinali e/o metaboliti microbiali rimane da essere spiegato. Conclusioni Il nuovo concetto di MicrObesità ha portato alle dimostrazioni dell impatto del microbiota intestinale sul metabolismo della persona e delle sue riserve energetiche. Ogni anno, numerose evidenze emergenti possono aiutare la comunità scientifica a capire meglio questo piccolo mondo nascosto sotto la pelle della nostra pancia. Evidenze convincenti supportano la convinzione che la comunità microbica partecipa allo sviluppo di deposizione di massa grassa, insulinoresistenza e basso grado di infiammazione (fattori che caratterizzano l obesità). Lo sviluppo di metodi analitici efficaci porterà a spiegare con sempre maggiori conoscenze la complessità del microbiota intestinale. 19

20 Figura 5 Il microbiota intestinale determina la permeabilità intestinale e la fisiologia del tessuto adiposo attraverso il circolo regolatorio del sistema LPS-eCB. Il sistema ecb è iper-attivato nell intestino con un conseguente aumento della permeabilità intestinale, dei livelli plasmatici di LPS e dell infiammazione sistemica. L influenza reciproca del sistema ecb e del microbiota partecipa alla regolazione dell adipogenesi in modo diretto attraverso l azione sul tessuto adiposo e in modo indiretto attraverso l aumento dei livelli plasmatici di LPS. I cambiamenti indotti con il trattamento di prebiotici nel microbiota intestinale diminuiscono la responsività del sistema ecb sia nell intestino che nel tessuto adiposo, e dunque migliorano la barriera intestinale e normalizzano l adipogenesi. Cionondimeno, questo porterà anche diversi nuovi interrogativi riguardanti i meccanismi attraverso i quali i batteri intestinali interagiscono con l uomo. Le risposte a queste domande-chiave saranno cruciali per lo sviluppo di futuri trattamenti à la carte per le patologie collegate a disbiosi. In questa prospettiva, anche se dovrebbe essere più propriamente verificato, i prebiotici rappresentano uno strumento promettente, e che è già disponibile. Bibliografia 20

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24 Assunzione di proteine, il bilancio del calcio e gli effetti sulla salute a cura di Arianna Rossoni Diete ad elevato contenuto di proteine (HP) esercitano un effetto ipercalciurico pur tenendo costanti i livelli di assunzione di calcio, sebbene gli effetti specifici dipendano dalla natura delle proteine dietetiche. Un ph urinario inferiore è stato osservato in soggetti che hanno unʼalimentazione HP. La combinazione di questi due effetti sembra essere associata a condizioni dietetiche che favoriscono la demineralizzazione dello scheletro. Lʼaumentata escrezione di calcio dovuta a diete HP non sembra tuttavia essere connessa ad uno squilibrio dellʼomeostasi del calcio. In contraddizione a ciò, alcuni dati indicano che un intake HP induce un aumento dellʼassorbimento di calcio a livello intestinale. Non esistono dati clinici a supporto dellʼipotesi che diete HP abbiano un effetto negativo sulla salute delle ossa, eccezion fatta per una concomitante condizione di inadeguato apporto di calcio. Lʼintake HP promuove la crescita delle ossa e ritarda processi di osteopenia, e una dieta bassa di proteine è stata associata ad un maggiore rischio di fratture allʼanca. Lʼaumento di acido e di escrezione calcica dovuta a diete HP è stata anche accusata di creare condizioni organiche favorevoli a calcoli renali e patologie ai reni. Tuttavia in soggetti sani non sono stati registrati effetti negativi di diete HP sui reni né in studi osservazionali né in studi di intervento: sembrerebbe che diete HP possano essere deleterie solo in pazienti con preesistenti disfunzioni metaboliche renali. Dunque la dieta HP non sembra portare a perdita di calcio osseo: il ruolo delle proteine sembra essere più complesso di quanto si creda, e probabilmente è dipendente da altri fattori dietetici e dalla presenza di altri nutrienti nella dieta. Le diete ricche di proteine sono state associate a modificazioni del calcio urinario e ad escrezioni acide, due fattori che si sospettano riflettere uno stato di blanda acidosi che potrebbe portare a condizioni ambientali favorevoli a demineralizzazione dello scheletro e sviluppo di calcoli renali. Il metabolismo delle proteine dietetiche contribuisce alla produzione endogena di acidi, soprattutto attraverso lʼossidazione di acidi aminosolfurici e fosfoproteine. Tuttavia altri risultati supportano una relazione positiva tra lʼintake di proteine e la salute delle ossa. Per analizzare la letteratura collegata a queste tematiche abbiamo condotto ricerche nel database MEDLINE attraverso PubMed utilizzando le seguenti parole-chiave: diete ad elevato contenuto di proteine, proteine dietetiche, assunzione di proteine, assunzione di carne, equilibrio acido-base, escrezione acida renale netta, ipercalciuria, equilibrio del calcio, calcio urinario, escrezione di calcio, assorbimento di calcio, salute delle ossa, massa ossea e fratture. La lista di riferimenti è stata revisionata per studi supplementari rilevanti. Eʼ stato anche fatto un tentativo per interpretare le differenze tra gli effetti riportati con riguardo alle variazioni di assunzioni dietetiche. 24

25 Assunzione di proteine, calcio urinario, escrezioni acide ed equilibrio del calcio Proteine dietetiche e calcio urinario ed escrezioni acide Studi controllati di assunzione dietetica hanno mostrato un effetto ipercalciurico delle diete HP quando le proteine supplementari erano date in forma purificata (caseina, lattoalbumina, proteine del glutine del grano, albume in polvere), con unʼescrezione urinaria di calcio aumentata di 0,7-2,2 mg per ogni grammo di proteine supplementari ingerite, a costanti livelli di intake di calcio (Johnson et al., 1970; Anand and Linkswiler, 1974; Kim and Linkswiler, 1979; Schuette et al., 1980; Hegsted and Linkswiler, 1981; Hegsted et al., 1981; Zemel et al., 1981; Schuette and Linkswiler, 1982; Lutz, 1984; Trilok and Draper, 1989; Pannemans et al., 1997; Wagner et al., 2007) (Tabella 1). Lʼaumentata escrezione urinaria di calcio è stata osservata sia in donne onnivore che vegetariane (Ball and Maughan, 1997) e in soggetti che seguivano la dieta Atkins (Reddy et al., 2002). Altri studi non riportano cambiamenti nei livelli urinari di calcio a seguito di diete ad elevato consumo di carne comparate a diete a basso consumo di carne (Spencer et al., 1978, 1983, 1988). Lʼeffetto ipercalciurico di diete HP dipende certamente dalla natura delle proteine dietetiche, e bisogna anche tenere conto che diversi alimenti ad HP, come carne o prodotti caseari, contengono anche componenti che limitano lʼescrezione urinaria di calcio. Per esempio, il fosforo esercita un effetto ipocalciuretico che contrasta lʼeffetto ipercalciuretico determinato dallʼintake proteico. Quando lʼassunzione di proteine e calcio è tenuto costante, un aumento dellʼassunzione di fosforo causa una diminuzione del calcio urinario tra il 40 e 65% a seconda del livello di assunzione proteica (Hegsted et al., 1981). Le diete HP sono anche associate a unʼaumentata escrezione acida, che si riflette in una diminuzione del ph urinario e un aumento dellʼescrezione acida renale totale. In studi a nutrizione controllata, comparando diete con bassi e alti livelli di proteine, il ph urinario risultava ridotto di 0,3-0,8 unità quando lʼassunzione di proteine era aumentata di g/giorno (Lutz, 1984; Trilok and Draper, 1989; Reddy et al., 2002; Roughead et al., 2003). Sono stati riportati aumenti nellʼescrezione acida renale netta entro un range di 0,4-1 mequiv per ogni grammo di proteine dietetiche supplementari (Schuette et al., 1980; Hegsted and Linkswiler, 1981; Schuette and Linkswiler, 1982; Lutz, 1984; Reddy et al., 2002). Il livello di escrezione acida supplementare indotto da maggiori assunzioni proteiche potrebbe dipendere dalla natura delle proteine ingerite. Per esempio, lʼescrezione acida renale netta era positivamente associata a unʼassunzione di proteine non di origine casearia (Hu et al., 1993) e proteine totali (Frassetto et al., 1998), ma non ad unʼassunzione di proteine vegetali (Frassetto et al., 1998). Comunque, lʼaumentato carico acido renale a seguito di diete HP non è necessariamente associato a modificazioni del carico acido sistemico. Il ph plasmatico e la concentrazione di bicarbonati rimane entro range di normalità quando lʼaumento delle proteine dietetiche raggiunge un massimo di 164 g/giorno (Reddy et al., 2002) o 2 g/kg (Wagner et al., 2007). Il fatto che lʼequilibrio acido-base sistemico venga preservato suggerisce che il carico acido indotto dalle proteine può essere adeguatamente gestito dai reni attraverso lʼescrezione dellʼeccesso di acidi prodotti e attraverso lʼattivazione di sistemi tampone. Lʼassunzione di proteine e lʼequilibrio del calcio Lʼequilibrio del calcio viene definito come: l assunzione data dalla dieta del calcio meno somma delle escrezioni urinarie e fecali di calcio. Sebbene vi sia un ampio consenso riguardo lʼassociazione tra aumentato introito di proteine dietetiche ed aumentata escrezione urinaria di calcio, lʼeffetto di diete HP sullʼequilibrio totale organico di calcio è meno chiaro (Tabella 2). 25

26 In alcuni studi le diete HP associate ad un aumento dei livelli urinari di calcio erano anche associate ad un bilancio di calcio minore e negativo se comparate a diete a basso contenuto di proteine (LP) (Johnson et al., 1970; Anand and Linkswiler, 1974; Kim and Linkswiler, 1979; Allen et al., 1979b; Hegsted et al., 1981; Schuette and Linkswiler, 1982; Lutz, 1984); la diminuzione del bilancio giornaliero di calcio era in un range di mg per ogni grammo di proteine extra. Altri studi non riportano cambiamenti nel bilancio di calcio a seguito di diete HP, non si osservano cambiamenti né nellʼescrezione urinaria di calcio nè nellʼassorbimento di calcio quando le proteine erano fornite come carne (Spencer et al., 1983; Draper et al., 1991); si è osservata una diminuzione dellʼescrezione fecale di calcio, che compensa lʼaumentato calcio urinario quando le proteine supplementari venivano aggiunte alla dieta in forma di proteine purificate (Cummings et al., 1979; Pannemans et al., 1997). Le discrepanze esistenti tra gli effetti riportati negli studi di diete HP circa il bilancio di calcio possono essere parzialmente spiegate con la difficoltà a misurare lʼomeostasi totale del calcio. In primo luogo le perdite fecali di calcio (che devono essere misurate per un periodo di 5-10 giorni per essere rappresentative alla dieta) sono 10 volte superiori delle perdite urinarie di calcio, e un errore nella determinazione di calcio fecale può fortemente incidere nella stima dellʼomeostasi del calcio. In più alcuni fattori dietetici, come lʼintroito di calcio e fosforo, sono in grado di modulare il bilancio di calcio. Ad elevati livelli di introito di calcio, lʼaumento dellʼintroito di fosforo causa un cambiamento del bilancio di calcio da negativo a positivo (Hegsted and Linkswiler, 1981). Un introito elevato di proteine e di fosforo è stato associato ad un bilancio di calcio positivo quando lʼintake di calcio stesso è elevato, ma ad un bilancio negativo quando lʼintake di calcio è basso (Schuette and Linkswiler, 1982). Questi effetti sono particolarmente importanti se si tiene in considerazione che lʼaumento di proteine dietetiche attraverso la dieta quotidiana si accompagna generalmente ad un aumento di intake di fosforo, dal momento che carne e latticini sono alimenti ricchi tanto di proteine quanto di fosforo: ciò potrebbe spiegare perché piccoli cambiamenti nel bilancio di calcio vengono osservati soprattutto in studi nei quali lʼintroito HP è derivante da un elevato consumo di carne e latticini piuttosto che da proteine purificate. Introito proteico e modulazioni del metabolismo del calcio La gestione della modulazione di calcio renale Lʼeffetto ipercalciurico delle proteine dietetiche probabilmente deriva da unʼalterazione della gestione di calcio renale (Tabella 3). Un aumento dellʼassunzione di proteine di 2 o 3 volte causa un aumento della filtrazione glomerulare pari al 6-20% (Kim and Linkswiler, 1979; Allen et al., 1979b; Schuette et al., 1980; Hegsted and Linkswiler, 1981; Hegsted et al., 1981; Zemel et al.,1981), determinando di conseguenza un aumentato carico di filtrazione di calcio. In parallelo, il riassorbimento tubulare frazionato risulta diminuito del 0.9-2% quando lʼaumento delle proteine assunte con la dieta è del % (Kim and Linkswiler, 1979; Hegsted and Linkswiler, 1981; Hegsted et al., 1981; Zemel et al., 1981). Queste modulazioni della funzione renale sembrerebbero essere dovute ad un effetto diretto delle proteine sulle cellule renali, mentre i livelli circolanti dellʼormone che maggiormente regola il metabolismo del calcio (lʼormone paratiroideo) non variano allʼaumentare dellʼintake proteico (Kim and Linkswiler, 1979; Allen et al., 1979b; Schuette et al., 1980). Alterazioni della gestione del calcio renale possono anche essere associate allʼaumentata escrezione acida associata ad un intake HP. Viene riportato che lʼescrezione di calcio urinario aumenta di circa 100 mg/giorno a seguito di una dieta acidificante in confronto a una dieta basificante (Buclin et al., 2001). 26

27 Alcune meta-analisi di studi nei quali lʼintake acido-base è stato manipolato con cambiamenti del cibo assunto o con integratori mostrano una correlazione positiva tra lʼescrezione acida urinaria netta e il calcio urinario, con un aumento di mg del calcio urinario per ogni aumento dellʼescrezione acida di 1 mequiv. (Fenton et al., 2008, 2009). Il rapporto tra acidi ed escrezione di calcio è stato successivamente supportato dal fatto che un aumento di basi attraverso la dieta in forma di bicarbonato di sodio contrasta parzialmente lʼeffetto ipercalciuretico della dieta HP (Lutz, 1984). Più nello specifico, lʼaumentata escrezione urinaria di calcio a seguito di diete HP è spesso attribuita, almeno parzialmente, allʼaumento dellʼescrezione urinaria di solfati che derivano dallʼaumentato metabolismo di acidi aminosolfurici (Schette et al.,1980). Ad ogni modo gli acidi amino solfurici aggiunti a diete LP in una quantità pressoché simile a quella presente in diete HP causano un aumento del calcio urinario che giustifica solo il 44% dellʼaumento causato da diete HP (Zemel et al., 1981), suggerendo dunque che altri fattori siano coinvolti nellʼipercalciuria protein-indotta (come ad esempio lʼescrezione di ammoniaca). Anche alcuni ormoni che influenzano lʼescrezione di calcio, come insulina, ormoni della crescita e glucocorticoidi, potrebbero essere coinvolti nellʼeffetto ipercalciuretico delle proteine (Allen et al., 1981; Zemel et al., 1981). La modulazione dellʼassorbimento intestinale del calcio alimentare La più vecchia ipotesi riguardante lʼaumentato calcio urinario indotto da diete HP è stata che le proteine dietetiche sono in grado di stimolare lʼassorbimento intestinale di calcio. Tuttavia lʼeffetto delle diete HP sullʼassorbimento intestinale di calcio rimane ancora poco chiaro (Tabella 2). McCance et al. (1942) per primi osservarono che soggetti sottoposti a diete LP (<70 g/giorno) avevano unʼassorbimento intestinale di calcio ridotto del 20% rispetto a soggetti che seguivano diete HP (>145 g/giorno). Queste prime scoperte furono successivamente confermate da alcuni studi di intervento (Lutz and Linkswiler, 1981; Schuette and Linkswiler, 1982), mentre altri studi sono stati inefficaci a dimostrare una qualsiasi correlazione tra proteine dietetiche e assorbimento intestinale di calcio (Schuette at al., 1980; Hegsted and Linkswiler, 1981; Hegsted et al., 1981). Ad ogni modo in questi studi lʼassorbimento di calcio è stato stimato usando il metodo dellʼequilibrio, ossia misurando la differenza esistente tra lʼassunzione di calcio e le perdite di calcio fecale. Dal momento che quantificare le perdite fecali è tecnicamente difficile e che questo metodo potrebbe non rilevare piccoli cambiamenti nellʼassorbimento, i risultati andrebbero interpretati con cautela. Il reale assorbimento potrebbe inoltre essere sottostimato poiché è impossibile dissociare lʼescrezione fecale di calcio di origine endogena e quella dietetica. Più recentemente alcuni metodi che utilizzano isotopi del calcio, come il metodo dellʼacqua doppiamente marcata che è lʼattuale gold- standard (Heaney, 2000) o il metodo del radiotracciante, hanno offerto uno strumento più affidabile per stimare lʼassorbimento intestinale di calcio, ma i risultati circa lʼeffetto delle proteine dietetiche sullʼassorbimento di calcio rimangono contradditori. A parità di condizioni sperimentali, alcuni studi di intervento hanno trovato che diete HP (1.5-2 g/kg comparate a g/kg di proteine consumate giornalmente) inducono un aumento dellʼassorbimento di calcio associato ad un aumento dellʼescrezione di calcio in donne premenopausa e postmenopausa (Kerstetter et al., 1998, 2005; Hunt et al., 2009), mentre altri studi non hanno trovato alcuna correlazione tra dieta HP ed assorbimento di calcio, a dispetto di un aumentata escrezione di calcio (Kerstetter et al., 2006; Ceglio et al., 2009). Uno studio osservazionale longitudinale e alcuni studi di intervento che hanno utilizzato il metodo del radiotracciante per stimare lʼequilibrio del calcio non hanno trovato alcun effetto delle diete HP sullʼassorbimento intestinale di calcio; in questi studi non è stata 27

28 trovata correlazione tra proteine alimentari ed escrezione di calcio (Spencer et al., 1983; Dawson-Hughes and Harris, 2002; Roughead et al., 2003). I livelli di calcio dietetico potrebbero modulare lʼeffetto dellʼintake proteico sullʼassorbimento di calcio, e ciò contribuirebbe a spiegare i risultati contradditori. In effetti Hunt et al. (2009) hanno dimostrato che un introito di HP quando comparato a LP aumenta lʼassorbimento di calcio solo in presenza di basso intake di calcio (700 mg/giorno), e non con alto introito (1500 mg/giorno). Non è ancora chiaro il possibile meccanismo che stimola lʼassorbimento intestinale di calcio in risposta a proteine alimentari. Lʼassorbimento di calcio avviene in primo luogo nel duodeno, dove le secrezioni acide gastriche permettono di mantenere lʼambiente a un ph<6.0, necessario per la solubilizzazione dei sali di calcio derivanti dal cibo ingerito (Goss et al., 2007). La produzione acida gastrica viene stimolata non solo dal sistema nervoso parasimpatico, ma anche da segnali chimici, da nutrienti incluso Ca 2+ (Hade and Spiro, 1992; Geibel and Wagner, 2006) e da alcuni aminoacidi (Konturek et al., 1978; Strunz et al., 1978). Dunque le proteine alimentari potrebbero aumentare la solubilità del calcio attraverso la stimolazione della produzione acida gastrica (DelValle and Yamada, 1990; Schulte-Frohlinde et al., 1993). In più si è visto che alcuni derivati dalla digestione di proteine, come ad esempio la caseina, potrebbero stimolare lʼassorbimento intestinale di calcio attraverso interazioni dirette con il calcio stesso (Ferraretto et al., 2001; Erba et al., 2002). Per determinare cambiamenti nel bilancio del calcio con diete HP sono particolarmente importanti i dati riguardo le variazioni dellʼassorbimento intestinale di calcio. Infatti, sebbene il calcio urinario sia spesso riportato come marker del metabolismo calcico, esso non è ancora un indicatore esatto delle perdite totali di calcio poiché potrebbero esserci differenze nellʼassorbimento intestinale di calcio che compensano i cambiamenti dellʼescrezione di calcio. La mobilizzazione del calcio osseo e la ritenzione netta di calcio In accordo allʼipotesi acidificante, la dieta HP causerebbe un eccesso di carico acido che andrebbe neutralizzato dal rilascio di ioni bicarbonato dalla matrice ossea, un meccanismo che è accompagnato dalla perdita di ioni sodio, potassio e una piccola quantità di ioni calcio (Green and Kleeman, 1991), e di conseguenza lʼaumento del riassorbimento osseo si rifletterebbe nellʼaumento dellʼescrezione urinaria di calcio (Barzel and Massey, 1998; Remer, 2000; Frassetto et al., 2001; New, 2003) (Tabella 4). Il carico acido potrebbe anche diminuire lʼattività osteoblastica ed aumentare quella osteoclastica, determinando un riassorbimento netto osseo con mobilizzazione di calcio (Bushinsky, 1989; Krieger et al., 1992; Alpern and Sakhaee, 1997). Ad ogni modo non ci sono dati sperimentali convincenti a supporto di questa teoria. Esistono risultati contradditori sui cambiamenti nellʼidrossiprolina urinaria, marker del metabolismo del collagene, in risposta a diete HP; alcuni studi riportano un aumento dei livelli di escrezione urinaria di idrossiprolina a seguito di diete HP (Kim and Linkswiler, 1979; Schuette and Linkswiler, 1982), mentre altri studi non osservano alcun cambiamento (Allen et al., 1979b; Hunt et al., 1995). Assunzione di proteine e salute delle ossa Non esistono dati clinici per dimostrare effetti negativi sulla salute delle ossa a seguito dellʼassunzione di proteine Lʼassunzione di proteine si correla positivamente con la massa ossea in diverse zone dello scheletro ed in ogni categoria di popolazione, dai bambini a uomini e donne anziani.(hirota et al., 1992; Geinoz et al., 1993; Devine et al., 1995; Cooper et al., 1996; Feskanich et al., 1996; Teegarden et al., 1998; Hannan et al., 2000; Sellmeyer et al., 2001; Whiting et al., 2002; Ilich et al., 2003; Alexy et al., 2005; Budek et al., 2007; Chen et al., 2007; Chevalley et al., 2008; Thorpe et al., 2008). 28

29 Nella loro review sistemica, Darling et al. (2009) hanno notato che la maggior parte delle indagini cross-sezionali o delle review di studi di coorte non riportano né associazione né effetto benefico tra proteine e massa minerale ossea (BMD), e solo unʼindagine ha trovato una correlazione negativa tra le proteine e il contenuto minerale corporeo. Hanno dunque concluso che le proteine dietetiche, se non significativamente favorenti, non sono nemmeno nocive alla densità ossea. Un più recente studio longitudinale che ha coinvolto 540 donne in menopausa non ha trovato alcun effetto avverso sul BMD a seguito di un aumentato intake proteico (5-25% dellʼenergia totale giornaliera) (Beasley et al., 2010). Gli studi frequentemente citati che supportano lʼeffetto deleterio delle diete HP sulla salute ossea sono analisi retrospettive dellʼincidenza di frattura allʼanca di donne in menopausa provenienti da paesi differenti (Abelow et al., 1992; Frassetto et al., 2000); tali studi hanno trovato che lʼincidenza più alta di frattura allʼanca si verifica nei paesi occidentali, che hanno un maggior consumo di proteine animali dietetiche. Nonostante ciò ci sono diverse ovvie limitazioni a questi studi, come notato da Bonjour (2005). In primo luogo, i paesi con la maggiore incidenza di frattura allʼanca sono anche quelli con lʼaspettativa di vita più lunga, che è un determinante importante del rischio di fratture osteoporotiche (Kannus et al., 1996). Lʼassunzione di proteine è stata valutata sulla popolazione totale ma non sullo specifico gruppo in studio. Inoltre le differenze interetniche circa il rischio di fratture osteoporotiche sono ben conosciute e potrebbero essere attribuibili a molti fattori, tra cui la struttura ossea, il genotipo e lo stile di vita (Nelson e Megyesi, 2004; Lei et al., 2006). Altri dati epidemiologici apportano qualche debole evidenza che lʼincidenza di fratture è collegata ad una maggiore assunzione di proteine. Nello studio Nursesʼ Health durato 12 anni e condotto negli Stati Uniti, le donne che consumavano >95 g di proteine al giorno avevano un aumentato rischio di frattura allʼavambraccio ma non allʼanca (Feskanich et al., 1996). In unʼindagine retrospettiva norvegese, lʼelevato rischio di frattura allʼanca è stato associato a unʼelevata assunzione di proteine non provenienti dai latticini solo quando lʼassunzione di calcio era concomitantemente bassa (Meyer et al., 1997). La maggiore limitazione di entrambi gli studi è stato lʼuso di un questionario di frequenza alimentare mandato per posta, con un numero di risposte limitato e una limitata stima di altri fattori dello stile di vita o dietetici che potrebbero contribuire al rischio di frattura. Al contrario numerosi altri studi prospettici hanno trovato unʼassociazione chiaramente negativa tra lʼassunzione di proteine e il rischio di frattura allʼanca negli anziani (Huang et al., 1996; Munger et al., 1999; Wengreen et al., 2004; Misra et al., 2010). In una meta-analisi di studi di coorte, Darling et al. (2009) non hanno trovato associazione tra lʼassunzione di proteine e il rischio di fratture. In più, in studi di intervento la supplementazione orale di proteine ha significativamente migliorato la prognosi clinica dopo fratture alle anche riscontrate negli anziani (Delmi et al., 1990; Tkatch et al., 1992; Schurch et al., 1998). Impatto dellʼassunzione di calcio sul rapporto tra intake proteico e salute delle ossa Esistono alcune evidenze che lʼeffetto benefico dellʼassunzione di proteine sulla massa minerale ossea sia meglio espresso quando lʼintegrazione sia di calcio che di vitamina D è adeguata (Heaney, 2001, 2002; Dawson-Highes, 2003). Tra le donne norvegesi è risultato che lʼintake proteico non si correla al rischio di frattura allʼanca, eccetto quando questʼintake è ai livelli più elevati e in associazione a basso introito di calcio (Meyer et al., 1997). 29

30 Uno studio dʼintervento durato tre anni ed effettuato su uomini e donne over-65 non ha trovato correlazione tra assunzione di proteine e BMD nel gruppo placebo (che assumeva una quantità normale di calcio), mentre la dieta HP del gruppo con supplementazione di calcio ha registrato un effetto benefico sulla BMD (Dawson-Hughes and Harris, 2002). Presi insieme, gli studi riguardanti lʼassunzione di proteine e la salute delle ossa suggeriscono che lʼelevato intake proteico derivante dal cibo promuove la crescita ossea e ritarda la perdita ossea, e che diete LP sono associate con un più elevato rischio di fratture allʼanca. Gli effetti positivi dellʼintake di proteine alimentari sulla salute delle ossa sembra essere dipendente, almeno in parte, dallʼassunzione di calcio. Il mantenimento di unʼadeguata forza e densità ossea con il procedere dellʼetà è altamente dipendente dal mantenimento di unʼadeguata massa muscolare, e la massa muscolare è viceversa dipendente da unʼadeguato intake di proteine di alta qualità (Wolfe, 2006; Heaney and Layman, 2008). Meccanismi che supportano lʼeffetto benefico delle proteine sulla salute delle ossa I meccanismi attraverso i quali le proteine influiscono positivamente sulla salute delle ossa sono perlopiù connesse al fattore-1 di crescita insulino-simile (IGF-1). Lʼassunzione di proteine induce la produzione e lʼazione dellʼigf-1 sia studi su animali che in studi sullʼuomo (Schurch et al., 1998; Heaney et al., 1999; Arjmandi et al., 2003; Dawson-Hughes, 2003; Ceglia et al., 2009). IGF-1 è il maggiore regolatore del metabolismo osseo che può agire come regolatore sistemico e locale della funzione osteoblastica (Mohan et al., 1992; Langdahl et al., 1998) e come fattore accoppiante delle ossa che rimodella e attiva sia il riassorbimento che la formazione ossea (Rubin et al., 2002). Come rivisto da Bonjour et al. (1997) e da Thissen et al. (1994),l impatto delle proteine dietetiche sullʼigf-1 e viceversa lʼimpatto dellʼigf-1 sulla salute delle ossa ha un ruolo chiave nella prevenzione dellʼosteoporosi. In cavie da laboratorio adulte, una dieta LP ha dimostrato saper diminuire i livelli plasmatici di IGF-1 e di indurre un bilancio osseo negativo con diminuita formazione ed aumentato riassorbimento (Ammann et al., 2000; Bourrin et al., 200a, b). Questʼeffetto viene invertito con la supplementazione aminoacidica (Ammann et al., 2000). Assunzione di proteine, funzione renale e formazione di calcoli renali Si ritiene che i potenziali effetti nocivi delle proteine dietetiche nei riguardi della funzione renali possano essere dovuti al sovralavoro indotto dalle proteine stesse sui reni. Infatti, come mostrato precedentemente, le diete HP causano un aumento della filtrazione glomerulare e unʼiperfiltrazione (Kim and Linkswiler, 1979; Schuette et al., 1980; Hegsted and Linkswiler, 1981; Hegsted et al., 1981; Zemel et al., 1981; Brenner et al., 1982; Bilo et al., 1989; Metges and Barth, 2000; Tuttle et al., 2002; Frank et al., 2009; Burodom, 2010). In modelli animali, le diete HP inducono ipertrofia renale (Addis, 1926; Wilson, 1933; Hammond and Janes, 1998), ma non in modo sistemico (Robertson et al., 1986; Collins et al., 1990; Lacroix et al., 2004) e stando alle nostre conoscenze attuali non è chiaro il legame tra ipertrofia renale indotta dalle proteine o iperfiltrazione e problemi renali in soggetti sani. Solo un recente studio ha dimostrato che nei maiali una dieta HP a lungo termine (4-8 mesi) ha come risultato un aumento della dimensione dei reni con evidenze cliniche di danno renale (Jia et al., 2010). Mentre, Martin et al. (2005) concludono che non cʼè unʼevidenza significativa di unʼassociazione tra intake di proteine elevate e inizio o progressione di danni renali in soggetti sani. Per esempio, in uno studio osservazionale unʼassunzione elevata di proteine animali è stata correlata con un declino della funzione renale in donne con problemi renali preesistenti, ma non in donne con una funzione renale normale (Knight et al., 2003). 30

31 In studi di intervento di lunga durata che hanno incluso soggetti sani sovrappeso o obesi senza preesistenti disfunzioni renali, la dieta HP non ha influenzato negativamente la funzione renale, sia che avesse aumentato il valore di filtrazione glomerulare e le dimensioni dei reni (Skov et al., 1999), sia che non lʼavesse fatto (Brinkworth et al., 2010). Ad ogni modo, le diete HP sembrano accelerare il deterioramento renale in pazienti con disfunzioni a questi organi, e la restrizione proteica è una strategia molto comune per postporre la progressione della malattia renale (Klahr, 1989; Pedrini et al., 1996; Robertson et al., 2007). Martin et al. (2005) suggeriscono che in persone sane, lʼipertrofia renale aumentata dalla filtrazione glomerulare e lʼiperfiltrazione indotta dallʼintroito di HP potrebbe essere il frutto di un normale adattamento fisiologico allʼaumentata domanda rivolta ai reni, conseguente al loro ruolo di tampone di acidi. Presi insieme questi risultati suggeriscono che diete HP non dovrebbero avere un effetto negativo su persone sane ma potrebbero accelerare i problemi renali in persone con pregresse disfunzioni a questi organi. Un altro effetto potenzialmente negativo dellʼassunzione di diete HP, in particolare se proteine animali, riguarda la relazione con la formazione di calcoli renali. Lʼassunzione HP induce un aumento del calcio e dellʼescrezione acida, che sono considerate essere sostanze potenzialmente litogene (Robertson et al., 1979; Wasserstein et al., 1987). Studi prospettici hanno trovato un aumentato rischio di formazioni di calcoli a seguito di un intake elevato di proteine animali in uomini e donne senza precedenti episodi di calcolosi (Curhan et al., 1993, 1997), mentre altri studi riportano un rischio non modificato o ridotto (Hirvonen et al., 1999; Curhan et al., 2004). Elevati introiti di proteine animali (carne) sono correlati negativamente con marker di formazione di calcoli in uomini con storia di calcolosi recidivante, mentre non sono stati registrati cambiamenti in soggetti sani (Nguyen et al., 2001). Eʼ possibile che, come per i problemi renali, le proteine derivate dalla dieta siano dannose solo per pazienti con disfunzioni preesistenti (Jaeger et al., 1983; Hess,2002). In più, sebbene una supplementazione di calcio potrebbe essere associata ad un aumentato rischio di formazione di calcoli (Curhan et al., 1997), elevati introiti di calcio dietetico hanno dimostrato diminuire il rischio di formazione di calcoli renali in soggetti sani (Curhan et al., 1993, 1997, 2004). Così come lʼintake elevato di calcio riduce lʼassorbimento di ossalati, altro importante fattore di rischio per la formazione di calcoli renali, lʼaumento dellʼintake di calcio potrebbe diminuire lʼescrezione urinaria di ossalati e in questo modo controbilanciare lʼeffetto promuovente la formazione dei calcoli per lʼaumento del calcio urinario (Heaney, 2006). Questo risultato suggerisce che prodotti lattierocaseari potrebbero essere benefici per prevenire la formazione di calcoli renali in soggetti sani. Lʼimpatto di altri fattori dietetici sulla salute delle ossa e la funzione renale Lʼeffetto delle proteine dipende anche dalla presenza di altri nutrienti nella dieta (Tabella V). Alti introiti di frutta e verdura sono associati ad ossa sane negli adulti e negli anziani sia uomini che donne (New et al., 1997, 2000; Tucker et al., 1999, 2001; New, 2002, 2003; Hardcastle et al., 2011) e ad un ridotto rischio di formazione di calcoli in pazienti ad alto rischio (Trinchieri et al., 2006; Taylor et al., 2010). Questʼeffetto benefico di frutta e verdura è probabilmente dovuto al loro elevato contenuto di magnesio e potassio. Negli adulti sani il bicarbonato di potassio si è dimostrato essere ipocalciurico (Lemann et al., 1993; Sebastian et al., 1994; Whiting et al., 1997) ed è stato positivamente associato alla salute delle ossa (New et al., 1997; Tucker et al., 1999). Sebbene non sia ancora chiaro se l effetto dei sali di potassio sullʼescrezione di calcio, sulle ossa e sui reni sia dovuto ad un effetto alcalinizzante dei bicarbonati o allʼeffetto del potassio di per sé stesso. La somministrazione di KHCO3 riduce lʼescrezione urinaria di calcio, ma la somministrazione di altri sali bicarbonati (NaHCO3) non ha avuto unʼeffetto sistemico sullʼequilibrio del calcio in soggetti sani (Lutz, 1984; Lemann et al., 1989). 31

32 Nei topi, la somministrazione di vari estratti vegetali ha indotto unʼinibizione del riassorbimento osseo in vivo, indipendentemente dal loro contenuto di basi (Muhlbauer et al., 2002). Questi dati suggeriscono un possibile ruolo del potassio stesso. In uno studio di coorte di circa 650 donne pre- e post-menopausa si è trovata una correlazione inversa tra il potassio dietetico e il calcio urinario, senza alcun effetto sullʼomeostasi del calcio poiché la calciuria ridotta era controbilanciata da una riduzione dellʼassorbimento intestinale di calcio (Rafferty et al., 2005). In più, il potassio è stato identificato come il maggior stimolatore dellʼescrezione urinaria di citrati, che è un inibitore della formazione di calcoli di calcio (Demigne et al., 2004; Marangella et al., 2004). Lʼingestione di alcali come citrato di potassio e magnesio ha ridotto il rischio di formazione di calcoli renali in uno studio controllato randomizzato in un periodo di 3 anni (Ettinger et al., 1997). Il contenuto alcalino e la ricchezza di potassio in frutta e verdura sono positivamente correlati a una ridotta escrezione di calcio, salute delle ossa e ridotto rischio di formazione di calcoli renali in soggetti ad alto rischio. Le diete HP sono state anche accusate di costituire un ambiente favorevole a colacoli renali e patologie renali per causare lʼaumento degli acidi e dellʼescrezione di calcio, ma non sono stati trovati effetti negativi di diete HP sui reni in soggetti sani, e le diete HP potrebbero essere deleterie solo in pazienti con funzioni renali preesistenti. Ad ogni modo, diete HP sono spesso caratterizzate dallʼavere bassi apporti di frutta e verdura, che si sono già dimostrati essere benefici per la salute delle ossa e la funzione renale. Di conseguenza, per valutare gli effetti degli introiti dietetici sul bilancio del calcio, salute delle ossa e funzionalità renale, bisogna prendere in considerazione non solo i nutrienti, ma anche possibili deficit alimentari. Conclusioni Sebbene le diete HP inducono un aumento nellʼescrezione netta di acidi e di calcio urinario, non sembrano essere connesse ad uno squilibrio dellʼomeostasi del calcio e non ci sono dati clinici a supporto dellʼipotesi di un effetto nocivo delle diete HP sulla salute delle ossa, eccetto che nel contesto di un inadeguato apporto di calcio. Dunque è più probabile che lʼeccessiva escrezione urinaria di calcio con diete HP non origini da perdita di calcio osseo ma da un aumento dellʼassorbimento intestinale. 32

33 Tab.I 33

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