Maria Ines Aliverti Recensione a Anna Barsotti, Eduardo, Fo e l attore autore del Novecento, Roma, Bulzoni, 2007, 386 p.

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1 1 Maria Ines Aliverti Recensione a Anna Barsotti, Eduardo, Fo e l attore autore del Novecento, Roma, Bulzoni, 2007, 386 p. Il libro di Anna Barsotti dedicato a due tra i maggiori protagonisti del teatro italiano del Novecento, Eduardo De Filippo e Dario Fo, nasce da lunghi anni di studio e di attenta e appassionata sollecitudine per l opera dei due attori autori. Frutto di quella libertà di approccio che caratterizza gli studi della maturità, esso rifugge da costruzioni monumentali per stendere una rete sottile di rimandi e di irraggiamenti attraverso cui l opera dei due artisti prende il suo pieno valore nella nostra cultura teatrale contemporanea. Il volume consta di quattro parti 1 e di una sezione di Materiali 2. Alla lettura tuttavia queste parti si possono racchiudere in tre nuclei che manifestano anche significative variazioni nell approccio alle figure e ai problemi. Il primo nucleo (Parti I e II) può definirsi analiticamente poetico, oltre che dedicato alla poetica, e contiene i due ritratti di Eduardo ( attore tra maschera e volto ) e di Fo (attore plurale, giullare multiplo e ipòcrito-maniaco). Si delineano qui i ritratti dei due attori-autori sul filo di un percorso che si potrebbe definire emblematico, misurato sul rapporto profondo con alcune esperienze racchiuse in testi chiave. Per Eduardo si disegna il suo alter ego metateatrale: il capocomico pazzo per necessità Gennaro de Sia (Uomo e galantuomo), Sik Sik, l artefice magico, Otto Marvuglia della Grande Magia; per Dario Fo, l istriomane maniaco del teatro verità in Morte accidentale di un anarchico e l auto immagine giullaresca di Mistero Buffo. Come a corollario di queste figure chiave dell autoriflessione dei due uomini di teatro, emergono, nella produzione drammaturgica di entrambi, alcuni personaggi con caratteristiche contigue: la truppa degli antieroi, dei distratti, dei sognatori, dei pazzi, degli inadatti (pp ) che di volta in volta si sono fatti portatori di verità altrimenti indicibili. In questa parte del suo lavoro Anna Barsotti ci dà alcune esemplari descrizioni del gioco dei due attori, in cui riesce a rendere con finezza e precisione quasi calligrafica la loro persona recitante, e in particolare i primi piani. L uso della terminologia cinematografica è in questi passi perfettamente funzionale al modo come i due attori riescono a spostare sul loro volto l attenzione dello spettatore, giocando sulla dinamica dei movimenti corpo-volto, di gestualità e mimica. La maschera volto di Fo, che gli consente di attuare un processo di distanziamento dalle situazioni rappresentate assumendo la strategia dell altro, viene magistralmente esposta nei suoi effetti fisiomimici imprevisti e sorprendenti (pp ). Altrettanto sensibili e penetranti le descrizioni del volto maschera di Eduardo, viste come alternanze significative tra la mobilità dei passaggi espressivi e l irrigidirsi in alcune espressioni fisse: ecco Michele Murri in Ditegli sempre di sì, registrato nel 1962, dove Eduardo compone l effetto scenico della pazzia (p. 33), o ancora Eduardo come Pasquale in Questi fantasmi, nella registrazione del 1962 messa significativamente a confronto con le critiche coeve (p. 55). Più rispondente a una istanza critico-storica è invece il secondo nucleo del lavoro in cui si articolano due approcci. Il primo (corrispondente alla Parte III) prende in esame comparativamente i diversi elementi della contiguità di Eduardo e di Fo nel teatro italiano, qui visti da vicino anche come autori-registi e produttori del loro teatro, relativamente ad alcuni aspetti nodali della loro pratica teatrale: le poetiche del comico, il rapporto con la tradizione, la drammaturgia più che consuntiva - o forse * Il testo di questa recensione riprende un mio intervento in occasione della presentazione del libro tenuta al Teatro Verdi di Pisa, il 14 marzo 2008, con la partecipazione di Claudio Meldolesi e della stessa Anna Barsotti. 1 Eduardo (Parte I, pp ), Fo (Parte II, pp ), Eduardo e Fo (Parte III, pp ), Dialetti, lingue, pastiches. La maschera, il volto e la smorfia nell attore autore italiano dal 900 al 2000, (Parte IV, pp ). 2 I Materiali (pp ) contengono una riflessione sulla linea eduardiana da Leo de Berardinis a Toni Servillo e interviste a tre originali, e tra loro diversi, protagonisti di questa linea: lo stesso Servillo, Silvio Orlando ed Alfonso Santagata. Si chiudono con due conversazioni con due altri autori-attori, Paolo Rossi e Alessandro Benvenuti.

2 2 meglio la drammaturgia del testo mobile, quella che tende a non interpretare il testo come fisso neanche una volta stampato - la concezione dell attore e del suo corpo, il lavoro con la compagnia, il pubblico e gli spazi. Il secondo (Parte IV) è dedicato a quella che potrebbe definirsi nel suo senso più profondo l eredità di Fo e di Eduardo nel teatro italiano nel 900, quella che forse potrebbe chiamarsi, a mio avviso e se interpreto bene il pensiero dell autrice, una sorta di pedagogia dell impossibile, cioè l esposizione solista dell attore-autore nel monologo (il solista molesto) che fa scuola in alcune importanti esperienze successive (Troisi, Benigni, Moscato). La definisco pedagogia dell impossibile perché corrisponde al nucleo più oscuro e intenso (più atrabiliare e mortale) della sapienza di questi attori e in particolare della sapienza di Eduardo. Non a caso questa parte è chiusa dal corollario di Sik Sik, come il Prospero shakespeariano vero e fantasmatico alter ego dell autore di teatro. Il terzo e ultimo nucleo del libro (Materiali) è più documentale e calato nella ricerca attuale: raccoglie, sotto la forma di interviste a Toni Servillo, a Silvio Orlando ad Alfonso Santagata, a Paolo Rossi e ad Alessandro Benvenuti, materiali di teatri in fieri che fanno emergere la ricchezza e la varietà dell eredità di Eduardo e di Fo nel teatro contemporaneo. La capacità di comunicare di Fo e di Eduardo risiede in un teatro che non si adegua ai progetti dell organizzazione culturale, ma non si ghettizza. Il confronto fra le loro distinte poetiche della scena consente di indagare: i rapporti di entrambi, e di ciascuno, con la tradizione; la fusione che ciascuno a suo modo opera dei ruoli di attore-autore-regista; le finalità del teatro che l uno e l altro si prospettano; le relative genesi del testo, che implicano per entrambi un personale stile recitativo; il rapporto con il pubblico, nodo fondamentale per la creazione drammaturgica e spettacolare di questi due uomini di teatro. E un confronto serrato, ma libero, che consente di considerare le contiguità più che le coincidenze, che prende a carico anche le discontinuità, sia all interno di ciascun percorso sia tra i due percorsi. Arrivati a questo punto credo che non sia qui inopportuno un richiamo alla immagine che figura sulla copertina libro: un dipinto di Gino Severini, La lezione di musica, in cui un Pulcinella mascherato e un Arlecchino senza maschera, con in mano due strumenti (una chitarra il primo e una siringa il secondo), si guardano sullo sfondo di uno scorcio di natura mediterranea e di muri in rovina, forse i resti delle arcate ombrose di un antico teatro. Il Pulcinella Cristo e l Arlecchino satiro o diavolo sono qui come due facce speculari. L immagine sembra racchiudere il senso della prossimità ma anche della diversità profonda tra Eduardo e Fo, nel rapporto con il personaggiomaschera, lo stesso loro personaggio e i personaggi delle loro commedie, così come viene sottolineato nel libro (p. 161). Per Eduardo il meccanismo della finzione diventa un ostacolo da superare: l obbiettivo utopico di Eduardo è far riconquistare al personaggio l umanità perduta attraverso la presa di coscienza della responsabilità individuale nella confusione etica e civile della società. Questo percorso di rigenerazione umana del personaggio viene compiuto da Eduardo donando sostanza tragica dal punto di vista dello scavo interiore ai tipi farseschi delle sue Pari. Fo autore invece non indaga le motivazioni intrapsichiche dei suoi personaggi, mira anzi ad esteriorizzarli in una pluralità di voci che prende consistenza anche dalla pluralità di Fo attore. Questa scelta risponde alle motivazioni ideologiche che si riconoscono in una forma epica di teatro. Ma allora perché Eduardo è mascherato e Fo non lo è. Non dovrebbe essere il contrario? Di cosa si nutrono in profondo la solitudine e la marginalità teatrale di Eduardo e di Fo in quanto attori e perché davvero, contro tutte le apparenze, Pulcinella conserva la maschera e Arlecchino l ha smessa? La spiegazione, nel suo solito stile asciutto, ci viene dallo stesso Eduardo in una dichiarazione riportata in un saggio di Stefano de Matteis del 1990 (Identità dell attore napoletano): «Io non ho

3 3 mai avuto il coraggio di togliermi completamente la maschera. Dario Fo invece è un Pulcinella che si è tolto la maschera». Anna Barsotti commenta: «egli (Eduardo) evita di proiettarsi completamente nel suo personaggio, l altro trasforma il personaggio in una immagine della sua persona» (p. 165). In Eduardo v è una sorta di alternanza fra maschera e volto, alternanza di distacco e di immersione, in Fo v è l esposizione epica del personaggio, straniata ed esposta. Per entrambi queste strategie sono funzionali alla comunicazione e a sollecitare la partecipazione critica dello spettatore (p. 158). In entrambi non esiste un messaggio separato o separabile dal suo significante verbale-scenico. Eduardo diffida della cosiddetta commedia impegnata del messaggio didascalico e della commedia a tesi, e lo dichiara (p. 127); Fo non solo sa esprimere in forma scenica anche il messaggio più esplicitamente politico, ma si direbbe foggia e articola il discorso politico in base alla creazione scenica e all interno di essa, in maniera perfetta nella sue creazioni più compiute. C è poi un dato remoto nell immagine di Eduardo che non si toglie mai la maschera e che appartiene alla sua sapienza e alla sua filosofia di stampo antico: Larvatus prodeo diceva Cartesio, riferendosi all io intimo e all io della meditazione. Anche parlando di Eduardo non si intende l accezione tradizionale e peggiorativa della metafora: la maschera è qui vista come parte del processo di comunicazione e transazione verso l altro. L invito a portare la maschera è un parola chiave della filosofia libertina del grand siècle cui fecero riferimento Molière e anche Fiorilli, e che attraverso Gassendi si è innestata nella cultura napoletana e nella sua antica matrice epicurea. La maschera non è un mezzo per dissimulare la persona, ma il solo mezzo per avere accesso a questa persona, a colui che la porta, e il solo luogo in cui questa persona può manifestarsi agli altri: essa segna quindi il limite identitario e il luogo dello scambio tra le persone. Essa segna anche la capacità di costruire modelli (anche nella forma eduardiana di contro-modelli alla bassa morale corrente). Secondo Gassendi il saggio è il solo per cui le due maschere, quella dell uomo privato e quella dell uomo sociale coincidono, e il vero saggio è colui capace di diventare per sé un proprio e vasto teatro. A questo mondo dell estroversione, dell outing, del reality show e degli interni vuoti, Eduardo ricorda che la laicità, nella sua profonda accezione morale, è gioco di maschere. C è in Eduardo una componente barocca che andrebbe investigata e che è peraltro accennata in alcune sue forme (il theatrum mundi) negli studi di Eduardo e anche in questo studio di Anna Barsotti che contribuisce meglio di altri a dipanarne il senso. Un altro elemento suggerito dall icona in copertina viene sviluppato nel libro. E l importanza che la musica del testo assume per i due attori-autori, come lo stesso Fo dichiara nel suo Manuale. «Il teatro bisognerebbe scriverlo sul pentagramma lo dicevamo spesso con Eduardo perché ha le tonalità, gli andamenti delle note... Eduardo sostiene che molte sue commedie sino nate da una poesia». La musica è quindi parte della struttura del testo in quanto organizzazione ritmica e melodica, ma per Fo e per Eduardo è anche parte del significante verbale, il colore della lingua scenica. Come sottolinea l autrice, entrambi usano il linguaggio nativo ed entrambi ne valorizzano gli aspetti paralinguistici ed extralinguistici: l intonazione vocale e una mimica facciale e corporea, quasi danzata nella sua estrema nettezza e precisione formale. Il dialetto d origine per Eduardo il napoletano o il bilinguismo del suo napoletano italianizzato, per Fo la sua lingua giullaresca e mescidiata, fatta di elementi del suo lombardo occidentale originario e di dialetti dell area settentrionale lombardo veneta è trasformato in lingua scenica: questa lingua nuova non può essere separata dalla sua prassi esecutiva orale e mimica, ma anzi la implica originariamente. E una lingua mobile come una danza e che nella danza scenica sposa tutte le movenze del corpo, per Eduardo anche le stasi e i silenzi pienamente significanti. Questo elemento della mobilità della lingua si aggiunge alla mobilità del testo di una drammaturgia che va dal palcoscenico al libro e non viceversa. Il libro affronta analiticamente alcuni dei casi più illuminanti di questa drammaturgia consuntiva: Morte accidentale di un anarchico e Mistero Buffo per Fo, e per Eduardo le diverse stesure di molte delle sue principali commedie. Il contrasto tra il silenzioso e il logorroico è un altro grande tema che viene a più riprese affrontato e commentato nello studio, non solo nei silenzi di Eduardo e nel grammelot di Fo, ma anche

4 4 nell ingorgo mimetico di pause e di ripetizioni di Troisi (pp ), nella maschera linguistica organica (ecolalie e glossolalie) e logorroica di Benigni (pp ), nell affabulazione vorticosa e plurilingue e nel napoletano crudo e onirico di Moscato (pp ). Sono le esperienze estreme di quel parlare senza le parole ovvero di quella danza della lingua di cui si è detto prima. Indicano il punto di maggiore lontananza cui si giunge dal gioco interlinguistico, quello delle lingue artificiali e composite (il bilinguismo e il plurilinguismo), verso l afasia da una parte (il farfugliare, il balbettio e il silenzio) e l informe delle ecolalie e delle glossolalie dall altra. Iniziamo dal grammelot. Dissento in parte da quanto Anna Barsotti sottolinea (p. 209) rispetto alle considerazioni sulla lingua scenica di Fo avanzate da Gianfranco Folena nel suo saggio Le lingue della commedia del Non mi pare che Folena faccia infatti confusione tra il plurilinguismo e il grammelot. Piuttosto Folena illumina sulla contiguità profonda che esiste tra queste due pratiche linguistiche di Fo. Il plurilinguismo dialettale di Fo non si limita infatti a mescolare i dialetti, non è quindi solamente un plurilinguismo lessicale, ma una vera e propria polimorfia interdialettale: «una fricassea di dialetti lo definisce Folena non solo continuamente commutati nella successione sintagmatica, ma espressionisticamente deformati e compenetrati a livello morfematico nella stessa parola». Così inteso il principio di creazione linguistica interdialettale di Fo risponde a criteri non troppo lontani da quelli del grammelot, in cui la polimorfia abbandona completamente l ancoraggio al livello lessicale originario per affidarsi alla musica del senso attraverso la mimesi onomatopeica. Fo ha incoraggiato studiosi come Folena a raffinare la riflessione sulla tradizione del plurilinguismo nel teatro italiano del Cinquecento e ci insegna anche come leggere le testimonianze cinquecentesche e primo seicentesche nell ambito della Commedia dell Arte, che si riferiscono di necessità a un insieme variegato di pratiche interlinguistiche e interstilistiche. Ho avuto la fortuna di assistere a uno spettacolo della tournée francese di Dario Fo nel 1974, quello che viene citato anche nel libro (p. 209) come una delle prime intrusioni del grammelot nel corpo dello spettacolo. Si trattava per la verità di uno spettacolo quasi interamente montato sul grammelot e fatto da Fo al teatro della Cité internationale di Parigi. Qui il pubblico era assolutamente internazionale e formato da giovani di tutti i paesi del mondo: per comunicare con loro Fo scelse di fare una serie di sketch tutti impostati sul grammelot: l avvocato inglese, l astronauta americano ecc. (e qui la diversità dei due inglesi inventati era illuminante). Fu naturalmente un successo enorme. Peraltro il grammelot era già presente come sottolinea Anna Barsotti in alcune esperienze di Fo negli anni 50: si cita qui ( p. 207) il grammelot del turista inglese, significativamente accostato a un bergamasco estremamente sonorizzato, che anch esso contiene in nuce un principio di grammelot; non a caso fu infatti la lingua degli zanni. Proprio negli anni 50, quando Fo frequenta il Piccolo Teatro e entra in contatto con Lecoq (intorno al 1953 faranno poi insieme con Durano Il dito nell occhio e I sani da legare), avviene probabilmente quella ibridazione tra la sua pratica recitativa e affabulatoria originaria, interlinguistica per vocazione e per necessità di provinciale inurbato nella capitale, con la pratica della pedagogia attorica proveniente dalla scuola di Copeau e dai Copiaus, in particolare trasmessa a Lecoq dal suo maestro Jean Dasté, allievo di Copeau. A questa pratica fanno riferimento anche le tecniche di imitazione del movimento animale poi ampiamente e genialmente elaborate da Fo (si veda La storia della tigre). L imitazione del movimento animale (che Lecoq converte in una vera e propria ginnastica animalista) e la creazione di linguaggi artificiali erano praticate dai Copiaus, sulla base dello studio della Commedia dell Arte, con lo scopo preciso di sottrarre l attore alla mimesi del testo, alla pratica espressiva e imitativa. La ricerca di Copeau ripresa dai Copiaus, e trasmessa attraverso Lecoq anche a Dario Fo, va proprio nella direzione di riportare il suono della voce alla sua scaturigine dal movimento e in accordo profondo con questo. Anche il silenzio di Eduardo è dell ordine delle pratiche linguistiche estreme. Esiste in lui una intera gamma dell afasia: il silenzio si dipana in un tessuto di sospensioni, è contiguo all aggrumarsi di suoni e al farfugliare dei suoi sognatori. Anna Barsotti coglie anche qui significative analogie:

5 5 «Quel garbuglio di suoni che prelude, nelle performances di Eduardo, ai difficili risvegli dei suoi sognatori (Luca Cupiello e Gennaro Jovine di Napoli milionaria!) è quasi un grammelot, ovvero uno sproloquio onomatopeico» (p. 138). Aggiungerei che questo tratto di ecolalia, contiguo ai silenzi e alle insondabili sospensioni di Eduardo, si accompagna a un altro aspetto molto importante e significativo della sua recitazione nelle punte più autistiche: vale a dire quello sfarfallio delle mani, specie nelle apparizioni che conosciamo di lui ormai anziano: mani ossute e magre mosse nell aria a rincorrere parole impossibili, e che non terminano mai le conseguenze dei gesti. Tratto autistico che è da vedere assieme all atteggiamento sghembo delle entrate eduardiane, notato da Frascani nel suo saggio su Eduardo De Filippo attore del 1990, o al tratto schizofrenico di alcuni personaggi visionari: quasi un personaggio evocato accanto a quello recitato. Un modo straordinario di comunicare e insieme di trasmettere l incomunicabile della condizione umana. Sul silenzio di Eduardo e sul silenzio dei grandi attori si potrebbe aprire una lunga parentesi e anche in questo si può andare indietro nella tradizione del teatro italiano, così poco di conversazione come invece è stato il teatro francese con la sola eccezione di Molière. Si può andare proprio al maestro di Molière a quello Scaramuccia che non parla e dice grandi cose. Penso naturalmente al bel libro di Giovanni Macchia sul silenzio di Molière. Ma vorrei qui andare più indietro e cogliere ancora una volta nel silenzio di Eduardo un tratto arcaico e remoto della cultura mediterranea. Tacita, la signora del silenzio, la musa silenziosa venerata dai romani appare infatti la vera musa di Eduardo, facundus et paucum verbum, che sa dire ma anche tacere. Questo silenzio eduardiano è connotato spesso nel contesto delle commedie anche da un moto apotropaico che ricorda l attributo dell antica musa del silenzio: colei che ha pure il compito di far tacere i rumores, i maledicta, i murmura e via di seguito, ogni discorso corrosivo di cui pullula Napoli, con i suoi bassi e le sue promiscuità, le sue capère e le sue malelingue. Si vedano in proposito le pagine che Anna Barsotti dedica sia alla Napoli di Eduardo (pp ). Ho anche qui un ricordo personale: una rappresentazione di una delle ultime commedie di Eduardo a Roma, mi pare di ricordare che fosse Le bugie con le gambe lunghe, non uno dei capolavori di Eduardo, anche se sulla scena lui era il capolavoro vivente. Ma quando girai alla fine il mio sguardo in platea vidi, tra il pubblico che applaudiva in piedi, quasi a fargli segno, un altro grande poeta del silenzio: Michelangelo Antonioni. Sia per Fo che per Eduardo assistiamo quindi, attraverso un uso creativo della partitura verbale e gestuale, ben evidenziato nelle pagine del libro di Anna Barsotti, alla manifestazione di un universale antropologico, di una struttura profonda soggiacente ai livelli comunicativi convenzionali e quotidiani. Ci sono infine due altre tematiche forti nel libro, in parte implicite in quello che si è detto. La prima meriterebbe tutta una presentazione a sé e forse, se posso avanzare una critica, l avrebbe meritata anche nel libro che pure contiene moltissimi spunti e rilievi in proposito: un confronto tra Eduardo e Fo registi. Confronto che appare rilevante anche in rapporto a esperienze presenti nella sezione finale del libro, nelle conversazioni con due uomini di teatro quali Toni Servillo (pp ) e Alfonso Santagata ( ) in relazione alle loro messinscene di commedie eduardiane. L altra tematica forte che il libro svolge in modo articolato e che ne costituisce anzi uno degli assi portanti è il confronto tra Fo ed Eduardo sulla base del loro rapporto con la tradizione e con il passato teatrale: le due cose sono diverse, come ci fa giustamente notare l autrice. La tradizione è per Eduardo, figlio di Scarpetta, la vita che continua: tradizione in cui è cresciuto, ma da cui si stacca, per poi tornarci, ma più tardi, al fine di rielabolarla. E Eduardo a sottolineare la differenza tra tradizione e passato in uno scritto autobiografico del 1985, rivisitando la metafora dei nani sulle spalle dei giganti : «Se un giovane sa adoperare la tradizione nel modo giusto, essa può dargli le ali [...] se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma e cioè morte ma, se ci serviamo della tradizione come di un trampolino, è ovvio che salteremo più in alto che se partissimo da terra» (cit. a p. 133).

6 6 E comunque il teatro del mondo di Napoli la tradizione in cui Eduardo è immerso e da cui attinge, secondo quando egli stesso esprime in una sua bellissima poesia, nel libro giustamente trascritta: Napule è nu paese curiuso: è nu teatro antico sempre apierto ce nasce gente ca, senza cuncierto, scenne pe e strade e sape recità [...] La tradizione è invece per Fo una tradizione teatrale cercata e reinventata (le giullarate e le farse medievali, la commedia dell arte). Non si può dire tuttavia che Fo sia privo di una tradizione performativa originaria, anche se non proprio di una tradizione teatrale, ma piuttosto di un passato familiare e nativo (la fabulazione spontaneamente praticata dalla gente del popolo nelle sue zone d origine) che si collega a una tradizione teatrale riscoperta e reinventata, come egli stesso testimonia raccontando la sua Storia a Chiara Valentini (p. 133). La tradizione ereditata e rifondata di Eduardo e la tradizione ricostruita, o l auto-tradizione, di Fo si raggiungono. Esse dimostrano, come è stato detto da storici sensibili, che le forme dell arte hanno vita mobile e diversa rispetto a una supposta, ma artificiosa, continuità storica. Soprattutto, come è stato ampiamente dimostrato da Claudio Meldolesi nei suoi scritti, l arte del teatro non è arte che poggi sulla continuità dei modelli, poiché questa continuità non c è veramente anche laddove pare che essa ci sia, come per il grande attore dell 800, come per Eduardo e come per Dario. A proposito sentite: in Dario ci sono ben quattro lettere che ci sono in Eduardo: D a r o ma la i è tutta sua.

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