SEMINARIO LOCAL WELFARE E SERVIZI SOCIALI

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1 SEMINARIO LOCAL WELFARE E SERVIZI SOCIALI Partecipanti: Mattia Affini Cooperativa Aldia Alberta Andreotti Università di Milano-Bicocca Paolo Formigoni Provincia di Milano Donatella De Gaetano Assonidi Claudio Figini - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) Agnese Infantino Università di Milano-Bicocca Maria Luppi Regione Lombardia Maurizio Pagani Opera Nomadi Chiara Respi Università di Milano-Bicocca Stefania Sabatinelli Università di Milano-Bicocca Lorella Trancossi Reggio Children Serena Vicari Università di Milano-Bicocca Presentazione del progetto Social Polis è un progetto finanziato dalla Commissione Europea e si definisce come una piattaforma sociale in cui cooperano diversi attori più o meno istituzionali, per cui accademici, scienziati sociali, istituzioni, società civile. Il tema è città e coesione sociale. Social Polis ha 3 obiettivi. Il primo è un obiettivo scientifico e consiste nel fare il punto dello stato dell arte, di quello che già c è sul tema della città e coesione sociale. Il secondo è invece quello di delineare l agenda della Commissione Europea, cioè individuare le priorità sulle quali la Comunità Europea dovrà muoversi nei prossimi bandi. Il terzo è quello di costruire una piattaforma che mette assieme i diversi attori che sono coinvolti in questo progetto per farla diventare una piattaforma permanente, caratterizzata da cooperazione e collaborazione permanente. Il progetto è un progetto comparato internazionale ed ha 11 partner. All interno di questo grande tema della coesione sociale e la città sono stati individuati 11 campi. Ciascuno di essi si focalizza su un area particolare; quella oggetto del seminario è local welfare e social services. Il mandato della Commissione Europea era quello di non focalizzarsi esclusivamente sulla marginalità, sulla povertà estrema, sull esclusione sociale, ma di guardare più al complesso. L intento degli organizzatori era mettere insieme attori diversi che però sono trasversali al tema del local welfare e dei servizi sociali, osservandolo da angolature diverse. L idea che anima questa esperienza è influenzare la Commissione Europea nella scelta dell agenda attraverso i risultati che emergono dalla discussione. Si tratta di un momento in cui attori diversi possono far sentire la loro voce. Temi di discussione Gli argomenti trattati riguardano, da un lato, le possibili definizioni del concetto di coesione sociale in riferimento al campo in cui operano gli interlocutori, e dall altro, le implicazioni dei processi di cambiamento in termini di accesso ai servizi, qualità dei servizi e partecipazione ai servizi. 1. Coesione sociale La discussione si apre con l intervento di una rappresentante della Regione Lombardia che sottolinea che nell agenda dell Unione Europea sono molto presenti delle politiche e, quindi, anche dei bandi, dei finanziamenti rispetto al tema dell inclusione e del contrasto dell esclusione sociale. Mentre quando si parla di coesione, nei vari programmi che implicano questa dimensione, se ne parla soprattutto in termini territoriali, più infrastrutturali, che non di coesione sociale come la può invece intendere e sperimentare la Regione. Essa è partita con un idea di coesione sociale che ha

2 come presupposto un accoglimento di una prospettiva interculturale, intesa più in generale, nella dimensione intergenerazionale o in quella dei differenti soggetti che sono presenti all interno di un territorio e che ne promuovono la competenza e il capitale sociale. Si tratta di un idea di coesione sociale legata a una dimensione territoriale e locale che presuppone il fatto che ci siano molte differenti parti, molti soggetti diversi che prima di tutto è importante che si riconoscano come diversi e che, a partire da questo riconoscimento come diversi, siano in grado di relazionarsi e di costruire sinergie in funzione dello sviluppo locale. È un accezione di multiculturalismo dove ciascuno può avere il suo diritto di esistere per conto proprio. L interesse va alla prospettiva dell esserci in relazione per costruire insieme. Vengono proposte tre parole chiave che hanno guidato la Regione Lombardia nella sua esperienza: sussidiarietà, sostenibilità e partecipazione. La prima parola chiave che la orienta e guida almeno da due legislature è quello della sussidiarietà, non solo come dimensione teorica, orientativa, ma anche come dimensione sperimentata in molti ambiti. Basti pensare alla legge regionale 23 del 99 che ha dato l avvio a tutte le politiche per la famiglia, dove si è lavorato molto per promuovere la sussidiarietà proprio nel senso di coinvolgimento e partecipazione delle persone, dei cittadini e della famiglia come dimensione centrale del sistema di welfare. Anche nel bando sulla coesione sociale la Regione ha provato a dare questa linea di sviluppo all iniziativa. È stata un iniziativa in cui si è chiesto ai territori che si proponevano di sperimentare la coesione sociale di individuare dei soggetti capofila di un partenariato che provenissero dal mondo del non profit. Più recentemente è stato fatto un bando per dare delle risposte alle persone che hanno problemi di autismo e alle loro famiglie, a seguito di un importante ricerca condotta negli anni scorsi. Anche in questo caso l obiettivo è quello di cercare di interconnettere le risorse presenti nei territori. In questo caso sono state individuate come capofila dei partenariati le Aziende Sanitarie Locali, quindi un soggetto pubblico che, però, necessariamente deve mettersi in relazione con tutte le altre risorse del territorio. Nel bando coesione sociale si è chiesto proprio di cercare di consolidare relazioni esistenti, ma anche di sviluppare relazioni nuove e di qualificare i partenariati in modo tale da creare sinergie e mettere in rete in una logica relazionale. L obiettivo è quello di promuovere un alta connettività delle reti. Il partenariato è già una forma di promozione di coesione. Il partenariato viene identificato come un soggetto con molte componenti in cui, però, ciascuno si assume la responsabilità precisa di partecipare e di fare qualcosa per raggiungere l obiettivo con delle risorse proprie e/o messe a disposizione dalla direzione regionale. Dev essere, però, un partenariato capace di mettersi in relazione anche con reti esterne al partenariato stesso. La coesione sociale non è fine a se stessa e deve essere funzionale a migliorare la qualità della vita all interno dei territori, a stare meglio, a stare meglio insieme. In questo bando si è sottolineata molto la dimensione dei conflitti, soprattutto legati all abitare e alla convivenza abitativa, ma anche quelli interculturali ed intergenerazionali, e la ricerca di solidarietà come contrasto al conflitto. Il conflitto è nella realtà, quindi non è una dimensione da negare, ma da affrontare attraverso questa costruzione di reciprocità. Un altro tema evidenziato come interessante in questo processo è quello della sostenibilità, anche in relazione alla questione del welfare locale. C è stata la volontà da parte della Regione di finanziare lo start up in un processo di empowerment delle comunità, chiedendo però loro di lavorare molto sul tema della sostenibilità che può essere visto in due prospettive. Una è quella della ricerca di reciprocità di interessi: non è solo la dimensione sociale che si muove per rispondere a dei bisogni, creare benessere o prevenire disagio, ma essa va collegata al tema più ampio dello sviluppo economico del territorio. Si auspica la ricerca di partner o soggetti della rete nel mondo profit e nelle forze economiche locali, disponibili non solo in un ottica di responsabilità sociale d impresa a finanziare delle iniziative - il nido aziendale piuttosto che altre esperienze di questo tipo - ma interessate al territorio coeso e sviluppato, in cui prevale il benessere sul disagio, perché è utile anche per le proprie prospettive di business e di profitto. Secondo l altra prospettiva, la dimensione della sostenibilità di una sperimentazione va collegata alla programmazione locale. Nel processo di

3 coesione si è riusciti parzialmente a realizzare ciò, mentre nell esperienza dei contratti di quartiere è stato posto come condizione, perché la sperimentazione fine a se stessa non può produrre dei risultati sostenibili. La sperimentazione è molto interessante proprio per vedere che cosa si muove a partire dai cittadini e dalle famiglie, ma è importante ricondurla poi alla dimensione e al quadro programmatorio dell ente locale. La definizione delle unità d offerta e della tipologia di interventi strutturati in modo stabile può tenere conto della sperimentazione, ma poi deve fare delle scelte, perché a fronte di risorse determinate occorre selezionare quelle di maggiore utilità. L ambito della programmazione locale, secondo le indicazioni date dall assessorato regionale, è un luogo in cui la partecipazione del terzo settore è promossa e auspicata come presenza non solo nella gestione degli interventi, ma anche nella definizione programmatoria. È stato chiesto agli ambiti di programmazione locale di costituire un tavolo del terzo settore in loco. L ultima questione su cui la Regione sta insistendo a partire dalla sperimentazione è la partecipazione delle famiglie e dei cittadini. La partecipazione del soggetto intermedio è molto importante ed arricchente, ma non è l unica. All interno di un processo di coesione sociale assume importanza il modo in cui gli abitanti di un quartiere, le famiglie e i cittadini si mettono in gioco e partecipano a costruire questi processi, non solo attraverso le loro rappresentanze, ma anche in forma più partecipata. Un ottica di questo tipo deve essere vista e convivere con l ottica della competizione e della libertà di scelta, promossa nelle politiche sociali regionali attraverso l autorizzazione all accreditamento, i titoli sociali ed i voucher. Si propone di utilizzare delle unità d offerta in competizione che però garantiscono dei requisiti di qualità che vengono misurati. Dentro a questa dimensione della coesione la Regione sta cercando di sperimentare la cooperazione nella competizione. Nella programmazione locale anche il momento cooperativo può coesistere con quello della competizione, perché si tratta di trovare all interno di una vasta rete gli spazi, le responsabilità, le competenze ed il capitale di ciascuno che si interfaccia con quello degli altri. (Maria Luppi) Dalla Regione Lombardia il focus si sposta in un altro territorio, quello emiliano, con l esperienza di Reggio Children che vede una stretta relazione biunivoca tra l organizzazione economica cooperativa e la vitalità e l innovazione dei servizi per l infanzia offerti. La coesione sociale è nel DNA di Reggio Emilia e della provincia di Reggio Emilia; queste scuole nascono da una forte volontà di una comunità, che comprende tutti i soggetti sociali, dall associazionismo, agli attori politici, amministrativi ed economici e si portano dentro anche nella quotidianità un organizzazione che cerca di sostenere la coesione sociale. Le politiche che i comuni fanno sui servizi per la prima infanzia sono una conseguenza di questo DNA e hanno come conseguenza questo universo. Sono politiche dei servizi che hanno sempre avuto questo doppio binario di forte identità: un inclusione delle differenze che però non rinuncia mai ad una fortissima identità. La partecipazione della comunità alla vita dei servizi per l infanzia viene individuata come una parola chiave, un atto fondativo quasi del primo regolamento. Si sottolinea che non si tratta di un valore dichiarato, ma di un valore praticato. Lo dimostra, ad esempio, il rinnovo dei consigli per l infanzia, che coinvolge la città nella rielezione biennale di consigli rappresentativi degli utenti e portatori di complessità che arrivano direttamente a chi deve fare le scelte politiche e amministrative. Sono formati da genitori e da personale e questo è un elemento di coesione che sta dentro la partecipazione. La partecipazione nei consigli è fatta di gruppi di lavoro che mettono insieme gli insegnanti, gli ausiliari, le cuoche, i genitori, ma anche i rappresentanti di quartiere. Nell organizzazione dell orario di lavoro degli insegnanti e degli ausiliari viene riconosciuta la partecipazione. La coesione viene individuata anche nel fatto che i nidi e le scuole dell infanzia stanno dentro ad un istituzione che non ha solo l obiettivo di gestirli, ma anche di tenere insieme la rete che ha gestori diversi, occupandosi dei rapporti in convenzione con le scuole fism e con il privato cooperativo. Si ritiene che tutta questa rete sia coesione sociale, nel senso che i diversi gestori

4 portano dentro emergenze culturali ed identità anche religiose differenti. Il fatto di stare insieme intorno ad un tavolo a parlare di formazione, di progettualità educativa, scuole fism e scuole comunali di Reggio, a decidere come fare le graduatorie o a ricostituire un unità di crisi intorno alle difficoltà economiche, è coesione sociale, gestione sociale. Viene riportato un ulteriore esempio: i coordinamenti pedagogici provinciali che riuniscono mensilmente i dirigenti di tutti gli enti gestori di Reggio e provincia. Si tratta di un coordinamento voluto dalle provincie e coordinato in modo centrale dalla regione che cerca di tenere insieme le esigenze di tutti i gestori. I comitati comprendono i comuni, le cooperative, le fism e le scuole statali. Questa caratteristica viene indicata come rilevante al fine di superare la logica della settorializzazione ed un sospetto reciproco molto forte che, paradossalmente, è più sentito tra scuole comunali e scuole statali, che non tra scuole comunali e scuole private, forse proprio per una sorta di anti-statalismo insito nella storia di Reggio Children, che è nato anche per aprire delle scuole contro il modo di fare scuola dello Stato. La creatività è uno dei valori più forti tributati ai bambini e a tutto il personale, dalla quale nasce l innovazione culturale che Reggio Children continua a sostenere, non soltanto attraverso i nidi e le scuole, ma anche attraverso le produzioni editoriali. La coesione sta dentro ad un organizzazione del lavoro quotidiana e della vita dei servizi, dove i bambini provenienti da numerose etnie differenti coesistono con quelli italiani. (Lorella Trancossi) Spostando il punto di osservazione all interno dell università, si pone l accento sulla progettazione dei servizi e sul lavoro orientato alla formazione e alla professionalità. Da questo punto di vista, pensare alla coesione sociale significa fare riferimento innanzitutto all esperienza della comunità, del senso, della percezione profonda che gli individui hanno e praticano di essere, di sentirsi e di essere riconosciuti parte di una comunità, rispetto all organizzazione del servizio. Si pongono tre quesiti: 1. oggi i nostri servizi educativi, la rete complessiva, l offerta attuale, le realtà attuali, per chi ci lavora dentro e per chi le vive, possiamo pensare che siano comunità? 2. i servizi oggi per come vivono, per come sono strutturati, per le percezioni e le realtà professionali che ci lavorano, sono in grado di promuovere e sostenere coesione sociale, se essi stessi per primi non si vivono in quest ottica? 3. quanto i servizi educativi possono svolgere un ruolo attivo, promotore di legami che siano orientati a creare coesione sociale in un territorio? Si ritiene che forse un servizio deve essere a sua volta e per primo promotore di politiche di questo tipo. Per le particolarità intrinseche del lavoro educativo, quello che si nota oggi è un estrema fatica e una grandissima fragilità e vulnerabilità da parte delle educatrici a sentirsi loro per prime parte di una comunità, entrando in scena con quest idea che non esiste solo la propria relazione con i singoli bambini e le singole famiglie, ma che si è parte di una realtà organizzativa. Spesso parlare con le educatrici - che hanno vissuto grandissimi investimenti professionali perché potesse essere valorizzata la dimensione delle qualità per la relazione - di servizio, organizzazione del servizio, organizzazione del lavoro nel servizio, organizzazione della realtà aziendale più complessiva all interno della quale si è, spesso è avvertito con un grandissimo senso di estraneità, come se questo non facesse parte della quotidianità. (Agnese Infantino) L intervento del rappresentante della Cooperativa Aldia ritorna sul tema della partnership. La coesione sociale in questo caso viene intesa come un intervento compartecipato del privato e del pubblico che possa davvero creare benessere per l utente finale che è il cittadino. L esempio del modo di lavorare per gare d appalto, che spesso sono al massimo ribasso, porta ad affermare che quando il pubblico e il privato lavorano così non hanno niente di coesione. A volte gli educatori, che siano di cooperativa o del pubblico, non capiscono più niente e lavorano meramente per lo stipendio. Un indicazione da mettere nell agenda della Comunità Europea dovrebbe essere quella di sostenere le partnership tra il pubblico e il privato. Un esempio citato in tal senso è Parma Infanzia,

5 dove un comune si crea una società mista con un soggetto terzo che era una cooperativa sociale, ma potrebbe essere anche un associazione. Si fa riferimento al difficile momento economico in cui si trova l Italia per lanciare un allarme: le borse dimostrano come il privato puro sia già in difficoltà, ma le società di servizi e i comuni che devono offrire servizi sociali saranno i prossimi soggetti che risentiranno fortemente di questa crisi economica. Le amministrazioni pubbliche in questo 2009 hanno fatto bilanci ridotti, dove hanno dovuto tagliare molte risorse. Le cooperative sociali, piuttosto che le associazioni, sono anche strumenti di risparmio per le amministrazioni comunali, ma se vengono utilizzate come puri strumenti economici, cioè al massimo ribasso, si andrà verso un mondo dove i servizi alla persona scoppieranno. Invece si ritiene che se la Comunità Europea sostiene la creazione di queste società miste che possano gestire i servizi, si possa sia avere un risparmio da parte delle amministrazioni pubbliche sono stati fatti alcuni passi anche in Lombardia con la legge 23 che è uno strumento di compartecipazione per la realizzazione dei servizi sia ottenere dei benefici economici per tutti, non solo per chi deve erogare i servizi, ma anche per chi ne deve usufruire. La coesione sociale per essere utile al cittadino deve partire dall unione delle forze sia pubbliche che private, queste ultime intese come privato sociale e associazionismo. (Mattia Affini) Il presidente del CNCA Lombardia si collega al discorso sottolineando che la coesione interistituzionale per la gestione dei servizi è una parte importante che sembra fondamentale proprio perché non c è coesione sociale. A suo parere coesione sociale è il fatto che in un quartiere ci sia comunità. Considera centrale l intervento di Agnese Infantino, perché le istituzioni e soprattutto le istituzioni che lavorano coi bambini più piccoli hanno una grossa importanza rispetto alla coesione sociale. In riferimento all esperienza di costruzione di Reti di Famiglie Aperte, si riporta l esempio di Milano, dove la città dei bambini e quella degli adulti non coincidono, se non quando i bambini sono molto piccoli, o perché vanno al catechismo nella parrocchia o perché vanno alla scuola materna o al nido o al massimo ai primi anni delle elementari. Le appartenenze nella città non sono dettate da dove si abita. Questo ha una grossa ripercussione sulla nostra vita ed è una cosa da non accettare come dato di fatto ineluttabile. Di conseguenza c è accordo con quello che ha detto Agnese Infantino, ossia che le scuole possono svolgere un ruolo importante rispetto alla coesione. Un altro ruolo importante viene svolto dalla valorizzazione dei luoghi di appartenenza e quindi far coesione vuol dire lavorare con le singole persone valorizzando i luoghi a cui essi appartengono, cercando di connetterli tra di loro. La coesione non si costruisce parlando, ma facendo insieme. Si specifica, inoltre, che il discorso della partecipazione e del terzo settore è una parte importante, ma non è tout court la coesione, deve essere approfondito, perché di fatto viene spesso svilito nella sostanza a fronte di effettive difficoltà. La partecipazione delle persone è fallita, perché la gente ha bisogno di appartenere a qualcosa che produce e si muove solo se appartiene a qualcosa che produce. Anche la mobilitazione delle persone per rispondere a dei bisogni che non sono solo loro, ma sono anche della comunità, è un modo importante per costruire nel tempo coesione sociale. Il discorso dell accoglienza familiare è un esempio di come rappresenti una crescita considerare la risposta ai problemi comuni non una scelta individuale, ma una scelta collettiva. Dal lato delle istituzioni, le risposte non sono solo risorse, ma sono partner, nel senso che se si considera un soggetto debole anche le modalità di risposta saranno deboli. A livello operativo si mette in luce il fatto che le reti spontanee sono preziose, ma fragili e non si può credere che si mantengano da sole. Nei processi di coesione sociale si dovrebbe cercare di far nascere delle reti operative che colleghino i soggetti sociali presenti, compresi attori come i commercianti, le scuole, le parrocchie, le singole persone che si coinvolgono per raggiungere obiettivi concreti. Si auspica come rilevante anche un investimento di lavoro sulla rete che non è, però, rete di discussione, ma rete di produzione e di gestione. Rispetto all integrazione, si sottolinea innanzitutto che, in Lombardia, la presenza di un elevato numero di bambini stranieri nelle scuole viene presentato dai giornali come una devastazione,

6 perché sono scuole talmente sotto-qualità perché ci sono tanti stranieri che gli italiani se ne devono andare da un altra parte. Viene citato l esempio di una scuola di Via Padova: nel lavoro di coesione sociale che si sta sviluppando come progetto nella Cariplo la scuola chiede di essere aiutata a diffondere una propria immagine di qualità, perché anche se ci sono tanti stranieri essa possiede dei pregi che derivano dal passato, quanto a integrazione dei disabili piuttosto che di ragazzini svantaggiati. C è, quindi, da prestare attenzione anche al tema della comunicazione. Il secondo aspetto emerso in relazione all integrazione degli stranieri, muove dall esperienza dell incontro con famiglie accoglienti straniere. Loro rispetto al nostro sistema di vita hanno da dare e da dirci delle cose che sono veramente alte. Ad esempio, hanno degli stili di vita differenti e ci insegnano molto: sono laureati, fanno lavori infami con orari impossibili e pochi soldi, vivono stretti, eppure accolgono. (Claudio Figini) Prende la parola il rappresentante di Opera Nomadi e premette che, a suo parere, i processi e i legami di coesione sociale che viviamo in questo pezzo di territorio siano in realtà molto deboli, siano molto difficili e soprattutto sposino logiche diverse. C è un forte richiamo ai valori della competizione e della rete, che sono temi legati in modo diverso, poco talvolta, con l esprimere una partecipazione che viene assunta a valore e poi a pratica e che produce degli effetti sociali tra le persone molto diversi. Si ribadisce la necessità di interrogarsi su quanto sia presente o non sia presente l idea di comunità in molti ambiti, in particolare nell infanzia che è un argomento che ricorre nell attenzione di tutti e delle politiche sociali con dei forti motivi di tensione e di allarme. Rispetto allo spaccato di riferimento di Opera Nomadi tale concetto è più difficilmente associabile a processi e temi che richiamino la coesione. Tuttavia essi mettono bene in luce il forte condizionamento che i poteri disciplinari riescono a definire e spostare rispetto a quelle che sono, da un lato, le esigenze di scuola, di contesto, di coesione, di sviluppo del servizio, di tutte quelle cose che dovrebbero facilitare in qualche modo lo stare insieme e con esigenze che sono, sì, in parte, di carattere prettamente politico - su alcuni temi molto più probabilmente che su altri - ma che esprimono in modo chiaro una tendenza culturale. Di conseguenza, si ritiene impossibile portare esempi di coesione nell accezione più positiva per quanto riguarda questo mondo: non se ne trova traccia nelle politiche pubbliche e non se ne trova nemmeno l interesse o la voglia di andare in questa direzione. È molto più facile stringere questa condizione e vederla solo indirizzata ad un segmento sociale che oggi viene vissuto come portatore di un allarme generale, ma su cui si sperimentano politiche differenziate di lettura di pratiche legislative sociali. Non sono solamente questioni di carattere nazionale, ma riguardano anche la Lombardia. Si cita l esempio più recente: la moltiplicazione di provvedimenti di gestione che dovrebbero essere welfare sociale nei campi nomadi, ma che diventano di altro tipo. Si teme che questo introduca una possibilità di intravvedere delle relazioni sociali più ampie e di disegnare un idea complessiva di rapporti sociali diversa da quella che in qualche modo diventi coesione sociale. Viene individuata una forte differenziazione tra il richiamo a dei valori di coesione dove chi opera nei servizi è chiamato, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista più culturale, ad assoggettare i propri servizi a logiche molto rigorose, molto chiuse, e un idea, invece, più aperta di partecipazione, di confronto, di condivisione, di messa in discussione, cioè di non accettazione predefinita di qualcosa. (Maurizio Pagani) Il punto di vista di Assonidi porta l attenzione sulla condizione del gestore privato che in molti casi è in situazioni sperdute, da solo e con grosse difficoltà, per esempio, a entrare in contatto ed in connessione, pur gestendo nel bene o nel male, ovunque esso sia, un servizio di grandissima importanza e di valore all interno del discorso sulla coesione sociale. La definizione che viene data di coesione sociale è: ritornare in effetti a fare un discorso di comunità e, parlando di grandi città, tornare a fare nidi di quartiere. Più in generale si pensa a tutto quello che è rappresentato dai luoghi di riferimento, come sono i nidi e le strutture per l infanzia e come dovrebbero esserlo di più di quanto siano, nel senso che potrebbero essere il riferimento anche per altro oltre che per ciò che sono deputati principalmente a fare. Coesione sociale vuol dire:

7 - bambini, che sono cittadini dalla nascita ed è molto diverso quello che può essere il loro percorso, a seconda delle esperienze alle quali possono accedere fin da subito; - genitori e famiglie, solitudine a livello personale, nella marginalità, a volte nel disagio; - operatori, rispetto ai quali nel privato c è un problema di contratti di lavoro. Però l operatore è anche la preparazione dalla quale arriva, la sua permanenza e formazione, il suo sostegno, la fatica, l impegno e l estrema esigenza di non essere delle monadi, delle isole sospese nel nulla, ma di essere comunità, in connessione, interconnessi nella rete. Viene riproposta la parola chiave rete, con la specificazione che bisognerebbe a volte definirla meglio, perché ormai è abusata e poi nella pratica si continua a discutere su che cosa voglia dire. La rete è considerata fondamentale, perché il privato da solo non può esistere e i gestori privati ne sono tutti abbastanza consapevoli, dato che lo riscontrano nella loro quotidianità. Si evidenzia che dovrebbe essere una rete che origina proprio dall inizio, dalla programmazione, dalle decisioni, perché così si possono condividere tutta una serie di questioni, di criteri e di standard. Sul territorio ci sono esperienze che si stanno portando avanti con la provincia e con la regione che coinvolge Assonidi nei criteri dell accreditamento. La rete è ancora più rilevante dal punto di vista del decidere che luoghi sono, come usarli, come condividerli e anche come metterli a disposizione del territorio, della comunità e della collettività. Questo viene indicato come nodo centrale dei servizi, rispetto non solo all infanzia, ma anche ad altri ambiti, momenti e luoghi dedicati ad altro all interno del territorio e del quartiere. La questione dell integrazione dei bambini stranieri viene presentata come esempio per chiarire cosa si intende per definire la rete : al privato lo straniero non può arrivare, perché non ce la fa a pagare. In tal senso il privato è defraudato della possibilità di fare questa esperienza. Le strutture che il privato mette a disposizione danno posti. Si ritiene che forse sia meglio coinvolgere il privato affinchè intanto diventi sempre più consapevole e sempre più serio. Si suggerisce che sarebbe utile trovare il modo di contaminare tutte le strutture, perché altrimenti si rischia di averne due tipi diversi. Dal punto di vista delle decisioni politiche ed economiche è importante interconnettersi, pur nel rispetto delle specificità. (Donatella De Gaetano) Segue il contributo del responsabile dell Osservatorio delle politiche sociali della Provincia di Milano che presenta alcune riflessioni sul tema del welfare locale a partire dai risultati di un a recente indagine. L intervento parte dalla considerazione che noi viviamo in un Paese molto poco e sempre meno coeso, conflittuale da tutti i punti di vista, caratterizzato da lobby, dove ci sono grandi differenze e dove sta crescendo la disuguaglianza tra le persone. Si registra una situazione di difficoltà che si sta ampliando anche dal punto di vista quantitativo. Stanno anche crollando le identità culturali che tenevano insieme e creavano coesione all interno della nostra realtà, delle nostre città e dei nostri quartieri. Si tratta di fenomeni spesso determinati da fattori e problematiche diversissimi e non sempre da politiche più o meno sbagliate, anche se esse possono fare o non fare. Di fronte a questa situazione, si propone una definizione di coesione sociale che coincide col dare cose diverse a persone diseguali. Si ritiene che per molti anni siamo andati avanti, anche nella logica del welfare e dei servizi, a pensare che tutte le persone avessero bisogno delle stesse cose, con questa logica spesso del tutto gratuito, del tutti uguali, che probabilmente in una prospettiva di coesione dobbiamo cominciare a superare. Le maggiori differenze si fanno dando cose uguali a persone diverse. In realtà oggi abbiamo scoperto che stanno nascendo e sono sempre più presenti bisogni diversificati nella nostra realtà, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nei nostri quartieri. Un quartiere periferico ha dei bisogni diversi da un quartiere centrale. Allora viene individuato come necessario immaginare di riuscire a costruire delle politiche che possano mettere in campo cose diverse che possano rispondere ed intercettare bisogni diversi. Si afferma che la coesione sociale oggi bisogna immaginarla, in primo luogo, a livello delle istituzioni, perché l elemento più debole in Italia è appunto questa difficoltà di mettere insieme istituzioni diverse che pur di fatto hanno anche competenze sociali. Due sono le motivazioni addotte. La prima è la strana mania italiana dove le competenze sono sparpagliate in centomila enti

8 diversi e già il semplice operatore è in difficoltà a capire di fronte a un bisogno a chi si deve rivolgere, immaginiamoci il cittadino stesso. La seconda è la rincorsa rispetto al fatto che c è il desiderio di fare qualcosa per rendersi visibili rispetto all esterno. Un esempio proposto è quello che riguarda gli interventi sulla situazione economica dell anti-crisi, dove è paradossale che ogni ente ed istituzione faccia delle cose diverse. Ciò diventa simbolo della poca coesione che oggi abbiamo nella nostra realtà e, per altro, su una politica molto concreta ed attiva come quella di sostenere delle famiglie. Il secondo livello di mancanza di coesione che viene indicato è determinato dalla difficoltà che c è di fare coesione con tutta la rete che si occupa del welfare locale. Negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti in maniera abbastanza interessante, ma si sostiene che manchi ancora obiettivamente una coesione tra servizi diversi gestiti da privati e da pubblici nel porsi in maniera omogenea e a livello di rete nei confronti dei cittadini e dei bisogni della comunità. Coesione sociale significa anche attivare le risorse personali della gente e delle comunità. A tal proposito viene citata un indagine fatta a livello europeo sugli interventi sulle estreme povertà, dove si vedeva chiaramente come in Italia la modifica di queste situazioni fosse estremamente ridotta. In Europa gli investimenti da questo punto di vista danno risultati decisamente diversi in termini di cambiamento. Ci troviamo in una realtà dove ciò che mettiamo sul piatto rischia di non scambiare nulla. L atteggiamento è sempre quello assistenziale, quello di dare delle cose, ma che non producono cambiamento e che mantengono la situazione. Se ne conclude che c è bisogno di fare un salto di qualità rispetto al tema dell attivazione del singolo, della persona e della comunità, dove l investimento vero in coesione sociale è anche quello di investire per attivare, perché se si investe per dare assistenza e basta non si cambiano le situazioni. In chiusura di intervento il rappresentante della provincia richiama il rapporto tra coesione sociale e sviluppo economico, affermando che coesione sociale va di pari passo con sviluppo economico: laddove si riesce a raggiungere una buona coesione sociale, si riesce anche a produrre un buono sviluppo economico della realtà del territorio. Probabilmente si tratta di un binomio che va visto insieme e diventa imprescindibile. Nell indagine provinciale si vede molto bene questo aspetto: dove le comunità più forti da questo punto di vista riescono ad essere più inclusive, riescono a gestire le conflittualità. Anche l aspetto dello sviluppo va di pari passo: nascono più imprese, più competitività e poi più capacità di benessere intorno alle comunità. (Paolo Formigoni) 2. A ccesso, qualità e partecipaz ione La parola rimane al rappresentante della Provincia di Milano che introduce il tema dell accesso ai servizi facendo sempre riferimento al lavoro svolto all interno dell Osservatorio delle politiche sociali. Si è verificato sul campo come ci siano estreme differenze da tale punto di vista, anche sul nostro territorio, che è un territorio provinciale, e non è un territorio compatto come può essere quello di un intero Paese. Vengono portati due esempi. Il primo è relativo all entità della spesa sociale che viene sostenuta sui nostri territori: ci sono degli ambiti territoriali dove viene realizzato il piano di zona che spendono sostanzialmente la metà di altri all interno della stessa Provincia di Milano. Il secondo riguarda le tariffe: ci sono delle differenze grosse, ci sono degli ambiti, dei territori che incassano mediamente il 7, l 8% di quanto spendono per i servizi e altri che hanno una percentuale di recupero che è oltre il 19%. Si arriva anche al caso in cui all interno di uno stesso territorio si hanno situazioni differenti rispetto al trattamento delle persone. Ciò non porta a ridurre le disuguaglianze e non porta a un modello di coesione sociale. Viene segnalato come necessario il fatto di intervenire su questo tema, che vuol dire dare pari opportunità alle persone ed alle famiglie, immaginando delle politiche che prevedano delle differenze, perché ormai tutti abbiamo a che fare con l ISEE, con la valutazione della situazione economica delle persone e con la capacità di contribuire o meno rispetto ai servizi. Si ritiene che quella dell accesso sia una questione che vada affrontata in maniera quasi fondamentale e che siamo ancora molto lontani dal dare pari opportunità a tutti. C è poi l aspetto della possibilità concreta. Dalle rilevazioni fatte su alcuni servizi è emerso che c è una domanda decisamente più consistente dell offerta che non è in grado di rispondere a

9 tutta la domanda. Accade in particolare nei servizi per l infanzia, anche in una regione come la Lombardia che ha delle percentuali di copertura che vanno oltre il 20% sui bambini 0-3 anni, ma certamente c è un altro % di famiglie che chiedono e che non possono accedere ai servizi. Ciò crea ulteriori disuguaglianze, perché comporta tutta una serie di difficoltà che a catena vanno a determinare anche problematiche diverse nella situazione familiare. Sul tema della partecipazione ai servizi si afferma che mediamente oggi siamo ancora molto lontani dal fatto che si possano pensare, strutturare ed organizzare dei servizi partecipati, sia nel mondo dei servizi alla prima infanzia che in altre realtà. Per molti anni si sono previsti dei formalismi da questo punto di vista si pensi ai comitati di gestione di asili nidi piuttosto che alla partecipazione agli organi collegiali della scuola dove nella maggior parte dei casi ci si trova di fronte a formalità che bene o male sono previste dalla legge. Questo tipo di esperienze ha un livello di partecipazione sostanzialmente ridicolo che rende veramente difficile capirne il senso. Si suggerisce il dovere di immaginare invece una partecipazione e un coinvolgimento che siano una cosa diversa e di cui oggi c è estremamente bisogno. Si tratterebbe non tanto di pensare di organizzare meglio i servizi o di farli costare di meno, ma piuttosto di andare incontro ad un bisogno delle persone di condividere, di essere ascoltate e di essere prese parte in carico, cosa che oggi difficilmente si fa. C è un profondo individualismo, ma c è anche un bisogno da parte delle persone di avere dei punti di riferimento con cui condividere delle esperienze, dei bisogni, delle difficoltà o delle esperienze, come quella dell infanzia, dell avere un bambino, che facilmente si può condividere con altri. A tal fine risulta fondamentale creare spazi di partecipazione. (Paolo Formigoni) L esponente di Assonidi esprime il suo accordo con la posizione del rappresentante della Provincia di Milano in merito all accesso ed aggiunge un pensiero anche per quei bambini e quelle famiglie che non chiedono neanche il servizio. Riguardo alla partecipazione si crede si possa fare di più anche nella situazione attuale, in quanto legata a come viene vissuto il luogo dell infanzia, che, come nel caso dell esperienza di Reggio Children, è un luogo di incontro e di interazioni tra bambini e bambini, tra bambini e adulti, tra adulti e adulti. Si propone di partire con la partecipazione già nel pensare a cosa fare nei servizi. (Donatella De Gaetano) L intervento del rappresentante di Opera Nomadi si focalizza sulla componente straniera ed evidenzia il fatto che nelle scuole d infanzia milanesi più bambini stranieri (e una parte di ragazzini italiani economicamente meno dotati) ci sono, peggiore è la condizione non solo strutturale, ma anche in termini di risorse umane del personale della scuola. Oggettivamente è un dato di rilievo. Si rileva che per quanto riguarda la questione dei bambini sinti non si è modificato pressoché nulla negli ultimi vent anni. Quello dell accesso ai servizi è un problema che, non solo non è stato risolto, ma che ampiamente li vede esclusi per motivazioni diverse che corrispondono alle diverse tipologie che compongono questo gruppo sociale. Molta della responsabilità viene individuata nella mancanza o meno di un riconoscimento formale e sostanziale da parte degli attori pubblici. C è sempre una conseguenza logica anche sul livello della partecipazione, cioè laddove cresce il disconoscimento formale e sostanziale a tutti i livelli, maggiore è l allontanamento e, in questo caso specifico dell accesso ai servizi, l estraniazione, l autolimitazione oppure la possibilità di tener fuori in modo aperto o meno dichiarato una particolare tipologia di utenza. Si ritiene che il tema dell accesso sia sempre strettamente legato alle modalità ed alla sostanzialità di un riconoscimento pubblico, pubblico inteso da parte di chi poi ha il potere di gestire e controllare, di aprire e chiudere i servizi. (Maurizio Pagani) Il contributo del presidente del CNCA Lombardia in merito all accesso dei servizi si apre con una domanda: chi garantisce la collettività della correttezza del fatto che le fasce deboli abbiano accesso ai servizi? Si afferma che rimanere fermi alla diade pubblico-privato non sia efficace in questo momento, anche perché il concetto di funzione pubblica non dipende dal soggetto che eroga la

10 prestazione, ma dalle caratteristiche della prestazione. Il problema che emerge è: che rapporto c è tra l ente rappresentativo e i tecnici, siano essi dipendenti di aziende pubbliche o di cooperative, che gestiscono i servizi svolgendo una funzione pubblica? Si ritiene che questo tema debba essere presidiato in maniera molto chiara e debba essere oggetto di sperimentazione e di partnership interistituzionali. Viene espressa la preoccupazione rispetto alla tutela delle fasce deboli e al fatto che chi governa sia in grado di garantirla. Non si parla, quindi, di rapporto tra pubblico e privato, ma tra ente rappresentativo e chi gestisce le cose che lui fa. Riguardo all accesso dei servizi, si riprende il discorso legato all appalto e al voucher. Partendo da una critica al sistema degli appalti, si sottolinea che sono stati fatti dei passi in avanti. Non sono appalti al massimo ribasso, ma sono appalti, come dice la normativa, rispetto alla risposta economicamente più vantaggiosa. Anche con la voucherizzazione si utilizza questo sistema. Partendo dallo specifico campo in cui opera il CNCA, viene sollevato il tema della libera scelta. In questo settore, che si occupa di sostegno alle famiglie fortemente disagiate e con degli interventi anche di limitazione della potestà, la soggettività della famiglia deve essere valorizzata in toto. Pur ritenendo positivo l approccio di valorizzare la loro soggettività nelle risposte che si costruiscono sui loro bisogni, si suggerisce di presidiare un approccio ideologico purtroppo presente. Viene proposta la sperimentazione del concetto di libera scelta, perché contiene dei grossi effetti positivi riguardo all effettiva possibilità che le persone che hanno dei problemi siano messe in gioco per risolverseli in primo luogo da soli, anche quando sono soggetti deboli, perché altrimenti si cronicizza l intervento. Si sottolinea, inoltre, che di fatto la libera scelta in un comune grosso ha un senso, in un comune piccolo ne ha un altro e poi alla fine sceglie sempre l assistente sociale. Viene ripreso il concetto di cooperazione nella concorrenzialità, in quanto interessante, ma mettendo tra virgolette la concorrenzialità. Emerge l ipotesi che lo sviluppo sociale avvenga nella messa in comune dei sogni e dei progetti: non è per come si scrive il progetto, ma per come si fanno le cose che si è veramente in grado di essere presente. Si pone l attenzione su una deriva in atto: la deresponsabilizzazione pubblica sui reali costi del servizio. Questo avviene anche all interno dello stesso sistema pubblico, perché il comune non riceve i soldi dallo Stato. Succede questo. Alcuni anni fa era l ente pubblico che faceva i servizi per quanto riusciva, adesso in questo sistema c è la crisi economica. Non è sempre così, perché esiste serietà nella programmazione, però per contenere i costi o non si applicano bene i contratti o si applicano in modo soggettivo oppure non si valorizza il lavoro di programmazione in interventi raffinati oppure si tende a non vedere la raffinatezza, perché se i criteri di qualità messi in fase di accreditamento sono meno rigorosi di quelli che un ente pubblico applica quando deve acquistare un servizio, questo può portare, oltre che alla deresponsabilizzazione, al fatto che diminuisce la qualità del servizio. Ci sono delle strutture, dei servizi e degli apparati dello Stato - lo Stato, la Regione, la Provincia, il Comune che rimangono perché sono inattaccabili come costi, mentre si tocca dove davvero si fa il servizio, dove c è la gente che lavora. Si porta un esempio, tratto dall esperienza dell azienda cooperativa, di personale con titoli che guadagna meno dei suoi utenti e che è sempre a rischio di perdere il posto di lavoro, perché c è l appalto o perché non c è più il voucher, mentre tutto il sistema rimane inattaccato. Entrando nell operare del servizio, si afferma che il lavoro sociale è un esperienza collettiva e che la cultura dell organizzazione condiziona in maniera pesante gli esiti del servizio, anche in termini pedagogici. La partecipazione della comunità a costruire le risposte è un fatto positivo se non c è deresponsabilizzazione. Quello che può fare una famiglia rispetto alla risposta al bisogno di uno che è allontanato dalla famiglia è molto prezioso. Alla luce dell impegno profuso dal CNCA, si sottolinea la necessità che ci siano sostegni concreti alla partecipazione della comunità nel dare risposte a bisogni comuni, al di fuori di servizi istituzionalizzati. Bisogna porre attenzione al fatto che la maggior parte delle risposte ai problemi la gente se la trova da sola all interno della propria rete di appartenenza, quindi occorre anche un discorso di sperimentazione per non istituzionalizzare cose che non devono essere istituzionalizzate.

11 Inoltre si ritiene occorra sperimentare e sostenere la generosità delle persone attraverso forme di sostegno reale, valorizzando l associazionismo ed i loro modelli, ossia le reti informali, ma anche garantendo sostegni concreti nel momento in cui esse diventano soggetti attivi e danno delle risposte. Si parla non solo del sostegno pubblico, ma anche della sperimentazione o della messa a rete di nuove figure, magari appartenenti alle stesse reti a cui fanno riferimento le famiglie per garantire il sostegno durante la gestione dell esperienza. In chiusura di intervento si evidenzia un ulteriore deriva del caso milanese, relativa alla garanzia della tutela che quello che avviene avviene in un campo di correttezza. Il passaggio di un bambino da una famiglia debole a una famiglia più forte comporta vari rischi di ingiustizia oppure, all opposto, di sofferenza della famiglia che lo accoglie. Poi è necessario fare delle riflessioni su come l ente rappresentativo è in grado di garantire la collettività che questo avviene nella correttezza. Si evidenzia che a Milano si stanno verificando forme positive, ma anche pericolose in cui l ente pubblico assegna delle funzioni, quali la valutazione dell idoneità della famiglia, alle associazioni alle quali la famiglia fa riferimento. Questo può essere positivo nella misura in cui ci sono altri garanti. Di conseguenza, oltre a garantire il sostegno delle esperienze di accoglienza anche con forme più forti e più certe, bisogna sperimentare partnership interistituzionali perché ci sia veramente la garanzia per la comunità che tutto avvenga nella correttezza. (Claudio Figini) Segue il contributo di un altra cooperativa (Aldia) che riprende il discorso fatto dal rappresentante della Provincia di Milano in merito al fatto che oggi ci sono comuni che devono trovare una partecipazione per la copertura economica dei servizi, chiedendo alle famiglie, in base all ISEE e ad altri criteri, una compartecipazione. Il problema è che alcune famiglie che oggi meriterebbero di avere un accesso gratuito comunque non ce l hanno, ma devono garantire una partecipazione economica, seppur inferiore rispetto ad altri redditi. Si suggerisce di chiedere all Europa di cercare di dare delle risorse, anche attraverso i progetti europei, che siano più mirate e che tengano conto di quello che succede dopo l erogazione dei servizi. Occorre che questi progetti chiedano che le aziende che accedono poi siano in grado di sostenere in futuro questo progetto, perché se quando abbiamo i fondi eroghiamo un servizio indistinto a tutti senza pensare che si tratta di soggetti diversi, che quindi potrebbero partecipare economicamente alla gestione del servizio in maniera diversa fin dall inizio, si rischia che quando i fondi finiscono si debba per forza limitare l accesso in funzione delle caratteristiche sociali ed economiche delle persone. Il pubblico non sta chiudendo, ma sta chiudendo l accesso a qualcuno che, dovendo partecipare, non se la sente. (Mattia Affini) Il punto di vista accademico dà un ordine ai tre processi concatenati, mettendo al primo posto la qualità seguita dall accesso e poi dalla partecipazione. La qualità non viene vista come qualità del servizio, ma come una serie complessa di processi che portano, in una comunità e all interno di un preciso quadro di scelte politiche, a progettare, programmare, governare e coordinare un offerta di servizi. Si manifesta la sensazione che invece si stia puntando molto l attenzione su una qualità tutta interna e ci si stia concentrando poco nel definire gli elementi di qualità del processo che garantisce la qualità all interno del servizio. Viene espressa, inoltre, una preoccupazione per il fatto che oggi nei servizi la partecipazione sia sempre meno una partecipazione istituzionale. C è il timore che spesso si parli di partecipazione evocando delle idee a volte un po romantiche, di genitori che partecipano e che poi, però, nelle sedi decisionali non ci sono. Si suggerisce di concentrare l attenzione su come ridare importanza, valore e significato ai momenti istituzionali. Assistiamo ad una continua svalorizzazione della dimensione istituzionale dei servizi, cioè di quella in cui si assumono scelte, decisioni ed orientamenti che poi determinano la quotidianità di tutti quanti. Parlare di partecipazione apre a una miriade di considerazioni. Partecipazione è qualcosa che non si dice, ma che si fa e si sostiene nei modi in cui c è, anche se sono altro rispetto a ciò che si aveva in mente. Partecipazione porta a pensare che il problema immediatamente connesso è chi sta nei servizi, chi sono i privilegiati che si possono permettere un nido a euro, chi sta fuori e chi nemmeno se

12 lo sogna e non è che non se lo sogna perché non abbia letto o non sappia dell esistenza, ma perché oggi l offerta crea la domanda e crea l aspettativa per sé. Si ritiene che la nota dolente quando si parla di accesso non sia quanto sono lunghe e in quanti modi attraverso il coordinamento e le sinergie pubblico-privato possiamo snellire le liste d attesa, ma come creiamo cultura dei servizi e come creiamo l idea che è bene per tutti avere dei buoni servizi. Si afferma che i servizi non si fanno col mercato: libera scelta in libero mercato coi servizi non funziona, i servizi non sono mercato. (Agnese Infantino) La rappresentante di Reggio Children si riallaccia all argomentazione appena proposta affermando, invece, che il discorso sulla monetarizzazione dei servizi e sull idea che ci siano servizi di qualità che vengono erogati e sostenuti tramite convenzioni dal pubblico abbia senso nell ambito dell infanzia. Ricorda che ci sono altre esperienze di questo tipo, per esempio il Progetto Infanzia della bassa reggiana, che percorre la strada dei voucher. Riguardo all accesso e, in particolare, ai criteri per l accesso e alla formazione delle graduatorie, l esperienza di Reggio Children mette in luce che nel punteggio principale viene valutata la situazione complessiva del bambino e del nucleo, relativamente al lavoro dei genitori, al numero dei figli, alle problematiche della salute e alle situazioni di disabili e di difficoltà economica, mentre non è richiesto nè valutato il reddito del nucleo familiare. Si crede che questa sia una scelta che rispetto ai criteri dica tante cose ed abbia delle caratteristiche di qualità. Se si tiene conto, per l accesso, del numero di ore che lavora la famiglia e della possibilità che essa ha di avere o non avere una rete di protezione, più che del reddito, si garantisce ai comuni o agli enti di soddisfare le famiglie che hanno effettivo bisogno e che quindi usano davvero il servizio. Si propone l esempio della situazione di un nido. Su 73 bambini si sono ricevute 17 segnalazioni di servizio sociale che riguardavano nella totalità famiglie casalinghe, segnalate dal servizio per alcune emergenze. Di questi 17 bambini 5 frequentavano, gli altri no. Ci si è chiesti che cosa significasse questo, in termini di pari opportunità, rispetto a chi era in lista d attesa. Se ne conclude che è giusto salvaguardare la segnalazione, ma che occorre attivare anche la rete tra il servizio educativo ed il servizio sociale, che spesso sono quasi due controparti. Quella delle rette, invece, viene individuata come una questione di scelte da parte dell ente pubblico. Nei servizi gestiti si hanno coperture che oscillano tra il 25 ed il 33%, anche nei nidi. Ciò significa che c è sicuramente una richiesta di copertura, ma che ci sono anche delle scelte da parte dell ente pubblico rispetto al costo dei servizi, perché tale costo può essere razionalizzato non soltanto dando in appalto. Ci si riferisce alle cucine, piuttosto che all utilizzo e all orario di lavoro del personale. Si ribadisce che il ruolo dell ente pubblico è cruciale per tanti punti di vista. Quando nel reggiano sono cominciate a nascere le cooperative, e sono nate molto più tardi rispetto ad altri territori, il fatto che ci fosse un ente pubblico che sul versante della qualità del servizio, della qualità degli spazi e della qualità dell organizzazione del lavoro avesse un identità tanto forte ha costretto la cooperazione a vedere quello come un modello rispetto al quale doveva misurarsi e non al ribasso, ma su tutti questi versanti. L ente pubblico non si è sottratto a questo. Ciò significa, per esempio, che quando Reggio Children fa formazione per conto dell ente pubblico, le aule sono piene di insegnanti e di operatori che sono lì a fare formazione a pari titolo, sia che siano del mondo cooperativo sia che siano dell ente pubblico. Il ruolo dell ente pubblico è sicuramente un ruolo di controllo, ma è soprattutto una questione di questo tipo. Rispetto al discorso della qualità nella quotidianità Reggio Children parla di normalità ricca, perché vuole uscire dall idea del progetto speciale, dall idea che si fa qualità del lavoro dell insegnante e dei bambini soltanto se si fa una cosa molto particolare. Dare importanza alla qualità significa che tutto quello che si mette in campo dalle 7.30 quando si apre alle quando si chiude ha alcuni valori di riferimento. Ad esempio, c è accordo nel dire che i bambini e gli adulti hanno capacità autonome di apprendimento e nel sostenere l idea socio-costruttivista dell apprendimento, dell imparare insieme. Se, però, nell organizzazione quotidiana del lavoro e del gruppo dei bambini

13 non si pratica questa cosa, si fa della demagogia. Lo stesso discorso vale per il pensiero cooperativo: come fa un educatore che incentra il suo lavoro nella relazione 1 ad 1 a sostenere il pensiero cooperativo? Il ruolo dell adulto è quello di organizzare il contesto che sostiene l autoapprendimento, di organizzare lo spazio e di aver lavorato prima che il gruppo dei bambini cominciasse a lavorare. Ciò che si suggerisce è di iniziare ad organizzare i contesti e a fare delle ipotesi. (Lorella Trancossi)

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