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1 6 CFU prof. Profumo 1 parte 19 settembre 2012 Introduzione Obiettivi del corso Il corso di marketing si propone due obiettivi: - il primo, a carattere formativo, consiste nell offrire agli studenti spunti di riflessione che li mettano nelle condizioni di collegare la disciplina di Marketing con le altre discipline facenti parte del loro bagaglio culturale (microeconomia, economia aziendale ed economia e gestione delle imprese, in particolare); - il secondo, a carattere istituzionale, consiste nel fornire agli studenti le nozioni metodologiche caratteristiche della disciplina di Marketing. Programma del corso 1. Parte propedeutica 1.1. Il concetto di marketing 1.2. Il concetto di orientamento al mercato 1.3. Marketing e globalizzazione 2. Il Marketing come supporto all elaborazione delle strategie competitive 2.1. L analisi dei bisogni del cliente e del comportamento d acquisto 2.2. L analisi dei mercati attraverso la segmentazione 2.3. L analisi di attrattività del mercato e di competitività dell impresa 2.4. La definizione del target e le politiche di posizionamento 3. Il Marketing operativo 3.1. Le decisioni di lancio dei nuovi prodotti 3.2. La gestione della marca 3.3. Le decisioni di distribuzione 3.4. Le decisioni di prezzo 3.5. Le decisioni di comunicazione di marketing 25 settembre Parte propedeutica Il concetto di marketing Il marketing è una delle tante funzioni aziendali che costituiscono le imprese. Si tratta di una funzione di confine, perché è quella che più entra in contatto con i clienti, i quali, ovviamente, si trovano al di fuori dei confini aziendali. Ma che cos è il marketing? Possiamo proporre molti termini che la maggior parte degli individui collega alla funzione marketing, ad esempio: - pubblicità; - vendite;

2 - promozioni; - relazioni pubbliche; - servizio; - cataloghi; - coupons; - e-commerce; - social networks; - shopping channels; - retailing; - sponsorship; - ricerche; - pricing; - direct mail; - packaging. Già da questo primo elenco, ci rendiamo conto che il marketing comprende tanti elementi, che dovremmo cercare di riordinare. Questo elenco comprende molti termini che però appartengono quasi tutti alla parte visibile del marketing, quella con cui il cliente entra in contatto. In realtà, il marketing non è solo questo; la funzione marketing comprende anche tutte le analisi che stanno alle spalle di queste variabili. Arriviamo quindi a formulare una definizione di marketing: il marketing è la funzione aziendale che consente di collegare, in termini economici e di scambio, i bisogni e i desideri della società, come individui e organizzazioni, al sistema produttivo aziendale. Da questa definizione possiamo comprendere immediatamente quale sia l obiettivo del marketing, ossia collegare i bisogni e i desideri dei consumatori con il sistema produttivo aziendale. Nell ambito del marketing, infatti, i prodotti e i servizi non vengono visti come prodotti e servizi in sé, ma come soluzione di un determinato problema, come soddisfazione di un determinato bisogno dei clienti. In quest ottica, però, il termine marketing risulta molto ambiguo, dal momento che, letteralmente, marketing significa mettere sul mercato. Tale termine, quindi, pone l enfasi su tutto ciò che sta a valle del processo di commercializzazione, ossia sul collocamento di un determinato prodotto sul mercato, mentre viene trascurata l importanza dell attività a monte del processo di commercializzazione, in particolare l attività di analisi dei bisogni dei clienti. Ciò deriva dal fatto che il termine marketing è stato coniato intorno agli anni Cinquanta/Sessanta del Novecento, un periodo in cui l ambiente con il quale interagivano gli studiosi era molto diverso da quello attuale: nel secondo dopoguerra il rapporto tra domanda e offerta era tale per cui la domanda era nettamente superiore all offerta. In una situazione di questo tipo, le imprese non avevano alcun bisogno di analizzare i bisogni dei clienti e potevano focalizzare la propria attenzione sulla fase a valle del processo di commercializzazione. Attualmente, invece, il rapporto tra domanda e offerta è totalmente cambiato, ossia è l offerta ad eccedere nettamente la domanda, perciò le imprese hanno bisogno di conquistare i propri clienti, e per farlo devono necessariamente analizzare i loro bisogni, in modo da creare soluzioni in grado di soddisfarli al meglio. Quindi, nel contesto attuale, non ci si può dimenticare delle analisi che stanno a monte del processo di commercializzazione, sebbene il termine marketing continui a porre l accento sulle attività a valle. Arriviamo così ad un altra definizione di marketing, più sintetica rispetto alla precedente, ma che pone l accento sull attività di analisi a monte del processo di commercializzazione, senza dimenticare l attività a valle: marketing significa soddisfare bisogni in modo redditizio. L impresa deve perciò soddisfare i bisogni dei clienti al fine di raggiungere il proprio obiettivo, che, ovviamente, è quello di creare redditività; se non riesce a soddisfare i clienti, l impresa non raggiungerà neanche l obiettivo di creare redditività. Questa situazione prende il nome di winwin, ossia, quando l impresa vince, significa che vincono i clienti, che vedranno soddisfatto il proprio bisogno nella maniera migliore. Dopo aver visto due definizioni alternative e quasi equivalenti di marketing, possiamo indicare i 2

3 pilastri di questa funzione aziendale, che sono essenzialmente tre: 1. orientamento al cliente: in base a quanto detto finora, il marketing deve concentrare la propria attenzione sui clienti, cioè deve analizzare i loro bisogni al fine di creare soluzioni che li soddisfino al meglio. Questo, e solo questo, consente all impresa di ottenere un vantaggio competitivo, ossia una redditività superiore rispetto ai concorrenti (come già visto nel corso di economia e gestione delle imprese, i modi in cui le imprese possono soddisfare al meglio i bisogni del cliente e ottenere così un vantaggio competitivo sono sostanzialmente due: il vantaggio di costo o la differenziazione); 2. integrazione delle attività: affinché la funzione marketing venga gestita al meglio, è necessario che tutte le funzioni aziendali siano integrate tra loro. Per fare un esempio, se l impresa deve commercializzare un nuovo prodotto, la funzione marketing dovrà essere fortemente integrata con la funzione ricerca e sviluppo e con la funzione produzione, perché bisogna capire se il prodotto ideato dalla funzione ricerca e sviluppo ha la possibilità di affermarsi sul mercato e se la funzione produzione è effettivamente in grado di realizzarlo; occorrerà poi l interazione con la funzione finanza, per capire se le risorse finanziarie sono sufficienti a consentire lo sviluppo di quel prodotto; ancora, occorre interagire con la funzione gestione delle risorse umane, poiché le risorse umane sono indispensabili all interno di tutte le funzioni indicate finora; e così via; 3. obiettivo di redditività: le imprese sono organismi economici, perciò hanno un fine utilitaristico, quello di generare redditività. Come già detto, cioè è possibile solo se un impresa soddisfa i bisogni dei clienti in modo migliore rispetto ai propri concorrenti. I campi di azione del marketing I campi di azione del marketing sono essenzialmente due: - marketing dei beni e dei servizi di consumo (B2C): si tratta delle attività di marketing rivolte ai consumatori finali; - marketing industriale (B2B): si tratta delle attività di marketing rivolte alle altre imprese. Questi due campi di azione sono estremamente diversi, perché le scelte d acquisto delle organizzazioni sono molto diverse da quelle che prendono i singoli individui, inseriti al massimo in ambito familiare. Siccome analizzeremo solo i concetti principali del marketing, analizzeremo quasi esclusivamente le attività B2C (sebbene gran parte dei concetti che vedremo si possano applicare ad entrambi i campi di azione), limitandoci a segnalare alcune differenze rispetto alle attività B2B. È però importante ricordare che le attività B2B non sono una parte residuale del marketing: la maggior parte dei prodotti e servizi che i consumatori acquistano, attraversa varie fase all interno della filiera produttiva, perciò, ad ogni step, avremo imprese che vendono ad altre imprese e che perciò dovranno sviluppare tutta una serie di attività di marketing nei loro confronti. Si tratta però di attività di marketing meno eclatanti, perché, quando i clienti sono imprese, il modo migliore per raggiungerle non è la pubblicità, ma i singoli venditori, che dovranno spiegare alle imprese acquirenti le caratteristiche e le proprietà tecniche dei beni e servizi offerti. Marketing strategico e marketing operativo Il processo di marketing si distingue, in primo luogo, in due aspetti: - marketing strategico (processo orientato all analisi): comprende tutte le attività che stanno a monte del processo di commercializzazione; - marketing operativo (processo orientato all azione): comprende tutte le attività che stanno a valle del processo di commercializzazione. Come consumatori, percepiamo molto di più le attività del marketing operativo. A livello didattico, però, è utile approfondire maggiormente il marketing strategico. Il marketing strategico è, come dice la parola stessa, la parte strategica del marketing, che si occupa di fornire ai decisori aziendali tutte le informazioni che riguardano i clienti. Non è però corretto affermare che il marketing strategico si occupa delle strategie: di queste si occupano i decisori 3

4 aziendali e il marketing strategico ha semplicemente la funzione di fornire tutte le informazioni sui clienti. Il marketing strategico può essere scomposto in varie fasi: - Analisi dei bisogni definizione del mercato di riferimento: analizzare i bisogni dei clienti è il primo passo per definire il mercato di riferimento in termini di bisogni generici. Perciò, è necessario condurre delle analisi che consentano di capire se, all intero del mercato, ci sono bisogni insoddisfatti o addirittura bisogni latenti, cioè bisogni che i clienti non sanno ancora di avere, ma che potrebbero emergere se adeguatamente stimolati. Sostanzialmente, si tratta di capire se ci sono bisogni insoddisfatti in business già esistenti oppure in business totalmente nuovi. Ovviamente, l obiettivo dell impresa dovrebbe essere quello di creare il più possibile business nuovi, ossia prodotti e servizi totalmente innovativi, anziché prodotti o servizi diversi ma comunque già esistenti, perché questo consente all impresa stessa di occupare la posizione di monopolista, almeno in un primo momento. - Segmentazione del mercato macro e micro-segmentazione: dopo aver definito un mercato di riferimento molto ampio, è necessario individuare uno o più target specifici di clienti. Bisognerà perciò segmentare il mercato individuato, conducendo analisi sia di macro sia di micro-segmentazione. - Analisi di attrattività mercato potenziale, ciclo di vita del prodotto: dopo aver individuato un target di clienti all interno del mercato di riferimento, è importante analizzare se quel target è attrattivo, sia da un punto di vista quantitativo sia da un punto di vista dinamico. In primo luogo bisognerà condurre un analisi della domanda potenziale (analisi quantitativa) e, in secondo luogo, occorrerà analizzare il trend della domanda nel tempo (analisi dinamica). Per questo secondo tipo di analisi utilizzeremo uno specifico parametro, che è il ciclo di vita del prodotto. - Analisi di competitività vantaggio competitivo sostenibile: dopo aver analizzato l attrattività della domanda, sia in termini quantitativi sia in termini dinamici, occorre analizzare se l impresa dispone di risorse e competenze sufficienti e adeguate per poter competere con i concorrenti, ossia se è in grado di soddisfare i bisogni dei clienti in maniera migliore rispetto ai concorrenti, in modo da ottenere un vantaggio competitivo. Tale vantaggio, inoltre, non deve essere effimero, bensì duraturo e sostenibile. - Scelta di un posizionamento e/o di una strategia di sviluppo: se le fasi precedenti danno esito positivo, l impresa deve scegliere il proprio posizionamento, che consenta ai clienti di riconoscere i suoi prodotti e servizi tra i tanti prodotti e servizi alternativi. Il posizionamento è il posto che il prodotto o servizio occupa nella mente dei clienti rispetto ai prodotti o servizi alternativi. Se un impresa non riesce a posizionare i propri prodotti e servizi in maniera diversa, unica rispetto ai concorrenti, i clienti non decideranno di abbandonare i prodotti e servizi vecchi per quelli nuovi. Andremo quindi ad analizzare le mappe di posizionamento. Tutte le fasi indicate sono molto utili ai decisori aziendali per lo sviluppo delle strategie. Il marketing operativo è il braccio commerciale del marketing, che si occupa di collocare i prodotti e servizi sviluppati sul mercato, in modo da incrementare il fatturato. Anche il marketing operativo può essere suddiviso in fasi, ognuna delle quali riguarda una delle cosiddette quattro leve del marketing mix: - Prodotto soluzione multi-attributo: il prodotto o servizio sviluppato deve essere collocato sul mercato non in quanto tale, ma in quanto rappresenta una soluzione ad un determinato bisogno, ad un determinato problema del cliente. In questo ambito, le scelte riguarderanno tutta una serie di elementi che costituiscono il prodotto stesso, come la marca, il packaging, ecc; - Distribuzione buona accessibilità alla soluzione: la scelta dei canali di distribuzione è fondamentale affinché il cliente possa accedere facilmente al prodotto o servizio offerto. In questo ambito le decisioni da prendere saranno molteplici. Ad esempio, bisognerà scegliere tra distribuzione indiretta o diretta; bisognerà determinare l intensità della distribuzione; ecc; 4

5 - Prezzo costi monetari e non monetari: per far sì che il prodotto o servizio offerto dall impresa venga acquistato, bisognerà offrirlo ad un prezzo che i clienti considerano equo. Andremo quindi ad analizzare le varie tecniche di fissazione del prezzo. - Comunicazione pubblicità, forza vendita, promozioni: è la variabile che si occupa di comunicare al cliente il valore del prodotto o del servizio offerto, servendosi di tutta una serie di strumenti. Queste quattro leve devono essere gestite in maniera unitaria al fine di incrementare il fatturato. Arriviamo così all ultima fase del marketing operativo: - Programma di marketing obiettivi, budget: il programma di marketing si occupa dell obiettivo del marketing, che è l incremento del fatturato, e del budget che deve essere assegnato ad ognuna delle quattro leve del marketing mix. Lo analizzeremo molto poco. In sintesi: il marketing strategico è un processo orientato all analisi, che si estende nell arco di una pianificazione di medio-lungo periodo ed è incentrato sull individuazione dei bisogni degli individui e delle organizzazioni; il marketing operativo è un processo orientato all azione, che si estende nell arco di una pianificazione temporale di breve-medio periodo e si indirizza a mercati o segmenti esistenti. 26 settembre 2012 Marketing strategico di risposta e marketing strategico di creazione dell offerta Sia il marketing strategico, sia il marketing operativo possono essere distinti in due tipologie. Il marketing strategico si può distinguere in: - marketing strategico di risposta; - marketing strategico di creazione dell offerta. Il marketing strategico di risposta prende avvio dall analisi dei bisogni dei clienti e, in particolare, cerca di capire se, nell ambito dei bisogni esistenti, vi siano delle nicchie di mercato da sviluppare, in ragione del fatto che quei bisogni sono soddisfatti male o per niente. Si parla di marketing di risposta proprio perché risponde alle esigenze dei clienti. Per rispondere alle esigenze dei clienti, la funzione marketing dovrà, in primo luogo, analizzare il mercato, per individuare se esistano o meno dei vuoti di offerta. Se tali vuoti di offerta esistono, il marketing dovrà comunicare questa mancanza alla funzione ricerca e sviluppo, che tenterà di sviluppare un prodotto o un servizio che soddisfi, o soddisfi meglio, le aspettative dei clienti. Se questo prodotto o servizio viene sviluppato, bisognerà rivolgersi alla funzione produzione, per capire se tale prodotto o servizio può essere effettivamente realizzato e commercializzato. Se tutto ciò è possibile, interverrà il marketing operativo, che, agendo sulle quattro leve del marketing mix, cercherà di collocare il prodotto o servizio sul mercato in modo tale da incrementare il fatturato e generare quindi redditività. In sintesi, il marketing strategico di risposta si caratterizza per: - trovare e soddisfare bisogni non soddisfatti; - creare o sviluppare una domanda latente o esistente; - le innovazioni sono tirate dal mercato. Molte imprese, soprattutto le imprese tecnologiche, si sentono però limitate da questo tipo di approccio. I consumatori, infatti, non possono sapere fino a che punto è in grado di spingersi la tecnologia, perciò è probabile che esistano bisogni insoddisfatti che i clienti nemmeno immaginano di poter avere. Inoltre, è importante osservare che, soprattutto in campo tecnologico, i cicli di vita dei prodotti si sono notevolmente accorciati rispetto al passato; perciò è possibile che, nell arco di tempo che intercorre tra l analisi dei bisogni dei clienti e l immissione sul mercato del prodotto sviluppato e realizzato, il prodotto in questione sia diventato già obsoleto, perché i clienti hanno già modificato i propri bisogni. In questi casi è molto più utile utilizzare il marketing strategico di creazione dell offerta, anziché il marketing strategico di risposta. Il marketing strategico di creazione dell offerta non prende avvio 5

6 dall analisi dei bisogni dei clienti, perché, come abbiamo detto, è possibile che esistano bisogni che i clienti non sono in grado di esprimere, perché non sanno fino a che punto può spingersi la tecnologia. Pertanto, in questo caso, si partirà dallo sviluppo di un prodotto o di un servizio totalmente nuovo, per poi accompagnare i clienti ad accettare le nuove tecnologie proposte. Per questo si parla di marketing strategico di creazione dell offerta. Quindi, con il marketing strategico di creazione dell offerta, risultano sostanzialmente invertite le prime due fasi che avevamo analizzato parlando di marketing strategico di risposta. In questo caso non si parte più dalla funzione marketing e dall analisi dei bisogni dei clienti, ma si parte dalla funzione ricerca e sviluppo, che svilupperà un prodotto o un servizio totalmente nuovo, di cui i clienti non hanno ancora chiesto la realizzazione. Solo dopo lo sviluppo del prodotto o servizio interverrà la funzione marketing, che cercherà di capire se il prodotto o servizio sviluppato può essere effettivamente collocato sul mercato, ossia se è possibile indurre nei clienti il bisogno di quel prodotto o servizio. Se l analisi condotta dal marketing dà esito positivo, si passerà allora alla funzione produzione, incaricata di realizzare il prodotto o servizio sviluppato, e, successivamente, al marketing operativo, che cercherà di incrementare il fatturato attraverso la migliore collocazione possibile del prodotto o servizio sul mercato. In sintesi, il marketing strategico di creazione dell offerta si caratterizza per: - trovare nuovi metodi per soddisfare bisogni esistenti; - creare nuovi mercati grazie alla potenza della tecnologia e della creatività; - le innovazioni sono spinte dall impresa. Dal punto di vista del vantaggio competitivo e della redditività, il marketing strategico di creazione dell offerta è molto più potente del marketing strategico di risposta. Questo perché, il marketing strategico di risposta parte dalle richieste dei clienti, i quali, non sapendo fino a che punto possono spingersi le tecnologie, si limiteranno a chiedere innovazioni incrementali, ossia miglioramenti di prodotti e servizi comunque già esistenti. Con il marketing strategico di creazione dell offerta, invece, si arriverà alle cosiddette innovazioni radicali, ossia allo sviluppo, realizzazione e collocazione sul mercato di un bene o servizio totalmente nuovo, che i clienti non sapevano nemmeno potesse esistere. Il mercato risulterà quindi sconvolto dal prodotto o servizio totalmente nuovo immesso al suo interno e l impresa potrà, almeno in un primo momento, occupare la posizione di monopolista, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Quindi, in generale, le imprese otterranno vantaggi superiori dall utilizzo del marketing strategico di creazione dell offerta. Tuttavia, è opportuno osservare che anche il marketing strategico di risposta può produrre buoni risultati, in particolare se l impresa svolge un attività B2B, in cui i clienti sono altre imprese. In questo caso, i clienti non sono totalmente all oscuro delle possibilità della tecnologia e dispongono delle competenze necessarie per agevolare lo sviluppo o il miglioramento di un determinato prodotto o servizio. Marketing operativo transazionale e marketing operativo relazionale Il marketing operativo si può distinguere in: - marketing operativo transazionale; - marketing operativo relazionale. Il marketing operativo transazionale focalizza la propria attenzione sulle singole transazioni, sulle singole vendite, ossia cerca di vendere il più possibile in questo momento, senza preoccuparsi troppo del medio-lungo termine. Attraverso questo approccio, si tende a dimenticare un po il cliente e i suoi bisogni, perché lo scopo è quello di realizzare la singola vendita e non quello di soddisfare al meglio i bisogni del cliente in modo da fidelizzarlo ed indurlo ad acquistare una seconda volta: gli interessi dell impresa e del cliente risultano quindi quasi contrapposti. Ovviamente, dal momento che il marketing operativo transazionale si concentra esclusivamente sulle vendite e, quindi, sul fatturato, la variabile maggiormente considerata sarà il prezzo. Questo approccio ha dato luogo ad una visione molto negativa del marketing, definito manipolatorio, perché giudicato colpevole di indurre nella clientela bisogni falsi, pur di realizzare la vendita. 6

7 In sintesi, il marketing operativo transazionale: - si focalizza sulle singole vendite; - opera in base a un modello di bisogni contrapposti; - si concentra esclusivamente sul prezzo. Il marketing operativo relazionale, invece, focalizza la propria attenzione sulle relazioni con i clienti, ossia cerca di creare con i clienti una relazione forte e duratura, in modo da fidelizzarli e indurli ad acquistare una seconda volta. Questo approccio consente di ottenere tutta una serie di vantaggi, sia dal punto di vista dei clienti, sia dal punto di vista dell impresa. Per quanto riguarda i clienti, è abbastanza ovvio immaginare che un impresa che ha l obiettivo di fidelizzare la propria clientela punti a soddisfare nel miglior modo possibile i suoi bisogni, in modo da indurla ad acquistare ancora in seguito: se l impresa realizza questo obiettivo, significa che i clienti hanno effettivamente soddisfatto i propri bisogni nel modo migliore. Per quanto riguarda l impresa, è importante osservare che i clienti fedeli sono meno costosi dei nuovi clienti, sotto tutta una serie di aspetti: i clienti fedeli conoscono le caratteristiche del prodotto o servizio offerto senza bisogno di comunicarle nuovamente; conoscono il prezzo del prodotto o servizio e, se già lo hanno acquistato e tornano ad acquistarlo, significa che lo ritengono adeguato, perciò l impresa non avrà bisogno di abbassarlo o di offrire promozioni per incentivare le vendite; conoscono i canali di distribuzione presso i quali possono trovare il prodotto o servizio desiderato; ecc. In generale, vengono costruite relazioni che avevamo definito di win-win : il cliente vince perché vede soddisfatti i propri bisogni e l impresa vince perché vede ridotti i propri costi. Ovviamente, dal momento che il marketing operativo relazionale si concentra sulle relazioni forti e durature con i clienti, le variabili considerate saranno molteplici, e non saranno necessariamente volte a generare un vantaggio economico, ma anche un vantaggio non economico. Questo approccio ha dato luogo a tutto un filone di marketing che prende il nome di CRM (Costumer Relationship Management). In sintesi, il marketing operativo relazionale: - è orientato alla costruzione di una relazione forte e duratura; - presuppone l opportunità di condividere vantaggi; - sposta l attenzione su vantaggi non economici: servizi, tempi di consegna, continuità di fornitura, ecc. L evoluzione del marketing Il marketing ha attraversato diverse fasi, che possono essere riassunte attraverso una rappresentazione sugli assi cartesiani. 7

8 Sull asse delle ascisse consideriamo la variabile grado di maturità del mercato, intesa come rapporto tra domanda e offerta: vediamo che si passa da fasi in cui la domanda eccede l offerta, a fasi di sostanziale equilibrio tra domanda e offerta, a fasi in cui l offerta eccede la domanda. Sull asse delle ordinate consideriamo la variabile intensità della concorrenza : vediamo che si passa da fasi i cui la concorrenza è contenuta, a fasi in cui invece la concorrenza è molto elevata. Dal grafico osserviamo quindi che il marketing evolve in conseguenza di un grado di maturità del mercato e di intensità della concorrenza sempre crescente. Le varie fasi attraversate dal marketing sono: - marketing passivo, o fase dell orientamento al prodotto; - marketing operativo, o fase dell orientamento alla vendita; - marketing strategico, o fase dell orientamento al cliente; - market-driven management, o fase dell orientamento al mercato. La fase dell orientamento al prodotto (marketing passivo) Il marketing passivo, o fase dell orientamento al prodotto, si sviluppa, se vogliamo, già dopo la prima rivoluzione industriale, ma, considerando la storia recente e il nostro ambito territoriale, possiamo collocarlo nell immediato secondo dopoguerra, ossia nei primi anni Cinquanta. In questo periodo, la domanda eccede nettamente l offerta, e ciò significa che tutti i produttori di un determinato prodotto o servizio, nel complesso, non riescono a soddisfare interamente la domanda di quel determinato prodotto o servizio. Inoltre, in questo contesto, i bisogni sono generalmente ben conosciuti: le imprese non hanno bisogno di andare a cerare bisogni latenti, dal momento che non riescono nemmeno a soddisfare interamente quelli noti. È poi importante ricordare che sono ben conosciuti anche i mercati esteri, che si trovano grosso modo nella stessa situazione, perciò le esportazioni sono facili. Ancora, si tratta di un contesto in cui la tecnologia è piuttosto stabile, ossia le imprese sanno che, per un certo periodo di tempo, il mercato non rischia di essere sconvolto da significativi cambiamenti del paradigma tecnologico. Ovviamente, in un contesto con le caratteristiche appena elencate, la preoccupazione principale delle imprese sarà quella di sviluppare la capacità di produzione, in modo da soddisfare più domanda possibile. Come conseguenza di quanto appena detto, la struttura organizzativa delle imprese sarà quella dell ottica di produzione: per questo motivo si parla di una fase di orientamento al prodotto. Una seconda conseguenza di questo contesto sarà la quasi inesistenza del marketing, che viene perciò definito passivo: il marketing non è una funzione fondamentale in questo periodo, perché non c è bisogno né di analizzare i bisogni dei clienti, né di comunicare ai clienti le caratteristiche dei prodotti, dal momento che questi vengono venduti molto facilmente. Perciò, il marketing si occuperà sostanzialmente della distribuzione, delle vendite, e risulterà notevolmente subordinato rispetto alle altre funzioni aziendali (solitamente viene collocato al di sotto della funzione amministrazione). Ancora, in conseguenza delle caratteristiche del contesto, le imprese non hanno alcun bisogno di sforzarsi per raggiungere la clientela finale, ma si preoccuperanno, al massimo, degli acquirenti diretti del proprio prodotto: i contatti con il mercato, quindi, si limitano al primo stadio. Questa ottica, però, rende l impresa miope e non favorisce un attitudine pro-attiva. Come abbiamo già detto, questa fase può essere collocata nei primi anni Cinquanta, ma solo se prendiamo in considerazione il nostro ambito territoriale: infatti, nei paesi molto sviluppati non troviamo più una situazione in cui la domanda eccede l offerta, ossia una situazione in cui il marketing può permettersi di essere passivo; tuttavia, si tratta di una tipologia di marketing che può ancora essere applicata nei mercati dei paesi in via di sviluppo o nei mercati di determinati beni (ad esempio le materie prime). Riassumendo, le cause del marketing passivo sono: - la domanda è superiore all offerta; - i bisogni sono ben conosciuti; 8

9 - l ambiente tecnologico è stabile; - la preoccupazione principale è quella di sviluppare la capacità di produzione; - i mercati esteri sono ben conosciuti e le esportazioni sono facili. Le conseguenze del marketing passivo, invece, sono: - la struttura organizzativa è quella dell ottica di produzione; - il marketing non è rappresentato allo stesso livello gerarchico delle altre funzioni; - il marketing esiste solo per vendere ciò che è stato prodotto; - i contatti con il mercato si limitano al primo stadio, in pratica al primo acquirente del prodotto; - questa ottica rende l impresa miope e non favorisce un attitudine pro-attiva. 02 ottobre 2012 Le ipotesi implicite dell ottica del marketing passivo, ossia un ottica di produzione, sono: - l impresa sa ciò che è buono per l acquirente; - i dirigenti sono convinti che i prodotti siano superiori; - la precedenza è per il prodotto e non per il consumatore. I limiti di quest ottica sono: - l impresa è miope; - questo atteggiamento non favorisce mutamenti in tempo utile. La fase dell orientamento alla vendita (marketing operativo) Il marketing operativo, o fase dell orientamento alla vendita, si sviluppa, nel nostro paese, intorno agli anni Sessanta, quando l offerta inizia, grosso modo, ad eguagliare la domanda. In questa fase, le imprese non possono più concentrarsi esclusivamente sullo sviluppo della capacità di produzione, ma hanno bisogno di migliorare la produttività della distribuzione tradizionale e di attivare nuove forme di distribuzione, nuovi canali di vendita: per questo motivo si parla di fase di orientamento alla vendita. Tra le nuove forme distributive che si diffondono in questa fase ricordiamo, in particolare, i self-service. Se nella fase del marketing passivo ci si preoccupava esclusivamente dei clienti diretti, con lo sviluppo di nuove forme di distribuzione, come i self-service, non è più possibile considerare solo i distributori, ma bisognerà considerare anche i consumatori finali: l obiettivo, quindi, diventa quello di controllare l accesso alla domanda finale. Inoltre, la saturazione della domanda determina l esigenza di rivolgersi a nuovi mercati, perciò assistiamo ad un allargamento dei mercati e all allontanamento, fisico e psicologico, tra produttori e consumatori. Come conseguenza di tutto questo, le imprese sono costrette a superare l ottica di produzione per orientarsi su un ottica di vendita e sono costrette a mettere in atto tutta una serie di tecniche di distribuzione, che si servono dei distributori, ma che hanno come obiettivo i consumatori finali. Tra le nuove tecniche di distribuzione ricordiamo, in particolare, quella selettiva e quella esclusiva: con la tecnica selettiva, l impresa seleziona i punti vendita che colleghino, nel miglior modo possibile, il prodotto al consumatore finale; con la tecnica esclusiva, l impresa si dota di punti vendita propri o dei cosiddetti concessionari di zona, cioè punti vendita legittimati a vendere in esclusiva determinati prodotti in un determinato territorio. Inoltre, nella fase precedente, i prodotti non avevano bisogno di marchi identificativi, perché si vendevano da soli, ma, con la nascita di nuove forme di distribuzione, i clienti hanno bisogno di conoscere i prodotti, perciò si sviluppa la politica di marca e la pubblicità di massa. È in questo contesto che cominciano a svilupparsi le imprese multinazionali (o multi-domestiche) potenti. Riassumendo, le cause del marketing operativo sono: - necessità di migliorare la produttività della distribuzione tradizionale; - necessità di nuove forme di distribuzione, principalmente il self-service; - obiettivo strategico di controllo dell accesso alla domanda finale; - l allargamento geografico del mercati e l allontanamento, fisico e psicologico, tra produttori 9

10 e consumatori. Le conseguenze del marketing operativo, invece, sono: - il marketing operativo mette l accento sull ottica di vendita; - sviluppo di sistemi di distribuzione selettiva o esclusiva; - sviluppo della politica di marca e della pubblicità di massa; - sviluppo di imprese multinazionali (o multi-domestiche) potenti; Le ipotesi implicite dell ottica del marketing operativo, ossia un ottica di vendita, sono: - il mercato è in grado di assorbire tutto, se si esercita una pressione sufficiente; - l impresa deve creare una funzione di vendita potente e utilizzare in modo aggressivo promozioni e pubblicità; I limiti di quest ottica sono: - rischio di manipolazione o di marketing selvaggio ; - l obiettivo diviene piegare la domanda alle esigenze dell offerta, invece di adattare l offerta alle attese della domanda. La fase dell orientamento al cliente (marketing strategico) Il marketing strategico, o fase dell orientamento al cliente, si sviluppa quando l offerta comincia ad eccedere la domanda nella maggior parte dei settori. In questo momento si assiste anche ad un abbreviarsi del ciclo di vita dei prodotti, come risultato di un accelerazione, generalizzazione e sistematizzazione della ricerca scientifica. Inoltre, il marketing tende ad evolvere, a passare da un marketing di massa ad un marketing individualizzato o su misura, cioè basato sulle specifiche esigenze dei clienti. Ancora, si assiste ad un internazionalizzazione dell Europa e dell economia mondiale. In conseguenza della saturazione della domanda, l impresa non può assolutamente permettersi di dimenticarsi dei clienti. Infatti, i clienti, per soddisfare i propri bisogni, hanno a disposizione più prodotti di quelli che in realtà occorrerebbero loro, perciò hanno la possibilità di scegliere, di esprimere delle preferenze, che non necessariamente coincidono con quelle degli altri clienti. Attraverso un grafico, possiamo rappresentare le preferenze espresse dai clienti. La maggior parte dei clienti, si concentra nel centro del grafico, in quello che viene chiamato nucleo centrale del mercato. Al di fuori di questa zona rimangono delle code, che il marketing passivo e il marketing operativo non avevano alcun bisogno di considerare, dal momento che i prodotti realizzati nei periodi precedenti venivano tranquillamente assorbiti dal nucleo centrale. Ma se l offerta comincia ad accedere la domanda, per trovare nuovi clienti da soddisfare, le imprese non possono fare altro che concentrarsi sulle code, dove la domanda sarà inferiore rispetto al nucleo centrale, ma può essere comunque di una certa attrattiva. Si comincia quindi a segmentare i mercati in maniera molto più fine rispetto al passato, per guidare la politica di prodotto. Inoltre, l abbreviarsi del ciclo di vita dei prodotti influenza notevolmente il marketing, che dovrà necessariamente interfacciarsi sempre più con la funzione ricerca e sviluppo e con la funzione produzione, per non rischiare che l impresa rimanga tagliata fuori dal progresso tecnologico. Ancora, in questo contesto, si sviluppa il sistema di gestione della marca (o brand management). Infine, nell ambito dell impresa, si sviluppa un sistema informativo di mercato continuo, cioè si 10

11 sviluppano tutte le tecniche di ricerca di mercato che consentono di conoscere a fondo i bisogni e le esigenze dei clienti. Riassumendo, la cause del marketing strategico sono: - saturazione dei bisogni corrispondenti alla maggioranza del mercato in vari settori; - abbreviarsi del ciclo di vita dei prodotti risultato di un accelerazione, generalizzazione e sistematizzazione della ricerca scientifica; - evoluzione da un marketing di massa verso un marketing individualizzato o su misura; - internazionalizzazione dell Europa e dell economia mondiale. Le conseguenze del marketing strategico, invece, sono: - l impresa è orientata all acquirente o al cliente; - la segmentazione dei mercati è utilizzata per guidare la politica di prodotto; - la strategia di innovazione deriva dall interazione Marketing-R&S-Produzione ; - il sistema di gestione della marca (brand management) è utilizzato per applicare il marketing strategico; - sviluppo di un sistema informativo di mercato continuo. Le ipotesi implicite dell ottica del marketing strategico, ossia un ottica del cliente, sono: - la soddisfazione del cliente è l obiettivo primario dell impresa, perché è il miglior modo per raggiungere gli obiettivi di redditività e/o di crescita; - l orientamento è verso il cliente. I limiti di quest ottica sono: - i desideri dei consumatori non coincidono per forza con i loro interessi di lungo termine; - i bisogni dei consumatori non sempre coincidono con quelli della collettività; - una strategia esclusivamente guidata dai desideri del mercato tende a favorire le innovazioni minori e meno rivoluzionarie rispetto a quelle proposte dai laboratori. La fase dell orientamento al mercato (market-driven management) Il market-driven management, o fase dell orientamento al mercato, costituisce la naturale evoluzione del marketing strategico, o fase di orientamento al cliente. Tuttavia, questa evoluzione non va a toccare solo la funzione marketing: il termine stesso indica che tutto il management aziendale deve essere trainato dal mercato. Inoltre si tratta di un evoluzione che ancora non è stata recepita da tutte le imprese, nemmeno all interno delle economie più sviluppate. Le condizioni che hanno portato allo sviluppo del market-driven management sono: - elevata complessità dei mercati: già nella fase di marketing operativo avevamo parlato di allargamento dei mercati, e nella fase di marketing strategico avevamo sottolineato come questa caratteristica si accentuasse via via sempre di più. Attualmente, i mercati stanno diventando sempre più globalizzati, sempre più complessi e le imprese devono trovare il modo migliore per muoversi al loro interno; - rivoluzione delle nuove tecnologie dell informazione e della comunicazione (e-commerce): all arena competitiva classica, costituita dai mercati tradizionali, se ne aggiunge una totalmente nuova, costituita dai mercati elettronici, tra i quali ricordiamo Internet; - emergere di nuovi valori che promuovono uno sviluppo sostenibile: negli ultimi anni, si è assistito ad un crescente interesse nei confronti dell ambiente, cosa che ha portato all intensa promozione di uno sviluppo sostenibile. Tutte queste condizioni spingono le imprese ad orientarsi sempre più verso l intero mercato, anziché verso il singolo cliente, ossia a sviluppare il market-driven management, le cui caratteristiche sono: - orientamento agli attori principali del mercato (clienti, concorrenti, distributori, prescrittori, ecc): il concetto di mercato è senza dubbio un concetto molto ampio; al suo interno troviamo i cliente, ma anche una serie di altri attori, definiti stakeholders, di cui l impresa non può non tener conto. Quindi, le imprese che adottano il market-driven management, cercheranno di soddisfare le esigenze di tutti gli attori del mercato, non solo quelle dei propri clienti; 11

12 - attenzione non solo alle richieste del mercato, ma anche alla spinta tecnologica dell impresa: avevamo visto che l orientamento al marketing strategico di risposta è uno dei principali limiti della fase di orientamento al cliente, o marketing strategico. Con il merktdriven management, invece, le imprese puntano molto di più sul marketing strategico di creazione dell offerta, che favorisce le innovazioni radicali, anziché le innovazioni incrementali; - tutte le funzioni dell impresa devono essere rivolte al mercato: nelle tre fasi precedenti avevamo focalizzato l attenzione solo sulla funzione marketing. Parlando di market-driven management, questo non è più possibile, perché si ritiene che la prospettiva di orientamento al mercato debba permeare tutte le funzioni aziendali, non solo il marketing; - integrazione tra la dimensione cultura, analisi e azione: il market-driven management dovrebbe diventare una sorta di cultura, di filosofia per le imprese. Prevede inoltre una fase di analisi, rivolta non solo nei confronti dei clienti, bensì nei confronti di tutti gli attori del mercato, e una fase di azione. In pratica, il market-driven management si propone di coordinare il marketing strategico, orientato all analisi, e il marketing operativo, orientato invece all azione, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali e diventando così una cultura per l intera impresa. Il concetto di orientamento al mercato Parlando del market-driven management, abbiamo più volte detto che l impresa deve essere orientata al mercato, costituito da tutta una serie di attori. Vediamo quindi quali sono i principali attori che compongono il mercato: - clienti: i clienti si possono distinguere in acquirenti, utilizzatori e paganti. Generalmente, le decisioni vengono prese da chi effettua l acquisto, perciò è importante capire chi sia questo soggetto, in modo da predisporre tecniche di marketing specifiche per quella tipologia di soggetto. - concorrenti: per un impresa è molto importante monitorare il comportamento strategico dei propri concorrenti principali, per individuarne punti di forza e debolezze, in modo da trarne vantaggio; - distributori e fornitori: i fornitori ricoprono un ruolo molto importante per le imprese, ma ancora più importanti sono i distributori. Infatti, per determinate tipologie di beni, ad esempio i beni di largo consumo, i distributori hanno molto più potere contrattuale dei produttori, perché possono liberamente decidere quali prodotti inserire e quali prodotti escludere dalla propria gamma. I distributori si assumono il rischio della vendita, ossia acquistano i beni dai produttori e, se non riescono a venderli, saranno costretti a tenerli in magazzino o addirittura a buttarli, se si tratta di beni soggetti a scadenza; perciò, è abbastanza logico che i distributori selezionino attentamente i prodotti da acquistare. Ciò fa sì che difficilmente i distributori inseriscano nelle proprie referenze nuovi prodotti e nuovi marchi, anche perché lo spazio di esposizione della merce è limitato, e i distributori non hanno alcuna intenzione di destinarne una parte a beni che rischiano di restare invenduti. I nuovi entranti, quindi, dovranno pagare, cioè offrire i propri prodotti a prezzi scontati per far sì che questi vengano accettati tra le referenze dei distributori. Inoltre, anche dopo essere stati accettati dai distributori, difficilmente i nuovi prodotti verranno collocati subito su scaffali posti ad altezza occhi, e quindi più visibili. I nuovi entranti, quindi, dovranno pubblicizzare notevolmente i propri prodotti, per far sì che i clienti li cerchino appositamente e li rendano così graditi ai distributori. Solo dopo che il prodotto si è affermato, i distributori saranno disposti a rinunciare agli sconti e a collocarlo sugli scaffali in modo tale da renderlo ben visibile alla clientela; - prescrittori: i prescrittori sono i soggetti che prescrivono o consigliano l acquisto di un determinato prodotto. I prescrittori per eccellenza sono i medici, dal momento che, senza il loro intervento, tanti medicinali non potrebbero essere acquistati. Ma prescrittori sono anche 12

13 molti altri soggetti, ad esempio gli architetti, che consigliano i materiali da acquistare ai clienti totalmente privi di esperienza in quel settore. In tutti i casi in cui l acquisto risulta mediato dai prescrittori, le imprese dovranno tener conto di questi soggetti più che dei clienti stessi, e dovranno perciò predisporre tecniche di marketing rivolte nei loro confronti, anziché nei confronti della clientela; - ambiente di macro-marketing: l ambiente di macro-marketing comprende tutti gli altri stakeholder che possono in qualche modo influenzare l impresa, e che perciò l impresa è tenuta a monitorare (associazioni di categoria, associazioni dei consumatori, ambientalisti, soggetti istituzionali, ecc). In particolare, all interno dell ambiente di macro-marketing troviamo: fattori socio-culturali, tecnologia, economia, ecologia, fattori politico-legali. L orientamento al mercato, quindi, è una cultura di business, diffusa nell organizzazione d impresa attraverso il coordinamento interfunzionale, con l obiettivo di progettare e promuovere, a condizioni redditizie per l impresa, soluzioni di valore superiore dirette ai clienti diretti e indiretti e agli altri stakeholder coinvolti nel mercato. Come si può osservare, questa definizione riunisce quelli che avevamo definito i tre pilastri del marketing: l orientamento al cliente, o meglio, al mercato; il coordinamento interfunzionale; la redditività dell impresa. Riunisce inoltre le tre dimensioni che avevamo definito fondamentali per parlare di orientamento al mercato: la cultura; l analisi; l azione. 03 ottobre 2012 Analizziamo più nel dettaglio le tre dimensioni che compongono il concetto di orientamento al mercato. - Cultura l orientamento al mercato deve essere una filosofia di business, che pone l accento sul processo di creazione di valore non solo per i clienti, ma per tutti gli attori che partecipano al mercato. Tale filosofia di business, inoltre, deve essere compatibile con l obiettivo di sviluppo di nuovi valori all interno dell impresa, in particolare quello di sostenibilità, e con l obiettivo di generare redditività per l impresa stessa. - Analisi le capacità strategiche dell impresa devono essere in grado di sviluppare strumenti atti a comprendere e anticipare i bisogni dei clienti e di progettare e promuovere soluzioni di valore sostenibili atte a risolvere i problemi dei clienti e che si differenzino rispetto a quelle progettate e promosse dai concorrenti. - Azione gli strumenti di marketing operativo devono rendere la proposta di valore dell impresa conosciuta, cioè devono comunicare le differenze di tale proposta di valore rispetto alle proposte di valore dei concorrenti; devono inoltre rendere la proposta di valore comodamente accessibile, sia in termini di luogo sia in termini di tempo rispetto all attività di comunicazione; devono infine fissare un prezzo per la proposta di valore che sia accettabile dai clienti target. Confronto tra il concetto tradizionale di marketing e il concetto di orientamento al mercato Andiamo infine ad analizzare le differenze principali tra il concetto tradizionale di marketing, o marketing strategico, a cui tutte le imprese delle economie sviluppate sono già arrivate, e il concetto di orientamento al mercato, o market-driven management, a cui non sono ancora arrivate tutte le imprese, nemmeno all interno delle economie sviluppate. In primo luogo, il marketing strategico è orientato al cliente, mentre il market-driven management è orientato al mercato, il che significa che è sicuramente orientato al cliente, ma non dimentica le esigenze degli altri attori. In secondo luogo, il marketing strategico si basa su modelli di innovazione market-pull, i quali, come abbiamo già detto, hanno il limite di dare luogo esclusivamente ad innovazioni incrementali; il market-driven management, invece si basa su modelli di innovazione market-pull e technologypush, cioè mette insieme le due possibili tipologie di marketing strategico, favorendo così sia le 13

14 innovazioni incrementali, sia le innovazioni radicali. Inoltre, il marketing strategico, sebbene richiami l attenzione sulla parte di analisi, è spesso orientato molto all azione, e concentra quindi il massimo sforzo sulle leve operative del marketing mix; il market-driven management, invece, si basa sull approccio di soluzione ai problemi del cliente, cioè sviluppa in modo analogo la parte di marketing strategico, orientata all analisi, e la parte di marketing operativo, orientata all azione. Tale differenza viene messa in risalto dai budget destinati alle due sezioni: se il marketing strategico destina più risorse alle leve operative che al marketing strategico, il market-driven management destina grosso modo la stessa quantità di risorse a entrambe le sezioni. Infine, il marketing strategico si limita a considerare la funzione marketing, mentre il market-driven management è una cultura organizzativa diffusa a tutti i livelli e in ogni funzione dell organizzazione. Marketing e globalizzazione In conseguenza del fenomeno della globalizzazione di cui tanto si sente parlare, i mercati con cui attualmente possiamo entrare in contatto diventano sempre più globali. I mercati globali possono essere di due tipi: - Mercati globali tradizionali (Global Traditional Markets, GTM); - Mercati globali elettronici (Global Electronic Markets, GEM). All interno di entrambe queste tipologie di mercato, l approccio di marketing dovrebbe essere sempre quello dell orientamento al mercato. Tuttavia, all interno dei mercati globali elettronici, tra i quali dobbiamo senza dubbio ricordare Internet, gli attori con cui entrano in contatto le imprese e che quindi devono essere presi in considerazione sono molti di più rispetto a quelli che possiamo trovare all interno dei mercati globali tradizionali. All interno dei mercati globali gli attori sono: - clienti diretti e clienti finali: sono i clienti che acquistano direttamente i prodotti, e i clienti cui il prodotto è realmente indirizzato, cioè i consumatori finali; - partner e domanda indiretta: i partner sono i soggetti con cui un impresa decide di allearsi per ottenere determinati vantaggi, ad esempio per ridurre i costi di comunicazione; la domanda indiretta invece è rappresentata dai consumatori di prodotti realizzati da altre imprese, i quali, però, incorporano prodotti realizzati dall impresa di riferimento; - distributori e rivenditori nei mercati globali tradizionali; - concorrenti diretti e produttori di beni sostitutivi: i concorrenti diretti di un impresa sono i soggetti che producono il suo stesso bene; i produttori di beni sostitutivi sono invece i soggetti che producono beni diversi rispetto a quelli prodotti da una determinata impresa, ma volti a soddisfare la stesso tipologia di bisogni; - influenzatori e prescrittori: sono i soggetti che consigliano o prescrivono l acquisto di determinati prodotti alla clientela finale; - e-trailer ed e-marketplace: questi attori si trovano solo all interno dei mercati globali elettronici. Gli e-trailer sono i dettaglianti elettronici che, come i dettaglianti tradizionali, vendono i beni ai consumatori finali; gli e-marketplace sono invece i soggetti che creano dei veri e propri mercati elettronici, all interno dei quali si incontrano venditori e compratori diversi (funzionano più nel B2B che nel B2C); - facilitatori di mercato: sono i soggetti che facilitano la relazione commerciale, anche di tipo elettronico, tra imprese e consumatori (sono ad esempio, le imprese logistiche di trasporto, le imprese che offrono servizi bancari on-line, servizi di sicurezza dei pagamenti, servizi doganali, servizi fiscali, ecc); - altri stakeholder di mercato. All interno dei mercati globali, sia di tipo tradizionale, sia di tipo elettronico, è importante che le imprese siano orientate al mercato: studi approfonditi hanno dimostrato che un impresa orientata al mercato è destinata, nel lungo periodo, a migliorare la sua performance economica e concorrenziale. 14

15 I principali motivi di questo fatto sono: - I clienti soddisfatti sono più fedeli, più ricettivi verso le innovazioni, più disponibili ad accettare un prezzo maggiore: se l impresa è orientata al mercato soddisfa i clienti, e questo instaura una sorta di circolo virtuoso: i clienti soddisfatti sono più fedeli, e quindi meno costosi per l impresa; inoltre, i clienti soddisfatti sono più ricettivi verso le innovazioni, cioè sono maggiormente disposti a provare le innovazioni proposte da una marca che conoscono e apprezzano; ancora, i clienti soddisfatti sono più disponibili ad accettare un prezzo maggiore, perché, se un determinato prodotto o servizio soddisfa al meglio i loro bisogni, gli riconoscono un valore per cui sono disposti a pagare di più. - Un sistema di monitoraggio della concorrenza rende consapevoli dei punti di forza e di debolezza: un impresa orientata al mercato tiene conto di tutti gli attori con cui entra in contatto, specialmente dei concorrenti. Monitorare i concorrenti è molto importante, perché ciò consente di conoscere i loro punti di forza e di debolezza, per poi impostare soluzioni che portino l impresa ad ottenere un vantaggio competitivo;. - Le imprese che hanno stretto un alleanza con i propri distributori sono in grado di ridurre i costi di gestione: un impresa orientata al mercato prenderà in considerazione anche le esigenze dei propri fornitori, con cui cercherà di instaurare un rapporto stabile e duraturo, magari attraverso lo sviluppo di accordi di lungo termine. In una situazione di questo tipo è probabile che i fornitori siano più disponibili a concedere sconti all impresa, che riduce così i suoi costi e aumenta la sua redditività. - Le imprese che lavorano a stretto contatto con gli influenzatori possono migliorare il processo di sviluppo di nuovi prodotti e possono ricevere il sostegno di gruppi di riferimento: un impresa orientata al mercato cercherà di sviluppare buone relazioni con gli influenzatori di mercato, in modo da poter innovare o da poter ricevere giudizi positivi che influenzino l opinione dei clienti. Marketing internazionale Negli ultimi anni è emersa l importanza del marketing internazionale a causa dei processi di globalizzazione e internazionalizzazione dei mercati. Della globalizzazione sono state date varie definizioni. Ad esempio: l insieme dei processi che contribuiscono all eliminazione delle barriere regionali, che facilitano il movimento dei capitali, dei prodotti e delle informazioni a livello mondiale, e la convinzione che il mondo funzioni come un unico mercato integrato. processo storico mediante il quale le economie, società e culture regionali diventano integrate attraverso un network globale di comunicazione, trasporto e scambio. In un contesto sempre più caratterizzato dalla globalizzazione, le imprese non possono più limitarsi a considerare solo il proprio mercato nazionale, perché la domanda potenziale sarebbe troppo limitata. Le imprese devono perciò rivolgersi ai mercati esteri e il marketing, in particolare, deve andare alla ricerca di aspetti positivi da sfruttare, senza dimenticarsi che le caratteristiche dell economia e della cultura in paesi esteri possono essere molto diverse da quelle del proprio paese d origine. Si può quindi dare una definizione del marketing internazionale: il marketing internazionale configura un estensione dell azione di marketing domestico dell impresa e pertanto definisce l insieme delle attività di business mirate alla penetrazione di uno o più paesi stranieri, attraverso un adeguata pianificazione delle condotte di mercato e delle relative scelte operative. Il marketing internazionale, quindi, non è altro che un estensione del marketing domestico: i principi di fondo sono sempre gli stessi; semplicemente dovranno essere applicati ad un contesto più complesso. In particolare, il contesto internazionale è caratterizzato da: - maggiore incertezza; - minore conoscenza; - numerosi elementi difficilmente controllabili. È abbastanza facile immaginare che, se un impresa entra in contatto con paesi e culture totalmente 15

16 sconosciute, ha una maggiore probabilità di sbagliare e di immettere sul mercato prodotti che poi non vendono. L impresa dovrà quindi analizzare attentamente il contesto all interno del quale va ad agire, raccogliendo tutte le informazioni possibili per operare al meglio. I fattori che influenzano il marketing internazionale sono quelli già considerati per i mercati domestici, riferiti però anche ai mercati internazionali. Ovvero: - fattori controllabili: caratteristiche dell impresa, prezzo, prodotto, promozione, canali distributivi, ricerche, ecc; - fattori non controllabili ambiente domestico: forze politico-legislative, struttura competitiva, clima economico, ecc; - fattori non controllabili - ambiente estero: forze politico-legislative, forze economiche, forze culturali, forze competitive, geografia e rete infrastrutturale, livello di tecnologia, struttura distributiva, ecc. Ovviamente, i fattori non controllabili che riguardano l ambiente estero (tra cui la cultura svolge un ruolo molto importante) dovranno essere considerati in riferimento ad ogni singolo paese estero con cui un impresa entra in contatto. Per fare un esempio di come la cultura è in grado di influenzare il successo di un prodotto possiamo pensare all introduzione delle lavatrici sul mercato italiano, avvenuta intorno agli anni Sessanta. Le prime lavatrici, ovviamente, erano molto più semplici di quelle attuali, ma disponevano già di tutte le funzionalità principali; tuttavia, in un primo momento, tale prodotto non fu accolto con particolare entusiasmo. Gli studiosi condussero un analisi di mercato per capire le motivazioni alla base del basso livello delle vendite e scoprirono che le casalinghe non apprezzavano il nuovo elettrodomestico perché dava loro l idea di perdere valore all interno della famiglia. Per incentivare le vendite decisero quindi di eliminare dalle lavatrici la funzione centrifuga, sostituendola con una manovella che consentisse alle casalinghe di svolgere comunque un certo ruolo. Una volta che il prodotto fu accettato dal mercato, la manovella è stata ovviamente eliminata, per passare al definitivo utilizzo della centrifuga tradizionale. 09 ottobre 2012 In generale, quindi, ogni paese in cui l impresa va ad operare ha una cultura e una visione delle cose specifica, che ne caratterizza istituzioni e regole, e di cui l impresa non può non tener conto. In questo contesto, l impresa non deve assolutamente commettere certi errori: - lasciarsi guidare da visioni stereotipate, cioè utilizzare sempre come riferimento di base la propria cultura e la propria visione delle cose. Ciò può portare a conseguenze pesanti per l intera impresa, ma soprattutto per il marketing, sia per quanto riguarda le relazioni, sia per quanto riguarda l analisi dei bisogni dei clienti; - dare superficiali letture del contesto. Nel marketing internazionale occorre approfondire molto di più la parte del marketing strategico, ossia la parte di analisi dei bisogni dei clienti; la parte del marketing operativo verrà poi di conseguenza; - considerare una strategia vincente in un paese valida ovunque. Non bisogna mai considerare valida in ogni contesto una strategia solo perché questa si è rivelata vincente nel proprio paese d origine. Riassumendo, l imprescindibile necessità di adattare e modulare adeguatamente un programma di marketing al mercato non domestico, richiede al marketer una buona capacità di interpretazione degli impatti e dell influenza dei singoli aspetti esogeni sulle scelte di marketing che egli ritiene di realizzare. Nell affrontare contesti di mercato non familiari, i manager devono essere consapevoli che i loro schemi di ragionamento e valutazione, sociale e relazionale, sono frutto dell esperienza maturata nel contesto domestico che, culturalmente parlando, è a loro familiare (pericolo autoreferenzialità ed etnocentrismo). A questo punto, occorre analizzare quali sono i possibili orientamenti strategici al marketing internazionale. Vi sono sostanzialmente tre alternative, ognuna delle quali risulta legata ad una 16

17 specifica modalità con cui le imprese possono operare sui mercati esteri: - estensione del mercato domestico: prevede che gli stessi prodotti o servizi che l impresa produce o eroga nel proprio mercato domestico vengano venduti, con adattamenti minimi o nulli, all interno dei mercati esteri. Questa strategia può essere attuata solo in mercati vicini, soprattutto dal punto di vista culturale, al proprio mercato domestico. Si parla, in questo caso, di orientamento etnocentrico, perché l impresa mette al centro delle proprie decisioni la propria cultura di riferimento; - mercato multidomestico: prevede che l impresa consideri come domestici tanti mercati diversi, ossia che adatti i prodotti o servizi che vende ai singoli mercati domestici in cui si trova ad operare. Si tratta però di adattamenti molto più significativi rispetto a quelli previsti per l estensione del mercato domestico, che possono portare addirittura alla creazione di prodotti ad hoc per ogni mercato domestico in cui l impresa agisce. Si parla, in questo caso, di orientamento policentrico, perché l impresa considera come domestici tutti i mercati che va ad esplorare, realizzando prodotti specifici per ciascuno di essi; - marcato globale: prevede che l impresa consideri i mercati in cui opera come un unico mercato globale, caratterizzato da bisogni ed esigenze simili. È la strategia perseguita dalle imprese che seguono in pieno il concetto di globalizzazione. Si parla, in questo caso, di orientamento geocentrico, perché l impresa considera i singoli mercati che esplora come un unico mercato globale. L estensione del mercato domestico è la strategia perseguita dall impresa che ricerca un ampliamento quantitativo delle proprie vendite (aumento dei volumi) a portafoglio prodotti/brand costante Si tratta di una strategia necessaria quando, all interno del mercato domestico, non c è più possibilità di crescita, a causa della saturazione della domanda: in questa situazione, l impresa può tentare di aumentare le proprie quote di mercato rubando quelle dei concorrenti, ma si tratta di una strategia dispendiosa, perché richiede una grande aggressività; in alternativa, l impresa può individuare altri mercati, all interno dei quali poter entrare con lo stesso portafoglio di prodotti o servizi che ha a disposizione. Ovviamente, in questa seconda ipotesi, l impresa deve individuare i mercati più idonei, ossia quelli che presentano caratteristiche simili a quelle del proprio mercato domestico. L impresa dovrà poi provvedere, se necessario, ad adattamenti minimi dei prodotti o servizi offerti (gli adattamenti possono riguardare, ad esempio, la lingua delle istruzioni, o il nome del prodotto), mantenendo però le stesse condizioni di offerta all interno di tutti i mercati e per tutti i clienti. Riassumendo, le caratteristiche della strategia di estensione del mercato domestico sono: - allargamento continuo dei mercati; - minimo livello di adattamento delle varie componenti dell offerta di marketing; - medesime condizioni di offerta che si seguono per i clienti nazionali; - ricerca di mercati con una domanda simile a quella domestica. Adottano invece un orientamento strategico di mercato multidomestico le imprese che si devono confrontare con le differenze esistenti nei vari mercati (oppure considerano premiante l andare a ricercarle e soddisfarle) e i cui conti ormai non possono prescindere dall estensione internazionale del business. Con questa seconda strategia l impresa considera ogni mercato in cui opera come un mercato domestico, perciò cercherà di adattarsi il più possibile alle esigenze di ciascun mercato, sviluppando e realizzando prodotti o servizi pensati esclusivamente per quel contesto. Ovviamente, tutto questo non è realizzabile rimanendo nel mercato d origine: l impresa dovrà quindi dotarsi di una struttura policentrica, ossia dovrà creare una propria struttura all interno di ogni mercato in cui opera, e ogni struttura avrà una propria autonomia, perché avrà il compito di adattare i prodotto o servizi offerti a quel determinato contesto, o, addirittura, di sviluppare prodotti o servizi specifici per quel determinato contesto. Per quanto riguarda la funzione marketing, essa dovrà operare country-by-country, cioè dovrà esserci un responsabile marketing all interno di ogni contesto in cui l impresa opera, il quale dirigerà una struttura incaricata di analizzare i bisogni e le esigenze dei clienti nel proprio contesto di riferimento. 17

18 Riassumendo, le caratteristiche della strategia di mercato multidomestico sono: - articolazione dell impresa in società consociate su base geografica; - concezione di marketing country-by-country, con separate e apposite strategie di mercato per ciascun paese. La strategia del mercato globale è l approccio più visionario, che interpreta il mondo come un tutt uno e che, per servirlo, concepisce un sistema d impresa e un modello di business essenzialmente specifico: è ciò che è noto come global company. Con quest ultima strategia, l impresa considera i mercati come un unico mercato globale. È la strategia adottata dalle imprese più legate alla globalizzazione, che però non sono molte, perché non sono molti i prodotti che possono essere considerati effettivamente globali (alcuni marchi globali sono, ad esempio, cocacola, google, intel, ecc). Considerare i mercati come un unico mercato globale comporta una serie di effetti positivi per le imprese. Il primo fra tutti è il raggiungimento di economie di scala, ossia la riduzione dei costi medi unitari all aumentare della produzione. Le economie di scala possono essere raggiunte, in primo luogo, all interno della funzione produzione, ma possono essere raggiunte anche all interno di tante altre funzioni, e allora prendono il nome di economie di scala gestionali. Ad esempio, si possono avere economie di scala all interno della funzione marketing, perché ci sarà un unico responsabile e un unica struttura che si occupa di tutti i mercati in cui l impresa opera, sarà realizzata un unica campagna pubblicitaria, ecc; ma le economie di scala si possono avere anche all interno della funzione ricerca e sviluppo, perché ci sarà un unico centro e l innovazione dovrà essere fatta una sola volta per poi essere implementata all interno di tutti i contesti; e così via. In generale, la strategia di mercato globale consente di rendere il più standardizzate possibile tante funzioni diverse, e la standardizzazione, ovviamente, comporta riduzioni di costo. Naturalmente, rispetto alla strategia di mercato multidomestico, in questo caso non bisognerà cercare le differenze tra i vari mercati, bensì i punti di affinità, le caratteristiche che i clienti di tutti i mercati ricercano in una determinata tipologia di prodotto, che dovrà quindi soddisfare la media dei consumatori a livello globale. Ricorrendo a questa strategia, è naturale che permangano delle nicchie di consumatori non soddisfatti, ma ciò non è importante per l impresa, che deve puntare su quello che avevamo definito il nucleo centrale del mercato. Riassumendo, le caratteristiche della strategia di mercato globale sono: - raggiungimento di economie di scala; - approcci al mercato quanto più possibile standardizzati. Standardizzazione o adattamento? Tutti gli approcci al marketing internazionale visti finora si riducono ad un dilemma fondamentale: scegliere tra standardizzazione e adattamento. Ovviamente, la standardizzazione porta verso la strategia di mercato globale, mentre l adattamento porta verso la strategia di mercato multidomestico. Per scegliere tra standardizzazione e adattamento bisogna analizzare il contesto con cui si ha a che fare. Per facilitare la decisione, gli autori Goshal e Nohria hanno proposto un analisi dell ambiente internazionale di tipo matriciale, in cui le variabili considerato sono le forze di standardizzazione globale e le forze di responsabilità locale: le prime spingono verso la standardizzazione, mentre le seconde spingono verso l adattamento. Mettendo su due assi queste tipologie di forse e distinguendole in forti e deboli, otteniamo quattro quadranti che corrispondono ad altrettanti contesti in cui applicare tecniche di marketing diverse. 18

19 Nel quadrante in alto a sinistra troviamo un contesto caratterizzato da forze di standardizzazione globale forti e forze di responsabilità locale deboli: in questo contesto è possibile adottare la strategia di mercato globale, standardizzando i prodotti e servizi offerti. Nel quadrante in basso a destra, viceversa, troviamo un contesto caratterizzato da forze di standardizzazione globale deboli e forze di responsabilità locale forti: in questo contesto è possibile adottare la strategia di mercato multidomestico, adattando in maniera molto spinta i prodotti e servizi offerti. Nel quadrante in basso a sinistra troviamo invece un contesto caratterizzato sia da forze di standardizzazione globale sia da forze di responsabilità locale deboli: in questo caso si parla di ambienti internazionali tranquilli, e al loro interno non ci sono forze che spingano verso la standardizzazione o verso l adattamento. Si tratta di un contesto tipico di business particolari, come quello delle materie prime o quello del cemento. Nel quadrante in alto a destra troviamo infine un contesto caratterizzato sia da forze di standardizzazione globale sia da forze di responsabilità locale forti: in questo caso si parla di ambienti transazionali, e al loro interno ci sono sia forze che spingono verso la standardizzazione sia forze che spingono verso l adattamento. Le imprese dovranno perciò cercare di adattarsi al contesto di riferimento, ma, dove possibile, dovranno cercare di standardizzare e raggiungere economie di scala. Bisognerà mediare tra l adattamento spinto e la standardizzazione totale. Un esempio tipico di questo contesto è dato dal mercato della birra, che è sì un prodotto globale, ma è anche un prodotto di cui ogni popolo ha la propria cultura. Vantaggi e svantaggi della globalizzazione del marketing La globalizzazione del marketing presenta vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono: - economie di scale: come abbiamo già visto, la globalizzazione consente il raggiungimento di tutta una serie di economie di scala gestionali, tra cui troviamo anche quella del marketing. Ciò è possibile perché si avrà, per tutti i contesti in cui l impresa opera, un unico responsabile marketing, un unica struttura, un unica campagna pubblicitaria, ecc; - velocità di introduzione nei nuovi mercati: le imprese che utilizzano una strategia di mercato globale, e operano quindi con una funzione marketing centralizzata, sono molto più rapide nell introduzione di nuovi prodotti di quanto non lo siano invece le imprese legate alle specifiche caratteristiche dei singoli contesti. Infatti, se il responsabile marketing è uno solo e la struttura è centralizzata, tutte le decisioni verranno prese all interno di questa unica struttura, cosa che velocizza notevolmente il lancio di nuovi prodotti. La velocità di lancio di un prodotto prende il nome di time-to-market e, nel contesto attuale, si tratta di una variabile chiave ai fini del raggiungimento del vantaggio competitivo; - opportunità di creare un unica marca o un unica identità di marca a livello globale: le imprese che operano secondo una strategia di mercato globale, hanno la possibilità di distribuire lo stesso prodotto, con la stessa marca, all interno di tanti contesti diversi. Avere un solo marchio, conosciuto ovunque, comporta vantaggi sia dal punto di vista dei costi, sia dal punto di vista della facilità di distribuzione del prodotto. Gli svantaggi sono: - rallentamento delle decisioni di marketing dovuto alla centralizzazione: le imprese che 19

20 operano utilizzando una funzione marketing centralizzata saranno molto rapide nel time-tomarket, ma non saranno altrettanto rapide nel recepire le analisi di mercato relative ad un particolare contesto. Infatti, le informazioni provenienti dai mercati locali arrivano molto più lentamente ad una struttura centralizzata, rispetto ad una struttura autonoma situata in loco; - minore capacità di risposta per scarsa sensibilità alle condizioni dei mercati locali: se la funzione marketing è centralizzata, la struttura si troverà molto lontano dai singoli mercati locali e quindi avrà una minore capacità di risposta alle esigenze di tali mercati, dal momento che risulterà meno sensibile alle condizioni proprie dei singoli contesti; - prodotti sviluppati su un minimo comune denominatore e non in linea con le esigenze dei consumatori: le imprese che utilizzano un marketing centralizzato ideeranno prodotti pensando alle affinità e non alle differenze dei contesti di riferimento. I prodotti, quindi, saranno sviluppati sulla base dei gusti medi dei consumatori e certamente andranno bene per la maggioranza, ma non soddisferanno mai a pieno le esigenze di ciascun contesto in cui l impresa opera; - portafoglio di marca più vulnerabile: se l impresa ha creato un'unica marca, o un unico portafoglio di marche, a livello globale, tutti gli eventi negativi a livello locale che riguardano la marca o il portafoglio di marche avranno ripercussioni molto rapide a livello globale, influenzando quindi le vendite in qualunque contesto in cui l impresa è inserita. Fattori della globalizzazione I fattori che spingono verso la globalizzazione sono molteplici e possono essere raggruppati in quattro grandi categorie. - Fattori di mercato: omogeneità dei bisogni: la globalizzazione può essere favorita dalla tendenza all omogeneità dei bisogni, cosa che, negli ultimi anni, si è effettivamente verificata. Il canale internet e il marketing in sé hanno rappresentato un buon punto di partenza per questa tendenza; clienti globali: la globalizzazione può essere favorita anche dall emersione dei clienti globali, ossia clienti appartenenti ad una particolare fascia, che presentano le stesse esigenze in ogni paese, e che acquistano sempre le stesse marche globali, reperibili in ogni contesto. Nuovamente, negli ultimi anni si sono verificati trend a livello internazionale che hanno portato all emersione di questa tipologia di clienti; canali globali di distribuzione: la spinta verso la globalizzazione può arrivare anche dallo sviluppo di canali globali di distribuzione, che negli ultimi anni sono effettivamente nati; la grande distribuzione stessa si è internazionalizzata. - Fattori di costo: economie di scala e di esperienza: il vantaggio determinato dal raggiungimento di economie di scala e di esperienza, che consentono di ridurre i costi medi unitari all aumentare della produzione, rappresenta un fattore di spinta importante verso la globalizzazione ; efficienza nell approvvigionamento: avere fornitori globali consente di ottenere più facilmente sconti di quantità, che portano quindi ad efficienze di costo. Anche questo può rappresentare un incentivo per la globalizzazione efficienza logistica; costi di sviluppo dei prodotti: proporre lo stesso prodotto all interno di tutti i mercati comporta una notevole riduzione di costi di sviluppo del prodotto stesso, che verrà ideato una sola volta e non dovrà essere successivamente modificato. Nuovamente, la riduzione dei costi spinge verso la globalizzazione. - Fattori governativi: politiche commerciali: la globalizzazione è favorita da politiche commerciali impostate 20

21 sul libero scambio, mentre risulta rallentata da politiche commerciali basate sul protezionismo; standard tecnici compatibili: la classificazione simile di un prodotto in contesti diversi rappresenta un ulteriore spinta verso la globalizzazione. - Fattori competitivi: concorrenti globalizzati: l impresa può essere spinta verso la globalizzazione dalla presenza di concorrenti globalizzati. In questo caso, l impresa dovrebbe adeguarsi ai concorrenti per non rischiare di essere tagliata fuori dal business di riferimento; interdipendenza dei paesi: la vicinanza dei paesi dal punto di vista della governance delle imprese può essere un altro fattore di spinta verso la globalizzazione. 10 ottobre 2012 Il marketing strategico L analisi dei bisogni del cliente e del comportamento d acquisto L analisi dei bisogni dei clienti è la prima fase del marketing strategico e si tratta di una fase molto importante, dal momento che le imprese si trovano nella fase di orientamento al cliente, se non addirittura di orientamento al mercato. Andremo quindi a studiare come si sono evoluti nel tempo i bisogni dei clienti e quale sia il comportamento d acquisto del consumatore. Le motivazioni che stanno alla base del comportamento del cliente Per analizzare le motivazioni che stanno alla base del comportamento del cliente, il marketing integra tre prospettive: quella degli economisti, quella degli psicologi e quella dei sociologi. Gli economisti si preoccupano molto poco dei bisogni in sé e per niente delle motivazioni che stanno alle spalle di tali bisogni. Dal loro punto di vista, i bisogni acquistano rilevanza solo se portano ad un comportamento di consumo: ciò significa che essi si focalizzano solo sui risultati economici (acquisto) delle motivazioni (il bisogno dei consumatori corrisponde alla necessità di acquistare un bene). Il bisogno, quindi, deriva dalla mancanza di qualcosa, che provoca nell individuo una sensazione di disagio. Tale individuo dovrà quindi attivarsi per soddisfare il proprio bisogno attraverso l acquisto di un determinato bene o servizio, ritornando così in una situazione di equilibrio. Inoltre, secondo gli economisti, gli uomini sono soggetti razionali, perciò, il comportamento del cliente sarà il risultato di calcoli razionali, e il processo d acquisto seguirà determinate fasi. Se il cliente segue tali fasi, in linea teorica dovrebbe acquistare il bene o il servizio che soddisfi al meglio il suo bisogno. In particolare, la prima fase del processo d acquisto è la valutazione di tutte le opzioni che il cliente ha a disposizione per soddisfare il proprio bisogno. Ovviamente, la qualità delle valutazioni dipenderà dal tempo che il cliente decide di impiegare per raccogliere informazioni e ponderare la propria decisione. Dopo aver valutato le possibili alternative, il cliente sceglierà la migliore in termini di preferenze e di reddito disponibile. Ciò significa che la scelta della soluzione migliore per il cliente è soggettiva e dipenderà dall interazione tra le due variabili indicate, cioè preferenze e reddito disponibile. È poi importante osservare che, secondo gli economisti, le preferenze dei consumatori tendono ad essere note, omogenee e stabili nel tempo, in virtù del fatto che i consumatori sono soggetti razionali. In realtà, non è così: il sistema delle preferenze varia da individuo ad individuo ed è soggetto a mutazioni nel corso del tempo. La prospettiva economica, quindi, è importante perché uno degli obiettivi del marketing è generare redditività, ma non riesce a spiegare fino in fondo i bisogni; inoltre non dice assolutamente nulla circa le motivazioni che stanno alla base dei bisogni stessi. Bisogna perciò integrare la prospettiva degli economisti con altre prospettive, in particolare quella degli psicologi e quella dei sociologi. Gli psicologi si occupano, in particolare, dello studio della mente dei soggetti, perciò analizzeranno 21

22 le motivazioni che stanno alle spalle dei bisogni e, quindi, del consumo. I sociologi, invece, prendono in considerazione tutti gli aspetti che derivano dal fatto che gli uomini sono animali relazionali, inseriti in gruppi che influenzano notevolmente i loro comportamenti. I bisogni All interno del marketing, il termine bisogno può essere definito come una sensazione di disagio derivante dall assenza totale o parziale di qualcosa che ci dà benessere. Il bisogno, quindi, è una sensazione di disagio, che trova la sua motivazione nella mancanza di qualcosa, e che può essere eliminato se il soggetto di riferimento si attiva in un comportamento d acquisto che ripristini la situazione di equilibrio. Andando oltre questa definizione generale, i bisogni possono essere distinti in varie categorie. In primo luogo possiamo distinguere tra: - bisogni assoluti; - bisogni relativi. I bisogni assoluti sono esigenze che derivano dalla natura umana e che un individuo avvertirebbe in qualunque caso, a prescindere dalla condizione dei soggetti che lo circondano. I bisogni relativi, che possono essere anche definiti bisogni relazionali, sono invece esigenze che derivano dalla vita sociale e che si attivano solo quando l individuo interagisce con altri soggetti, cioè quando l individuo entra in contatto con soggetti la cui condizione provoca in lui una sensazione di inferiorità. Inoltre, mentre i bisogni assoluti possono essere effettivamente saturati, i bisogni relativi sono difficilmente saturabili, o meglio, una volta che alcuni di essi sono stati saturati, ne emergono sempre di nuovi. Una seconda distinzione può essere quella tra: - bisogni generici; - bisogni derivati. I bisogni generici sono i bisogni che derivano dalla mancanza di qualcosa e che ogni soggetto ha ed esprime. I bisogni derivati, invece, sono la risposta tecnologica ad un determinato bisogno generico. Per fare un esempio, se il bisogno generico è quello di trasporto, i bisogni derivati, ossia le risposte tecnologiche, saranno l auto, il treno, l aereo, la nave, e così via. Anche in questo caso, il bisogno derivato può essere saturato, mentre il bisogno generico non è saturabile, perché si ripresenterà in futuro. La saturazione del bisogno derivato dipende da quanto dura la tecnologia, cioè da quanto è ampio il ciclo di vita del prodotto (CVP). Ovviamente, dal punto di vista di un impresa che deve soddisfare i bisogni dei clienti, è più conveniente definire una mission collegata ad un bisogno generico, anziché ad un bisogno derivato, perché, in questo secondo caso, si tratterebbe di una mission limitata, destinata a cambiare dopo un certo periodo in ragione dell avvento di nuove tecnologie. Un ulteriore distinzione è quella tra: - bisogni consapevoli (espressi, non espressi e immaginari); - bisogni inconsapevoli, o latenti. I bisogni consapevoli sono i bisogni che i clienti sanno di avere, mentre i bisogni inconsapevoli, o latenti, sono i bisogni che i clienti non sanno ancora di avere, ma che possono essere attivati se stimolati in maniera adeguata. Nei confronti dei primi si utilizzerà il marketing strategico di risposta, mentre nei confronti dei secondi si utilizzerà il marketing strategico di creazione dell offerta. Occorre però distinguere ulteriormente all interno della categoria dei bisogni consapevoli: essi possono essere espressi, non espressi e immaginari. I bisogni espressi sono i bisogni consapevoli che il cliente esterna; i bisogni non espressi sono invece i bisogni consapevoli che il cliente non esterna. I bisogni immaginari, invece, sono sostanzialmente i sogni dei clienti. Se consideriamo i clienti, distinti in serviti e non serviti, e i bisogni, distinti in consapevoli e non consapevoli, possiamo costruire la seguente matrice: 22

23 La maggior parte delle imprese si concentra sul quadrante che comprende clienti già serviti relativamente a bisogni consapevoli. Questa strategia, però, non porta allo sviluppo di innovazioni radicali che deliziano i clienti, perché concentrarsi su bisogni consapevoli già soddisfatti significa cercare di soddisfare ancora meglio quei bisogni attraverso innovazioni incrementali. Le imprese dovrebbero quindi focalizzarsi sugli altri tre quadranti, che comprendono bisogni consapevoli e clienti non serviti e bisogni inconsapevoli e clienti sia serviti, sia non serviti. Il quadrante migliore, ovviamente, è quello che comprende i clienti non serviti relativamente a bisogni inconsapevoli. L ultima distinzione che esaminiamo è quella tra: - bisogni esistenziali; - bisogni esperenziali. I bisogni esistenziali sono i bisogni legati alla natura umana, all esistenza stessa della persona. Essi possono essere soddisfatti attraverso l acquisto di beni che forniscano determinate prestazioni, determinate funzioni. I bisogni esperenziali, invece, sono i bisogni legati all esperienza di consumo, alle emozioni che il cliente prova nel processo d acquisto. Essi non vengono saturati attraverso l acquisto di beni che forniscono determinate prestazioni, ma attraverso le emozioni provate nell esperienza d acquisto. I bisogni esperenziali si sono sviluppati al punto da dare vita ad un intero filone di marketing, definito appunto marketing esperenziale ed emozionale. La struttura multidimensionale dei bisogni Oltre alle classificazioni dicotomiche analizzate, esistono tutta una serie di classificazioni multidimensionali dei bisogni, elaborate da psicologi e sociologi. Tra queste classificazioni andremo ad analizzare: - L inventario dei bisogni (Murray, 1938); - La gerarchia dei bisogni (Maslow, 1943); - La teoria dei valori (Sheth, Newman e Gross, 1991). L inventario dei bisogni (Murray, 1938) Ne L inventario dei bisogni Murray ha, in primo luogo, elaborato una lista dei bisogni che possono emergere nei consumatori; successivamente, ha cercato di individuare gli elementi in comune tra i vari bisogni, in modo da raggrupparli in categorie, individuandone 37. L autore ha poi distinto i bisogni in varie tipologie, ricorrendo a classificazioni dicotomiche, e ha affermato che ogni categoria di bisogni può rientrare in una delle due alternative proposte da ogni classificazione dicotomica. Le classificazioni dicotomiche individuate sono quattro: - bisogni primari e secondari a seconda della loro origine fisiologica o meno; - bisogni positivi e bisogni negativi a seconda che il soggetto sia attirato o respinto dall oggetto; - bisogni manifesti e bisogni latenti a seconda che il bisogno conduca o meno ad un comportamento d acquisto; - bisogni consapevoli e inconsapevoli a seconda che l individuo mantenga nei loro confronti 23

24 un atteggiamento introspettivo o meno. Inoltre, secondo Murray, i bisogni possono essere indotti sia da stimoli interni, cioè da mancanze che generano una sensazione di disagio, sia da stimoli esterni. Questa osservazione rappresenta il risvolto importante dal punto di vista del marketing: affermando che i bisogni possono essere indotti da stimoli esterni, Murray ha di fatto teorizzato l importanza del marketing strategico di creazione dell offerta. Infine, secondo Murray, i consumatori possono trovarsi in tre tipi di stato: - stato refrattario: nel soggetto il bisogno non emerge neanche dopo essere stato adeguatamente stimolato; - stato inducibile: il soggetto non è consapevole del bisogno, ma questo può essere indotto, se adeguatamente stimolato. È la categoria di soggetti su cui il marketing concentra l attenzione; - stato attivo: nel soggetto il bisogno è già presente, quindi non è necessario alcuno stimolo. 16 ottobre 2012 La gerarchia dei bisogni (Maslow, 1943) La grande innovazione introdotta da La gerarchia dei bisogni di Maslow, è l osservazione che i bisogni non sono tutti uguali, ma risultano collocati in maniera gerarchica. Ciò significa che determinati bisogni devono essere soddisfatti per primi, e solo dopo aver soddisfatto quelli è possibile passare ai successivi. Quindi, Maslow elabora una gerarchia dei bisogni rigida e non modificabile. Le tipologie di bisogni individuate da Maslow sono: - bisogni fisiologici: sono legati alla natura umana e devono necessariamente essere soddisfatti prima di tutti gli altri; - bisogni di sicurezza: fanno riferimento alla sicurezza, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista psicologico, dell individuo in quanto tale; - bisogni sociali: gli essere umani, essendo animali sociali, sentono il bisogni di appartenere a determinati gruppi e a determinate comunità; - bisogni di stima: gli individui hanno bisogno di provare stima per sé stessi, ma anche di ottenere la stima da parte dei soggetti che li circondano; - bisogni di autorealizzazione: fanno riferimento alla realizzazione della persona stessa e sono i più difficili da soddisfare, perché, una volta raggiunti determinati obiettivi, i soggetti tendono a porsi sfide sempre più ambiziose. I bisogni fisici e i bisogni di sicurezza vengono anche definiti bisogni primari; i bisogni sociali, i bisogni di stima e i bisogni di autorealizzazione vengono invece definiti bisogni secondari. Porre i bisogni in scala gerarchica significa che, se prima non vengono soddisfatti i bisogni posti ai gradi inferiori, i soggetti avvertiranno talmente intensamente tali bisogni da non accorgersi nemmeno dell esistenza dei bisogni posti ai gradini superiori: solo dopo aver soddisfatto il bisogno precedente, potrà emergere il successivo. Vediamo l esempio del ciclo biologico interpretato secondo la gerarchia di Maslow, cioè associando ad esso gli effetti che comporta su ciascuna delle tipologie di bisogni indicate: - bisogni fisiologici è più buono, ; - bisogni di sicurezza è più sicuro, è meglio per i miei figli, ; - bisogni sociali sto facendo la cosa giusta, sostengo gli agricoltori locali, ; - bisogni di stima è più salutare, è di moda, ; - bisogni di autorealizzazione è una scelta migliore per l ambiente, concorro alla salvaguardia del pianeta, La teoria dei valori (Sheth, Newman e Gross, 1991) Con La teoria dei valori gli autori Sheth, Newman e Gross si sono spinti oltre ai bisogni, cioè 24

25 sono andati ad analizzare i valori che stanno alle spalle dei bisogni. Cominciamo quindi con il dare una definizione di valore: un valore è la convinzione durevole che uno specifico modello di comportamento sia preferibile rispetto ad un altro. I valori sono fortemente legati alla cultura del nostro contesto di riferimento, inteso sia in senso ampio, sia in senso più ristretto. Essi sono molto importanti perché influenzano i bisogni, che a loro volta influenzano il comportamento d acquisto del cliente: comprendendo i valori, comprendo anche i bisogni e, di conseguenza, il comportamento d acquisto. Sheth, Newman e Gross hanno analizzato in maniera particolare i valori che impattano in modo più diretto sui comportamenti di consumo, individuandone 5. A differenza di quanto avveniva ne La gerarchia dei bisogni di Maslow, in questo caso i valori non sono posti in ordine gerarchico: ogni soggetto avrà la sua specifica scala di valori, e ognuno cercherà di massimizzare, in primo luogo, i valori che ritiene più importanti, per poi passare ai successivi. I valori individuati da Sheth, Newman e Gross sono: - valore funzionale: è l utilità, attribuita ad un bene, derivante dalle sue prestazioni, dalla sua funzionalità. I soggetti che ricercano il valore funzionale acquisteranno i beni per le prestazioni che sono in grado di fornire; - valore sociale: è l utilità, attribuita ad un bene, derivante dall interazione sociale che un soggetto ha con altri soggetti. I soggetti che ricercano il valore sociale acquisteranno i beni che garantiscono loro un certo status sociale, un certo tipo di interazione con gli altri soggetti; - valore emozionale: è l utilità, attribuita ad un bene, derivante dal fatto che questo bene è capace di suscitare emozioni nel soggetto che lo acquista. I soggetti che ricercano il valore emozionale acquisteranno beni il cui consumo suscita in loro determinate emozioni; - valore epistemico: è l utilità, attribuita ad un bene, derivante dal fatto che questo bene suscita novità, interesse. I soggetti che ricercano il valore epistemico vogliono essere in qualche modo sorpresi, perciò ricercheranno beni che soddisfino questa esigenza; - valore circostanziale: è l utilità, attribuita ad un bene, derivante dal fatto che questo bene viene acquistato o consumato in un determinato contesto. I soggetti che ricercano il valore circostanziale acquisteranno beni le cui circostanze di acquisto o di consumo li influenzino positivamente. La motivazioni Finora ci siamo occupati esclusivamente dei bisogni perché siamo partiti da un ottica economista, che, come già detto, considera importante solo il comportamento d acquisto o, al massimo, il bisogno che influenza il comportamento d acquisto. Gli economisti, però, trascurano totalmente ciò che sta alle spalle dei bisogni, cioè le motivazioni. Andiamo quindi a fornire una definizione del termine motivazione: la motivazione costituisce quell energia che spinge un soggetto a mettere in atto un determinato comportamento finalizzato ad un obiettivo. Nel nostro ambito, il comportamento messo in atto dal soggetto è un comportamento d acquisto e l obiettivo è il ripristino di una situazione di equilibrio. La motivazione, in particolare, svolge due funzioni con riferimento a questo obiettivo: - attiva i comportamenti (d acquisto) fornendo l impulso; - orienta i comportamenti (d acquisto), fornendo direzione e tipologia. Per analizzare le motivazioni, occorre prendere in considerazione gli studi di psicologia sperimentale, che si dividono sostanzialmente in due filoni: - approccio comportamentista (la motivazione è una spinta subita); - approccio cognitivista (la motivazione è una meta). La differenza fondamentale tra i due approcci risiede nella visione dei soggetti: secondo l approccio comportamentista i soggetti subiscono in maniera passiva la motivazione, perciò, quando avvertono uno stimolo reagiscono automaticamente, senza elaborare informazioni; secondo l approccio cognitivista, invece, gli individui sono attivi, ragionano ed elaborano informazioni, perciò la 25

26 motivazione non è subita, ma è ricercata, ossia rappresenta una meta. La teoria stimolo-risposta La teoria stimolo-risposta (s-r) è una teoria di tipo comportamentista, che spiega i comportamenti degli individui come una risposta a determinati stimoli, definiti pulsioni. Secondo tale teoria, la motivazione è legata all equilibrio delle pulsioni. Gli stimoli possono essere determinati da tanti tipi di bisogni, ma la teoria stimolo-risposta considera solo i bisogni fisiologici. Lo stimolo, determinato quindi da bisogni fisiologici, allontana l individuo, di norma passivo, dalla situazione di equilibrio, e provoca l attivazione di una risposta orientata a ristabilire tale equilibrio. In generale, nel campo del consumo, la decisione di acquistare e consumare un bene è attivata a seguito della percezione di un bisogno, inteso come mancanza. In quest ottica, il soggetto è considerato come essenzialmente reattivo, nel senso che esso risponde in modo specifico agli stimoli che riceve, con uno schema tipico di stimolo-risposta. Il marketing può influenzare le scelte di consumo agendo sullo stimolo, in modo da suscitare una elevata percezione del bisogno di un determinato bene. Gli stimoli, infatti, possono essere anche esterni ai soggetti. La teoria stimolo-risposta è un teoria molto semplice, elaborata studiando il comportamento delle cavie e ribaltata poi sugli individui per tentare di spiegarne il comportamento d acquisto. La principale carenza di questa teoria, è che prende in considerazione solo i bisogni fisiologici, mentre noi sappiamo che i bisogni possono essere di tanti tipi diversi, interni ed esterni. Altre problematiche sono: - non sempre gli individui rispondono agli stimoli ambientali, che possono essere incentivati dal marketing. Sappiamo, infatti, che i soggetti possono trovarsi in uno stato refrattario, ossia in loro il bisogno può continuare a non emergere sebbene sia stato adeguatamente stimolato; - talvolta gli individui svolgono attività autonome, che spezzano l equilibrio raggiunto. La teoria stimolo-risposta considera i soggetti come essenzialmente reattivi, ma, in realtà, i soggetti ragionano, elaborano informazioni, prendono decisioni. Queste attività autonome possono spezzare l equilibrio raggiunto, a prescindere dagli stimoli interni o esterni, ma tale teoria non le prende minimamente in considerazione; - viene negato il problema della motivazione, poiché gli individui sono essenzialmente reattivi e il loro stato naturale è l inattività. Il risveglio Considerati gli evidenti limiti della teoria stimolo-risposta e, in generale, delle teorie comportamentiste, che considerano i soggetti come essenzialmente reattivi, studi successivi, di tipo cognitivista, hanno fornito un quadro più complesso del comportamento umano. Tali studi si sono focalizzati sul concetto di risveglio. In particolare, il concetto di risveglio (arousal), o attivazione, appare fondamentale per comprendere il comportamento d acquisto dell individuo (Scitovsky, 1976). Secondo le teorie cognitiviste, l attività cerebrale di un individuo non risponde semplicemente a stimoli esterni o interni di tipo fisiologico (comportamento reattivo), ma è caratterizzata da una propria autonomia. Tale attività autonoma è definita dal livello di risveglio, o attivazione, che si esprime attraverso l attenzione agli stimoli esterni e che si riflette anche sull attitudine ad elaborare informazioni e sulla rapidità della risposta elaborata. La motivazione, quindi, sarà quella di mantenere il livello di risveglio in equilibrio, o, eventualmente, di riportarlo in equilibrio qualora risulti troppo alto o troppo basso. Secondo questa prospettiva di studi, esistono due tipi fondamentali di motivazioni che spingono gli individui ad agire: il comfort e lo stimolo. - Comfort: le carenze specifiche, derivanti da un bisogno fisiologico, portano i soggetti ad 26

27 attivarsi, ossia ad avere una soglia risveglio, o attivazione, troppo elevata; perciò, i soggetti cercheranno di ridurre le tensioni, tornando così in una situazione di equilibrio, o di comfort. - Stimolo: il malessere diffuso, derivante da una sensazione di noia, porta i soggetti ad avere una soglia di risveglio, o attivazione, troppo bassa; perciò, i soggetti cercheranno di lottare contro la noia, tornando in una situazione di equilibrio, o di stimolo. All interno delle società opulente, come può essere la nostra, i soggetti sono molto più legati alla sensazione di malessere diffuso, di noia, che non alla sensazione di mancanza, perciò i comportamenti d acquisto sono molto più legati al bisogno di stimolo che non al bisogno di comfort. Il bisogno di stimolo può essere legato alla curva di Wundt, rappresentata nel grafico seguente. Ogni novità attira l attenzione e produce un effetto stimolante, di cui gli individui avvertono il bisogno, ma è necessario prestare molta attenzione all intensità dello stimolo, ossia all intensità della novità. Infatti, se l intensità dello stimolo è troppo bassa, i soggetti manifesteranno un gradimento non particolarmente elevato; se invece l intensità dello stimolo è troppo alta, i soggetti non solo manifesteranno un gradimento non particolarmente elevato, ma potrebbero addirittura arrivare a manifestare disapprovazione per la novità in questione. L attività di stimolo deve quindi essere prestata nella giusta misura, per evitare che i soggetti assumano un atteggiamento scarsamente positivo o addirittura negativo. A questo punto abbiamo individuato due percorsi: - carenze specifiche (soglia di risveglio troppo elevata) riduzione delle tensioni COMFORT; - malessere diffuso (soglia di risveglio troppo bassa) lotta contro la noia STIMOLO. In realtà, gli individui, una volta soddisfatte queste due tipologie di bisogni, non tornano alla situazione iniziale, ma sembrano agire verso la ricerca di obiettivi sempre più ambiziosi. È la stessa ricerca di comfort e di stimoli che diventa una fonte di piacere per l individuo e il piacere, a differenza del comfort e dello stimolo, è un obiettivo autonomo. Individuiamo così una terza motivazione che spinge i soggetti ad agire. Per concludere, il comfort, lo stimolo e il piacere sono le motivazioni principali di tutti i soggetti che vivono in società avanzate come la nostra. Queste tre motivazioni, considerate nel complesso, portano al benessere generale degli individui. Conclusioni in ottica di marketing Possiamo allora giungere ad una conclusione parziale: i bisogni rispondono ad un obiettivo di benessere generale dell individuo. Tale benessere viene raggiunto attraverso la soddisfazione di tre tipologie di bisogni: - bisogni omeostatici (ristabilire il comfort); - bisogni di stimoli (sfuggire alla noia); - bisogni di piacere (legati alle due attività precedenti). Nelle società opulente, nelle quali i bisogni di base sono ampiamente soddisfatti, si osserva una escalation dei bisogni di novità, sorpresa, stimolazione, ecc. 27

28 Il marketing si è perciò adattato a queste tipologie di bisogni, rispondendo con nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove esperienze. Questi bisogni presentano determinate caratteristiche: - non esiste saturazione possibile per questo genere di bisogni; - è il consumatore che spinge sempre più avanti le proprie aspettative; - la ricerca della soluzione può essere di per sé fonte di piacere (marketing esperienziale). 17 ottobre 2012 La catena mezzi-fini Il modello più appropriato per l analisi del sistema motivante del consumatore è il modello della catena mezzi-fini (means-ends chain). La catena mezzi-fini collega le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio, cioè i mezzi, agli obiettivi di ordine generale, cioè i fini, che il consumatore desidera raggiungere. Il cliente, quindi sceglie i prodotti o i servizi che serviranno per ottenere le conseguenze desiderate, le quali, a loro volta, lo condurranno al raggiungimento della condizione finale cui mira, che rappresenta la reale motivazione dell acquisto. La catena mezzi-fini, in particolare, collega: MEZZI FINI prodotto/marca attributi attributi conseguenze conseguenze valori Analizziamo meglio le singole componenti: - attributi: gli attributi sono le caratteristiche, gli aspetti materiali e immateriali, che un cliente ricerca quando acquista un determinato prodotto o una determinata marca; - conseguenze: sono gli esiti associati all acquisto e all impiego del prodotto. Possono essere di natura funzionale (risultati tangibili e sperimentabili direttamente) o psico-sociale (sensazioni individuali o rilevanti in relazione ad altri individui); - valori: sono gli obiettivi generali degli individui e possono essere strumentali (modalità di comportamento preferite dal consumatore, come operare in modo autonomo o dimostrare sicurezza) oppure terminali (condizioni di vita e/o stati psicologici che il consumatore aspira a raggiungere). I valori sono l elemento più importante, quello che le imprese dovrebbero cercare di conoscere a fondo, perché rappresentano la reale motivazione per cui un prodotto o un servizio (o una determinata marca) vengono acquistati. Quindi, come abbiamo già detto, l acquisto di un determinato prodotto o servizio ha, come motivazione reale, il raggiungimento di determinati valori, attraverso un serie di fasi intermedie: il cliente acquista un determinato prodotto o servizio per gli attributi che questo possiede, i quali garantiranno una serie di conseguenze che, a loro volta, condurranno al raggiungimento di determinati valori. Per scoprire gerarchie di mezzi e fini simili a quelle appena descritte, è stato sviluppato un metodo di intervista e analisi profonda, detto laddering, che consente di scoprire le relazioni causali tra gli attributi, le conseguenze e i valori. Per ogni attributo rilevante il ricercatore farà al consumatore una serie di domande del tipo: perché questo aspetto è importante per te?. In base ai risultati, il ricercatore sarà in grado di ottenere una mappa delle catene mezzi fini, organizzata in chiave gerarchica, che consente di evidenziare gli attributi più rilevanti e i collegamenti tra essi e le conseguenze e i valori. Un applicazione diretta della catena mezzi fini Proviamo ora ad applicare la catena mezzi-fini ad un determinato prodotto, ad esempio una racchetta da tennis. Il modello teorico La racchetta da tennis attributi tangibili leggera attributi intangibili moderna/efficace 28

29 conseguenze funzionali conseguenze psico-sociali valori strumentali valori terminali giocare bene (colpire la pallina con forza) migliorare il proprio posto in classifica (essere ammirato) realizzazione delle proprie ambizioni (essere il vincitore) realizzazione di sé e piacere L analisi del comportamento del cliente Il comportamento d acquisto dei clienti varia a seconda che si parli di clienti finali (B2C) o di clienti industriali (B2B). Nell ambito delle attività B2C, i ruoli che ricoprono i clienti con cui le imprese si rapportano possono essere sostanzialmente tre: - acquirente: è il soggetto che effettua il processo d acquisto. Eventualmente, potremmo affiancare alla categoria degli acquirenti quella dei prescrittori, ovviamente per le tipologie di prodotti in cui i prescrittori sono soggetti rilevanti; - utilizzatore consumatore: è il soggetto che di fatto utilizza o consuma ciò che è stato acquistato; - pagante: è il soggetto che si assume l onere del pagamento di ciò che è stato acquistato. Nella maggior parte dei casi, questi tre ruoli confluiscono in un unico soggetto. Ma vi sono anche casi in cui l utilizzatore consumatore non è né l acquirente né il pagante: l esempio tipico è quello della casalinga, che acquista prodotti che saranno utilizzati o consumati da tutti i membri della famiglia, pagando con il denaro del marito. Vi sono poi casi in cui un soggetto ricopre il ruolo di utilizzatore consumatore e di acquirente, ma non quello di pagante: un esempio in questo ambito è dato dai dipendenti di determinate aziende, che acquistano e utilizzano o consumano determinati prodotti, acquistati però con la carta di credito aziendale, o comunque pagati dall azienda. Infine, vi possono essere casi in cui un soggetto è contemporaneamente utilizzatore o consumatore e pagante, ma non anche acquirente: ad esempio, se un arredatore riceve il mandato di effettuare acquisti per conto del cliente, sarà l acquirente ma non sarà né l utilizzatore, né il pagante. Per le imprese è molto importante analizzare questi tre possibili ruoli dei clienti, perché gli sforzi di marketing saranno diversi a seconda di come tali ruoli si combinano. Ovviamente, la situazione più semplice si ha quando tutti e tre i ruoli sono ricoperti dallo stesso soggetto. Negli altri casi, gli sforzi di marketing dovranno orientarsi più verso i soggetti che ricoprono il ruolo di acquirenti, senza però dimenticarsi dei soggetti che ricoprono gli altri due ruoli, in particolare degli utilizzatori consumatori, perché anche questi possono avere un ruolo importante nel processo d acquisto. Più in generale, le imprese devono capire chi è il soggetto che realmente prende le decisioni, indipendentemente dal ruolo che ricopre. Nell ambito del B2B, i ruoli che possono ricoprire i clienti con cui l impresa entra in contatto si ampliano in maniera significativa. In particolare troviamo: - acquirente; - utilizzatore; - prescrittore; - decisore; - filtri. 29

30 Per quanto riguarda la funzione marketing, il ruolo più importante è quello del decisore, che però può essere ricoperto da soggetti diversi. Il comportamento d acquisto dei clienti industriali dipenderà, ovviamente, dalla tipologia di beni da acquistare, ma, in generale, si attiverà l ingegnere che segue la funzione produzione, attraverso la presentazione di una richiesta all ufficio acquisti. A questo punto, bisognerà valutare il potere dell ufficio acquisti: se l ingegnere richiede prodotti di fondamentale importanza per il processo produttivo, segnalando i fornitori migliori, l ufficio acquisti risulterà fortemente vincolato; se invece il prodotto da acquistare non è di fondamentale importanza all interno del processo produttivo, il fornitore non sarà una variabile chiave e l ufficio acquisti potrà scegliere liberamente il soggetto a cui rivolgersi. Quindi, nel primo caso il ruolo di decisore sarà ricoperto dall ingegnere che propone l acquisto, mentre nel secondo caso il ruolo di decisore sarà ricoperto dall ufficio acquisti che poi provvede effettivamente all acquisto. Infine, bisognerà valutare quanta influenza abbiano i soggetti che ricoprono gli altri ruoli, cioè utilizzatori, prescrittori e filtri, sulle scelte dei decisori. In generale, all interno delle imprese, le decisioni d acquisto sono molto più complesse rispetto a quelle assunte dal singolo individuo. Dopo aver sottolineato questa distinzione generale, abbandoniamo i mercati B2B, per andare ad analizzare più nel dettaglio i mercati B2C. Il processo d acquisto nei mercati B2C Il processo d acquisto può essere definito come: l insieme delle attività che precedono, accompagnano e seguono le decisioni di acquisto. Il processo d acquisto può essere diviso in fasi: - individuazione del problema: il cliente, in primo luogo, individuerà il problema, cioè il bisogno, che lo spinge ad acquistare determinate tipologie di prodotti o servizi; - ricerca di informazioni: dopo aver individuato il problema, il bisogno, il cliente dovrà ricercare tutta una serie di informazioni, dal momento che l acquisto incorpora una certa dose di rischio. La ricerca di informazioni, ovviamente, riguarderà tutte, o gran parte delle marche che appartengono alla categoria di prodotti o servizi che risolvono il problema, cioè soddisfano il bisogno, del cliente; - valutazione delle informazioni: dopo aver raccolto più informazioni possibili, il cliente le rielabora, le valuta, in maniera personale; - decisione d acquisto: dopo aver raccolto e valutato tutte le informazioni possibili, il cliente assumerà le propria decisione in merito al prodotto o servizio da acquistare; 30

31 - comportamento dopo l acquisto. In questo processo il soggetto è attivo, non passivo, al fine di compiere scelte con cognizione di causa. Il principio di razionalità limitata I consumatori individuali sono razionali nei limiti delle loro capacità cognitive e di apprendimento (razionalità limitata). In questo caso, la razionalità non è intesa come opposto dell emotività, bensì come coerenza rispetto ai propri obiettivi, rispetto al proprio sistema di valori. Perciò, gli acquisti saranno coerenti con gli obiettivi che l individuo si è posto, a prescindere da quali siano in concreto questi obiettivi. In virtù di questa razionalità, le scelte dei consumatori saranno oggetto di una riflessione preliminare, più o meno mediata, a seconda del rischio percepito. Il rischio percepito, infatti, varierà in base a tutta una serie di fattori: gli acquisti di marche nuove, in categorie di prodotti nuovi, saranno molto più rischiosi di acquisiti in cui una o entrambe le variabili sono invece conosciute; allo stesso modo, il rischio percepito sarà più elevato quando il bene da acquistare ha un valore monetario elevato, ecc. Più è elevato il rischio percepito e più saranno dettagliate le informazioni che i consumatori vanno a ricercare. Inoltre, le scelte saranno effettuale sulla base di previsioni di dati futuri e non solo sulla spinta di un osservazione di breve periodo. Infine, le scelte saranno guidate dal principio della scarsità generalizzata (costo-opportunità): ciò significa che le risorse a disposizione degli individui sono scarse, perciò essi dovranno decidere il modo migliore per allocarle, agendo, appunto, in maniera razionale, intendendo la razionalità nel significato visto di coerenza rispetto agli obiettivi prefissati. Il comportamento del consumatore Il processo d acquisto è quindi un attività volta alla risoluzione di un determinato problema. Di fronte ad un problema, l acquirente può adottare tre tipi di comportamento risolutorio: - comportamento risolutorio estensivo: questa tipologia di comportamento viene adottata tipicamente quando il cliente si trova di fronte a marche nuove in categorie di prodotti nuove. In questa situazione, i clienti conoscono poco o nulla con riferimento a quella determinata categoria di prodotti e a quelle determinate marche, perciò, le informazioni che andranno a ricercare saranno molto estese. Naturalmente, la ricerca di tante informazioni determina un costo, dal punto di vista monetario, ma soprattutto dal punto di vista del tempo a disposizione, perciò i soggetti dovranno sostenere tanti costi aggiuntivi quanto più sono dettagliate le informazioni che vogliono raccogliere; - comportamento risolutorio limitato: questa tipologia di comportamento viene adottata tipicamente quando il cliente si trova di fronte a marche nuove in categorie di prodotti conosciute o a marche conosciute in categorie di prodotti nuove, cioè quando una delle due variabili è conosciuta. In questa situazione, le informazioni che i clienti andranno a ricercare saranno più limitate rispetto al caso precedente, perché riguarderanno solo una delle due variabili rilevanti; - comportamento risolutorio di routine: questa tipologia di comportamento viene adottata tipicamente quando il cliente ha a che fare con marche conosciute in categorie di prodotti conosciute. Dal momento che il cliente conosce ciò che acquista non andrà a ricercare alcuna informazione, ma adotterà un comportamento che possiamo definire, appunto, di routine. In quest ultima situazione possiamo però assistere anche a comportamenti differenti, perché questi dipenderanno non solo dal livello di conoscenza, ma anche dalla situazione di consumo: ad esempio, se un soggetto è abituato a comprare prodotti bio, il suo comportamento può variare a seconda che i prodotti siano acquistati per uso personale o familiare, oppure siano acquistati come regalo da portare in occasione di una cena in casa altrui. 31

32 La ricerca di informazioni, e quindi la scelta della tipologia di comportamento risolutorio da adottare, dipenderà da diversi fattori, il primo fra i quali è sicuramente il grado di rischio percepito, ma di rilievo sono anche la familiarità, le competenze e lo stile di shopping dei clienti. Per quanto riguarda la familiarità, più un prodotto è familiare e minori saranno le informazioni ricercate; per quanto riguarda la competenza, invece, più un soggetto è competente e maggiori saranno le informazioni ricercate, perché i clienti saranno anche più esigenti e non avranno bisogno di affidarsi al venditore; per quanto riguarda lo stile di shopping, è rilevante il fatto che il consumatore prediliga uno stile di shopping funzionale, cioè che consideri lo shopping come strumentale all approvvigionamento dei beni, oppure prediliga uno stile di shopping emozionale, cioè valuti lo shopping come un attività autonoma rispetto all acquisto, in quanto garantisce la possibilità di soddisfare altri bisogni, di tipo psicologico. L importanza del rischio percepito Abbiamo già osservato come il grado di rischio percepito sia di fondamentale importanza per capire quanto saranno dettagliate le informazioni che un cliente andrà a ricercare. Tuttavia, abbiamo parlato solo di rischio generico, senza distinguerlo nelle sue varie tipologie. - Rischio funzionale: è il rischio che il prodotto non fornisca le prestazioni, o funzioni, che promette e che il cliente si aspetta. - Rischio finanziario: è il rischio che riguarda qualsiasi tipo di esborso monetario superiore rispetto a quello necessario. Ad esempio, è il rischio di acquistare presso un distributore che applica prezzi superiori rispetto ad altri per il medesimo prodotto; è il rischio di comprare qualcosa che poi non piace, e quindi si rivela inutile; è il rischio di acquistare un prodotto che ha problemi di funzionamento e che necessita di essere riparato; ecc. - Rischio di perdita di tempo: è il rischio di perdere più tempo del necessario per il prodotto acquistato. Ad esempio, è il rischio di sprecare tempo per provvedere a far riparare un prodotto difettoso; ecc. - Rischio fisico: è il rischio che il prodotto determini conseguenze negative per la salute del cliente o per l ambiente. - Rischio sociale: è il rischio di acquistare un prodotto che poi non consente al cliente di raggiungere lo status sociale per il quale lo aveva acquistato; - Rischio psicologico: è il rischio di fare un acquisto sbagliato che porta il cliente ad avere una bassa considerazione di sé stesso. Al fine di ridurre il rischio, i clienti ricercano informazioni, che saranno tanto più dettagliate quanto più è elevato il grado di rischio percepito. Le fonti dell informazione Le fonti da cui il cliente ricava le informazioni per ridurre il rischio percepito sono sostanzialmente tre: - fonti di informazione dominate dai produttori (pubblicità, pareri di venditori e distributori, espositori, brochure, ): si tratta di fonti facilmente rintracciabili e a basso costo, ma che presentano un difetto fondamentale, ossia quello di non essere oggettive, e quindi affidabili. Infatti, i produttori tenderanno a sottolineare gli aspetti positivi dei propri prodotti o servizi, mentre tenderanno a non comunicare gli aspetti negativi; - fonti di informazione personali (amici, vicini, opinion leader, passaparola, ): anche in questo caso di tratta di fonti facilmente rintracciabili e a basso costo, ma che presentano il difetto della non oggettività. Tuttavia, a differenza delle precedenti, la non oggettività di queste fonti dipende dal fatto che si basano sull opinione soggettiva degli individui cui si fa riferimento; - fonti di informazione neutre (articoli su giornali e riviste specializzate, rapporti ufficiali e resoconti di agenzie specializzate, test di laboratorio, test comparativi, ): sono le fonti più affidabili, perché presentano il requisito della oggettività, che invece mancava ad entrambe 32

33 le tipologie di fonti precedenti. 23 ottobre 2012 Il prodotto come paniere di attributi Dal punto di vista del cliente, il prodotto può essere definito come un paniere di attributi. Infatti, abbiamo più volte sottolineato che, in ottica di marketing, non si guarda mai al prodotto in sé, ma si guarda al prodotto come soluzione ad un problema, ad un bisogno del cliente. In questo senso, il prodotto può essere visto come un insieme di attributi, di utilità, di servizi che soddisfano le esigenze del cliente. Gli attributi possono essere classificati in tre tipologie: - il servizio o il beneficio di base: è il vantaggio di base o generico fornito da ciascuna delle marche che fanno parte di una determinata categoria di prodotto. Il servizio o beneficio di base deve essere fornito da tutte le marche che fanno parte di una determinata categoria di prodotto. Tuttavia, proprio in virtù del fatto che deve essere fornito da ogni marca appartenente ad una determinata categoria di prodotto, esso non è di alcuna utilità al fine di differenziare le marche che appartengono a quella categoria; - i servizi supplementari necessari: sono le modalità di erogazione del servizio di base e i servizi che accompagnano di norma tale beneficio. I servizi supplementari necessari sono indispensabili per l erogazione del beneficio di base e, generalmente, accompagnano tale servizio. Perciò, anche questa tipologia di attributi non è utile ai fini della differenziazione tra le marche che fanno parte di una determinata categoria di prodotto; - i servizi supplementari aggiunti: sono i servizi che costituiscono vantaggi non legati al servizio di base, offerti in più dalla marca e che pertanto rappresentano un importante elemento di distinzione. I servizi supplementari aggiunti non sono né servizi di base, né servizi necessari per l erogazione del servizio di base, ma sono servizi aggiuntivi, perciò rappresentano effettivamente un elemento di differenziazione tra le marche appartenenti ad una determinata categoria di prodotto. Generalmente, il prodotto inteso come paniere di attributi, viene rappresentato come un bersaglio: Il nucleo rappresenta il servizio di base, quello che deve essere presente in tutte le marche appartenenti alla stessa categoria di prodotto. Più all esterno troviamo i servizi supplementari necessari, ossia quei servizi che sono indispensabili per l erogazione del servizio di base. 33

34 Ancora oltre troviamo i servizi supplementari aggiunti, ossia quei servizi che non sono necessari e su cui la marca può basare la differenziazione. L insieme di queste tre tipologie di attributi restituisce l immagine del prodotto inteso, appunto, come paniere di attributi. Nell immagine vediamo poi un ultimo cerchio, ancora più esterno, che rappresenta le associazioni mentali legate agli attributi, sulle quali si basa l identità di marca. Possibili associazioni mentali legate agli attributi sono il simbolo, la personalità, le emozioni, l identità, il paese d origine, il logo, ecc. I livelli di risposta del cliente Il consumatore raccoglie e riceve un gran numero di informazioni, che poi rielabora, subendo l influenza di tutta una serie di fattori (fattori socio-culturali fattori sociologici, fattori psicologici, stimoli di marketing, ecc), fino a compiere la propria scelta di consumo. Sulla base di tali informazioni, il consumatore fornisce la propria risposta, che può essere definita come l insieme delle attività mentali o fisiche suscitate nell acquirente da un determinato stimolo. In particolare, le tipologie di risposta che il consumatore fornisce sono tre, disposte in una sequenza precisa: - risposta cognitiva (learn); - risposta affettiva (feel); - risposta comportamentale (do). La risposta cognitiva attiene al dominio della conoscenza e delle informazioni possedute dal consumatore, relativamente ad una determinata categoria di prodotti o ad una determinata marca. La risposta affettiva attiene invece al sistema delle preferenze e alla valutazione soggettiva del consumatore, cioè all atteggiamento che egli manifesta nei confronti di una determinata categoria di prodotti o di una determinata marca. La risposta comportamentale, infine, attiene all azione, cioè all atto di acquisto che segue o meno la raccolta e la rielaborazione delle informazioni da parte del consumatore. È la tipologia di risposta su cui si concentrano gli economisti, che, come abbiamo già detto, prendono in considerazione solo il comportamento di acquisto, dimenticandosi di ciò che sta a monte. Questi tre livelli di risposta possono essere collegati alle fasi, già esaminate, del processo d acquisto. In particolare: - la risposta cognitiva è legata alle fasi di individuazione del problema e di ricerca di informazioni, perché si tratta delle fasi che permettono di entrare in possesso della conoscenza e delle informazioni sulla base delle quali il soggetto effettua la sua scelta; - la risposta affettiva è legata alla fase di valutazione delle informazioni, perché si tratta della fase che opera da filtro, ossia che consente di rielaborare le informazioni acquisite in relazione al sistema di preferenze del consumatore; - la risposta comportamentale è legata alle fasi di decisione d acquisto e comportamento dopo l acquisto, perché si tratta delle fasi di azione, che seguono le fasi di raccolta e rielaborazione delle informazioni da parte del consumatore. Le misure di risposta degli acquirenti Le risposte che i clienti forniscono possono essere misurate attraverso vari indicatori. Le misure della risposta cognitiva che andremo ad analizzare sono: - misura della notorietà (notorietà ricordo, notorietà riconoscimento); - misura del ricordo pubblicitario; - misura delle percezioni di somiglianza. La misura della risposta affettiva che andremo ad analizzare è: - misura dell atteggiamento. La misura della risposta comportamentale che andremo ad analizzare è: - quota di mercato. 34

35 La misura della notorietà La notorietà è la capacità di un potenziale acquirente di identificare una marca in modo sufficientemente dettagliato per proporla, sceglierla e utilizzarla. La notorietà può essere misurata attraverso due indicatori: - notorietà ricordo (spontanea); - notorietà riconoscimento (indotta). La notorietà ricordo viene misurata attraverso la notorietà spontanea, nel senso che, data ai consumatori una determinata categoria di prodotto, si richiede loro di associarvi le marche che spontaneamente ricordano. La notorietà riconoscimento viene invece misurata attraverso la notorietà indotta, nel senso che si fornisce ai consumatori un elenco di marche che commercializzano un determinato prodotto, ed essi sono chiamati ad indicare quelle che conoscono; si parla, in questo caso, di notorietà indotta totale. Si parla invece di notorietà indotta qualificata quando al consumatore non viene richiesto solo di indicare, con riferimento ad una determinata categoria di prodotti, le marche che conosce, ma gli si richiede anche di indicare il grado di conoscenza delle marche selezionate come conosciute. Questa seconda tipologia di notorietà indotta è molto utile per creare la cosiddetta top of mind, ossia la lista delle marche che si trovano ai primi posti nella mente dei consumatori. Il gruppo di marche identificate costituisce l insieme conosciuto delle marche. Tuttavia, è probabile che il consumatore non abbia intenzione di acquistare tutte le marche che conosce. Perciò, all interno dell insieme conosciuto, possiamo isolare l insieme evocato, che comprende invece solo le marche che per il consumatore hanno una probabilità non nulla di essere acquistate. Le misura del ricordo pubblicitario Le misure del ricordo pubblicitario servono per comprendere l efficacia del messaggio pubblicitario. Generalmente il ricordo pubblicitario viene misurato attraverso varie tipologie di punteggi di impatto: - punteggio spontaneo totale; - punteggio descritto-provato; - punteggio di riconoscimento. Il punteggio spontaneo totale serve a capire se il soggetto ricorda spontaneamente la pubblicità di una determinata marca e quanto ricorda di quella pubblicità. Il punteggio descritto-provato è più rilevante del punteggio spontaneo totale perché serve a capire non solo se il soggetto ricorda spontaneamente la pubblicità, ma anche se è in grado di descriverla in maniera particolareggiata. Il punteggio di riconoscimento, invece, serve a capire se i soggetti sono in grado di collegare una determinata pubblicità ad una determinata marca (ovviamente eliminando dalla pubblicità qualsiasi elemento che faccia riferimento alla marca stessa). È importante ricordare che queste misure di ricordo pubblicitario sono le più utilizzate, ma non sono le uniche disponibili. La misura delle percezioni di somiglianza Per misurare le percezioni di somiglianza, generalmente, si costruiscono le cosiddette mappe di somiglianza. Le marche vengono scomposte in una serie di attributi che i consumatori ricercano e, in base agli attributi individuati, si tenta di capire quanto due marche vengono percepite come simili. Gli attributi vengono poi accorpati a due a due, cosa che consente di costruire delle mappe su cui collocare le singole marche, in modo da stabilire quanto i clienti percepiscono simili tali marche. Le mappe di somiglianza sono simili alle mappe utilizzate per la misura dell atteggiamento, ma non interpretano alcuna informazione: stabiliscono se due marche sono considerate simili dai consumatori, ma non dicono nulla sulle motivazioni che inducono i clienti a considerarle simili o 35

36 meno. 24 ottobre 2012 La misura della risposta affettiva La risposta affettiva comprende l insieme dei sentimenti, preferenze, opinioni favorevoli o sfavorevoli verso una marca/azienda. Ad esempio, si può avere una conoscenza approfondita di una marca e non avere intenzione di provarla, perché gli attributi che quella marca presenta non si trovano ai primi posti tra le preferenze di un determinato soggetto (ad esempio, se un soggetto mette al primo posto tra le sue preferenze l economicità, non acquisterà un bene troppo caro). Un concetto importante per misurare la risposta affettiva è il concetto di atteggiamento, che può essere definito come lo stato mentale di un individuo, costituito dall esperienza e dalle informazioni acquisite, che gli permettono di strutturare le sue percezioni dell ambiente circostante e le sue preferenze. L atteggiamento si trova al centro dell analisi affettiva perché si è rivelato un ottimo strumento di previsione del comportamento reale del consumatore, in quanto è generalmente sufficientemente stabile nel tempo. L analisi dell atteggiamento (a monte del comportamento di acquisto) può offrire spunti per l individuazione di opportunità, per dare indicazioni sul successo di un prodotto nuovo. Per misurare l atteggiamento esistono due tecniche principali: - tecniche di composizione; - tecniche di scomposizione. Noi andremo ad analizzare solo una metodologia di misura dell atteggiamento, che rientra nelle tecniche di composizione. Innanzitutto, dobbiamo riprendere il concetto del prodotto come paniere di attributi, perché i consumatori percepiscono i prodotti e servizi, appunto, come paniere di attributi. È importante, quindi, partire dall identificazione degli attributi associati ad un determinato prodotto o servizio, o, meglio ancora, ad una determinata marca, che risultano determinanti per il processo di scelta. Questa identificazione deve seguire i criteri della: - rilevanza (capacità di essere presente nella mente dei clienti): data ai consumatori una determinata categoria di prodotti o servizi, o una determinata marca, si chiede loro quali sono gli attributi che ricercano in quella categoria di prodotti o servizi, o in quella marca. Si arriva così ad elaborare una lista di attributi, che comprende tutti gli attributi identificati, anche solo una volta, dai consumatori. Tuttavia, sarebbe impossibile analizzare tutti gli attributi elencati, perciò saranno necessari ulteriori criteri di selezione; - importanza (calcolata attraverso l uso di scale di valutazione): dato ai consumatori l elenco di attributi individuato, si chiede loro di valutarne l importanza, attraverso l uso di scale di valutazione. Ad esempio, si può chiedere ai consumatori di associare ad ogni attributo un punteggio da 0 a 5; oppure si possono usare le cosiddette scale a somma costante, con le quali il cliente ha a disposizione un tot di punti, ad esempio 100, e deve allocare questi punti tra i vari attributi, ovviamente associando un punteggio più alto agli attributi che giudica più importanti. Anche questo criterio, però, non è sufficiente per selezionare adeguatamente gli attributi individuati dai consumatori; - determinanza (si fa riferimento alle qualità più importanti e sulle quali è possibile differenziare; si ottiene moltiplicando il punteggio di importanza per quello di differenziazione): si chiede ai clienti di indicare se, relativamente agli attributi individuati, esistono o meno degli elementi di differenziazione rispetto ai prodotti o alle marche concorrenti. In questo modo si identificano e si eliminano o si considerano meno gli attributi, magari anche importanti, ma presenti in tutti i prodotti o in tutte le marche concorrenti, cioè quegli attributi che non premettono di discriminare, di distinguere un prodotto o una marca dai prodotti o dalle marche concorrenti. La determinanza si ottiene moltiplicando il punteggio di importanza per il punteggio di differenziazione, in modo da rendere meno importanti gli attributi che non consentono di discriminare rispetto ai prodotti 36

37 o alle marche concorrenti. A questo punto, manca ancora un ultimo criterio per completare la selezione degli attributi; - ridondanza (se due attributi non differiscono molto tra di loro occorre considerarne uno solo): si eliminano gli attributi che, pur essendo indicati dai consumatori con nomi diversi, esprimono sostanzialmente lo stesso concetto o sono fortemente correlati. Per eliminare tali attributi si ricorre ad una tecnica statistica, l analisi fattoriale, che permette di identificare, tra tante variabili, quelle effettivamente discriminanti. Se attraverso l analisi fattoriale riusciamo ad individuare due soli attributi effettivamente rilevanti, possiamo elaborare le cosiddette mappe percettive (ad esempio, per le birre si è arrivati ad individuare gli attributi di economicità e tasso alcoolico, che hanno consentito di elaborare la corrispondente mappa percettiva). Se invece non è possibile individuare sue soli attributi, l atteggiamento può essere misurato attraverso vari metodi di composizione. Il metodo che analizziamo noi è il metodo Fishbein, in base al quale l atteggiamento di un determinato soggetto nei confronti di una determinata marca è pari alla sommatoria del grado di importanza che il soggetto assegna a ciascun attributo moltiplicato per il grado percepito di presenza di quell attributo, all interno della marca in questione, per il soggetto considerato. Ovvero: n A ij = W jk X ijk k=1 - A ij = atteggiamento verso la marca i da parte dell individuo j; - W jk = importanza relativa assegnata all attributo k da parte dell individuo j; - X ijk = grado di presenza percepito dell attributo k a giudizio dell individuo j riguardo alla marca i; - n = numero degli attributi individuati. Per fare un esempio pratico, supponiamo che, in ambito automobilistico, si è arrivati a considerare 7 attributi. A questo punto, ai consumatori viene attribuito un punteggio di 100 e si chiede loro di allocarlo tra i vari attributi. Si chiede poi al cliente di indicare il grado in cui, a suo parere, i vari attributi sono presenti all interno di una determinata marca di automobili. Infine, si moltiplicano i due punteggi relativi a ciascun attributo e si sommano i valori che si ottengono con riferimento a ciascuno dei 7 attributi considerati. Il risultato sarà la misura dell atteggiamento del consumatore nei confronti di quella marca di automobili. Ovviamente, si può utilizzare lo stesso procedimento per misurare l atteggiamento dei consumatori nei confronti di una serie di marche, in modo da capire quale sia quella verso cui il cliente manifesta l atteggiamento migliore, ossia quale sia quella che ha maggiori probabilità di essere acquistata. Il metodo Fishman è il principale fra i metodi di composizione, e si tratta di un metodo compensatorio: infatti, essendo una media ponderata, questo metodo compensa i giudizi negativi nei confronti di un determinato attributi con i giudizi positivi nei confronti di un attributo diverso. Tuttavia, non tutti i metodi di composizione sono compensatori; esistono anche metodi che discriminano rispetto ai singoli attributi: ad esempio, se il prezzo viene considerato la variabile principale, utilizzando questo secondo tipo di modelli, tutte le marche che presentano un prezzo troppo elevato verrebbero scartate, anche suscitando il favore dei consumatori con riferimento ad altre variabili. La misura della risposta comportamentale La misura più diretta e semplice della risposta comportamentale è rappresentata dalle statistiche di vendita di un prodotto o di una marca, correlate da un analisi della quota di mercato. La quota di mercato può essere calcolata in due modi: in volume, se si prendono in considerazione solo i volumi delle vendite; in valore, se si prendono in considerazione sia i volumi sia i prezzi delle vendite. In generale, la quota di mercato di una marca è data dal rapporto tra le vendite (in volume o in valore) di quella marca e le vendite (in volume o in valore) totali del mercato di riferimento. 37

38 Ovviamente, se ci sono differenze tra la quota di mercato calcolata in volume e la quota di mercato calcolata in valore, tali differenze saranno determinate dai prezzi di vendita. La misura della risposta comportamentale può poi essere completata con tutta una serie di analisi delle abitudini di acquisto del consumatore. Infatti, può essere interessante conoscere tutta una serie di aspetti, ad esempio: dove i consumatori acquistano, cioè quali canali di distribuzione vengono utilizzati; con che frequenza i consumatori acquistano; se l acquisto avviene in normali condizioni di vendita o solo in concomitanza di particolari offerte, ecc. Infine, dal momento che la risposta comportamentale non attiene solo al comportamento d acquisto ma anche al comportamento dopo l acquisto, la sua misura può essere integrata con una serie di analisi del comportamento del consumatore dopo l acquisto. Si potrà quindi valutare se il cliente torna ad acquistare, cioè se è fedele, se comunica dei reclami, se si avvale dei servizi postvendita, ecc. Customer Relationship Management (CRM) La gestione del rapporto con il cliente, o Customer Relationship Management (CRM), si focalizza sul comportamento del cliente dopo l acquisto, ovvero si innesta sulla risposta comportamentale. La tematica del comportamento del consumatore dopo l acquisto si è fortemente sviluppato negli ultimi anni, perché, trovandosi in una fase di orientamento al cliente o, in alcuni casi, di orientamento al mercato, le imprese devono cercare di fidelizzare il più possibile i consumatori, perché come abbiamo già visto, i clienti fedeli sono meno costosi dei nuovi clienti, sotto tutta una serie di aspetti. Pertanto, lo scopo del CRM è quello di aumentare in modo efficace ed efficiente l acquisizione e il mantenimento di clienti redditizi avviando in modo selettivo, costruendo e mantenendo una relazione con loro. Con il CRM si parte dall identificazione, all interno del segmento target, degli indiziati, cioè i clienti che potenzialmente potrebbero essere molto interessati al prodotto o servizio offerto. Si identificano poi i candidati, ossia i potenziali clienti che già hanno un forte interesse nei confronti del prodotto e che hanno i mezzi per pagarlo. A questo punto, bisognerà dividere i candidati in candidati non accreditati, cioè coloro che vengono esclusi perché non sufficientemente affidabili o perché comunque l impresa non ritiene redditizio servirli, e candidati accreditati, cioè coloro che l impresa considera redditizio servire. L impresa dovrà quindi cercare di convertire i candidati accreditati in nuovi clienti e dovrà poi cercare di soddisfarli, in modo da trasformarli in clienti che ripetono l acquisto, poi in clienti fedeli, in clienti affezionati/sostenitori, e infine in partner. I clienti sostenitori o, ancora meglio, i partner, sono i consumatori che lodano l azienda, incoraggiando altre persone a rivolgersi alla stessa per i loro acquisti; rappresentano quindi una fonte di comunicazione estremamente importante. Il comportamento del cliente dopo l acquisto L obiettivo del CRM è quello di costruire rapporti redditizi, durevoli e reciproci con buoni clienti. Per farlo è necessario: monitorare la soddisfazione del cliente; gestire correttamente i reclami dei clienti insoddisfatti; trovare soluzioni appropriate ai loro problemi; ricompensare i clienti che dimostrano fedeltà. Concentrandosi sui clienti insoddisfatti, possiamo dire che, molto spesso, il CRM permette di evitare la perdita di clienti, che l impresa invece subisce se opera secondo una logica transazionale, ossia concentrandosi sulle singole transazioni e sulle singole vendite. Studi recenti hanno rilevato che solo il 2,9% delle transazioni di un impresa dà luogo a reclami rivolti direttamente all impresa stessa; il 28,6% delle transazioni è invece oggetto di reclami indiretti rivolti al personale di vendita, ai vicini, agli amici, ecc; infine, il 9,2% dei reclami non viene mai comunicato. Nel complesso, quindi, il 40,7% delle transazioni di un impresa può dare problemi al cliente, ma solo il 2,9% da luogo a reclami formali, che rappresentano solo la punta dell iceberg. Nella misura in cui un reclamo venga trattato in modo efficace dal servizio postvendita, i danni per l impresa possono essere contenuti. In compenso, a costituire un problema è la 38

39 percentuale di clienti insoddisfatti che non comunica la propria insoddisfazione, ma a lungo andare può erodere seriamente la quota di mercato dell impresa. Ecco perché è importante adottare un atteggiamento proattivo in questo ambito, misurando regolarmente il grado di soddisfazione/insoddisfazione dei diversi gruppi di clienti e identificandone le cause. Considerato che in molti settori, dove la domanda primaria non è più espandibile, l 80-90% circa del fatturato viene realizzato grazie ai clienti esistenti, è facile comprendere la necessità di garantire la soddisfazione di tale portafoglio di clienti. A sostegno di questa tesi vi è anche il risultato dell analisi del comportamento dei clienti insoddisfatti, qualora il loro reclamo sia stato adeguatamente gestito dall impresa. Emerge infatti che, per i clienti insoddisfatti che presentano un reclamo, ma non ricevono una risposta soddisfacente da parte dell impresa, il tasso di riacquisto scende al 54%. Per i clienti insoddisfatti che comunicano la propria insoddisfazione e ricevono una risposta appropriata da parte dell impresa, il tasso di riacquisto è invece del 96%: un tasso ancora più elevato rispetto a quello dei clienti soddisfatti, che si aggira intorno al 91%. Il CRM, quindi, monitora costantemente la soddisfazione dei clienti, in modo da rintracciare anche i consumatori insoddisfatti che non hanno presentato un reclamo e cercare di soddisfarli; inoltre, si preoccupa di gestire adeguatamente i reclami che invece vengono presentati. Tutto ciò è molto importante per l impresa, perché la soddisfazione tende a rendere i clienti più fedeli e la fedeltà risulta correlata positivamente con la redditività dell impresa. possiamo quindi rappresentare graficamente il rapporto esistente tra soddisfazione dei clienti e fedeltà nei confronti dell impresa: In realtà, ci si aspetterebbe di trovare un rapporto lineare tra soddisfazione e fedeltà, ma non in tutti i contesti accade così: se nei mercati concorrenziali emerge chiaramente la correlazione positiva tra soddisfazione e fedeltà, nei mercati monopolistici, invece, è possibile che la fedeltà sia elevata anche in presenza di un basso livello di soddisfazione. L analisi dei mercati attraverso la segmentazione Fasi del processo di segmentazione strategica L applicazione del processo di segmentazione strategica si compone di quattro fasi fondamentali. La prima fase è costituita dall analisi di segmentazione, ossia la suddivisione dei prodotti-mercati in gruppi di potenziali acquirenti aventi le stesse aspettative o richieste (condizione di omogeneità) che devono essere diverse da quelle dei consumatori di altri segmenti (condizione di eterogeneità). La seconda fase riguarda l individuazione del mercato target, oppure la selezione di uno o più segmenti cui rivolgersi, in base all ambizione strategica dell impresa e alle sue capacità distintive. Si tratta di una decisione fondata sui risultati dell analisi di attrattività e di competitività. La terza fase consiste nel posizionamento sul mercato, in cui si decide come l azienda intenda essere percepita dal potenziale cliente, in base alle qualità distintive del prodotto e alle posizioni già 39

40 occupate dai concorrenti. La quarta fase, infine, prevede la programmazione di marketing mirata ai segmenti target, cioè lo sviluppo e la messa in opera di specifici programmi di marketing, elaborati appositamente per conquistare il posizionamento desiderato nei segmenti, o nel segmento, target. La prima fase, ossia l analisi di segmentazione del mercato di riferimento, viene a sua volta suddivisa in due momenti: - la macrosegmentazione, che mira alla scomposizione del mercato di riferimento in prodottimercati (o business units, in italiano aree strategiche d affari) sulla base di tre fattori: bisogni, clienti e tecnologie; - la microsegmentazione, che mira alla scomposizione dei prodotti-mercati e all analisi della diversità dei bisogni all interno dei prodotti-mercati identificati. L analisi di macrosegmentazione Perché segmentare il mercato? Nella maggior parte dei mercati è praticamente impossibile soddisfare tutti i clienti con un unico prodotto o servizio: clienti diversi hanno infatti interessi e desideri diversi. Le imprese sono spinte quindi ad abbandonare sempre più le strategie di marketing di massa per evolvere verso strategie mirate ad uno o più gruppi di clienti. Pertanto, in generale, le imprese segmentano i mercati: - per suddividere il mercato di riferimento in sotto-mercati maggiormente omogenei; - per adeguare l offerta dell azienda ai bisogni e alle aspettative di ogni segmento; - per evitare la dispersione degli sforzi di marketing compiuti dall azienda basati su una visione indifferenziata del mercato di riferimento; - per identificare uno o più segmenti target prioritari sui quali concentrare gli sforzi di marketing per ottenere una posizione competitiva sostenibile. Definizione del mercato di riferimento in termini di soluzione La realizzazione di una strategia di segmentazione del mercato presuppone innanzi tutto la definizione della missione dell impresa, cioè il suo ruolo e la sua funzione in un ottica di orientamento al mercato. Il mercato di riferimento deve essere definito in termini di soluzione ad un problema del cliente, e non dal punto di vista tecnologico. La logica dell approccio soluzione ad un problema si fonda sull idea che il cliente cerchi il prodotto non in quanto tale, ma per il servizio di base che è in grado di offrire. Inoltre, tecnologie diverso possono svolgere la stessa funzione; tuttavia, mentre le tecnologie evolvono rapidamente, i bisogni generici restano costanti. Perciò, l impresa ha interesse a definire il mercato di riferimento in termini di bisogno generico, ossia di servizio di base, piuttosto che in termini di prodotto. La concettualizzazione del mercato di riferimento Un mercato di riferimento più essere scomposto in tanti prodotti-mercati (o business units, in italiano aree strategiche d affari). Come proponeva Abell, i prodotti-mercati possono essere definiti in base a tre dimensioni: i bisogni, i clienti, le tecnologie. La prima dimensione risponde alla domanda quali sono i bisogni o le funzioni da soddisfare? (il cosa ); la seconda dimensione risponde alla domanda chi sono i gruppi di clienti potenzialmente interessati al prodotto? (il chi); la terza dimensione risponde alla domanda quali sono le tecnologie esistenti in grado di soddisfare tali bisogni o funzioni? (il come ). Dall intersezione fra queste tre dimensioni otteniamo, appunto, i singoli prodotti-mercati. 40

41 Vediamo, ad esempio, i singoli prodotti-mercati della biancheria per la casa. La dimensione clienti può essere scomposta in famiglie e comunità, cioè clienti privati e clienti pubblici. La dimensione bisogni può essere scomposta in cucina, sonno, bagno. La tecnologia sarà invece una sola, ossia quella tessile (al limite, nei bagni pubblici gli asciugamani di stoffa possono essere sostituiti da quelli di carta o dagli asciugatori elettrici, quindi le tecnologie alternative potrebbero essere carta e calore). L intersezione tra un singolo gruppo di clienti, un singolo bisogno e una singola tecnologia, corrisponde ad un prodotto-mercato. Ovviamente, le imprese possono decidere se operare su uno o più prodotti-mercati. 30 ottobre 2012 Oltre a quello di prodotto-mercato, esistono altri due concetti molto importanti in ambito di marketing, che possono essere identificati ricorrendo all intersezione tra le dimensioni clienti, bisogni e tecnologie. Il primo è quello di mercato-soluzione, che può essere identificato come intersezione tra un solo gruppo di clienti, un solo bisogno e tante tecnologie. Il concetto di mercato-soluzione è importante perché identifica i prodotti sostitutivi, che possono rappresentare una minaccia per l impresa. Il secondo è quello di industria, o settore, che può essere identificato come intersezione tra tanti gruppi di clienti, tanti bisogni e una sola tecnologia. Il concetto di industria è importante perché identifica tutti i gruppi di clienti e tutti i bisogni che possono essere soddisfatti con la medesima tecnologia. 41

42 Verifica della griglia di segmentazione Il concetto di prodotto-mercato è il più conforme al concetto di orientamento al mercato, perciò è utile condurre la segmentazione utilizzando questo concetto, anziché quello di mercato-soluzione o quello di industria. L impresa dovrà quindi costruire una griglia di segmentazione del proprio mercato di riferimento, costituita da tutti i possibili prodotti-mercati, ossia da tutte le possibili combinazioni tra clienti, bisogni e tecnologie. Tuttavia, affinché la griglia di segmentazione risulti utile, l impresa deve tentare di individuare dei prodotti-mercati che siano il più possibile omogenei al proprio interno e il più possibile eterogenei rispetto agli altri prodotti-mercati. Al fine di rispettare questi criteri, l impresa deve quindi cercare di raggruppare i prodotti-mercati che presentano caratteristiche simili, un operazione che, tra l altro, risulta utile se il numero di prodotti-mercati individuati inizialmente è molto elevato. Per verificare l utilità della griglia di segmentazione, ossia dei prodotti-mercati individuati, l impresa deve porsi le seguenti domande: - I concorrenti principali sono gli stessi? - I clienti o gruppi di clienti sono gli stessi? - I fattori di successo sono identici? - Il disinvestimento di uno si ripercuote sull altro? Se la risposta ad una o più di queste domande è affermativa, l impresa deve interrogarsi sulla possibilità di effettuare un raggruppamento tra i prodotti-mercati coinvolti nell analisi. La ricerca di nuovi segmenti Quando un impresa va a segmentare il proprio mercato di riferimento dovrebbe anche chiedersi se è possibile identificare segmenti totalmente nuovi. Infatti, l individuazione di segmentazioni innovative del mercato può fornire all impresa un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti. Per capire se esistono nuovi segmenti, l impresa deve porsi le seguenti domande: - Esistono altre tecnologie o prodotti in grado di offrire all acquirente il medesimo servizio? - Il prodotto riformulato sarebbe in grado di esercitare delle funzioni supplementari? - Vi sono altri gruppi di clienti che hanno lo stesso tipo di bisogno o ricercano la medesima funzione? - È possibile soddisfare meglio i bisogni degli acquirenti riducendo il numero di funzioni? - Vi è un nuovo assortimento (ridotto o allargato) di funzioni in grado di essere venduto contemporaneamente? L analisi di microsegmentazione La macrosegmentazione che conduce alla creazione di una griglia di segmentazione, cioè alla scomposizione del mercato di riferimento in prodotti-mercati, non è però sufficiente nel contesto attuale. Infatti, la macrosegmentazione si focalizza solo sul servizio di base offerto dai vari prodotti, mentre noi sappiamo che i prodotti presentano anche servizi accessori necessari o aggiunti, indispensabili per soddisfare al meglio i clienti, diventati sempre più esperti e sempre più esigenti. 42

43 Perciò, è opportuno andare a segmentare ulteriormente il mercato. Esistono vari metodi di microsegmentazione: - segmentazione socio-demografica, o descrittiva; - segmentazione in base ai vantaggi perseguiti; - segmentazione comportamentale; - segmentazione socio-culturale o per stili di vita. Segmentazione socio-demografica La segmentazione socio-demografica fa riferimento a determinate caratteristiche demografiche dei soggetti ed è la segmentazione più semplice ma anche quella che presenta i limiti maggiori dal punto di vista del marketing. Questa tipologia di segmentazione parte dal presupposto che è dalla diversità dei profili sociodemografici che scaturisce la diversità nei bisogni e nelle aspettative nei confronti dei prodotti e servizi. Si tratta di un ipotesi molto forte che, come è facile intuire, può essere applicata a determinate categorie di prodotti, ma sicuramente non a tutte. Le variabili di segmentazione sono, come abbiamo detto, variabili demografiche, tra cui le più utilizzate sono il sesso, l età, il reddito, la provenienza geografica, le dimensioni del nucleo familiare, il livello di istruzione, il tipo di occupazione, la classe sociale. Si tratta del metodo di segmentazione maggiormente utilizzato perché presenta vantaggi considerevoli, ossia il costo ridotto, la facilità di applicazione e l accesso alle informazioni. Infatti, i dati sulla popolazione italiana sono regolarmente raccolti dall Istat, e troviamo un equivalente di questa istituzione all interno della maggior parte dei paesi sviluppati. Inoltre, esistono anche alcune banche dati mondiali che consentono di reperire informazioni a costo ridotto. Tuttavia, i limiti di questa tipologia di segmentazione sono notevoli: è un metodo che pone l accento sulla descrizione degli individui che costituiscono il segmento, piuttosto che sull analisi dei fattori che spiegano la formazione del segmento stesso; è un metodo che ha perso molto del suo valore previsionale a causa della standardizzazione delle abitudini di consumo nelle diverse classi sociali. In generale, si tratta di una segmentazione che parte da un presupposto troppo forte, e che quindi può essere applicata a determinate tipologie di prodotti ma non ad altre. Esempi di nuovi segmenti socio-demografici Mutamenti socio-demografici: - riduzione del tasso di natalità; - aumento dell aspettativa di vita; - aumento del numero di donne lavoratrici; - aumento del numero dei divorzi; - aumento nel numero di nuclei familiari composti da un solo genitore. Nuovi segmenti socio-demografici determinati da questi mutamenti: - il segmento dei senior; - il segmento dei nuclei familiari composti da un solo individuo; - il segmento delle famiglie con doppio reddito; - il segmento delle donne lavoratrici. Alcuni esempi di segmentazione descrittiva: - riviste: sono spesso ben differenziate per sesso; - canali televisivi: sono spesso dedicati a determinate categorie e la segmentazione avviene sulla base di caratteristiche demografiche (MTV: canale per giovani; BOING: canale per bambini; RETE4: canale per anziani, ecc); - prodotti cosmetici: sono spesso differenziati per età; Segmentazione in base ai vantaggi perseguiti La segmentazione in base ai vantaggi perseguiti fa riferimento ai vantaggi che i consumatori 43

44 perseguono acquistando un prodotto o un servizio. Questa segmentazione si basa sul presupposto che il valore o il vantaggio ricercato in un prodotto è il fattore esplicativo da individuare. Infatti, due persone con profili socio-demografici identici possono avere sistemi di valori anche molto diversi tra loro. Attraverso questa segmentazione si ricercano i soggetti che esprimono lo stesso sistema di preferenze, cioè che ricercano lo stesso prodotto, inteso come paniere di attributi, perché sono questi i soggetti che presentano lo stesso comportamento d acquisto. Il vantaggio di questa tipologia di segmentazione è quella di concentrarsi sulle differenze tra i sistemi di valore degli acquirenti. Tuttavia, la focalizzazione sui vantaggi ricercati dai consumatori comporta alcuni svantaggi: in primo luogo, si perdono di vista i dati socio-demografici; in secondo luogo si devono sostenere costi elevati per le analisi indirette, necessarie al fine di ricavare le informazioni utili per questa segmentazione; infine, l identificazione degli attributi rilevanti per i consumatori risulta comunque molto complessa, e dipende fortemente dalle abilità dell analista. Per superare tali limiti, spesso è opportuno affiancare la segmentazione in base ai vantaggi perseguiti alla segmentazione demografica. Gli elementi necessari per condurre questo tipo di segmentazione sono: - la lista degli attributi o dei vantaggi associati alla categoria dei prodotti in esame; - la valutazione dell importanza relativa assegnata a ciascun attributo; - il raggruppamento dei clienti che forniscono la stessa valutazione degli attributi considerati; - l identificazione delle dimensioni e del profilo di ciascun segmento identificato. Esempi di segmentazione per vantaggi perseguiti Tipicamente, la segmentazione per vantaggi perseguiti si utilizza per prodotti come i detersivi per lavare i capi, che si distinguono in base al risultato che consentono di raggiungere. Più nel dettaglio, possiamo analizzare la segmentazione per vantaggi perseguiti nel mercato dei dentifrici. 31 ottobre 2012 Segmentazione comportamentale La segmentazione comportamentale fa riferimento al comportamento d acquisto dei clienti. Come la segmentazione demografica, è una tipologia di segmentazione descrittiva, perché semplicemente descrive determinate caratteristiche dei consumatori. Le informazioni sul comportamento d acquisto dei clienti possono essere ricavate dal sistema di contabilità interna all impresa, più precisamente, dal sistema informativo di marketing, che registra le vendite e, di conseguenza, i comportamenti d acquisto posti in essere dai consumatori. Inoltre, le informazioni sul comportamento d acquisto del cliente possono essere ricavate anche dalle cosiddette tessere fedeltà, molto usate dalla grande distribuzione. Grazie a queste tessere, la grande 44

45 distribuzione si trova a possedere un enorme quantità di informazioni, che può sfruttare direttamente, ma che può anche rivendere alle imprese che ne fanno richiesta. La segmentazione comportamentale può essere condotta sulla base di diversi fattori. - Tipologia di cliente: si può distinguere, in generale tra clienti e non clienti. Tra i clienti, si può ulteriormente distinguere tra clienti al primo acquisto, clienti occasionali, clienti regolari, clienti regolari e fedeli, ecc. Tra i non clienti, possiamo distinguere i clienti potenziali, che rappresentano una delle poche variabili non registrate all interno del sistema informativo di marketing, e per cui bisognerà ricorrere ad altri metodi di ricerca. - Tasso di utilizzazione del prodotto: si può distinguere tra piccoli, medi e grandi utilizzatori. Per le imprese, e in particolare per quelle che operano nei business industriali, è molto importante capire se il fatturato è in gran parte concentrato su pochi grandi clienti, oppure se è suddiviso tra tanti piccoli clienti. - Fedeltà dei clienti: si può distinguere tra clienti fedeli e clienti non fedeli, e, all interno dei clienti fedeli, tra clienti che manifestano una fedeltà incondizionata e clienti che manifestano una fedeltà non esclusiva. La fedeltà incondizionata si ha quando i clienti acquistano solo una marca di una determinata tipologia di prodotto; la fedeltà non esclusiva si ha invece quando i clienti acquistano maggiormente una marca di una determinata tipologia di prodotto, ma, in alcune circostanze, è possibile che acquistino anche marche differenti. - Sensibilità agli elementi di marketing: si può distinguere tra clienti sensibili al prezzo, alla qualità o alle offerte speciali. La segmentazione tribale Una particolare tipologia di segmentazione comportamentale è la segmentazione tribale, che, in parte, presenta caratteristiche proprie e diverse rispetto alla segmentazione comportamentale appena esaminata. Essa si basa sull appartenenza dei soggetti a determinati gruppi, a determinate tribù. Mentre tutte le segmentazioni viste finora sono elaborate da analisti, in questo caso la segmentazione è reale e sono i clienti che si autosegmentano, perché si aggregano spontaneamente in gruppi di consumatori legati ad una determinata marca, ad un determinato hobby, ad un determinato problema, e così via. Quindi, in questo caso, i consumatori non solo sono consapevoli di appartenere ad un determinato segmento, ma ne vogliono far parte, tanto che spesso conoscono personalmente gli altri membri, o comunque entrano in contatto con loro attraverso blog o altri strumenti di comunicazione. Un altra differenza rispetto alle segmentazioni viste finora è rappresentata dal fatto che i consumatori sono liberi di entrare e uscire in qualunque momento da un determinato gruppo, e possono tranquillamente appartenere a più gruppi diversi. Infine, se solitamente sono i consumatori che devono manifestare la propria fedeltà nei confronti di una marca, con la segmentazione tribale sono le marche che devono in qualche modo manifestare la propria fedeltà nei confronti dei consumatori, adattandosi ai trend e alle preferenze da essi espressi Segmentazione socio-culturale, o per stili di vita La segmentazione socio-culturale fa riferimento a determinati tratti psicografici, a determinati stili di vita dei consumatori. Questa tipologia di segmentazione si basa sul presupposto che individui molto diversi in termini socio-demografici possono avere comportamenti molto simili e, al contrario, individui simili dal punto di vista demografico possono mettere in atto comportamenti diversissimi. Infatti, gli studiosi hanno notato che non era più molto rilevante studiare ex post i comportamenti dei consumatori, soprattutto in un contesto caratterizzato da elevata standardizzazione nel consumo. È così emersa l importanza della variabile stile di vita. Le variabili di segmentazione utilizzate sono le informazioni sui valori e sulle attività, gli interessi e le opinioni (AIO) dei consumatori. I valori sono il livello più profondo e possono essere definiti come la convinzione durevole che un determinato comportamento sia preferibile rispetto ad un 45

46 altro. Le attività, gli interessi e le opinioni di un soggetto rispetto a tutto ciò che lo circonda, rappresentano invece il livello intermedio. Il comportamento d acquisto è invece il livello più superficiale, le cui caratteristiche dipendono proprio dai valori, dalle attività, dagli interessi e dalle opinioni di un determinato soggetto. Il vantaggio di questa tipologia di segmentazione è quella di fornire un quadro più umano degli acquirenti, proprio perché vengono analizzati i loro valori, le loro attività, i loro interessi e le loro opinioni, anziché i loro bisogni. Lo svantaggio principale di questa tipologia di segmentazione è invece rappresentato dall eccessiva onerosità: analizzare gli stili di vita dei consumatori è costoso perché richiede indagini complesse e approfondite, che devono essere condotte su campioni particolarmente ampi di popolazione, se si desidera ottenere un risultato attendibile. Inoltre, i dati ottenuto sono spesso molto difficili da analizzare, perché richiedono l utilizzo di analisi statistiche multivariate. Prendendo atto di questi svantaggi, le imprese spesso decidono di non condurre personalmente l analisi sugli stili di vita della popolazione, ma di acquistare gli studi di società specializzate in questa attività. Tra queste, ricordiamo, in particolare, Eurisko e GPF, che non solo vendono gli studi elaborati autonomamente, ma effettuano anche studi ad hoc, su specifica richiesta delle imprese. Esempi di segmentazioni per stili di vita: - Chinò: bevi fuori dal coro pensato per clienti che hanno uno stile di vita che si differenzia da quello della massa; - Sector: no limits pensato per un target di consumatori che non vuole limiti, che si pone sempre nuove sfide. Non a caso, i testimonial scelti sono sempre soggetti che praticano sport estremi; - Nike: just do it pensato per clienti con uno stile di vita particolarmente dinamico, particolarmente attivo. Condizioni per una segmentazione efficace Dopo aver condotto le analisi di macro e microsegmentazione, occorre verificare se i risultati cui si è pervenuti sono davvero efficaci. L efficacia della segmentazione può essere valutata sulla base di quattro parametri: - risposta differenziata: la segmentazione effettuata deve massimizzare le differenze fra i segmenti (condizione di eterogeneità) e minimizzare quella tra gli acquirenti all interno di un singolo segmento (condizione di omogeneità); - dimensione sufficiente: i segmenti individuati devono presentare un potenziale sufficiente a giustificare lo sviluppo di una strategia di marketing specifica; - misurabilità: la segmentazione effettuata deve consentire di determinare facilmente la dimensione dei segmenti, il potere d acquisto dei clienti e le loro caratteristiche in termini di comportamento d acquisto; - accessibilità: i segmenti individuati devono essere accessibili e, fin dove possibile, in modo selettivo (copertura controllata o autoselezione). L analisi di attrattività del mercato e di competitività dell impresa Dopo avere segmentato il mercato, l impresa deve decidere su quale segmento posizionarsi conducendo preliminarmente due tipi di analisi: - analisi di attrattività; - analisi di competitività. Analisi di attrattività Per valutare l attrattività dei segmenti individuati, l impresa deve analizzarne la domanda, sia in termini quantitativi, sia in termini dinamici. Perciò, occorrerà valutare: - la dimensione della domanda; 46

47 - l andamento della domanda nel tempo. La dimensione della domanda Valutare la dimensione della domanda significa analizzare le vendite che possono essere associate ad un determinato segmento. Occorre però distinguere tra due tipologie di domanda: - domanda primaria o globale di mercato: il volume delle vendite realizzate presso un dato gruppo di clienti in un luogo e in un periodo specifici e in un determinato contesto economico e di macro-marketing; - domanda relativa all impresa o domanda selettiva: la quota della domanda primaria detenuta dalla marca o dall impresa in una determinata categoria di prodotto e in un determinato segmento o prodotto-mercato. Rispetto a questi due concetti possono essere costruite una serie di analisi di performance. Per fare un esempio, supponiamo di voler valutale come cresce la domanda relativa ad un impresa nel caso in cui la domanda primaria cresca del 15%. Se la domanda relativa cresce del 10%, l impresa ha realizzato una performance pessima, perché è cresciuta meno di quanto è cresciuto il mercato, e ciò significa che ha perso quote di mercato; se la domanda relativa cresce del 15%, l impresa ha realizzato una performance mediocre, perché è cresciuta tanto quanto il mercato, ossia di è limitata a non perdere quote di mercato; se la domanda relativa cresce del 20% l impresa ha realizzato una performance ottima, perché è cresciuta più del mercato, e ciò significa che ha rubato quote di mercato ai concorrenti. Mercato potenziale attuale La domanda primaria può essere espandibile o non espandibile. È espandibile se il livello delle vendite può ancora aumentare in un futuro prossimo, cioè può ancora essere influenzato da fattori del contesto di macro-marketing, nonché dalla dimensione e dall intensità degli sforzi di marketing. È non espandibile se il livello delle vendite non può più aumentare in un futuro prossimo, cioè se non è più influenzato dal contesto di macro-marketing in cui è inserito e dagli forzi di marketing delle imprese concorrenti. Vediamo graficamente come i fattori del contesto di macro-marketing e l intensità degli sforzi di marketing possono influenzare il livello della domanda primaria. Sull asse delle ascisse collochiamo la variabile pressione totale di marketing e sull asse delle ordinate collochiamo la variabile domanda primaria. Vediamo che per sforzi di marketing pari a 0, la domanda primaria è comunque esistente, e che essa tende ad aumentare all aumentare degli sforzi di marketing, seppure in maniera meno che proporzionale. Tuttavia, oltre un certo limite, il livello della domanda primaria smette di aumentare, indipendentemente dal intensità degli sforzi di marketing: tale livello prende il nome di mercato potenziale attuale, o domanda potenziale attuale, ed è il livello di domanda che si raggiunge quando la pressione totale di marketing tende ad infinito. Inoltre, ricordiamo che il livello della domanda non è influenzato solo dagli sforzi di marketing, ma anche dai fattori del contesto di macro-marketing. L influenza di questa seconda variabile è evidenziata dall inclinazione della curva che rappresenta la domanda primaria: infatti, come si 47

48 evince dal grafico, lo stesso livello di domanda primaria richiede sforzi di marketing pari a M in un contesto di prosperità, mentre richiede sforzi di marketing pari ad M > M in un contesto di recessione. 06 novembre 2012 Mercato potenziale assoluto Accanto al concetto di mercato potenziale attuale, occorre introdurre il concetto di mercato potenziale assoluto, o domanda potenziale assoluta, che corrisponde al livello delle vendite totali in concorrenza dei tre seguenti prerequisiti: - tutti gli utilizzatori potenziali di un prodotto sono anche utilizzatori effettivi; - ciascun utilizzatore usa il prodotto in ogni occasione d uso; - ciascun utilizzo del prodotto avviene nella misura massima possibile. Se queste tre condizioni sono contemporaneamente verificate, allora si raggiunge il mercato potenziale assoluto, ossia il massimo livello di domanda che si può ottenere all interno di un determinato prodotto-mercato. Il mercato potenziale assoluto non dipende più dai fattori del contesto di macro-marketing e dall intensità degli sforzi di marketing, ma dipende solo dal tempo. Vediamo graficamente questa situazione. Quindi, in realtà, la domanda primaria può raggiungere un livello superiore a quello del mercato potenziale attuale, ma, in questo caso, non dipenderà più dalle medesime variabili, bensì dal tempo. Essa evolverà in conseguenza dei cambiamenti nel quadro normativo, nei gusti dei consumatori, nelle tecnologie e così via. Esempio: domanda potenziale di carne suina in Italia Gli elementi necessari per stimare la domanda potenziale assoluta di carne suina in Italia sono: - numero di unità di consumo potenziali: ogni persona dai 5 anni in poi, ad esclusione delle persone che, per motivi religiosi, non mangiano carne suina (90% della popolazione italiana). 90% di 60 milioni = 54 milioni di persone; - numero di occasioni di impiego: oltre un impiego al giorno. 54 milioni di persone 1,5 365 giorni = 29, 565 miliardi di occasioni di impiego all anno; - tasso di consumo per occasioni di impiego: un impiego medio implica un consumo di 100 grammi per volta. 29,565 miliardi di occasioni di impiego 100 grammi = 2,965 milioni di tonnellate all anno. Il mercato potenziale assoluto è quindi pari a 2,965 milioni di tonnellate all anno. Se volessimo stimare la domanda potenziale attuale, avremmo bisogno di alcuni elementi in più: - percentuale di unità di consumo potenziali che sono anche unità di consumo effettive, o tasso di occupazione; - percentuale di occasioni di impiego in cui il prodotto viene realmente utilizzato, o tasso di penetrazione; - tasso di consumo effettivo per ogni utilizzo del prodotto. 48

49 La domanda dei beni di consumo La domanda dei beni di consumo si basa essenzialmente su due fattori: - il numero di unità potenziali di consumo (n); - la quantità acquistata da ciascuna unità (q) Q = n q (domanda dei beni di consumo in volume) Il volume d affari totale si determina invece nel modo seguente: R = n q p (domanda dei beni di consumo in valore), dove p indica il prezzo medio per unità. Queste formule valgono a livello generale, ma, in realtà, per individuare i fattori che influenzano la domanda dei beni di consumo, è opportuno specificare con quale tipologia di beni di consumo abbiamo a che fare. Occorre quindi distinguere tra beni di consumo deperibili e beni di consumo durevoli e, all interno della categoria dei beni di consumo deperibili, tra beni di consumo non legati all uso di un bene durevole e beni di consumo legati all uso di un bene durevole. Struttura della domanda di beni di consumo deperibili non legati all uso di un bene durevole Per la domanda dei beni di consumo deperibili non legati all uso di un bene durevole, i fattori rilevanti sono quelli già analizzati, ossia: - numero di unità di consumo potenziali; - tasso di clienti che utilizzano il prodotto (o tasso di occupazione del mercato); - dimensione e/o frequenza degli acquisti (o tasso di penetrazione del mercato). Il mercato potenziale assoluto si determina ipotizzando un tasso di occupazione del 100% e un tasso di penetrazione ottimale per occasione di utilizzo. Struttura della domanda di beni di consumo deperibili legati all uso di un bene durevole I beni di consumo deperibili legati all uso di un bene durevole sono quei beni che, senza il bene durevole, non avrebbero ragione di essere aquistati. Per la domanda dei beni di consumo deperibili legati all uso di un bene durevole, i fattori rilevanti sono: - numero di unità di consumo potenziali; - tasso di dotazione del bene durevole di tali unità; - tasso di utilizzo del bene durevole; - consumo per occasioni di utilizzo. Anche in questo caso, il mercato potenziale assoluto può essere determinato presupponendo un tasso di dotazione delle unità di consumo pari al 100%, un tasso d impiego medio e un tasso di consumo medio, che nella maggior parte dei casi è contenuto nei dati tecnici. Struttura della domanda di beni di consumo durevoli I beni di consumo durevoli sono i beni che non si esauriscono dopo il primo utilizzo, ma rimangono in famiglia per un certo numero di anni. Quando il bene di consumo è durevole, si deve distinguere tra due tipologie di domanda: - domanda di primo acquisto; - domanda di sostituzione. Per la domanda di primo acquisto, i fattori rilevanti sono: - numero di nuove unità di consumo e loro tasso di dotazione; - numero di unità di consumo esistenti che incrementano il proprio tasso di dotazione. Un dato importante per la crescita della domanda di primo acquisto è la velocità di diffusione del bene durevole nel segmento target. Per la domanda di sostituzione la situazione diventa più complessa, perché i fattori da considerare sono molteplici, e ognuno di essi andrà identificato e stimato: - dimensioni del parco esistente; - distribuzione dell età del parco; - distribuzione della durata di vita (obsolescenza tecnica, economica o legata alle mode); 49

50 - tasso di rottamazione del prodotto; - eventuale effetto di sostituzione (nuove tecnologie); - tasso di mortalità delle unità di consumo. L analisi delle opportunità di crescita nel mercato esistente Lo scarto tra il livello della domanda potenziale attuale e l livello della domanda potenziale assoluta rappresenta un indicatore del grado di sviluppo o di sottosviluppo di un prodotto-mercato. Maggiore è lo scarto, più il potenziale di crescita della domanda primaria sarà elevato; viceversa, minore è lo scarto più si sarà vicini al livello di saturazione. Weber ha elaborato uno schema, detto gap analysis, per studiare lo scarto tra il mercato potenziale assoluto e le vendite attuali delle imprese, identificando quattro opportunità di crescita: gap competitivo, gap nel utilizzo del prodotto, gap nella distribuzione e gap nelle linee di prodotti. Gap competitivo Il gap competitivo è rappresentato dalle vendite delle imprese concorrenti. Sommando le vendite di una determinata impresa con le vendite delle imprese concorrenti, si ottiene il mercato potenziale attuale. L impresa in questione dovrà, in primo luogo, difendere la proprio posizione, ossia cerare di non perdere quote di mercato; se poi vuole aumentare la propria quota di mercato, l unica alternativa sarà attaccare le posizioni, cioè le quote di mercato, dei propri concorrenti. Gap nell utilizzo del prodotto Una causa dello scarto tra mercato potenziale attuale e mercato potenziale assoluto può essere un gap nell utilizzo del prodotto, che può essere determinato da vari fattori: - carenza nel numero di utenti, quando molti utenti potenziali non utilizzano il prodotto (basso tasso di occupazione); - carenza nelle occasioni di utilizzo del prodotto, quando gli utenti effettivi non utilizzano il prodotto in tutte le possibili condizioni di impiego (basso tasso di penetrazione); - carenza d impiego, quando tutti gli utenti effettivi utilizzano una quantità ridotta di prodotto ad ogni impiego. Gap nella distribuzione Una seconda causa dello scarto tra il mercato potenziale attuale e il mercato potenziale assoluto può essere un gap nella distribuzione, che può essere determinato da vari fattori: - copertura insufficiente, quando la linea di prodotto rilevante non è distribuita in tutte le aree geografiche desiderate: se questa situazione è determinata dal fatto che l impresa non rifornisce i distributori esistenti in alcune aree geografiche, allora gli sforzi dell impresa stessa possono effettivamente ridurre il gap; se invece questa situazione dipende dall assenza totale di distributori in alcune aree geografiche, allora la riduzione del gap dipenderà solo dal tempo; - intensità di distribuzione insufficiente, quando il prodotto è presente nell area geografica in cui l impresa ha una copertura distributiva, ma in un numero troppo basso di punti vendita: anche in questo caso, se è l impresa a non rifornire i punti vendita esistenti, allora gli sforzi dell impresa stessa possono ridurre il gap; se invece i punti vendita esistenti sono insufficienti, la riduzione del gap dipenderà solo dal tempo; 50

51 - esposizione insufficiente, quando le linee di prodotto dell impresa sono mal presentate o mal valorizzate sugli scaffali o nella disposizione all interno dei punti vendita che le distribuiscono. Gap nelle linee di prodotto Infine, lo scarto tra mercato potenziale attuale e mercato potenziale assoluto può essere determinato da un gap nelle linee di prodotto, che può derivare da diversi fattori: - dimensioni: la dimensione può essere definita in relazione a tre parametri: la quantità del contenitore per prodotti di consumo come bevande o detersivi, la capacità per beni durevoli come i frigoriferi o i computer e la potenza per i motori delle automobili o le macchine utensili industriali; - opzioni disponibili: l impresa può offrire degli optional, cercando così di soddisfare la domanda di singoli clienti; - stile, colore, gusto o profumo: lo stile e il colore sono caratteristiche essenziali per i prodotti tessili, le calzature, gli elettrodomestici, le automobili, ecc; il profumo e il gusto sono importanti strumenti di espansione di linea per le bevande e i prodotti alimentari, i tabacchi, i prodotti per la pulizia personale, ecc; - forma: il cliente può essere attratto più da una forma rispetto ad un altra. Per forma del prodotto si intendono, in questo caso, le modalità di funzionamento, la presentazione, la composizione, la confezione; - qualità: lo sviluppo di linee dal prezzo diverso è una tecnica molto usata dagli esperti di marketing per dare al consumatore una scelta di prodotti differenziata per qualità e prezzo; - prodotti con marca del distributore: molti produttori realizzano una percentuale consistente del proprio volume d affari mediante la vendita di prodotti su cui i distributori appongono la propria marca; - prodotti relativi ad un determinato segmento: si verifica un gap di linee di prodotto in ogni segmento in cui non sia presenta un offerta. Il modello del ciclo di vita del prodotto Nell analisi dell attrattività, l analisi del potenziale di mercato rappresenta una prima fase, prettamente quantitativa, che va completata con una valutazione del ciclo di vita del prodotto (CVP), ossia dell evoluzione della domanda potenziale nel tempo. Il modello dinamico del ciclo di vita del prodotto, preso a prestito dalla biologia, suddivide la vita dei singoli prodotti-mercato in cinque fasi: introduzione, crescita, turbolenza, maturità e declino. Il ciclo di vita del prodotto può seguire andamenti diversi, ma noi analizzeremo solo l andamento standard, che può essere rappresentato come segue: Fase di introduzione Ambiente economico e competitivo. Nella fase di introduzione si assiste, generalmente, ad una lenta evoluzione della domanda, perché sia i clienti sia i distributori manifestano spesso diffidenza 51

52 nei confronti dei nuovi prodotti. In questa fase, il segmento di clienti cui l impresa si rivolge è quello dei pionieri, cioè quei soggetti che tendono ad acquistare le innovazioni non appena vengono immesse sul mercato. L impresa, o le imprese che realizzano il nuovo prodotto si trovano in una situazione di monopolio, dal momento che sono le uniche imprese a commercializzare quel determinato prodotto. La tecnologia è ancora in corso di evoluzione e può essere modificata in itinere. Obiettivi prioritari. Nella fase di introduzione, l obiettivo prioritario è quello di creare la domanda primaria, informando il più possibile il mercato circa l esistenza del prodotto e la sua utilità e incoraggiando i clienti a provare l innovazione. Inoltre, verrà perseguito anche l obiettivo di introdurre il prodotto nella distribuzione. Programma di marketing. Nella fase di introduzione ci si basa su una concezione di base del prodotto, che non viene ancora arricchito di tante funzioni accessorie, dal momento che i clienti devono ancora essere attratti dalla sua funzionalità di base. La distribuzione sarà selettiva o esclusiva, sia perché i distributori devono essere incentivati ad accettare i nuovi prodotti, sia perché sarebbe insensato avviare una distribuzione intensiva se il livello della domanda è ancora basso. Il prezzo fissato dalle imprese pioniere tenderà ad essere alto, perché, generalmente, i clienti sensibili alle innovazioni sono scarsamente sensibili al prezzo e perché l impresa ha bisogno di guadagnare molto per recuperare gli investimenti sostenuti per lo sviluppo del nuovo prodotto. Infine, la comunicazione sarà di tipo informativo, poiché il suo obiettivo principale è quello di comunicare al mercato l esistenza del prodotto, le sue caratteristiche e la sua utilità. 07 novembre 2012 Fase di crescita Ambiente economico e competitivo. Nella fase di crescita la domanda comincia ad aumentare con un tasso in accelerazione, ossia il prodotto comincia ad affermarsi sia fra i clienti, sia fra i distributori. Il segmento di clienti cui si rivolge l impresa è quello dei ricettivi precoci, cioè quei soggetti che adottano l innovazione solo dopo che è stata sperimentata dai pionieri, ma comunque prima della media del mercato. In questa fase, nuovi concorrenti si affacciano al mercato, perciò le imprese innovatrici cominciano a perdere la propria posizione di monopolio. Infine, la tecnologia comincia ad essere stabile e ampiamente diffusa. Obiettivi prioritari. Nella fase di crescita, l obiettivo primario è quello di ampliare ed estendere il mercato e di massimizzare il tasso di occupazione del mercato, cioè il numero di clienti effettivi rispetto al numero di clienti potenziali. Inoltre, l obiettivo diventa quello di costruire un immagine di marca, che differenzi il prodotto di una determinata impresa da quello delle imprese concorrenti, e di creare e mantenere la fedeltà dei clienti alla marca. Programma di marketing. Nella fase di crescita è necessario migliorare il prodotto, dotandolo di tutta una serie di funzioni accessorie che consentano di sviluppare l immagine di marca e di ottenere la fedeltà dei clienti. In questa fase, la distribuzione diventa intensiva o multicanale, sia perché i distributori hanno ormai accettato il prodotto proposto, sia perché è necessario che i consumatori, ormai numerosi e in crescita, trovino il prodotto nel maggior numero e nel maggior tipo possibile di punti vendita. Il prezzo comincerà a scendere, sia perché i clienti risultano maggiormente sensibili a questa variabile, sia perché l aumentare delle vendite probabilmente determina economia di scala e di esperienza, che consentono all impresa di ridurre i costi e quindi di ottenere comunque buoni guadagni, pur fissando un prezzo inferiore. La comunicazione non sarà più di tipo informativo, ma si trasformerà in una comunicazione di immagine di marca. Fase di turbolenza Ambiente economico e competitivo. Nella fase di turbolenza la domanda continua ad aumentare ma ad un tasso decrescente. Il target di clienti cui l impresa si rivolge è la maggioranza del mercato, composta sia dai ricettori precoci, sia dai primi ricettori tardivi, cioè quei soggetti che adottano l innovazione in tempi ragionevoli, ma comunque dopo la media del mercato. In questa fase la 52

53 competizione diventa accesa e i concorrenti più deboli cominciano ad abbandonare il mercato, che diventa così maggiormente concentrato. Obiettivi prioritari. Nella fase di turbolenza l obiettivo principale è identificare i segmenti prioritari verso cui rivolgere l attenzione, perciò emerge l importanza della segmentazione del mercato. Inoltre, l obiettivo delle imprese non sarà più quello di incrementare in generale il tasso di occupazione, ma diventerà quello di incrementare la propria quota di mercato. Perciò, diventa importante posizionare chiaramente la marca e comunicare al mercato il posizionamento scelto. Programma di marketing. Nella fase di turbolenza i prodotti devono essere il più possibile differenziati, cioè devono rappresentare un paniere di attributi il più possibile diverso rispetto a quello offerto dai concorrenti. La distribuzione continua ad essere intensiva o multicanale. Il prezzo, invece, dovrà essere fissato sulla basa del reale valore che il segmento, o i segmenti, di clienti target riconoscono al prodotto. La comunicazione diventerà una comunicazione di posizionamento, cioè diretta a comunicare ai segmenti target il posizionamento scelto dall impresa. Fase di maturità Ambiente economico e competitivo. Nella fase di maturità la domanda non è più espandibile e cresce al ritorno del PIL: ciò significa che le vendite hanno raggiunto i massimi livelli e che le imprese si trovano nella miglior situazione possibile, perché ottengono flussi di cassa molto elevati che non devono neanche essere utilizzati per recuperare gli investimenti, dal momento che questi sono già stati recuperati con le fasi precedenti. Pertanto, le imprese cercheranno di far durare il più a lungo possibile la fase di maturità. In questa fase il mercato è molto segmentato e, se vogliono crescere ulteriormente, le imprese non potranno far altro che trovare nuove nicchie da soddisfare. I concorrenti più deboli che non riescono a raggiungere questo obiettivo saranno costretti ad abbandonare il mercato, che risulterà dominato da pochi potenti concorrenti. Infine, la tecnologia è ormai totalmente stabile e diffusa. Obiettivi prioritari. Nella fase di maturità, l obiettivo primario è quello di trovare nuovi segmenti o nuove nicchie di mercato da soddisfare. Inoltre, si cercherà anche di sviluppare le cosiddette innovazioni discontinue, cioè si cercherà di individuare nuove tecnologie che possano sostituire quella attuale, dando vita ad un nuovo ciclo di vita del prodotto. Infine, occorre posizionare chiaramente la marca sul segmento, o sui segmenti, individuati come prioritari. Programma di marketing. Nella fese di maturità i prodotti devono essere differenziati in base alla segmentazione, ossia devono offrire le funzioni richieste dai segmenti su cui l impresa ha deciso di posizionarsi. La distribuzione torna ad essere selettiva, perché non si vuole più raggiungere la massa indistinta dei consumatori, ma solo il target o i target individuati come prioritari. Occorre evitare il più possibile le guerre di prezzo, che rischiano di determinare perdite per tutte le imprese che operano all interno di quel business. Se i prodotti sono molto differenziati, occorrerà basare la competizione sulla comunicazione, piuttosto che sui prezzi. La comunicazione, da parte sua, continuerà ad essere una comunicazione di posizionamento. Fase di declino Ambiente economico e competitivo. Nella fase di declino si assiste ad un decremento strutturale della domanda, che può essere causato da nuove tecnologie, cambiamenti nelle preferenze e nei gusti dei consumatori, cambiamenti nell ambiente sociale, economico e politico, ecc. La maggior parte delle imprese comincerà a ritirarsi dal mercato, per riconvertirsi alle nuove tecnologie e alle nuove tendenze. Nel business resteranno solo i produttori specializzati, che focalizzano l attenzione sui segmenti di clienti residui. La tecnologia è ormai una tecnologia sorpassata. Obiettivi prioritari. L obiettivo primario diventa quello di disinvestire dal mercato o, eventualmente, di specializzarsi sui segmenti residui. In ogni caso, si cercherà anche di rallentare il più possibile il decremento della domanda primaria. Programma di marketing. Se l impresa decide di rimanere sul mercato la sua linea di prodotti non sarà più ampia, ma sarà limitata, e comprenderà solo i prodotti dedicati ai segmenti residui. La 53

54 distribuzione diventa maggiormente selettiva, perché il livello delle vendite torna ad essere basso, quindi una distribuzione intensiva sarebbe insensata e i distributori comunque non accetteranno più una grande quantità di prodotti che poi non vendono. Il prezzo fissato dalle imprese tornerà ad essere alto, perché la domanda cala, ma i clienti che rimangono sono i collezionisti o i soggetti particolarmente legati a quella specifica tecnologia, che risultano scarsamente sensibili al prezzo. La comunicazione diventa molto mirata, rivolta esclusivamente al segmento residuo, che non richiede neanche grossi investimenti perché generalmente comprende clienti disposti a cercare quello specifico prodotto. Il ciclo di vita del prodotto e i flussi finanziari Prima del lancio di un determinato prodotto sarà necessario sostenere tutta una serie di investimenti, che determineranno quindi tutta una serie di flussi negativi. Nelle fasi di introduzione e di crescita, i flussi finanziari risultano ancora negativi, perché le vendite sono ancora troppo basse per riuscire a rientrare dagli investimenti fatti, dovendo sostenere anche i costi variabili. Nella fase di turbolenza, gli investimenti vengono totalmente recuperati, perciò i flussi finanziari cominciano a crescere, fino a raggiungere il livello massimo nella fase di maturità e di declino, sempre che l impresa decida di restare sul mercato e concentrarsi sui segmenti residui. Quindi, dal punto di vista finanziario, per le imprese risulta vantaggioso commercializzare molti prodotti in fase di turbolenza, maturità e declino. Tuttavia, questa situazione non risulta particolarmente vantaggiosa dal punto di vista del marketing, perché se i prodotti commercializzati dall impresa si trovano tutti in fase di maturità e declino, una volta terminato il ciclo di vita di quei prodotti, l impresa non ha nuove possibilità di crescita. Perciò, in ottica di marketing, le imprese devono disporre di un portafoglio di prodotti equilibrato, cioè devono avere a disposizione prodotti in fase di turbolenza, maturità e declino che generino buoni flussi finanziari, i quali, però, devono essere utilizzati per sostenere i flussi finanziari negativi determinati dai prodotti che si trovano in fase di introduzione o di crescita. La definizione del target e le politiche di posizionamento Le strategie di copertura del mercato di riferimento Esistono varie strategie di copertura del prodotto-mercato di riferimento. - Strategia di focalizzazione: l impresa concentra le sue risorse sui bisogni di un numero ristretto di segmenti all interno del prodotto-mercato. La strategia di focalizzazione può essere realizzata in termini di clienti oppure in termini di prodotto. - Strategia di copertura totale: l impresa si rivolge all intero prodotto-mercato. All interno della strategia di copertura totale esistono due possibili tecniche di copertura del prodottomercato: l approccio di massa, con cui l impresa si rivolge a tutti i clienti del prodotto- 54

55 mercato con un unico prodotto o servizio indifferenziato; la customizzazione di massa, con cui l impresa produce tanti prodotti diversi, ognuno dei quali pensato per uno specifico segmento del prodotto-mercato. - Strategia mista: l impresa diversifica le sue attività in termini di funzioni e/o di gruppi di clienti. Le decisioni di posizionamento strategico Una volta deciso che tipo di copertura di mercato adottare, l impresa deve scegliere la politica di posizionamento da adottare in ogni segmento target. Il posizionamento è la posizione che il prodotto o la marca assume nella mente del cliente. Per far sì che il prodotto o la marca assuma la posizione desiderata nella mente dei clienti, l impresa deve agire sulle quattro leve del marketing mix, in particolare sulla comunicazione, con la quale può rendere note ai clienti le differenze che il suo prodotto o la sua marca presenta, rispetto ai prodotti o alle marche concorrenti: se l impresa non riesce a posizionare chiaramente il proprio prodotto o la propria marca, non riuscirà neanche a differenziare nettamente il suo prodotto o la sua marca rispetto al prodotto o alle marche concorrenti, e i clienti rischieranno di confondersi. Perciò, l impresa dovrà decidere esattamente quale vuole che sia il posizionamento del proprio prodotto o della propria marca e, per farlo, dovrà prestare molta attenzione al posizionamento dei concorrenti. Quindi, il posizionamento può essere definito come la decisione dell impresa relativa alla scelta del (dei) beneficio (benefici) della marca che può far guadagnare un posto distintivo nel mercato. La decisione di posizionamento dovrebbe derivare dalla contemporanea risposta a quattro domande chiave: - Una marca per cosa? Quali sono gli attributi del prodotto o della marca e quali sono i benefici che ne derivano per il cliente, ossia quali sono i bisogni che l impresa vuole soddisfare. - Una marca per chi? Quali sono i segmenti o sottosegmenti target di consumatori che l impresa vuole soddisfare con quel prodotto o quella marca. - Una marca per quando? Quali sono le situazioni d uso o di consumo nelle quali può essere utilizzato il prodotto o la marca. - Un marchio contro chi? Quali sono i diretti concorrenti, da cui l impresa dovrà cercare di posizionarsi il più lontano possibile. I criteri di posizionamento - Posizionamento secondo gli attributi del prodotto/servizio o secondo i benefici attesi dai clienti (qualità, affidabilità, design, performance ecc). Esempi: Geox (attributo: la respirazione delle scarpe), Duracell (attributo: la durata della pila), Volvo (attributi: sicurezza e affidabilità), Bang & Olufsen (attributo: design); Activia (beneficio: regolarità intestinale), Aquafresh (benefici: protezione dalla carie, protezione delle gengive, alito fresco), Zymil (beneficio: digeribilità del latte). - Posizionamento in base al prezzo (elevato o basso). - Posizionamento per specifiche funzioni e occasioni d uso (pasto abituale/snack, ecc). Esempi: Daygum protex (occasione d uso: quando non hai lo spazzolino), Pocket Coffee (occasione d uso: quando hai un calo di energia), Ferrero Rocher (occasione d uso: festività o inviti a cena). - Posizionamento per tipologie di cliente. Esempi: Sector (clienti che hanno uno stile di vita attivo, dinamico, o addirittura pericoloso), Valsoia (clienti con problemi di colesterolo), Salewa (clienti che praticano sport legati alla montagna, in particolare l alpinismo). - Posizionamento in base all immagine. Esempio: profumi. Analisi del posizionamento Il posizionamento della marca, o dei prodotti, o dei servizi, consiste nell impostare e sviluppare un 55

56 programma di comunicazione ed un piano di marketing per fare assumere a tale fattore un preciso ruolo, o posizione, nella mente del cliente. Mappe di posizionamento Sono rappresentazioni delle percezioni dei consumatori relativamente ai prodotti concorrenti. Per la loro costruzione occorre: - identificare un insieme di dimensioni che rappresentino gli attributi salienti, sulla base dei quali i consumatori giudicano e scelgono i diversi prodotti/marche; - selezionare gli attributi da utilizzare in modo che rappresentino coppie di modalità polari (alto/basso, tanto/poco, ecc); - rilevare la posizione dei prodotti/servizi secondo la percezione dei clienti, in relazione ai fattori di valutazione sopra considerati. 2 parte per 2 compitino 56 Il marketing operativo La variabile prodotto Nell ambito della variabile prodotto, le problematiche da affrontare sono essenzialmente due: - il processo di sviluppo dei nuovi prodotti; - la gestione della marca. Il processo di sviluppo dei nuovi prodotti L importanza dell innovazione tecnologica L innovazione tecnologica è diventata uno dei fattori determinanti del successo competitivo delle imprese. Infatti, senza l innovazione non sarebbe possibile sostituire i prodotti che si trovano in fase di maturità o di declino con prodotti che si trovano all inizio del proprio ciclo di vita; senza l innovazione, le imprese non potrebbero in alcun modo continuare la propria attività, soprattutto se operano in business dove la tecnologia è di fondamentale importanza.

57 Le innovazioni possono essere classificate in vari modi. La classificazione più comune distingue le innovazioni, sulla base del loro oggetto, in: - innovazioni di prodotto: consentono alle imprese di proteggere i propri margini di profitto attraverso l introduzione di elementi di differenziazione e di novità nella propria offerta. Si tratta di innovazioni maggiormente legate alla differenziazione; - innovazioni di processo: consentono alle imprese di migliorare l efficienza dei propri processi di produzione. Si tratta di innovazioni maggiormente connesse alla riduzione dei costi. Un ulteriore classificazione distingue le innovazioni, dal punto di vista dell originalità, in: - innovazioni incrementali: modificano alcuni attributi di un determinato prodotto o alcuni aspetti di un determinato processo produttivo. L originalità non è particolarmente spinta e l innovazione non sconvolge il mercato; - innovazioni radicali: creano un prodotto o un processo produttivo totalmente nuovo. L originalità è molto spinta e l innovazione sconvolge il mercato. L innovazione tecnologica è diventata particolarmente importante in conseguenza di due fattori principali: i progressi nelle tecnologie dell informazione (ITC), che hanno determinato un accelerazione dei processi di innovazione; la globalizzazione, che ha aumentato l intensità della pressione competitiva. Questi fattori hanno determinato tre principali conseguenze: - il ciclo di vita del prodotto si accorcia; - l introduzione di nuovi prodotti diventa sempre più rapida; - la segmentazione del mercato assume un ruolo decisivo. Il processo di innovazione, però, è un attività molto rischiosa per le imprese, perché richiede notevoli investimenti prima dell introduzione del prodotto sul mercato; se poi il prodotto non viene apprezzato dai clienti, i costi sostenuti per sviluppare l innovazione si trasformano in costi affondati, cioè in costi che non possono più essere recuperati. Gli elevati costi, e quindi la rischiosità del processo di innovazione sono determinati dal fatto che, per arrivare all introduzione di un solo prodotto sul mercato, è sempre necessario lo sviluppo di un numero di idee di partenza notevolmente superiore. Infatti, la maggior parte delle idee innovative non si trasforma in prodotti innovativi: secondo alcune ricerche, solo un idea su 3000 diventa un prodotto di successo nel mercato. Per questo motivo, si parla di imbuto dell innovazione: di 3000 nuove idee allo stato embrionale, solo il 10% circa viene sottoposto ad un processo di valutazione, mentre il 90% restante viene scartato immediatamente, perché chiaramente non fattibile, non compatibile con le caratteristiche dell impresa o con la sua immagine, ecc; delle 300 idee sottoposte a valutazione, circa la metà diventano oggetto di piccoli progetti sperimentali; di queste 125 idee, solo 4 danno luogo a progetti di sviluppo di dimensioni maggiori; si arriva poi a 2 prodotti immessi sul mercato, di cui solo 1 diventa un prodotto di successo, anche a causa del basso tasso di accettazione dei nuovi prodotti da parte dei clienti (inferiore al 50%). 57

58 Dal momento che, come appena visto, il processo di innovazione è molto rischioso, esso viene seguito molto attentamente e sono state ideate procedure aziendali formalizzate per lo sviluppo di nuovi prodotti, in modo da sbagliare il meno possibile. Innovazioni market-pull o technology-push Prima di analizzare nel dettaglio il processo di sviluppo di nuovi prodotti è opportuno riprendere la distinzione tra marketing strategico di risposta e marketing strategico di creazione dell offerta, che sono legati a due diverse tipologie di innovazione: il marketing strategico di risposta è legato alle innovazioni market-pull (trainate dal mercato), mentre il marketing strategico di creazione dell offerta è legato alle innovazioni technology-push (spinte dalla tecnologia). Le innovazioni market-pull sono le innovazioni richieste dal mercato e che rispondono direttamente ai bisogni osservati: la funzione marketing analizza i bisogni dei clienti, in modo tale da individuare le innovazioni che essi richiedono, e comunica poi le sue osservazioni alla funzione ricerca e sviluppo, incaricata di realizzare un prodotto o un servizio che risponda ai bisogni espressi dai clienti. Tuttavia, questo approccio consente di ottenere solo innovazioni incrementali, perché i clienti non sanno fino a che punto può spingersi la tecnologia, perciò è difficile che riescano a proporre innovazioni radicali, che consentano all impresa di diventare leader di mercato. Le innovazioni technology-push, invece, sono le innovazioni frutto dell impegno del reparto ricerca e sviluppo e che soddisfano bisogni latenti: la funzione ricerca e sviluppo genera un nuovo prodotto o un nuovo servizio e solo successivamente interverrà la funzione marketing, incaricata di individuare i potenziali clienti, ossia i consumatori che presentano il bisogno latente che può essere soddisfatto da quello specifico prodotto o servizio. Questo approccio, a differenza del precedente, consente di ottenere innovazioni radicali, che consentono all impresa di diventare leader di mercato. L organizzazione del processo di sviluppo dei nuovi prodotti Come già detto, si è tentato di formalizzare il più possibile il processo di sviluppo di nuovi prodotti, in modo tale da renderlo meno rischioso. Innanzitutto, per portare avanti lo sviluppo delle innovazioni, la maggior parte delle imprese istituisce il comitato di sviluppo di nuovi prodotti, o semplicemente comitato nuovi prodotti. Il comitato nuovi prodotti è un comitato permanente interfunzionale, che si riunisce periodicamente, per esempio una volta al mese, ed ha la responsabilità di organizzare le relazioni tra le diverse funzioni e di gestire il processo di sviluppo dei nuovi prodotti dal momento in cui nasce l idea sino alla fase di lancio. Per questo motivo, esso è formato dai responsabili delle principali funzioni aziendali coinvolte nell innovazione, che sono la ricerca e sviluppo, la produzione, il marketing, la finanza e la gestione delle risorse umane, ed è generalmente presieduto dal direttore generale; tutti questi soggetti svolgono la loro attività all interno del comitato nuovi prodotti, continuando però ad operare quotidianamente nella propria area funzionale. Cosa diversa sono i gruppi a progetto, o venture team. I gruppi a progetto sono equipe interfunzionali, costituite appositamente per sviluppare un progetto specifico. Essi sono composti da membri operativi dei diversi reparti, tra i quali viene spesso individuato un project manager, ossia un responsabile incaricato di coordinare i soggetti che operano all interno del proprio gruppo. Tutti questi soggetti si distaccano temporaneamente, del tutto o in parte, dalle proprie attività ordinarie, per concentrarsi esclusivamente sullo sviluppo del progetto in questione. Il comitato nuovi prodotti e i gruppi a progetto sono la struttura di sostegno del processo di sviluppo di nuovi prodotti. Le tipologie di processo di sviluppo di nuovi prodotti più seguite dalle imprese sono essenzialmente due: - processo di sviluppo sequenziale; - processo di sviluppo parallelo. In entrambi i casi, il processo di sviluppo di nuovi prodotti si articola in una serie di fasi, che prendono avvio con la generazione del maggior numero possibile di idee, proseguono con una serie 58

59 di tappe intermedie che consentono di selezionare le idee maggiormente promettenti, e terminano con la commercializzazione di un unico prodotto. La differenza è che, nell ambito del processo di sviluppo sequenziale le diverse fasi si susseguono senza mai sovrapporsi, mentre nell ambito del processo di sviluppo parallelo le diverse fasi possono anche sovrapporsi l una all altra. Il processo di sviluppo sequenziale Il processo di sviluppo sequenziale si articola in una serie di fasi poste in sequenza, poste cioè in modo da non sovrapporsi mai l una all altra. Questo processo può essere raffigurato nel modo seguente: Il vantaggio dell approccio sequenziale è la riduzione del tasso di fallimento dei nuovi prodotti: dal momento che il progetto non passa alla fase successiva finché non si è sicuri della precedente, si minimizzano i rischi di non accettazione del prodotto da parte del mercato. Tuttavia, questo approccio presenta alcuni inconvenienti. Innanzitutto non favorisce l integrazione tra le diverse funzioni, dato che ognuna di esse trasmette il progetto alla funzione che interviene nella fase successiva, senza mai collaborare. In secondo luogo, il passaggio alla fase successiva avviene soltanto quando tutte le esigenze della precedente sono state soddisfatte; il sopraggiungere di un ritardo in una qualunque delle fasi ritarda l intero processo a valle. Infine, una pianificazione di questo tipo è lenta e richiede tempi lunghi, mentre il contesto attuale richiede una rapidità sempre maggiore, specialmente a livello di time to market, ossia a livello di tempo che intercorre tra la fase di generazione delle idee e la fase di commercializzazione del prodotto. Il processo di sviluppo parallelo Il processo di sviluppo parallelo si articola nelle stesse fasi che caratterizzano il processo di sviluppo sequenziale, con la differenza che tali fasi possono, in alcuni momenti, essere svolte in parallelo, ossia in maniera congiunta. Questo processo può essere raffigurato nel modo seguente: 59

60 Per portare avanti questo processo di sviluppo, l impresa deve necessariamente istituire un gruppo a progetto, perché non è possibile lavorare contemporaneamente su più fasi senza la collaborazione tra soggetti operativi appartenenti alle funzioni aziendali coinvolte nelle varie fasi. I vantaggi di questo approccio sono molteplici. In primo luogo, il sistema consente un maggior coordinamento interfunzionale, dato che gli specialisti delle varie funzioni devono necessariamente collaborare tra loro. In secondo luogo, il sopraggiungere di un ritardo in una qualunque delle fasi non ritarda l intero processo, perché le fasi successive possono procedere anche senza che la precedente sia stata totalmente conclusa. Infine, una pianificazione di questo tipo è molto più veloce e, quindi, molto più adatta al contesto attuale, che richiede una rapidità sempre maggiore, specialmente a livello di time to market. Le fasi del processo di sviluppo dei nuovi prodotti Come già detto, le fasi del processo di sviluppo dei nuovi prodotti sono le stesse sia che si adotti un approccio di tipo sequenziale, sia che si adotti un approccio di tipo parallelo. È quindi opportuno analizzare nel dettaglio le singole fasi. La generazione di idee di nuovi prodotti Il processo di sviluppo delle innovazioni inizia dalla generazione di idee di nuovi prodotti che siano coerenti con la strategia di sviluppo scelta. In generale le idee, soprattutto quelle buone, non arrivano spontaneamente; bisogna quindi organizzarsi e stimolarne lo sviluppo. I metodi in grado di generare idee di nuovi prodotti possono essere raggruppati in tre categorie: - metodi di analisi funzionale; - gruppi di creatività e brainstorming; - generazione di idee da parte dei clienti. I metodi di analisi funzionale sono utili in quanto danno agli stessi utilizzatori di un prodotto la possibilità di suggerire come cambiarlo e migliorarlo; essi portano perciò essenzialmente a innovazioni incrementali. Esistono vari metodi di analisi funzionale. In primo luogo, si può condurre un analisi dei problemi causati ai clienti dall utilizzo del prodotto venduto dall impresa. Ogni problema che emerge analizzando il comportamento dell utente può dare vita a una nuova idea su possibili modifiche o miglioramenti da apportare al prodotto, in modo da soddisfare il cliente in maniera migliore. Questo sistema si usa spesso negli studi sui mercati B2B, perché i clienti industriali sono in grado di individuare in maniera precisa i problemi derivanti dall utilizzo del prodotto acquistato e, spesso, sono anche in grado di aiutare l impresa fornitrice a capire come risolverli. In secondo luogo, si può utilizzare il metodo della lista di attributi, che ha gli stessi obiettivi dell analisi dei problemi, ma, invece di esaminare il comportamento del cliente, studia le caratteristiche intrinseche del prodotto stesso. Il metodo consiste nello stilare una lista delle caratteristiche principali del prodotto, per capire se ne possono essere introdotte di nuove o se è possibile ricombinarle in modo da ottenere un risultato migliore. Ancora, è possibile condurre un analisi morfologica, che consiste nell identificare le dimensioni più importanti di un prodotto, per poi esaminare a due a due i rapporti tra le singole dimensioni. Lo scopo è quello di individuare nuove combinazioni interessanti. Si può poi ricordare un metodo di ricerca di idee datato ma ancora efficace: la casella dei suggerimenti. In passato, la casella dei suggerimenti era una casella fisica, in cui i dipendenti potevano inserire i fogli con le proprie idee; oggi, la casella dei suggerimenti è spesso una casella elettronica, ma ha mantenuto inalterata la sua funzione. Essa può risultare molto utile purché si rispettino due regole, ossia considerare e reagire rapidamente alle idee proposte e disporre di un sistema di riconoscimento che motivi i dipendenti. Infine, è possibile utilizzare la tecnica del reverse engineering, che prevede l analisi dei prodotti della concorrenza, allo scopo di individuare le eventuali fonti del vantaggio competitivo. 60

61 I metodi che tendono a stimolare la creatività rientrano in due categorie principali: metodi formalizzati e metodi non formalizzati. I metodi non formalizzati si basano essenzialmente su immaginazione e intuizione e sono in genere adottati sotto forma di gruppi di creatività. Si fa leva sull ipotesi secondo cui un gruppo di individui è più creativo degli individui che operano isolatamente, grazie ad un effetto di sinergia e d interazione tra i membri del gruppo. Il brainstorming è probabilmente il metodo più popolare, soprattutto perché semplice da organizzare: si riuniscono da sei a dieci persone, di esperienza e formazione molto variegata, alcune delle quali esterne all impresa, precisando che l obiettivo consiste nel generare, su un tema particolare, il maggior numero possibile di idee in maniera spontanea. Il ricorso a questo metodo richiede il rispetto di alcune regole. Innanzitutto non è permesso alcun genere di valutazione sulle idee altrui, poiché le critiche rischiano di spingere i partecipanti a difendere le proprie idee anziché a cercare di scoprirne di nuove. È poi necessario incoraggiare moltissime idee. Questo tipo di esercizio è spesso efficacissimo; non è raro ottenere dal gruppo, nel corso di un ora, oltre cento idee, che il più delle volte portano a innovazioni incrementali, ma, in alcuni casi, possono condurre anche ad innovazioni radicali. I metodi di ricerca di idee appena descritti vedono come parte attiva il produttore. Tuttavia, specialmente all interno dei mercati industriali, spesso le richieste dei clienti sono all origine di nuove idee di prodotti. Infatti, gli utilizzatori, specialmente se esperti e competenti, posseggono una profonda conoscenza dei propri bisogni e hanno un forte incentivo ad escogitare soluzioni in grado di soddisfarli. Un esempio è il Laser, una barca a vela di grande successo, nata dall ispirazione creativa di tre ex velisti olimpionici. Inoltre, le innovazioni sviluppate dagli utilizzatori possono condurre alla nascita di nuovi settori, come è accaduto nel caso degli snowboard. I primi snowboard, infatti, sono stati sviluppati da alcuni appassionati, alla ricerca di nuovi modi per sfrecciare sulla neve: Tom Sims realizzò il primo ski board in legno; Sherman Poppen creò uno snurfer nel tentativo di realizzare un giocattolo originale per sua figlia; Jake Burton aggiunse delle cinghie di gomma a strappo allo snurfer per averne un maggiore controllo. Oggi lo snowboard si è trasformato in un settore di grande rilievo, con milioni di praticanti sia in Nord America che in Europa. 27 novembre 2012 La selezione delle idee di nuovi prodotti Dopo aver generato molte idee di nuovi prodotti, occorre cominciare a selezionarle, in modo tale da eliminare quelle incompatibili con le risorse o con gli obiettivi dell impresa o semplicemente non interessanti per quest ultima. Un metodo semplice ed efficace per selezionare le idee di nuovi prodotti è quello della griglia di valutazione. Le griglie di valutazione sono di tanti tipi diversi e non ne esiste una ottimale, ma la scelta dipenderà dalle specifiche caratteristiche dell impresa e dei prodotti o servizi da essa sviluppati. La griglia di valutazione più semplice prevede l assegnazione di determinati punteggi alle idee di nuovi prodotti per ciascuna area funzionale; tipicamente questa operazione è svolta dei membri del comitato nuovi prodotti, ossia dai responsabili delle aree funzionali coinvolte nell innovazione. Da questi punteggi è poi necessario giungere ad un indicatore grezzo, che si può ottenere in vari modi. In primo luogo si possono utilizzare tecniche compensatorie, cioè tecniche che compensano i punteggi negativi attribuiti dal responsabile di una determinata area funzionale con i punteggi positivi attribuiti dal responsabile di un altra area funzionale. Queste tecniche prevedono il calcolo della media ponderata dei punteggi ricevuti, attribuendo la medesima importanza a tutte le aree funzionali oppure ponderando ciascuna area funzionale per la sua importanza relativa, in modo da rendere maggiormente rilevanti i giudizi dei responsabili delle aree funzionali più importanti con riferimento ad una determinata innovazione. Tuttavia, le medie ponderate vengono utilizzate raramente per la selezione delle idee di nuovi prodotti; a tal fine si preferisce individuare dei livelli massimi e minimi per ogni area funzionale che tutti i progetti 61

62 dovrebbero soddisfare, in modo da prendere in considerazione solo le idee che soddisfano tutte le soglie così stabilite. In questo modo si individua un numero più ristretto di idee di nuovi prodotti su cui concentrare ulteriormente l attenzione. Lo sviluppo del concetto del nuovo prodotto Dopo aver selezionato le idee di nuovi prodotti su cui concentrare ulteriormente l attenzione, occorre sviluppare il concetto del nuovo prodotto. Questa fase si divide in due sottofasi: - la definizione del concetto di prodotto; - il test del concetto del nuovo prodotto. Il concetto di prodotto è una descrizione scritta delle caratteristiche fisiche e percettive del prodotto e del paniere di attributi che rappresenta per un gruppo target di consumatori potenziali. Perciò, definire il concetto di prodotto significa declinare ogni idea come paniere di attributi e capire come ogni paniere di attributi può soddisfare le specifiche esigenze di un target di consumatori potenziali. Alcuni elementi che possono essere assunti come riferimento per la definizione del concetto di prodotto sono: - ciò che fa: funzioni e caratteristiche sperimentabili dal cliente; - ciò che è: aspetto, livello di innovazione, ecc; - a chi è destinato: quale mercato, quali segmenti, quali aree geografiche, ecc; - cosa significa per i clienti; - come si posiziona rispetto alla concorrenza. Il test del concetto di prodotto è il primo vero investimento in termini di impiego di risorse finanziarie che l impresa deve compiere nel processo di sviluppo dell innovazione. Dopo aver definito il concetto di prodotto occorre sottoporlo a test, ossia sottoporlo ad un ristretto gruppo di utenti target (20-50 persone) per misurarne il grado di accettazione. Esistono due forme per misurare il grado di accettazione da parte del gruppo di utenti target del concetto di prodotto: - forma neutra; - annuncio pubblicitario fittizio. In entrambi i casi si riunisce il gruppo di utenti target e si presenta loro il prodotto inteso come paniere di attributi. Se la presentazione avviene in forma neutra, semplicemente si illustrano gli attributi che il prodotto offre, in modo tale che i clienti possano capire quali bisogni quel prodotto soddisfa e quali sono gli elementi di novità rispetto ai prodotti offerti dai concorrenti. Se invece la presentazione avviene in forma di annuncio pubblicitario fittizio, si illustrano gli attributi che il prodotto offre attraverso un primo spot pubblicitario, che, ovviamente, evidenzia maggiormente le caratteristiche positive, mentre tende ad omettere quelle negative. Entrambe le forme presentano vantaggi e svantaggi: la forma neutra è meno costosa e non influenza in alcun modo le risposte degli utenti target, ma risulta meno veritiera perché, in realtà, il prodotto non verrà mai presentato in forma neutra; viceversa, l annuncio pubblicitario fittizio è più costoso, dal momento che richiede l intervento di un agenzia pubblicitaria che elabori un primo spot, e rischia di influenzare le risposte degli utenti target, restituendo un intenzione di acquisto superiore a quella reale, ma risulta molto più veritiero, perché il prodotto verrà poi effettivamente presentato in forma di annuncio pubblicitario. In entrambi i casi, l obiettivo è chiedere agli utenti di fornire un giudizio sul concetto di prodotto, in modo da capire se questo può portare allo sviluppo di un prodotto che avrà effettivamente successo sul mercato. Tale giudizio si basa su domande quali: I vantaggi del prodotto sono chiari e credibili? Il prodotto soddisfa un reale bisogno? Il prezzo vi sembra accettabile? Acquistereste questo prodotto? Chi utilizzerà il prodotto? Ai fini della determinazione del tasso di intenzione d acquisto, la domanda più rilevante è acquistereste questo prodotto?. Tradizionalmente, se una percentuale di utenti superiore al 60% forniva una risposta affermativa a questa domanda, il prodotto proseguiva il suo processo di 62

63 sviluppo. Tuttavia, nel corso del tempo, ci si è accorti che la valutazione del solo tasso di intenzione di acquisto non portava a decisioni del tutto corrette, perché non sempre la semplice intenzione d acquisto si trasforma poi in un acquisto effettivo. Perciò, è stato sviluppato il tasso di intenzione d acquisto corretto, che non prende in considerazione solo la risposta alla domanda acquistereste questo prodotto?, ma anche la valutazione dei clienti circa i vantaggi perseguibili con il prodotto, in particolare la risposta alla domanda il prodotto soddisfa un reale bisogno?. La maggior parte degli utenti target che rispondono affermativamente ad entrambe le domane hanno un elevata probabilità di acquistare effettivamente il prodotto proposto, perciò è sul tasso di intenzione d acquisto corretto che si basa la decisione dell impresa di proseguire o meno lo sviluppo del prodotto in questione. Un altro strumento che può essere utilizzato per testare il concetto di prodotto è l analisi congiunta (conjoint analysis), una tecnica statistica che analizza le utilità che il gruppo di utenti assegna alle diverse caratteristiche del concetto di prodotto. Quest analisi non evidenza l intenzione d acquisto, bensì le utilità che i consumatori attribuiscono alle varie caratteristiche del prodotto. Il processo di adozione da parte del cliente Per i prodotti che superano le fasi appena descritte, bisognerà effettuare un analisi della domanda, ossia bisognerà capire se è profittevole inserire quei prodotti sul mercato (analisi già vista, parlando del marketing strategico). Occorrerà poi progettare il piano di lancio dei nuovi prodotti che superano questa ulteriore fase. Affinché tale piano sia efficace, deve essere basato su una buona conoscenza del processo di adozione dell innovazione seguito dal gruppo target di consumatori. In generale, il processo di adozione si compone di una sequenza di fasi: - conoscenza: il potenziale cliente scopre l esistenza del prodotto e comincia ad interagire con esso. La pubblicità informativa e il passaparola hanno un influenza decisiva in questa fase; - comprensione: si basa sulla conoscenza e rappresenta la concezione che l individuo ha del prodotto e delle funzioni che può svolgere; - atteggiamento: l individuo comincia a sviluppare le proprie idee circa il prodotto, che lo portano a valutarlo in modo favorevole o sfavorevole. La pubblicità fondata sul concetto, i consigli del distributore e il ruolo dei prescrittori hanno un influenza determinante; - convinzione: l individuo sviluppa un atteggiamento favorevole, si convince che il prodotto è superiore rispetto a quelli offerti dalla concorrenza e che acquistarlo è la cosa giusta da fare; - prova: l individuo utilizza per la prima volta il prodotto in piccola quantità. Molto spesso la prova avviene perché incentivata da promozioni sul prezzo o dalla distribuzione di campioni gratuiti; - adozione: l individuo decide di adottare stabilmente l innovazione e continua ad acquistarla e utilizzarla. Il processo di adozione a questo punto è completo. In tema di adozione dell innovazione da parte dei clienti, è utile analizzare la curva di Rogers, che classifica coloro che adottano un innovazione in cinque categorie, in base al tempo necessario all adozione. Il presupposto di partenza è che la totalità della clientela di un determinato prodotto si distribuisca secondo una normale. Andando da sinistra a destra della curva, troviamo innanzitutto gli innovatori, ovvero i primissimi ad acquistare l innovazione. Si tratta di utenti indipendenti, poco avversi al rischio e particolarmente attenti all innovazione; rappresentano una percentuale molto piccola del mercato. Proseguendo verso destra, troviamo poi gli adottanti precoci. Si tratta di un gruppo più ampio, composto da opinion leader all interno del gruppo sociale di riferimento. Essi adottano le nuove idee rapidamente, prima della maggioranza del mercato, ma comunque in maniera prudente. La parte centrale della curva è costituita dalla maggioranza del mercato, distinta in maggioranza precoce e maggioranza tardiva. Nel primo caso si tratta di persone che adottano idee nuove prima della media di mercato, ma hanno bisogno di informazioni e non sono dei trascinatori; nel secondo caso, invece, si tratta di persone scettiche, che adottano idee nuove dopo la media di mercato, ossia 63

64 dopo che la maggioranza le ha già testate. Infine troviamo i ritardatari, ovvero gli ultimi ad acquistare l innovazione. Si tratta di utenti legati alle tradizioni, molto avversi al rischio e resistenti al cambiamento. Il prezzo dei nuovi prodotti Il prezzo di lancio dei nuovi prodotti può essere fissato scegliendo fra due politiche totalmente contrapposte: - la politica del prezzo di scrematura; - la politica del prezzo di penetrazione. La politica del prezzo di scrematura consiste nel vendere il nuovo prodotto ad un prezzo elevato, rivolgendosi volutamente all estremità superiore della curva di domanda, in modo da garantirsi rapidamente rientri finanziari consistenti dopo il lancio. Questa politica risulta conveniente quando si ha motivo di ritenere che il ciclo di vita del nuovo prodotto sarà breve o che il prodotto verrà rapidamente imitato dalla concorrenza. In questi casi, infatti, una politica di prezzo basso non consentirebbe di far fruttare l innovazione. La politica del prezzo di scrematura, tuttavia, non implica che in futuro il prezzo non possa essere abbassato: l impresa adotterà un prezzo elevato nella fase iniziale, ma, dopo aver recuperato la maggior parte degli investimenti, comincerà ad abbassarlo, in modo da raggiungere anche gli utenti con disponibilità inferiori ed incrementare così la propria quota di mercato. La politica del prezzo di penetrazione consiste, invece, nel praticare prezzi bassi per occupare una quota di mercato rilevante fin dall inizio. Questa politica risulta conveniente quando le innovazioni introdotte sono di tipo incrementale e quando gli investimenti sostenuti non sono ingenti. Inoltre, se il prodotto nuovo è minacciato da una forte concorrenza a brevissima distanza dalla sua introduzione sul mercato, l impresa ha un valido motivo per adottare prezzi bassi: in questo caso, la politica del prezzo di penetrazione viene applicata per scoraggiare l ingresso nel mercato di nuovi concorrenti, dal momento che i prezzi bassi costituiscono una barriera molto efficace. 28 novembre 2012 La gestione della marca La marca Le marche sono una delle principali leve all interno della variabile prodotto, dal momento che, spesso, rappresentano uno degli asset principali in termini di valorizzazione per il cliente. Nel marchio, infatti, si concentrano tutti gli investimenti in comunicazione realizzati in passato dall impresa. In base alla definizione data dall American Marketing Association, la marca è un nome, un termine, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi elementi, che ha l obiettivo di identificare beni e servizi di un venditore, o di un gruppo di venditori, differenziandoli da quelli dei concorrenti. In realtà, la maggior parte delle marche relative ai beni di largo consumo, in particolare per la pulizia della casa, per l igiene personale e, in parte, per l alimentazione, non vengono gestite da una singola impresa, ma appartengono a case di marche, cioè a imprese che per lavoro gestiscono un portafoglio di marche. Le principali case di marche sono Procter and Gamble e Unilever, ma possiamo ricordare anche L Oreal, Henkel e Palmolive. Procter and Gamble (P&G) comprende marche come Dash, Swiffer, Mastro Lindo, Bolt, Fairy, Viakal, ACE, Wella, Pantene, Oral-B, Braun, Vicks, Duracell, Olaz, Gillette, Eukanuba, ecc. Unilever, invece, comprende marche come Mentadent, Dove, Sunsilk, Clear, Axe, Pepsodent, Calvè, Te Ati, Algida, Lipton, Knor, Domestos, Cif, Coccolino, Svelto, LysoForm, ecc. Sia Procter and Gamble che Unilever hanno sempre preferito restare nascoste dietro ai propri marchi, privilegiando quindi politiche di trattamento separato delle singole marche. Tuttavia, a partire da Londra 2012, Procter and Gamble, che era uno degli sponsor ufficiali delle Olimpiadi, ha dato il via 64

65 ad una politica totalmente opposta, cioè ha cominciato a pubblicizzare il marchio della casa accanto ai singoli marchi, cominciando così a rendere i clienti consapevoli dell unitarietà della gestione alle spalle di tali marchi. Ovviamente, ciò comporta un grosso rischio, perché, se tante marche risultano legate ad un unica impresa, nel momento in cui un evento negativo colpisce una di queste marche, gli effetti si estenderanno anche alle altre. Tuttavia, dal momento che Procter and Gamble gestisce marche molto sviluppate e molto apprezzate, ha deciso di puntare su quest ultima politica, per fare in modo che la forza dei singoli marchi si ripercuota anche sugli altri. L Oreal, invece comprende marche come L Oreal Paris, Garnier, Maybelline New York, Kerastase Paris, L Oreal professional, Matrix, Redken, Biotherm, Lancome Paris, HR, Vichy, La Roche- Posey, Roger & Gallet, ecc. L Oreal ha deciso di utilizzare diversi canali di distribuzione per queste marche, in modo da raggiungere il target di clienti desiderato. In particolare, i prodotti L Oreal Paris, Garnier e Maybelline New York sono destinati al grande pubblico, perciò si è scelto di distribuirli attraverso il canale della grande distribuzione, che, dal punto di vista della cosmetica, è considerato di più basso livello; i prodotti Kerastase, L Oreal professional, Matrix e Redken sono destinati agli hair stylists, mentre i prodotti Biotherm, Lancome Paris e HR sono considerati prodotti di alto livello, perciò vengono distribuiti solo attraverso canali distributivi specifici, in particolare le profumerie; infine, i prodotti Vichy, La Roche-Posay e Roger & Gallet sono prodotti termali, con caratteristiche quasi paramedicali, perciò si è scelto di distribuirli attraverso il canale delle farmacie. Le marche sono diventate sempre più importanti tra i consumatori, tanto che spesso si trasformano in parole comuni: ad esempio Jeep, Coca-Cola, Post-it e Scotch sono marche che vengono ormai utilizzate per identificare tutti i prodotti della stessa tipologia. Negli ultimi anni si sono sviluppate in maniera particolare le marche commerciali (private labels), ossia le marche dei distributori, ad esempio Coop, Conad, Carrefour, Crai, Esselunga, Siasa ecc. Queste marche hanno conosciuto un grande sviluppo perché richiedono una comunicazione minima, consentendo quindi di offrire prodotti a prezzi particolarmente bassi e di raggiungere le categorie di clienti più attente a questa variabile, sebbene ultimamente comincino a raggiungere anche clienti con disponibilità superiori. Negli ultimi anni si sono sviluppate in maniera particolare anche le marche del settore industriale. Tra queste possiamo ricordare FedEx, Intel, UPS, Goretex, Lycra, Bticino, ecc. Queste marche si sono sviluppate grazie alla fedeltà dei consumatori finali, che spingono quindi le imprese a realizzare prodotti attraverso l utilizzo di componenti o di servizi che presentino questi marchi. Gli elementi della marca Gli elementi della marca sono gli strumenti che servono ad identificare una determinata marca e a differenziarla dalla concorrenza. Questi elementi sono: - nome; - logo e simbolo; - slogan; - jingle; - personaggi; - packaging. Il nome della marca deve essere semplice sia da pronunciare, sia da scrivere, possibilmente anche in diverse lingue, per renderlo internazionale e per favorirne il passaparola e la ricordabilità. Esso deve essere diverso, insolito, e distintivo, ma non troppo distintivo, in modo da non renderlo eccessivamente generico. Ad esempio, possiamo ricordate i nomi Dash e Geox. I loghi e i simboli sono gli elementi visivi della marca, che rafforzano il ricordo e il riconoscimento del nome e del brand. Essi servono ad identificare meglio il prodotto cui si fa riferimento. Sono versatili, meglio adattabili rispetto al nome, più facilmente trasferibili in diverse culture. Possono inoltre essere cambiati per rinnovare l immagine della marca. Tra i loghi e i simboli possiamo ricordare quello della Apple, quello della Nike o quello delle Pringles. 65

66 Gli slogan sono brevi frasi, che comunicano informazioni sul brand, di carattere descrittivo o persuasivo, al fine di incentivare l acquisto. Essi aiutano il consumatore ad afferrare il significato e il posizionamento della marca. Possiamo ricordare, ad esempio, gli slogan Dove c è Barilla c è casa, oppure Che mondo sarebbe senza Nutella?. Gli slogan sono i più modificabili tra gli elementi della marca, ma, a volte, se troppo forti, è difficile cambiarli, trovarne altri all altezza. Ricordiamo ad esempio, lo slogan Galbani vuol dire fiducia. Altri esempi di slogan sono: Think different (Apple); Fate l amore con il sapore (Muller); I m lovin it (McDonald s); Just do it (Nike); L energia che ti ascolta (ENEL); La cucina più amata dagli italiani (Scavolini); La pasta numero 1 in Italia (Barilla, campagna pubblicitaria in Paesi stranieri). I personaggi sono utilizzati principalmente nella campagna di lancio di un prodotto e nel design della confezione e rendono particolarmente riconoscibile un determinato marchio. Possono essere animati o figure in carne e ossa. Tra i personaggi possiamo ricordare l orsetto bianco per Coccolino, il coniglietto rosa per Duracell, Calimero per Ava, la tigre per Esso, l uomo del Monte per Mastro Lindo. Il packaging comprende la progettazione e la produzione della confezione (involucro, contenitore) dei prodotti. La confezione deve: identificare il brand, comunicare informazioni descrittive e persuasive, agevolare il trasporto e la protezione del prodotto, facilitare il consumo del prodotto, ecc. Il packaging deve quindi essere il più coerente possibile con il brand e con il suo posizionamento. Tra i packaging possiamo ricordare le confezioni trasparenti della pasta Garofalo, utilizzate per esprimere genuinità, schiettezza, per trasmettere immediata percezione della qualità del prodotto e per differenziare i prodotti da quelli del principale competitor, la Barilla; oppure possiamo ricordare il nuovo packaging della Heineken, che presenta: - nuova veste long neck e no label look, considerata più trendy rispetto alla tradizionale bottiglia da 33cl; - maggiore appeal, personalità distintiva, più moderna, incisiva, innovativa, trendy; - in linea con il target di riferimento: giovani tra i 18 e i 30 anni. Per massimizzare il valore del marchio, occorre miscelare e combinare i diversi elementi, selezionando quelli che permettono di raggiungere obiettivi differenti e integrandoli in modo che si rafforzino reciprocamente, attraverso la condivisione di uno stesso significato. Ad esempio, Coccolino ha scelto un nome che suggerisse l idea di coccole, delicatezza e morbidezza e l ha integrato con un personaggio, che ha contribuito a rafforzare questi concetti. Le funzioni della marca Nei mercati B2C, la marca assolva a varie funzioni, sia per i clienti, sia per il produttore. Per i clienti, la marca assolve sostanzialmente a cinque funzioni: - funzione di orientamento: la marca è percepita dal potenziale acquirente come una lista che contiene uno specifico assortimento di attributi. Il cliente utilizza queste informazioni per orientare le proprie scelte in funzione delle necessità o delle situazioni di consumo che si trova ad affrontare; - funzione di praticità: la marca è per il cliente un mezzo comodo e pratico per associare un nome a un determinato assortimento di attributi, agevolandone la memorizzazione. Essendo facilmente memorizzabile e riconoscibile, la marca permette al cliente di adottare un comportamento d acquisto abitudinario e di ridurre così il tempo dedicato all attività di acquisto; - funzione di garanzia: una marca è una firma che identifica e responsabilizza il produttore in modo durevole, nel senso che questi si impegna a fornire al cliente un livello di qualità specifica e costante. La marca rappresenta un patto stretto tra il suo proprietario e il consumatore: più una marca è conosciuta, più questo patto è vincolante; - funzione di personalizzazione: la marca consente di differenziare, di personalizzare i prodotti non solo riguardo agli attributi tangibili, ma anche ai tratti distintivi emozionali, estetici, d immagine sociale, ecc. Le marche consentono quindi ai clienti di esprimere la loro 66

67 diversità, di far conoscere la loro originalità e la loro personalità attraverso le scelte effettuate; - funzione ludica: nelle società opulente, dove i bisogni di base dei consumatori sono ben soddisfatti, i bisogni di novità, di sorpresa, di cambiamento e di stimolo diventano una necessità. Le marche contribuiscono a soddisfare questi bisogni. Per il produttore, la marca assolve sostanzialmente a sei funzioni: - funzione di posizionamento: è la funzione di orientamento, analizzata dal punto di vista del produttore che possiede la marca. La marca dà all impresa la possibilità di posizionarsi rispetto ai concorrenti e di far conoscere le qualità distintive che essa rivendica per il suo prodotto; - funzione di comunicazione: la marca consente all impresa di comunicare direttamente con i consumatori finali, a prescindere dalle azioni intraprese dagli intermediari; - funzione di protezione: i diritti di proprietà (marchi registrati, brevetti e copyright) proteggono l impresa contro eventuali imitazioni o contraffazioni. Il proprietario di una marca può depositarla in una o più categorie di prodotti secondo una classificazione internazionale, acquistando così il diritto di proprietà, che gli consente di contrastare qualsiasi utilizzo abusivo, contraffazione o imitazione illecita; - funzione di capitalizzazione: sulla marca si cristallizzano non solo le ricadute delle iniziative pubblicitarie organizzate dall impresa nel corso degli anni, ma anche lo stock di soddisfazione che la marca ha generato; - funzione di fedeltà: l esistenza della marca permette di creare una relazione con i clienti che desiderano riacquistarla, perché rende i prodotti particolarmente riconoscibili; - funzione di barriera all entrata: l insieme delle funzioni elencate trasforma le marche in barriere all ingresso di nuovi concorrenti sul mercato. Infatti, essendo un forte elemento di differenziazione, la marca disincentiva o comunque ostacola l ingresso dei nuovi entranti. Concetti chiave nella gestione della marca I concetti chiave nella gestione della marca sono essenzialmente quattro: - il posizionamento della marca; - l identità di marca; - l immagine di marca; - il patrimonio di marca. Il posizionamento della marca è la posizione che la marca assume nella mente dei consumatori rispetto a quella assunta dalle marche concorrenti. L impresa cercherà quindi di posizionare la propria marca in modo che corrisponda alle aspettative dei consumatori, differenziandosi al tempo stesso dai prodotti dei concorrenti. Il concetto di identità di marca si avvicina a quello di posizionamento, ma è più completo, perché comunica altri elementi propri della marca e strategicamente importanti per il suo sviluppo. In letteratura sono stati elaborati vari modelli dell identità di marca. Il più comune tra questi è il prisma dell identità di marca, che utilizza le sei facce della figura tridimensionale per individuare sei fattori, esterni o interni, che contribuiscono a definire l identità di marca. Tali fattori sono: - aspetto fisico (fattore esterno): gli attributi tangibili della marca; - relazione (fattore esterno): stile della relazione tra la marca e i consumatori; - riflessione (fattore esterno): il modo in cui i consumatori che utilizzano la marca desiderano essere visti; - personalità (fattore interno): può essere descritta e misurata usando i tratti tipici dei caratteri umani; - cultura: l insieme dei valori su cui la marca è costruita, propri dell impresa che detiene tale marca in portafoglio; - immagine di sé: l immagine che le persone hanno di sé stesse quando utilizzano la marca. Il concetto dell identità di una marca viene utilizzato nell elaborazione della campagna di 67

68 comunicazione. Tuttavia, il posizionamento è l identità di marca sono concetti determinati dal produttore. Per capire se la campagna di comunicazione è davvero efficace occorre introdurre il concetto di immagine di marca. L immagine di marca è la percezione dell identità di marca nella mente del consumatore e può essere definita come l insieme delle rappresentazioni mentali, cognitive e affettive, che una persona, o un gruppo di persone, si fa di una determinata marca. Conoscere a fondo l immagine di marca è una premessa indispensabile per qualsiasi strategia di posizionamento e di comunicazione. A tale riguardo è utile stabilire una distinzione tra tre livelli di analisi dell immagine di marca: - il primo livello corrisponde all immagine percepita, cioè al modo in cui il segmento di riferimento vede e percepisce la marca. Essa si realizza attraverso indagini sul campo all interno del segmento o del mercato di riferimento; - il secondo livello fa riferimento all immagine reale, ovvero alla realtà della marca, con i suoi punti di forza e di debolezza, identificata dall impresa attraverso un audit interno; - il terzo livello infine, riguarda l immagine desiderata, ovvero il modo in cui il responsabile della marca desidera che la stessa sia percepita dal segmento target. È chiaro che vi possono essere delle disparità fra questi tre livelli di misurazione dell immagine e che è necessario riconciliarli. L ultimo concetto chiave nell ambito della gestione della marca è quello di patrimonio di marca (brand equity). In termini generali, per patrimonio di marca si intende il capitale di goodwill (avviamento) accumulato dalla marca, derivante dai precedenti investimenti di marketing (Nerlove e Arrow, 1962). Oppure, il patrimonio di marca può essere definito come il valore supplementare, percepito dal consumatore, che si aggiunge al valore funzionale del prodotto, quando questo è associato ad una specifica marca (Aaker, 1991). L architettura della marca Con architettura della marca si intende il modo in cui le marche che costituiscono il portafoglio di un impresa possono essere gestite congiuntamente. Si identificano tre principali strategie di gestione di un portafoglio di marche: - strategia della marca aziendale: alcune imprese hanno scelto di usare lo stesso nome, ossia il nome dell azienda o del prodotto capofila, per tutte le loro attività. Tutti i prodotti dell impresa sono quindi conosciuti con il medesimo nome, accompagnato al massimo da un descrittore funzionale, ossia da un termine che descrive la funzione di quello specifico prodotto. Utilizzare un unico marchio comporta una serie di aspetti positivi: rafforza la conoscenza e la popolarità della marca; facilita l inserimento di nuovi prodotti; comporta minori costi di comunicazione, perché l impresa ha la possibilità di impostare un unica campagna pubblicitaria; fa sì che la reputazione positiva di un prodotto si ripercuota su tutti i prodotti che presentano tale marchio. Tuttavia, utilizzare un unico marchio comporta anche alcuni aspetti negativi: se accade qualcosa di negativo relativamente ad un prodotto, l effetto si ripercuoterà anche sugli altri prodotti che presentano lo stesso marchio; generalmente, si ottengo buoni risultati solo con prodotti omogenei; - strategia della famiglia di marche: all estremo opposto, alcune aziende hanno scelto di concentrarsi su sottomarche individuali. In questo caso è possibile utilizzare una marca diversa per ogni singolo prodotto, oppure utilizzare una marca diversa per ogni singola linea produttiva. Utilizzare più marchi comporta una serie di aspetti positivi: limita i rischi di insuccesso e di svilimento d immagine, nel caso in cui accada qualcosa di negativo relativamente ad un prodotto; rende più flessibile la leva del prezzo, perché, se i consumatori non associano i prodotti alla stessa impresa, questa ha la possibilità di richiedere prezzi diversi; permette di servire più segmenti in modo mirato. 68

69 Il principale aspetto negativo è rappresentato dagli elevati costi, dal momento che la promozione delle marche va fatta a livello individuale; - strategia della marca garantita: in questo caso le marche, pur rimanendo indipendenti, sono sostenute dalla marca aziendale o dal nome dell impresa. Un altro tipo di garanzia prevede l utilizzo di un nome in qualche modo legato a quello della marca capofila. Un altro tipo di sostegno, meno potente, è l utilizzo di un logo o di un marchio di garanzia, che può sostenere marche non ancora ben posizionate, garantendone la credibilità. Infine, esiste una forma di sostegno ombra in cui la marca non è connessa visibilmente all impresa, sebbene il legame tra le due sia noto a molti consumatori. 04 dicembre 2012 La variabile distribuzione Il ruolo economico della distribuzione La distribuzione assolve a vari ruoli: - organizzare fisicamente lo scambio concorrenziale per assicurare un incontro efficiente ed efficace della domanda e dell offerta di beni e servizi; - trasferire i beni dal luogo di produzione al luogo di consumo: i beni vengono prodotti in un determinato luogo e in un determinato momento, ma vengono consumati in un luogo e in un momento differenti. Questo perché la produzione segue logiche proprie, diverse da quelle dei clienti: la produzione cerca di minimizzare i costi, utilizzando impianti di grandi dimensioni, fermandosi il meno possibile e generando la maggior quantità possibile di beni, ma i clienti non sono in grado di assorbire immediatamente tutti i beni che vengono prodotti. Perciò, la distribuzione concilia le esigenza della produzione su larga scala con le esigenze dei clienti, che richiedono invece quantità di beni ridotte; - creare il valore aggiunto della distribuzione, realizzando tre tipi di utilità: utilità di stato: la distribuzione genera utilità di stato perché si occupa di rendere il prodotto disponibile nello stato voluto dal consumatore, in particolare attraverso la frammentazione, il packaging, l assortimento, ecc. La distribuzione si occupa di frammentare i lotti di produzione su larga scala, generano lotti più piccoli, che rispondono alle esigenze dei consumatori finali. Per quanto riguarda il packaging, la distribuzione si occupa di creare la confezione dei beni che le imprese producono sfusi; si tratta però di un utilità che è andata perdendosi, perché spesso la fase di imballaggio avviene direttamente all interno degli impianti di produzione. La creazione dell assortimento è invece una delle funzioni tipiche della distribuzione: i clienti desiderano trovare luoghi presso i quali aggregare gli acquisti, perciò i distributori riuniscono diverse tipologie di prodotti e diverse marche della medesima tipologia di prodotti. Ogni prodotto che i distributori vendono prende anche il nome di referenza e la creazione dell assortimento prende anche il nome di creazione delle referenze ; utilità di luogo: la distribuzione genera utilità di luogo perché si occupa di definire tutte le attività di trasporto, di collocazione geografica, ecc, dei beni prodotti dalle imprese. Infatti, gli impianti di produzione possono essere situati in luoghi lontani dalle città, o addirittura in Paesi differenti, perciò occorre che la distribuzione trasporti i beni prodotti dal luogo di produzione al luogo di consumo; utilità di tempo: la distribuzione genera utilità di tempo perché si occupa di rendere il prodotto disponibile nel tempo voluto dal consumatore, in particolare attraverso le attività di stoccaggio, conservazione, ecc. Infatti, la produzione avviene nell arco dell intero anno, ma il consumo della maggior parte dei beni avviene solo in alcuni mesi, o comunque presenta dei picchi stagionali, perciò occorre che la distribuzione renda possibile lo sfasamento tra il momento in cui i beni vengono prodotti e il momento in cui 69

70 vengono consumati, svolgendo attività di stoccaggio, di conservazione, ecc; Un canale di distribuzione può essere definito come una struttura formata da partner interdipendenti che mettono beni e servizi a disposizione dei clienti. I partner che compongono i canali di distribuzione sono essenzialmente tre: - produttore; - intermediari; - consumatori. Il produttore e i consumatori sono sempre presenti, mentre gli intermediari sono presenti o meno a seconda che si utilizzi un canale di distribuzione indiretto o diretto. Le funzioni della distribuzione Le funzioni che svolge la distribuzione sono molteplici: - trasporto: la distribuzione si occupa di definire e organizzare tutte le attività di trasporto necessarie per far pervenire i prodotti dalla sede di produzione alla sede di consumo. Dell effettiva attività di trasporto si occuperà poi la logistica in uscita; - frazionamento: la distribuzione si occupa di frazionare ciò che è stato prodotto nell ambito degli impianti di produzione in unità più piccole, adeguate alle esigenze dei consumatori; - stoccaggio: la distribuzione si occupa di organizzare tutte le attività di magazzinaggio, che sono poi effettivamente svolte dalla logistica in uscita. La funzione di stoccaggio può essere svolta sia dai produttori, sia dai distributori; raramente viene svolta dai consumatori; - assortimento: la distribuzione di occupa della creazione dell assortimento, perché le imprese, per quanto grandi, difficilmente riescono a sostenere dei punti vendita monomarca, dal momento che i clienti richiedono luoghi in cui poter concentrare gli acquisti, ossia luoghi in cui poter acquistare una molteplicità di tipologie di prodotti e una molteplicità di marche. Solo le imprese che presentano un portafoglio prodotti particolarmente ampio sono in grado di sostenere punti vendita monomarca (ad esempio IKEA); tutte le altre devono necessariamente ricorrere ai distributori; - contatto: la distribuzione si occupa della creazione del contatto con i clienti, dal momento che è molto più vicina a tali soggetti di quanto non lo siano i produttori e, perciò, conosce meglio le loro esigenze; - informazione: la distribuzione si occupa di acquisire informazioni dai clienti, che vengono poi inviate (spesso vendute) ai produttori, e, viceversa, di acquisire informazioni dai produttori, che vengono poi inviate ai clienti; - promozione: la distribuzione svolge la maggior parte delle attività di comunicazione, in particolare di promozione, relativamente ai prodotti venduti. Infatti, le promozioni di cui i clienti usufruiscono sono spesso ideate dai distributori, anziché dai produttori. I flussi di distribuzione La distribuzione gestisce tutta una serie di flussi, che si spostano dai produttori ai consumatori o, viceversa, dai consumatori ai produttori. I principali flussi di distribuzione sono: - il flusso del titolo di proprietà: è un flusso che va da monte a valle. I produttori trasferiscono il titolo di proprietà ai distributori che acquistano i loro beni; i distributori, a loro volta, trasferiscono il titolo di proprietà ai consumatori che acquistano i loro beni. Il trasferimento del titolo di proprietà è il motivo per cui i distributori sono restii ad introdurre nuovi prodotti nel proprio assortimento: diventando proprietari dei beni acquistati, essi si assumono il rischio della vendita, perciò non accetteranno facilmente prodotti che rischiano di restare invenduti. Il rischio è accentuato dal fatto che, nella maggior parte dei casi, i distributori non possono permettersi di acquistare piccole quantità di prodotti, perché questo aumenta notevolmente i costi; perciò, essi sono spesso costretti ad assumersi il rischio della vendita relativamente ad ingenti quantità di beni. È però bene ricordare che vi sono alcuni intermediari che non acquisiscono il titolo di proprietà, come ad esempio i giornalai o gli 70

71 agenti di vendita; - il flusso fisico: è un flusso che va da monte a valle, dai produttori, ai distributori, ai consumatori. I distributori quindi gestiscono il trasferimento dei beni dal luogo di produzione al luogo di consumo; - il flusso degli ordini: è un flusso che va da valle a monte. Tendenzialmente sono i distributori che inviano i propri ordini ai produttori; in rari casi è possibile che i consumatori inviino i propri ordini direttamente ai produttori, oppure ai distributori, i quali, a loro volta, li trasmettono ai produttori; - il flusso finanziario: è un flusso che va da valle a monte. I distributori pagano i produttori per l acquisizione del titolo di proprietà e i consumatori, a loro volta, pagano i distributori per l acquisizione del titolo di proprietà; - il flusso di informazioni: è un flusso bidirezionale, che va da monte a valle e viceversa. I produttori trasmettono informazioni ai distributori attraverso la forza di vendita e i distributori, a loro volta, trasmettono le informazioni ricevute ai consumatori, attraverso la promozione dei beni acquistati dai produttori. Viceversa, i distributori, specialmente quelli appartenenti alla grande distribuzione organizzata, raccolgono un gran numero di informazioni dai consumatori, che poi trasmettono (più spesso vendono) ai produttori. Ovviamente, se l impresa utilizza un canale di distribuzione diretto, i flussi appena esaminati si muoveranno dai produttori ai consumatori e dai consumatori ai produttori senza passare per gli intermediari. Le decisioni relative al canale distributivo Il marketing si occupa di assumere tutta una serie di decisioni che riguardano il canale di distribuzione. In particolare: - determinare la struttura del canale distributivo (diretto, indiretto, corto o lungo): in primo luogo, la funzione marketing determina la struttura del canale di distribuzione in termini di canale diretto o indiretto, ossia senza o con intermediari. Se si sceglie di utilizzare un canale indiretto, bisogna ulteriormente stabilire se è preferibile un canale corto, che prevede un solo intermediario, oppure un canale lungo, che prevede più intermediari. Canali diretti e indiretti non sono necessariamente alternativi: un impresa può scegliere di utilizzare contemporaneamente sia canali diretti, sia canali indiretti. Tra i canali diretti ricordiamo, in particolare, i punti vendita propri dell impresa e internet. Inoltre, se un impresa decide di utilizzare più canali di distribuzione, deve prestare attenzione al fatto che tra questi non vi siano disparità, soprattutto in termini di prezzo, in modo che tutti i canali di distribuzione operino nella stessa direzione, ossia al fine di incentivare le vendite dei beni prodotti dall impresa; - decidere il numero di intermediari (distribuzione intensiva, selettiva o esclusiva): la funzione marketing si occupa di definire l intensità della distribuzione. Si può decidere di ricorrere al maggior numero possibile di intermediari (distribuzione intensiva), di selezionare solo alcuni intermediari (distribuzione selettiva), oppure di utilizzare, per ogni zona, un solo intermediario, che sarà l unico legittimato a vendere i prodotti dell impresa in una determinata area geografica (distribuzione esclusiva); - allocare i compiti della distribuzione tra i partner nel processo di scambio (le funzioni distributive non possono essere eliminate, ma trasferite ad altri membri del canale): la funzione marketing si occupa di allocare le funzioni della distribuzione tra i partner che partecipano al processo di scambio; - determinare i margini e i termini dello scambio: la distribuzione crea un valore aggiunto, un margine, riscontrabile nella differenza tra il prezzo pagato dal consumatore finale e il prezzo pagato dal primo intermediario. La funzione marketing si occupa di allocare questo margine in maniera logica tra i vari intermediari. 71

72 La ragion d essere degli intermediari Gli intermediari non sono sempre esistiti nella storia dello scambio di beni e servizi; con l evoluzione delle imprese, la loro presenza è però divenuta necessaria, per tutta una serie di ragioni: - de-moltiplicazione dei contatti: gli intermediari de-moltiplicano i contatti tra produttori e consumatori finali. Senza la presenza degli intermediari, ogni impresa dovrebbe attivarsi per effettuare ogni singola transazione con ogni singolo cliente; la presenza degli intermediari, invece, consente di ridurre le transazioni, perché sia le imprese, sia i clienti si relazionano solo con uno o più intermediari, che, per quanto numerosi, non saranno mai tanti quanti i produttori e i consumatori finali. Ciò rende più efficiente la distribuzione, perché riduce notevolmente i costi. Ad esempio, supponiamo che vi siano 3 produttori e 5 consumatori: senza intermediari ogni produttore dovrebbe instaurare rapporti con ogni consumatore, per un totale di 15 contatti; con la presenza di un intermediario, invece, ogni produttore e ogni consumatore si rapporta solo con tale intermediario, per un totale di 8 contatti; - economie di scala: gli intermediari, aggregando i produttori da una parte e i consumatori dall altra, possono ottenere economie di scala nella distribuzione. Ad esempio, la gestione di approvvigionamenti su larga scala permette di ridurre notevolmente i costi, consentendo di raggiungere economie di scala specificamente nella funzione approvvigionamento; - riduzione della disparità di funzionamento: gli intermediari riducono le disparità di funzionamento che possono esistere tra produzione e consumo, determinate dal fatto che produttori e consumatori presentano esigenze diverse. Infatti, gli intermediari, da un lato, garantiscono alla produzione di lavorare nella maniera più efficiente ed efficace possibile, consentendo di produrre le quantità necessarie al fine di ridurre i costi, e, dall altro, rendono il processo di consumo il più efficiente ed efficace possibile, consentendo di consumare dove si vuole, quando si vuole e come si vuole; - assortimento migliore: gli intermediari aggregano diverse tipologie di prodotti e diverse marche, creando un assortimento migliore di quello che può essere garantito dai produttori, a meno che, come raramente succede, questi non presentino un portafoglio prodotti particolarmente ampio; - servizio migliore: la ragion d essere degli intermediari è svolgere la funzione di contatto con i consumatori finali o, comunque, con i clienti, perciò essi garantiscono un servizio migliore rispetto a quello che può essere erogato dai produttori, che devono concentrarsi anche sulle esigenze della produzione. La tipologie di intermediari Esistono vari tipi di intermediari, ciascuno con caratteristiche diverse. Questi possono anche essere utilizzati in maniera congiunta all interno dello stesso canale di distribuzione. Le principali categorie di intermediari sono: - Grossisti: i grossisti sono intermediari che acquistano su larga scala prodotti, generalmente alimentari, direttamente dai produttori e che poi rivendono i prodotti acquistati ad altri intermediari, tipicamente dettaglianti. Di norma, i dettaglianti che acquistano dai grossisti sono piccoli negozi indipendenti o dettaglianti che appartengono al canale horeca (hotelrestaurant-café). I grossisti sono intermediari che acquisiscono il titolo di proprietà e, perciò, si assumono il rischio della vendita. Il loro margine risiede nel differenziale tra il prezzo di acquisto che pagano ai produttori e il prezzo di vendita che ottengono dai dettaglianti, che sarà comunque inferiore al prezzo pagato poi dal consumatore finale. I grossisti si dividono sostanzialmente in due tipologie, sulla base del servizio di distribuzione che offrono: grossisti cash & carry e grossisti a consegna. I grossisti cash & carry prevedono magazzini piuttosto ampi, organizzati come supermercati, dove però non si 72

73 acquistano singoli pezzi ma lotti di dimensioni superiori, dal momento che i clienti non sono consumatori finali ma dettaglianti; i dettaglianti si recano quindi ad acquistare presso i grossisti e provvedono da soli a trasportare i prodotti acquistati nei propri punti vendita. I grossisti a consegna sono generalmente di piccole dimensioni e si occupano di effettuare le consegne presso i dettaglianti, che appartengono prevalentemente al canale horeca. I grossisti cash & carry non sono particolarmente diffusi, mentre i grossisti a consegna coprono la maggior parte del mercato. - Dettaglianti indipendenti: i dettaglianti indipendenti sono i negozi che vendono ai consumatori finali e, generalmente, si relazionano a monte con un grossista. Essi acquistano grandi quantità di prodotti, che poi rivendono frazionati ai consumatori finali. Sono intermediari che acquisiscono il titolo di proprietà e, perciò, si assumono il rischio della vendita. Il loro margine risiede nel differenziale tra il prezzo di acquisto che pagano ai grossisti e il prezzo di vendita che ottengono dai consumatori finali. I dettaglianti indipendenti possono essere classificati in vari modi, ad esempio sulla base dell ampiezza della superficie del negozio, oppure sulla base dell oggetto di vendita; - Distribuzione integrata (o organizzata): anche la distribuzione integrata vende ai consumatori finali, generalmente si relaziona a monte con un grossista, acquisisce il titolo di proprietà e ottiene un margine dal differenziale tra il prezzo di acquisto che paga al grossista e il prezzo di vendita che ottiene dai consumatori finali, ma opera secondo logiche totalmente diverse da quelle dei dettaglianti indipendenti. Infatti, la distribuzione integrata ottiene margini di distribuzione particolarmente bassi, perciò il suo guadagno non deriva principalmente dalla gestione caratteristica, bensì dalla gestione finanziaria. Ciò è possibile perché questi distributori incassano prima di pagare, dal momento che i clienti pagano in contanti o con carte assimilate ai contanti, mentre i fornitori si rendono disponibili a concedere dilazioni di pagamento, soprattutto se il distributore cui vendono ha un elevato potere contrattuale. Nell arco di tempo che intercorre tra l incasso e il pagamento, i distributori investono il denaro a breve termine, massimizzando così la gestione finanziaria. Per questo motivo, la distribuzione integrata, a differenza dei dettaglianti indipendenti, ha interesse a massimizzare le vendite e la velocità di rotazione degli scaffali, anche se questo significa offrire i prodotti a prezzi contenuti e concedere frequentemente sconti e promozioni. Nel corso del tempo si è assistito ad un evoluzione nei format della distribuzione integrata. I primi distributori di questo tipo sono stati i grandi magazzini, che prevedono un grande assortimento, difficilmente legato ai beni alimentari, ed entrata libera senza obbligo di acquisto. Il passo successivo è stato è stato quello dei negozi a catena, ossia dettaglianti indipendenti che hanno deciso di integrarsi per cercare di aumentare il proprio potere contrattuale nei confronti dei propri fornitori, generalmente grossisti, principalmente attraverso l acquisizione di economie di scala grazie agli approvvigionamenti in comune. L evoluzione successiva è rappresentata dai supermercati, che sono dettaglianti di grandi dimensioni, basati sul self-service e concepiti per soddisfare tutti i bisogni dei clienti principalmente di prodotti alimentari, per la pulizia della casa e per l igiene della persona. A livello di supermercati, l Italia subisce la concorrenza molto forte della Francia, che è stato il primo Paese ad introdurre questa tipologia di distributori. I supermercati possono essere classificati in vari modi, ma la classificazione più comune è quella basata sull ampiezza della superficie del negozio. Da questo punto di vista si può distinguere tra i negozi di più piccole dimensioni (o superette), tra piccoli, medi e grandi supermercati (minisuper, super e maxisuper), per poi passare agli ipermercati, che sono di metratura molto ampia, prevedono un assortimento più ampio, in cui entrano anche tipologie di prodotti diversi da quelli rintracciabili nei supermercati tradizionali, e si caratterizzano per l affiancamento di tutta una serie di negozi aggiuntivi, di più piccole dimensioni. Ancora oltre gli ipermercati, si 73

74 trovano i centri commerciali, che sono insiemi di negozi, tra cui non ve ne è uno prevalente rispetto agli altri. L ultima evoluzione all interno della distribuzione integrata è rappresentata dai discount, in particolare dagli hard discount, cui si sono successivamente affiancati i soft discount. Gli hard discount si caratterizzano per i prezzi contenuti, che possono essere offerti grazie ad una politica sistematica di compressione dei costi e di riduzione del servizio. Infatti, gli hard discount sono dotati di superfici di vendita ridotte, si avvalgono di un personale di vendita ridotto e, soprattutto, presentano un assortimento limitato, costituito non da prodotti di marche note, ma da prodotti a marca esclusiva del distributore o almeno di una marca confezionata appositamente per il discount, che vengono messi a scaffale in maniera particolarmente semplice. Accanto agli hard discount sono poi emersi i soft discount, che offrono sia prodotti di marche note, sia prodotti a marca esclusiva del distributore o di marca confezionata appositamente per il discount. A livello di discount, l Italia subisce la concorrenza molto forte della Germania, che è stato il primo Paese ad introdurre questa tipologia di distributori. Infine, bisogna ricordare che, nell ambito della distribuzione integrata, sono nate tutta una serie di formule distributive non convenzionali, ancora non particolarmente diffuse nel nostro Paese. Un esempio è dato dai convenience store, distributori che vendono prodotti di prima necessità, prodotti d urgenza e prodotti d impulso, e che spesso restano aperti ventiquattr ore su ventiquattro, in modo da massimizzare le vendite nei momenti in cui gli altri distributori sono chiusi. Un altro esempio è rappresentato dai category killer, distributori che vendono solo determinate categorie di prodotti a prezzi competitivi, uccidendo tutta la concorrenza vicina relativamente a quella categoria di prodotti. 05 dicembre Agenti: gli agenti sono una tipologia di intermediari molto più sviluppata nei mercati B2B che nei mercati B2C; l esempio tipico è rappresentato dai broker. A differenza degli intermediari visti finora, gli agenti non acquisiscono il titolo di proprietà e, perciò, non si assumono il rischio della vendita. Il ruolo degli intermediari è quello di facilitare le transazioni, mettendo in contatto l acquirente e il venditore; essi vengono perciò pagati a provvigione, ossia solo se la transazione va buon fine, e ricevono una somma di denaro generalmente proporzionata al valore del bene che hanno contribuito a vendere. - Società di servizi: le società di servizi affiancano gli operatori che si occupano della distribuzione, fornendo tutta una serie di servizi aggiuntivi. Esempi in questo ambito sono le società di assicurazione, le società di trasporto, le società che offrono servizi di pagamento, ecc. - Cybermediari: i cybermediari sono gli intermediari che si occupano delle vendite on-line. Tra questi annoveriamo anche le società di servizi che offrono tutta una serie di servizi aggiuntivi sulla rete. La struttura del canale distributivo Abbiamo visto che la funzione marketing si occupa di determinare la struttura del canale di distribuzione. In primo luogo, il canale di distribuzione può essere indiretto o diretto, a seconda che l impresa decida di utilizzare o meno intermediari. Il canale di distribuzione indiretto può essere ulteriormente distinto in corto o lungo, a seconda che l impresa decida di utilizzare un solo intermediario, oppure più intermediari. I fattori che incidono sulla determinazione della struttura dei canali distributivi sono: - Variabili legate al mercato, ad esempio: numero e concentrazione di acquirenti: più il mercato è numeroso e poco concentrato, più l impresa opterà per un canale di distribuzione indiretto, perché avrà bisogno di 74

75 intermediari che de-moltiplichino i contatti; dimensione e regolarità degli ordini: più gli ordini sono di dimensioni ridotte e irregolari, più l impresa opterà per un canale di distribuzione indiretto, perché avrà bisogno di intermediari che seguano tutte le piccole transazioni che i clienti possono porre in essere; velocità di consegna: più nel mercato è importante la velocità di consegna, più l impresa opterà per un canale di distribuzione diretto. - Variabili legate al prodotto, ad esempio: deperibilità: più il prodotto è deperibile, più l impresa opterà per un canale di distribuzione diretto o indiretto corto; volume: più il prodotto è di grandi dimensioni, più l impresa opterà per una canale di distribuzione diretto; complessità: più il prodotto è complesso, ossia necessita di servizi post vendita, più l impresa opterà per un canale di distribuzione diretto, perché spesso gli intermediari non dispongono delle competenze tecniche necessarie per gestire tali servizi; valore unitario: più è irrisorio il valore unitario del prodotto, più l impresa opterà per un canale di distribuzione indiretto, perché gli intermediari possono ridurre maggiormente i costi, occupandosi anche della vendita di altre tipologie di prodotti o di altre marche; standardizzazione: più il prodotto è standardizzato, più l impresa opterà per un canale di distribuzione indiretto. - Variabili legate all impresa, ad esempio: capacità finanziaria: meno l impresa ha risorse da investire, più opterà per un canale di distribuzione indiretto, che non comporta esborsi preventivi per l organizzazione della distribuzione, ma determina solo minori entrate finanziarie in conseguenza del minor prezzo di vendita che viene applicato ai prodotti nel caso in cui questi vengano acquistati da intermediari, anziché da consumatori finali; assortimento: più il portafoglio prodotti dell impresa è limitato, più questa opterà per un canale di distribuzione indiretto, perché non avrà la possibilità di sostenere punti vendita propri; reputazione dell impresa: più la reputazione dell impresa è buona, più questa opterà per un canale di distribuzione diretto, che le consenta di giocare sulla fiducia e sulla fedeltà dei consumatori; grado di controllo. Se l impresa decide di utilizzare un canale di distribuzione indiretto, fra i partecipanti deve instaurarsi un certo grado di cooperazione e di coordinamento. Due tipi di organizzazione verticale tendono a prevalere: le strutture verticali convenzionali e le strutture verticali coordinate. Nelle strutture verticali convenzionali ciascun partner opera in maniera indipendente, al fine di massimizzare la propria utilità personale. Nelle strutture verticali coordinate i partner non sono indipendenti, ma operano in maniera coordinata, al fine di massimizzare la funzione di distribuzione complessiva. Possiamo trovare tre diverse tipologie di strutture verticali coordinate: - sistemi verticali di marketing integrati: sono sistemi in cui uno dei partner della distribuzione ha integrato gli altri. Generalmente, l integrazione avviene ad opera dei produttori, ma vi sono anche casi in cui l integrazione avviene ad opera dei distributori: ad esempio, ZARA è riuscita ad acquistare tutta una serie di imprese che producevano per la sua catena di distribuzione; - sistemi di distribuzione verticali contrattuali: sono sistemi in cui i partner della distribuzione sono legati da un contratto. L esempio classico in questo ambito è rappresentato dal franchising; - sistemi di distribuzione verticali controllati: sono sistemi in cui uno dei partner della distribuzione controlla gli altri, ma non sulla base di un integrazione o di un contratto, bensì 75

76 sulla base di un dominio di fatto. Le strategie di copertura del mercato La scelta del numero di intermediari da utilizzare, ossia dell intensità della distribuzione, dipende dalla tipologia di prodotti venduta dall impresa. Le tipologie di prodotti possono essere distinti sostanzialmente in quattro categorie: - prodotti di acquisto corrente (convenience goods): sono i prodotti di prima necessità, i prodotti d impulso e i prodotti di urgenza. Si tratta di prodotti che vengono acquistati di frequente e che hanno un ridotto valore monetario, per cui i consumatori non percepiscono grossi rischi nell acquisto e non ricercano molte informazioni; - prodotti ad acquisto ragionato (shopping goods): sono i prodotti per cui i consumatori vanno a fare shopping, come l abbigliamento, i prodotti di elettronica, i prodotti di arredamento, ecc. Si tratta di prodotti che hanno un valore monetario maggiore, per cui i consumatori percepiscono un livello di rischio più elevato e ricercano maggiori informazioni; - prodotti esclusivi (speciality goods): sono prodotti con caratteristiche uniche, come certe automobili, calzature di lusso ecc. Si tratta di prodotti che hanno un valore monetario molto elevato, per cui i clienti percepiscono un elevato livello di rischio e ricercano il maggior numero di informazioni possibile, anche presso i punti vendita dove il prodotto è disponibile. - prodotti non ricercati (unsought goods): sono prodotti che i clienti non conoscono, o prodotti noti ma per il cui acquisto non c è interesse spontaneo, come le assicurazioni, le enciclopedie, ecc. Si tratta di prodotti per cui i clienti non ricercano informazioni, perciò saranno necessari sforzi di vendita notevoli. In base alla tipologia di prodotti venduta si possono individuare principalmente tre strategie di copertura del mercato: - distribuzione intensiva: l impresa cerca di far arrivare il prodotto nel maggior numero e nel maggior tipo di punti vendita possibili. Questa tipologia di distribuzione viene utilizzata per i convenience goods, perché, se il cliente non li vede nel punto vendita presso cui si reca, ne acquista altri, e l impresa perde la vendita; - distribuzione selettiva: l impresa seleziona i punti vendita presso cui far arrivare il proprio prodotto. La selezione può avvenire sulla base della grandezza del punto vendita, della sua collocazione, del servizio offerto al suo interno, della sua notorietà, ecc. Questa tipologia di distribuzione viene utilizzata per gli shopping goods, perché i clienti sono disposti a cercarli abbastanza, perciò l impresa non dovrà utilizzare il maggior numero di punti vendita possibili, ma dovrà selezionare i più appropriati; - distribuzione esclusiva: l impresa fa arrivare il proprio prodotto in un unico negozio, che è il concessionario di zona per una determinata area geografica, ossia ha l esclusiva sulla vendita di quel prodotto in quella specifica area geografica. Questa tipologia di distribuzione viene utilizzata per gli speciality goods, perché i clienti sono disposti a recarsi presso il punto vendita dove il prodotto è disponibile. Più i prodotti sono esclusivi, più i concessionari copriranno aree geografiche ampie. Gli unsought goods sono beni un po particolari, che mal si prestano alle strategie di copertura di mercato appena individuate. Per essi si può ricorrere ad una distribuzione esclusiva, ma, nella maggior parte dei casi, l impresa si avvale di venditori che contattino personalmente i singoli clienti. Il margine di distribuzione Il margine di distribuzione è la differenza tra il prezzo pagato dal consumatore finale e il prezzo pagato al produttore dal primo acquirente. Il margine di distribuzione misura il valore aggiunto del canale distributivo. Il margine di un particolare distributore è uguale alla differenza tra il prezzo a cui vende al proprio 76

77 cliente (che può essere un consumatore o un altro intermediario) e il prezzo a cui acquista dal proprio fornitore (che può essere il produttore o un altro intermediario). Ovviamente, in un sistema di distribuzione indiretto, il margine di distribuzione è uguale alla somma dei margini dei singoli distributori. Il margine di distribuzione solitamente non si esprime in termini assoluti, ma in percentuale, in rapporto al prezzo di vendita o al prezzo di acquisto. Se il margine viene rapportato al prezzo di vendita prende il nome di sconto; se invece viene rapportato al prezzo di acquisto abbiamo il ricarico. Il margine del distributore margine del distributore = prezzo di vendita costo d acquisto D = P C Il margine di distribuzione in percentuale Sconto (discount) = (prezzo di vendita costo d acquisto) / prezzo di vendita D* = (P C) / P Ricarico (Mark-up) = (prezzo di vendita costo d acquisto) / costo d acquisto D = (P C) /C Regole di conversione D* = D / (1 + D ) D = D* / (1 D*) 10 dicembre 2012 La variabile prezzo L importanza delle decisioni di prezzo Le decisioni di prezzo sono tra le decisioni più importanti che devono essere assunte all interno dell impresa, perché influenzano tutta una serie di altri fattori. Innanzitutto, il prezzo influenza direttamente il livello della domanda e, quindi, determina il livello di attività dell impresa: generalmente, a prezzi più elevati corrisponde un livello di domanda inferiore e viceversa. In secondo luogo, il prezzo determina direttamente la redditività dell impresa, dal momento che influenza i margini, intesi come differenza tra i prezzi di vendita e i costi dì acquisto. Ancora, il prezzo influenza la percezione globale del prodotto o della marca, contribuendo al posizionamento presso i potenziali clienti. Infatti, le imprese basano spesso il posizionamento dei propri prodotti o delle proprie marche sul prezzo, dal momento che il prezzo è, insieme alla qualità, la variabile alla quale i clienti prestano maggiore attenzione. Il prezzo, quindi, è una variabile fondamentale per l assunzione delle decisioni di posizionamento, e il posizionamento, a sua volta, è fondamentale per il raggiungimento di una posizione di vantaggio competitivo, soprattutto all interno dei mercati fortemente differenziati. Inoltre, il prezzo si presta più facilmente delle altre variabili di marketing al confronto tra prodotti o marche concorrenti effettuato dai clienti. Questa è in realtà una diretta conseguenza della condizione precedente: se i clienti prestano più attenzione al prezzo che alle altre variabili, è ovvio che effettueranno il confronto tra prodotti o marche concorrenti principalmente sulla base di questo elemento. Le decisioni di prezzo devono essere coerenti con le altre componenti del marketing operativo. Ad esempio, un impresa che produce creme cosmetiche e decide di distribuirle attraverso la grande distribuzione organizzata, non potrà fissare un prezzo particolarmente elevato, perché le due 77

78 variabili entrerebbero in conflitto; potrà invece fissare un prezzo più elevato se decidesse di distribuire le proprie creme attraverso negozi specializzati, come le profumerie, o, ancora meglio, attraverso le farmacie. E lo stesso discorso può essere applicato alle altre variabili del marketing operativo. L evoluzione dell ambiente economico e competitivo ha contribuito ad accrescere l importanza delle decisioni di prezzo. Infatti, in un contesto di crisi come quello attuale, in cui c è scarsa disponibilità monetaria, il prezzo diventa una variabile di fondamentale importanza. Inoltre, l accelerazione dei processi di innovazione tecnologica, che ha provocato una riduzione della durata del ciclo di vita dei prodotti, ha reso le decisioni di prezzo estremamente rilevanti, perché più il ciclo di vita dei prodotti si accorcia, più le imprese devono fissare in maniera corretta il prezzo di introduzione, dal momento che hanno sempre meno tempo per recuperare gli investimenti sostenuti. Le tecniche di fissazione del prezzo Prima di analizzare le tecniche di fissazione del prezzo, occorre definire cosa si intende per prezzo di vendita. Formalmente, il prezzo rappresenta l espressione monetaria del valore che i clienti riconoscono al prodotto o servizio in questione. Possiamo però distinguere tra due accezioni di prezzo. Dal punto di vista economico, il prezzo può essere definito come l ammontare di denaro ceduto dal cliente, rapportato alla quantità di beni ceduta dal venditore. Questa definizione è però troppo vaga in ottica di marketing, perché i prodotti e i servizi non devono essere considerati solo come quantità di beni, ma come un insieme di attributi, di soddisfazioni, che il cliente ricerca. Nella prospettiva del cliente, il prezzo può essere definito come il costo totale a carico del cliente, rapportato ai vantaggi totali forniti dal prodotto. Questa definizione è più appropriata in ottica di marketing, perché comprende tutto l insieme dei sacrifici, monetari e non monetari, sostenuti dai clienti, nonché tutto l insieme dei vantaggi offerti dal prodotto. A questo punto, è possibile analizzare le tecniche di fissazione del prezzo, che possono essere distinte in tre grandi categorie, sulla base del fattore che prendono in considerazione: i costi, la domanda, o la concorrenza. La determinazione del prezzo basata sui costi La determinazione del prezzo basata sui costi è la metodologia più seguita e più semplice da applicare, perché si basa su un elemento che per le imprese è noto. L analisi dei costi permette di identificare quattro tipi di prezzi, ciascuno dei quali corrisponde ad esigenze specifiche. - Il prezzo soglia. Il prezzo soglia, o floor price, è il prezzo minimo accettabile, al di sotto del quale le imprese non possono scendere. Esso corrisponde ai costi variabili unitari, anche detti out-of-pocket costs. Floor price = C Il prezzo soglia, perciò, non recupera tutti i costi aziendali, dal momento che non considera i costi fissi. Questo prezzo, ovviamente, non può essere applicato a tutti i prodotti venduti dall impresa a tempo indeterminato, ma può essere applicato in determinate circostanze. Ad esempio, l impresa può applicare il prezzo soglia ai prodotti venduti nei mercati secondari, nel caso in cui disponga di capacità produttiva in eccesso, il cui sfruttamento le consentirebbe di massimizzare le proprie economie di scala. Ovviamente, i mercati secondari non devono essere in alcun modo in contatto con il mercato principale, in modo da non apportare danni alle vendite su tale mercato. L impresa può poi applicare il prezzo soglia come prezzo promozionale, ai fini di incentivare le vendite, anche ai prodotti venduti nel mercato principale, ma solo per brevi periodi di tempo. - Il prezzo tecnico. Il prezzo tecnico, o brak-even price, è il pezzo con cui sono coperti sia i costi variabili, sia i costi fissi, dato il volume di vendite. Esso corrisponde alla somma tra costi variabili unitari e costi fissi, opportunamente ripartiti sulle singole unità di prodotto. 78

79 Per ripartire i costi fissi occorre dividerli per le quantità vendute, ma, poiché il prezzo viene stabilito in sede previsionale, più precisamenteoccorrerà dividerli per le quantità vendute attese. Break-even price = C + F/E(Q) Il prezzo tecnico, perciò, consente di recuperare tutti i costi aziendali, ma ancora non consente di remunerare il capitale impiegato, ossia di ottenere una certa redditività. - Il prezzo target. Il prezzo target, o target price, è un prezzo che consente di coprire tutti i costi aziendali e di remunerare adeguatamente il capitale investito. Esso include, oltre ai costi variabili unitari e ai costi fissi opportunamente ripartiti, un vincolo di profitto, o un profitto sufficiente. Per ottenere un prezzo che copra tutti i costi aziendali e remuneri il capitale investito, occorre sommare al prezzo tecnico la remunerazione voluta del capitale investito, moltiplicata per il capitale investito stesso e divisa per le quantità vendute attese. Target price = C + F/E(Q) + (r) (K)/E(Q) - Il prezzo di ricarico. Come il prezzo target, il prezzo di ricarico, o murk-up price, è un prezzo che consente di coprire tutti i costi aziendali e di remunerare adeguatamente il capitale investito. Esso si calcola dividendo il prezzo tecnico per 1 il margine di profitto desiderato. Mark-up price = BEP / (1- margine di profitto desiderato) Come già detto, la determinazione del prezzo basata sui costi è la metodologia più seguita e più semplice da applicare, perché si basa su un elemento che per le imprese è noto. Inoltre, essa presenta una serie di altri vantaggi, perché consente di determinare: - qual è il volume di vendite, o di profitto sulle vendite, richiesto per coprire tutti i costi; - come appare il prezzo target se paragonato con i prezzi dei diretti concorrenti; - a quale livello di market share (quota di mercato) corrisponde il livello di vendite del breakeven point; - se i prezzi aumentano (o diminuiscono) qual è il cambiamento minimo richiesto al volume di vendite per mantenere invariato l attuale livello di profitto; - qual è l elasticità di prezzo necessaria per aumentare o mantenere la redditività; - qual è il tasso di ritorno del capitale investito per diversi livelli di prezzo. Tuttavia, la determinazione del prezzo basata sui costi presenta anche un forte limite, rappresentato dal rischio di ragionamento circolare. Infatti, il volume di attività, ossia il volume di vendite determina i costi, che a loro volta determinano i prezzi, che a loro volta volto determinano il livello della domanda, ossia il volume di vendite. Perciò, questi metodi portano le imprese che non raggiungono il volume di vendite previsto ad aumentare i prezzi, dal momento che un minor livello di vendite su cui ripartire i costi fissi determina un aumento dei costi totali unitari; ma, ciò non significa che aumentare i prezzi sia necessariamente la soluzione giusta, dal momento che, in tal modo, l impresa rischierebbe di ridurre ulteriormente il proprio volume di vendite. Viceversa, le imprese che superano il volume di vendite previsto, sono spinte a ridurre i prezzi, dal momento che un maggior livello di vendite su cui ripartire i costi fissi determina una riduzione dei costi totali unitari; ma, nuovamente, ciò non significa che ridurre i prezzi sia necessariamente la soluzione giusta, dal momento che, in tal modo, l impresa rischia di perdere una parte della propria redditività. Quindi, le indicazioni fornite dalla determinazione del prezzo basata sui costi non sono del tutto corrette; si preferisce perciò utilizzare questa metodologia a corollario di altre tecniche di determinazione del prezzo, in modo da raggiungere le utilità sopra elencate, senza correre il rischio di ragionamento circolare. Inoltre, la determinazione del prezzo basata sui costi presenta un ulteriore limite, ossia non considera in alcun modo i clienti. La funzione marketing delle imprese che operano nel contesto attuale dovrebbe essere il più possibile orientata al cliente, o addirittura al mercato, perciò questa 79

80 metodologia non si presta in modo adeguato agli obiettivi di marketing. La determinazione del prezzo basata sulla domanda Per prendere in considerazione anche i clienti, è più opportuno ricorrere alla determinazione del prezzo basata sulla domanda. Con questa metodologia si cerca di capire quale sia il prezzo di vendita accettabile da parte dei clienti, in modo tale da strutturare un prodotto che abbia un vincolo di costo, ossia che presenti costi tali da consentire all impresa di fissare un prezzo conveniente che sia anche accettabile da parte del mercato. Per determinare il prezzo sulla base della domanda, è possibile considerare il concetto di elasticità al prezzo. L elasticità al prezzo misura la sensibilità al prezzo dell acquirente, e si calcola come il rapporto tra la percentuale di variazione della quantità venduta e la percentuale di variazione del prezzo. % variazione della quantità venduta Elasticità al prezzo =. % variazione del prezzo Generalmente, per misurare l elasticità al prezzo si fissa una percentuale di variazione del prezzo pari all 1% e si considera poi la percentuale di variazione della quantità venduta corrispondente a tale variazione di prezzo. Nella maggior parte dei casi l elasticità al prezzo è negativa, ossia all aumentare del prezzo dell 1% le vendite tendono a contrarsi. Se la contrazione è significativa, significa che i clienti sono molto sensibili al prezzo; se, al contrario, la contrazione non è significativa, significa che i clienti sono poco sensibili al prezzo. Considerando la totalità dei mercati, l elasticità media è pari a -2,5, - 2,6. Vi sono vari fattori che determinano la sensibilità al prezzo, ossia: - l effetto del valore unico: tanto più il prodotto è percepito come unico dal mercato, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto della notorietà dei sostituti: tanto meno sono noti i prodotti sostitutivi, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto della difficoltà di confronto: tanto più è difficile confrontare le caratteristiche dei diversi prodotti, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto della spesa totale: tanto meno è significativa la spesa per l acquisto del prodotto, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto del vantaggio finale: tanto più il prodotto presenta attributi fondamentali, diversi da quelli dei prodotti concorrenti, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto del costo condiviso: tanto più il costo è condiviso con altri soggetti, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo (elemento più importante nei mercati industriali); - l effetto dell investimento già effettuato: tanto più è rilevante l investimento effettuato per l utilizzo del prodotto, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto del rapporto qualità-prezzo: tanto più è elevata la qualità del prodotto, tanto meno i clienti sono elastici al prezzo; - l effetto scorta: tanto meno vi è la possibilità di ottenere una scorta del prodotto, tanto meno i clienti sono sensibili al prezzo. Dopo aver compreso il concetto di elasticità al prezzo e aver individuato i fattori che lo influenzano, è possibile determinare il prezzo ottimale di vendita sulla base di tale concetto. La determinazione del prezzo ottimale di vendita prende comunque avvio dai costi, perché l impresa ha la necessità di ancorarsi concettualmente ad un elemento certo. Il prezzo ottimale di vendita è pari ai costi variabili unitari, moltiplicati per un coefficiente di maggiorazione dei costi, pari al rapporto tra l elasticità al prezzo e l elasticità al prezzo + 1. elasticità al prezzo Prezzo ottimale = C. elasticità al prezzo

81 Per determinare il prezzo sulla base della domanda è possibile utilizzare, in alternativa al concetto di elasticità al prezzo, il concetto del prodotto come paniere di attributi, che porta ad attribuire al prodotto un punteggio corrispondente al suo valore percepito da parte dei clienti. Per calcolare il punteggio del valore percepito, occorre innanzitutto stilare una lista degli attributi offerti dal prodotto in questione, e selezionare poi quelli effettivamente determinanti (ovviamente, ad esclusione del prezzo). Si chiede quindi ai clienti di assegnare ad ogni attributo un punteggio di importanza e un punteggio del grado di presenza percepito all interno del prodotto. Si utilizza poi il metodo Fishbein, che calcola il punteggio del valore percepito come sommatoria del punteggio di importanza assegnato a ciascun attributo moltiplicato per il punteggio del grado percepito di presenza di quell attributo. Il punteggio che si ottiene è quindi una media ponderata. Il calcolo del punteggio del valore percepito non restituisce un prezzo puntuale, ma consente di confrontare il valore del prodotto in questione percepito dai clienti, con quello dei prodotti concorrenti. Per fissare il prezzo del prodotto occorre quindi calcolare il punteggio del valore percepito medio e il prezzo medio dei prodotti concorrenti. Se il punteggio del valore percepito del prodotto dell impresa è superiore al punteggio del valore percepito medio di mercato, allora l impresa potrà fissare per il proprio prodotto un prezzo superiore al prezzo medio di mercato; viceversa, se il punteggio del valore percepito del prodotto dell impresa è inferiore al punteggio del valore percepito medio di mercato, allora l impresa sarà costretta a fissare per il proprio prodotto un prezzo inferiore al prezzo medio di mercato. Ad esempio, se il punteggio del valore percepito del prodotto è superiore del 15% rispetto a quello medio di mercato, l impresa potrà alzare il prezzo fino al 15% oltre rispetto a quello medio di mercato; viceversa, se il punteggio del valore percepito del prodotto è inferiore del 15% rispetto a quello medio di mercato, l impresa dovrà abbassare il prezzo almeno fino al 15% in meno rispetto a quello medio di mercato. Infine, per determinare il prezzo sulla base della domanda si può utilizzare il metodo del prezzo massimo accettabile. Questo procedimento di calcolo del prezzo risulta particolarmente utile quando si tratta di determinare il prezzo di prodotti industriali, qualora il vantaggio principale per l acquirente sia la riduzione dei costi. Infatti, il prezzo massimo accettabile di un prodotto è il prezzo corrispondente all economia di costo realizzata grazie al prodotto stesso. Per valutare quanto il cliente sia disposto a pagare, la procedura prevede di identificare tutti i vantaggi che il prodotto fornisce e i costi (diversi dal prezzo) che comporta. Questo è il motivo per cui il metodo del prezzo massimo accettabile è più utile nell ambito dei mercati industriali: i clienti industriali, oltre a prendere molto in considerazione la variabile prezzo, sono maggiormente in grado di identificare tutti i vantaggi e tutti i costi che derivano dall utilizzo di un determinato prodotto. Per determinare il prezzo massimo accettabile da parte del cliente si procede nel modo seguente: - identificare l insieme degli usi del prodotto dal punto di vista dell acquirente; - identificare tutti i benefici tangibili e intangibili generati dal prodotto; - identificare tutti i costi monetari e non monetari diversi dal prezzo, legati all acquisizione del prodotto; - realizzare una valutazione costi-benefici e determinare il prezzo massimo accettabile (MAP, Maximum Acceptable Price). Il prezzo massimo accettabile che il cliente è disposto a pagare si ottiene quindi nel modo seguente: MAP = vantaggi costi diversi dal prezzo La determinazione del prezzo basata sulla concorrenza La determinazione del prezzo basata sulla concorrenza non prevede metodologie diverse da quelle analizzate, ma semplicemente aiuta a scegliere la migliore sulla base della situazione concorrenziale del mercato in cui l impresa è inserita. Nei mercati dove la concorrenza è minore e i prodotti sono ben differenziati (monopolio od oligopolio differenziato), le imprese hanno margini di manovra più ampi relativamente ai prezzi, perciò potranno ricorrere alla metodologia del prezzo ottimale, basata sull elasticità, o alla 81

82 metodologia del prezzo basato sul valore percepito. Nei mercati dove la concorrenza è maggiore, ma i prodotti sono ben differenziati (concorrenza monopolistica), le imprese hanno minori margini di manovra relativamente ai prezzi, ma, dal momento che possono comportarsi come piccoli monopolisti, possono ancora ricorrere alla metodologia del prezzo ottimale, basata sull elasticità, o alla metodologia del prezzo basato sul valore percepito. Nei mercati in cui la concorrenza è minore, ma i prodotti sono indifferenziati (oligopolio indifferenziato), le imprese non possono più utilizzare le metodologie del prezzo ottimale o del prezzo basato sul valore percepito, perché i clienti tenderanno a considerare simili tutti i prodotti offerti. Le imprese cercheranno quindi di ottenere una posizione di leadership di prezzo o di allineare i prezzi a quelli dei concorrenti, fino ad arrivare alla costituzione di veri e propri cartelli. Infine, nei mercati in cui la concorrenza è maggiore e i prodotti sono indifferenziati (concorrenza perfetta), le imprese dovranno fissare il prezzo sulla base dell incontro tra domanda e offerta, ossia un prezzo di mercato. Politiche di prezzo flessibile La maggior parte delle imprese decide di ricorrere a politiche di prezzo flessibile, ossia decide di far variare i prezzi a seconda della situazione e della tipologia di cliente. Le principali politiche di prezzo flessibile sono: - sconti nei mercati secondari: se, per saturare la capacità produttiva, le imprese necessitano di estendere le vendite oltre il mercato principale, possono offrire i propri prodotti a prezzi scontati sui mercati secondari, a condizione che questi non siano in contatto con il mercato principale; - sconti stagionali: gli sconti stagionali sono particolarmente utili per colpire categorie di clienti differenti. Infatti, mantenendo prezzi elevati a inizio stagione, le imprese riescono a colpire i clienti che desiderano acquistare i prodotti non appena sono disponibili e che, generalmente, sono meno elastici al prezzo. Invece, riducendo i prezzi a fine stagione, le imprese riescono a colpire i clienti meno attenti alle mode e, generalmente, maggiormente elastici al prezzo; - sconti casuali: gli sconti casuali sono gli sconti che vengono proposti senza alcun tipo di preavviso ai clienti, per incentivare le vendite in determinati periodi. La casualità è fondamentale per non ridurre il volume delle vendite nei periodi in cui gli sconti non vengono praticati; - prezzi promozionali: i prezzi promozionali possono essere praticati sia dai produttori sia dai distributori, ma hanno sempre il fine di incentivare le vendite. Essi possono assumere varie forme: sconti, coupon, buoni acquisto su altri prodotti, ecc; - gestione dei prezzi: la gestione dei prezzi prevede che l impresa pratichi prezzi diversi a diverse tipologie di clienti. Ad esempio, è possibile praticare sconti di quantità ai clienti che acquistano grandi volumi di prodotti, oppure praticare sconti ai clienti che ricorrono al pagamento in contanti, ecc. La massima gestione dei prezzi si ha però con lo yield management, utilizzato prevalentemente per fissare i prezzi dei servizi. Ad esempio, nel business del trasporto aereo, si praticano prezzi inferiori ai clienti che acquistano i biglietti molto prima della data prevista per la partenza, per poi alzarli progressivamente e abbassarli nuovamente nel caso in cui, poco prima della partenza, l aereo non risulti ancora completamente saturo. 11 dicembre 2012 La variabile comunicazione Per comunicazione di marketing s intende l insieme dei segnali o dei messaggi emessi dall impresa verso i diversi pubblici a cui si rivolge, cioè i segnali indirizzati a clienti, distributori, fornitori, 82

83 azionisti, istituzioni pubbliche, nonché al proprio personale. Esistono cinque strumenti principali della comunicazione di marketing: - pubblicità sui media: rappresenta una forma di comunicazione di massa impersonale, a pagamento, unilaterale, il cui emittente è un inserzionista che si presenta come tale. È concepita per creare un atteggiamento favorevole nei confronti del prodotto pubblicizzato; - forza di vendita: ha lo scopo di organizzare un dialogo con i clienti, fornendo un messaggio su misura, con l obiettivo a breve termine di incentivare le vendite. Ha anche il ruolo di raccogliere informazioni per l impresa. Si tratta di uno strumento molto efficace, soprattutto nei mercati B2B, ma anche molto costoso e che richiede tempo; - promozione delle vendite: comprende l insieme delle sollecitazioni a breve termine che vanno a stimolare l acquisto immediato e ad incrementare rapidamente le vendite. Le promozioni possono essere effettuate sia dai produttori, sia dai distributori, nei confronti dei consumatori finali, ma possono anche essere effettuate dai produttori nei confronti dei distributori, al fine di convincere tali soggetti ad incentivare la vendita dei propri prodotti anziché di quelli delle altre imprese; - relazioni esterne: il pubblico cui si rivolgono è rappresentato da tutti gli stakeholder di mercato. Esse non hanno l obiettivo di incentivare le vendite, quanto piuttosto di creare un atteggiamento favorevole non solo nei confronti del prodotto, ma anche nei confronti di tutte le attività che l impresa svolge; - marketing diretto: i mezzi di comunicazione sono il mailing postale, il telemarketing, i canali online, ecc. In questo ambito riveste una grande importanza il canale internet, che si è sviluppato molto negli ultimi anni, assorbendo una quota significativa degli investimenti che prima erano riservati ad altri canali di comunicazione. Il processo di comunicazione Il processo di comunicazione che andiamo ad analizzare è valido per tutti i tipi di comunicazione che possono essere effettuati, sebbene si presti ad un applicazione più rapida nell ambito della comunicazione pubblicitaria. Il processo di comunicazione prevede lo scambio di segnali tra un emittente e un ricevente e il ricorso ad un sistema di codifica-decodifica, che permette di esprimere ed interpretare il messaggio dall audience target. Gli elementi che compongono il processo di comunicazione sono: - emittente: chi invia il messaggio, nel nostro caso l impresa; - codifica: il processo per mezzo del quale le informazioni contenute nel messaggio vengono trasformate in linguaggio, suoni, immagini, simboli, ecc, che devono essere il più incisivi possibile; - messaggio: le informazioni da comunicare al ricevente da parte dell emittente; - media: i canali attraverso i quali il messaggio viene veicolato dall emittente al ricevente; - decodifica: il processo attraverso il quale il ricevente attribuisce un significato al messaggio trasmesso; - ricevente: il pubblico target a cui è destinato il messaggio, che, nel nostro caso, può essere rappresentato dai clienti o da altri stakeholder; - risposta: l insieme delle reazioni del ricevente all arrivo del messaggio; - feedback: la parte di risposta del ricevente che viene comunicata all emittente; - rumore: le distorsioni che disturbano il processo di comunicazione. 83

84 Una volta completato il processo di comunicazione, occorre misurarne l efficacia. Affinché la comunicazione sia efficace devono ricorrere alcune condizioni: - obiettivi della comunicazione: l emittente deve conoscere con precisione l audience che vuole raggiungere e quale risposta vuole ottenere; - esecuzione del messaggio: l emittente deve essere abile nel codificare il messaggio, tenendo conto di come l audience target tende a decodificarlo; - scelta dei media: l emittente deve inviare il messaggio attraverso media efficaci per raggiungere l audience target; - efficacia della comunicazione: l emittente deve sviluppare canali di feedback per conoscere la risposta dell audience al messaggio. Le tipologie di comunicazione La comunicazione di marketing può essere una comunicazione personale, realizzata principalmente attraverso la forza di vendita, oppure una comunicazione impersonale, realizzata principalmente attraverso la pubblicità sui media. La comunicazione personale la forza di vendita La comunicazione personale, realizzata principalmente attraverso la forza di vendita, crea un contatto personale tra il venditore e il cliente, in particolare un contatto verbale che rappresenta un dialogo. Con la comunicazione personale, il venditore ha la possibilità di attivare un messaggio su misura, perché potrà cambiare tecnica di vendita sulla base dell immediata reazione del cliente. L obiettivo della comunicazione personale è, in primo luogo, quello di incentivare le vendite, ossia di generare un comportamento di risposta, ma essa risulta utile anche al fine di acquisire informazioni sui clienti, che vengono poi comunicate al produttore: i venditori, infatti, sono un importante strumento del sistema informativo di marketing delle imprese. Lo svantaggio della comunicazione personale è il suo elevato costo per contatto: i venditori, infatti, riescono a contattare pochi clienti nell arco di una giornata, perciò, se l impresa vuole raggiungere un considerevole numero di clienti, la forza di vendita deve essere ingente. La comunicazione impersonale la pubblicità sui media La comunicazione impersonale, realizzata principalmente attraverso la pubblicità sui media, crea un contatto non personale tra il venditore e il cliente. La comunicazione diventa quindi unilaterale, ossia si sposta dall emittente (impresa) al ricevente (cliente), senza che quest ultimo possa rispondere, se non attraverso il comportamento d acquisto. Con la comunicazione impersonale il messaggio non è più su misura, ma diventa standardizzato e viene ricevuto da pubblici diversi, non solo dal cliente cui è indirizzato. Il messaggio inviato, inoltre, proviene da un advertiser (inserzionista) ben conosciuto, ossia il produttore. L obiettivo della comunicazione impersonale è creare un atteggiamento favorevole nei confronti del prodotto, e non tanto di generare un comportamento di risposta, ossia di incentivare le vendite. Infine, la comunicazione impersonale presenta un basso costo per contatto, notevolmente inferiore rispetto a quello della comunicazione personale. Il seguente grafico mostra l efficacia delle diverse tipologie di comunicazione sulla base della fase del processo di adozione del prodotto in cui ci si trova. 84

85 Vediamo che la pubblicità ossia la comunicazione impersonale, risulta particolarmente efficace nel creare notorietà e comprensione. Mano a mano che ci si avvicina alla fase di convincimento, la pubblicità perde importanza e assume invece un importanza crescente la forza vendita, che raggiunge il suo culmine nella fase di acquisto. Infine, nella fase di riacquisto, anche la forza vendita comincia a perdere importanza, per lasciare ampio spazio alla promozione. Ruolo e mansioni del venditore I venditori svolgono sostanzialmente tre attività: - attività di vendita: è l attività storica e principale dei venditori, che consiste nell avvicinare i potenziali clienti, negoziare i termini delle transazioni e chiudere le transazioni attraverso la vendita; Nel corso del tempo, alla tradizionale attività di vendita, si sono affiancate due ulteriori attività dei venditori: - attività di servizio: i venditori si occupano di fornire tutta l assistenza all uso del prodotto e i servizi post-vendita; - attività di trasmissione delle informazioni: i venditori acquisiscono informazioni sui clienti e le trasmettono ai produttori. I venditori, quindi, sono inseriti all interno del sistema informativo di marketing delle imprese e, in particolare, all interno del sistema di business intelligence. La pubblicità La pubblicità è una forma di comunicazione non personale a pagamento, trasmessa mediante un mezzo di comunicazione di massa (TV, radio, riviste, ecc). Essa consente di raggiungere un pubblico vasto (TV), anche se, in alcuni casi, è possibile una certa selezione (ad esempio riviste specializzate, radio, fasce orarie in cui viene trasmesso il messaggio, ecc). Si tratta di una forma di comunicazione complessivamente molto costosa, che diventa però economica se si analizza il suo costo per singolo contatto. Infine, si tratta di una forma di comunicazione che dà risultati soprattutto nel medio-lungo periodo e che ha la funzione principale di: - presentare un prodotto nuovo; - mantenere invariata nel tempo la brand awareness (consapevolezza del marchio). I principali effetti comunicativi della pubblicità sono: - lo sviluppo della domanda: ciascun prodotto risponde a una categoria di bisogni, la cui percezione da parte dei potenziali clienti può essere stimolata attraverso la pubblicità, che contribuisce così a sviluppare la domanda primaria del prodotto; - la creazione della notorietà: la pubblicità contribuisce a creare la notorietà di marca, che può essere definita come la capacità di un potenziale cliente di identificare una marca in modo sufficientemente dettagliato per proporla, sceglierla o utilizzarla; - la creazione di un atteggiamento favorevole: la pubblicità contribuisce a creare, migliorare, mantenere e modificare l atteggiamento dei clienti nei confronti della marca. In questo ambito rientra la pubblicità comparativa, con cui l impresa mette a confronto gli attributi del 85

86 proprio prodotto con gli attributi dei prodotti concorrenti; - lo stimolo dell intenzione d acquisto: la pubblicità può influenzare l intenzione d acquisto, utilizzando stimoli (riduzioni di prezzo, offerte speciali, ecc) che affrettano la decisione di acquisto o incoraggiano il riacquisto; - la facilitazione dell acquisto: quest obiettivo chiama in causa le altre leve del marketing mix, senza le quali l acquisto non potrebbe avere luogo. Il prodotto deve mantenere le sue promesse, essere disponibile nei punti vendita e presentare un prezzo di vendita accettabile, ma, se non si soddisfano queste condizioni, la pubblicità può comunque contribuire a ridurre o a minimizzare i problemi, per esempio difendendo il prezzo praticato o sostituendosi alla distribuzione attraverso azioni di marketing diretto. La promozione delle vendite La promozione delle vendite comprende l insieme degli incentivi progettati per stimolare nel cliente una risposta in termini di vendita diretta. Le promozioni hanno natura temporanea e/o locale, per supportare venditori e distributori, svolgono la funzione di creazione di traffico nel network distributivo e rafforzano e completano l azione della pubblicità e della forza di vendita. È però importante osservare che possono diventare uno strumento auto-distruttivo, se utilizzato troppo di frequente. Esistono vari tipi di promozioni: - promozioni al cliente: propongono un beneficio diretto, indiretto o ipotetico per stimolare l acquisto; - promozioni al distributore: propongono al dettagliante o al grossista una forma di indennità monetaria per convincerli a spingere la marca nei loro negozi; - promozioni commerciali: sono le attività promozionali organizzate dai distributori a vantaggio dei propri clienti; - promozioni alla rete: stimolano tutti i partner coinvolti nell attività di vendita. Esistono inoltre varie tecniche promozionali: - riduzioni di prezzo: consistono nel vendere lo stesso prodotto ad un prezzo inferiore o nell associare all acquisto del prodotto dei buoni sconto per l acquisto di altri prodotti; - vendite con premi e omaggi: consistono nell offrire piccoli oggetti all acquirente al momento dell acquisto o successivamente, o nel vendere una maggiore quantità del prodotto allo stesso prezzo; - campioni e prove: consistono in distribuzione libera, prove o degustazioni; - giochi e concorsi: consistono nell offrire la possibilità di vincere un premio importante. Gli effetti delle promozioni sui consumatori sono molteplici e possono essere rappresentate con il seguente grafico: - effetti di anticipazione: si tratta del calo delle vendite osservato nel periodo precedente la promozione, poiché i consumatori attendono la promozione per acquistare; 86

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