Di notte, di favole e di fiabe

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1 Di notte, di favole e di fiabe

2 Il concorso letterario Di notte, di favole e di fiabe viene organizzato dal forum Scrittori della Notte sotto suggerimento della founder Ylenya Migliorisi. Il progetto era quello di raccogliere più racconti per bambini possibili, da riunire in un antologia, che sarebbe poi stata proposta a vari editori per la pubblicazione. Il ricavato sarebbe stato poi devoluto in beneficenza, per la lotta contro il cancro. Purtroppo il progetto non è andato a buon fine: i racconti pervenuti sono risultati troppo pochi affinché potessero essere accettati. Ecco allora che, con nostro rammarico, ci troviamo costretti a pubblicare i racconti solo in formato digitale, disponibile gratuitamente. Come si suol dire: Tentar non nuoce!, e noi abbiamo provato, cimentandoci in un impresa troppo ardua per un forum amatoriale quale è il nostro. Ci scusiamo inoltre per tutto il tempo che vi abbiamo fatto aspettare... Ma finalmente siamo riusciti a pubblicare l ebook, e ora... Non resta che leggerlo! Scrittori della Notte

3 Indice Favole 1. Cicciopatamo (Valentina) 2. Batuffolo (Erendal) 3. Rondinella e il passero (Erendal) 4. Rina cerca casa! (Rosalba Ferramosca) Fiabe 1. Questione di vita, coraggio e fortuna (Margherita) 2. Il blu di Zlata (Francesca Cani) 3. Il talento del cuore (Francesca Cani) 4. Celin, il popolo del cielo e delle nuvole (Ilaria) 5. Cuore di bambina (Anita Book) 6. Incantesimo (Fabiola D Amico) Racconti 1. Lorenzo l elefantino (Patrizia De Luca) 2. Il valzer dei sogni (Giorgia Giorgi) 3. Allegra che sfida il buio (Valentina) Natale 1. Le lacrime di Babbo Natale (Donatella Perullo) 2. Il battito della speranza (Maria de Riggi) 3. Melodia (Armando Maschini)

4 Favole La favola è un genere letterario antichissimo, risalente addirittura ad alcuni secoli prima della nascita di Cristo. Si tratta di un racconto breve, destinato ai bambini, in cui i protagonisti non sono quasi mai uomini ma animali che incarnano però i vizi e le virtù della razza umana. Lo scopo della favola è in genere quello di schernire l uomo e i suoi vizi, spingendo il piccolo a riflettere il più possibile su quanto gli sta intorno attraverso semplici immagini.

5 Cicciopatamo N on soltanto tra gli uomini l amore rappresenta un aspetto essenziale della vita, quello che può regalare la gioia più grande o il più grande tormento: anche nel regno degli animali avviene proprio la stessa cosa. Nel paese di Fiumecalmo viveva tranquilla una comunità di ippopotami. Uno di questi, cui non andava a genio la vita di palude, era solito vagabondare per ogni dove: giunse a Rivadelmare e fu lì che vide per la prima volta l essere che gli avrebbe fatto perdere la testa. Si trattava di una pesciolina graziosa e vivace, forse un po troppo magra ma comunque ricca di quel fascino naturale che attrae molti corteggiatori: si chiamava Alicesecca. Come è facile immaginare, presuntuosetta e viziata com era, ella non degnò di uno sguardo l enorme individuo che ogni giorno, alla stessa ora, si presentava nel luogo dove lei era solita intrattenersi con i suoi compagni, fino a quando questi non le fecero notare che il tipo si era evidentemente innamorato. «Ecco un altra vittima della nostra irresistibile Alice» disse ridendo Granchiodisabbia. «È vero, chiunque abbia la ventura di scorgerla, non può fare a meno di agonizzare nel desiderio di un suo bacio» rincarò la dose Gamberononarriva. «Indubbiamente tu faresti morire

6 di invidia chiunque: sono tutti in ginocchio, pronti a soddisfare ogni tuo capriccio» intervenne Cozzacolla, che l invidia la provava davvero, visto che lei, brutta di nome e di fatto, non batteva chiodo neppure per sbaglio. «Ovvio, con quel tuo modo di metterti sempre in bella mostra ti è assai facile attirare l attenzione del primo che capita» borbottò Medusalascontrosa, che aveva un gran brutto carattere. «State parlando di quello là? E chi lo vorrebbe mai: non vedete quanto è grosso?» rispose la pesciolina sdegnosa. Ma, sotto sotto, era compiaciuta di aver conquistato un altro cuore. «È vero, che pachiderma». «Abbondante». «Mastodontico». «Straripante». «Perché non ci divertiamo un po con lui? Ha proprio l aria del babbeo» propose Tontonno, che in materia era un intenditore, poiché aveva costantemente un espressione idiota dipinta sul muso. «Sì dai, sì dai, dai, sì, dai, dai, dai!» berciò Stellabella che, possedendo cinque braccia, nell ambito di una frase ripeteva sempre per cinque volte la stessa parola. «Lasciate fare a me, sono bravissimo ad attaccare discorso» si offrì Polposcoccio e tutti, conoscendo per esperienza quanta verità ci fosse nelle sue parole, accettarono di buon grado. «Ehi tu, Cicciopotamo!» I componenti dell allegra brigata, a quell uscita, cominciarono a scambiarsi risolini e gomitate complici: per una volta, quel noioso ci aveva proprio azzeccato! L interpellato, perso dai sogni e confuso dal fatto che il suo amore si era avvicinato maggiormente alla spiaggia, arrossì come un peperone, cosa

7 assai strana per uno del suo colore, cercando disperatamente qualcosa da dire. Aveva la gola chiusa dall emozione, il cervello annebbiato, la bocca arida; l unico suo desiderio era quello di farle una buona impressione e nella mente continuava a ripetersi la massima preferita del papà: Chi ben comincia è a metà dell opera. «Il mio nome è Pippofilippo, Flippo per gli amici» si presentò, da giovane educato e dabbene qual era, completamente ignaro del fatto che si stavano burlando di lui e lieto di avere l opportunità di rivolgersi alla sua diletta. «Mi piacerebbe venire lì da voi, ma non sono sicuro di riuscirci: quest acqua è in continuo movimento». «Resta pure dove sei, o qui ci sarà un terremoto tale che io perderò la casa» fece simulando preoccupazione Granchiodisabbia. «Ed io sarei in preda alla nausea per la prima volta nella mia vita a causa dell alta marea che creeresti di sicuro» si lagnò Gamberononarriva. «Io per natura già sono piatta, sono piatta piatta, sono piatta piatta piatta: non vorrei correre il rischio di essere calpestata da uno dei tuoi piedoni e diventarlo ancora di più» dichiarò, un po per scherzo e un po con timore, Stellabella. «Ti sei mai guardato in uno specchio, vecchio mio? Ma già, dimenticavo: vista la tua stazza, di specchi ce ne vorrebbero almeno tre!» tentò la battuta Tontonno. «Scommetto che ti farebbe molto piacere diventare pappa e ciccia con la nostra bellissima Alice» insinuò astutamente Medusalascontrosa. Flippo aveva il cuore che faceva tum tum tum e non vedeva l ora di udire la voce della sua adorata; lei, conscia di ciò che lui desiderava, rimase in silenzio e continuò a studiarlo, deliziata dal lasciarlo cuocere a fuoco lento.

8 «Gran bel tipo davvero, non ti sembra?» buttò là, Cozzacolla. «Grande di sicuro, bello no di certo» rispose l altra. Si scambiarono un cenno d intesa e presero a sghignazzare senza preoccuparsi minimamente delle possibili conseguenze. L espressione ferita che si disegnò sul faccione di lui, invece di farle sentire colpevoli, aumentò la loro ilarità: questo era un colpo ben assestato all amor proprio di uno di quegli insopportabili maschiacci che, solo in quanto tali, credevano sempre di poterle avere tutte vinte. «Dai, Cicciopotamo, non te la prendere per così poco, tu che sei così tanto!» «Cicciopotamo, non vorrai mica andartene con la coda tra le gambe? Ehi, un momento: puoi spiegarmi quale sarebbe la coda e dove iniziano le gambe? Con tutto il grasso che ti ritrovi, sembri una massa unica e indivisibile». «Cicciopotamo, ma che fai, non ti metterai a piangere come un cucciolino: qui siamo tutti tosti... però è vero, forse il significato di questa parola ti è sconosciuto, visto che sei totalmente flaccido». «Ma dai, scommetto che invece ha la testa di pietra. Vero, Cicciopotamo, che sei anche talardo?» «Ih... ih ih... ih ih ih...» proruppe con la sua vocina stridula Stellabella «Questa è davvero buona!» «Io non l ho capita» ammise Tontonno, desolato. «Lo credo...» ribattè Medusalascontrosa che, quando c era l occasione di offendere, non se la faceva mai sfuggire, «tu hai una linea invidiabile, ma trovare qualcuno più tardo di te è impossibile». «Parli proprio tu, che hai la consistenza della gelatina!» «Ti ho diffidato mille volte dall ingiuriarmi alle spalle!» irruppe Polposcoccio, che aveva la coda di paglia e provava sempre la sensazione, peraltro assai fondata, che in sua assenza gli altri parlassero male di lui.

9 «Ma chi ti ha cercato, vecchia mummia color nerofumo...» «Uh, uh, uh!» si lasciò sfuggire Granchiodisabbia. «E tu cosa ti ridi, stupida crosta inutile...» Il diverbio divampò furioso, lasciando Flippo interdetto: se questo era il senso dell amicizia che animava il gruppo, si considerò ben fortunato di non farne parte. Rimaneva lei, la signora del suo cuore: malgrado l avesse preso in giro in modo tanto sgarbato, si volse speranzoso nella sua direzione e vide che si stava divertendo un mondo. Quando i loro sguardi si incrociarono, lei lo indicò con la pinna e il volume delle sue risa aumentò considerevolmente, superando il berciare dei litiganti: ora tutti, lui compreso, avevano le lacrime agli occhi, ma per motivi totalmente opposti. Decise che era venuto il tempo di cambiare vita: l unico modo di riuscire a piacerle sarebbe stato quello di perdere buona parte del suo peso. Mise subito in atto il suo proposito: forte anche della tristezza che gli gravava addosso, non gli costò neppure fatica smettere di mangiare. Nel giro di poco tempo divenne irriconoscibile, non soltanto nell aspetto ma anche nel carattere: era sempre stato un tipo gioviale e compagnone, e si trasformò in un inavvicinabile blocco di silenzio. Inutile dire che i suoi genitori, preoccupatissimi, le tentarono tutte: la mamma in particolare gli preparava ogni giorno i suoi piatti preferiti, sperando che il loro profumino invitante lo spingesse a rompere quell insensato digiuno; ma non successe mai. I suoi amici cercarono invano di scuoterlo, proponendogli passatempi sempre nuovi, a cui lui si sottraeva con un mesto cenno del capo. «Dai, pigrone, facciamo a gara, ti concedo un giro di vantaggio» gli diceva Leprottopièveloce.

10 «Forza, vediamo chi è più bravo a saltare quell ostacolo» proponeva Arturoilcanguro. «Che ne dici di farci una bella sgambettata per i prati?» lo invitava Biondocrinito, il cavallo selvaggio. «Ci facciamo una nuotata rigenerante?» chiedevano in coro starnazzando Palmazampa e Beccodoca, i due gemelli della famiglia Paté. «Vieni che ti insegno un nuovo passo di ballo» lo allettava Micinciampo, il millepiedi. «A me piacerebbe molto se mi invitassi ad uscire con te la prossima notte di luna piena» lo stuzzicò Sgruntinamaialina. Non ci fu nulla da fare: se ne restò lì mogio mogio, sempre più macilento e inguardabile. Dopo un po, anche i più affezionati smisero di incitarlo e lo lasciarono solo, in parte timorosi di infastidirlo e in parte stanchi di quell atteggiamento totalmente negativo. Naturalmente le voci corsero e la sua disavventura passò di bocca in bocca, insieme al nomignolo che gli avevano appiccicato e che suscitò l ilarità dei più superficiali. Invece gli anziani furono assai comprensivi: quasi tutti conoscevano le pene di un amore mal riposto. «Io sono rimasto senza voce a furia di invocare inutilmente il suo nome» asserì Lupocheulula. «Io avevo persino meditato il suicidio, sono ancora qui soltanto perché non ho trovato una corda lunga abbastanza» confessò Collosenzafine, la giraffa. «Non me ne parlate, ormai non mi sono rimasti neanche gli occhi per piangere» constatò Talpastanca. «Io ormai non ci credo più, trovo consolazione solo nelle cose materiali» riferì Enricalaformica.

11 Naturalmente ci fu anche chi, essendo a sua volta stato oggetto di ottuse prese in giro, liquidò il tutto nella definizione: Un po per uno, non fa male a nessuno. Altri ancora, che non avevano mai accettato le proprie caratteristiche, sfruttarono l occasione per entrare in argomento e continuare a lamentarsi delle loro manchevolezze. «Sono sempre stata considerata la regina dei cieli e la mia forza è leggendaria, ma come si potrebbe definire bello questo naso spropositato?» interrogava Aquilarapace. «Tu ti lamenti? Ed io allora, con questa appendice che mi impedisce persino di vedere dove vado?» rincarava la dose Costantelelefante. «Comunque, se il problema di quel ragazzo sta nel peso, allora proprio non lo comprendo: grasso è bello, perliana!» «Ma guarda, ha parlato l esperto di estetica: allora potresti fare qualcosa per me?» si intrometteva rabbiosamente Rossinoilbabbuino. «Certo, può indicarti un posto dove andare a nasconderti!» lo sbeffeggiava allora Bertucciadispettosa. A quel punto, di norma, la cosa degenerava e si ripeteva la scena dell altro gruppo di animali, a cui, purtroppo, è dato spesso di assistere, visto che per un nonnulla si finisce col litigare tirando fuori tutte le malignità che ci frullano per la testa. Flippo era ormai ridotto pelle e ossa. I genitori, che avevano contato sul trascorrere del tempo e la sua fame insaziabile quali rimedi certi alla situazione, presero atto dell errore e decisero infine di appellarsi a Leoartigliodacciaio, l illuminato sovrano che interveniva di persona quando c era da risolvere un problema spinoso. Questi, fattosi spiegare per bene tutta la faccenda, si recò a fargli visita e, mettendogli una zampa sulla spalla, gli disse:

12 «Credi davvero valga la pena di patire tanto dolore per modificare la forma che la natura ti ha dato in modo da renderti più gradevole all essere che, ora come ora, ritieni l unico degno di adorazione? «Figliolo, nella tua ingenuità tu sbagli due volte: innanzi tutto è giusto essere considerati per ciò che siamo, nella nostra interezza e, perché ciò avvenga, è necessario farsi conoscere frequentando per un certo periodo l oggetto del nostro amore; secondariamente: ancora non sai che, passata la sofferenza dell animo, è possibile provare una nuova attrazione per qualcuno che finalmente ci ricambi con pari entusiasmo. «Se questa Alicesecca si è comportata in modo tanto stolto, calpestando i sentimenti che provi per lei, deridendoti insieme alla sua cricca di sciocchi ignoranti, ritenendosi superiore a te grazie alla sola presenza esteriore, dimostrando così di essere egoista ed insensibile, ebbene, dammi retta, non ti merita. «Ora mangia e riprendi le forze: quando starai meglio ti accompagnerò in un luogo dove potrai toccare con mano la portata del tuo errore». Il giovane ippopotamo, che aveva già avuto modo di riflettere per proprio conto, e che ormai si era intestardito a proseguire nel suo folle progetto più per orgoglio che per vera convinzione fu ben lieto di accettare la predica e mettere in pratica i consigli ricevuti. Nel giro di pochissimo, grazie a ripetute abbuffate volte a compensare il lungo digiuno, recuperò il peso perduto e, per buona misura, mise su anche qualche chilotto in più. Appena fu in grado, andò da Releo e questi mantenne la promessa: si misero subito in viaggio e, procedendo velocemente, giunsero a Rivadelmare: Flippo si guardò intorno un pochino emozionato. «Guarda laggiù» esordì il vecchio saggio, indicando qualcosa davanti a loro. «Sai di chi si tratta?» «Non sarà mica...»

13 «Esatto, quella è Serenalabalena, la più grande fra tutti gli animali». «È gigantesca: non riesco a vederla per intero». «Pensi che quella creatura sia brutta?» «No di certo... è meravigliosa: danza con straordinaria leggerezza attraverso le onde, giocando con loro. Anche da qui si capisce che è felice». «Credi che, se vi innamoraste, tra voi due potrebbe funzionare?» «Credo... credo di no... A parte le differenze fisiche, io non potrei seguirla e lei, fuori dall acqua salata, morirebbe: ognuno di noi deve vivere secondo la propria natura. Insomma, lei è quello che è». «E tu sei quello che sei... Hai capito adesso?» D improvviso tutto divenne chiaro e incredibilmente semplice: tornato a casa, Flippo incominciò ad adocchiare le sue coetanee di Fiumecalmo e in breve divenne molto popolare. Adesso, quando qualcuno gli chiede quale sia il suo nome, risponde: «Io sono Pippofilippo, Cicciopotamo per gli amici». Poi scoppia in una risata contagiosa: ha recuperato la sua naturale positività e questa gli permette di trasformare un presunto difetto in uno dei suoi pregi maggiori. Valentina

14 Batuffolo I n inverno, si sa, fa freddo, eppure è sempre un piacere osservare dal cielo i candidi fiocchi di neve che scendono dall alto. Ecco, questa è la favola di un fiocco di neve che aveva paura di conoscere la terra, perché sapeva cosa l avrebbe atteso: molto presto il sole sarebbe tornato ad infondere il suo calore sulla natura e lui, inesorabilmente, si sarebbe sciolto. Per questa ragione quel batuffolo di neve non intendeva per nessuna ragione allontanarsi dalla sua soffice nuvola. Il suo tempo, però, era ormai giunto, e d altronde la sua nuvola non attendeva altro che potersi finalmente rilassare: portava peso da troppo tempo. Fu così che una fredda mattina la nuvola si rivolse al fiocco, indignata: «Non puoi continuare ad opporti, è tuo destino scendere; e scenderai». Così dicendo scoppiò in una tonante risata. «Perciò preparati, la discesa sarà molto lunga, e soprattutto lenta». Gli altri fiocchi di neve ridevano, prendendosi gioco del loro piccolo simile, l unico al quale quest avventura sul mondo sembrava terrorizzarlo. Lo schernivano ripetendogli e convincendolo sempre di più che debole e spaventato com era si sarebbe sicuramente sciolto prima di posarsi sulla neve che già colorava di bianco il paesaggio, o ancora peggio che, se ce l avesse fatta, sarebbe senz altro finito sopra uno sterco di vacca, ed il suo candido colore si sarebbe sporcato, inghiottito da quella orribile cosa. Nell udire quelle parole, Batuffolo lo chiamerò così era ancora più inquieto; passava tutto il tempo ad immaginare il doloroso momento in

15 cui si sarebbe separato dalla sua mamma e avrebbe dovuto fare tutto da solo, senza poter contare sull aiuto di nessuno. Tremava e piangeva, pregava e piangeva, ma a forza di versare lacrime divenne ancora più piccolo e fu il primo a staccarsi! Da solo, completamente solo, in balia del vento, iniziò a discendere sballottato disordinatamente da quel cattivo del vento che si divertiva a fargli girare la testa. «Ehi, piccoletto» gli urlava con la sua voce schizzata. «Ora ti scaravento dritto dentro l acqua gelida, sta a guardare». Il povero fiocco, tramortito dalla paura, stringeva gli occhi e fermava il respiro temendo il peggio. Continuava a piangere e a sgretolarsi, sicché quando giunse a pochi passi dal suolo era talmente minuscolo che a stento si riusciva a vederlo. Non toccò nemmeno terra, ma si adagiò lievemente sopra una minuscola foglia, ultima valorosa condottiera di un arbusto ingiallito e sofferente schiacciato dal ghiaccio, ma ancora vivo. «Brr! Per la miseria, ci mancavi anche tu adesso!» gridò l arbusto, crucciato. «Che ci fai qui? Ancora non sta nevicando, piccola peste antipatica!» Il povero fiocco di neve si sentì in colpa, la sua presenza lì era sgradita. «Non lo so, io... io...» farfugliò; «io ho tanta paura, sono solo! E poi nessuno mi vuole bene». «Ecco, allora vattene!» rispose risoluta la pianta che poi si mise ad invocare il vento. «Portamelo via, accidenti a te! Ma proprio sulla mia foglia dovevi farmelo cadere, dannato?» «Quante storie!» sbuffò allora il vento, innervosito per l errore. «È inutile che ti agiti così tanto, lo sai che morirai presto lo stesso». Il piccolo fiocco di neve, udite quelle parole, tristemente si lasciò cadere al suolo salutando appena l arbusto, che comunque non riuscì a sentirlo tanto era impegnato ad inveire contro di lui. L impatto con la neve fu una

16 sensazione di freddo intenso. Batuffolo non sapeva se dolce o amara; non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto, era così minuscolo che rapidamente filtrò verso il basso, a differenza di tutti gli altri fiocchi di neve che invece stavano già posati uno sopra l altro. «Vattene via, sciò, sparisci!» gli ribadivano questi prendendolo a calci e spingendolo sempre più velocemente verso il basso. Buio, tristezza, paura, solitudine, rimpianto, anche rabbia per come era stato trattato dagli altri, tanti furono i pensieri che lo accompagnarono nell oblio, finché si sentì tirare dal basso dove era caduto, di nuovo verso l alto. Verso l alto? Cosa stava succedendo? Fu una folle risalita senza spiegazione. Batuffolo teneva gli occhi chiusi e pregava: pregava perché aveva paura, pregava perché era l unica cosa che potesse fare. Pregava e piangeva, e piangendo si faceva più grande, ora che era puro liquido. Non si accorse di quanto aveva pianto: tanto, tantissimo questo sì, ma non troppo. Come d incanto si ritrovò circondato da una sottile parete di colore verde dove tanti nuovi amici lo stavano accogliendo desiderosi di farlo entrare nel loro nuovo paradiso. Come erano diversi dai gelidi compagni di prima, ma soprattutto quanto tempo era passato da allora! Potrebbe sembrare appena uno sbatter di ciglia, in realtà pochi mesi, ma a batuffolo invece sembrava una vita, ed in quella vita cambiò, crebbe; ed ora era pronto per seguire il suo destino, con coraggio. Ma cosa era successo a Batuffolo? In breve era finito in un giardino pieno di fiori che stavano soffrendo il freddo dell inverno, assimilato da quello che presto sarebbe diventato un bellissimo fiore; e il fiore, cominciando a nutrirsi tra gli altri anche di lui, ora lo stava ringraziando.

17 «Non so come sdebitarmi con te» disse allora il fiore quando crebbe sano, forte e robusto. «C era poca acqua e tu hai contribuito affinché ne fosse prodotta a sufficienza affinché io potessi germogliare e sfavillare». «Davvero?» rispose incredulo Batuffolo, che lì si sentiva perfettamente a proprio agio, ma soprattutto contento di essere stato utile, efficace ed adeguato alla situazione. «Ora è primavera, è tempo di fiorire» cantò il fiore spiegando le sue foglie al sole. «Esprimi un desiderio ed io lo esaudirò, mio carissimo amico». Il piccolo non ci pensò troppo a lungo e subito rispose gioioso: «Voglio volare in cielo, e da lì ammirare quanto è bello il mondo con i suoi prati e i suoi fiori, e poi voglio vederti da lassù». «Tutto qui?» rispose il fiore piacevolmente. «Allora va, e grazie per tutto quello che hai fatto per me». Il sole diffondeva luce sul mondo ed il fiore sorrideva a quella meraviglia. Rilasciò tanto ossigeno quel giorno, ossigeno puro che si espanse per l aria profumandola tutta. Quello che un tempo era un fiocco di neve, poi divenuto acqua, era appena stato rilasciato nell aria per tornare leggero in cielo, libero e soddisfatto; soprattutto pronto a compiacersi in quello stupendo spettacolo. «Eccomi! Si torna a casa!» gridava Batuffolo, mentre l estate lo abbracciava tra i suoi caldi raggi d amore. Erendal

18 Rondinella e il passero È primavera. Il sole scalda la terra e le creature di madre natura possono finalmente festeggiare un cielo limpido, scorrazzando tra le onde leggere dell aria. Una dolce rondinella si diverte a fare piroette e capriole sfoggiando movimenti aggraziati, ed il suo volo esprime la gioia della libertà. Durante una picchiata i suoi occhi incrociano quelli di un passero, solo all ombra di un albero. Allora scende perplessa chiedendogli: «Perché non stai volando?» Lui risponde, timido: «Non posso, non vedi che ho un ala spezzata?» Lo sguardo della rondinella si fa meno spensierato, un dubbio la sfiora. «Ti fa male?» E lui, sospirando appena: «Ormai ci sono abituato!» È già tempo di andare. Le amiche della rondinella la richiamano a gran voce per riprendere il divertimento interrotto. Lei le cerca con gli occhi e si sente sollevata, ha tante amicizie e può saltare di nuovo lassù, eppure le dispiace che quel passero sia così triste, perché una giornata di sole non merita malinconia, ma soltanto sorrisi. «Sei sicuro che la tua ala sia veramente spezzata? Magari è guarita in tutto questo tempo, e non te ne sei accorto. Dai, salta su con noi!» prova quindi a convincerlo. Ma lui, storcendo ripetutamente la testa lascia cadere il sipario alle sue aspirazioni: «Dovevo curarla subito, ora è tardi; resterà così per sempre». «Prova a muoverla, non si sa mai!» insiste la rondinella. Sono le sue ultime parole prima di ritrovarsi nuovamente in cerchio con le sue fortunate compagne di volo.

19 Il passero non le vuole dare ascolto e resta in compagnia della sua solitudine. L intera giornata passa con la rondinella in cielo ed il passero sempre all ombra del suo albero, fino al sopraggiungere della notte. Il passero soltanto allora si ricorda veramente delle parole della rondinella. «Prova a muoverla, non si sa mai!», gli ha detto quella voce soave, e allora lui trova il coraggio per sbattere le sue ali intorpidite, ora che nessuno può vederlo. Gli fanno male, sono indolenzite perché è troppo tempo che le aveva dimenticate; e così cade ripetutamente al suolo. Una lacrima gli riga il volto, e si addormenta piangendo sull erba. Sogna di volare insieme alla sua dolce rondinella. Le lacrime si sostituiscono ad un sorriso e nel sonno il passero inizia a sbattere continuamente quelle ali addormentate, lo fa per tutta la notte fino a scioglierne i complicati nodi, ignaro che domani anche lui accarezzerà il cielo. Erendal

20 Rina cerca casa! R ina la ranocchia non ce la faceva proprio più; era davvero sull orlo della disperazione. La sua casa, che una volta le offriva un sicuro rifugio tra le canne e le piante di mortella, era diventata pericolosa, così asciutta e sabbiosa, così esposta ai raggi cocenti del sole. Da qualche giorno, poi, gigantesche ruspe si avvicinavano ogni giorno di più e alcune rumorosissime scavatrici sollevavano enormi zolle di terra per lasciare spazio a buche profonde che poi venivano riempite con mucchi di detriti, pietrisco e sassi. Su quelle buche sarebbero poi sorte delle villette, delle case per le vacanze con giardinetti curati e tante piante straniere. Rina temeva quel momento: non sarebbe più riuscita a vivere in quel caos. La rana, saltellando qua e là, esplorava i dintorni alla ricerca di un luogo tranquillo dove potersi stabilire e pensare al futuro. C era un orto, vicino, l orto di Rafeluccio.

21 Forse quello può essere un buon posto dove vivere, si diceva Rina e pensava già, con l acquolina in bocca, a teneri insetti, a croccanti foglioline e all umida frescura delle piante spesso innaffiate. Vi si recò, quindi, con frettolosi saltelli, sicura di aver avuto un ottima idea. L accolse, però, appena arrivata, un odore terribile, acre, che prendeva alla gola impedendo di respirare. Che cos è quest odore? si chiese la rana. Poi vide Rafeluccio, il contadino. L uomo, il viso nascosto da una maschera, stava spargendo sulle verdure dell orto un potente insetticida. Eh già... le insalate dovevano essere perfette, senza neanche un morsetto di bruco sulle foglie, i peperoni senza una macchiolina e gli zucchini senza tracce di lumache! Le massaie, al mercato, non avrebbero comprato nessun frutto dell orto, altrimenti. Rina, impaurita e senza respiro, saltellò via velocemente, felice di aver schivato un grande pericolo. Ma dove andare, allora? si chiese, e continuava a guardarsi intorno cercando una nuova casa. Un giorno capitò nel prato di una grande villa, un prato rigoglioso, verde come il mare. È il luogo ideale! si disse Rina, felice, pensando alle abbondanti spruzzate necessarie per mantenere il prato in quello stato. Cercava un angolino tranquillo per sistemarsi, quando un gruppo di bambini si precipitò vociando sul prato con un pallone. Accidenti! Per poco un calcio del portiere non la faceva volare lontano. No, no, non posso proprio stabilirmi qui, pensò Rina e balzò via attraverso le sbarre dell alto cancello. Continuando la sua ricerca, si fermò per caso nel parco di un club, uno di quei luoghi curatissimi, riservati ad una clientela d élite.

22 Apriti cielo! Una signora, sdraiata su un elegante lettino a prendere il sole, la vide e si mise a strillare a squarciagola: «Aiuto, aiuto... c è un mostro!» Era persino saltata su una sedia, quella fifona. E poi, era bella lei con tutta quella crema biancastra sul viso? Rina capì che neanche lì sarebbe stata al sicuro e corse via in tutta fretta. Che fare? pensava la rana. Possibile che non ci sia un luogo dove io possa vivere in pace? Eppure la terra sembrava così grande, così ospitale! Gli uomini, poi, proprio quelli che facevano la fila per ammirare gli animali negli zoo o i pesci negli acquari di grandi città, ora sembravano proprio accanirsi contro di lei e la sua specie, si diceva Rina mentre tornava a casa avvilita per la sua vana ricerca. Se ne andò a letto, sconsolata, e anche quella notte, come tante altre, la ranocchia sognò un calmo acquitrino ricco di piante palustri e di insetti svolazzanti, lì, a pochi salti da lei, pronto ad accoglierla. Nel sonno le balenò finalmente la soluzione a tutti i suoi problemi: doveva emigrare. Proprio così. Sarebbe partita per l Asia più lontana, quella dei grandi fiumi fangosi, dei larghi delta paludosi, oppure avrebbe raggiunto in America la grande giungla amazzonica o si sarebbe diretta verso la grande Africa, quella delle foreste a galleria: lì certo avrebbe trovato casa, e che casa! Quel mattino Rina si mise, allora, di buona lena, a far le valigie e tutti i preparativi per il lungo viaggio verso la meta sognata. Nello stesso tempo ci credereste? proprio in quelle terre che Rina sognava, tanti uomini, uomini dalla pelle d ogni colore, a loro volta facevano i bagagli verso le inospitali regioni che la ranocchia lasciava, sperando tutti in un futuro migliore. Rosalba Ferramosca

23 Fiabe La fiaba, come la favola, è un racconto per bambini. Le differenze, tuttavia, sono notevoli, e spiegarle qui, in un ebook, non è possibile. Tuttavia si può sintetizzare: a differenza delle favole, i personaggi sono essere umani, che variano però da re a regine, da principi a principesse, da orchi a fate e ancora streghe, maghi e via dicendo. A differenza della favola classica, la fiaba ha sempre un lieto fine. Il piccolo ascoltatore viene intrattenuto, può sognare e ricevere validi insegnamenti di vita.

24 Questione di vita, di coraggio e di fortuna C era una volta un bambino che viveva in una casa piccolissima su una montagna altissima insieme alla mamma, al papà e due sorelline. Un giorno, in dicembre, la famigliola andò nel boschetto della montagna, ma il bambino fu costretto a rimanere a casa perché non poteva camminare. Era molto triste: sapeva che le sue sorelline avrebbero giocato e corso tutto il giorno. Provò ad alzarsi in piedi, ma inutilmente: le sue gambe erano troppo deboli per sorreggere il peso dell intero corpo. Si rimise seduto sulla carrozzella e prese un libro di fiabe che era sul tavolo della modesta cucina. Lo sfogliò voracemente e, ad un tratto, per il sonno gli si chiusero gli occhi. Cominciò a sognare: c erano tantissimi animali che bussavano alla finestra della sua cameretta e gli chiedevano di giocare. Lui apriva la finestra e, con una vocina sottile, diceva: «No, non posso...» Non avrebbe mai potuto giocare con degli animaletti così veloci. La lepre, allora, lo invitava ad alzarsi; voleva che il bambino si convincesse a credere di più in se stesso. Gli diceva: «Se starai per cadere, noi ti sorreggeremo». Si fidava, ma decideva di non rischiare. Li fece entrare e chiese a tutti di giocare a carte. Gli animaletti accettarono e cominciarono a fare partite su partite. Si stavano divertendo un mondo, ma una mano si posò dolcemente sulla sua spalla: era quella di sua madre, e l incanto finì. Si svegliò di soprassalto e si accorse di aver sognato per un giorno intero. I suoi

25 genitori erano tornati a casa e gli stavano chiedendo come avesse passato la giornata. Quando rimase solo, si concentrò sulla finestra del sogno: c era un bigliettino degli animaletti: se avesse voluto, loro lo avrebbero portato nei sotterranei della montagna e gli avrebbero presentato la regina delle fate ed altri animali meravigliosi. Non avrebbe nemmeno dovuto portare la carrozzella, un unicorno lo avrebbe portato in sella fin quando il bimbo non si fosse sentito sicuro e non avesse deciso di proseguire a piedi. Sul bigliettino era scritto che sarebbero venuti a prenderlo a mezzanotte. Paolino, così si chiamava il bambino, rimase un po perplesso, ma poi, immaginandosi a cavallo di un meraviglioso unicorno, decise di attendere gli amici quadrupedi e di unirsi a loro per quell avventura così misteriosa ed eccitante. A mezzanotte precisa arrivò la puzzola Camilla insieme a Dino, l unicorno alato. Paolino salutò tutti e saltò in groppa all unicorno. Il viaggio fu molto divertente, il bambino rise e scherzò allegramente, ma c era sempre un po di tristezza nei suoi occhi: stava volando, ma avrebbe preferito poter camminare e correre. Camilla e Dino lo rassicurarono, gli dissero di credere in se stesso e che presto avrebbe trovato la forza di alzarsi in piedi. Finalmente arrivarono all entrata del mondo segreto degli animali e delle creature magiche. Al loro ingresso tutti si inchinarono. Solo una donna bellissima e un uomo bassissimo rimasero dritti. Quei due erano marito e moglie: infatti la regina delle fate aveva sposato un elfo montanaro. Paolino si accomodò su un trono accanto ai due reali, e l assemblea iniziò. La regina diede la parola alle formiche, che raccontarono di avere lavorato veramente bene e poi interpellarono anche le cicale e i cicalini.

26 La regina si congratulò con tutti i piccoli animaletti per aver collaborato bene. Si diede inizio alle danze, Paolino cominciò a sentirsi a disagio, non sapeva come comportarsi, quindi chiuse gli occhi e fece finta di dormire. La regina lo prese per mano e lo invitò ad alzarsi in piedi, sorretto da due grandi ciclopi che avevano lunghi capelli bruni. Paolino, incitato dai folletti e dalle fate, provò a mettere un piede davanti all altro per fare qualche passo, ma ad un tratto ebbe paura, contrasse l esile corpo e ricadde a sedere. La regina gli sorrise e lo consolò, chiese alle fatine di accompagnare Paolino nel posto segreto. Fu messo sulle spalle di Dino che lo portò, zompettando, in una sala ricolma di luce, di fiori e di specchi che riflettevano i raggi del sole apparso misteriosamente solo in quella stanza. I raggi creavano un arcobaleno di colori che irradiò il viso meravigliato del nostro piccolo Paolino. Gli dissero che sarebbero tornati a prenderlo presto e che, in caso di necessità, lo avrebbero soccorso. Poi, senza altre spiegazioni, sparirono dissolvendosi nel nula, sprigionando una polvere arancione e gialla. Non avendo la propria sedia a rotelle, non poté fare altro che lasciarsi cadere a terra e contemplare quel gioco di luci e colori. Si guardò intorno e si accorse di essere in una grande serra. Guardando il cielo notò una cosa inaspettata: vi erano la luna ed il sole che si stavano unendo in un unica palla di fuoco giallo-latte. La distesa celeste si spaccava in due fasce di colori: la prima celestina e l altra blu come la notte. Il bambino abbassò gli occhi e si concentrò sulle piante che lo circondavano. Vi era ogni genere di fiore: dai bianchi gelsomini ai rossissimi papaveri, alle violacee belle di notte. Le margherite crescevano ovunque, anche sulle pareti, che sembravano fatte di terriccio fertile. Paolino era estasiato da ciò che aveva di fronte agli occhi.

27 Ad un tratto una vocina piangente e stridula lo attirò. Il bambino si voltò e scorse un esserino simile ad una farfalla tutta rosa. Le chiese che cosa la facesse piangere. «Ero venuta per innaffiare le pianticelle che si trovano qui, ma il sole è arrivato e mi ha irradiato con la sua grande luce. Sento che morirò da un momento all altro. Quando ero piccola colsi una rosa nel giardino delle streghe. Una di loro mi vide e mi fece un incantesimo: sono condannata a dover vivere sola nel buio. Ti prego, aiutami, io non posso più volare né camminare perché sono troppo debole, ma tu puoi, potresti aiutarmi. Ti prego, io posso vedere la tua anima, è buona e pura. Sono sicura che non rifiuterai di salvarmi la vita. Devi soltanto venire qui, prendermi tra le tue mani facendo attenzione alle mie delicatissime ali e portarmi fuori da questa sala. Ti imploro». «Mi dispiace, ma io non posso aiutarti, non posso camminare, mi hanno lasciato qui, da solo, ma griderò finché qualcuno non accorrerà in tuo soccorso». «Non verranno: da questa stanza non può sentirti nessuno. Ti prego, credi in te stesso, tenta di alzarti, sforzati con ogni fibra del tuo essere. Aaaah! Sto bruciando... Ti prego, metti tutta la forza nelle braccia e tieniti dritto, poi fai un piccolo passo dopo l altro, ti prego!» Paolino provò, ma era dubbioso e ricadde a terra scoraggiato, alzò il viso e vide la fatina bruciare. Nonostante tutto, decise di credere di poterla salvare, finse di saper camminare e di potersi alzare in piedi. Con uno scatto riuscì a mettersi

28 finalmente in piedi e, senza indugiare, si mosse verso la piccola amica, la prese tra le mani e si precipitò verso la porta dalla stanza, la cui serratura si aprì da sola, misteriosamente. Appena posò il corpicino della fatina ai piedi della Regina, la piccola amica bruciata scomparve. Paolino prese a piangere, ma ad un tratto la piccola amica riapparve senza scottature, e gli disse: «Ho fatto bene a fidarmi di te, non mi avresti mai lasciato morire. Come ricompensa per avermi salvato la vita potremmo fare una corsetta insieme, che ne dici?» In quel momento Paolino si rese conto di essere davvero in piedi, provò a mettere un piede dopo l altro, e ci riuscì. Si diede una piccola spinta e corse a lungo insieme agli amici fatati. Al colmo della felicità, pensò al suo ritorno a casa: avrebbe varcato la soglia in piedi! A quel punto la Regina gli propose di rimanere per sempre in quel mondo meraviglioso, ma il bimbo disse che sarebbe tornato spesso a trovarli, ma che preferiva stare con la sua famiglia. La mattina seguente Paolino scese in cucina sulle sue gambe, la madre svenne dalla felicità e organizzò una grande festa. Da quel giorno il bimbo cominciò a ringraziare la montagna dove era nato, per avergli permesso di ricominciare a camminare. Da quel giorno vissero tutti felici e contenti. Margherita

29 Il blu di Zlata T anti anni fa, in una notte gelida e tempestosa, una splendida fanciulla giurò amore eterno a un valoroso soldato. Era l ora più tarda, e le sue parole furono udite da pochi umani. Tuttavia, fra i cespugli innevati e i candelotti di ghiaccio, c erano più creature fatate di quante si potesse immaginare, nascoste dal turbinare del vento freddo. «Ti sposerò non prima di averti donato uno zaffiro dello stesso colore dei tuoi occhi, lo cercherò per tutto il mondo e te lo porterò come dono di nozze» disse il soldato. «Ti prego Akim, non partire!» lo scongiurò Zlata. «Non fare così, mia amata, la tua bellezza vale bene un dono magnifico, e l unica cosa che posso offrirti è tutto il mio coraggio. Lascia che mi metta alla prova per te». La fanciulla annuì. Aveva i capelli biondi, raccolti in due trecce che, nel turbine del vento gelido, si sollevarono un po. Lo aveva pregato, ma Akim aveva deciso e partì subito, lasciandola sola dietro la finestra appannata della sua casupola. In quel momento si udì nella radura una risata argentina, più pura dello scroscio dell acqua di una cascata un attimo prima di trasformarsi in ghiaccio. Zlata rabbrividì. «Chi va là?» chiese ansiosa, i pomoli arrossati per lo spavento. «Non puoi accettare un oggetto prezioso, neanche quando a donartelo è un giovane affettuoso! Lascia da parte le buone maniere e riscalda il tuo cuore

30 come se fosse su un braciere!» Due voci stridule iniziarono a rincorrersi per la stanza, senza che Zlata potesse capire da dove venissero. «Chi siete?» domandò; la voce le tremò appena. «Siamo gli spiriti del vento, hai appena pronunciato un giuramento! Quando l ora è tarda e il sole è lontano noi voliamo e tutto ascoltiamo. Questa notte tu hai rifiutato il cuore puro di un innamorato!» Zlata si portò le mani alle labbra rosse e trattenne il fiato. Aveva promesso ad Akim di sposarlo, ma non prima che lui le avesse donato uno splendido e raro gioiello. Non poteva negarlo! «Akim è valoroso, tornerà da me con lo zaffiro!» replicò Zlata. «Dato che ci sembri davvero accorata non ti lasceremo solo con una risata. Akim ha un anno di tempo per tornare dalla sua graziosa amica, se non lo farà, la dimenticherà senza fatica!» Le voci degli spiritelli si spensero, ovattate, come se provenissero da sopra il tetto innevato. Akim camminò sul mantello immacolato della neve, le sue orme erano le prime di tutto il Nord. Come avveniva ogni volta che qualcuno partiva, il cuore dell inverno palpitò così forte da svegliare gli spiriti dormienti. Uno di loro lo seguì con i suoi occhi dorati. Non lo perse di vista quando affrontò il mare in tempesta, fiutò il suo odore sulle dune bianche del deserto di sale e si infilò nel suo bagaglio prima che prendesse il largo sul mare turchino.

31 Akim girò il mondo, incontrò molti popoli, ma purtroppo fallì nel suo intento. «Non troverò mai un dono per la mia bella Zlata!» si lasciò cadere sfinito sulla spiaggia rovente di un isola deserta. La sua barca, ormeggiata vicino a riva, galleggiava sulle acque limpide dei mari del Sud come un tappo di sughero. «Sei disposto a tutto per riavere ciò che credi perduto?» gli chiese lo spiritello che, per ingannarlo, aveva preso la forma di un innocuo paguro. «Certo!» gridò Akim. «Dimmi come trovare uno zaffiro prezioso che abbia lo stesso colore degli occhi di Zlata». La chela rossa del paguro schioccò. «È presto detto: ciò che non puoi avere col tuo eroismo va rubato senza verdetto!» «Vuoi che diventi un pirata?» sbalordito Akim balzò in piedi. Il sole rovente gli fece socchiudere gli occhi grigi, i capelli neri furono scompigliati dalla brezza. In fin dei conti gli sarebbe costato poco trasformarsi in un disonesto... Lui che non aveva altre ricchezze, se non il proprio coraggio. Cosa poteva rimetterci? Tutto ciò che desiderava era fare ritorno in Siberia, dove lo attendeva Zlata, la sua fidanzata. «Dimmi cosa devo fare?» Erano mesi che mancava da casa, il caldo gli annebbiava i pensieri, sentiva la pelle chiara bruciare sotto il sole cocente. In quel momento decise: barattò l audacia con la disonestà, il suo cuore puro in cambio di un gioiello prezioso. Fu così che divenne un pirata, frugò fra i tesori e i forzieri di mille razzie. Trovò migliaia di pietre con sfumature sempre diverse, rosse, verdi, blu e turchine, ma più cercava il colore esatto, più dimenticava gli occhi della sua innamorata. Finché un giorno, guidando la ciurma all arrembaggio, perse la strada di casa.

32 «Sei qui, bella fanciulla? Dicci cosa per la testa ti frulla!» chiesero gli spiriti all unisono. Zlata si sciolse in lacrime. Era primavera nei regni del Nord e l erba della steppa era verde brillante, eppure per la giovane Zlata non c era sole che potesse scaldarla all idea di aver perso l amore della sua vita. «Akim non tornerà, perché voi, spiriti, l avete distratto e condotto troppo lontano perché possa trovare la strada di casa. Andatevene! È colpa vostra!» strillò, allontanandosi a passi veloci dalla radura. Le rispose solo una risata. Il cuore della fanciulla si spezzò, gli spiritelli erano di natura dispettosa e non le avrebbero concesso aiuto, eppure fra i boschi magici c era chi non poteva ignorare il fragore di un cuore infranto. «Non piangere ragazza, ho sentito il tuo dolore e so che il tuo cuore è sincero». Zlata cadde in ginocchio sull erba bagnata. «Sei una fata del bosco!» disse asciugandosi il volto dalle lacrime. La fata era alta e slanciata, avvolta nell abito di corteccia e foglie secche, i suoi capelli ricci erano più aggrovigliati del muschio. Forse era già lì nella radura, perfettamente immobile, e impossibile da vedere per gli occhi mortali. «Certo bambina, dimmi chi ti fa piangere disperata?» chiese allontanando dalla spalla una gazza invadente. «Il mio amato è partito tanti mesi fa e non ha fatto ritorno, temo mi abbia dimenticata...» disse Zlata, e le raccontò tutto del giuramento e del prezioso gioiello che lui le aveva promesso.

33 «È un pasticcio, bambina, ma non temere: a tutto c è rimedio. Quando l ultimo raggio di sole autunnale scioglierà il primo ghiacciolo invernale, potrai chiedere al vento del sud di portargli un pegno d amore, ma sappi che se nemmeno quello lo convincerà a tornare, mia cara: ti devi rassegnare...» Mentre parlava, la fata era sempre più lenta, fino a che si immobilizzò, e la natura la fece sparire tra le fronde. Così Zlata attese fino a che una mattina si alzò all alba e corse in riva al ruscello. Gli spiriti dell inverno erano lontani perché il sole era caldo, guardò l ultimo candelotto di ghiaccio sciogliersi, goccia dopo goccia e, mentre il vento le accarezzava le gote, urlò: «Vento buono, vento caldo, ti affido il mio bacio d amore, posalo sulle labbra di Akim, così lui si ricorderà di me!» Il bacio turbinò, volò lontano, viaggiò a lungo e arrivò. Ad Akim parve di svegliarsi da un sogno, abbandonò la nave e le ricchezze, e partì subito per riabbracciare la sua innamorata. Il viaggio però fu lungo e, anche se gli spiriti del vento caldo lo aiutarono, quando giunse alle porte del regno del Nord era di nuovo inverno. Zlata lo attendeva sulla riva del mare ghiacciato. «Perdonami! Ho perso la via di casa, come ho potuto?» disse Akim precipitandosi ad abbracciarla. «L importante è che tu sia tornato da me» gli rispose Zlata. Si strinsero contenti, ma il ghiaccio intorno a loro crepitò sinistro. «Spiriti del vento! Venite, ho con me la più grande ricchezza!» Akim fu udito e uno spiritello dispettoso si avvicinò al forziere che il giovane aveva trasportato fin lì con tanta fatica. Quando il ragazzo aprì lo scrigno l altro saltò indietro, come scottato. «Ghiaccio? Non si porta al collo né al dito forse ragazzo tu sei impazzito?»

34 «Affatto, non v è ricchezza al mondo che regga il confronto con la bellezza pura di Zlata, solo i ghiacci del mare del nord conservano lo stesso magico colore dei suoi occhi». «Sei tornato prima di un anno... a questo punto io sono in affanno...» sibilò beffardo prima di scomparire. Fu così che Akim e Zlata, felici, si sposarono, le fate del bosco per damigelle, trovarono una bella casetta fra le steppe della Siberia e vissero per sempre felici e contenti. Grati, uno della presenza dell altra, ricchi d amore e di niente altro. Il bacio che Zlata aveva affidato al vento caldo non smise mai di vagare. A volte lo puoi sentire sulle guance, ed è come una piuma leggera, che accarezza e riempie il cuore di gioia. Francesca Cani

35 Il talento del cuore T anto tempo fa, nel magico regno di Tramontana, viveva una splendida principessa. Aria era il suo nome. Era una fanciulla tanto bella quanto ricca e alle porte del castello, anno dopo anno, giungevano sempre più numerosi i cavalieri e principi, che desideravano chiederla in moglie. Suo padre, il buon re Tuono, vedendola infelice, le promise che non avrebbe accettato alcun corteggiatore che lei non avesse approvato. Un giorno Aria guardò la fila davanti al castello e sospirò scoraggiata. «Padre, come posso scegliere un marito se di lui non so niente?» Il re Tuono ebbe un idea. Si sporse dall alto della torre e gridò: «Pretendenti, ascoltatemi! Potrà vedere la principessa solo chi di voi possiede un vero talento! Chiunque non ne possieda è libero di far ritorno nella sua terra». Udite quelle parole, gran parte dei ricchi principi se ne andarono, perché possedevano solo un buon nome e infinite ricchezze, ma nessun vero talento. Rimasero solo quattro uomini. Diversi per corporatura, bizzarri, ma tutti e quattro straordinari per quanto ricchi di qualità uniche. Re Tuono e sua figlia Aria accettarono di vederli uno alla volta. Nella gigantesca sala del trono c erano accese migliaia di candele e le luci danzanti erano come stelle nel firmamento. «Avanti il primo!» disse re Tuono, con la sua voce cavernosa. I valletti in livrea spalancarono le porte di giada del castello di Tramontana.

36 Entrò un ragazzo alto e magro, vestito con sete pregiate, portava sulla testa un turbante giallo tempestato di rubini. «Sono il principe Aarif, figlio del potente sceicco delle Sabbie» disse, e alzò lo sguardo fiero. Il suo seguito era ciò che di più sorprendente si fosse mai visto, e Aria rimase a bocca aperta. C erano tre levrieri accovacciati accanto ai suoi piedi, animali poderosi, veloci nella corsa come schegge e fedeli solo al loro padrone. «Qual è il vostro talento, principe?» chiese Tuono. Aarif rise sicuro di sé e fece cenno ai suoi servi di spalancare le porte del castello. Fuori un intera muta di levrieri era seguita da centinaia di cammelli, bardati di splendide selle di seta colorata e finimenti dorati. «Giusto re, io ho il dono della velocità. Posso trasportare qualsiasi cosa più rapidamente di quanto voi possiate immaginare. I miei cani corrono più veloci delle frecce, e i cammelli sono così resistenti e coriacei che possono attraversare tutti i deserti del mondo. Non hanno bisogno di molta acqua e il sole non li spaventa, possono portare un viaggiatore da un capo all altro del grande deserto delle Lacrime in un batter d occhio». Dalla sala delle udienze si alzò un mormorio soffocato. Quei poderosi animali potevano addirittura camminare sul sale del deserto delle Lacrime senza esser prosciugati dalla sua terribile secchezza! Era, fuor di ogni dubbio, un grande talento quello che possedeva il figlio dello sceicco. Eppure la principessa Aria aggrottò la fronte e bisbigliò poche parole all orecchio del padre. Re Tuono si alzò dal trono e disse: «Principe, voi onorate mia figlia, tuttavia ella chiede cosa fareste se davanti a voi ci fosse il vasto oceano?» Aarif, indignato e imbarazzato da quella domanda, richiamò i cani e si voltò per uscire. Era veloce, ma non possedeva né l ardire né i mezzi per superare l acqua.

37 Fu dunque il turno del secondo pretendente, si trattava di un gigantesco soldato cosacco. Vestito di pellicce e con due lunghi mustacchi neri. Con il suo fisico imponente e la sua tempra poteva resistere al freddo del nord. Legato intorno al collo, aveva un fazzoletto turchese, il suo unico vezzo. «Qual è il vostro talento, soldato?» Il cosacco si lisciò i baffi e poi estrasse un gigantesco fucile. Il suo seguito era composto da soldati armati fino ai denti, i cannoni erano così grandi da assomigliare a giganteschi draghi assopiti. «Grande re, sono il cosacco Ilianov, tutti, nelle terre del nord, parlano di me! Possiedo un ottima mira, so usare qualsiasi tipo di arma e ho muscoli talmente potenti che nessun avversario mi ha mai battuto. Sono forte e non temo il gelo. Inoltre sono un ottimo cacciatore» disse, togliendosi dalle spalle un sottile strato di neve che non si era ancora sciolto. Poi proseguì nella sua celebrazione: «Alla principessa non mancherà mai niente che possa essere preso con la forza dei miei muscoli!» Sorrise spavaldo. I cosacchi del suo esercito urlarono in coro: «Urrà!» «I miei uomini mi sono fedeli...» continuò il cosacco, ma fu interrotto. «Ditemi, valoroso Ilianov, che ne sarebbe di tutta questa forza se servisse la diplomazia?» Il cosacco aggrottò le sopracciglia cespugliose, si scompigliò i capelli e rimase a lungo a pensare. La sua testa, troppo abituata a dare ordini e a combattere, non concepiva neanche la parola pace e tantomeno quella che per lui era una debolezza: la diplomazia. Quindi si ritirò arrabbiato. Il terzo pretendente fu accolto dal suono di mille arpe; l intera corte, al suo ingresso, esultò d ammirazione. Era un giovane straordinariamente avvenente, aveva lunghi capelli biondi e occhi più blu del mare tropicale.

38 I cortigiani applaudirono quando videro che a seguirlo, passo per passo, c era un magnifico unicorno. «Qual è il vostro talento, ragazzo?» chiese re Tuono. La voce di miele e velluto del giovane inebriò i presenti. «Buon re, sono Emil dalle Verdi Pianure. Sono un incantatore di unicorni, queste splendide creature sono mie amiche e con la voce posso convincere qualsiasi essere vivente ad obbedirmi. Le balene cantano per me quando solco i mari, i delfini fanno festa e gli uccelli del cielo scendono in picchiata solo per farmi omaggio» disse, e si avvolse nel mantello candido. «Tutte le ragazze delle pianure sono innamorate di me, ma io non ho occhi che per la splendida principessa Aria! Vi prego buon re, lasciate che io la corteggi!» Erano parole dolci come melassa, e le orecchie dei presenti ne furono rapite. Tuttavia Aria storse il naso. «Vi siete presentato molto bene e sembrate davvero capace di grandi cose, eppure... Ditemi, incantatore, come convincereste un sordo?» chiese il re, mentre si carezzava la barba. «La mia forza è nella voce e nel canto. Se cercate qualcosa che i miei poteri e il mio aspetto non posseggono, io sono battuto...» mormorò, e se ne andò avvilito, seguito dall unicorno. A quel punto tutta la corte restò affranta: possibile che non esistesse un uomo il cui talento riuscisse a colpire la bella principessa?

39 Il re Tuono stava per abbandonare la sala quando sua figlia lo tirò per una manica. In un angolo del salone era rimasto in disparte un giovane, indossava una tuta sgargiante, rossa come le fiamme di un fuoco allegro. «Padre, aspettate... non abbiamo concluso» disse Aria, i suoi occhi non si staccavano dal sorriso luminoso di quel giovane. «Hai ragione, figliola. Qual è il vostro talento?» chiese il re, rivolto al ragazzo. «Mio re, sono Daniel il trapezista, sono solo un acrobata gitano. Non possiedo ricchezze né doni magici. Tutto ciò che vedete mi appartiene» rispose il giovane, mostrando il corpo allenato, fasciato dalla tuta color di rubino. «Il mio unico talento è il coraggio!» disse, e con un balzo si lanciò in avanti. Compì cinque, sei capriole in aria e si fermò ad un passo da Aria. Estrasse, come per magia, un bocciolo di rosa dalla manica, e lo offrì in dono alla principessa. Poi si arrampicò su una colonna e iniziò a camminare su una corda sospesa sul vuoto. Passo dopo passo i suoi piedi saggiavano la corda e si facevano più audaci. I nobili trattennero il fiato. «Nel mio mondo bisogna avere un cuore saldo perché non ci sono reti che possano arrestare la caduta! Coraggio, prudenza, serenità, sono le mie uniche compagne. Aggiungo la fiducia, perché senza quella sarei un misero saltimbanco» sorrise e saltò a terra con un inchino. «Notevole... ma non avete una casa né un posto a cui fare ritorno?» chiese il re. «No sire, mi sposto con il circo e non possiedo castelli. Eppure il mondo intero risiede all interno del mio cuore» disse, e sul suo volto si allargò un sorriso. «Regalo il mio cuore ad Aria, e con esso, le porto in dono tutta la bellezza del mondo che ho conosciuto». Aria trattenne il fiato stupita. Quel giovane l aveva colpita...

40 «Mi porterete con voi?» chiese affascinata dagli splendidi occhi verdi dell acrobata. «Ovunque vorrete» confermò lui con un sorriso abbagliante. Fu così che nel regno di Tramontana la principessa Aria sposò il trapezista Daniel. Lui onorò la promessa: le donò il cuore e con esso tutto ciò che di sublime c è al mondo. In fondo ci vuol poco per essere felici: non più di un talento da condividere, e il dono del proprio cuore. Francesca Cani

41 Celin, il popolo del cielo e delle nuvole Q uesta è una storia di tanto tempo fa. Racconta di un popoletto che abitava molto lontano, in alto nel cielo, fin sopra le nuvole. Era composto da esserini molto simili a noi umani, ma così piccoli da stare nel palmo della mano di un bambino. Si chiamavano Celin e avevano delle grandi orecchie a punta, capelli come fili d argento, occhi azzurri e un paio di piccole ali candide sulla schiena, che erano importantissime per questo piccolo popolo, poiché in esse era racchiuso quasi tutto il loro potere magico. I Celin sapevano che al di là delle nuvole vi era un altro mondo con altri esseri viventi, ma non a tutti era permesso andarci. Il loro re aveva imposto questa regola per la sicurezza del suo popolo; tornare indietro da quell altro mondo, infatti, era molto difficile. Gli umani non erano a conoscenza dell esistenza dei Celin. Infatti, nonostante nelle loro biblioteche ci fossero tantissimi testi che narravano tante leggende diverse, erano pochissimi quelli che ci credevano davvero. Dal canto loro, molti Celin, avevano letto tante brutte storie sulle cattiverie commesse da alcuni esseri umani, quindi preferivano vivere la loro vita serenamente, lontano da loro. Per tanto tempo erano vissuti in pace, sotto la guida di un re vecchio e saggio, chiamato Sisur, che non aveva mai fatto mancare nulla ai suoi sudditi. La leggenda narra che i Celin vivevano molto più degli esseri umani, ma il re, oramai, aveva più di mille anni! Era diventato troppo anziano per continuare a regnare: urgeva, dunque, un degno successore. La tradizione voleva che a prendere il posto del re fosse il suo primogenito, ma il figlio di Sisur, Erak, era un giovane avido ed egoista,

42 incurante delle sorti del proprio popolo: il suo unico desiderio era quello di avere il comando su tutto e tutti. Sisur aveva anche una figlia, ma purtroppo questa era ancora troppo giovane e inesperta per regnare. Elalith, così si chiamava la fanciulla, non aveva gli stessi interessi del fratello, ma solo un grandissimo desiderio di conoscenza. Passava le giornate nella biblioteca reale, leggendo nuovi libri e imparando nuove cose. Leggeva tutto quello che trovava ma, più di tutto il resto, amava scoprire nuove cose sulla vita degli uomini, e sapeva che, per farlo, non bastava sfogliare tante pagine. Allora andava nella stanza più nascosta del palazzo, dove nessuno, tranne la famiglia reale, aveva il permesso di entrare. Lì c era un enorme cerchio magico che si apriva sul pavimento fatto di nuvole, e che permetteva di osservare l altro mondo; tutti i Celin avevano paura degli umani, ma lei era sicura che non fossero così cattivi come si diceva di loro. Giorno dopo giorno, il re era sempre più in pena, perché sapeva che non poteva lasciare il trono a suo figlio, ma presto il popolo volle sapere cosa avesse deciso sua maestà. «Mio popolo, è finalmente giunto il giorno in cui saprete chi sarà il vostro nuovo re!» disse Sisur, cercando di attirare l attenzione dei presenti, che per l agitazione svolazzavano ovunque. «Tutti voi sapete che, da generazioni, è al primogenito della famiglia reale che spetta il trono». A quelle parole, Erak, che attendeva quel momento da molto, troppo, tempo, sorrise vittorioso: già si preparava a ricevere la corona reale. Allora tutti i Celin, diventati improvvisamente silenziosi e tesi, si prepararono all annuncio. Fissavano tutti il re, che finalmente riprese a parlare. «Io non mi sono mai opposto a questa tradizione, ma ora che devo scegliere il giusto sovrano per il mio popolo, non posso rispettarla».

43 Tutti guardarono sorpresi il re, poi suo figlio che, arrabbiatissimo, non riusciva a capire la scelta del padre. Dal popolo, qualcuno chiese a gran voce: «E allora, mio sovrano, chi ci guiderà d ora in poi?» «Ci ho pensato molto, e sono giunto alla conclusione che il mio successore sarà mia figlia, la principessa Elalith!» Stupore e confusione si potevano leggere sui volti di tutti i presenti, anche su quello della giovane Elalith. Dopo la cerimonia, la ragazza tornò a osservare gli umani. Tanto era concentrata a guardare giù nel cerchio, che non si accorse della porta che si apriva, e di suo fratello che entrava. «Lo sapevo che ti avrei trovata qui a guardare in quello stupido buco». Elalith si voltò di scatto. Guardò negli occhi Erak e capì quanto fosse deluso e arrabbiato. «Nostro padre ha sbagliato tutto!» le urlò il ragazzo «Io dovevo avere il trono, tu non fai altro che pensare a gli umani! Beh, allora sai che ti dico?» le lanciò contro un libro preso da uno scaffale «Vai a trovarli personalmente!» Elalith, tentando di scansarsi, scivolò e cadde per quello che le sembrò tantissimo tempo. Sapeva che stava andando nel posto che avrebbe sempre voluto vedere, ma aveva tanta paura. Tornare indietro volando, infatti, non era possibile: il cerchio era protetto da una magia. Appena prima di toccare il suolo, batté le piccole ali per non farsi male. Posò un piedino sulla terra e subito si accorse di quanto fosse dura. Non era affatto come le nuvole! Quelle, quando le toccavi, sembrava quasi non ci fossero. Erano morbide, un po come lo zucchero filato che si compra alle nostre fiere, ma non si appiccicavano alle mani. Elalith camminò a lungo, ma intorno a lei tutto era grandissimo e i suoi passi erano davvero troppo piccoli.

44 Ben presto i piedi cominciarono a farle male e, nonostante pensasse di essersi spostata tantissimo, il paesaggio intorno a lei era sempre uguale: vedeva solo grandi case. Si fermò sul davanzale di una di queste, all ombra di una piantina, per riposare un po, e si addormentò. Quando si svegliò, il sole non era più in alto nel cielo e cominciava a fare piuttosto freddo. Dove passerò la notte? si chiese Elalith, ormai in lacrime. «Chi è che piange?» domandò qualcuno alle spalle della ragazza. Spaventatissima, lei non rispose, si alzò e si nascose di più, dietro la piantina. A parlare era stato sicuramente qualcuno che era dall altra parte della finestra: un umano! «Chi è che piange?» chiese di nuovo la stessa voce «Dove sei? Non aver paura!» Elalith si sporse un po da dietro il suo rifugio, giusto quanto bastava per vedere chi era a parlare; come pensava: un ragazzo umano! Era molto più grande di quanto credesse, ma non era molto diverso da tutti i ragazzi che conosceva... gli mancavano soltanto le ali, e i capelli e gli occhi erano scuri. Elalith aveva sempre desiderato conoscere gli umani, e ora ne aveva uno proprio davanti agli occhi! Doveva assolutamente parlargli. Si fece coraggio e si diresse al centro del davanzale, proprio di fronte a lui. «Sono qui giù!» gridò forte. Il ragazzo abbassò lo sguardo e, quando la vide, spalancò gli occhi per la sorpresa. «Chi siete?» «Il mio nome è Elalith, sono finita qui per errore e ora sono sola. Io sono la principessa destinata al trono di un paese molto lontano». «Quanto lontano?» «Più di quanto voi possiate immaginare. Posso sapere come vi chiamate?»

45 «Perdonatemi. Il mio nome è Christian, piacere di conoscervi». «Piacere mio, Christian» disse la fanciulla, pensando: Mai sentito un nome simile! «Principessa, posso fare qualcosa per aiutarvi? Se non avete un posto dove stare e lo desiderate, potrei ospitarvi fino a quando ne avrete bisogno». «Siete molto gentile, ma siete davvero disposto ad accettare una sconosciuta, per di più così diversa da voi, in casa vostra?» Il ragazzo parve riflettere un attimo. «Io mi fido di voi...» detto questo, con un gesto elegante, invitò Elalith ad entrare «... voi vi fidate di me?» Nel frattempo, tra i Celin era scoppiato il panico: si era sparsa la voce della scomparsa della principessa, e le ricerche erano già iniziate. Una sera, Erak andò nella camera di Sisur per parlargli. «Padre, so che non è il momento più adatto, ma vorrei chiedervi di nominarvi vostro successore, cosicché, nel momento del bisogno, i Celin avranno un sovrano che li guidi per bene». «Tu pensi di essere quel sovrano?» «Cosa intendete dire?» «Tu saresti pronto a regnare anche meno di quanto lo era Elalith. Forse, se ti preoccupassi di più del tuo popolo e non solo di te stesso, un giorno il trono potrebbe essere tuo. Per ora, però, la discussione si chiude qui». Il ragazzo, ancora più arrabbiato, uscì dalla stanza del padre, pensando a quelle parole. Non riusciva davvero a capirne la ragione; l unica che poteva aiutarlo era Elalith. Quella notte stessa, Erak si recò nella biblioteca reale e, dopo aver letto un mucchio di libri, trovò una vecchia filastrocca che diceva:

46 Se nell altro mondo tu vuoi andar, non è sulle tue alette che puoi contar; forse, dicendoti ciò, ora un po t impressionerò: le ali grandi e forti di un amico ti porteranno nel luogo da te ambìto. Se il suo nome non conosci te lo rivelerò io: è Celosci! In quei giorni Erak lesse tantissimi libri e leggende su Celosci e, scoperto dove viveva, andò a parlargli. La creatura somigliava ad una specie di drago, ma la sua pelle era morbida e bianca, e somigliava un po alle nuvole. Era davvero grande, ma non cattivo, e molto intelligente. Celosci ascoltò a lungo il racconto del ragazzo senza dire nulla. Quando il giovane ebbe finito, lo invitò a salire sulla sua groppa, disposto ad accompagnarlo nella sua avventura. Erak viaggiò con Celosci per giorni interi, fino a quando non sentì la voce di sua sorella provenire da una delle case degli umani. «Sorella!» urlò. «Erak! Perché sei qui anche tu?» «Ti cercavo! Ma che ci fai con quest umano?» «Erak, ascoltami bene. Da noi si raccontano tante brutte storie su questo mondo. Molte sono vere, ma non tutti gli umani sono come voi credete. Questo ragazzo mi ha dato un posto dove stare, mi è stato vicino mentre piangevo, si è preoccupato per me, come nessun altro aveva mai fatto. Spero tanto tu possa capire, e diventare un buon re».

47 Senza aspettare una risposta, Elalith si strappò le piccole ali, perdendo, così il suo potere magico. Il suo corpo cominciò a cambiare, si ingrandì fino a diventare come quello degli esseri umani. Erak guardava la sorella senza parlare, con gli occhi lucidi, capendo che aveva commesso molti errori, perché era stato una persona egoista. L unica cosa che potesse fare per migliorarsi era cambiare i suoi modi, e cominciare a interessarsi di più agli altri. «Non essere triste, ora ho capito quello che voglio davvero: resterò al fianco di questo ragazzo, per sempre. Torna da nostro padre e riferisci la mia decisione. Sono sicura che sarai un buon re». Erak fece come gli era stato chiesto, confessando, in lacrime, la verità al padre. Sisur gi sorrise, triste ma sincero. Si tolse la corona dal capo e la posò su quello del ragazzo, svanendo, poi, in una luce dorata. A nessuno, né tra i Celin, né tra gli umani, fu mai svelata la verità, ma entrambi continuarono a vivere serenamente per molto tempo ancora. Ilaria

48 Cuore di bambina I sabella era la bambola preferita di Tamara. Gliel aveva regalata suo padre per il suo decimo compleanno. La portava con sé ovunque andasse e le piaceva molto spazzolarle i lunghi capelli biondi. Prima di andare a dormire, quando in casa calava il silenzio, se la metteva sulle ginocchia e le parlava. Le confidava tutti i suoi segreti, e nel cuore sperava che un giorno Isabella potesse trasformarsi in una bambina vera, proprio come quel burattino della favola che suo padre le raccontava sempre quando lei aveva mal di pancia. Fino ad allora, però, quei magnifici occhi azzurri si limitavano a fissarla, inespressivi. Una mattina, mentre faceva colazione, con Isabella sistemata sulla sedia accanto alla sua, Tamara chiese a suo padre: «Papà, tu conosci un mago che possa trasformare la mia Isabella in una bambina vera?» Il papà di Tamara aveva appena mandato giù un sorso di latte e per poco non si strozzò. «Tesoro, ma cosa dici?» «Tu lo conosci qualche mago davvero bravo che possa trasformare la mia Isabella in una bambina vera?» Suo padre le accarezzò la testa. «Perché mai dovresti aver bisogno di una bambola che diventi una vera bambina? Puoi sempre fare amicizia con le

49 tue compagne di scuola, invitarle a casa a giocare o a fare i compiti. Sarebbe di gran lunga più divertente». Ma Tamara non la pensava allo stesso modo. Scosse la testa. «Loro non sono come Isabella, papà. Lei sa ascoltarmi. Mi vuole bene». Suo padre, allora, preoccupato da quella stramba richiesta, la strinse a sé senza aggiungere altro, e gli occhi gli si riempirono subito di lacrime. Ebbe paura che sua figlia non fosse abbastanza felice, che si sentisse troppo sola, e decise che avrebbe fatto di tutto per trascorrere più tempo con lei. Quello che non sapeva, però, era che Isabella non era una bambola qualunque. Prima di finire nelle mani della piccola Tamara, infatti, era appartenuta a un anziana signora che abitava in una casetta in cima alla collina, con la facciata dipinta di rosa e le finestre color lillà. Si chiamava Virginia Aster e fabbricava bambole speciali. Fatte a mano, curate nei minimi particolari ma, soprattutto, realizzate con resina di fate. Isabella era stata una delle sue ultime creazioni, la più bella, poi la povera Virginia si era addormentata in un sonno eterno e, poiché non aveva figli a cui lasciare il suo patrimonio, aveva ordinato che ogni bambola fosse spedita in diversi negozi di giocattoli di tutto il mondo. E così era stato. Per questo motivo, ogni notte, quando Tamara chiudeva gli occhi e si appisolava, Isabella sbatteva le sue palpebre di resina e muoveva la testa. Si stiracchiava per bene e provava a fare qualche passetto, esplorando i vari angoli della camera. Osservava con meraviglia le altre bambole sedute su una mensola, con il capo rigido e un sottile strato di polvere sui vestiti. Si rimirava allo specchio, masticava i fermagli per capelli che erano sul comò, metteva a nanna la famiglia di orsacchiotti di peluche e, cosa più importante di tutte, cantava alla piccola Tamara. Le si avvicinava

50 e bisbigliandole in un orecchio intonava una nenia antica, rievocando danze al chiaro di luna, polveri scintillanti e il profumo di nettari prelibati. Isabella era molto affezionata alla bambina e quello era l unico modo che aveva per ringraziarla di tutte le attenzioni che le dedicava. Anche se Tamara, crescendo, avesse deciso di riporla insieme alle altre bambole, sulla mensola polverosa, lei avrebbe continuato a volerle bene. Le sarebbe rimasta accanto, perché, nonostante il suo fosse solo un cuore di bambola, conosceva bene il significato di amicizia e di per sempre. Anita Book

51 Incantesimo I n un tempo lontano... Il principe Gregor s innamorò di Melissa, una fanciulla di umili origini, dolce e gentile. Andando contro ogni consuetudine, decise di sposarla. Molti disprezzarono quella scelta: in particolare il Re Akraban, un perfido stregone che ambiva la conquista del mondo. Voleva che la sposa di Gregor fosse sua figlia, o nessun altra. Alla notizia del matrimonio con Melissa, Akraban si adirò così tanto da invocare una maledizione che colpisse i due sposi. Però non sortì alcun effetto poiché il principe Gregor era il figlioccio di cinque Fate nobili. Loro avevano tessuto attorno al giovane una tela invisibile che riuscì a proteggerlo da quel maleficio. Il Re Akraban, quando si rese conto del fallimento, andò su tutte le furie e decise di vendicarsi. Nel frattempo, la giovane coppia viveva felice e ignara; la principessa Melissa fu presto in attesa di un figlio, e nel regno si festeggiò: balli, canti e musiche allietavano ogni stradina, tutti i giorni. Quando mancava poco tempo alla nascita dell erede reale, giunse una triste notizia: era scoppiata una terribile guerra tra i due regni confinanti e poiché il principe Gregor era amico di entrambi i regnanti decise di partire per capire i motivi dello scontro. Il principe non poteva immaginare che il messaggero fosse un impostore inviato dal re Akraban. Le fate nobili partirono col principe, lasciando la principessa Melissa sotto la custodia di una giovane fata pricipiante: l allieva Miklen. Akraban, sebbene non fosse lì, con un ghigno sul volto magro vide quella partenza. Infatti egli possedeva un ampolla piena di sangue di capra,

52 misto ad acqua salata che, ogni qualvolta veniva agitata dalle sue mani, gli mostrava ciò che desiderava. In groppa a un drago, sorvolò miglia e miglia di boschi; ogni tanto l animale emetteva suoni terrificanti, e sbuffi infuocati incendiavano ciò che trovava lungo il cammino, portando distruzione laddove prima c era vita. Mentre Akraban cercava la principessa, lei fu colta da malore, e ben presto diede alla luce una bella bambina sana. La fissò: gli occhi colmi di felicità e orgoglio. Ecco il gioiello più desiderato, quello più splendente; in quell essere minuscolo e sgambettante si raccoglieva il vero amore. La gioia di quel momento durò poco, giacché l arrivo del perfido re era già sulla bocca di tutti. Melissa sentì nell aria un cattivo presagio; senza indugi baciò le gote fresche della piccina e la consegnò nelle mani della balia. «Ti chiamerò Elena, poiché la tua luce illuminerà il buio incombente. Va, corri veloce», disse alla donna, «oltrepassa i confini a sud e non tornare indietro. Proteggi mia figlia!» La balia, con le lacrime agli occhi, prese la bimba, e senza voltarsi fuggì, prima che il diabolico nemico raggiungesse le stanze reali. Fuoco e fulmini lo precedevano, distruzione e devastazione lo seguivano. Irruppe nella stanza con un gran boato, dove la principessa lo attendeva. La fata principiante, al suo fianco, tremava di paura. Akraban la guardò sprezzante. Poi intonò un incantesimo: «Spiriti del male, ancelle diaboliche: accorrete a me. Portate dolore e mestizia dove prima vi era amore e gaiezza. Stirpe maligna, infondi gelo nelle vene di ogni abitante di questo regno, rendili privi di forze quando il principe su di essi poserà il suo sguardo!»

53 In quel momento si rese conto che la nascita era già avvenuta. Con un ruggito di rabbia capovolse la culla vuota, rimestò ogni angolo della camera alla ricerca del nascituro. Guardò la principessa con ira. «Dov è?!» esplose. Melissa, fiera, lo fissò, ma non disse una parola. «Lo troverò, anche senza il tuo aiuto. E lo ucciderò!» Senza altri indugi lasciò la stanza. La principessa volse il suo sguardo verso la fatina, che tremante aveva assistito ai fatti senza riuscire a trovare la forza per fermare il folle stregone. «Miklen, solo tu puoi salvarci». «Io non so che fare! È un maleficio troppo potente, io sono soltanto un allieva!» «Devi pensare a qualcosa che possa aiutarci. Sei pur sempre una fata!» La fatina, cominciò a percorrere la stanza in lungo e largo, le ali sulle sue spalle sbattevano nervose. «Se tutti voi scompariste, il principe non potrebbe più uccidervi!» La principessa la guardò fiduciosa. In quel mentre un ape entrò nella stanza e ronzò intorno alla fatina. La soluzione le apparve nitida. Allora non indugiò e proferì una formula magica: «Stelle fulgenti, luci splendenti, spiriti dell amore accorrete fino a me, rendete vano il maleficio di Akraban trasformando ogni suddito in ape, così che il maleficio non possa avverarsi». Una luce calda scese dal cielo avvolgendo con mille spirali luminose ogni suddito, e tutti si trasformarono in api. Bambini, uomini e donne si librarono nel cielo. La principessa fu avvolta da una luce azzurra e sollevata dal letto, a poco a poco il suo corpo scomparve e al suo posto

54 apparve una magnifica ape regina che si poggiò sulle ali della fatina. Il castello piombò nel silenzio. Quando il principe tornò con il cuore travolto dalla paura, chiamò a gran voce la moglie ma non ebbe risposta. Le fate nobili lo seguivano, sempre più preoccupate. Corse per i corridoi, spalancò ogni porta fino alle stanze reali. Finalmente vide la fatina che, esausta, attendeva il loro arrivo. Con voce trafelata raccontò ogni cosa: il parto, la nascita della bambina, la sua fuga con la balia, l arrivo di Akraban, la maledizione, la sua idea di trasformare tutti in insetti volanti. Il principe si accasciò sulla sedia, disperato. «Dove sarà la mia bambina?» «Akraban è corso al suo inseguimento». Il principe alzò fiero la testa e si rivolse alle fate: «Dovete trovarla e proteggerla!» Le fate, sconsolate, scossero le testoline, e una disse: «O mio giovane principe, non possiamo farlo, siamo legate a te, e solo te possiamo proteggere». Gregor si erse nobile: «Vi sciolgo da ogni legame, non ho più bisogno di voi, vi chiedo con il cuore in mano di trovare la mia piccina, preda della malvagità di un uomo senza anima. Dovete difenderla». Le fate tentarono di obiettare: «Mio principe, la morte di Akraban porrà fine al maleficio, così che tutto torni com era prima. Se vi stiamo vicine potrete sconfiggerlo!» «No, ha troppo vantaggio. Anche la mia morte porrà fine a tutto questo. La vita di mia figlia è molto più importante. I miei sudditi meritano il mio sacrificio!» Le fate chinarono il capo affrante, ma non osarono discutere, non c era tempo per i pianti. Si disposero in cerchio attorno al principe e recitarono

55 a turno le frasi di un incantesimo, poi ruotarono in senso contrario, insieme volsero lo sguardo in alto e chiamarono a gran voce: «Elena! Elena!» Fu così che all interno del cerchio si formò la visione della balia che, impaurita, con la piccina in braccio, si guardava alle spalle. Un ombra minacciosa e scura si stava sovrapponendo alla luce che la bimba emanava. Le fate, a quella vista, intonarono un canto e si librarono in volo, vorticarono su sé stesse e poi svanirono nell aria, lasciandosi dietro soltanto scie di polvere magica. Il principe, seguito dalla fata Miklen, che non sapeva ancora volare, e dall ape regina, partì con il suo splendido unicorno, nel cielo una luce splendente gli indicava la strada. Akraban aveva cercato la balia in lungo e largo, ma la donna sembrava scomparsa, dopo vane ricerche aveva chiamato a raccolta gli spiriti della paura e ombre minacciose avevano sorvolato i boschi fin quando non avevano avvertito l odore della paura. Il re seguiva le ombre in groppa al suo destriero alato, avvicinandosi tanto da sentire un ansito di terrore; era quello della balia, che tratteneva al petto il volto piangente della piccola. Ormai certo della vittoria, lo stregone le fu sopra, l accerchiò col volteggiare basso del drago, si chinò di lato e strappò la piccina dalle braccia della donna, poi la issò in alto e, con un ghigno di soddisfazione, la lasciò cadere nel vuoto. Elena, piangente e urlante, precipitava rapidamente ma, proprio prima di toccare terra, una rete intessuta con fili d oro l accolse dolcemente, impedendole di sfracellarsi al suolo. La bimba si guardò intorno curiosa, smise il pianto e fu serena. Neppure l urlo disumano di Akraban la infastidì. Le fate giunsero in un turbinio di ali dorate e la circondarono amorevolmente.

56 Lo stregone, lì vicino, volteggiava; era veramente adirato poiché non immaginava che le fate potessero proteggere anche la bimba. Atterrò e scese dal drago. Mentre cercava di capire cosa fosse accaduto, arrivò Gregor. Egli si pose di fronte allo stregone e lo affrontò. «Akraban... sono qui, senza alcuna protezione. Adesso puoi uccidermi, proprio come hai sempre desiderato». Il mago estrasse la bacchetta e, con un gesto, sollevò in aria il principe, pronto a farlo ricadere al suolo, ma la voce di Gregor lo fermò. Levitava a mezz aria, e con un sorriso ironico disse: «Uccidimi, e la mia gente tornerà ad assumere sembianze umane». Lo stregone comprese subito la portata di quelle parole. Uccidere il principe lo avrebbe soddisfatto, ma vedere gli altri riprendere a vivere era inconcepibile. «Se non mi uccidi, sarò io a uccidere te. Torna indietro, annulla il tuo incantesimo e io dimenticherò il male che ci hai fatto!» Akraban prese la sua decisione velocemente, ci sarebbe stato tempo per vendicarsi dopo. Mosse la bacchetta e scaraventò il principe contro il tronco di un albero. Prese a pronunciare antiche formule, stringendo con la forza del pensiero il giovane uomo in una morsa ferrea che lo bloccava sul legno dell albero. Ben presto un nugolo di api lo circondò, impedendogli di vedere e parlare. In molte lo punsero, cadendo morte ai suoi piedi. Sembravano un esercito di soldati pronto a dare la vita per il proprio principe, pronto a lottare fino alla fine per far tornare a splendere il sole. Lo stregone cominciò a fuggire, gettò in terra la bacchetta, smosse le mani per liberarsi dallo sciame, ma fu tutto inutile. Fuggiva senza vedere nulla e non si accorse del ciglio di un grande burrone. Precipitò nel vuoto, lanciando un urlo disumano.

57 Il cielo si squarciò, e da plumbeo divenne dorato, la luce risplendette sovrana e tutte le api ripresero le sembianze umane. Il nemico era stato sconfitto, e l amore aveva trionfato. Gregor poté riabbracciare sua moglie, ed Elena gli rivolse il suo primo sorriso. Era tempo di tornare a casa. Fabiola D Amico

58 Racconti Alcuni dei testi che abbiamo ricevuto non potevano essere appieno definite favole o fiabe. Si trattava semplicemente di racconti per bambini, e data la loro particolare bellezza, abbiamo deciso di inserirli comunque nell antologia.

59 Lorenzo l elefantino T a - ta - ta! Il fragore della mitragliatrice riempì l aria tersa della savana di note cupe e sinistre. Era notte fonda in Africa quando echeggiò l ennesima raffica di mitra imbracciata dal bracconiere di turno. Sandrino, con la testa inanellata di riccioli biondi affondata nel cuscino sussultò gridando: «Papà, cosa è successo?» «Nulla» lo rassicurò il papà. L indomani, Sandrino e il papà, si avventurarono nel cuore della savana con la loro inseparabile macchina fotografica per immortalare i suoi abitanti. Risate stridule di iene e sonori sbadigli di leoni erano i rumori di fondo di questo lembo di paradiso in terra. Quel mattino gli scatti si susseguirono uno dopo l altro, immortalando tutte le specie che da sempre avevano la propria dimora qui. Tutte tranne una: quella dell elefante. «Papà, ma dove sono gli elefanti?» chiese, d un tratto, Sandrino. «Gli elefanti, di giorno, dormono» fu la risposta secca del papà visibilmente turbato dall assenza di queste enormi quanto pacifiche creature. «Prima di partire per l Africa, mi avevi promesso che li avremmo visti da vicino» protestò Sandrino con un moto di stizza. «Sì, è vero...» si difese il papà «... ma devi sapere che i giganti della savana, per sopravvivere alle imboscate dei bracconieri, hanno invertito i propri ritmi, scambiando il buio con la luce». «Per non farsi rubare le zanne d avorio, è così?» azzardò Sandrino con l aria di chi se ne intendeva.

60 «È proprio così!» esclamò il papà un po sorpreso. «Papà, promettimi di farmeli vedere almeno una volta sola» implorò il figlioletto con le mani giunte in segno di preghiera. «Va bene, te lo prometto» annuì il papà. Quel giorno, o meglio, quella notte non tardò ad arrivare. Era il 10 agosto del 2011: gli astri brillavano come diamanti e la luna intera, color avorio, occhieggiava tra le stelle cadenti. Sandrino e il papà, giovane naturalista, in compagnia di una guida locale si allontanarono a bordo di un fuoristrada dal loro accampamento. La macchina s inerpicò, sobbalzò e ridiscese. Odori acri e forti, fetidi e dolciastri si susseguirono. Un sentiero di pietre, poi un ruscello, e la savana si spalancò davanti ai loro occhi. Si acquattarono sul ramo più basso di un acacia dopo aver controllato che non fosse occupato da una colonia di formiche. Cominciò l attesa. Poi la guida sussurrò: «Arriveranno. Distinguerete alcune sagome fra l erba». Aveva ragione, la guida. Dopo qualche minuto, arrivarono a frotte gli elefanti. Un piccolo faticò a usare la proboscide. S inginocchiò e bevve con il labbro inferiore. Intanto una vecchia elefantessa si avvicinò all albero. Li aveva individuati. Sandrino, il papà e, in primis, la guida obbedirono alla tacita legge della savana, secondo la quale non bisognava guardare nessuno negli occhi: lo sguardo diretto sarebbe stato interpretato

61 come una sfida. Fecero finta di masticare alcune foglie. L elefantessa indietreggiò, il che significava che erano stati accettati. Contarono, quella notte, ben venti elefanti, in prevalenza, femmine, e alcuni cuccioli. Nonne, mamme e zie si disposero in cerchio facendo da scudo ai piccoli. Poi guardinghe si allontanarono con i loro protetti verso la sottile striscia argentea e tortuosa di un fiumicello. Qui si rotolarono giocando con l acqua, guardati a vista dai tre bonari osservatori. Ma i bracconieri, anche di notte, diedero loro la caccia. Appostati su un albero, con la complicità della luna o di una torcia, aspettarono. Spararono. Il crepitio del fuoco tagliò l oscurità come la lama di un coltello. Nello spazio di pochi secondi, le elefantesse e i loro cuccioli indifesi si ritrovarono galleggianti nel bel mezzo del fiume. Sandrino, alla vista di quella mattanza chiuse gli occhi, inorridito. Il suo cuoricino pulsava forte, fortissimo. I bracconieri avevano vinto il concorso della malvagità anche quella volta, pensò tra sé e sé il padre di Sandrino tremante di collera. «Stiamo mettendo a repentaglio la nostra vita», disse la guida. Non fece in tempo a terminare la frase che una sagoma scura emerse dall ombra. Era un elefantino che correva verso l oscurità delle acacie e dei baobab, verso la salvezza. L unico sopravvissuto allo sterminio. Lorenzo, come fu poi battezzato da Sandrino e dal padre che lo trassero in salvo trasferendolo nella loro riserva visse cinquanta lunghi anni coccolato come un bambino. Patrizia de Luca

62 Il valzer dei sogni L ory era una ragazzina sveglia e dimostrava molto più dei suoi dodici anni. A lei non piaceva frequentare le sue coetanee, o fare i giochi di gruppo, tantomeno invitare le sue compagne a casa. Anche per questo nessuno le chiedeva di uscire il pomeriggio o di fare i compiti insieme. Questa cosa la metteva in cattiva luce con amici, insegnanti e conoscenti, ma lei non se ne curava. Più gli altri cercavano di comprenderla, senza riuscirci, più lei diventava ermetica e si chiudeva come un riccio nel suo mondo fantastico. Solo una cosa le interessava: leggere. Divorava i libri e non ne aveva mai abbastanza. Lory, tutti i pomeriggi, dopo aver fatto i compiti, si recava in Biblioteca, spesso prendeva un libro in prestito per poi riportarlo dopo pochi giorni. Quel pomeriggio, come al suo solito, Lory salutò sua madre: «Ciao mamma, a dopo». «Dove vai?» «In biblioteca». Come se non lo sapesse... Perché si ostina a domandare sempre le stesse cose? pensava Lory mentre chiudeva la porta di casa avviandosi lungo la strada. La biblioteca distava appena dieci minuti, ma lei ne impiegava solo cinque, durante i quali pensava al libro

63 che stava leggendo, alla trama, ai personaggi, e se era giunta quasi al termine, allora una strana sensazionela la assaliva, un misto di euforia di conoscere l epilogo e la delusione di averlo terminato troppo in fretta. Tuttavia, quel pomeriggio era intenzionata a cercare una lettura diversa. Qualcosa che la facesse viaggiare con la fantasia, chissà se fra tutti quei volumi avrebbe trovato qualcosa d interessante. Le ultime volte era stato molto difficile scegliere. Entrò in biblioteca e consegnò in segreteria il libro che aveva terminato. Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse di quel ragazzino che la fissava un po accigliato. Si diresse verso gli scaffali polverosi e cominciò il difficilissimo, ma altrettanto coinvolgente compito di leggere i titoli, col capo chino da un lato, accarezzando di tanto in tanto le copertine come se, toccandole con le dita, potesse percepirne la trama al suo interno. Talmente quella posizione era per lei divenuta naturale che anche quando camminava normalmente aveva il collo leggermente inclinato da un lato, e ciò le dava un espressione ancora più imperscrutabile. Non si accorse che quel ragazzino era dietro di lei e la osservava. E quando salì sulla scala per prendere un vecchio volume situato troppo in alto, sentì traballare il piano sotto i suoi piedi e se non ci fosse stato lui a sorreggerla sarebbe sicuramente caduta malamente. «Grazie» sussurrò. E lui accennò un sorriso. «Che cosa stai cercando di preciso?» «Qualcosa di diverso» rispose Lory. «Diverso da cosa?» Come fa a non capire? Eppure è semplice: cerco un libro che mi faccia sognare, ma non glielo avrebbe mai confessato, nemmeno sotto tortura. Senza attendere risposta, lui le disse: «Vieni con me».

64 Non era un ordine, e nemmeno una richiesta. Tuttavia Lory si sorprese quando, incuriosita, lo seguì. Lui le camminava davanti, la fece passare attraverso gli scaffali pieni, zeppi, di volumi. Girò a destra e poi a sinistra, attraversò stanze e corridoi e infine salì delle scale. Lory non riconosceva più la sala della biblioteca. Ora si trovava in una soffitta. C erano ragnatele e polvere dappertutto. Sperò di non trovarci dei topi; non avrebbe saputo mantenere il sangue freddo che di solito la distingueva dalle altre ragazzine sempre tanto svenevoli. Detestava far vedere il suo lato più fragile, quindi si fece coraggio seguendo il ragazzino in quello strano posto così buio. A un certo punto lui si voltò e disse: Siamo arrivati. Le fece spazio per farla passare, era buio e aveva acceso una torcia tascabile. Lory esitava, chi era? Perché si scomodava tanto per lei? E se non l avesse portata lì per i libri? Come aveva potuto essere così sciocca da seguirlo fin lì? Si guardò intorno, sarebbe stata in grado di ritrovare l uscita? Con gli occhi cercò un oggetto, qualsiasi cosa che avrebbe potuto usare, all occorrenza, come arma. Alla luce traballante della torcia, a Lory sembrò di scorgere sul volto di quel ragazzino uno sguardo divertito. Si sbagliava di sicuro. Lui cercò in un baule, e dopo qualche trepidante attimo di attesa ne estrasse un piccolo volume dalla copertina importante, impolverato, le pagine ingiallite dal tempo. Lory dimenticò ogni preoccupazione. Era affascinata da quel preziosissimo oggetto. Si avvicinò e lui glielo porse delicatamente. Si sedettero a terra, uno vicino all altra, con la complicità di chi si conosce da una vita.

65 Lory, con cautela, spolverò il libro con la manica del suo maglione e lesse ad alta voce il titolo: Il valzer dei sogni. Lessero le prime righe: Quando il sole si tuffa nell acqua... dove la natura si accompagna alla musica dolce e soave... troverai il tuo sogno... Seguitarono a leggere senza fermarsi mentre le parole si accavallavano l une con le altre. Lessero tutto di un fiato le poche pagine di quel libro fantastico. Giunsero alla fine e lessero ad alta voce: Se il tuo sogno vuoi avverare, devi crederci, sempre... non esitare, potrebbe essere tardi. «Che cosa vuol dire?» disse Lory ad alta voce. «Nulla. È solo un libro di fantasia. Volevi qualcosa di diverso e te l ho fatto vedere, tutto qui» rispose lui. «Non è così. Lo dice il libro, devi crederci». «A cosa dovrei credere?» «Al tuo sogno!» rispose Lory esasperata. «Immaginavo tu fossi strana, ma non credevo fino a questo punto». Ormai rideva, la stava prendendo in giro e Lory cominciava a stranirsi. «Possiamo tornare qui domani? Il libro... vorrei rileggerlo». «Dai, ti faccio uscire dal retro, seguimi Lory». Lei si fermò di colpo. «Chi sei? Come conosci il mio nome?» E lui rispose: «Lory... potresti chiamarti solo così. Andiamo ti accompagno a casa».

66 Lory quella sera disse a sua madre di non aver fame e se ne andò a letto. Non riusciva a dormire: era stranamente emozionata, anche un po spaventata ma non riusciva a capirne il motivo....devi crederci... il tuo sogno. Si addormentò ormai all alba pensando alle parole del libro. Il giorno seguente chiese a sua madre se avevano mai visto dal vero un tramonto sull acqua. Sua madre restò molto evasiva ma Lory si accorse che era un po scossa. Scorse sua madre che accendeva la radio sul canale di musica classica. Lo faceva sempre quando era particolarmente felice o nervosa. Non capì il motivo di tale tensione in quel momento. Lo avrebbe capito più tardi. Il pomeriggio tornò in biblioteca e, nonostante l inquietudine che l assaliva, sperava di incontrare di nuovo quel ragazzino dall aspetto familiare e misterioso. Era quasi ora di tornare a casa, quando lui arrivò. Aveva il berretto calato sugli occhi, e Lory non riusciva a vedere la sua espressione. Si chiese se anche lui fosse felice di vederla. Ma che razza di pensieri mi vengono in mente... cosa gliene può importare di una come me? «Mi chiamo David» non salutò, disse solo il suo nome, scandendo bene le parole. A Lory non gliene importava più del nome, di chi fosse, voleva solo passare altro tempo con lui... e quel libro. Andarono in soffitta lo presero. David le disse che la notte precedente non era riuscito a chiudere occhio. «Anche tu pensavi a questo libro e al mistero che ci nasconde?» chiese Lory. «Ma quale mistero?» rispose David in tono un po canzonatorio. Ma Lory si accorse che la sua voce tradiva un certo nervosismo. Secondo me comincia a crederci anche lui.

67 «David, conosci un posto qui vicino dove si vede il tramonto sull acqua? E c è anche della musica?» David restò pensieroso per qualche istante fissando il libro. «Allora? Ti è venuto in mente qualcosa? Sai dov è questo posto?» Lui era sempre più accigliato, a un certo punto, guardandola negli occhi, le disse: «Tu ci credi davvero Lory? Intendo dire ai sogni...» Poi tornò a fissare la pagina del libro che ritraeva due persone davanti ad un tramonto che sembravano danzare un valzer e con le dita continuava a ridisegnarne i contorni. Lory era certa che lui sapeva qualcosa e cercò di farlo parlare. «David, se conosci questo posto mi ci devi portare, subito! Non dobbiamo perdere tempo. Hai letto il libro? Potrebbe essere tardi!» «Tardi per fare cosa?» «Non pensarci e portami lì, adesso». Lory lo guardò fisso negli occhi, lui ci pensò un po e poi rispose semplicemente: «Andiamo!» Lory stavolta portò il libro con sé. Uscirono dalla Biblioteca e presero il bus che li avrebbe portati in centro. «David, un lago, dobbiamo cercare un lago, hai presente il tramonto sull acqua? Dove stiamo andando? Non è questa la direzione giusta!» Per tutta risposta lui le disse: «Fidati di me». Lory si arrese, si rendeva conto che aveva in mente qualcosa ma non capiva cosa. Scesero dall autobus e s incamminarono per le vie del centro. Lory faceva molta fatica a tenere il suo passo, lui sembrava non accorgersi più di lei, e questa sensazione non le piaceva affatto. Che le succedeva? Non le era mai importato nulla di quello che dicevano gli altri e adesso il solo pensiero

68 che lui potesse ignorarla la faceva star male. A un certo punto David si fermò davanti alla vetrina di un vecchio negozio di antiquariato. Lory non capiva, ma lui sembrava fosse arrivato a destinazione. Si girò a guardarla e poi le disse: «Siamo arrivati». «Qui? Cosa c entra questo vecchio negozio con quello che abbiamo letto?» Poi Lory seguì il suo sguardo fino a una vecchia tela impolverata che ritraeva lo stesso disegno del libro: i colori, il paesaggio, il tramonto. Senza aggiungere altro, entrarono nel negozio e chiesero di poter vedere la tela da vicino. Un vecchio signore li guardò poi posizionò la tela sul tavolo davanti a loro. David la scrutò e la voltò. Dietro c era una dedica: A Mary, perché questo valzer ti accompagni per la vita... John. Lory fissò quelle parole poi si voltò verso David. Il vecchio, che sembrava uscito da un romanzo fantasy, disse loro di prendere la tela e fare la cosa giusta. Uscirono dal negozio con la tela incartata da fogli di giornale ingialliti e corsero fino a farsi mancare il fiato. Poi si fermarono e David iniziò a parlare: «Mio padre è stato un pittore molto bravo, poi, però ha dovuto trovare un lavoro serio per poterci mantenere. Mia madre è morta tre anni fa». Attese che Lory parlasse. «Mia madre ed io siamo cresciute sole. Lei ama molto la musica, soprattutto quella lirica. Ah... dimenticavo... mia madre si chiama Mary Jane». «È il loro sogno David, di tuo padre e di mia madre» Lory e David sorrisero complici e soddisfatti di questa scoperta e pregustarono il momento in cui avrebbero raccontato ai loro genitori questa storia a lieto fine.

69 Inutile dire che il libro, il quadro, la musica altro non erano che il fato. Un destino disegnato da due giovani ragazzini che avevano creduto nei loro sogni. Giorgia Giorgi

70 Allegra che sfida il buio A llegra è una bambina curiosa, vuole conoscere tutto e non si stanca mai di porre domande, mettendo a dura prova la pazienza dei suoi genitori. Oggi vi voglio raccontare di come Allegra ha imparato a conoscere i colori, grazie al suo innato gusto per le nuove esperienze e all abilità verbale di sua madre. Le cose sono andate più o meno così: «Mamma, cosa sono i colori?» «Sono caratteristiche degli oggetti: ciascuno ha il proprio». «A cosa servono?» «A riconoscere le cose». «Spiegami come». «Naturalmente, piccola mia. Da quale vuoi cominciare?» «Dalla neve». «Bianco è il suo colore, ma non sempre è così freddo. Bianca è la panna che metti sul gelato, il latte che bevi ogni mattina. Bianco è il vellutato pelo di Nuvola, il gatto del tuo amichetto Paolo. Bianco è il tuo vestitino di pizzo, quello che indossi nei giorni di festa, per cui devi fare più attenzione del solito perché si sporca con facilità. E, per restare in argomento, lo sono anche le pagine che consultiamo quando papà dice che vuole portarci al ristorante, ma si finisce sempre alla voce Pizzeria». «Ho capito è un colore freddo ma anche caldo, dolce, ma poco pratico perché mi impedisce di tuffarmi nel piatto da cui arrivano certi odori golosi...»

71 «Mangiare in quel modo non si deve, comunque è così: lavare via le macchie da un tessuto bianco è molto difficile». «Parlami del rosso». «Rosso è il pallone che proprio l altro giorno ha bucato Dick, il cane del sig. Silvestri. Rosso è il sangue che è uscito dalla ferita sulla tua mano quella volta che hai raccolto un pezzo di vetro quando ho fatto cadere il bicchiere della crema al cioccolato da spalmare sul pane. Rosse sono le fragole e le ciliege che ti piacciono così tanto da non lasciarne mai agli altri, proprio come è successo domenica». «Uffa, non è il caso di parlarne adesso, ti ho chiesto di spiegarmi i colori!» «Lo so, furbacchiona, ma con te è meglio non perdere nessuna occasione, sei troppo birichina. Cos altro vuoi sapere?» «Come è l arancione?» «Te lo dice il nome: è il succo asprigno del frutto che ti preparo in inverno perché dico sempre che ti fa bene, e dentro al quale tu vuoi che metta un bel po di zucchero. Arancione è anche la mia borsa da spiaggia, quella che riempiamo in modo inverosimile quando andiamo a trascorrere la giornata al mare. Arancione è la moto di Andrea, quella con la marmitta scoperta, che spacca i timpani ogni volta che passa davanti casa, benedetto ragazzo anche lui!» «Mamma, allora l arancione fa rumore?» «Non sempre. È anche il colore delle carote che non vuoi mai mangiare, con la scusa che non sei un coniglietto». «Ho capito, anche questo è un colore che non mi piace. Passiamo al giallo?»

72 «Giallo è il colore del sole che ti bacia al mattino e ti scalda, e ti fa lieta per tutta la giornata. Giallo è il limone che serve a buttar giù tutti quei dolcetti che spariscono misteriosamente dalla credenza della cucina per finire nel tuo stomaco». «Ho capito, anche questo va così e così. E il verde?» «L erba del giardino dietro casa, che il nonno ha tagliato nel pomeriggio e che manda questo buon profumo, è verde. Lo sono i piselli che ti preparo con la cipolla e che ti diverti tanto a sbucciare perché dici che sembra di liberare delle palline. Verde, ma solo di fuori, è l anguria che ti disseta d estate». «Come sarebbe, solo fuori?» «Sì, perché dentro è rossa». «Allora non vale, fammi un altro esempio». «Verde è la pietra dell anello che porto sempre al dito, si chiama smeraldo». «E l altro anello, quello senza pietra?» «Quello è l oro». «L oro è un colore?» «Sì... no... insomma, in parte. È più lucido del giallo e anche più prezioso, perché è quello di molti gioielli. E anche dei festoni dell albero di Natale che ti avvolgi sempre intorno al collo come una sciarpa, facendo la smorfiosetta». «E l argento?»

73 «È un grigio lucido. Lo sono le posate del servizio buono, quelle che usiamo solo nelle grandi occasioni, quando apparecchiamo con la tovaglia azzurra». «Qui mi hai detto due colori diversi, spiegami anche quelli». «Il grigio non è tanto bello. Lo è il cielo quando piove e non si può uscire per giocare perché ci si bagna; come non bastasse, appena fuori cominci a pesticciare nelle pozzanghere, spruzzandoti e inzaccherandoti tutta...» «Ma insomma, trovi sempre da ridire. E l azzurro?» «È un colore delicato, il mio preferito. Lo è il cielo sereno, il mare e i fiumi quando l uomo non ha agito in modo sconsiderato, inquinandoli. Lo è il mio vestito di seta, quello tutto a piegoline, che a stirarlo faccio tanta fatica e tu mi gualcisci quando lo accarezzi, perché ti piace la sua morbidezza». «Va bene, ora dimmi del lilla». «È il colore del glicine che si arrampica sul nostro pergolato e ci annuncia la primavera, con un bel fiore che somiglia al grappolo dell uva. «Allora ha un buon odore...» «Infatti, come pure la lavanda che usiamo per profumare i cassetti della biancheria. Anche quella è lilla. E c è ancora un altro fiore, ma bisogna aggiungere un accento...» «Cioè?» «Il lillà». «Spiritosa!» «E il violetto?» «Anche questo è il colore di un fiore, un essenza delicata. La usa zia Carlotta, anche se esagera sempre: restarle vicino diventa una vera tortura.

74 «È anche la maglia della Fiorentina, la Signora in viola». «Bello, la squadra preferita del cugino Enzo. E il rosa?» «È dato dall incontro del rosso con il bianco». «Gli spaghetti con il sugo e il latte? Che orrore!» «Non esattamente, anche se a metterli insieme viene fuori proprio quella tinta. È anche il colore della tua pelle che invece diventa rossa quando ti arrabbi e fai i capricci, rendendoti simile ad una streghetta. «Dunque i colori si possono mescolare?» «Certo cara, e in questo modo vengono fuori più o meno carichi, tenui o forti, delicati o violenti. È come nelle ricette di cucina: si usano vari ingredienti e viene fuori un nuovo sapore». «E le persone? Anche le persone hanno colori diversi?» «Apparentemente sì, sai, per via della pelle. Ma, dentro, ci rassomigliamo tutti: bianchi, gialli, neri...» «Mamma, il nero non me lo hai spiegato!» «Scusami tesoro, è perché ho pensato che lo conoscessi già e fin troppo bene...» «Che vuoi dire?» «Nero è ciò che vedi tutti i giorni, con gli occhi aperti o chiusi, ovunque ti trovi». «Ed è un brutto colore?» «Per nulla, anche perché mi snellisce, il che non guasta». «Perché io vedo solo il nero?» «Non so spiegartelo bene, so solo che tu lo vedi molto meglio della maggior parte delle persone, ma solo in apparenza». «Sì, ma a che mi serve sapere che ci sono tanti colori se non li posso guardare?»

75 «Amore mio, ti serve per poter valutare la realtà, che non è mai totalmente nera o bianca... anche se ci sono molte persone che lo credono». «Vuol dire che c è chi vede solo nero anche se ha gli occhi sani?» «Sì cara, assai più di te, perché è il suo cuore ad esserlo e la sua è una cecità dell anima». «E la mia?» «La tua anima ha infinite gradazioni per ogni tinta, ed è giusto che tu le sappia distinguere, anche attraverso le cose che ti ho detto. Non è per caso che ti ho dato il none: Allegra!» «Cioè, il mio nome è un insieme di colori?» «Sì, è come la tavolozza del più grande pittore, perché il tuo nome riflette ciò che sei». «E gli altri possono vederli?» «Certo, piccolina, soprattutto chi ti vuole bene». Per quanto mi riguarda, tu sei la luce che sfida il buio e lo vince, rendendo possibile il miracolo dei colori nella mia vita». «Ma mamma, di che colore è questo umido che sento sul tuo viso?» «Bianco come la tua anima, rosso come il tuo sangue che è anche il mio, giallo come il sole del tuo abbraccio, d oro come i riflessi dei tuoi capelli, azzurro come i tuoi bellissimi occhi senza luce, verde come la speranza di saperti sempre allegra». «Grazie, mamma, lo sarò per te, sempre. Ora so che il mondo dei colori è veramente splendido...» Valentina

76 Natale Tre tra i testi che ci avete spedito erano a tema natalizio. Abbiamo deciso di riunirli in una sezione a parte, così da darvi la possibilità di scegliere: se leggerli adesso, mentre leggete queste righe, magari sotto l ombrellone, oppure nel pungente freddo di Dicembre, accanto all albero di Natale.

77 Le lacrime di Babbo Natale B abbo Natale si affatica ogni anno per ideare, costruire, impacchettare e consegnare regali e regalini a ogni bimbo della terra. Questo è noto più o meno a tutti. Non tutti sanno però di quella volta in cui Santa Claus si rifiutò di compiere il miracolo della vigilia. Quella mattina la signora Befana, moglie attenta e proba del Babbo natalizio, lo risvegliò come al solito con il caffè, ma con grande disappunto dovette prendere coscienza del fatto che il marito non avesse alcuna voglia di lasciare il tepore del letto. Provò con le buone, con le moine e infine anche con gli strattoni. Non ci fu nulla da fare, Claus rimase nascosto fino alla testa sotto il piumone. Befana allora chiamò a raccolta i collaboratori più fedeli del marito e li pregò di provare loro a convincere il Boss ad alzarsi, ma non servì a nulla. L unica cosa che Babbo Natale continuava a ripetere era: «Esisto anch io, esisto anch io!» Affranti e sconcertati da quel rifiuto e dallo strano stato d animo di Santa, gli gnomi se ne tornarono a capo chino nel laboratorio e cercarono di concentrarsi sul lavoro. La mestizia però non li induceva a produrre buoni risultati. Dopo un intera giornata sul bancone non c erano altro che tre peluche, due automobiline e sei bambole. Non ce l avrebbero mai fatta a raggiungere l obiettivo prefissato nei sei giorni rimasti alla notte di Natale. Trascorsero ancora tre lunghi giorni senza che Santa Claus si decidesse a lasciare il lettone. Tre dì in cui rifiutò anche il cibo e durante i quali la

78 sua unica occupazione fu frignare senza ritegno e singhiozzare a ripetizione le fatidiche tre parole: «Esisto anche io!» Fu così che il più anziano degli gnomi, Fossetto, si sentì costretto a prendere una decisione. Chiamò a raccolta tutti i compagni di lavoro, le renne e la signora Befana e comunicò la sua scelta. Non c erano rimedi alla malinconia di Babbo. La cosa non si sarebbe risolta tanto in fretta da sciogliere la situazione ormai compromessa del Natale alle porte. L unica cosa da fare era dunque dichiarare fallimento. A malincuore tutti dovettero arrendersi dinanzi a quella dolorosa evidenza e anche la signora Befana piangendo, dette il suo consenso a quella triste certezza. Si divisero dunque i compiti e ognuno di loro s impegnò a diffondere l infelice notizia anche negli angoli più reconditi del pianeta. Befana montò in scopa, le renne volarono via e gli gnomi si teletrasportarono com erano abituati a fare la notte di Natale, ma questa volta erano tutti a mani vuote. Lo sconcerto si propagò in tutto il pianeta in men che non si dica. Come qualsiasi brutta notizia ebbe eco mondiale e stravolse grandi e piccini. Non c era televisione che non lanciasse servizi speciali sulla tristezza di Babbo Natale e non c era giornale che non riportasse la notizia in prima pagina. Arrivò la notte di Natale. La più triste che si fosse mai presentata da sempre. Babbo Natale se ne stava rintanato piagnucolante sotto la sua coperta, Befana era al suo capezzale e tutti i suoi aiutanti riuniti intorno al focolare immusoniti dalla tragedia. Alla mezzanotte un rumore li fece sobbalzate. Fossetto corse alla porta per vedere chi fosse a bussare e si ritrovò davanti al miracolo più grande al quale avesse mai assistito. Un prodigio in confronto al quale quello perpetrato da Santa Claus ogni anno, diventava semplice abitudine.

79 Con le gambe semi affondate nella neve, incurante della tormenta che imperversava, un bimbetto di otto anni se ne stava dritto e intirizzito tenendo stretto tra le mani un bel pacco infiocchettato. «È per Babbo Natale» disse e poi aggiunse «ha ragione, esiste anche lui e ha diritto di ricevere le stesse attenzioni che ogni anno lui ha per noi. È per questo che siamo qui. Possiamo entrare?» Fossetto alzò lo guardo e rimase di stucco. La fila dietro il bimbo era talmente lunga che non riuscì a vederne la coda. Un infinità di bimbi, madri, padri, nonni sfoggiavano i loro più smaglianti sorrisi in attesa di poter consegnare un dono a Babbo Natale. Ossetto riconobbe tra loro persino il Presidente degli Stati Uniti e la Regina d Inghilterra! Fu così che il dramma si trasformò in gioia infinita. Alla vista del primo regalo Santa fu così felice d essere stato compreso che saltò giù dal letto e corse a indossare il suo magnifico abito color rubino. Invitò poi tutti, ma proprio tutti, ad accomodarsi e diede il via alla più bella ed eccezionale festa natalizia mai esistita. Brindarono, ballarono e ogni bimbo poté abbracciare Babbo Natale e condividere il suo magnifico sorriso. Ognuno di loro quella notte imparò una lezione: Non bisogna mai dare per scontate le attenzioni o i gesti di qualcuno. L affetto anche il più sincero e disinteressato, ha bisogno di essere nutrito e ricambiato altrimenti rischia di avvizzirsi. Babbo Natale non cadde mai più in crisi e da allora non è mai trascorso

80 un Natale senza i suoi regali, ma da quella notte ogni bimbo ha l abitudine di ricambiare l affetto di Santa facendogli trovare sotto l albero biscotti e latte o una piccola dimostrazione di affetto. Donatella Perullo

81 Il battito della speranza L udovica si affacciò alla finestra e con grande sorpresa vide piccoli fiocchi di neve roteare danzando lievemente nell aria. Quella vista riusciva sempre a incantarla, ma questa volta rimase indifferente, la gioia dell aspettativa non fece capolino tra le pieghe del suo cuore. Si sentiva spenta. Il papà aveva perso il lavoro e la mamma sempre più nervosa era diventata dura e intrattabile. Il Natale stava arrivando portando con sé il suo magico tepore, ma nel cuore degli abitanti di quella casa era sceso il gelo dell inverno, che aveva creato una barriera dura da sciogliere. Ludovica si era sbrigata a fare tutti i compiti, si impegnava tanto, era brava a scuola, ma ora nemmeno i suoi brillanti risultati scolastici riuscivano ad allietare in qualche modo l atmosfera cupa che regnava dominante intorno a lei. La mamma aveva deciso di non prendere le decorazioni natalizie riposte in garage, per quell anno non ci sarebbero stati ornamenti in casa. Ludovica era arrabbiata e si sentiva in colpa per questo, forse non comprendeva la gravità della situazione che i genitori stavano

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