Relazione sullo spettacolo del Corso Professionale per danzatori di Contemporaneo 2013/2014 Mani occhi e labbra mute Memoria del nostro essere umani
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- Carlotta Grandi
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1 Relazione sullo spettacolo del Corso Professionale per danzatori di Contemporaneo 2013/2014 Mani occhi e labbra mute Memoria del nostro essere umani Lo spettacolo nasce da un laboratorio coreografico imperniato sulla Shoah e sul significato della guerra. Il termine Shoah è stato adottato per descrivere la tragedia ebraica allo scopo di sottolinearne la specificità rispetto ad altri casi di genocidio. "Shoah" significa "desolazione, catastrofe, disastro". Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polacchi. Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d'europa. Il lavoro di ricerca documentaristica svolto dagli insegnanti e da noi allievi ha puntato l attenzione sul testo della poesia Se questo è un uomo di Primo Levi, divenuto la scheletro sul quale si è svolta la costruzione dello spettacolo. Rileggiamo e analizziamo quindi, in primo luogo, il testo della poesia. Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. Ogni strofa della poesia ha un proprio significato: la prima si riferisce alle persone che erano tranquille nelle loro case durante il massacro degli ebrei; un appello diretto a tutti quelli che hanno la coscienza tranquilla, che vivono
2 quasi senza prendere posizione su nulla: l'aggettivo tiepida, riferito alla casa, esprime bene questo stato di situazione intermedia, né calda né fredda, perfetta nella sua medietà, completata da cibi caldi e amicizie famigliari. la seconda parla delle sofferenza degli ebrei; arriva il pugno dello stomaco: considerate, dice Primo Levi. Un verbo quasi scientifico, non dice ancora "pensateci", "dite la vostra": invita a guardare il più oggettivamente possibile e a fare una reale considerazione di uno stato vivendi a cui è costretto un individuo. Non sta parlando dell'uomo con la U maiuscola, della specie umana, ma proprio di colui che nel campo di concentramento fatica ("il lavoro rende liberi" è il motto del lager di Auschwitz), che si ammazza per un pezzetto di pane, che non trova quiete in niente e che infine può morire per un sì o per un no. Soffermiamoci su quest'ultimo aspetto: un'affermazione e un diniego. Siamo lontani anni luce dal tepore sereno e neutro dei primi quattro versi, siamo davanti ad una situazione "decisa", in cui il libero arbitrio non trova spazio. la terza parte parla delle sofferenze delle donne ebree, private della bellezza fisica e della memoria, annichilite persino nel proprio nome e nell'istinto materno e ridotte a scheletro di rana. Uomini e donne, quindi, defraudati delle loro caratteristiche umane e rimasti soli, tristi particelle corporali da vivisezionare: il lager ha rubato l'anima e ha lasciato solo corpi sofferenti. la quarta ci dice che in queste condizioni non resta che un imperativo: è giunto il momento della riflessione, il momento del ricordo. Tutto quello che prima era considerato in maniera quasi analitica, forse per percepirne quella che chiamerei "assurdità reale", deve essere portato dentro il cuore, la ragione deve elevarsi a sentimento sotteso ad ogni azione quotidiana.e' di nuovo un quadro famigliare quello che si presenta alla conclusione della poesia: l'inizio e la fine della giornata, il dialogo con i figli. Il comando è quello di custodire il ricordo della degenerazione umana, di ripeterselo nella mente come un rosario pagano. la quinta è una meditazione rivolta a tutti coloro che non si informeranno per impedire simili massacri. E' un'esigenza imprescindibile che sfocia in una maledizione contro tutti quelli che ne negano la necessità di parlare, che chiudono gli occhi e fanno finta di niente: la condanna all'indifferenza è fortissima, con i suoi strali che predicono malattia e disgrazie. In maniera speculare il lavoro coreografico presenta un quadro famigliare, utilizzando dei tavoli come attrezzatura scenografica per ricreare l immagine della situazione prima della guerra. Nello spettacolo io rappresento la figura della Madre ed in questo momento sereno in cui si presenta l immagine ideale della famiglia, per me ha rivestito particolare importanza il fatto che i coreografi abbiano scelto proprio mia figlia per rappresentare l idea della Figlia, della Generazione Futura, questo mi ha messo nella condizione di poter entrare appieno nel senso dello spettacolo e di coglierne e viverne con forza il messaggio. Questi tavoli vengono poi rovesciati dalla violenza degli avvenimenti, diventando per alcuni ballerini un rifugio e per altri una gabbia, quando ancora i destini degli uomini sembravano diversi davanti alle realtà della guerra; io esco di scena con la bambina. Durante questo momento coreografico assume particolare importanza il momento della vestizione: si intende
3 dire che tutti vengono cambiati dall orrore e dalla violenza, tant è vero che, poiché nessuno può scappare alla sua condizione, alcuni ballerini riluttanti vengono vestiti da altri: perché in verità la guerra prepara un solo destino agli uomini. Comincia la storia che ancora oggi viene tristemente ricordata: i tavoli diventano il treno dei deportati e la coreografia ci presenta l orribile realtà della disgregazione familiare e della disumanizzazione dell individuo. In questo punto si inserisce il secondo forte momento recitativo, con questo testo: Un intrico di fango, ferro e cenere, mille occhi spenti, impauriti, affamati, cosi diversi ma legati da un unico destino: e la negazione della bellezza. Si esita a chiamarli vivi, si esita a chiamar morte la loro morte. Non c e aria, non c e fuga, non c e speranza ma solo migliaia di numeri, di figli strappati alle madri. Piramidi di corpi nudi, inermi. C e odio, un odio che non si puo comprendere, non si deve comprendere. Ora ogni essere umano è un numero, è una razza, è un indirizzo politico, è un quartiere della città, è un inclinazione sessuale, è una stella sui vestiti, è un caso geografico di nascita, è una fede religiosa. La follia della guerra lo ha diviso in così tanti piccoli pezzi che dell uomo non è rimasto niente. Rientro in scena da sola, vestita da deportata mentre la coreografia delinea quello che sarà il tema che porterà a compimento il messaggio dello spettacolo: io ed i danzatori consegnamo ad un militare tedesco delle scarpe da bambino, simbolo di quello che ultimo resta di umano in chi viene annientato dalle privazioni, la speranza nella generazione futura ma. In questo momento per me le scarpe da bambino rappresentano il simbolo della vita felice visto all inizio; per il mio personaggio che affronta da solo la violenza della guerra la bambina è al sicuro il fatto che il militare getti via le calzature significa gettare la memoria, fare come se la gioia della pace non fosse mai esistita e quindi, in un certo senso, significa gettare via il dolore, la sofferenza e la rabbia degli individui come cose di nessun valore. La logica della morte trova quindi il suo messaggero nel militare che trasfigurandosi nell angelo della morte rifiuta ed annichilisce la speranza, gettando le scarpe in terra, inflessibile ed indifferente alla danza delle madri ebree ed alla preghiera, ultima ed umana luce prima delle tenebre delle privazioni e delle sofferenze dei campi di concentramento. Per me entrare in contatto con il militare/angelo è stato un momento molto intenso che ha richiesto un grande lavoro personale, una terapia su esperienze passate: l angelo della morte rappresenta il vuoto, egli è la tenebra che resta dentro di noi quando ci viene strappata una parte, si annida in quello spazio e diventa un veleno che piano ci uccide. A seguito di un errore medico durante un tentativo di inseminazione artificiale, i dottori sono stati costretti ad interrompere la mia gravidanza e ad estrarmi il feto ed una tuba. Il vuoto di questa violenza, il
4 freddo di quel dolore è quello che ho riprovato assistendo al gesto del militare che lanciava le scarpe in terra. Questa violenza viene messa in risalto dal lavoro coreografico che presenta, per contrasto, la situazione Americana rispetto a quella Europea. La vivacità e le aspettative di quella lontana, seppur interessata, società crea un contorno di luce e leggerezza che rende ancor più profonda la tenebra di quanto appena affrontato: l uomo e la donna sono stati annientati. Dopo questo momento luminoso la storia riprende i passi dalla realtà della deportazione: si rientra in scena vestiti con delle camicie da notte a rappresentare la dignità dell uomo, per partecipare, con le braccia tese al cielo ad un momento corale imperniato sulla ricerca fra le persone: ormai la guerra ha allontanato tutti, sciogliendo anche i legami più profondi e regalandoci questa angosciosa ricerca dell altro che spesso non riconosciamo, anche avendolo vicino, perché trasformato dalla sofferenza. Io mi sono immaginata che la mia ricerca fosse della mia bambina perché ancora non siamo sul palco ed ho dato questo senso al mio tendere le mani al cielo come se invocassi qualcosa contro questo senso di disgregazione, di allontanamento anche da se stessi, che è la cifra infernale della diabolica violenza nazista. Il contrario di diabolico (che significa dividere) non è angelico, bensì simbolico (che significa rimettere insieme) infatti il mio personaggio rientra in corsa e poi si blocca, ritrovando sua figlia e quidi un poco di serenità,anche se l incontro avviene sul treno della deportazione, oramai simbolo dell ineluttabilità del destino che le porterà forse alla morte, ma almeno insieme. E il momento della riflessione, del ricordo, introdotto dal testo teatrale che segue: Camminavano uniti dal silenzio ma erano i loro occhi a parlare. Occhi tristi pieni di lacrime, non gli era consentito neanche piu piangere. Camminavano come un gregge disumanizzato e bestiale. Non gli era consentito piu ascoltare se non la sofferenza del vicino agonizzante, urla gemiti tremanti. Filo spinato del cuore, filo spinato di labbra occhi e mani mute. Questo momento teatrale lo ho vissuto con grande forza, questo senso di unità nella negazione di poter parlare, vedere e sentire (come le tre scimmiette sagge) mi ha indotto in uno stato di grande empatia con gli altri allievi, rispetto anche al tema trattato: quando all uomo hai tolto la memoria, quando hai distrutto la sua realtà, quando gli hai negato la speranza riducendolo ai minimi termini dell esistere, cosa resta? Resta l essere umano, raffinato e puro, uguale per tutti il germe di quello che potrebbe essere nel vivere come uomini. Ho trovato che questo concetto fosse espresso con forza dal fatto che i nostri gesti seguissero quello che la parte recitata diceva, in questo caso il gesto è più forte della parola poiché il gesto è universale mentre il linguaggio è particolare.
5 Nella parte finale dello spettacolo mi è stato affidato il compito di riprendere e spiegare il tema che completa e chiude il lavoro coreografico: l importanza della memoria storica e dell insegnamento alle future generazioni. Rientro in scena con mia figlia e con un allieva che rappresenta la sua anima, visto che le mie parole sono rivolte proprio a lei. Per affrontare questa parte del lavoro ho fatto un intenso lavoro di documentazione attraverso il mio lavoro di terapista con alcuni anziani, dai 74 anni in poi, da cui mi sono fatta raccontare le loro esperienze della guerra. Così racconto alla mia piccola che la guerra è un gioco, perché voglio che rifiuti e rifiuto io con lei la dinamica del terrore: durante i bombardamenti la porto fuori dal rifugio a guardare lo spettacolo, non voglio correre il rischio di morire e di farla morire come un topo in trappola. Un altra allieva recita per mia figlia una stravagante lettera d amore, in modo da distrarla, mentre io mi interrogo. Sdrammatizzare è il modo dell adulto di affrontare gli orrori della vita ma spesso il rifiuto di affrontare il dolore rende i giovani sordi alla verità della guerra, nel mondo occidentale i ragazzi pensano che la guerra sia una cosa che non li riguarda. Così il mio personaggio si domanda se sia giusto difendere la figlia lasciandola nel mondo dei sogni, senza svegliarla alla verità ma corrndo il rischio che cresca indifferente al dolore ed alla sofferenza. Ritengo che vi sia una sola strada per l essere umano e per l uomo, nel rispetto delle singole capacità e dello sviluppo delle capacità cognitive legate all età: ai bambini va data la verità, anzi meglio, va data la base della verità che è la consapevolezza. E per costruire una corretta consapevolezza nella prossima generazione, noi adulti per primi dobbiamo avere il coraggio di ricordare e raccontare. La shoah. Uno dei momenti storici nei quali maggiormente l essere umano si e confrontato con l uomo, ponendo alle generazioni future la responsabilità di sciogliere il nodo fra il nostro essere umano ed il nostro essere sociale. Un racconto che inizia sui tavoli da pranzo della domenica: un presente quotidiano, famigliare, ricco di diversità umana e umanità. Un luogo del tempo e dell uomo interrotto dal perentorio ordine della violenza. Per distruggere l uomo come prima cosa lo si omologa, lo si disumanizza al punto che quei tavoli della domenica diventano un rifugio, un nascondiglio dalla violenza. Distonia di valori resa ancora più evidente se viene messa a confronto la situazione europea con quella di altre nazioni, ad esempio la lontana America dove la vita, seppur nella consapevolezza del conflitto, continua. Sopraffatti dalla violenza i nostri rifugi diventano un treno, il treno che ci porta a morire. e di fronte alla morte, pieno di sgomento, l uomo si interroga sul proprio valore, sul proprio significato e sul proprio futuro. e di fronte alla morte acuta diventa la consapevolezza di dover difendere nel nostro futuro la cosa più importante, i nostri figli, la prossima generazione. Questo e il racconto di una madre e di una figlia, della vita che genera e sostiene la vita stessa. Questo e il monito dell assenza di significato della morte dei bambini, delle madri ebree sopravvissute, morte in vita a causa della fine dei loro piccoli, annientate dal più grande dei dolori. eppure. Eppure domani arriverà, per quanto terribile sia stato il nostro presente, il futuro ci aspetta e lo potremo affrontare solo attraverso il ricordo di quanto e successo. Perchè non accada più, per non dimenticare. Perchè una madre non dimentica mai nessuno dei suoi figli ed e il loro ricordo che la fa vivere. Perchè l uomo sappia che c e questo, ogni volta che parla ad un altro uomo.
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