La Voce del Ribelle. raccolta mensile. Dicembre 2013

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1 La Voce del Ribelle raccolta mensile Dicembre 2013

2 Fondatore Massimo Fini Direttore Responsabile: Valerio Lo Monaco Capo redattore: Federico Zamboni Redazione: Ferdinando Menconi Art director: Alessio Di Mauro Progetto Grafico: Antal Nagy, Mauro Tancredi La Voce del Ribelle è un mensile della MaxAngelo s.r.l. Via Trionfale 8489, Roma, P.Iva Redazione: Via Trionfale 6415, Roma tel. 06/ , fax 06/ , Testata registrata presso il Tribunale di Roma, n.316 del 18 Settembre 2008 Sito internet: ii

3 Indice My God, Mr. Letta: c è il rischio dell estremismo 1 Vogliono privatizzare anche Bankitalia 3 Strage di Prato. Ben oltre le vittime 5 La stretta creditizia alimenta l usura. Ovvero: le Banche aiutano gli (altri) strozzini 7 Politica inversamente proporzionale: l opposizione delle strette intese 9 Siamo tutti dei capri espiatori 11 Il Fiscal Compact è già tra noi 13 Ucraina: guerra civile prossima ventura? 15 Rehn bacchetta Letta. Che ora bastonerà gli italiani 17 USA: e tu che sanità puoi permetterti, man? 19 George Soros: Europa: creare una classe operaia Rom 21 Napolitano & C.: via subito la Porcellum Gang 23 L Isee e la guerra tra (finti?) poveri 25 Putin va forte, ma l impero USA è sempre lì 27 Trattativa Stato-Mafia: le bombe di Alfano 29 Centrafrica: la guerra di Natale 31 Vai, Angelino: hai pure il quid dell imbonitore 33 Imparare a diventare guerrieri. E a riconoscere i nemici 34 Sfiduciati e disoccupati 36 Italia: manca un nuovo mito fondante 37 PD: quasi 3 milioni di illusi 39 Grillo e l accusa al giornalismo: e allora? 41 L Islanda contro i poteri forti. Il mutuo lo pagano le banche 42 Italia: la Giustizia distorta di uno Stato criminale 43 Forconi eccetera: ma che zotici, quei manifestanti! 45 Venezuela. Amministrative nel segno di Chávez 47 iii

4 I focolai di protesta: nulla di più, nulla di meno 49 Draghi contro il populismo. Che invece avanza, per fortuna 51 L etica di Opus Goldman Sachs Dei 53 La rivolta dei Forconi o la lotta di classe del terzo millennio 55 Forconi, detonatori e ipocrisie 57 WebRadio: dai che ce la facciamo! 59 Natale Ecco a voi Renzie-the-Rebel 62 E allora chiamiamolo Decembrismo 63 Italia da rimandare, secondo Standard & Poor s 65 Israele. Anche lì c è la paura del diverso 67 La minaccia nucleare torna ai confini dell Europa 69 Torna l incubo del primo colpo 71 Lo Yuan avanza. E la cinesizzazione anche 73 Cile: e ora mantieni le promesse, Presidenta Bachelet 75 No alla patata chimica, per ora 77 Rimpiangere l URSS? 78 Autoindulgenza: il virus che non dà scampo 80 Con tanti auguri da Standard&Poor s 82 Sempre meno lavoro. Sempre meno tutele 83 Società liquida, ma in una gabbia d acciaio 85 NapolitanOplà: e il SalvaRoma se ne va 87 Lo stato delle cose, in Cina e qui da noi 88 Fine 2013: panoramiche a gogò, e via così 90 Londra über alles? 92 iv

5 My God, Mr. Letta: c è il rischio dell estremismo 2 dicembre 2013 Originalità: zero. Esagerazione: dieci (senza lode). Enrico Letta va in visita alla sinagoga di Roma, dove si incontra con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, e prende la palla al balzo per sciorinare una giaculatoria travestita da analisi: prima traccia un quadro a tinte fosche della situazione italiana, dichiarando che «Viviamo un tempo di crisi economica e sociale caratterizzata dalla paura, e dalle spinte all estremismo, all odio, all intolleranza: spinte che in Italia stanno crescendo in modo preoccupante», poi prova a offrire squarci di luce rassicurante srotolando la collana, o la collanina, delle buone intenzioni e degli omaggi accorati, tra la risoluta affermazione che «resisteremo a queste tentazioni che incidono sulla parte più debole del Paese» e l immancabile sviolinata alla Comunità ebraica che «apporta un inestimabile contenuto in un Paese come il nostro che troppo spesso fa in fretta a perdere la memoria mentre deve ricordare di tenere alta la guardia rispetto a ogni forma di discriminazione razzismo e xenofobia». Il resoconto potrebbe anche finire qui, con questo paio di polaroid verbali che si aggiungono all album immenso, e infimo, dei discorsetti di circostanza proferiti da questo o quel politico. Tre quarti di abusate banalità, che tendono a passare inosservate ma che non sono mai del tutto innocue, e un quarto di mistificazione specifica, che è sempre tossica anche in minime dosi. L ancoraggio retorico è ultra collaudato, con l ennesimo riferimento al (cosiddetto) olocausto, e quindi sommamente capzioso: una sorta di citazione dogmatica, quasi fosse tratta dalle Sacre Scritture, che serve ad avvalorare il resto. Detto in maniera colta, si ammanta l attualità, le cui interpretazioni sono di per sé opinabili, con la Storia, o presunta tale, che viceversa si staglia come una verità assoluta. Detto in maniera più spiccia, e romanesca, la si sta a incartà. Si prende la propria merce, che è quella che è, e la si avvolge in qualcosa di più attraente. Magari autorevole. Possibilmente indiscutibile. Enrico Letta, appunto, prende il suo allarme da quattro soldi sull estremismo, che sorvola completamente sulle vere cause della crisi, e sulle conseguenti responsabilità delle classi dirigenti sia in Italia che all estero, e prova a incorniciarlo come se fosse un capolavoro di riflessione: non solo politica, nel senso corrente, e svalutatissimo, del termine, ma addirittura sociologica. Eccolo lì, il problema per eccellenza dei nostri anni. Eccola lì, la quintessenza delle difficoltà nazionali. Il ribaltamento è completo. Il travisamento anche. Ciò che ha gettato e continua a gettare nel disagio e nell ansia milioni e milioni di persone rimaste senza lavoro e quindi senza reddito, oppure con lavori malpagati e variamente precari diventa un dato di fatto su cui non vale più la pena di interrogarsi. Logico, sciocchini. Poiché è accaduto, appartiene al passato. All inevitabile. A ciò da cui dobbiamo ripartire, non già volgendoci indietro in cerca dei colpevoli, che pure sono ancora tutti, o quasi, in circolazione e persino al potere, ma affratellandoci gli uni agli altri in vista di un nuovo e più lieto inizio. Oops: non si dice inizio ; si dice ripresa. Letta (Enrico all anagrafe, Henry per gli amici statunitensi, nonché per gli altri confratelli internazionali di rito bancario) paventa «l estremismo, l odio, l intolleranza». Solo quelli provenienti dal basso, però. Solo quelli che minacciano, o anche solo disturbano, le oligarchie che ci hanno portati alla situazione attuale. Quanto all estremismo finanziario e speculativo, quanto all odio verso i governi, ad esempio latinoamericani, che vi si contrappongono, quanto all intolleranza per chiunque non si prostri davanti al totem del Pil collettivo, 1

6 e al miraggio dell arricchimento individuale, il solerte Henry non batte ciglio. E i suoi ospiti della sinagoga, c è da supporre, nemmeno. Federico Zamboni 2

7 Vogliono privatizzare anche Bankitalia 2 dicembre 2013 Nel giro di un paio d anni la Banca d Italia potrebbe diventare una lontanissima parente di quell ente pubblico che venne istituito con l incarico di regolare il comparto del credito. Fabrizio Saccomanni, attuale titolare dell Economia ed ex direttore generale della stessa Bankitalia, è riuscito a far inserire nell ultimo decreto-legge licenziato dal Governo una norma potenzialmente pericolosissima. L Istituto di via Nazionale sarà completamente privatizzato e le sue azioni saranno distribuite tra i vari soggetti controllati. La proprietà di Bankitalia passerà quindi nelle mani delle società che dovrebbero essere sottoposte alla sua vigilanza. Un capolavoro che poteva riuscire solo al ministro tecnico di un Esecutivo politicamente sempre più debole. «Al fine di assicurare alla Banca d Italia un modello di governance che ne rafforzi l autonomia e l indipendenza, nel rispetto dei Trattati Europei, il decreto legge stabilisce nuove norme riguardanti il capitale e gli organi dell istituto», questo il contenuto del comunicato stampa diffuso da Palazzo Chigi. Un capolavoro di mistificazione: la volontà di Letta e dei suoi Ministri non è per niente improntata al perseguimento di una maggiore autonomia ed indipendenza. Al contrario, potranno sedere nei ruoli di vertice di Palazzo Koch e comunque influenzarne fortemente l operato quegli operatori su cui deve essere fatta ricadere la responsabilità di una sempre maggiore finanziarizzazione dell economia. Parliamo ovviamente di compagnie assicurative e società finanziarie internazionali. Multinazionali cui si potranno affiancare anche i fondi pensione privati. Non è stato posto nessun richiamo alla provenienza degli investitori, tutti gli operatori dell Unione Europea potranno sognare di entrare in uno dei gangli vitali dell economia nazionale. Le modifiche non sono finite qui. La Banca d Italia verrà autorizzata ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie sino ad un massimo di 7,5 miliardi. La Banca potrà distribuire dividendi annuali per un importo non superiore al 6% del capitale. Ciascun partecipante al capitale non potrà possedere - direttamente o indirettamente - una quota di capitale superiore al 5%. Per favorire il rispetto di tale limite, la Banca d Italia potrà acquistare temporaneamente le quote di partecipazione in possesso di altri soggetti. Un evidente regalo agli istituti in difficoltà, che potranno contare sulla liquidità proveniente da Bankitalia e sulla possibilità di inserire nel patrimonio di vigilanza (una variante ampliata del classico concetto di patrimonio, in cui si aggiungono al capitale sociale e alle riserve anche ulteriori elementi di natura non prettamente patrimoniale, come per esempio i fondi costituiti nell ambito del fondo interbancario di tutela dei depositi) le proprie partecipazioni nell istituto centrale, con il fine di rafforzare ad un costo irrisorio la propria capitalizzazione. L operazione è talmente innovativa che persino la tristemente famosa Banca centrale europea avrebbe manifestato diverse perplessità; nodi che, con tutta probabilità, dovrebbero essere sciolti nel giro di una settimana. Figurati se i tecnocrati di Francoforte si faranno sfuggire la possibilità di entrare indisturbati all interno di Bankitalia. L unica speranza deve essere riposta nei deputati e nei senatori non appiattiti sull appoggio, esplicito od occulto, al Governo. Solo loro potranno riuscire a disinnescare l articolato del decreto-legge di Saccomanni e Letta, provvedimento legislativo già pienamente operativo all interno del nostro ordinamento. Qualcuno dovrà avere il coraggio di evidenziare la sostanziale abrogazione della legge 262 del Disciplina mai attuata completamente che prevedeva comunque la completa pubblicità della nostra autorità di vigilanza sul- 3

8 la finanza e sul credito. «La Banca d Italia è istituto di diritto pubblico», questo il secondo comma dell articolo 19. Una norma semplice e concisa che non lasciava spazio a chi avrebbe voluto privatizzarla. L articolo prosegue poi con espressi richiami alla necessità di trasparenza nelle procedure amministrative che con l assetto voluto dal governo Letta diventerebbero societarie e all obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti emessi dai suoi dirigenti, così come richiesto per qualsiasi altro ente pubblico esistente nel Paese. Una struttura normativa di cui si potrebbe celebrare il funerale da qui a pochi mesi. Un evenienza da impedire ad ogni costo, soprattutto per chi sogna di riconquistare quella sovranità monetaria sottratta all Italia a colpi di trattati e vertici internazionali. Sarebbe del tutto inutile avere maggior capacità di manovra in campo economico se poi saranno i privati a decidere le regole cui si dovranno richiamare banche e finanziarie. Si aprirebbe in aggiunta il fronte della tutela dei consumatori. Chi assicurerà il pieno rispetto delle normative? Chi vigilerà in materia di anti-usura? Interrogativi a cui si dovrà trovare una risposta entro i prossimi 50 giorni. C è inoltre un problema di non poco momento. I privati che potranno controllare Bankitalia avranno l indiretta proprietà delle riserve auree italiane, tonnellate il cui valore è di gran lunga superiore ai 100 miliardi di euro. Un eredità proveniente dai tempi in cui la moneta era sovrana ed il controllo dell economia era considerato perno di qualsiasi politica statale. Il Governo italiano si riconferma nemico degli interessi nazionali. Una tendenza ormai ultradecennale, senza distinzione di colore politico. Matteo Mascia 4

9 Strage di Prato. Ben oltre le vittime 2 dicembre 2013 La tragedia di Prato non è la prima e non sarà l ultima. Per molti ora sarà facile indicarne la causa nella ricerca ossessiva del profitto a discapito della salute e della vita e dei lavoratori. Sarà ancora più facile mettere sotto accusa la mancanza di controlli da parte delle autorità competenti che avrebbero dovuto aprire più di un occhio su una realtà di degrado ben conosciuta. Che decine di lavoratori cinesi, a volte pure clandestini, fossero letteralmente accatastati in pochi metri quadri a lavorare e a dormire, era una realtà tollerata sulla quale si preferiva tranquillamente sorvolare per non bloccare un meccanismo che ormai da anni va avanti da solo. Non è un mistero infatti che molte aziende di Prato, come altre nella stessa condizione in tutta Italia, producano non solo per il mercato interno e per l export ma anche come fornitori dei grandi marchi del made in Italy. Di conseguenza, fare eccessivi controlli sul rispetto integrale delle regole scritte in materia di legislazione del lavoro finirebbe per bloccare buona parte del comparto tessile. Lo stesso discorso vale per altri settori produttivi. Una responsabilità che, in una fase di disoccupazione crescente come l attuale, nessuno vuole assumersi in base alla considerazione: Non vorrete mica che altre decine di migliaia di persone finiscano per strada?. Lo sanno le imprese che continuano a violare le regole. Lo sanno gli stessi sindacati che soltanto in queste occasioni si svegliano e alzano la voce in difesa dei diritti dei lavoratori, che tanto più sono stranieri, quanto più sono sfruttati. Anche se a sfruttarli poi sono i loro stessi connazionali. Lo sanno infine i Vigili del Fuoco, le varie Asl e gli Ispettorati del Lavoro che si possono muovere soltanto in presenza di una precisa denuncia e che finiscono per accodarsi a questo andazzo. Questo è lo scenario generale che è cosa ben differente dalla realtà dell azienda coinvolta nella strage della fabbrica di Prato, sulla quale le autorità competenti, a disastro avvenuto, dovranno svolgere i dovuti accertamenti. Ma esso serve comunque a spiegare perché si vada avanti ad occhi chiusi sperando che non avvenga ciò che è destinato ad accadere, come a Prato, in conseguenza delle condizioni fatiscenti dei luoghi di lavoro. Dove ci sono impianti elettrici vetusti che non sono in grado di reggere il nuovo e continuo sovraccarico di energia richiesta. È significativo comunque che la strage sia avvenuta in una fabbrica cinese nella quale sono state trasferite le modalità di lavoro tollerate ed incoraggiate in patria dal governo di Pechino. Salari da fame, otto-dieci volte minori di quelli europei ed italiani e condizioni di lavoro al limite dello schiavismo. Due peculiarità che spiegano il boom cinese più di ogni altra cosa. E serve a poco, anzi appare una sorta di presa in giro, sentirsi replicare che anche l Italia del boom dei primi anni sessanta si concretizzò grazie ad una politica di salari bassi ai quali offrirono una compensazione soltanto le lotte dell Autunno Caldo e lo Statuto dei lavoratori del La realtà è oggi ben diversa. La lotta tra poveri di 50 anni fa era uno scontro tra italiani per conquistarsi e mantenersi un lavoro a fronte dell impossibilità per i sindacati di tutelare adeguatamente i dipendenti. La guerra odierna si svolge al contrario tra poveri per la sopravvivenza. Dove i poveri sono sia gli italiani che gli stranieri, per lo più extracomunitari. Una lotta per la sopravvivenza che spinge ad accettare le condizioni più infime di lavoro e di salario pur di raggranellare qualche euro, avendo come alternativa la disoccupazione permanente. Il modello cinese si sta lentamente imponendo anche in Italia, anzi si è già imposto. Lavora, guadagna quello che ti offriamo, altrimenti vattene. Ed il tragico è che sono gli stessi sindacati, Cisl e Uil in testa, ad avere avallato la nuova realtà, sottoscrivendo la cancellazione dei 5

10 contratti nazionali di categoria (come alla Fiat) e il passaggio a contratti aziendali basati sugli straordinari e sui premi di produzione. La vera questione è quindi il clima nel quale è potuta maturare la tragedia di Prato. L idea che il mondo debba essere un unico grande mercato globale sul quale possono essere spostati e ricollocati a piacimento tutti i fattori della produzione. Capitali, materie prime, merci e prodotti finiti. Più ovviamente gli uomini, ormai ridotti a merce. Come gli schiavi. Irene Sabeni 6

11 La stretta creditizia alimenta l usura. Ovvero: le Banche aiutano gli (altri) strozzini 3 dicembre 2013 Le piccole e medie imprese italiane, penalizzate dalla stretta creditizia delle banche, si trovano costrette a ricorrere agli usurai. È una realtà che non appare sui principali quotidiani nazionali, tutti più o meno legati alle banche da incroci azionari e da rapporti di credito-debito. Ma è una realtà che incrina pesantemente le possibilità di una ripresa economica. In Italia sono infatti le Pmi a rappresentare la struttura portante del nostro sistema industriale. Ma le banche sembrano avere interesse a finanziare soltanto le grandi imprese come la Fiat. Guarda caso, quella che da anni ha avviato un inarrestabile disimpegno produttivo dal nostro Paese, dove resteranno soltanto i marchi di lusso come la Ferrari, la Maserati e le vetture sportive dell Alfa Romeo, destinate ai mercati americano e cinese. Secondo le associazioni che si occupano di contrastare il fenomeno dell usura, circa 2 milioni di piccole imprese si trovano a serio rischio di essere strozzate dagli usurai, con la possibilità di dover chiudere o addirittura di dover cedere l attività che verrebbe inevitabilmente rilevata da prestanome legati alla criminalità organizzata. Non è una novità che molte delle finanziarie che prestano soldi a strozzo siano legate mani e piedi alle varie mafie che hanno abbandonato le regioni del Sud per stabilirsi in pianta stabile da Roma in su, in tutte le regioni del Nord. Si calcola che nel 2013 le denunce presentate siano aumentate del 15%, una cifra non da poco che testimonia del disastro creato da una politica bancaria scellerata. Siamo di fronte al primo e più palpabile effetto di una stretta creditizia che appare immotivata visti i tantissimi soldi che le banche italiane hanno ricevuto sotto forma di presiti triennali dalla Banca Centrale Europea al più che conveniente tasso di interesse dell 1%. Erano prestiti che, almeno a parole, Draghi aveva legato alla necessità di finanziare l economia reale. In altre parole le imprese e le famiglie. In realtà le uniche imprese che sono state finanziate sono stati i grandi gruppi industriali che possono fare pesare sul tavolo delle trattative i propri legami con la politica, e con le stesse banche, e tutte le implicazioni in campo occupazionale. Se chiude la ditta Rossi è un conto, se chiude Mirafiori è un altro. Quei soldi le banche li hanno utilizzati invece, in larghissima parte, per comprare titoli di Stato e legare ancora di più il proprio futuro a quello della stabilità dei conti pubblici, a quella dello spread tra Btp e Bund tedeschi decennali ed, in ultima analisi, alla tenuta dell euro. In questa deriva finanziaria, perché di deriva si tratta, a rimetterci sono state così le piccole e medie aziende costrette a rivolgersi a società finanziarie capaci di imporre tassi di interessi pari fino al 400% annuo. Una scelta quasi obbligata, che rappresenta sempre e comunque l inizio della fine per gli imprenditori finiti nel tritacarne loro malgrado. Il problema non è dato soltanto dalla scarsa e inesistente concessione di credito ma spesso è dato anche dall inattesa richiesta fatta dalle banche alle imprese di rientrare delle proprie esposizioni. Ad esempio, quando un mancato pagamento ha fatto scattare la segnalazione alla centrale rischi, chiudendo di fatto la possibilità di ottenere credito legale. In molti casi il mancato pagamento da parte di una impresa è l effetto del mancato pagamento di una fattura da parte di un cliente. Un effetto domino quindi. Un fenomeno che in questa fase di recessione si sta particolarmente accentuando. Da parte loro, le banche si difendono sostenendo che non possono fare altro, a fronte di un aumento delle sofferenze che sta mandando in rosso i loro bilanci. Secondo i dati ufficiali, banche e finanziarie legali hanno respinto quest anno circa il 45% delle richieste di credito. Questo, prevedono 7

12 le associazioni anti-usura, dovrebbe spingere il 30% delle imprese interpellate a rivolgersi alle finanziarie degli usurai, in particolare in prossimità delle scadenze fiscali che sono ineludibili. Un quarto almeno delle imprese ha spiegato di essere stata costretta a questo passo estremo (il 30% prevede che dovrà farlo) dalla volontà di non licenziare i dipendenti che, in particolare nei piccoli centri, sono persone con le quali ci si conosce da una vita. Così, si giunge al paradosso, che in realtà non è tale, che sono le stesse banche a trasformarsi nelle prime alleate degli strozzini. Unica consolazione sono i dati che testimoniano del numero degli usurai denunciati e dei patrimoni illeciti sequestrati. Ma è soltanto la punta di un iceberg che la politica prova imbarazzo a vedere. Siamo di fronte ad una realtà invasiva che ormai si è impiantata nelle ricche, o ex ricche, regioni del Nord industriale e che testimonia del fatto che interi patrimoni (imprese ed immobili) si stanno trasferendo dai loro legittimi proprietari nelle tasche della criminalità organizzata. Irene Sabeni 8

13 Politica inversamente proporzionale: l opposizione delle strette intese 3 dicembre 2013 La maggioranza diminuisce ma è più forte, la minoranza cresce ma è più debole Il 27 novembre scorso, subito dopo il voto di decadenza al Senato per il Cavaliere, il raggiante Enrico Letta ha affermato: «Il governo è più forte di prima, acceleriamo le riforme». Il premier ha rafforzato la propria tesi, sostenendo che la fiducia accordata da 171 senatori alla legge di stabilità «è il miglior incentivo per dare all esecutivo forza, coesione e prospettiva per tutto il 2014». Esiste un Senato compatto dunque, in grado di chiamare al voto per la decadenza tutti gli aventi diritto, compresi i senatori a vita, in genere poco presenti. Una partecipazione così elevata, in controtendenza rispetto all assenteismo delle sedute di tutti i giorni, è auspicabile anche nelle occasioni in cui in ballo ci siano i problemi degli italiani comuni. La decadenza di Berlusconi ha segnato uno spartiacque: tra avversari del Cavaliere (M5s, Pd, Sel, Scelta Civica), chi lo ha sacrificato in nome della poltrona da difendere (Ncd) e i sostenitori irriducibili (Forza Italia). Il paradosso delle nuove intese vede anche una presenza, fra le opposizioni, di partiti come M5s, Sel e Forza Italia; formazioni tra loro in grande astio e non in grado di costituire una struttura di minoranza delle larghe intese come lo è stato per i partiti che hanno sostenuto l esecutivo partecipato di Letta. Il governo di Letta si trova forte non soltanto per i numeri (seppure in calo) che sono dalla sua parte e garantiscono prosperità, non solo per i numi tutelari che lo sostengono (da Washington, passando per Francoforte e per il Quirinale), ma si avvale anche della minoranza davvero eterogenea che lo fronteggia. Tale minoranza, infatti, a cui occorre aggiungere formazioni come la Lega e Fratelli d Italia, è un misto di posizioni politiche diverse e contrastanti fra loro, difficili da poter ricondurre verso un anelito di protesta coesa e condivisa pur di far cadere l esecutivo fantoccio di Letta. Per poter convogliare, infatti, le esigenze di dissenso di Forza Italia, M5s e Sel in contemporanea, deve sussistere davvero una tematica trasversale di spessore notevole. Superata l ennesima questione mediatica e politica legata al Cavaliere (con lieve riduzione di spazio, si spera, nei prossimi giorni), stando alle parole di Letta le carte in tavola cambieranno davvero. In possesso della bacchetta magica, il presidente del Consiglio sta tranquillizzando gli antiberlusconiani e i berlusconiani, proprio con l assicurazione che ora si fa sul serio. Ciò vuol dire che per 7 mesi, dal suo insediamento di fine aprile, ha scherzato, frenando le riforme perché vincolato da quel Pdl così riottoso. Si desume, implicitamente, che il Paese, stando sempre alle ultime dichiarazioni di Letta, abbia perso 7 mesi per poter vedere, con questa nuova maggioranza più salda, il varo delle riforme importanti (una vera beffa). In tal modo, seguendo il suo ragionamento, disoccupati, ragazzi in cerca di prima occupazione, cassaintegrati, pensionati e lavoratori in genere, possono tirare un sospiro di sollievo. Anche i berluscones si facciano una ragione della parziale sconfitta del proprio leader e si sollevino al pensiero delle irrevocabili decisioni o meglio: delle irrevocabili riforme. Ora il Pd e la maggioranza hanno le mani slegate, non più tentennanti nei confronti dello scomodo alleato e quale minoranza può fermare l onda forte delle nuove riforme (a cominciare da quella elettorale, per poi passare a quelle relative al lavoro e alla ripresa economica)? Non ci sono più minoranze in grado di fermare il Pd che governa né scomodi alleati di esecutivo, per cui la ripresa è inevitabile. Il metalinguaggio attuale è grossomodo quello. 9

14 E ancora: il Pd dimostrerà come le calunnie (queste sì durate davvero 20 anni) sul fatto che la sinistra esista solo in funzione e di luce riflessa al berlusconismo, siano infondate e, avendo la strada spianata, potrà porre fine alla crisi economica, agli sprechi, all evasione fiscale, alla giustizia, alla mancanza di lavoro, alla sicurezza pubblica, al femminicidio. È terminato il cosiddetto ventennio (in realtà, per la poltrona di Palazzo Chigi, occorre detrarre i 16 mesi di Dini, i 53 di Prodi, i 18 di D Alema, i 14 di Amato, i 17 di Monti e i 7 di Letta) che ha paralizzato il Paese, ora si volta davvero. Anche i media si gioveranno della nuova situazione e non saranno più costretti a riempire i loro spazi con le beghe berlusconiane per distrarre, ops, informare l opinione pubblica italiana e potranno, invece, fornire tante informazioni riguardo alla disoccupazione e alle possibili soluzioni. I lavoratori in sciopero e in lotta contro le proprie aziende che delocalizzano all estero, potranno giovare, certamente, di spazi adeguati per le proprie rivendicazioni, non essendoci più bagarre sul Cavaliere. I berluscones stiano tranquilli: digeriscano l impasse (provvisoria) del proprio leader, nel frattempo comincino a bearsi della ripresa economica, sociale, politica e morale dell Italia. Saranno contenti anche i gendarmi d oltreoceano, nel vedere la colonia, ops, la fedele Italia in sicura ripresa? Loro auspicavano la crescita ma manovravano perché non si verificasse, ora è sufficiente un controllo a distanza, meno diretto, contemplando le migliorie di Letta. Questo sulla carta (e sulle tv, e nelle radio, ovviamente) Tutto ciò salvo il minimo intoppo e allora, una telefonata alla troika che, a sua volta, avvertirebbe Napolitano, darebbe il la a un nuovo ribaltone, a nuove maggioranze. Cambiano pelle insomma. Sulla nostra. Marco Managò 10

15 Siamo tutti dei capri espiatori 3 dicembre 2013 Il 19 settembre scorso la Camera dei Deputati approva la legge anti-omofobia. È ancora in forse se passerà in Senato. Sicuramente, intanto, la normativa ha già scatenato numerose polemiche e parecchie proteste. E non poteva essere che così. Dal momento che, se guardiamo il testo attraverso i suoi sub-emendamenti, dobbiamo prendere atto che, oramai, siamo tutti dei capri espiatori. Lo notiamo immediatamente, ad esempio, se leggiamo l emendamento Gitti, il quale recita: «Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee [... ] assunte all interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, ovvero di religione o di culto, relative all attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Il che vuol dire, in pratica, che qualora un uomo politico desse dell orangutan a una ministra di colore (come infatti è successo), egli potrebbe sempre giustificarsi dicendo che quel titolo è «assunto dalla natura politica» del suo dire o, addirittura, sostenere che la sua sortita altro non è che «l attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale». E così, mentre il semplice cittadino nel discriminare criminoso compie un perseguibile reato, il cittadino speciale che opera al riparo delle istituzioni ricomprese nella legge sarà tenuto in salvo, quale che sia la sua azione discriminante, per il solo fatto di appartenere, appunto, ad una istituzione. Altro che il cinismo consigliato al Principe dal Machiavelli! Quel cinismo, in fondo, gli era consigliato in virtù di un ordinato governo necessario al popolo. In questa legge, invece, il cinismo serve solo a condannare il popolo e salvare il Principe: il popolo ridotto a turbolenta massa di individui, e il Principe insediato sul trono di un indiscusso e immune potere. Ma vi è anche un altro malanno in questa legge, ed è la legittimazione e l avallo di tanti anni di malvagità istituzionale e politica. Una politica che ha instillato nell inconscio del cittadino italiano un idea distorta di democrazia, che spiana la strada alle più rozze contrapposizioni tra i vari schieramenti, effettivi o fittizi. Etnia contro etnia, razza contro razza, nord contro sud. Così come troppo spesso non si è dato peso né politico né culturale alle affermazioni di un Presidente del Consiglio che, con goliardica disinvoltura, poneva la bellezza delle proprie donne di partito contro la non bellezza delle donne del partito avversario. Perché mai quelle donne, nel vedersi usate come puro strumento, non si sono ribellate? Perché mai le Istituzioni indicate dalla legge di cui stiamo parlando, non sono insorte a contrastare tale becera discriminazione? Ma perché cavalcando quel silenzio si poteva diventare gruppo di indiscusso e innocente potere. Certo, il lasciar correre la criminalizzazione di razza o di genere - che di loro natura sono innocenti e giustificare ed esaltare l agire devastante dei poteri forti, forse non porta alle camere a gas, ma certamente degrada ogni progetto di civile convivenza. Per comprendere appieno perché questo avvenga, occorre tener presente gli stereotipi che portano al formarsi del capro espiatorio. Se leggiamo il libro Il capro espiatorio di René Girard, vediamo che il primo stereotipo che porta verso la persecuzione del diverso sta nella crisi: ci deve essere cioè un disastro che sconcerta le persone, privandole della capacità di ancorarsi a delle risposte razionali. Cioè, non ne cercano le vere cause per agire su di esse, e tanto meno accettano di esserne in qualche modo compartecipi. Individuano invece delle persone nocive : la mela marcia da togliere dal cesto, quella per cui, poi, tutto magica- 11

16 mente dovrebbe tornare come prima. Così, conseguentemente, il secondo stereotipo sono appunto le accuse mosse a queste persone. Accuse che non sono altro che la risposta al sogno delle folle di purgare la comunità dagli elementi impuri. Il terzo stereotipo sta nel tipo di vittime contro cui scatenarsi. Esse devono essere diverse e fragili. E quand anche siano davvero colpevoli, il vero motivo per cui vengono scelte non è la loro colpevolezza, bensì l appartenenza ad una determinata categoria. Ma siccome la ricerca del capro espiatorio c è solo se la maggior parte delle persone è disposta ad accettare che un certo tipo di individui è in sé colpevole (per il solo fatto di appartenere a un certo gruppo o tipologia di persone) una tattica spesso impiegata dai governi per creare il capro espiatorio è quella di criminalizzare un intero gruppo di individui, attribuendogli in blocco la condotta immorale di alcuni dei suoi membri. Oppure di fare, di un gruppo effettivamente problematico, il colpevole di tutta la situazione politico economica. O, ancora, di trasformare una menomazione fisica in una minorazione sociale. Al contrario, bisogna dire con forza che la ricerca del capro espiatorio è qualcosa di profondamente devastante, perché lacera e fa a pezzi il tessuto sociale, mettendo gruppi di persone contro altri gruppi. Una dinamica che ha il preciso obiettivo, da parte del potere, di spingerci a volgere il nostro sguardo verso, e contro, lo spauracchio di turno, in modo da celare le cause dei problemi e lasciare che i veri colpevoli restino impuniti. Non è un caso che questo tipo di manipolazione sia stato utilizzato soprattutto dai governi totalitari. Eppure oggi si è propensi a credere che il capro espiatorio e gli stereotipi che lo caratterizzano siano acqua passata, relegati a quei momenti bui in cui si credette, per esempio, che la peste nera (che decimò quasi la metà della popolazione europea nel XIV secolo) non fosse causata dal fatto che le grandi città erano delle discariche a cielo aperto, sovrappopolate e senza fognature, ma che la colpa fosse delle donne che facevano patti con il diavolo e degli ebrei che avvelenavano i pozzi d acqua. E, invece, il modo di creare i capri espiatori si è semplicemente evoluto. Come è il caso della legge di cui stiamo parlando. La legge in questione, infatti, presentando le Istituzioni in contrapposizione con i cittadini, attua una manovra che nasconde le vere cause del disagio sociale, protegge i veri colpevoli e piega la sovranità del cittadino al punto di far essere tutti dei capri espiatori. Ed è proprio la riduzione del cittadino a capro espiatorio il perpetrato oltraggio che oggi lacera e fa a pezzi il tessuto sociale. In altre parole, questa legge è un inno che celebra la verità e l innocenza degli apparati e dell agire organizzativo-istituzionale, e il martellante rintocco di campana a morte della sovranità del cittadino, ridotto invece alla malvagità di uomo-massa. Primo Levi sosteneva che quando l altro da sé viene istituzionalizzato come nemico, la strada che porta al lager è già aperta. Ed è proprio ciò a cui allude questa legge, che da una parte stabilisce l innocenza a priori della Istituzioni e, dall altra, riduce a massa di capri espiatori, quantomeno potenziali, i cittadini non-organizzativamente istituiti. Emblematica, al proposito, la vicenda di Balotelli, che negli stadi viene spesso insultato a suon di sporco negro (formula che ingloba, levando l esse impura, porco negro): sicuramente è difficile scagionare l estrosa caratterialità del giocatore, anche per noi che siamo propensi a pensare che, forse, quell inconsulta estrosità possa essere la rivalsa maldestra di una lunga colonizzazione patita. Certo è che la sua maleducazione è fin troppo evidente. Ma la medaglia del porco e sporco negro ha una doppia faccia. E una delle due è quella del bianco beneducato che riempie una bottiglia di psicologia e pedagogia e la scaglia con l intenzione di colpire in testa lo sporco/porco negro. E allora la domanda è: delle due facce, qual è la più perversa? Inoltre, forse non sa, il beneducato bianco, che in quel momento sta facendo esattamente ciò in cui è stato bene addestrato? Ben addestrato a fare dell altro da sé, il proprio capro espiatorio. Ben addestrato a celebrare l innocenza degli apparati e fare la guerra ai cittadini senza potere. Senza potere. Come, oramai, siamo tutti. Tina Benaglio 12

17 Il Fiscal Compact è già tra noi 3 dicembre 2013 Le parole pronunciate oggi da Olli Rehn e riferite all Italia e ai suoi conti pubblici sono importanti, ma non sono fondamentali. Nel senso che non sono tanto rilevanti in sé quanto, semmai, in grado di far chiarire meglio - a chi, beninteso, lo voglia capire - come stanno realmente le cose. Dal punto di vista della cronaca, pertanto, non c è molto da dire. Il Commissario Ue - prende nota delle buone intenzioni del governo italiano in merito alle misure già prese e soprattutto riguardo quelle in procinto di esserlo ma, ha aggiunto, non stiamo «rispettando l obiettivo» (del deficit). L Italia sarebbe in linea, sebbene di pochissimo, con il criterio del 3%, cosa che ci ha consentito per un pelo di uscire dalla procedura per deficit eccessivo. Il fatto è che non lo siamo affatto, in linea, con lo sforzo che ci viene richiesto in merito all aggiustamento strutturale: questo avrebbe dovuto essere di circa mezzo punto di Pil, invece ci siamo presentati con appena lo 0.1%. Rehn ha ovviamente taciuto sul fatto che per rispettare questo misero obiettivo ci sono una serie di norme già varate, per esempio all interno della Legge di Stabilità, che al momento non hanno copertura. Fare dichiarazioni in tal senso sarebbe stato forse troppo nei confronti di un governo, il nostro, che sta facendo di tutto per non scontentare l Europa. Ma ha detto qualcos altro di più importante. Andiamo con ordine. Le norme accennate, ad esempio, sono quelle relative alla loro copertura prevista che si dovrebbe ottenere con degli anticipi di imposte sul prossimo anno. Come dire: per far quadrare i conti adesso anticipiamo il prelievo sulle tasche degli italiani riguardo al loro guadagno futuro. Che è presunto, naturalmente, visto che il futuro, soprattutto di questi tempi, nessuno lo sa. Ma intanto si fa cassa per coprire le spesucce correnti. Riguardo la frase più interessante, invece, si aprono diversi altri scenari. Secondo Rehn, visto che non stiamo centrando l obiettivo, c è bisogno di dare una accelerata alle operazioni di privatizzazioni e spending review. Musica per le orecchie della speculazione e per quelle di Napolitano e degli altri manipoli di maggiordomi attualmente in Parlamento: da Monti a Letta a tutti quelli a vario titolo legati con gli ambienti finanziari sovranazionali che contano. Il programma quello era, già dall era Monti, e quello rimane anche adesso. Non solo: da oggi, ufficialmente, l Europa ce lo chiede. E ci chiede di fare in fretta. È proprio da Bruxelles infatti che si leva il monito preciso: privatizzare, cioè svendere, e rivedere la spesa, cioè tagliare ulteriormente. Patrimonio e aziende pubbliche, e lavoratori pubblici direttamente oltre a tutti gli altri cittadini indirettamente (per via della perdita ulteriore di servizi e welfare) sono dunque avvisati. E non traggano in inganno le parole di Napolitano in risposta a Rehn: «siamo orgogliosi dello sforzo fatto» ha dichiarato il Presidente della Repubblica. È un gioco delle parti, evidentemente. Intanto perché bisognerebbe chiedergli come fa ad arrogarsi il diritto di rivendicare un orgoglio per degli sforzi fatti da altri, cioè dai cittadini italiani, che a occhio e croce non crediamo possano essere poi tanto orgogliosi di finire per strada. In secondo luogo perché è stato proprio Napolitano, attraverso le sue varie mosse di palazzo, a rendere obbligatorio per tutti noi sostenerli, quegli sforzi. E ovviamente stendiamo un velo pietoso sulle dichiarazioni di Forza Italia che, passata puntualmente all opposizione dopo la decadenza di Berlusconi, rispetta il clichet comportamentale tipico del luogo nel quale si trova per chiedere le dimissioni di Saccomanni reo, teoricamente, di non essere riuscito a far quadrare i conti. Come se vi potesse essere un altro personaggio in grado di farlo considerata la situ- 13

18 azione di blocco totale che viviamo a livello finanziario grazie alle politiche europee sottoscritte a suo tempo (sottoscritte anche dagli attuali forzaitalioti, peraltro). Più interessante, invece, la seconda frase proveniente dal colle: «A livello delle istituzioni europee si impone una correzione di rotta e un impegno nuovo per promuovere crescita e occupazione». Dunque, intanto questa frase è la conferma implicita di quanto asseriamo ormai da anni: a livello di politica interna e soprattutto per quanto attiene quella economica, in Italia non possiamo fare assolutamente nulla. Tanto che, per favorire, appunto, crescita e occupazione, dobbiamo fare appello a un cambiamento delle politiche europee. In secondo luogo, torna qui alla ribalta un argomento che lanciammo proprio su queste pagine subito dopo le elezioni Politiche del febbraio scorso: vista la situazione tecnicamente irrisolvibile di questa crisi, l unica possibilità di riuscire a mettere in scena l ennesima illusione da vendere come via di uscita non può che provenire a livello europeo, o ancora più elevato. Delle due l una: o in alto si decide di far arrivare denaro un po a pioggia nei vari Paesi in crisi, o questi, malgrado tutte le misure che potranno mettere in campo dietro dettatura europea (sacrifici dei quali andare orgogliosi, secondo Napolitano, come abbiamo visto) non potranno che avvitarsi ancora di più su se stessi. Con conseguenze dannose anche per la speculazione stessa, che da noi succhia sangue e che deve pertanto, sebbene a stento, mantenerci comunque in vita per poter continuare a farlo. Rehn, infatti, questa cosa la sa benissimo. Per ora, come abbiamo visto che ha dichiarato, si proceda immediatamente e risolutamente con privatizzazioni e tagli, poi si vedrà. Quel poi ci porta dritti dritti al punto: il Fiscal Compact prevede scenari da fantascienza. Ci siamo impegnati a ridurre il debito di un ventesimo all anno. Cioè subito, nel 2014, di circa miliardi. Al momento non siamo stati in grado di varare una Legge di Stabilità seria, tanto che Letta ha dovuto imporre la fiducia per farla passare e tanto che i 3000 emendamenti presentati, tra quelli esclusi, quelli accolti e quelli rimasti appesi, si è tirato fuori un pateracchio fiscale i cui effetti si manifestano immediatamente con la confusione relativa (ad esempio) alle nuove tasse sulla casa per il 2014 e si manifesteranno ancora di più proprio a partire dal prossimo anno. Ma soprattutto, stiamo parlando di una manovra, faticosissima e raggiunta senza, di fatto, far tornare i conti, che per importo complessivo non è minimamente paragonabile a quanto ci aspetta, oltre a tutto il resto, il prossimo anno per rispettare il Fiscal Compact. Tirare le somme è oltremodo semplice: la manovra appena varata non convince l Europa, che intanto non ci concede la possibilità di spendere a deficit neanche per gli investimenti produttivi (concessione, appunto, revocata), dall altro lato ci chiede di fare presto per svendere e tagliare, e dall altro lato, infine, ci ammonisce sulle prossime scadenze. Come dire: sino a ora, per racimolare qualche euro, non ci siete riusciti e dovete anzi sbrigarvi ad andare al Monte dei Pegni. Da ora in poi aspettatevi dunque misure ancora più drastiche, visto che le scadenze del 2014 sono molto più ingenti di quelle attuali. Poi magari qualche gioco di prestigio dall Europa arriverà pure. Ma prima vediamo quanto riuscite a inginocchiarvi per rispettare il Fiscal Compact. E chissà se Napolitano si dichiarerà orgoglioso anche allora. Valerio Lo Monaco 14

19 Ucraina: guerra civile prossima ventura? 4 dicembre 2013 Il governo ucraino ha incassato la fiducia del Parlamento, ma la situazione resta estremamente tesa con una enorme folla di manifestanti che continua a tenere sotto assedio i palazzi delle istituzioni. Una scena che non ci dispiacerebbe vedere anche qui in Italia, ma che a Kiev può lasciare giustamente perplessi: lì protestano per entrare nella UE, mentre in tutti i paesi della UE chi manifesta lo fa per uscirne. Che vi siano dei burattinai, che mirano a far infilare l Ucraina nel gorgo della sottomissione ai soliti poteri forti e occulti (occulti ma non troppo), è indubbio, ma che questi possano manovrare masse così ingenti e determinate, almeno a questo stadio, è più difficile: non si può dimenticare la storia dell Ucraina e l odio che molti provano per la Russia, l unica attuale alternativa possibile all Europa dell Unione. Certamente chi vuole che Kiev diventi satellite di Bruxelles rimesta nel sentimento nazionalista ucraino, che dovrebbe invece opporglisi, ma la sollevazione antigovernativa ha molti tratti spontanei. La subalternità del governo a Mosca è palese e ciò è per molti intollerabile. Su questo sentimento antirusso hanno fatto leva i burattinai stranieri della rivoluzione arancione, ma, nonostante la piazza sia invasa dagli europeisti, non è affatto detto che questi rappresentino la maggioranza della popolazione. Il Presidente ucraino Viktor Yanukovich è legittimato, infatti, dal voto popolare e non da alchimie partitiche come Napolitano. La maggioranza degli ucraini sarebbe quindi col governo, ma, come accade in ogni democrazia rappresentativa, lo è solo in apparenza. Quella maggioranza è risicata e instabile, e potrebbe facilmente ribaltarsi anche perché solo una parte degli elettori è parte dello zoccolo duro attivista dei sostenitori del presidente filorusso, ammesso che questi sia così filorusso e non, più semplicemente, pragmatico. La scelta della linea russa, pur inevitabile, può comunque avere una lettura tattica: permette di rilanciare sul tavolo della trattativa europea. Il governo ucraino ha chiesto, sull onda della protesta popolare o almeno dando l impressione che sia così, di riaprire le discussioni sull accordo di adesione alla UE appena congelato. Bruxelles, per parte sua, ha immediatamente colto l occasione per affrettarsi a dichiarare che le porte restano aperte per l Ucraina. Il rifiuto di Yanucovich appare come una mossa per evitare di firmare un contratto capestro, più che la volontà di piegarsi alle minacce di Mosca. Per Kiev è stato più facile per Kiev sbattere la porta in faccia al cane che abbaiava che non a quello capace di mordere, chiudendo i rubinetti del gas. L Ucraina è costretta a barcamenarsi fra i due ingombranti vicini e non può scontrarsi frontalmente con Mosca, ma neppure subirla passivamente. Se nel breve periodo i vantaggi sono tutti nel conservare i legami con la Russia, in quello medio lungo c è la necessità di affrancarsi dalla dipendenza economica che ne deriva. Il prezzo da pagare, però, non può però essere quello di passare da una sudditanza all altra, senza peraltro alcuna garanzia reale, come sarebbe stato accettare sic et simpliciter l accordo predisposto da Bruxelles. Anche Mosca non ha interesse, del resto, a mantenere una posizione rigida: può esserle sufficiente che l UE riconosca che non può fare e disfare senza tenere in alcun conto le esigenze del Cremlino. La diplomazia russa aveva richiesto negoziati trilaterali, accettati da Kiev, ma a cui Bruxelles aveva risposto con un arrogante rifiuto, condito dalla spocchiosa dichiarazione di essere invece disposta a trattare, direttamente e per conto dell Ucraina, con i suoi vicini per tranquillizzarli. Nessuna menzione esplicita della Russia, quindi, che si risolve in un implicito insulto a questa con relativa assunzione preventiva di prerogative sovrane ucraine: una mossa inaccettabile 15

20 sia per Kiev che per Mosca, ed infatti il tutto si era risolto nel rifiuto a firmare del governo ucraino. Non è possibile, però, pensare che i vertici governativi non prevedessero una esplosione di rabbia popolare, che, più che filo UE, è antirussa. Il gioco era, probabilmente, di cavalcare la tigre e di usarla per ritornare sui propri passi, ma potendo porre nuove condizioni e riaprire il gioco sia con Bruxelles che con Mosca. Una operazione apparentemente riuscita, ma che dovrà essere condotta con molta cautela, non solo dal governo ma da tutte le parti in causa. I sentimenti antirussi sono fortemente radicati, ma non investono la totalità della popolazione, come si vuole che sembri, e non tutti sono disposti a uscire dall orbita russa per diventare sudditi di Bruxelles e dei suoi burattinai da FEMEN: il paese è diviso in due e l atmosfera è incandescente. Potrebbe bastare una scintilla per far precipitare la situazione, e qualsiasi mossa sbagliata, sia straniera che interna, rischia di portare a sommosse che potrebbero non esaurirsi in moti di piazza, ma innescare scenari arabi nel cuore dell Europa. Una guerra civile con possibilità di degenerazione in conflitto regionale. E un conflitto regionale da quelle parti non sarebbe solo un problema regionale, ma mondiale. Ferdinando Menconi 16

21 Rehn bacchetta Letta. Che ora bastonerà gli italiani 4 dicembre 2013 Anche Olli Rehn scarica Letta. Il commissario europeo all Economia non si accontenta delle assicurazioni italiane sul taglio della spesa pubblica, sulla riduzione del disavanzo sotto il 3% e sull entità degli introiti derivanti dalle privatizzazioni delle aziende pubbliche e sulla s-vendita del patrimonio immobiliare dello Stato. Il tecnocrate finlandese si sta caratterizzando per un atteggiamento ondivago verso l Italia. Concessioni fatte alle buone intenzioni di Letta e di Saccomanni e subito dopo una mazzata che riflette il classico scetticismo del Nord Europa protestante sulle promesse da marinaio fatte da quei casinisti del Sud Europa, cattolico e levantino. Le parole non bastano, ha intimato, ci vogliono i fatti. Dovete scendere sotto il 3% rispetto al Prodotto interno lordo. La revisione della spesa pubblica (in inglese spending review) andrà pure bene. La razionalizzazione dei capitoli di spesa è necessaria ma si trasforma in una presa in giro se poi il debito pubblico dalla caduta di Berlusconi (novembre 2011) ad oggi è passato dal 120,1% ad oltre il 133%. Continuate a spendere e a spandere, ha accusato Rehn che può permettersi di dare lezioni di bon ton economico, facendosi forte del fatto che la Finlandia è uno dei tre Paesi dell Unione, unitamente ad Olanda e Germania, il Lussemburgo non conta, a potersi fregiare della tripla A, il massimo giudizio di affidabilità sui titoli pubblici, da parte delle agenzie Usa di rating. Una curiosa presa di posizione quella di Rehn, non fosse altro perché appena pochi mesi fa la Commissione aveva deciso di accantonare per l Italia l avvio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo, dopo che in conseguenza della crisi, che ha tagliato le entrate fiscali e contributive, si era tornati sopra il 3%. A frenare Rehn, e la Commissione nel suo complesso, in questo nuovo attacco, non è bastata nemmeno la presenza al governo di Letta, apprezzato per le sue relazioni internazionali (fa parte dell Aspen Institute) e per la sua visione tecnocratica e quella di Saccomanni che, venendo dalla Banca d Italia, rappresenta una garanzia di serietà. La vostra politica economica, ha detto in sostanza Rehn, fa acqua da tutte le parti. Non tanto perché in Italia si sta assistendo ad una crisi senza precedenti con una disoccupazione di massa che sembra inarrestabile (dovete fare la riforma del mercato del lavoro), quanto perché l incapacità di tenere sotto controllo la dinamica della spesa pubblica sta creando una situazione che minaccia di sfuggire dalle mani del governo e abbattersi sullo stesso sistema della moneta unica. Se fallisse la Grecia, il botto potrebbe essere assorbito. Se fallisse l Italia, sarebbe l euro ad esserne travolto e a seguire la stessa Unione Europea. Non state rispettando gli obiettivi sui quali vi eravate impegnati, ha insistito Rehn. E poi ora non avete più scuse. Con la caduta di Silvio Berlusconi, buttato fuori dal Senato e con la nascita del nuovo centro destra di Alfano, il governo dispone di una nuova maggioranza che dovrà adesso varare tutte le misure che già da tempo avrebbe dovuto mettere in cantiere per rassicurare i fautori europei dell austerità, Merkel in testa, e gli speculatori, che l Italia farà finalmente i compiti a casa e che entrerà trionfalmente nella schiera dei Paesi seri e virtuosi. Ma proprio su tale punto che Rehn ha sollevato i suoi dubbi. Come può un Paese cicala a trasformarsi in una formica? Come può improvvisamente mettersi a risparmiare invece di scialare? Per la Commissione di Bruxelles, al di là della visione tecnocratica che ne caratterizza i membri, gli italiani, pur essendo dei geni potenziali, restano sempre e comunque quei casinisti inaffidabili e mancatori di parola. Il governo Letta resta troppo condizionato dalle amministrazioni locali che, essendo a corto di soldi dopo una ventennale politica di spesa facile, fa- 17

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