Massimo Novarin posti così lontani che Papà a volte mi spiega il viaggio lunghissimo che fanno, lunghissimo! Ecco passa uno stormo di oche selvatiche

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1 LA CORSA Girano girano pedali sferragliano e catena che quasi mi si annoda alle gambe. Una curva giù dall argine, scivolo. Due giorni fa mi sono sbucciato le ginocchia qui, ma non oggi: curva, oggi non mi freghi, ecco... sassi che schizzano via impazziti da sotto le due ruote lanciati lontano a bordo strada, e polvere bianca alta una colonna di polvere, e fiato, prendo fiato che non ce la faccio, mi ripiego ancora sul manubrio e spingo su queste gambe che i muscoli mi bruciano ora, e non respiro, e se lo faccio è a bocca aperta l unico modo, e ho paura di mangiarmi zanzare e moschini e guardo indietro la nuvola grande del gruppetto diabolico di amici che insegue, mi è addosso ormai, ma insisto, corro giù per un sentiero che conosco io, tra un canneto e il campo dei genitori di Filippo Arceti. Eccomi solo di nuovo, e posso rallentare ma mai distogliere lo sguardo perché quelli dietro sono furbi, quelli! Riprendo a costeggiare i canali dell Isonzo, e su una strada bassa vedo passare don Ignazio su un mosquito dal rumore infernale che sta andando al Caneo a benedire per la Pasqua, devo avvertire a casa che Mamma e Papà stiano pronti, non ne ho voglia però ora che ho pedalato fin qui e che sono solo. Anche mia sorella Stella ho seminato, io. Ci vado tra poco a casa, tra poco. Seguo il canale e cerco gli uccelli migratori che passano sempre di qua, in questo periodo, e vengono da 9

2 Massimo Novarin posti così lontani che Papà a volte mi spiega il viaggio lunghissimo che fanno, lunghissimo! Ecco passa uno stormo di oche selvatiche proprio ora, sopra di me, e vanno veloci, e provo a starci dietro, e pedalo... vanno. Filano più di tutti, persino di mia sorella, e di me quando ci tiro forte con la bici, e di Francesco Carini, che è il più grande, e di Benedetto Pilcher, e degli altri del gruppo della Laguna... con quelle loro ali facile però, filare via così... rallento... respiro... due macchie chiare in un canale, oltre quel campo... cigni? Sì! Cigni! Devono essere enormi... vado là... ora li vedo bene, dal piccolo argine del canale, e i due cigni mi vengono incontro minacciosi, o curiosi, non so, ma ho paura a starmene così vicino: sono grandi i cigni e nuotano con le loro zampe buffe come pinne, e sono veloci. Riparto: nel caldo lungo la strada di polvere corro, corro, corro, fino a uno dei casoni dei pescatori, a destra sul canale. È di legno, piccolo, con un molo storto, e una barca dal fondo piatto esce dall acqua bassa nella bassa marea, e un pulviscolo di insetti avvolge il molo, e corro via ancora, e la piccola bici sembra non resistere più e forse per il compleanno arriverà quella da cross che Papà lo sa che mi piace e che ci correrei il doppio forte, il doppio. Arancione la vorrei. Tre, quattro, cinque... provo a contarli ogni volta, i cipressi dalla strada che viene da Isola Morosini, mentre ritmano la mia corsa e ogni volta perdo il numero, sette... sei? Ritorno nella piana dove non c è più la Laguna e l acqua ferma è lontana e in fondo all ultima strada bianca c è casa, la casa della Mamma che ci è nata, e ci abitava da piccola e ora, d estate, ci stiamo io e Stella, con Mamma che controlla il raccolto, e ci viene anche Papà quando non è via in mare. Eccola, la casa è grande e i muri bianchi e sgretolati ma solo un poco, in basso, perché c è umidità, e c è una 10

3 Forse il vento scala grande dentro e sopra camere tante e finestre, e la mia camera è dietro, e si affaccia su un cortile bellissimo tutto di mattoni rossi messi giù in cerchio e dritti e che fanno strani disegni e giochi, e con un salice piangente in mezzo che è sempre stato lì. Girano pedali e ginocchia sbucciate, salgono e scendono verso di me, chino sul manubrio, salgono scendono... ginocchia, lente... più lente, ora... e non più nude e sbucciate, ma jeans quelli che vedo, bianchi di polvere, pedalata più potente, ma lenta. Guardo il manubrio che stringo tra le mani: è sobrio e composto, di una bici nera, grande. Cerco di soffiare via il caldo dalla faccia, che da bimbo non sentivo, e ora mi piega di stanchezza. Quelle ginocchia sbucciate di troppi anni fa. Quei pedali che giravano. La strada, la casa. La mia Laguna. Sento una macchina che arriva da dietro, mi giro, è una Yaris, verde. Mi faccio da parte, rallenta, penso per non impolverarmi troppo. Si ferma, qualcuno tira giù il finestrino, mi avvicino. Ehi! Professore!... viene dall auto la voce di donna, che non riconosco. Ma sento un filo di ironia, mi abbasso per vedere chi parla. Beh, non mi riconosci? Sono solo passati vent anni! No, venticinque...? Non è galante da parte tua! Cosa fai con quella bocca mezza aperta? Carini i jeans blu e bianchi, nemmeno sapessi che su queste strade la polvere ti si attacca ovunque!... Ehi, ci sei? Scende dalla Yaris, mi si piazza davanti, appoggiandosi con un braccio allo sportello aperto, vestitino rosa a pallini bianchi, che non pensavo ne vendessero ancora di così incredibili, come meringhe, da film USA anni 50. È tutto sbalzato in fondo, e spalline leggere, e sembra che lei lo indossi credendoci, e sorride ora, con la faccia da bambolina su cui sono appena transitati quei venticinque anni dal nostro ultimo incontro, se questa è Lisa. 11

4 Massimo Novarin Ci sono, ma... Forse, no, non sono sicuro, ma meglio fare una brutta figura e sbagliare, che farla attendere ancora: Sei Lisa, vero? Lisa Bauer! Ah! Alla fine! Mi stavo spazientendo. Cosa fai nella Laguna? Non sei super impegnato a Bologna, università, corsi e altro? Sì: è Lisa. Salvo. Ma come fa a sapere queste cose di me, penso... non la vedo da allora, se ne andò a vivere lontano, non ricordo. Le guardo le scarpe, di tela bianca, allacciate alle caviglie, e con un incredibile zeppa di corda, che sembrano quelle che usavano le nostre mamme in questo stesso posto nei primi anni Settanta. Sì, sono impegnato a Bologna, ma ogni tanto fuggo, e vengo qui per respirare, per pedalare un po nella polvere... nell umido. Nel silenzio. E poi vado a Trieste a trovare Mamma... Si agita, Lisa, sorride, parla, si muove, si allontana dall auto e mi dà un bacio sulla guancia Bentornato! e ancora gesticola, e torna ad appoggiarsi allo sportello aperto, come a cercare sostegno, e mi guarda, con quella faccia di porcellana, e parla d altro, e non la seguo, ma appena termina l ultima parola della frase, flap, sbatte gli occhi a comando, e ancora:...e l ho vista qualche sabato fa, tua madre, sempre tosta, eh? Ero in giro sulle Rive con mio marito, e mi ha riconosciuto lei. Sai che mi adorava, mentre tu... Non ti avrà più mollato, no? Quando vede qualcuno di quei nostri tempi non la ferma nessuno! Devio. Esatto... ma è un piacere starle dietro mentre parla e parla. Dipinge ancora? Come se non fosse passato che un attimo dall ultima volta, io e Lisa e tutti gli altri vecchi amici. Allora lei non mi lasciava respirare, da ragazzini, sempre attaccata alla mia bici, con quella faccina persa da bambola. Ma all epoca io non ero interessato né a lei né ad altre: solo 12

5 Forse il vento il gruppo era importante. Il gruppo degli amici delle vacanze, e dei fine settimana, delle biciclette, delle strade impolverate, delle fughe, delle chiacchiere. Della Laguna. Eravamo un gruppo di vecchi amici già da piccoli, se si può immaginare la cosa in questi termini. Lisa continua, in sottofondo, a raccontare, a fare domande, a non aspettare risposte:...e ora vado, ho marito e due figli da recuperare a Grado. Poi torniamo a Trieste. E domani a Roma. Vivo là, lo sapevi? Certo. Mento. Fatti sentire, siamo qui ogni tanto, durante i week end, magari una sera ci si rivede tutti, tutti quelli di allora. Ciao. Sale in macchina, chiude lo sportello, mi guarda, ed ecco che lo fa di nuovo: sbatte una palpebra, una sola, la destra, perfetta saracinesca da cartone animato giapponese, con le ciglia lunghissime che ondeggiano, flap. Sorride, mette in moto, mani sul volante, mignoli alti: parte. Lenta. Continua a guardarmi dal finestrino, poi accelera, e ora può sollevare la colonna di polvere bianca senza far danni. Da chiedersi se è vera. Nonostante la lontananza, tra apparizioni e ricordi e frasi, non ci si stacca da questa terra. Dalla Laguna. E da Trieste: se ci si è nati, se ci si è passati durante la vita, poi bisogna tornarci. Riparto, pedalata pesante, ora, dopo la sosta. Non ci si stacca: c è bisogno di respirare la polvere di qua, e di allora. Non ci si stacca dal suono delle voci, le voci del gruppo dei ragazzini che eravamo, nel cigolio della catena da oliare, che gira gira, sferraglia, e quel suono è l unica linea continua che riesco a seguire. Non ci si stacca dalla voglia di sentire quest odore di Laguna e di campi bassi e di granoturco ancora verde e di terra 13

6 Massimo Novarin crepata. Di questo sole bianco, negli anni filtrati dalla sua luce piatta. Ho vissuto tutti i miei giorni più grandi, in questa terra mobile, tra il Piano e il Golfo, come sospeso tra il presente certo e quello che sarebbe stato, percorrendo strade di polvere perse nella sconfinata piatta Laguna. E ho imparato a vedere. 14