Lezioni di Geometria. Lucian Bădescu, Ettore Carletti, Giacomo Monti Bragadin

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1 Lezioni di Geometria Lucian Bădescu, Ettore Carletti, Giacomo Monti Bragadin

2 2 Introduzione Mηδǫίς αγǫωµ ǫτρητoς ǫισίτω Lo scopo di queste note è offrire un testo scritto per il Corso di Geometria Analitica per gli studenti del secondo semestre del primo anno del Corso di Studi in Matematica. Volendo essere autosufficienti abbiamo inserito nella prima parte le nozioni e i risultati principali di algebra lineare che sono assolutamente necessari per la seconda parte, benchè facciano parte del programma del Corso di Algebra Lineare inserito nel primo semestre del primo anno. Questo permette al Lettore di avere a disposizione tutti i prerequisiti di Algebra Lineare in modo diretto e comodo. Abbiamo altresì voluto fornire una panoramica leggermente più ampia di quella prevista nel programma ufficiale. Pur essendo disponibili ottimi manuali di Geometria (ad esempio [12]), ci è sembrato utile per gli studenti avere un testo il più vicino possibile a quello che si insegna nei corsi del primo anno. In particolare lo studio delle coniche e delle quadriche è, in queste note, più approfondito e dettagliato di quanto usualmente si trova negli altri testi. Inoltre è peculiare l utilizzo delle coordinate baricentriche in Geometria Affine (si veda il capitolo 4). Queste note provengono, con gli adattamenti necessari, in gran parte da [2]. Genova, 20 Febbraio 2004 L. Bădescu, E. Carletti, G. Monti Bragadin Abbreviazioni: i.e. (dal latino id est) sta per cioè ; e.g. (dal latino exempli gratiae) sta per per esempio.

3 Capitolo 1 Preliminari Utilizzeremo, in questo libro, le seguenti notazioni: -Nl insieme dei numeri naturali{1, 2,...,}, -Zl insieme dei numeri interi, -Ql insieme dei numeri razionali, -Rl insieme dei numeri reali -Cl insieme dei numeri complessi. Sia X un insieme non vuoto. Denoteremo con P(X) l insieme di tutti i sottoinsiemi di X (incluso il sottoinsieme vuoto ). Definizione 1.1 (Relazioni di equivalenza, insiemi quozienti). Siano X un insieme non vuoto e R un sottinsieme non vuoto del prodotto cartesiano X X di X per se stesso. Il sottinsieme R si chiama relazione binaria su X. Se x, y X, scriveremo xry, e diremo che x è in relazione R con y, se (x, y) R. Per esempio R :={(x, x) x X} (la diagonale di X) rappresenta la relazione (binaria) di uguaglianza su X. Diremo che una relazione binaria R su X è una relazione d equivalenza se i seguenti tre assiomi sono soddisfatti: i) Per ogni x Xsi ha xrx. (Riflessività) ii) Per ogni x, y X tali che xry si ha yrx. (Simmetria) iii) Per ogni x, y, z Xtali che xry e yrz, si ha xrz. (Transitività) Esempi Sia X=Z e sia n 2un numero naturale fissato. Sia R n ={(x, y) Z Z x y nz}, dove nz denota l insieme dei multipli di n. Si verifica facilmente che R n è una relazione d equivalenza suz(chiamata la congruenza modulo n). 2. Sia X=Q e R={(x, y) Q Q x y Z}. Si verifica facilmente che anche R è una relazione d equivalenza. Definizione 1.3. Sia data una relazione di equivalenza R su un insieme non vuoto X. Per comodità, se x, y X, scriveremo x y (e leggeremo x è equivalente a y ) invece di xry. Se x Xdenoteremo con ˆx il sottinsieme{y X x y} di X che chiameremo la classe di equivalenza di x. Abbiamo ovviamente: i) Per ogni x X, x ˆx. ii) X= ˆx. x X iii) Per ogni x, y X, ˆx ŷ se e solo se ˆx= ŷ, se e solo se x y. 3

4 4 Capitolo 1. Preliminari Solo la proprietà iii) ha bisogno di dimostrazione. Si ha ˆx ŷ se e solo se esiste z Xtale che z x e z y, o ancora, tenendo conto degli assiomi di simmetria e transitività, x y. Ne segue che l insieme delle classi di equivalenza costituiscono una partizione di X (Si dice che una famiglia di sottinsiemi di un insieme non vuoto X forma una partizione di X se X è unione di questa famiglia e due sottinsiemi della famiglia o coincidono o sono disgiunti). Chiameremo l insieme X/R :={ ˆx x X} (i cui elementi sono sottinsiemi di X) l insieme quoziente di X modulo R. Siano X e R come sopra. Chiameremo sistema completo di rappresentanti di X modulo R una famiglia {x i } i I di elementi di X che godono delle seguenti proprietà: i) Per ogni (i, j) I I, x i Rx j (o semplicemente x i x j ) se e solo se i= j. ii) X= ˆx i. i I In altre parole, dare un sistema completo di rappresentanti di X modulo R equivale a scegliere in ogni classe di equivalenza un unico elemento. Per esempio l insieme{0, 1,..., n 1} (rispettivamente l insieme [0, 1) Q) è un sistema completo di rappresentanti per la congruenza modulo n suz(rispettivamente per la relazione di equivalenza suqdel secondo Esempio 1.2). Definizione 1.4 (Azione di un gruppo su un insieme). Sia G un gruppo (non necessariamente commutativo) la cui operazione è denotata moltiplicativamente, e sia X un insieme non vuoto. Si dice che G agisce (a sinistra) sull insieme X se è data un applicazione f : G X Xcon le seguenti proprietà: i) Per ogni g, g G e ogni x Xsi ha f (g g, x)= f (g, f (g, x)). ii) Per ogni x Xsi ha f (e, x)=x, dove e è l elemento neutro del gruppo G. Se denotiamo g x := f (g, x), g G e x X, allora le proprietà i) e ii) si riscrivono nella forma (g g) x= g (g x) e e x=x. Se un gruppo G agisce su un insieme X, per ogni x X denotiamo Orb(x) (e chiamiamo l orbita di x) il sottinsieme Orb(x) :={g x g G}. Per ogni x X, consideriamo il sottinsieme O(x) :={g G g x=x}. Si verifica facilmente che O(x) è un sottogruppo di G che chiameremo lo stabilizzatore di x (rispetto all azione di G su X). Fissato un elemento x X, definiamo l applicazione f x : G Orb(x) mediante f x (g)= g x. L applicazione f x è ovviamente surgettiva. Inoltre, per ogni due elementi g, h G avremo f x (g)= f x (h) se e solo se g x=h x, quindi se e solo se h 1 (g x)=x, o ancora, (h 1 g) x=x, i.e. h 1 g O(x). Ne segue che l applicazione f x induce una bigezione naturale g x : G/O(x) Orb(x) (dove G/O(x) è l insieme delle classi laterali sinistre di G modulo O(x)) mediante g x (ĝ) := gx, dove ĝ := go(x). Ogni azione di G su X induce una relazione d equivalenza su X. Infatti per ogni x, y Xdiciamo che x y se y Orb(x), i.e. se esiste g G tale che y= g x. È immediato verificare che in questo modo otteniamo una relazione d equivalenza su X tale che l insieme di tutte le orbite coincide con l insieme quoziente X/. In particolare, ogni due orbite o coincidono o sono disgiunte, e l insieme di tutte le orbite forma una partizione di X. Definizione 1.5 (Caratteristica di un campo). Ricordiamo che un anello unitario K = (K, +, ) si chiama corpo se ogni elementoλ K,λ 0, è invertibile, i.e. esisteµ Ktale cheλ µ=µ λ=1, dove 1=1 K 0=0 K è l elemento unità (o l identità) dell anello K. Un corpo K si dice commutativo (o campo) se la sua moltiplicazione è un operazione commutativa. Esempi di campi: il campo Q dei numeri razionali, il campordei numeri reali, il campocdei numeri complessi, il campoz p :=Z/pZ delle classi di resto modulo un numero primo p 2 fissato. Sia K un campo. Consideriamo l omomorfismo canonico di anelli unitariϕ:z K (dovezè l anello degli interi) definito medianteϕ(n)=n 1 K, dove 1 K + +1 K se n>0 } {{ } n volte n 1 K := 0 K se n=0 ( 1 K )+ +( 1 K ) se n<0. } {{ } n volte

5 5 Allora Ker(ϕ) :={n Z ϕ(n)=0} è un ideale diz. Una conseguenza del teorema di divisione con resto inzfa vedere che ogni ideale dizèdella forma pz={pn n Z} con p 0 (cioè è principale). Ci sono due possibilità da analizzare: p=0: i.e.ϕèun omomorfismo iniettivo. In questo caso si dice che K è un campo di caratteristica zero. L iniettività diϕimplica che ogni numero intero n 0 ha immagine 0 K in K, quindi è un elemento invertibile in K. Ne segue che l omomorfismoϕ :Z K si prolunga in modo unico a un omomorfismo di campi ϕ:q K definito sul campoqdei numeri razionali mediante ϕ(m/n)=ϕ(m)/ϕ(n), con m, n Z, n 0. Poichè ϕ è automaticamente iniettivo ne segue che ogni campo K di caratteristica zero contiene un sottocampo isomorfo al campo Q dei numeri razionali (e in particolare, ogni campo di caratteristica zero è infinito). Questo sottocampo, detto sottocampo primo di K, coincide con l intersezione di tutti i sottocampi di K. p>0: dalla definizione di p ne segue che p è il più piccolo intero positivo con la proprietà che p 1 K = 0 K. In questo caso si dice che K è un campo di caratteristica p>0 e p si chiama la caratteristica di K. Osserviamo che p è necessariamente un numero primo. Infatti, p 1 poichè 1 K 0 K. D altra parte, se p=mn, con m, n>1 (quindi m, n<p) allora l uguaglianza (m 1 K )(n 1 K )=p 1 K = 0 K implicherebbe m 1 K = 0 K o n 1 K = 0 K (poichè un campo non ha divisori di zero 0 K ), ciò che contraddice la definizione di p. Quindi p 2 è un numero primo. Allora per il I teorema di isomorfismo di anelli commutativi si ha che K contiene il sottocampo Im(ϕ) :={n 1 K n Z} isomorfo al campoz p =Z/pZ delle classi di resto modulo p. Di nuovo questo sottocampo coincide con l intersezione di tutti i sottocampi di K. Quindi, se p 2 è un numero primo, ogni campo di caratteristica p è caratterizzato dal fatto che esiste un suo sottocampo isomorfo al campoz p.

6 6 Capitolo 1. Preliminari

7 Capitolo 2 Spazi vettoriali Siano K un campo e V un insieme non vuoto. Definizione 2.1. Siaϕ: K V Vun applicazione arbitraria. Si dice cheϕèuna legge di composizione esterna, oppure una operazione algebrica esterna di K su V. Se ϕ è una tale legge di composizione esterna di K su V allora per ogniλ Ked ogni v Vdenoteremo λ v :=ϕ(λ, v) V. Definizione 2.2. Si dice che l insieme non-vuoto V dotato di una legge di composizione interna +: V V V, ed anche di una legge di composizione esterna : K V V su K, è uno spazio vettoriale sul campo K, se (V,+) è gruppo abeliano, e, inoltre, sono soddisfatti i seguenti assiomi: i)λ (v 1 + v 2 )=λ v 1 +λ v 2, per ogniλ Keper ogni v 1, v 2 V (in entrambi i membri l operazione + si riferisce alla legge di composizione interna +: V V V). ii) (λ+µ) v=λ v+µ v, per ogniλ,µ Keper ogni v V(l operazione + del primo membro si riferisce alla addizione del campo K, mentre l operazione + del secondo membro alla operazione interna+:v V V). iii)λ (µ v)=(λµ) v per ogniλ,µ Keper ogni v V. iv) 1 v=v, per ogni v V, dove 1 è l elemento unità del campo K. Quando non c è nessun pericolo di confusione scriveremo semplicemente λv invece di λ v (con λ Kev V). Diremo anche che V è uno spazio vettoriale sul campo K, senza precisare esplicitamente le operazioni+ : V V Ve :K V V. In tale caso gli elementi di K vengono chiamati scalari e gli elementi di V vettori. Dalla Definizione 2.2 ne segue subito che per ogni scalare λ K e per ogni vettore v V valgono le uguaglianze seguenti 0 K v=0 V,λ 0 V = 0 V e ( λ) v=λ ( v)= λ v, dove 0 K (risp. 0 V ) è l elemento zero del campo K (risp. l elemento zero del gruppo abeliano (V,+)). Inoltre, se si haλ v=0 V, conλ K e v V, allora ne segueλ=0 K oppure v=0 V. Infatti, seλ 0, alloraλèinvertibile in K (perché K è un campo). Quindi 0 V =λ 1 0 V =λ 1 (λ v)=(λ 1 λ) v=1 v=v. Esempi Per ogni campo K e per ogni intero n 1, consideriamo l insieme V := K n su cui definiamo la legge di composizione interna+ : V V V mediante (a 1,..., a n )+(b 1,...b n ) := (a 1 + b 1,..., a n + b n ), (a 1,..., a n ), (b 1,..., b n ) V. 7

8 8 Capitolo 2. Spazi vettoriali È facile verificare che in questo modo (V, +) diventa un gruppo abeliano. Definiamo inoltre la legge composizione esterna : K V V ponendo: λ (a 1,..., a n ) := (λa 1,...,λa n ), λ K, (a 1,..., a n ) V, Si verifica facilmente che il gruppo abeliano (V, +) diventa uno spazio vettoriale su K rispetto alla legge di composizione esterna così definita. Questo spazio vettoriale si chiama lo spazio vettoriale standard di dimensione n sul campo K. 2. Consideriamo l anello dei polinomi K[X 1,..., X n ] in n 1 indeterminate X 1,..., X n a coefficienti nel campo K. Rispetto all addizione dei polinomi e alla moltiplicazione degli elementi di K (considerati come polinomi costanti) con polinomi, V := K[X 1,..., X n ] diventa uno spazio vettoriale su K. Per ogni m 1 denotiamo con V m l insieme dei polinomi omogenei di V di grado totale m, e con W m il sottoinsieme dei polinomi di V di grado totale m (in entrambi i casi il polinomio 0 appartiene per convenzione sia a V m che a W m ). Perché la somma di ogni due polinomi di V m (risp. di W m ) appartiene a V m (risp. a W m ), V m e W m sono spazi vettoriali su K. 3. Sia K un campo e sia A un anello unitario tale che A contiene K come sottocampo. Supponiamo inoltre che tutti gli elementi di K commutino con tutti gli elementi di A (condizione automaticamente soddisfatta se A è commutativo). Allora A è spazio vettoriale su K, dove l operazione di addizione dei vettori coincide con l addizione nell anello A, e seλ Kev A, alloraλ v è il prodotto in A diλ, considerato come elemento di A, con v. In particolare,rèuno spazio vettoriale suq,cèuno spazio vettoriale sia suqche sur. 4. Sia K=R il campo dei numeri reali. Consideriamo l insieme V di tutte le funzioni continue definite sull intervallo [a, b] (a<b) a valori reali. Rispetto all addizione usuale delle funzioni ( f+ g)(x)= f (x)+ g(x), f, g V, x [a, b], l insieme V diventa un gruppo abeliano. Se inoltre definiamo la legge di composizione esterna R V V, (λ, f ) λ f (con λ f funzione continua su [a, b] definita mediante la formula allora V diventa spazio vettoriale sur. (λ f )(x)=λ f (x), f V, λ R), Definizione 2.4. Siano V 1 e V 2 due spazi vettoriali su K. Denotiamo con V := V 1 V 2. Sull insieme V definiamo la legge di composizione interna mediante la formula: (v 1, v 2 )+(w 1, w 2 ) := (v 1 + w 1, v 2 + w 2 ), v 1, w 1 V 1, v 2, w 2 V 2. È facile verificare che, rispetto a questa legge, V diventa un gruppo abeliano, il cui elemento unità (zero) è 0 V := (0 V1, 0 V2 ), e l elemento opposto di (v 1, v 2 ) è ( v 1, v 2 ). Definiamo ora la legge di composizione esterna : K V Vmediante la formula: λ (v 1, v 2 ) := (λv 1,λv 2 ), λ K, v 1 V 1, v 2 V 2. Si verifica facilmente che il gruppo abeliano (V, +) sopra definito insieme a questa legge di composizione esterna soddisfa gli assiomi della Definizione 2.2. In altre parole, V = V 1 V 2 diventa uno spazio vettoriale su K rispetto a queste due operazioni. Questo spazio vettoriale su K si chiama spazio vettoriale prodotto diretto di V 1 con V 2 su K. D ora innanzi denoteremo questo spazio vettoriale su K semplicemente con V 1 V 2. Definizione 2.5. Sia V uno spazio vettoriale su K. Un sottinsieme non vuoto W di V si chiama sottospazio vettoriale dello spazio vettoriale V su K se sono soddisfatti i seguenti assiomi: i) Se v 1, v 2 W allora v 1 + v 2 W. ii) Se v Weλ Kalloraλv W.

9 9 Dalla Definizione 2.5 ne segue che, per ogni sottospazio vettoriale W dello spazio vettoriale V su K, W è sottogruppo del gruppo abeliano (V,+). In particolare, 0 V W. Inoltre, W diventa esso stesso uno spazio vettoriale su K poichè l assioma ii) della Definizione 2.5 fa vedere che la legge di composizione esterna di K su V ne induce una su W. Se V è uno spazio vettoriale su K allora W= V e W ={0 V } sono esempi di sottospazi vettoriali di V. Proposizione 2.6. Sia V uno spazio vettoriale su K e sia{w i } i I una famiglia non vuota di sottospazi vettoriali di V. Allora i I W i è un sottospazio vettoriale di V. Dimostrazione. La dimostrazione segue facilmente dalla Definizione 2.5. Definizione 2.7. Sia S un sottinsieme non vuoto di uno spazio vettoriale V su K. Denotiamo con S l intersezione di tutti i sottospazi vettoriali di V che contengono S (l insieme dei sottospazi di V che contengono S è non vuoto perchè V è un tale sottospazio). Dalla Proposizione 2.6 derivano le seguenti proprietà: i) S è un sottospazio vettoriale di V tale che S S. ii) Se W è un sottospazio vettoriale arbitrario di V che contiene S allora S W. In altre parole, S è il più piccolo sottospazio vettoriale di V che contiene S. Questo sottospazio vettoriale S si chiama il sottospazio vettoriale di V generato da S V. Si dice che S genera lo spazio vettoriale V su K (o che S è un sistema di generatori di V su K) se S =V. Se S è un sistema di generatori di V e se S è un sottinsieme di V che contiene S, allora S è ancora un sistema di generatori di V. Definizione 2.8. Siano W 1 e W 2 due sottospazi di uno spazio vettoriale V su K. Poniamo per definizione W 1 + W 2 := W 1 W 2. Il sottospazio vettoriale così definito si chiama la somma dei sottospazi W 1 e W 2. Quindi, W 1 + W 2 è il più piccolo sottospazio vettoriale di V che contiene entrambi i sottospazi W 1 e W 2. Proposizione 2.9. Nelle ipotesi della Definizione 2.8 si ha W 1 + W 2 ={v 1 + v 2 v 1 W 1, v 2 W 2 }. Dimostrazione. Denotiamo con W il membro destro dell uguaglianza da dimostrare. È facile verificare che W è sottospazio vettoriale di V. Poichè ogni vettore v 1 W 1 si può scrivere v 1 = v V, ne segue che W 1 W ; analogamente, W 2 W, da cui W 1 + W 2 W. Poichè l inclusione opposta è ovvia, la proposizione è così dimostrata. Proposizione Sia S={v 1, v 2,..., v n } Vun insieme non vuoto finito di vettori dello spazio vettoriale V sul campo K. Allora si ha S ={a 1 v 1 + a 2 v 2 + +a n v n (a 1, a 2,..., a n ) K n }. Dimostrazione. Denotiamo con W il membro destro dell uguaglianza da dimostrare. L inclusione W S segue subito dalle definizioni. D altra parte, è chiaro che S W. Per dimostrare l inclusione S W, sarà sufficiente provare che W è sottospazio vettoriale di V. Quest ultimo fatto segue direttamente dalle definizioni. Per la Proposizione 2.10 ogni vettore v S ha una rappresentazione (non necessariamente unica) della forma v=a 1 v 1 + +a n v n, con (a 1,..., a n ) K n. Una tale rappresentazione si chiama combinazione lineare a coefficienti in K degli elementi di S={v 1,..., v n }. Pertanto la Proposizione 2.10 si può riformulare dicendo che S coincide con l insieme delle combinazioni lineari a coefficienti in K di elementi di S. Corollario Un sottinsieme S={v 1, v 2,..., v n } dello spazio vettoriale V su K è un sistema di generatori di V se e solo se per ogni vettore v V esistono a 1, a 2,..., a n K (che dipendono da v) tali che v=a 1 v 1 +a 2 v 2 + +a n v n.

10 10 Capitolo 2. Spazi vettoriali Uno spazio vettoriale V su K che possiede un sistema finito di generatori si chiama spazio vettoriale finitamente generato su K. D ora innanzi considereremo solo spazi vettoriali finitamente generati. Definizione Sia V uno spazio vettoriale su K, e sia S={v 1, v 2,..., v n } un sottinsieme finito non vuoto di V. Si dice che S è un sottinsieme linearmente indipendente su K (o che S è un sistema linearmente indipendente su K) se per ogni a 1, a 2,...a n K tali che a 1 v 1 +a 2 v 2 + +a n v n = 0 V, risulta a 1 = a 2 =...=a n = 0. Ogni sistema linearmente indipendente contiene solo vettori non nulli (infatti, se per esempio v 1 = 0 V, allora avremmo 1 v v v n = 0 V ). Se S={v 1, v 2,..., v n } è un sistema linearmente indipendente (su K) allora v i v j se i j (infatti, se per esempio v 1 = v 2, allora avremmo 1 v 1 + ( 1) v v v n = 0 V ). Inoltre, ogni sottinsieme di un sistema linearmente indipendente è ancora un sistema linearmente indipendente. Proposizione Sia S un sottinsieme finito dello spazio vettoriale V su K. Allora S è un sistema linearmente indipendente su K se e solo se v S\{v}, v S. Dimostrazione. Sia S={v 1,..., v n }. Supponiamo che S sia linearmente indipendente su K. Se (per esempio) v 1 {v 2,..., v n }, per la Proposizione 2.10 esistono a 2,..., a n K tali che v 1 = a 2 v a n v n. Quest ultima uguaglianza si può ancora scrivere ( 1)v 1 + a 2 v 2 + +a n v n = 0, ciò che contraddice il fatto che S è linearmente indipendente. Viceversa, supponiamo che v S\{v}, v S. Se S non fosse un sistema linearmente indipendente su K, esisterebbe (a 1,..., a n ) K n \{(0,..., 0)} tale che a 1 v 1 + +a n v n = 0. Supponiamo per esempio a 1 0. Poichè K è campo, a 1 è invertibile in K. Allora questa uguaglianza si può ancora scrivere a 1 1 (a 1v 1 )=a 1 1 (( a 2)v ( a n )v n ). Per la definizione di spazio vettoriale avremo che v 1 = ( a 1 1 a 2)v 2 + +( a 1 1 a n)v n, da cui, applicando sempre la Proposizione 2.10, otteniamo v 1 S\{v 1 }, che è un assurdo. Definizione Sia V uno spazio vettoriale su K. Si dice che un sottinsieme S={v 1,..., v n } di V è una base di V su K se S è sia un sistema di generatori di V su K, che un sistema linearmente indipendente su K. Teorema Sia V uno spazio vettoriale sul campo K. Allora ogni sistema finito di generatori di V su K contiene una base di V su K. In particolare, ogni spazio vettoriale finitamente generato su K possiede almeno una base su K. Dimostrazione. Se V ={0 V } allora conveniamo che V ammetta come base il sottinsieme vuoto di V. Supponiamo quindi V {0 V }, e sia S un sistema finito di generatori di V. Se esiste v S tale che v S\{v}, allora l insieme S\{v} è ancora un sistema di generatori di V. Infatti, se S={v 1 = v, v 2,..., v n }, per ipotesi esistono a 2,..., a n K tali che v 1 = a 2 v 2 + +a n v n (Proposizione 2.10). Se w V è un qualsiasi vettore, poichè S genera V, ne segue che esistono b 1,..., b n K tali che w=b 1 v 1 + +b n v n. Sostituendo l uguaglianza precedente nell ultima relazione otteniamo w=(b 2 + b 1 a 2 )v 2 + +(b n + b 1 a n )v n, quindi, per la Proposizione 2.10, S\{v} è un sistema di generatori di V (se v S\{v} ). Questo discorso ci fa vedere che, togliendo a S un numero finito di elementi, possiamo supporre che S sia un sistema di generatori di V con la proprietà che per ogni v S, v S\{v}. Allora per la Proposizione 2.13 si deduce che S è un sistema linearmente indipendente (quindi una base) per V. Teorema Sia V spazio vettoriale su K. Sia S={v 1,..., v n }, n 1, un sistema linearmente indipendente e S ={w 1,..., w m } un sistema di generatori di V su K. Allora n m e, modulo una permutazione dell insieme {w 1,..., w m }, l insieme{v 1,..., v n, w n+1,..., w m } è un sistema di generatori di V su K. Dimostrazione. Poichè S è un sistema di generatori di V, per il Corollario 2.11 esistono a 1,..., a m K tali che v 1 = a 1 w 1 + +a m w m. Poichè v 1 0 (S è un sistema linearmente indipendente), almeno uno degli scalari a i è diverso da zero. Riordinando eventualmente i vettori di S, possiamo supporre che a 1 0. Poichè K è campo, a 1 è invertibile in K, quindi dall uguaglianza di sopra deduciamo Ora dimostreremo: w 1 = a 1 1 v 1 (a 1 1 a 2)w 2 (a 1 1 a m)w m.

11 11 Affermazione 1. L insieme{v 1, w 2,..., w m } è un sistema di generatori di V. Per dimostrare l Affermazione 1, sia v V un vettore arbitrario. Poichè S genera V, esistono b 1,..., b m K tali che v=b 1 w 1 + +b m w m, da cui, tenendo conto della relazione di sopra, si ottiene v=b 1 (a 1 1 v 1 (a 1 1 a 2)w 2 (a 1 1 a m)w m )+b 2 w 2 + +b m w m = (b 1 a 1 1 )v 1+ (b 2 b 1 a 1 1 a 2)w 2 + +(b m b 1 a 1 1 a m)w m, ciò che dimostra l Affermazione 1 (usando sempre il Corollario 2.11). Supponiamo ora, per induzione, che{v 1,..., v i, w i+1,..., w m } sia un sistema di generatori di V, per un i tale che 1 i n 1(in particolare, i m). Allora esistono c 1,..., c m K tali che v i+1 = c 1 v 1 + +c i v i + c i+1 w i+1 + +c m w m. Se c i+1 = =c m = 0, o se i=m, risulterebbe che{v 1,..., v i, v i+1 } non è linearmente indipendente, ciò che contraddice l ipotesi che S è linearmente indipendente. Ne segue che i < m e che esiste almeno un j {i+1,..., m} tale che c j 0. Riordinando, se necessario, i vettori{w i+1,..., w m }, possiamo quindi supporre c i+1 0. Poichè K è campo, c i+1 è invertibile in K. Allora la relazione di sopra implica w i+1 = ( c 1 i+1 c 1)v 1 + +( c 1 i+1 c i)v i + c 1 i+1 v i+1+ +( c 1 i+1 c i+2)w i+2 + +( c 1 i+1 c m)w m. Per dimostrare il teorema è sufficiente provare il seguente passo d induzione: Affermazione 2. Nelle ipotesi di sopra,{v 1,..., v i, v i+1, w i+2,..., w m } è un sistema di generatori di V. Procedendo come sopra, sempre usando il Corollario 2.11, dimostrare l Affermazione 2 equivale a far vedere che per ogni v V esistonoλ 1,...,λ m K tali che v=λ 1 v 1 + +λ i v i +λ i+1 v i+1 +λ i+2 w i+2 + +λ m w m. Ma, per l ipotesi induttiva,{v 1,..., v i, w i+1,..., w m } è un sistema di generatori di V, quindi esistono d 1,..., d m K tali che v=d 1 v 1 + +d i v i + d i+1 w i+1 + +d m w m. Tenendo conto della relazione di sopra otteniamo v=(d 1 d i+1 c 1 i+1 c 1)v 1 + +(d i d i+1 c 1 i+1 c i)v i + +d i+1 c 1 i+1 v i+1+ (d i+2 d i+1 c 1 i+1 c i+2)w i+2 + +(d m d i+1 c 1 i+1 c m)w m, ciò che dimostra l Affermazione 2 (e quindi anche il teorema). Corollario Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su K, e sia S Vun sottinsieme finito. Allora ogni sistema linearmente indipendente di V è finito. Inoltre, le seguenti affermazioni sono equivalenti: (i) S è una base di V su K. (ii) S è un sistema di generatori di V su K minimale. (iii) S è un sistema linearmente indipendente di V su K massimale. Dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che se{v 1,..., v n } (con n 1) è un sistema linearmente indipendente, e se v n+1 è un vettore arbitrario di V, allora{v 1,..., v n, v n+1 } è un sistema linearmente indipendente se e solo se v n+1 {v 1,..., v n }. La necessità dell ultima condizione segue dalla Proposizione Viceversa, supponiamo che v n+1 v 1,..., v n, e siano a 1,..., a n, a n+1 K tali che a 1 v 1 + +a n v n + a n+1 v n+1 = 0. Se a n+1 = 0, allora necessariamente a 1 = =a n = 0 (poichè{v 1,..., v n } è un sistema linearmente indipendente). Se invece a n+1 0, allora a n+1 è invertibile in K, da cui si deduce l uguaglianza v n+1 = ( a 1 n+1 a 1)v 1 + +( a 1 n+1 a n)v n, che, per il Lemma 2.11 contraddice la nostra ipotesi. Pertanto la nostra affermazione è dimostrata. L equivalenza tra (i) e (ii) segue dal Teorema Invece l equivalenza tra (i) e (iii) si deduce nel modo seguente. L implicazione (i) = (iii) si ottiene immediatamente dall osservazione di sopra. Viceversa, sia S un sistema linearmente indipendente massimale. Se S non fosse un sistema di generatori di V esisterebbe un vettore v Vtale che v S. Allora dall osservazione di sopra risulta che S {v} è un sistema linearmente indipendente, ciò che contraddice la massimalità di S. Corollario Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su K. Allora:

12 12 Capitolo 2. Spazi vettoriali (i) Ogni sistema linearmente indipendente di V su K può essere completato a una base di V su K. (ii) Da ogni sistema di generatori di V su K si può estrarre una base di V su K. Dimostrazione. Conseguenza immediata del corollario precedente. Corollario Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su K. Allora V possiede una base finita su K e ogni due basi di V su K hanno lo stesso numero di elementi. Dimostrazione. L esistenza di una base finita di V su K segue dal Teorema Siano allora S e S due basi di V su K. Considerando S come sistema linearmente indipendente e S come sistema di generatori e applicando il Teorema 2.16 otteniamo che la cardinalità di S è cardinalità di S. Scambiando i ruoli si ottiene la diseguaglianza opposta. Corollario Sia S={v 1,..., v n } una base dello spazio vettoriale V su K. Allora per ogni vettore v Vesiste un unica n-upla (a 1,..., a n ) K n tale che v=a 1 v 1 + +a n v n. Dimostrazione. L esistenza di una tale rappresentazione segue dal fatto che S è un sistema di generatori di V su K via la Proposizione Sia ora v=b 1 v b n v n, con (b 1,..., b n ) K n, un altra rappresentazione di v come combinazione lineare di v 1,..., v n. Ne segue che (a 1 b 1 )v (a n b n )v n = 0, da cui a i b i = 0,..., n, poichè S è un sistema linearmente indipendente. Definizione Nelle ipotesi del Corollario 2.20, gli scalari a 1,..., a n si chiamano le coordinate del vettore v rispetto alla base{v 1,..., v n }. Definizione Sia V uno spazio vettoriale finitamente generato su K. Se V 0 V, si chiama dimensione di V su K, e si denota dim K (V), il numero degli elementi di una base di V (su K). Se V=0 V (in tal caso si dice che V è lo spazio nullo) allora poniamo per definizione dim K (V)=0 (in altre parole, lo spazio nullo ha come base l insieme vuoto). Il Corollario 2.19 fa vedere la Definizione 2.22 dipende solo dallo spazio vettoriale V su K, e non dalla scelta della base di V (su K). D ora innanzi useremo la terminologia di spazio vettoriale di dimensione finita su K invece di spazio vettoriale finitamente generato su K. Corollario Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita su K e sia W un sottospazio di V. Allora W è ancora uno spazio vettoriale di dimensione finita. Inoltre, dim K (W) dim K (V), l uguaglianza avendosi se e solo se W=V. Dimostrazione. Sia dim K (V)=n, e S={e 1,..., e n } una base di V su K. Se S W è un insieme finito linearmente indipendente su K, allora dal Teorema 2.16 ne segue che il numero degli elementi di S è n. Ciò implica che W ammette una base finita S con m elementi, dove m=dim K (W) n=dim K (V) (Teorema 2.15). Se W := S V, allora esiste un v V\W. Per la dimostrazione del Corollario 2.17 ne segue che S {v} è un sistema linearmente indipendente di V, da cui m<n. Esempi Sia V=K n lo spazio vettoriale standard dell Esempio 2.3, 1). Per ogni,..., n consideriamo il vettore e i = (0,..., 0, 1, 0,..., 0) (con 1 al i-esimo posto e zero altrove). Allora B := {e 1,..., e n } è una base di V su K (la verifica è facile ed è lasciata al lettore), per cui dim K (K n )=n. La base{e 1,..., e n } si chiama la base canonica dello spazio vettoriale standard K n su K. Questo fatto dà una giustificazione alla terminologia spazio vettoriale standard di dimensione n su K introdotta nell Esempio 2.3, 1). 2. Sia K un campo e sia A := a 11 a 12 a 1n a 21 a 22 a 2n a m1 a m2 a mn

13 13 una matrice a m righe e n colonne a coefficienti in K (con m, n 1). Nello spazio vettoriale standard K n di dimensione n su K consideriamo i vettori v i := (a i1,..., a in ) K n,,..., m, e denotiamo con v 1,..., v m il sottospazio vettoriale di K n generato dall insieme{v 1,..., v m }. Utilizzando il concetto di dimensione vettoriale possiamo definire il concetto di rango, o caratteristica della matrice A mediante la formula rang(a) := dim K ( v 1,..., v m ). Dalla definizione ne segue che rang(a) min{m, n}. In particolare, rang(a)=m se e solo se S è un sistema linearmente indipendente su K. Inoltre, S è un sistema di generatori di K n su K se e solo se rang(a)=n (quindi, necessariamente, m n). 3. Consideriamo il campo C dei numeri complessi visto come spazio vettoriale su R (Esempio 2.3, 4)). Allora S={1, i} è una base dicsur. 4. Consideriamo l insiemeq( 3 2) :={a+b 3 2+c 3 4 a, b, c Q}. È facile verificare cheq( 3 2) è un campo che contieneqcome sottocampo. In particolare,q( 3 2) è uno spazio vettoriale suq. È anche facile verificare che S={1, 3 2, 3 4} è una base diq( 3 2) suq. (Suggerimento: si usi il fatto che il polinomio X 3 2 è irriducibile inq[x].) Proposizione Siano V e W due spazi vettoriali di dimensione finita su K. Se{v 1,..., v n } è una base di V e {w 1,..., w m } è una base di W (su K), allora {(v 1, 0 W ),..., (v n, 0 W ), (0 V, w 1 ),..., (0 V, w m )} è una base dello spazio vettoriale prodotto diretto V W su K. In particolare, V W è uno spazio vettoriale di dimensione finita su K e dim K (V W)=dim K (V)+dim K (W). Dimostrazione. Siano a 1,..., a n, b 1,..., b m K tali che a 1 (v 1, 0 W )+ +a n (v n, 0 W )+b 1 (0 V, w 1 )+ +b m (0 V, w m )= (0 V, 0 W ). Tenendo conto della definizione di prodotto diretto di spazi vettoriali, l uguaglianza di sopra è equivalente alle seguenti uguaglianze a 1 v 1 + +a n v n = 0 V e b 1 w 1 + +b m w m = 0 W, che a loro volta implicano (tenendo conto delle nostre ipotesi) a 1 = =a n = b 1 = =b m = 0. Dimostriamo ora che questi vettori generano lo spazio V W. Sia (v, w) V W un vettore arbitrario. Poichè{v 1,..., v n } è una base di V, esistono a 1,..., a n K tali che v=a 1 v 1 + +a n v n. Analogamente, w=b 1 w 1 + +b m w m, con b 1,..., b m K. Allora (v, w)=a 1 (v 1, 0 W )+ + a n (v n, 0 W )+b 1 (0 V, w 1 )+ + b m (0 W, w m ). Definizione Siano V e W due spazi vettoriali su K. Un applicazione f : V Wsi chiama omomorfismo (o applicazione lineare) di spazi vettoriali su K (o di K-spazi vettoriali) se sono soddisfatti i seguenti assiomi: i) Per ogni v 1, v 2 V si ha f (v 1 + v 2 )= f (v 1 )+ f (v 2 ). (additività) ii) Per ogni v Veogniλ Ksi ha f (λ v)=λ f (v). (omogeneità) Un omomorfismo di spazi vettoriali f : V Wsu K si chiama isomorfismo di spazi vettoriali su K se esiste un omomorfismo di spazi vettoriali su K g: W Vtale che g f= id V e f g=id W. Proposizione (i) Per ogni spazio vettoriale V su K, l applicazione identica id V : V V è un omomorfismo di spazi vettoriali su K (infatti, id V è anche un isomorfismo di spazi vettoriali su K). (ii) Per ogni due omomorfismi di spazi vettoriali f : V Weg: W U su K, la composizione g f : V Uè un omomorfismo di spazi vettoriali su K. (iii) Sia f : V W un omomorfismo di spazi vettoriali su K. Allora f è un isomorfismo di spazi vettoriali su K se e solo se f è un applicazione bigettiva. Dimostrazione. Esercizio.

14 14 Capitolo 2. Spazi vettoriali Esempi Se W è uno spazio vettoriale su K e se V è un sottospazio vettoriale di W, allora l inclusione canonica i: V W è un omomorfismo di spazi vettoriali su K. 2. Sia a 11 a 12 a 1n a 21 a 22 a 2n A := a m1 a m2 a mn una matrice a m righe e n colonne (m, n 1) a coefficienti in K. Considerando gli spazi vettoriali standard su K, K m e K n, di dimensione m e n rispettivamente (vedi l Esempio 2.3, 1)), definiamo l applicazione f : K m K n mediante la formula f (x 1,..., x m )=(y 1,..., y n ), dove: m y i := a ji x j,,..., n. Si verifica facilmente che f è un omomorfismo di spazi vettoriali su K. Definizione L insieme di tutti gli omomorfismi di spazi vettoriali su K definiti su V a valori in W verrà denotato con Hom K (V, W). Se f, g Hom K (V, W) definiamo l applicazione f+ g : V W mediante la formula ( f+ g)(v) := f (v)+ g(v), v V. È facile verificare che f+ g Hom K (V, W). In particolare, sull insieme Hom K (V, W) viene così definita un operazione algebrica rispetto alla quale Hom K (V, W) diventa un gruppo abeliano. L elemento neutro è l omomorfismo 0: V Wdefinito da 0(v) := 0 W v V, e se f Hom K (V, W) allora l opposto di f, denotato f, è l omomorfismo definito da ( f )(v)= f (v) v V. Per ogniλ K e per ogni f Hom K (V, W) definiamo l applicazioneλ f : V W mediante la formula (λ f )(v)=λ f (v). È facile vedere cheλ f Hom K (V, W). In questo modo otteniamo una legge di composizione esterna K Hom K (V, W) Hom K (V, W) rispetto alla quale il gruppo abeliano (Hom K (V, W),+) diventa un K-spazio vettoriale. Se V, W, U sono tre spazi vettoriali su K, e se f Hom K (V, W) e g Hom K (W, U) sono omomorfismi di spazi vettoriali allora si verifica facilmente che la composizione g f : V Uèun omomorfismo di K-spazi vettoriali. In altre parole, per ogni tre spazi vettoriali V, W, U su K si ottiene l applicazione Hom K (V, W) Hom K (W, U) Hom K (V, U) definita da ( f, g) g f. Le seguenti proprietà sono immediate: g ( f 1 + f 2 )= g f 1 + g f 2, (g 1 + g 2 ) f= g 1 f+ g 2 f, f, f 1, f 2 Hom K (V, W) e g, g 1, g 2 Hom K (W, U). Un omomorfismo di K-spazi vettoriali della forma f : V V si chiama endomorfismo del K-spazio vettoriale V. L insieme di tutti gli endomorfismi di K-spazi vettoriali di V verrà denotato con End K (V). Quindi, End K (V)=Hom K (V, V). Da quello che precede si ha che End K (V) diventa, munito delle operazioni algebriche + e, un anello unitario R (con 1 R = id V ), non commutativo se dim K (V) 2. Per esempio, consideriamo il prodotto diretto V := V 1 V 2 di due spazi vettoriali V 1 e V 2 su K e le applicazioni i 1 : V 1 V, i 2 : V 2 V, p 1 : V V 1 e p 2 : V V 2 definite mediante le formule: i 1 (v 1 )=(v 1, 0 V2 ), i 2 (v 2 )=(0 V1, v 2 ), p 1 (v 1, v 2 )=v 1 e p 2 (v 1, v 2 )=v 2, v 1 V 1 e v 2 V 2. Si verifica senza difficoltà che i 1, i 2, p 1 e p 2 sono omomorfismi di spazi vettoriali su K. Gli omomorfismi i 1 e i 2 sono iniettivi e si chiamano le iniezioni canoniche del prodotto diretto V 1 V 2 ; invece gli omomorfismi p 1 e p 2 sono surgettivi e si chiamano le proiezioni canoniche del prodotto diretto V 1 V 2. Inoltre abbiamo le identità p 1 i 1 = id V1, p 2 i 2 = id V2, p 2 i 1 = 0 (risp. p 1 i 2 = 0), e i 1 p 1 + i 2 p 2 = id V. Definizione Se nella Definizione 2.29 prendiamo W = K (lo spazio vettoriale standard di dimensione 1) otteniamo lo spazio vettoriale V := Hom K (V, K) su K che verrà chiamato il duale algebrico dello spazio vettoriale V su K. Gli elementi di V si chiamano funzionali lineari su V.

15 15 Esempio Consideriamo lo spazio vettoriale V su R di tutte le funzioni continue sull intervallo [a, b] (a < b) a valori reali (vedere l Esempio 2.3, 4)). Allora l applicazione ϕ : V R definita da è un funzionale lineare su V, i.e.ϕ V. ϕ( f ) := b a f (t)dt, f V, Definizione Sia f : V W un omomorfismo di spazi vettoriali su K, e siano V e W i duali algebrici di V e W rispettivamente. Seα W = Hom K (W, K) è un funzionale lineare di W allora α f V = Hom K (V, K) è un funzionale lineare di V (perchè la composizione di due omomorfismi di K-spazi vettoriali è un omomorfismo di K-spazi vettoriali). In questo modo otteniamo un applicazione f : W V definita da f (α) :=α f. È chiaro che f (α+β)= f (α)+ f (β), α,β W, (ciò significa che (α+β) f=α f+β f ), e f (αλ)= f (α)λ, α W e λ K. In altre parole, f : W V definisce un omomorfismo di K-spazi vettoriali. L omomorfismo f : W V si chiama il duale algebrico dell omomorfismo f : V W. Lemma Per ogni due omomorfismi di K-spazi vettoriali f : V Weg:W U si ha l uguaglianza (g f ) = f g. Inoltre, per ogni spazio vettoriale V su K si ha l uguaglianza (id V ) = id V, dove con id V abbiamo denotato l applicazione identica di V. Dimostrazione. La Dimostrazione è immediata ed è lasciata al Lettore come esercizio. Proposizione Se V e W sono spazi vettoriali di dimensione finita su K e se esiste un isomorfismo f : V W di K-spazi vettoriali, allora dim K (V)=dim K (W). Dimostrazione. La Dimostrazione è immediata ed è lasciata al Lettore come esercizio. Proposizione Sia f : V W un omomorfismo di K-spazi vettoriali. Denotiamo: Ker( f ) :={v V f (v)=0 W }, Im( f ) :={w W v V : f (v)=w}. Allora Ker( f ) (chiamato il nucleo dell omomorfismo f ) è sottospazio vettoriale di V, e Im( f ) (chiamata l immagine dell omomorfismo f ) è sottospazio vettoriale di W. Inoltre l omomorfismo f è injettivo se e solo se Ker( f )={0 V }. L omomorfismo f è surgettivo se e solo se Im( f ) = W. Dimostrazione. La prima parte segue facilmente dalle definizioni (esercizio per il lettore). L ultima affermazione è banale. Supponiamo ora f iniettivo. Se v Ker( f ), allora f (v)=0 W, e poichè f (0 V )=0 W (conseguenza dell additività di f ), ne segue f (v)= f (0 V ), quindi v=0 V, i.e. Ker( f )={0 V }. Viceversa, supponiamo che Ker( f )={0 V } e che f (v 1 )= f (v 2 ) con v 1, v 2 V. Allora f (v 1 v 2 )= f (v 1 )+ f (( 1)v 2 )= f (v 1 )+( 1) f (v 2 )= f (v 1 ) f (v 2 )=0 W, quindi v 1 v 2 Ker( f )={0 V }, da cui v 1 = v 2. Teorema Sia f : V Wun omomorfismo di spazi vettoriali su K. Supponiamo che V e W siano spazi vettoriali di dimensione finita su K. Allora si ha la formula dim K (V)=dim K (Ker( f ))+dim K (Im( f )). Dimostrazione. Se Ker( f )={0 V }, i.e. se f è iniettivo, o se Im( f )={0 W }, i.e. f è l omomorfismo nullo, la dimostrazione è banale (esercizio per il lettore). Supponiamo quindi che Ker( f ) {0 V } e Im( f ) {0 W }. Per il Teorema 2.15 e il Corollario 2.18 esiste una base{v 1,..., v k } di Ker( f ) che può essere completata a una base{v 1,..., v k, v k+1,..., v n } di V (dunque dim K (Ker( f ))=k e dim K (V)=n k). Per dimostrare il Teorema è sufficiente provare che S :={w k+1,..., w n } è una base del sottospazio vettoriale Im( f ), dove w i := f (v i ), i=k+1,..., n.

16 16 Capitolo 2. Spazi vettoriali Proviamo innanzitutto che S è un sistema linearmente indipendente. Siano quindi (a k+1,..., a n ) K n k tali che a k+1 w k+1 + +a n w n = 0 W. Tenendo conto della definizione dei w i, l ultima uguaglianza è equivalente a a k+1 v k+1 + +a n v n Ker( f ). Poichè{v 1,..., v k } è una base di Ker( f ), esiste (a 1,..., a k ) K k tale che a k+1 v k+1 + +a n v n = a 1 v 1 + +a k v k, ciò che si può riscrivere ( a 1 )v 1 + +( a k )v k + a k+1 v k+1 + +a n v n = 0 V. Siccome{v 1,..., v n } è una base di V su K, quest ultima uguaglianza implica a 1 = =a k = a k+1 = = a n = 0. Quindi S è un sistema linearmente indipendente. Ora proviamo che S è un sistema di generatori del sottospazio Im( f ). Sia w Im( f ). Allora esiste v V tale che w= f (v). Poichè{v 1,..., v n } è una base di V su K, esiste (a 1,..., a n ) K n tale che v=a 1 v a n v n. Tenendo conto che v 1,..., v k Ker( f ), avremo f (v i )=0 W,,..., k. Poichè f è omomorfismo di K-spazi vettoriali, w= f (v)=a 1 f (v 1 )+ +a k f (v k )++a k+1 f (v k+1 )+ +a n f (v n )=a k+1 w k+1 + +a n w n. Quindi S è un sistema di generatori del sottospazio Im( f ). Corollario 2.37 (Grassmann). Siano V 1 e V 2 sottospazi vettoriali di uno spazio vettoriale V di dimensione finita su K. Allora dim K (V 1 + V 2 )=dim K (V 1 )+dim K (V 2 ) dim K (V 1 V 2 ). Dimostrazione. Consideriamo il prodotto diretto V := V 1 V 2 e l applicazione f : V V definita da f (v 1, v 2 )=v 1 v 2, v 1 V 1 e v 2 V 2. Tenendo conto della definizione del prodotto diretto, risulta immediatamente che f è omomorfismo di spazi vettoriali. Utilizzando la Proposizione 2.9 risulta anche che Im( f )=V 1 + V 2. Inoltre, per la Proposizione 2.25 si ha che dim K (V )=dim K (V 1 )+dim K (V 2 ). In fine, Ker( f )={(v, v) v V 1 V 2 }. Poichè l applicazione g: V 1 V 2 Ker( f ) definita da g(v) := (v, v) è ovviamente un omomorfismo bigettivo, dim K (Ker( f ))=dim K (V 1 V 2 ), (si veda la Proposizione 2.34, (ii) e (iii)). Il Corollario segue allora dal Teorema Definizione Sia f : V Wun omomorfismo di K-spazi vettoriali, con V e W K-spazi vettoriali di dimensione finita. Si chiama rango, o caratteristica di f, denotato con rang( f ), il numero rang( f ) := dim K (Im( f )). Dal Teorema 2.36 risulta la diseguaglianza rang( f ) min{dim K (V), dim K (W)}. Considerando l esempio di omomorfismo di K-spazi vettoriali f : K m K n dell Esempio 2.28, 2), allora rang( f ) coincide con il concetto usuale di rango della matrice A= a ij,...,m,,...,n definito nell Esempio Definizione Sia V uno spazio vettoriale su K e sia W un sottospazio vettoriale di V su K. Sull insieme sottogiacente di V definiamo la relazione d equivalenza (chiamata congruenza modulo W): se v, v V sono due vettori arbitrari, diciamo che v è congruo a v modulo W, e scriveremo v v (mod W), se v v W. Si verifica senza difficoltà che la congruenza modulo W così definita è una relazione d equivalenza su V. Denotiamo con V/W l insieme quoziente, ossia l insieme delle classi di congruenza modulo W. Per ogni v V la classe di congruenza ˆv modulo W di v è data da ˆv=v+W :={v+w w W}. Sull insieme V/W definiamo ora l addizione di classi mediante la formula ˆx + ŷ := x + y, x, y V. Questa operazione è ben posta poichè se ˆx= ˆx e ŷ= ŷ (con x, y V) allora (com è facile verificare), x+ y= x + y. Definiamo anche una legge di composizione esterna K V/W V/W mediante la formula a ˆx= ax, ˆ a Kex V. Anche questa definizione è ben posta perchè se ˆx= ˆx allora (poichè W è sottospazio vettoriale) risulta immediatamente che ax= ˆ ax ˆ. Con questa definizione si ha: Proposizione Rispetto alle operazioni sopra introdotte l insieme V/W diventa uno spazio vettoriale su K con le proprietà che la proiezione canonica f : V V/W diventa omomorfismo surgettivo di spazi vettoriali e Ker( f )=W. Inoltre, per ogni altro omomorfismo di K-spazi vettoriali g: V V con la proprietà g(w)=0 V, w W, esiste un unico omomorfismo g : V/W V di spazi vettoriali tale che g f= g.

17 17 Dimostrazione. La dimostrazione non presenta alcuna difficoltà. L unicità di g segue dalla surgettività di f. Per quanto riguarda l esistenza, g si definisce mediante la formula g( ˆv) = g(v). Rimane da verificare che questa definizione di g è ben posta. Questo equivale a verificare che se ˆv= ˆv (i.e. v = v+w, con w W), allora g(v)= g(v ). Ora, g(v )= g(v+ w)= g(v)+ g(w)= g(v), poichè l ipotesi che W Ker(g) implica g(w)=0 V. Definizione Sia V uno spazio vettoriale su K e sia W un K-sottospazio vettoriale di V. Lo spazio vettoriale V/W si chiama lo spazio vettoriale quoziente di V modulo W. Corollario Nelle ipotesi e notazioni della Proposizione 2.40, supponiamo inoltre che V sia di dimensione finita su K. Allora lo spazio vettoriale V/W è ancora di dimensione finita su K, e vale la formula: dim K (V/W)=dim K (V) dim K (W). Dimostrazione. Il Corollario segue dalla Proposizione 2.40 e dal Teorema Definizione 2.43 (Matrice di passaggio da una base a un altra.). Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n 1 su K, e siano S={v 1,..., v n } e S ={v 1,..., v n} due basi di V su K. Applicando il Corollario 2.20 si deduce che per ogni,..., n esiste una n-upla (a 1i,..., a ni ) K n tale che v i = a 1iv 1 + +a ni v n. (2.1) La matrice a 11 a 12 a 1n a 21 a 22 a 2n a n1 a n2 a nn Λ S,S := si chiama la matrice di passaggio dalla base S alla base S. OvviamenteΛ S,S M n (K), ove con M n (K) abbiamo denotato l anello delle matrici quadrate n n a coefficienti in K. Analogamente possiamo considerare la matriceλ S,S = b ij i,,...,n M n (K), determinata dalle seguenti relazioni v i = b 1i v 1 + +b niv n,,..., n. (2.2) Sostituendo (2.1) in (2.2) otteniamo v i = n b jiv j= n a kj v k = n ( n a kj b ji )v k,,..., n. Utilizzando il Corollario 2.20 si deducono b ji k=1 a kj b ji =δ ki, i, k=1,..., n. k=1 Queste uguaglianze sono equivalenti all uguaglianza matricialeλ S,S Λ S,S = 1 n, con 1 n matrice unità di M n (K). Analogamente si haλ S,S Λ S,S = 1 n. In questo modo abbiamo dimostrato: Proposizione Siano S e S due basi dello spazio vettoriale V di dimensione n su K. Allora la matriceλ S,S è invertibe nell anello M n (K) e (Λ S,S ) 1 =Λ S,S. Proposizione Siano V e W due spazi vettoriali su K, e sia S={v 1,..., v n } una base di V su K. Allora l applicazione ϕ: Hom K (V, W) F(S, W) definita daϕ( f )= f S è una bigezione, dove con F(S, W) abbiamo denotato l insieme di tutte le funzioni definite su S a valori in W, con f S la restrizione dell omomorfismo f a S. In altre parole dare un K-omomorfismo f Hom K (V, W) è equivalente a dare i valori di f sugli elementi di una base S di V.

18 18 Capitolo 2. Spazi vettoriali Dimostrazione. Applicando il Corollario 2.20, ogni vettore v V ammette una rappresentazione della forma v=a 1 v 1 + +a n v n, con l n-upla (a 1,..., a n ) K n univocamente determinata. Poichè f è omomorfismo di K-spazi vettoriali ne segue che f (v)=a 1 f (v 1 )+ +a n f (v n ), quindi f è univocamente determinata da f S, i.e. l applicazione ϕ è iniettiva. Quest applicazione è anche surgettiva poichè se u F(S, W) è un applicazione arbitraria u: S W, allora la formula f u (v)=a 1 u(v 1 )+ +a n u(v n ) definisce un applicazione f u : V W(qui l unicità della rappresentazione di v nella forma di sopra è essenziale!). Si verifica immediatamente che f u Hom K (V, W), e cheϕ( f u )=u. Quindi l applicazioneϕ è surgettiva. Definizione 2.46 (Matrice associata a un omomorfismo rispetto a una base.). Siano V e W due spazi vettoriali di dimensione finita su K. Siano S={v 1,..., v n } una base di V e T={w 1,..., w m } una base di Wsu K. Applicando il Corollario 2.20, si deduce che per ogni,..., n esiste un unica m-upla (a 1i,..., a mi ) K m tale che f (v i )=a 1i w 1 + +a mi w m,,..., n. Allora la Proposizione 2.45 se può riformulare dicendo che dare l omomorfismo f è equivalente a dare la matrice M f M(m, n, K) con M(m, n, K) l insieme di tutte le matrici m n a coefficienti in K, con M f data da: a 11 a 12 a 1n a 21 a 22 a 2n M f := a m1 a m2 a mn La matrice M f = M S,T si chiama la matrice associata all omomorfismo f Hom f K (V, W) rispetto alle basi S e T di V e W rispettivamente. D altra parte, l insieme M(m, n, K), dotato delle operazioni di addizione di matrici e moltiplicazione di una matrice per uno scalare diventa uno spazio vettoriale su K (si veda l Esempio 2.3,1). La corrispondenza f M f definisce ovviamente un omomorfismo di K-spazi vettoriali Hom K (V, W) M(m, n, K). La Proposizione 2.45 implica: Teorema Sia S={v 1,..., v n } una base del K-spazio vettoriale V e T={w 1,..., w m } una base del K-spazio vettoriale W (m, n 1). Allora l applicazione M=M S,T : Hom K (V, W) M(m, n, K) definita da M( f )=M f, con M f la matrice associata a f rispetto alle basi S e T sopra definita, è un isomorfismo di K-spazi vettoriali. Il Teorema 2.47 è interessante specialmente quando V = W, nel qual caso possiamo prendere S=T={v 1,..., v n }. Allora la matrice M f = M S è quadrata e si chiama la matrice associata all endomorfismo f f Hom K (V, V) rispetto alla base S. Poichè K è commutativo, gli spazi vettoriali End K (V) := Hom K (V, V) e M n (K) := M(n, n, K) possiedono entrambe delle strutture più ricche, cioè sono K-algebre nel senso della definizione seguente. Definizione Se K è un campo, un anello (non necessariamente commutativo) unitario A si chiama K-algebra se esiste un omomorfismo di anelli unitari u: K A tale che u(k) sia contenuto nel centro di A, dove il centro di un anello unitario A è{a A ab=ba : b A}). Allora u è necessariamente iniettivo (esercizio per il lettore), quindi K si identifica via u con un sottocampo di A. Allora A diventa un K-spazio vettoriale come nell Esempio 2.3,3). Esempi: 1. A := End K (V)=Hom K (V, V). Allora A è un anello unitario rispetto all addizione e alla composizione degli endomorfismi. L omomorfismo u: K A è in questo caso dato da u(a)=a 1 A, con 1 A = id V. Un endomorfismo u End K (V) è automorfismo di V (i.e. omomorfismo bigettivo) se e solo se u è un elemento invertibile in A. L insieme GL(V) di tutti i K-automorfismi di V è un gruppo rispetto alla composizione e coincide con il gruppo degli elementi invertibili di A. 2. B=M n (K). Allora B è un anello unitario rispetto all addizione e alla moltiplicazione delle matrici quadrate e l omomorfismo u: K Aèin questo caso u(a)=a 1 A, dove 1 A è la matrice unitaria di B=M n (K). Denoteremo con GL n (K) il gruppo di tutti gli elementi invertibili di B (i.e. di tutte le matrici di B nonsingolari; una matrice M Bèper definizione nonsingolare se det(m) 0).

19 19 In questa situazione si ha la formula M f g = M f M g. Per verificarla scriviamo M f = a ij i,,...,n e M g = b ij i,,...,n. Allora avremo f (v i )= n a ji v j e g(v k )= n b hk v h, da cui deduciamo f (g(v i ))= f ( n b ji v j )= b ji f (v j )= n b ji k=1 dimostra la nostra formula. h=1 a kj v k = n ( n a kj b ji )v k. Ne segue che M f g = c ik i,k=1,...,n, con c ki = n a kj b ji, ciò che k=1 Definizione Siano A e B due K-algebre unitarie (con K campo), e siano u: K A e v: K B gli omomorfismi corrispondenti. Un isomorfismoϕ: A B di anelli unitari si chiama isomorfismo di K-algebre seϕ u=v. Con questa Definizione il Teorema 2.47 implica: Corollario Sia S={v 1,..., v n } una base dello spazio vettoriale V su K. Allora la corrispondenza f M f = M S f, con M f= a ij i,,...,n data dalle formule f (v i )= n a ji v j,,..., n, è un isomorfismo di K-algebre da End K (V)=Hom K (V, V) alla K-algebra M n (K) delle matrici quadrate di ordine n a coefficienti in K. Inoltre, f GL(V) se e solo se M f GL n (K) (i.e. M f è una matrice non singolare). Sia ora f End K (V) un endomorfismo di spazi vettoriale su K, e siano S={v 1,..., v n } e S ={v 1,..., v n} due basi di V su K. Siano M S f= a ij i,,...,n e M S = b f ij i,,...,n le matrici associate a f rispetto a queste due basi. Sia ancoraλ S,S = α ij i,,...,n la matrice di passaggio da S a S (si veda la Definizione 2.43). Vogliamo stabilire un legame tra queste tre matrici. Dalle definizioni abbiamo le uguaglianze seguenti f (v i )= n b ji v j, f (v i)= n a ji v j, e v i= n α ji v j,,..., n. Da una parte, tenendo conto di queste uguaglianze, per ogni,..., n, si ha: dall altra, f (v i )= f ( α ji v j )= α ji f (v j )= f (v i )= b ji v j = b ji α ji a kj v k = k=1 α kj v k = k=1 k=1 k=1 ( a kj α ji )v k, ( α kj b ji )v k. Applicando il Corollario 2.20 otteniamo, confrontando queste uguaglianze n a kj α ji = n α kj b ji, i, k= 1,..., n, o ancora, M S f ΛS,S =Λ S,S M S f. In base alla Proposizione 2.44,Λ :=Λ S,S è una matrice invertibile in M n (K), quest ultima uguaglianza si riscrive M S =Λ 1 S M f f Λ. (2.3) In questo modo abbiamo dimostrato la seguente: Proposizione Sia f End K (V) un endomorfismo di K-spazi vettoriali e siano S={v 1,..., v n } e S = {v 1,..., v n} due basi di V su K. Allora si ha l eguaglianza (2.3), doveλèla matrice di passaggio da S a S (Basi duali. Biduale). Sia V uno spazio vettoriale, di dimensione n su K. Sia B :={v 1,..., v n } una base di V su K. Per ogni,..., n costruiamo il funzionale v V (con V = Hom i K (V, K) duale algebrico di V) nel modo seguente. Dalla Proposizione 2.45 segue che dare v equivale a dare i valori v i i (v j) K,,..., n. Allora v è l unico funzionale lineare su V tale che i v i (v j)=δ ij,,..., n, doveδ ij è il simboloδdi Kronecker definito daδ ii = 1, i, eδ ij = 0, i j. In questo modo otteniamo il sottoinsieme B :={v 1,..., v n} del duale algebrico V.

20 20 Capitolo 2. Spazi vettoriali Teorema Nelle ipotesi e notazioni di sopra, B è una base del duale algebrico V. In particolare, V è uno spazio vettoriale di dimensione finita su K e dim K (V )=n=dim K (V). Dimostrazione. Dimostriamo innanzitutto che B è un sistema linearmente indipendente su K. Siano quindi a 1,..., a n K tali che v 1 a 1+ +v n a n= 0 V. Se j {1,..., n} allora abbiamo (v 1 a 1+ +v n a n)(v j )= v j (v j)a j = a j, quindi a j = 0,,..., n. Per dimostrare che B è un sistema di generatori di V, sia f V un funzionale qualsiasi di V, e siano a i := f (v i ),,..., n. Dimostriamo che f= v 1 a 1+ + v na n. A questo scopo, utilizzando la Proposizione 2.45, tutto si riduce a dimostrare che i due membri dell uguaglianza da dimostrare coincidono sugli elementi della base B, i.e. f (v i )=(v 1 a 1+ +v n a n)(v i ),,..., n. Ora, questa uguaglianza segue facilmente tenendo conto delle definizioni. Definizione Nelle ipotesi e notazioni del Teorema 2.53 la base B del duale algebrico V si chiama la base duale della base B dello spazio vettoriale V su K. Ora definiamo il biduale di V, V, come (V ) su K. Sia ora V uno spazio vettoriale su K. Definim un omomorfismo canonico di K-spazi vettoriali α : V V. A questo scopo sia v Vun vettore qualsiasi; dobbiamo definire il funzionaleα(v) : V K su V. Se f V è un qualsiasi funzionale lineare su V, poniamo per definizione α(v)( f )= f (v), v V, f V. Bisogna innanzitutto dimostrare cheα(v) è un funzionale lineare su V, i.e.α(v)( f+ g)=α( f )+α(g) e α(v)( fλ)=α( f )λ, f, g V eλ K. Queste uguaglianze seguono facilmente tenendo conto solo della definizione diα. Pertanto otteniamo una definizione ben postaα : V V. Inoltre,αèomomorfismo di K-spazi vettoriali, i.e.α(v 1 + v 2 )=α(v 1 )+α(v 2 ) eα(λv)=λα(v), v, v 1, v 2 V e λ K. Anche queste uguaglianze seguono facilmente dalle definizioni. Avremo bisogno del risultato generale seguente: Proposizione Siano V e W due K-spazi vettoriali di dimensione finita tali che dim K (V)=dim K (W). Sia inoltre f : V W un omomorfismo di spazi vettoriali. Le affermazioni seguenti sono equivalenti: (i) f è bigettivo. (ii) f è iniettivo. (iii) f è surgettivo. Dimostrazione. Dimostriamo per esempio l equivalenza (i) (ii). Supponiamo dapprima f iniettivo. La surgettività di f equivale a Im( f )=W o, tenendo conto del Corollario 2.23, all uguaglianza dim K (Im( f ))= dim K (W). Applicando il Teorema 2.36, avremo dim K (Im( f ))=dim K (V) dim K (Ker( f )). Poichè Ker( f )= {0 V } ( f essendo iniettivo), risulta che dim K (Ker( f ))=0, da cui dim K (Im( f ))=dim K (V). Ora, per ipotesi, dim K (V)=dim K (W), quindi dim K (Im( f ))=dim K (W). L equivalenza (i) (iii) si dimostra in modo analogo. Una conseguenza del Teorema 2.53 è: Teorema Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita su K. Allora l omomorfismo canonicoα : V V è un isomorfismo di K-spazi vettoriali. Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che α è bigettivo. Tenendo conto della definizione di α e della Proposizione 2.35, l iniettività diαequivale a Ker(α)={0 V }. Se v Ker(α), allora f (v)=0, f V. Supponiamo per assurdo che v 0 V. Allora{v} è un sistema linearmente indipendente, quindi, per il

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