Indice: Capitolo 1: Tendenze in atto nel settore moda nell era della globalizzazione... 6

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1 Indice: Premessa... 4 Capitolo 1: Tendenze in atto nel settore moda nell era della globalizzazione L abbigliamento nell economia globale: prima e dopo l Accordo Multifibre Breve storia dell Accordo Multifibre Il settore moda dopo la fine dell Accordo Multifibre L importanza della gestione dei canali distributivi nel settore moda La scelta del canale distributivo Il canale diretto I negozi multimarca Store design: dagli anni 80 ad oggi Il ruolo della marca nel retail La figura dello store designer Merchandising e Visual Merchandising: la comunicazione del punto vendita L atmosfera del punto vendita Il Visual Merchandising esterno al punto vendita Il Visual Merchandising interno al punto vendita Il contributo del personale commerciale al successo del punto vendita Il ruolo del venditore in una prospettiva relazionale Ruolo e contributo del personale commerciale alla ricerca del vantaggio competitivo ed al successo del punto vendita Processo di acquisto del cliente e competenze degli addetti alle vendite nei negozi La dimensione emozionale dello shopping Cambiamenti nelle motivazioni d acquisti dei prodotti moda Dalla segmentazione tradizionale all anticipazione del mercato Posizionamento del prodotto moda Il posizionamento di identità di marca Lo shopping ed il consumatore postmoderno

2 Capitolo 2: Retail e Sviluppo dei Punti Vendita La marca nel lusso - moda ed il retail Le prerogative della marca nel settore moda Il Retail Brand Indentity Innovazione e nuovi paradigmi competitivi nella distribuzione del settore moda La scelta del giusto sistema distributivo Le strategie distributive del settore moda La segmentazione della distribuzione del settore moda Il Corner: il formato preferito dalle PMI La distribuzione moderna nel settore moda: verso il concept store Verso un punto vendita relazionale Il futuro del mercato retail nel settore moda Razionalizzazione della varietà e della variabilità dell offerta: orientamento al prodotto ed orientamento al mercato. Qual è la scelta migliore nel settore moda? Capitolo 3: La politica di comunicazione nel settore moda: tra tradizione e cambiamento Comunicazione e messaggi nel settore moda Gli strumenti di comunicazione nel settore moda I Cataloghi di moda Le Sfilate Le Fiere I Media Le Affissioni Il Testimonial Il Product Placement La Sponsorship artistica I Magazine Aziendali Il Direct Marketing Lo Showroom Il punto vendita Multimediale come mezzo di comunicazione La pubblicità store - based Internet: un nuovo strumento di comunicazione relazionale

3 3.4.1 Internet: da strumento di comunicazione a nuova metafora del Business del settore moda Fare e-commerce nel settore moda Caratteristiche dei siti web per le aziende del settore moda Classificazione dei siti web del settore moda La scelta del fornitore del sito web La promozione come mezzo di comunicazione Gli effetti della comunicazione Capitolo 4: Le nuove tecnologie nella distribuzione d abbigliamento: i casi Mr Cocci e Luisa Via Roma Metodologia Il caso MR Cocci La nascita del brand Mr Cocci Il Punto vendita Mr Cocci: a proposito di in store marketing Il caso Luisa Via Roma Il sito web luisaviaroma.com: la moda in un click Luisa Via Roma: un nuovo concetto di Main store Considerazioni finali Bibliografia Testi di utile consultazione Sitografia

4 Premessa Nella stesura di questa tesi si è cercato di approfondire alcuni aspetti riguardanti la Comunicazione nel settore della moda ed in particolare come questa è cambiata negli ultimi decenni. Si è cercato di individuare gli strumenti utilizzati dalle aziende di questo settore per fidelizzare il proprio cliente target e più in particolare, si è voluto analizzare quali sono gli strumenti ad oggi più idonei per valorizzare il punto vendita ed utilizzare nel modo migliore lo strumento internet. Questa tesi è stata così suddivisa in quattro capitoli ognuno dei quali cerca di approfondire temi che non devono essere trascurati da tutte quelle aziende che vogliono essere competitive sul proprio mercato di riferimento. Nel primo capitolo si è così cercato di analizzare le tendenze in atto nel settore moda attraverso una breve storia di come si sono evoluti i canali distributivi di questo settore dagli anni ottanta in poi, sia attraverso la scelta del canale diretto che quella del canale indiretto. Si è esaminato in dettaglio come è cambiata la comunicazione del punto vendita, ovvero come sia ad oggi importante l atmosfera esterna ed interna di questo e come non si può quindi più parlare di merchandising ma di visual merchandising. Nell attuale capitolo è stato trattato anche il ruolo del commesso, molto spesso trascurato, ma che in realtà è sempre colui che riesce a dare quel valore aggiunto alla merce in esposizione nonché al successo del punto vendita. A conclusione di questo capitolo si è così ritenuto importante approfondire la dimensione emozionale dello shopping ed in particolare, si è voluto analizzare come sono cambiate le motivazioni d acquisto dei clienti ed il posizionamento dei prodotti moda, la segmentazione di tale mercato e come il consumatore interpreta la realtà di oggi con tratti di postmodernità che influenzano l acquisto di tali prodotti. Nel secondo capitolo si è così cercato di approfondire da subito la marca ed il ruolo che questa riveste nel settore moda proprio per capire e comprendere meglio il retailer di questo settore. Infatti la marca è effettivamente un valor aggiunto che non va trascurato e, a tal proposito, nella trattazione di questa tesi si parla di retail brand identity, di concept store e di punto vendita relazionale, oltre a cercare di tracciare delle possibili traiettorie di sviluppo che le aziende di questo settore potrebbero intraprendere in un futuro prossimo. Codeluppi (Bonferroni 2007) afferma infatti che... nelle società avanzate le persone trascorrono sempre più tempo nei contenitori dell acquisto e della vendita, luoghi in cui è possibile realizzare 4

5 esperienze stimolate dalle marche o dalla stessa distribuzione, per rendere più piacevole, divertente, spettacolare, oltre che utile, il rapporto con il pubblico...questi luoghi nel tempo stanno prendendo il posto e l importanza che una volta avevano le piazze e le vie dei centri urbani, integrando in loro anche personaggi che vivevano e lavoravano soltanto in quei luoghi (calzolai, parrucchieri, arrotini, cantastorie ecc.).... Nel terzo capitolo si è cercato di approfondire gli strumenti di comunicazione utilizzati dalle aziende del settore moda ed in particolare si è voluto analizzare come anche gli strumenti considerati tradizionali possono adattarsi ad una realtà che soprattutto nell ultimo decennio è sensibilmente cambiata. Infatti si parla sempre più spesso di...tecnologia, ipercompetizione, globalizzazione, tendenza alla globalizzazione, rapidità d emulazione, sempre maggiore istruzione dei clienti, accesso rapido alle informazioni grazie ad internet...che hanno profondamente cambiato gli scenari di marketing... ( A tal proposito in questo capitolo si è dedicato un intero paragrafo al canale internet che è stato ritenuto un ottimo mezzo di comunicazione relazionale che le imprese del settore moda, ma non solo, potrebbero utilizzare per sopravvivere in un mercato in continua evoluzione ed ottenere un valore aggiunto sostenibile nel tempo. Nell attuale capitolo si è cercato anche di ipotizzare quali potrebbero essere gli effetti della comunicazione sul consumatore di prodotti moda attraverso tre dimensioni ritenute fondamentali del comportamento degli individui (Learn - Feel - Do). Nell ultimo capitolo sono state così esaminate due realtà aziendali molto diverse tra loro (Mr Cocci s.r.l. e Luisa Via Roma s.p.a.) che si sono rivelate effettivamente adatte per una migliore comprensione degli strumenti di comunicazione che le aziende della moda utilizzano per valorizzare i propri prodotti ma soprattutto fidelizzare i propri clienti target. Detto ciò, vi auguro una buona lettura. 5

6 Capitolo 1: Tendenze in atto nel settore moda nell era della globalizzazione Sfogliando le pagine dei quotidiani e delle analisi settoriali le aziende di moda vengono di solito comprese nel cosiddetto settore del lusso che include produzioni diverse che vanno dall abbigliamento alle calzature, dagli accessori ai profumi, dai gioielli ai mobili, dalla cosmetica agli alberghi e ai ristoranti fino alle automobili, alle imbarcazioni ma anche ai vini, ai liquori ed altri generi alimentari (Cappellari 2008). Fino a non molto tempo fa quando si parlava di moda si faceva invece riferimento sostanzialmente al sistema costruito dalle aziende del tessile e dell abbigliamento. Quindi, questa nuova terminologia rivela un importante cambiamento nella concezione del modo di fare business nella moda intervenuto negli ultimi decenni. Infatti oggi le aziende della moda non vendono semplicemente oggetti per coprirsi, ma cercano di proporre ai clienti uno stile di vita (lifestyle), un modo di essere che si può esprimere attraverso capi di abbigliamento, calzature ed accessori, ma anche attraverso altri prodotti e servizi ampliando così, nel corso degli ultimi anni, il loro raggio d azione offrendo un mondo di prodotti e servizi coerenti con lo stile di vita proposto (Cappellari 2008). Sicuramente tutti questi cambiamenti sono dovuti a cambiamenti più generali intervenuti nell economia globale. Infatti la globalizzazione ha influenzato sicuramente i vari sistema paesi e di conseguenza i vari sistema moda delle singole nazioni anche se la globalizzazione nel sistema moda è da considerarsi relativamente bassa in quanto è difficile da realizzarsi poiché il prodotto moda ha un ciclo di vita molto corto 1 e deve tener conto anche delle differenze culturali e nazionali dei vari stati più che per altri prodotti. 1 Infatti il prodotto moda viene tradizionalmente interpretato come prodotto per il quale ad una crescita rapida delle vendite corrisponde un declino altrettanto rapido ed un esaurimento del ciclo di vita nell arco di una stagione (Aiello 2005). Ogni moda possiede un proprio ciclo di vita, costituito da 3 stadi: introduzione, picco di massima popolarità e diffusione, declino. Durante il primo stadio il nuovo stile, considerato una moda emergente, viene adottato dagli opinion leader, cioè da gruppi di riferimento di consumatori e distributori che vogliono distinguersi dagli altri (per volontà di differenziazione di classe, oppure di identificazione di un sistema di valori o, semplicemente per gusto). Nel secondo stadio, in cui non tutte le mode hanno la fortuna di entrare, si verifica un processo di diffusione e adozione da parte di segmenti di mercato più ampi. Alla base di tale diffusione vi è di una dimensione aspirazionale, cioè la volontà di seguire una tendenza promossa dagli opinion leader (comportamento imitativo). L ultimo stadio, quello del declino, che caratterizza tutti gli stili di vita brevi (le mode in senso stretto) o, in prospettiva di medio - lungo termine i cambiamenti di carattere strutturale (esempio: i prodotti che vengono sostituiti da altri o che declinano senza alcun sostituto) (Saviolo, Testa 2005). 6

7 Quindi un azienda del sistema moda che oggi vuole esser competitiva nel proprio settore deve aver presente sia i fattori globali 2 che no - global (Jones 2006) ovvero...pensare internazionale, globale ma al tempo stesso rispettare le diversità... (Renzo Rosso, prefazione Saviolo, Testa 2005) quindi risulta sempre più difficile sopravvivere in questo settore. Nel settore moda di oggi oltretutto ha sicuramente giocato un ruolo importante la rimozione dell Accordo Multifibre siglato nel L abbigliamento nell economia globale: prima e dopo l Accordo Multifibre I settori del tessile e abbigliamento hanno avuto una lunga storia di controlli. In questo testo, un attenzione particolare viene posta sull Accordo Multifibre (MFA Multi Fibre Arrangement) Breve storia dell Accordo Multifibre L Accordo Multifibre stabiliva l esenzione del settore tessile - abbigliamento dal rispetto delle norme stabilite nel GATT 3 in materia di libero commercio,che vincolava difatti le transazioni tra stati a limiti quantitativi, ovvero a determinate quantità di prodotti. Entrò in vigore il 1 gennaio 1974 ed è decaduto il 31 dicembre Quest accordo, stabilito dai paesi occidentali per evitare la concorrenza dei paesi più poveri, era nato per porre dei tetti alle importazioni nel settore ed era stato considerato positivamente anche dai paesi in via di sviluppo che speravano di veder aumentare le loro esportazioni verso i paesi occidentali. 2 I principali sono 3: realizzazione di economie di scala, estensione della convergenza nei gusti e utilizzo di alta tecnologia. (Jones 2006). 3 Il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio, meglio conosciuto come GATT) è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra (Svizzera) da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. Nel novembre 1959 durante gli incontri in ambito GATT gli Stati Uniti sollevarono il problema del rapido aumento di importazioni, lamentando le ripercussioni economiche e sociali subite. Venne quindi varato un accordo,: lo Short Term Cotton Arrangement (STA). Pertanto venne riconosciuto ufficialmente che il tessile sarebbe stato trattato in maniera separata dalle altre merci nell ambito dei negoziati GATT. Allo STA seguì un Long Term Arrangement (LTA) in vigore dal 1962 al Venne successivamente approvato l Accordo internazionale relativo al commercio dei prodotti tessili, meglio conosciuto col nome di Accordo Multifibre (MFA). 7

8 La sua applicazione è apparsa negli anni a seguire lenta, nonché i suoi effetti sono stati spesso annullati da altre misure, ad esempio quelle anti - dumping, attuate dai paesi occidentali. Nonostante ciò le più importanti conseguenze su scala globale di questo sistema di quote sono state l abbassamento dei flussi di merci dovuti al rispetto delle quote previste dell MFA stesso. Inoltre, secondo Singleton (1997), l esistenza di questo complesso sistema di controlli nel settore della moda è stato protetto da una struttura di alte tariffe (le cosiddette tasse di importazione ) che...hanno portato solo alla duplicazione delle tariffe sull abbigliamento nel mercato dell Unione Europea tra il 1962 ed il 1987 dimostrando così come questo sistema non fosse appropriato per un economia che poggiava su principi di libero mercato, così come stabiliti dal GATT nel lontano (Jones 2006). Così, durante i negoziati dell Uruguay Round iniziati nel 1986 e terminati il 15 aprile 1994 con la firma dell Accordo di Marrakesh, anche il Multifibre fu riesaminato. Per ottenere gli auspicati effetti positivi del libero commercio sarebbe stata necessaria la sua fine, ma proprio i paesi occidentali mediarono la richiesta proponendo un accordo transitorio sul tessile abbigliamento (ACT Agreement on textile and Clothing), della durata di dieci anni, che avrebbe dovuto traghettare i due settori dal regime di quote del Multifibre verso una completa liberalizzazione. L ACT nacque così con l obiettivo di: 1. porre fine all accordo Multifibre, 2. cessare allo scadere del decimo anno (il 31 dicembre 2004), 3. regolare la progressiva liberalizzazione attraverso quattro scadenze ( ) ed ad ogni scadenza una percentuale di quote doveva essere liberalizzata. 4. eliminare le restrizioni quantitative sviluppate durante l MFA Il settore moda dopo la fine dell Accordo Multifibre Sicuramente dopo la fine di tale accordo le regole per il settore della moda hanno subito dei forti cambiamenti. Infatti, da degli studi del WTO di Nordas (2004) è emerso che dopo la fine di questo accordo le importazioni nell unione Europea sono fortemente incrementate e che Cina ed India siano state le maggior vincitori della fine di tutto ciò. Nello stesso studio si è concluso però che..non c è correlazione tra performance delle varie industrie e l intensità delle protezioni e che, in special modo nel settore del tessile e dell abbigliamento, non c è correlazione tra le performance 8

9 globali e gli accordi di protezione... (Jones 2006). Inoltre, dal punto di vista di Evans (1995),...i maggior winners della fine di tale accordo sono sicuramente i consumatori dei paesi in via di sviluppo e i più grandi losers sono i produttori domestici... (Jones 2006). Nel panorama appena delineato, sono sorte così alcune questioni e decisioni di impatto strategico che le varie imprese del sistema moda hanno cercato di concretizzare negli ultimi anni, in questo nuovo contesto sempre più competitivo nonché con nuovi ed agguerriti competitor (effetto della fine dell MFA e della liberalizzazione di tale mercato). Infatti a partire dalla metà degli anni novanta è diventato sempre più visibile un drastico cambiamento di direzione delle aziende della moda e del lusso,che hanno progressivamente incrementato il loro grado di integrazione verticale sia spingendosi a valle verso il consumatore finale attraverso la gestione diretta dei punti vendita, sia integrandosi a monte portando all interno dei propri confini alcune attività produttive (Cappellari 2000). Tutto ciò è stato particolarmente significativo perché è intervenuto in un periodo in cui la letteratura manageriale aveva sottolineato l esistenza di una tendenza ad una...sempre maggiore esternalizzazione da parte delle imprese di tutti i settori.. (Grant 2006). Un esempio significativo di integrazione verticale è rappresentato dal gruppo Bulgari che fino a pochi anni fa esternalizzava presso laboratori il 90% delle produzioni di gioielli e che ora ha ridotto tale quota ad appena il 30% (Cappellari 2008). Il fenomeno si è manifestato con uguale forza anche nell abbigliamento, dove aziende partite con il modello virtuale come Giorgio Armani e Dolce & Gabbana hanno progressivamente ritirato le licenze ed acquistato aziende produttive trasformandosi in veri e propri gruppi industriali, mentre altre come Gucci mantengono tuttora tutte le proprie attività sotto controllo diretto, escluso il settore di profumi ed occhiali. C è poi un ulteriore fattore da considerare nella scelta del grado di integrazione:: la velocità di risposta del mercato definita dagli studiosi del settore quinck response 4. La logica di base di questo approccio origina dalla considerazione che la riduzione del tempo è in grado di conferire un rilevante vantaggio competitivo ai produttori locali. Rispetto ad altri approcci la quick response si caratterizza per l attenzione che 4 Il progetto quick response prende avvio alla metà degli anni ottanta negli Stati Uniti ed ha le finalità di studiare le soluzioni collaborative nella gestione della filiera del tessile abbigliamento. Nella fase di avvio della quick response si era concentrata l attenzione sui principali fattori di inefficienza ovvero la mancanza di scambio informativo e l inadeguatezza degli strumenti tecnologici che penalizzavano tutti gli operatori dei vari stadi. In un secondo luogo, si è cercato invece di migliorare la produttività complessiva della filiera. (Sabbadin 1997). 9

10 viene posta sull aumento della velocità del flusso in entrambe le direzioni: dalla produzione al consumo e viceversa. La componente informativa rappresenta l elemento maggiormente innovativo del sistema, quello che consente l accelerazione del flusso produttivo e logistico. Infatti la quick response accorcia, riordina e migliora anche il flusso logistico toccando tutti gli attori della filiera. Risulta dunque chiaro che il presupposto fondamentale per la sua attuazione è la partnership tra imprese collocate in diversi stadi della filiera (Sabbadin 1997). Infatti, se è vero che il ricorso ad un partner produttivo è la via più rapida per entrare in un nuovo settore, l integrazione verticale consente invece di accorciare il tempo che passa dall ideazione di una nuova collezione al momento in cui questa è disponibile nei punti vendita. Un esempio di questa strategia è rappresentato da Zara, azienda che presenta un livello di integrazione verticale maggiore rispetto ai concorrenti, perché ha impostato la strategia competitiva proprio sulla capacità di arrivare sul mercato molto rapidamente con prodotti che i consumatori hanno dimostrato di apprezzare e desiderare. Infine, negli ultimi anni, l attuale grado di globalizzazione e concorrenzialità del mercato del settore moda ha indotto questo tipo di aziende ad un inesausta selezione e valutazione delle leve di marketing (tra cui in particolare la distribuzione) per la creazione e valorizzazione del così detto valore di marca, necessario per evitare la creazione di fenomeni di disservizio, inefficienza e soprattutto incoerenza rispetto alla percezione del lifestyle proposto dall azienda di moda al suo cliente finale. La conferma del crescente ruolo assunto dalla dimensione cognitiva, percettiva e sensoriale nello scambio economico è evidenziata dalla notevole attenzione che la dottrina, ed anche la prassi aziendali, hanno rivolto a due risorse critiche ed essenziali per il successo imprenditoriale di oggi: informazione e conoscenza. (Sansone, Scafarto 2003). All interno di questo macroprocesso di significazione il punto vendita assurge a leva centrale, anche se ancora poco valorizzata, delle politiche relazionali e commerciali delle imprese della fashion economy. In sostanza il punto vendita diviene teatro dell intera strategia di marca, in grado di veicolare al consumatore l identità di marca stessa ed i valori ad essa sottesi. Vediamo quanto detto sopra, in dettaglio nel paragrafo successivo. 10

11 1.2 L importanza della gestione dei canali distributivi nel settore moda La gestione dei canali distributivi, o canali di marketing (Kotler, Keller 2007) è una decisione tutt altro che secondaria. Le ripercussioni di tale scelta possono infatti incidere drasticamente sulla sopravvivenza stessa dell impresa sul mercato, perciò la decisione che l azienda prende in merito al canale con cui intende raggiungere il mercato risulta essere una decisione strategica che implica degli investimenti onerosi e quindi non può essere una scelta fatta con leggerezza La scelta del canale distributivo La prima decisione in merito al canale con cui si intende raggiungere il mercato è se sia preferibile adottare il canale diretto - rivolgendosi quindi senza intermediari al consumatore finale utilizzando punti vendita propri o vendendo via web o catalogo - oppure se convenga adottare un canale indiretto, nel quale operano uno o più intermediari. Sicuramente, una delle evidenze offerte dal settore che stiamo trattando è che in questi ultimi anni si sta assistendo al progressivo accorciamento del canale distributivo. Tale riduzione è stata perseguita in una prima fase con il ridimensionamento del ruolo del grossista, figura chiave nello sviluppo di molte aziende di abbigliamento fino a non molti decenni fa. L eliminazione del grossista - intermediario che acquista da diverse aziende produttrici per rivendere poi ai punti vendita di abbigliamento - rispondeva all esigenza di avvicinarsi al mercato, stabilendo un dialogo diretto con i dettaglianti, ovvero i soggetti che vendono il bene al consumatore finale e che sono quindi i migliori ad interpretare i gusti del consumatore ultimo. Inoltre, saltando l intermediario, le aziende di moda hanno cercato di ridurre le distorsioni (o gap) nello scambio di informazioni tra produzione e mercato aumentando anche i margini di profitto per i soggetti coinvolti, in quanto hanno recuperato la quota di margine che remunerava il lavoro del grossista. Sicuramente, l aspetto negativo di questo accorciamento di canale è stata la necessità di dotarsi di una rete di vendita più articolata, mentre l aspetto positivo è stato indubbiamente il fatto di poter evitare numerosi passaggi che rendevano la conoscenza di mercato molto difficile da ottenere. Infatti il grossista era un soggetto 11

12 esterno all azienda creatrice del prodotto moda e come tale cercava di tutelare la propria conoscenza sul consumatore finale per avere così un vantaggio nei confronti dell azienda produttrice di abbigliamento. Va detto anche che le informazioni che le aziende produttrici ricavano dalla diminuzione del canale, non sono informazioni codificabili e riassumibili in un tabulato che può passare di mano in mano senza perdere la capacità di informare, come avviene per i dati di vendita dei singoli articoli. Infatti, il problema di questi dati, è la loro ambiguità e vanno perciò interpretati per poter poi attivare un nuovo processo creativo (Cappellari 2008). In una seconda fase, numerose aziende hanno ulteriormente accorciato il canale distributivo passando all assunzione diretta della gestione dei punti vendita (i cosiddetti negozi monomarca ). Uno dei motivi che ha portato a tutto ciò è stata la necessità di disporre in modo più tempestivo e diretto delle informazioni su come si muove il mercato di riferimento. Inoltre l aumento della varietà e della variabilità della domanda, insieme all esigenza di proporre al mercato continue innovazioni di prodotto, rende oggi sempre più critico il processo di raccolta ed elaborazione della conoscenza di mercato (Marchi 2007). Gli elementi che caratterizzano la scelta del canale diretto ed indiretto è, in entrambi i casi, composta dal cosiddetto retailing mix ovvero scelte che riguardano (Cappellari 2008): La composizione dell assortimento Il prezzo La scelta della location o localizzazione dei punti vendita Il mix di comunicazione Il design del negozio Il servizio al cliente Queste variabili saranno analizzate dettagliatamente nei paragrafi a seguire Il canale diretto Alla luce delle considerazioni svolte sopra, sono numerosissime le aziende della moda che hanno intrapreso la strada dello sviluppo di una rete retail diretta. 12

13 Non sempre la scelta di tale strategia ha portato alle aziende che l hanno intrapresa dei benefici in termini di redditività in quanto è stato sottovalutato l aspetto dei costi di gestione oltre alla creazione di competenze manageriali specifiche 5. Sicuramente, la prima decisione che deve prendere l azienda che vuole aprire negozi monomarca richiede la definizione di un assortimento in termini di ampiezza e profondità sia per quanto riguarda il numero delle categorie merceologiche sia delle diverse alternative presenti all interno di ogni categoria. Inoltre, sempre per quanto concerne l assortimento, si può asserire che nei punti vendita monomarca si privilegia la presenza di assortimenti più ampi e profondi di chi sceglie la distribuzione multimarca. Va aggiunto anche che l assortimento non deve necessariamente presentarsi uguale in tutti i negozi gestiti in quanto è opportuno differenziare gli assortimenti in funzione di vari fattori (come ad esempio i fattori climatici poiché a Pechino non si venderanno mai giubbotti che sono richiesti d inverno a Stoccolma) ed anche i gusti dei diversi mercati (come ad esempio il mercato americano si caratterizza per un gusto diverso rispetto al mercato italiano perché le abitudini portano questi due mercati ad avere soddisfazioni diverse nel modo di vestirsi). Va sottolineato anche che, se l azienda di moda è presente con i propri punti vendita in zone molto lontane tra loro (ovvero adotta una strategia globale), si impone hai negozi l acquisto di una parte centrale della collezione lasciando poi, per il resto dell assortimento, un certo grado di differenziazione ed adattamento alle esigenze locali. La stessa problematica si presenta per i prezzi in quanto in alcuni casi può essere opportuno adattare i prezzi alla competizione che esiste in una data piazza ma allo stesso tempo dobbiamo controllarli e standardizzarli per dare all azienda un immagine coerente in tutto il mondo. Per quanto riguarda la scelta della location, questa risulta essere la scelta più importante per implementare una strategia distributiva monomarca vincente sul mercato. Infatti nella dottrina di riferimento di tale materia viene spesso dichiarato che... le variabili sulle quali agire sono tre: location, location e location... (Castaldo, Mauri 5 Occorre infatti essere continuamente aggiornati sugli altri punti vendita che è plausibile aprano nei vari centri considerati strategici e le eventuali location alternative disponibili. Tutto ciò senza parlare della capacità di negoziare condizioni di affitto competitive, di scegliere e gestire il personale e così via. 13

14 2005) in quanto la decisione di apertura di un punto vendita influenza non solo il potenziale afflusso di clienti, ma anche lo stesso posizionamento del brand. Infatti, aprire un punto vendita nelle vie del cosiddetto quadrilatero della moda significa affermare il proprio posizionamento tra i prodotti di lusso, mentre sarà più difficile sostenere tale posizionamento con un certo punto vendita in una via periferica. In particolare, la localizzazione influenza le performance del negozio sia per il tramite di attributi meramente funzionali come accessibilità, dimensione, visibilità e così via...sia per il tramite dei fattori cognitivi che attengono alle modalità con cui i clienti percepiscono una determinata scelta di localizzazione. Infatti, giocano elementi funzionalistici quando i clienti sono condotti in un luogo con precise motivazioni, che possono essere sia di shopping sia di altra natura (ad esempio per motivi ricreativi, culturali, di viaggio, di lavoro...) ed è a questo livello che nel rapporto tra negozio e cliente giocano elementi legati all accessibilità, alla frequenza degli acquisti, alla varietà di scelta, al prezzo e cosi via... dall altra parte, anche se spesso a livello inconsapevole, i clienti sono sensibili anche alle caratteristiche del negozio ed al suo luogo di attività, per cui tale coerenza si riverbera positivamente sulla reattività dell offerta (Castaldo, Mauri 2005). Per ulteriori approfondimenti riguardanti le altre variabili ovvero il mix di comunicazione da scegliere per il punto vendita, lo store design e la gestione del servizio al cliente ci soffermeremo in modo più dettagliato nei paragrafi successivi I negozi multimarca Il punto vendita multimarca presenta ancora oggi delle specificità che rimangono importanti e che suggeriscono di continuare a svilupparlo come canale distributivo (Saviolo, Corbellini 2004) nonostante molti studiosi della materia come Fabris e Minestroni (2004) sostengono che i punto vendita monomarca siano...straordinari territori dove il senso delle cose è pure il senso della marca, in cui si respira un atmosfera coerente con l essenza del brand... uno strumento per ricreare la magia delle merci che la marca da sola non riesce più a creare.... Infatti, il negozio multimarca è il solo in grado di offrire una varietà di marche che per definizione si adattano meglio a tutte le esigenze del consumatore rispetto alla scelta di una sola marca, che, non potendo far combinare al consumatore capi diversi, non è in grado di far costruire in autonomia un proprio stile. 14

15 Così, alcune aziende proprietarie di più marchi hanno risposto a questa esigenza proponendo punti vendita monoazienda ma plurimarca e molteplici ne sono gli esempi 6. Questo ruolo per la distribuzione multimarca è, ed stato sostenuto, grazie alla qualità del servizio che viene offerto al loro interno. Si prevede però che in futuro sopravviveranno solo quei punti vendita multimarca che sapranno essi stessi trasformarsi in marca, acquisendo quindi un identità chiara e differenziata rispetto ai competitor 7 (Cappelari 2008). 1.3 Store design: dagli anni 80 ad oggi Il punto vendita sta rappresentando oggi sempre più un luogo dove si consuma arte (Joy, Sherry 2003), un luogo dove il soggetto che vi entra si appropria dello spazio individuando i punti di ancoraggio nell interazione sia di tipo comportamentale e quindi concreto, sia di tipo sentimentale e quindi emotivo. Questo tipo di ricerca fa parte di un analisi sullo studio del comportamento del consumatore e interazione dello spazio (approccio transazionale) 8 dove si prende in considerazione tre tipi di spazi (Aubert - Gamet 1996) ovvero: Lo spazio sperimentato: che si può esaminare tramite osservazione diretta dei movimenti, dei flussi fisici e dei comportamenti del consumatore all interno del punto vendita come ad esempio l analisi dei percorsi di visita, l arredo dei negozi, la disposizione e sistemazione del display... Lo spazio percepito: che può esser analizzato tramite interazione diretta con il cliente che viene intervistato focalizzandosi sulla percezione del consumatore in rapporto a funzionalità, piacevolezza, percezione del design del punto vendita, qualità dello spazio... queste sono sicuramente analisi quali - quantitative che devono esser fatte su campioni ampi, ma su questioni precise e focalizzate. Lo spazio immaginato: ovvero quell analisi (ricerca del 1998 a cura di McGranth.) che esamina le rappresentazioni mentali di uno spazio ideale in cui i consumatori target si prendono il loro tempo, giocano con la merce ma soprattutto ne comprano in abbondanza. 6 È ad esempio il caso di Tod s, Hogan e Fay, o di Morellato, che nei punti vendita omonimi presentano tutti i marchi in portafoglio sia in licenza che in proprietà (Cappellari 2008). 7 Per ulteriori approfondimenti vedi il caso Luisa Via Roma esposto nel capitolo quarto di questo testo. 8 contributi qualitativi della psicologia ambientale. 15

16 Il punto vendita deve quindi seguire un processo di attribuzione di significati che deve tener conto sia dell individuo (self) sia degli altri (others) sia dell ambiente (enviroment). Lo store design diventa quindi un luogo tra casa (quotidiano) e paradiso (immaginario) cercando di arrivare a costruire il perfetto desiner fit ovvero la perfetta ottimizzazione delle esigenze del retailer e del consumatore. Fig: 1.1 self, others, enviroment Rielaborazione ripresa da Castaldo, Mauri 2005 pag 124 Ovviamente, il concept di negozio va ricercato e modificato continuamente cercando di esaltare gli aspetti rilevanti sia per il retailer (funzionalità e spazi vincolati che massimizzano l efficacia del percorso di shopping) sia per il consumatore (libertà interpretativa, nonchè tematizzazione dello spazio). Questi due aspetti devono integrarsi tra loro per ricercare il desiner fit ottimale dove entrambi i soggetti sono soddisfatti del risultato. Le scelte di tematizzazione possono essere pressoché infinite e spaziare fra (Castaldo, Mauri 2005): ricostruzione dei luoghi che rappresentano punti di ancoraggio sicuri e confortevoli come la casa, i momenti dell infanzia... luoghi legati ad altri momenti della quotidianità o legati ad esempio allo stile di vita come particolari sport, attività culturali... luoghi legati ad attività ludiche e di intrattenimento. 16

17 luoghi immaginari lontani nel tempo e nello spazio che possono rappresentare luoghi ideali (paradisi terrestri). Ciascuno di questi spazi assumerà il valore di place 9 attraverso l attribuzione di significati diversi e molteplici (figura 1.1 e 1.2). Concept dell ambiente Livello di predeterminazione Libertà Spettacolarizzazione - Tematizzazione. - Molteplicità di spazi. - Aree libere. - Scoperta del mistero. Quotidianità/ordinarietà - Creazione di luoghi familiari. - Rifugio. - Scurezza, - Aree libere. Regolamentazione - Percorsi pre definiti e vincolati, - Arricchimento della stimolazione multisensoriale. - Favorita l efficienza del percorso di shopping, - Stimolazione limitata ai prodotti, - Riduzione della complessità delle elaborazioni sensoriali. Fig: 1.2 Concept dell ambiente e livello di predeterminazione Rielaborazione ripresa da Castaldo, Mauri 2005 pag 126 Nel corso dl secolo scorso la progettazione dell ambiente di vendita, a sua volta, ha subito notevoli cambiamenti, ovvero (Sacerdote 2007): Anni 70: lo stimolo ambientale tendeva a provocare una risposta diretta. Da questo binomio sono partiti numerosi studi sull ambiente di vendita in particolare sui prodotti e sui prezzi, sul display e sul fare shelfing. Anni 80: i progettisti hanno dato un ruolo attivo alle emozioni fra lo stimolo ambientale e la risposta da ottenere. Per questo nel punto vendita sono state sviluppate singole tecnologie e singole variabili ambientali come il colore, la musica, l illuminazione. Anni 90: i progettisti hanno cercato di mettere in relazione fra loro le singole variabili che hanno predominato negli anni 80 producendo un effetto aggregato. Anni 00: è stata la riscoperta del ruolo del consumatore. L ambiente di vendita deve quindi favorire un interazione diretta attraverso tutte le sue componenti, sia visive sia tecniche sia tecnologiche. 9 Il punto vendita viene inteso non solo come luogo fisico ma anche cognitivo. 17

18 Così, dai cambiamenti sopra elencati la costruzione dell ambiente di vendita sembra oggi essere incentrata sullo sviluppo dell interazione fra il negozio stesso, tutte le sue componenti ed il consumatore. Oltremodo, appare chiaro come l ambiente di vendita sia sempre più sofisticato in quanto deve sviluppare una propensione all adattamento del consumatore al suo interno attraverso diversi livelli (Sacerdote 2007), ovvero deve tener conto di: Fattori situazionali: che riguardano l architettura macro (esterna) e micro (interna al negozio), ovvero l architetto progettista, il visual merchandiser ed l architetto delle luci dovrebbero colloquiare tra loro per risolvere problemi inerenti l intero progetto del punto vendita per renderlo coerente con il brand di riferimento. Aspettative affettive: ovvero il bisogno psicologico collegato alle merci, alle singole marche, ma anche all ambiente di vendita il quale è un contenitore simbolico fra i più elevati e contemporaneamente circoscritti in grado di influenzare lo stato affettivo del suo cliente, riconoscendo valori ed aspettative in linea con i target e la società. Obiettivi e mission: ogni negozio deve trasmettere dei valori da condividere con la propria clientela ovvero la comunicazione può essere su vari livelli, diretta o indiretta, costante o discontinua, ma i valori devono essere espressi. Per questo, il progettista ha il compito di descrivere i bisogni comunicativi della marca e dell impresa nonché il suo posizionamento. Sono proprio i tre fattori sopra descritti che influenzano le percezioni dirette ed indirette del comportamento del consumatore, producendo una serie di atteggiamenti da parte del cliente nel punto vendita come, ad esempio, la quantità di acquisti effettuati, il tempo speso all interno del negozio o davanti alle vetrine, producendo, come atto terminale, un grado di soddisfazione verso il prodotto, la marca, ma anche il punto vendita, che rendono sempre più lo shopping un momento di puro piacere estetico. Durante la progettazione dei punti vendita devono quindi esser tenuti presenti e favoriti una serie di stimoli sia macro che micro ovvero (Sacerdote 2007): L ambiente esterno: che gioca un ruolo effettivamente molto importante in quanto è qui che inizia la prima esperienza percettiva sul punto vendita. Ne sono esempi la disponibilità di parcheggi, gli spazi verdi, le costruzioni adiacenti, l edificio che ospiterà il punto vendita, i negozi circostanti, le vetrine, l insegna e 18

19 l ingresso. Proprio quest ultimo aspetto risulta essere effettivamente importante in quanto rappresenta la zona filtro fra l esterno e l interno del punto vendita e deve creare quindi delle soluzioni coerenti con il posizionamento che l azienda vuole avere, nonché deve stimolare la relazione con il cliente in quanto deve convincerlo ad entrare. La costruzione dell ambiente interno: che deve servire ad orientare il comportamento d acquisto per far aumentare il sell out, gestendo in modo appropriato il flusso di traffico dei visitatori. Fanno parte dell ambiente interno gli elementi che costruiranno poi il layout orizzontale e verticale, come le decorazioni, il design dello spazio, l ingresso - uscita, i pavimenti ed i soffitti, le casse, le aree di attesa, le code ed i flussi dei consumatori, le uniformi del personale, i punti serviti, la disposizione e il raggruppamento dei prodotti, i punti focali, le indicazioni, il punto ristorazione, le toilette che devono essere continuamente mantenute, pulite, abbellite, rese ricche di glamour con uso di fiori e di profumazioni leggere. Insomma tutto l ambiente interno del punto vendita deve esser studiato in modo che comunichi accoglienza e che abbia come parola d ordine il prodotto offerto. Gli accorgimenti da prendere nel micro - ambiente: ovvero i colori, le illuminazioni, la musica (alta, bassa, veloce, popolare o con ritmo elevato), gli odori (che devono evocare piacevolezza e ricordo), la temperatura, le decorazioni del display, il display dei prodotti ed il display dei prezzi. Tutto ciò sarà ulteriormente approfondito nel capitolo 2 di questo testo Il ruolo della marca nel retail Le aziende del settore moda ricercano sempre più il minimalismo nel retail cercando così di rendere il punto vendita il più possibile pulito, senza contaminazione stilistiche interne, e quindi di essere un contenitore riconosciuto o servicescape 10 in grado di ospitare le merci e la marca con grande facilità. Con questa integrazione, queste aziende creano una piattaforma relazionale per lo sviluppo e l affermazione del proprio brand ed infatti lo store designer, l architetto o 10 Ambiente olistico, supporto fisico o indizi visibili di un servizio intangibile che facilitano le performance. È composto da elementi tangibili quali il parcheggio, le insegne... ed elementi intangibili come lo stile, il layout, gli arredi... ed ha il ruolo di facilitatore, confezione, mezzo di socializzazione e differenziazione. Gli effetti del serviscape sul comportamento discendono dalla teoria SOR (stimolo, organismo, risposta) (Britner 1992). 19

20 l interior designer dovranno insieme o separatamente confrontarsi con le politiche di marca da adottare, prima ancora di prendere decisioni sul posizionamento materiale o sulla costruzione dell ambiente materiale di vendita. Lo sviluppo delle politiche di marca partono infatti dall individuazione del posizionamento di marca dell insegna (ovvero come voglio essere percepito dalla mia clientela ) e dai mezzi per raggiungere il posizionamento di marca, come la scelta del nome, dei colori, dei segni, delle immagini, delle modalità espositive, del merchandising, del comportamento del personale di vendita e del rapporto con il territorio. Ecco, secondo Rubinelli L. (Sacerdote 2007) quali sono le dieci regole da osservare per creare e sviluppare un negozio di marca: 1. disposizione dei prodotti: la presentazione deve partire dal centro per salire gradatamente lungo le pareti dell area di vendita con banchi, scaffalature e parete attrezzata. 2. soffitti: gli ambienti con soffitti alti facilitano la presentazione e l allestimento e danno un senso di potenza all intera offerta commerciale. 3. altezza: è necessario sfruttare al massimo l altezza del locale determinando una distribuzione degli spazi su almeno tre livelli per articolare l offerta stessa e rompere la monotonia degli schemi. 4. allestimenti: devono partire dall alto verso il basso puntando su un tema (sviluppando per esempio una serie di immagini o elementi decorativi) e concentrare così l effetto emotivo. Infatti in un negozio di abbigliamento occorre conferire importanza alla presentazione frontale e laterale o mista per delineare la presentazione stessa. 5. simmetrie: i punti di forza dell allestimento sono la simmetria cromatica, morfologica e la scelta stessa dei materiali che devono saper trasmettere un senso di chiarezza e serenità, fondamentali per facilitare un operazione psicologica complessa come quella dell acquisto. 6. colori: che, secondo studi recenti, sono percepiti dall occhio umano come delle forme e dei volumi cosicché il visual merchandiser deve saper creare settori distinti per cromia. 7. tema: nell allestimento deve esser realizzato un solo tema o colore alla volta e possibilmente per ogni parete soprattutto nei negozi di piccole dimensioni. 20

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