ALLA RICERCA DELLE SALE PERDUTE

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1 COPPA D AFRICA: EBOLA TIFA GUINEA EQUATORIALE PRIMAPERSONA ULISSE FOOD E TV BOMBOLO JACOPETTI CAVARA PARTIGIANI A VAL DI COGNE DERRIDA VS ORNETTE COLEMAN MARLENE KUNTZ SABATO ANNO 17 N.45 ALLA RICERCA DELLE SALE PERDUTE LI ABBANDONANO, LI DEMOLISCONO, NE FANNO SUPERMERCATI, MA I CINEMA DI UN TEMPO CONTINUANO A VIBRARE DI IMMAGINI. SULLA SUA VESPA 50 SPECIAL IL GIOVANE UMBERTO GIUPPONI È ANDATO A CERCARLI, DAL NORD AL SUD DELL ITALIA

2 (2) ALIAS CALCIO O NON CALCIO Dopo aver tentato di buttare la palla in angolo chiedendo un rinvio, a soli due mesi dal fischio d inizio il paese ospite è costretto a rinunciare. Fatali i timori del contagio, le polemiche, il caos tra le forze in campo. Tifosi sotto choc COPPA D AFRIC Il Marocco si fa eliminare da Ebola di STEFANO FONSATO Un sogno bruscamente interrotto, un cuore infranto. E tanto, tantissimo caos. È un po questa l estrema sintesi dei sentimenti che in questi giorni pervadono le strade del Marocco. Quelle perennemente affollate nelle città, da Fes ad Agadir: la Coppa d Africa non si fa più, la colpa è dei timori legati alla diffusione di contagio del virus Ebola, che hanno scatenato incomprensioni, litigi e scelte categoriche tra le diverse istituzioni coinvolte: Ministero della Salute nazionale, Federcalcio locale e Caf, l organizzazione calcistica continentale dell Africa. Insomma, quel mese di festa in programma a partire dal 18 gennaio ce lo si può anche scordare. La fame di calcio e di vita di un intero paese resterà quasi del tutto inappagata: niente più portata principale, ci si dovrà accontentare della seconda (e ultima, in Marocco) edizione consecutiva del Mondiale per Club, che prenderà il via a dicembre. 14 i paesi a rischio Ma cos è successo, davvero? Venti di tempesta si erano già respirati in passato, ma da Rabat la posizione è sempre sembrata netta e rassicurante: nessun problema - si è detto e ripetuto - tutte le competizioni internazionali in programma in Marocco si giocheranno. I fatti di questi giorni hanno invece fotografato un altra realtà. Fatta essenzialmente di incertezze e comprensibili paure: le qualificazioni non sono ancora finite e i tre paesi in cui Ebola circola in veste ufficiale sono out: Sierra Leone e Guinea sono praticamente spacciate all ultimo posto dei rispettivi gironi eliminatori, mentre la Liberia neanche è arrivata a giocarli. Ma l Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che sono in tutto 14 i paesi a rischio contagio e, di fronte a circa 5 mila morti registrati e 15 mila potenziali, lo stato magrebino ha deciso di alzare le mani. Scatenando l impietoso j accuse dei vicini di casa, l Algeria, i cui quotidiani nazionali hanno subito approfittato per sparare a zero su quella che viene definita una «figuraccia preannunciata», dato che Ebola c entrerebbe poco nella decisione di abbandonare la competizione. Anzi, dicono sempre ad Algeri, è una maschera per nascondere i gravi problemi organizzativi con strutture e stadi ancora non pronti. La "lunga mano" cinese C era da aspettarselo, ma grazie anche a importanti accordi con la Cina (che di anno in anno fa valere sempre di più la sua "lunga mano" economica in Africa). il Marocco non ha patito particolari problemi di infrastrutture: nuovi porti, rete ferroviaria, case popolari, fondi da riversare in opere come gli stadi... Tutto nel buon nome della cooperazione economica con Pechino. Superstadio a Marrakesh Undici mesi fa, di fronte a re Mohammed VI, è stato inaugurato il Grand Stade de Marrakech, impianto avveniristico, una cattedrale poco distante dal famoso Palmaraie in cui vanno a svernare i pensionati di mezza Europa. Un vero e proprio ingegno strutturale (anche se dalla discutibile e squadrata forma architettonica), tuttavia mal collegato: i taxi, unico mezzo di trasporto disponibile, portano fino a un certo punto, poi c è da scarpinare per quasi tre chilometri su una strada senza marciapiedi, gremita di venditori ambulanti di cianfrusaglie e panini preparati con quello che c è sottomano. Oltre a file di povera gente che allunga la mano per chiedere l elemosina. Non un problema di stadi, quindi, ma un sistema che alla prima difficoltà si squaglia come un gelato al sole. Problemi ce n erano stati anche al mondiale nippocoreano del 2002: allora era la Sars a fare paura, ma lo svolgimento della competizione venne garantito senza problemi. Una federazione debole «Stavolta è mancata una corretta comunicazione - osserva Hamid Bichri, socio fondatore dell Associazione di Solidarietà fra marocchini e presidente di Udami, l Unione Democratica delle Associazioni dei Marocchini in Italia -. Inoltre il Marocco sconta la sua debolezza all interno della Caf, dove la federazione marocchina non possiede nemmeno un seggio» «Il Ministero della Salute ha chiesto un rinvio a data da destinarsi - aggiunge - per valutare al meglio le attuali e reali probabilità di contagio. Rinvio che però non è stato concesso dalla Caf (organo che si rimette in toto alle volontà del patron della Fifa, Joseph Blatter, ndr), dando così il "la" alla decisione tranchant di abbandonare l organizzazione della Coppa a due mesi dal fischio d inizio, con conseguente squalifica del Marocco dalla competizione». Ma nel Maghreb le decisioni di punto in bianco non sono rare e le lunghe mediazioni alla ricerca di una soluzione non vanno per la maggiore. Cose che succedono, insomma. Eppure «tra la gente c è parecchia delusione prosegue Bichri - Sono innumerevoli le incomprensioni: non si riesce a capire come mai le compagnie aeree francesi abbiano interrotto i loro viaggi nelle zone colpite dal virus mentre la Ram (la compagnia di bandiera marocchina, ndr) abbia proseguito con le sue tratte, salvo poi rilevare un rischio di contagio imminente. Per la rinuncia alla coppa c è tanto sconforto, ed è comprensibile, tra albergatori, commercianti, tifosi...». Il miraggio di Trapattoni Già, i tifosi, che fino a meno di un anno fa coloravano la celebre Piazza Djamaa El Fna a Marrakech, addobbata con maxischermo, per seguire le imprese del Raja Casablanca, squadra per cui, lo scorso dicembre, tutto il Marocco faceva il tifo. Strade gremite di supporter locali che se la ridevano con quelli brasiliani dell Atletico Mineiro. L arrivo in città di Bayern Monaco, il miraggio (lo scorso aprile) di Giovanni Trapattoni sulla panchina della Nazionale e l illusione con la Coppa di poter dare un accelerata alla propria economia, senza dover per forza di ELISA PELIZZARI Con un tragico bollettino che si ripete da mesi, a fine ottobre, l organizzazione Mondiale della Sanità ha reso pubbliche le statistiche sull avanzare di Ebola in Guinea-Conakry, Sierra Leone e soprattutto Liberia, il paese più colpito dalla malattia, con quasi la metà dei casi accertati. Da quando i primi dati sono stati diffusi, in quest ampia regione africana, il virus ha causato il decesso di circa 5 mila persone, sulle 10 mila infettate (altre fonti parlano di un tasso di mortalità che si approssimerebbe al 70%). La forza con cui Ebola miete vittime in Africa dove il virus, uno dei più implacabili del pianeta, è conosciuto dal 1976 dipende anche dallo stato di salute generale della popolazione, fattore che incide sulla capacità dell organismo di reagire all attacco patologico, quando Ebola invade il sangue e le cellule. Di fronte all epidemia, che minaccia ora aree confinanti come Mali (3 vittime accertata), Senegal e Costa d Avorio, dopo scappare da qualche parte in Europa. Sogni ancora una volta da fare ad occhi aperti e rimandare - come si era provato invano a chiedere per la Coppa d Africa - in data da destinarsi. VIRUS DUE ELEMENTI CHE CREANO SCONCERTO L incredulità popolare e il flop della «sanità» aver sfiorato la Nigeria (8 morti su una ventina di casi), due elementi sono oggetto di grande sconcerto: l attitudine delle comunità locali, dove ancora vi è chi non crede all esistenza della febbre emorragica, e la passività delle istituzioni sanitarie dell Africa occidentale. I sistemi sociosanitari si sono rivelati drammaticamente impreparati ad educare la gente al problema e a divulgare un informazione di base semplice ma corretta, lasciando libero corso alle voci più assurde. In Guinea, molti restano convinti che sarebbero i medici e gli infermieri stessi a propagare la malattia con le loro iniezioni; i centri, dove vengono isolati i pazienti o sono messi in quarantena i casi sospetti, non curerebbero le persone ma ne provocherebbero la morte; le case sottoposte a disinfezione, verrebbero in realtà contaminate con polveri nocive (GuineeNews, ). A Koidu, cittadina mineraria nell est della Sierra Leone, le autorità hanno dovuto di recente imporre il coprifuoco, dopo che alcuni giovani avevano attaccato gli

3 ALIAS (3) A operatori sanitari venuti a fare i test per capire se un anziana donna, moglie del capo-villaggio, era stata infettata; bilancio dei disordini: due morti "collaterali". Come spiega Guineeconakry.info ( ), al di là della malattia, le violenze sono la conseguenza di un incomprensione fra il discorso medico di tipo occidentale e i costumi delle popolazioni autoctone; spesso poi il lavoro di sensibilizzazione è svolto da figure incompetenti. Ma non basta. L epidemia sta mutando i comportamenti sociali e la paura genera ostracismo. Negli orfanotrofi di Monrovia, capitale della Liberia, che un tempo accoglievano i bambini privi di famiglia in seguito alla guerra civile, oggi si trovano i figli delle vittime della febbre emorragica o i piccoli sopravvissuti al contagio; nessuno li vuole più e sono sospettati di essere stregoni in erba, capaci di lanciare sortilegi, dopo essere stati loro stessi sottoposti a malefici (France culture, ). Svariati esempi mostrano come il persistere di uno scarto insormontabile fra il linguaggio astruso della scienza e l esigenza della gente di dare un senso alla malattia riduce l intervento clinico delle autorità ad un "teatro dell incoerenza", dove la parola dei terapeuti e quella dei pazienti non sfruttano i medesimi registri. Questi ultimi avrebbero bisogno di comprendere Ebola sia a livello cognitivo (collocandola nell ordine delle cose, cioè nel quadro della loro visione del mondo), sia a livello concreto (per rimediarvi o prevenirla), ma non ne hanno a volte l opportunità. L altra questione sul tappeto concerne l inefficace gestione L epidemia muta i comportamenti sociali, la paura genera ostracismo e le istituzioni che avrebbero dovuto difendere gli africani sono scatole vuote SCOTTIE APPIAH «Una triste decisione, devono renderne conto al popolo» In Europa siamo abituati a classificare i calciatori dell Africa subsahariana come viaggiatori di sola andata verso i paesi ricchi dell occidente e di quell Asia che ha grandi disponibilità economiche. Ma esiste un altro circuito, sommerso, sconosciuto, talvolta disperato, interno al continente. In molti casi è il Maghreb ad essere visto come un approdo sicuro e conveniente, buono per pretendere dal calcio un riscatto sociale. Tanto per fare un esempio, uno dei gol con cui il Raja Casablanca si è guadagnato la finale del Mondiale per Club 2013 contro il Bayern Monaco sconfiggendo l Atletico Mineiro di Ronaldinho, lo siglò Vianney Mabidé, centrocampista della crisi da parte delle istituzioni del continente, in primis l Organisation Ouest-Africaine de la Santé (Ooas), la Communauté Economique des Etats de l Afrique Occidentale (Cedeao) e l Union Africaine (Ua). Il 21 ottobre scorso, a Dakar, Fatou Francesca Mbow, medico e consulente umanitario, con Olakounlé Gilles Yabi, analista politico, ha scritto una lettera aperta ai responsabili dell Ooas, per denunciarne l azione quasi fallimentare. Il silenzio, la passività e il rimando costante ad altre strutture internazionali, quali l Organizzazione mondiale della sanità (Oms), hanno caratterizzato l attitudine dei massimi dirigenti della Repubblica Centrafricana che regalò una piccola grande gioia al proprio Paese, precipitato in un sanguinoso conflitto intestino. Proprio a modelli di questo tipo si rifà la carriera di Scottie Appiah, ragazzo ventenne, di ruolo esterno destro, giunto a Marrakech in caccia di fortuna. Qui ha vestito la maglia dell Olympique, seconda squadra della metropoli berbera dopo il Kac: «Siamo tutti sconvolti per questa decisione di rinunciare alla coppa spiega, non ce lo aspettavamo, tutto sembrava svolgersi secondo le regole». Un occasione persa per poter incontrare tanti amici connazionali, dato che il Ghana ha già ottenuto la qualificazione alla fase finale: «È davvero triste quanto accaduto. Sembra che le conseguenze di questa decisione non interessino a nessuno», aggiunge Scottie che, come tanti altri, si sta faticosamente facendo un idea sull accaduto: «Ci può anche stare una scelta simile, il problema Ebola in Africa esiste, è grave e merita di essere gestito al meglio: ma si doveva arrivare prima a questa conclusione, non così a ridosso della Coppa. E con metodi meno bruschi». «Le colpe chiosa Appiah sono delle istituzioni marocchine, che come al solito non sono state in grado di collaborare: nessun dialogo tra Ministero della Salute e Federcalcio, come si poteva pretendere di convincere la Caf? Così come nessun tipo di comunicazione aperta è stata fatta a beneficio del popolo, che tanto aspettava questo evento e a cui si doveva e si deve rendere conto della situazione». s. f. dell ente sanitario. Le politiche d intervento sono state delegate a ong come Médecins Sans Frontières, mentre le istituzioni africane non hanno saputo mobilitare né competenze né fondi per sconfiggere a tempo l epidemia. La lettera ha suscitato un forte dibattito e molti africani, in patria come nella diaspora, si sono sentiti abbandonati dai loro dirigenti, al punto da provare un senso di umiliazione per l immagine che il loro continente ha offerto. Insomma, sul piano formale, gli organismi di ogni genere pullulano, ma purtroppo, in più casi, si tratta di scatole vuote. LA NUOVA SEDE DEL TORNEO Si gioca in Guinea Equatoriale, dove gli affari hanno già vinto di PASQUALE COCCIA La Coppa d Africa s ha da fare, costi quel che costi, così ha deciso la Confederazione africana del calcio. Se il Marocco ha rinunciato all organizzazione dell evento calcistico più importante dell Africa, in nome di Ebola, tra due mesi sarà la Guinea Equatoriale a ospitare il torneo dal 17 gennaio all 8 febbraio Il sorteggio delle 16 squadre partecipanti si svolgerà il 3 dicembre a Malabo. Issa Hayatou presidente della Caf è riuscito a convincere Teodoro Obiang, dal 1979 presidente golpista della Guinea Equatoriale, che la rivista Forbes colloca all ottavo posto tra gli uomini più ricchi del mondo. Il Marocco si prende una pesante squalifica per aver chiesto di rinviare di sei mesi la Coppa d Africa, per Obiang invece si presenta su un piatto d argento l occasione di tornare al centro dell attenzione mediatica, dopo aver ospitato la manifestazione calcistica africana già nel Teodoro Obiang, però, due anni fa ha dovuto dividere gli onori con l altro paese ospitante, il Gabon, guidato da Omar Bongo, uno che dal 1967 succede a se stesso, senza che i partiti dell opposizione abbiano una rappresentanza legale. Alla nazionale della Giunea Equatoriale, quale paese organizzatore, spetterà di diritto un posto nella fase finale del torneo africano, dopo essere stata eliminata a luglio per aver schierato un giocatore che non aveva i requisiti. Le quattro città scelte per gli incontri della fase finale sono la capitale Malabo, Bata, Mongomo e Ebebiyin. Dunque, fatta salva la Coppa, il gioco può cominciare, e l ebbrezza del tifo per la propria nazionale farà dimenticare il fardello di Ebola, che nell Africa occidentale ha già mietuto cinquemila vittime. A spingere il presidente della Caf Issa Hayatou a trovare a tutti i costi una sede alla Coppa d Africa, ignorando la lettera che a ottobre gli ha inviato il presidente della federcalcio del Marocco, che segnalava il pericolo di spettatori provenienti dai paesi come Guinea, Sierra Leone e Liberia, dove vige l emergenza sanitaria dovuta ad Ebola, è stata la pressione esercitata dai principali sponsor, tutti del mondo delle telecomunicazioni, e da partner come la Nissan. I contratti sui diritti televisivi già da tempo venduti a Eurosport per l esclusiva in Europa, non potevano attendere, perché riguardano un giro d affari di decine di milioni di euro. Un tesoro da spartirsi ben bene rispetto alle briciole rappresentate dalle entrate garantite dai 734 mila spettatori dell anno scorso, dove si è giocata in Sudafrica la ventinovesima edizione della Coppa d Africa, a cadenza biennale dal 1957 e vinta dalla Nigeria con il risultato di 1 a 0 sul Burkina Faso nella finale disputatasi a Johannesburg. Anche quella del Sudafrica fu una scelta di emergenza, visto che la Coppa doveva svolgersi in Libia, ma la caduta del regime di Gheddafi spinse la Confederazione del calcio africana a dirottare la manifestazione nel paese di Mandela, che aveva ospitato i mondiali di calcio del 2010, perciò aveva tutte le strutture pronte per far fronte alla situazione. Per la Coppa nera non c è proprio pace. In alto, da sinistra a destra: tifosi nella piazza più famosa di Marrakesh (foto Stefano Fonsato), un supporter della Costa d Avorio (Cnse sta per Comitato nazionale di sostegno agli Elefanti) sugli spalti prima del match di qualificazione vinto 5-1 con la Sierra Leone (Reuters) e Scottie Appiah. Al centro, una fase del match eliminatorio Sudafrica-Angola (2-0), tifosi marocchini allo stadio di Marrakesh e il calciatore nigeriano Yekini. Sotto, una donna davanti a un centro anti-ebola a Toulepleu, confine Liberia-Costa d Avorio (Reuters) GERENZA Il manifesto direttore responsabile: Norma Rangeri a cura di Silvana Silvestri (ultravista) Francesco Adinolfi (ultrasuoni) in redazione Roberto Peciola redazione: via A. Bargoni, Roma Info: ULTRAVISTA e ULTRASUONI fax tel e redazione@ilmanifesto.it impaginazione: il manifesto ricerca iconografica: il manifesto concessionaria di pubblicitá: Poster Pubblicità s.r.l. sede legale: via A. Bargoni, 8 tel fax poster@poster-pr.it sede Milano viale Gran Sasso Milano tel fax tariffe in euro delle inserzioni pubblicitarie: Pagina ,00 (320 x 455) Mezza pagina ,00 (319 x 198) Colonna ,00 (104 x 452) Piede di pagina 7.058,00 (320 x 85) Quadrotto 2.578,00 (104 x 85) posizioni speciali: Finestra prima pagina 4.100,00 (65 x 88) IV copertina ,00 (320 x 455) stampa: LITOSUD Srl via Carlo Pesenti 130, Roma LITOSUD Srl via Aldo Moro Pessano con Bornago (Mi) diffusione e contabilità, rivendite e abbonamenti: REDS Rete Europea distribuzione e servizi: viale Bastioni Michelangelo 5/a Roma tel Fax In copertina: Cinema Astra di Jesi (foto di Umberto Giupponi)

4 (4) ALIAS Un numero speciale della rivista è dedicato al primo conflitto mondiale. Ne parla la direttrice Anna Iuso di GIANLUCA PULSONI Cento anni fa, più o meno: la Grande Guerra si può oggi, forse, anche introdurre così, con cioè un intervallo di tempo che segna, volenti o nolenti, un passaggio/spostamento di attenzione dalle strategie della memoria alla scrittura (in senso lato) della storia, nella misura in cui lo spazio pubblico che teoricamente permette la celebrazione dell'anniversario si fa possibilità attraverso cui ripensare fonti e usi di memoria relativi alla storiografia del conflitto. Da noi, in Italia, esempi recenti e di vario genere per fortuna non mancano. Uno su tutti qui merita la menzione e assieme una riflessione. Si tratta di un qualcosa di classico in questi casi: una pubblicazione. Qualcosa che, di riflesso, rimanda alla sua origine: cioè ad un archivio importantissimo. La pubblicazione in questione è l'ultimo numero il 28 della rivista «Primapersona» (Forum Editrice, 8 euro), dedicato appunto alla Prima guerra mondiale. L'archivio è invece l'archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, Arezzo: municipalità ribattezzata oramai «Città del diario» ne ha parlato recentemente anche il «New York Times» e sede del Premio Pieve (sito: Un archivio per cui la rivista è, dal 1998, spazio di pubblicazione e diffusione dei diari raccolti nel tempo (oltre che di commenti e riflessioni di studiosi di volta in volta invitati a collaborare in relazione ai temi trattati). L'alfabeto e le parole chiave Un ordine, prima di tutto. Quantomeno per far «passare» qualcosa di radicale da raccontare come la guerra, come anche quindi il '15-'18 italiano. Nell'introduzione del numero di Primapersona, la direttrice della rivista, Anna Iuso antropologa, professoressa associata alla Sapienza, fra i primi e più importanti studiosi europei a dedicarsi alle relazioni fra autobiografia, scrittura e memoria sociale, co-fondatrice della medesima rivista spiega bene come nasce la struttura del numero, qualcosa di particolare rispetto al passato, dal momento che si tratta di un numero interamente occupato dai brani dei diari selezionati (a parte la sezione finale dedicata alle recensioni di libri). Sono brani associati a determinate parole.il testo in questione della Iuso merita una citazione: «L idea dell alfabeto è sorta in maniera abbastanza fulminea: un evento così pervasivo come la guerra sicuramente investe tutti i campi dell esperienza, dunque un po tutto il dicibile, dunque tutto l alfabeto. L operazione immaginata, e da noi redazione realizzata, è stata la seguente: se ci fossimo trovati con un folto gruppo di soldati e avessimo detto «A come...?», cosa avrebbero risposto? La nostra redazione, composta per la stragrande maggioranza di giovani, ha cercato di immedesimarsi con SAVERIO TUTINO Saverio Tutino e il suo Archivio di memorie: nel novembre 1984 il Comune di Pieve Santo Stefano (Arezzo) firma la delibera che sancisce la nascita dell Archivio diaristico nazionale, un istituzione che raccoglie memorie e diari di «gente comune». Nel novembre 2011 muore a Roma il giornalista e scrittore Saverio Tutino, fondatore dell Archivio. A tre anni dalla sua scomparsa, nel trentennale della nascita dell Archivio, l omaggio alla Camera dei Deputati, martedì 18 novembre con Conchita De Gregorio, Melania G. Mazzucco, Alfredo Reichlin, Giorgo Frasca Polara, con il coordinamento di Camillo Brezzi e la lettura dai diari di Mario Perrotta ARCHIVIO I DIARI DI PIEVE SANTO STEFANO La Grande Guerra in «Primapersona» dalla A alla Z questi coetanei di cento anni fa, dando delle risposte che poi avremmo «verificato» nei diari, per capire se quelle parole fossero veramente fra quelle utilizzate per raccontare il conflitto, e quindi se fossero idee, concetti, esperienze vissute dai nostri soldati». Dato quindi un ordine come quello alfabetico, il passo successivo è stato quello relativo alla scelta delle parole chiave. Interrogata in merito, la stessa Iuso spiega: «Immaginiamo una parola oppure andiamo per parole chiave. Sappiamo che un tale diarista parla di questa cosa, è stato colpito per esempio da una crocerossina. Allora noi ci ricordiamo di lui oppure abbiamo una parola chiave nel database. Da qui andiamo a ricercare la quasi totalità del testo a meno che non ci sia qualcuno di noi che lo ricordi esattamente. Il che è abbastanza ricorrente, perché ognuno di noi viene colpito nella lettura dei testi da dati elementi (al riguardo io, invece, mi ricordavo di alcuni diari di crocerossine in cui paradossalmente non c'era la parola «crocerossina» nelle parole chiave). Quindi si torna al diario e si vede se la parola è anzitutto una parola centrale. Questo è un secondo elemento. La parola non deve essere semplicemente presente, ma deve avere avuto un senso particolare per il diarista. Quindi ammettiamo una crocerossina che abbia svolto un ruolo abbastanza importante. C'è dunque l'intensità dell'esperienza legata a questo termine e poi la capacità di narrare, perché evidentemente anche questo conta. Perché più o meno, per quanto l'elemento grammaticale e formale possa essere scorretto, un tale aspetto alla fine diventa per noi insignificante. Quello che è importante è che il diarista riesca a trasmettere l'esperienza». La logica fa poi sì che, dato l'indice, molte parole chiave si ritrovino comunque in più di un brano, con diversa e significativa rappresentatività, e cioè tanto in eccesso quanto in difetto. «Se considerate in relazione alle aspettative», come la stessa Iuso puntualizza. Il linguaggio delle armi L'alfabeto della Prima guerra mondiale di questo gran bel numero di Primapersona presenta parole chiave come, per esempio, «Alpini», «Austriaci», «Bersaglieri», «Caporetto», «Carso», «Logoramento», «Trincea», «Vittorio Veneto». Sono termini i cui echi immediatamente rimandano al conflitto in questione, senza dubbio. Ce ne sono però ovviamente altri la cui presenza qui rende sicuramente più estesa quella che si potrebbe definire come la ricognizione relativa all'esperienza della guerra basti pensare a «Amicizia», «Civili», oppure a «Madre» e «Padre» e altri ancora, il cui essere relativamente poco noti al grande pubblico e la cui alta rappresentatività riscontrata nei brani dei diari scelti diventano fattori tali da mostrarne l'importanza specifica nella psicologia degli stessi diaristi, e dunque nelle loro memorie relative a quanto accaduto, con tutto quel che ne può conseguire. Si pensi, in merito, al termine «Shrapnel», cioè «i letali proiettili carichi di sfere di piombo» dell'esercito austriaco: qui, disseminato nei racconti, un qualcosa che può facilmente fungere come una sorta di correlativo oggettivo del nemico. Ciò detto, all'origine delle parole ci sono ovviamente le voci di chi racconta, la polifonia di storie e la loro conseguente coesione in una Storia in «prima persona». I nostri protagonisti sono soggetti diversi: per sesso, carattere, estrazione sociale, ruolo nel contesto bellico. E diversi logicamente sono i loro modi di vivere il conflitto (modi che vengono fuori direttamente o indirettamente nelle loro lettere, nelle loro riflessioni, e perfino nelle descrizioni testuali più apparentemente lontane dall'azione). Diverse anche sono le loro lingue: qualcosa che qui ha sicuramente meno a che fare con questioni stilistiche e più, se si vuole, con la possibilità di utilizzare tale aspetto come ulteriore prova per una più precisa analisi socio-culturale. Tutto questo sembra poter essere lecito dire restituisce una buona fotografia di quella che si potrebbe dire una «storia del basso» della Prima guerra mondiale italiana. Ricca, leggibile tra le righe come occasione di rilevamento di informazioni e di verifica di interpretazioni. Allo stesso tempo la natura soggettiva e particolare dei testi e il loro montaggio in relazione al contesto possono suggerire di leggere e pensare l'insieme dei brani come una sorta di circolazione di una narrazione in grado di articolarsi tanto al passato quanto al presente, secondo schemi diversi e tuttavia complementari. Schemi individuabili anche in altri campi, sia chiaro al riguardo, non può non venire in mente la «trilogia della guerra» dei cineasti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi ma soprattutto schemi che rimandano alle potenzialità dell'archivio come luogo di produzione di una storia culturale e, nello specifico, a quelle di un archivio come quello di Pieve Santo Stefano. Fondato nel 1984 dal giornalista e scrittore Saverio Tutino ( ), oggi attivo nella forma di Fondazione Onlus e accompagnato, come detto, da iniziative meritorie a sua promozione. Come, appunto, «Primapersona»: rivista di cui lo stesso Tutino è stato fondatore e direttore e che con questo ultimo numero ci «ricorda» una Italia di cui non si deve fare a meno. Equipaggiamento invernale in dotazione del soldato in trincea (Luigi Coeta), Copertina di "Primapersona", Militari accanto a una granata inesplosa caduta l 8 dicembre 1915 nel versante sud del monte Melino, Trento (Luigi Coeta), Crocerossine (Fanny Castiglioni). Foto dell Archivio nazionale diaristico

5 ALIAS (5) MITI GRECI Alcune illustrazioni di Diana Manfredi, dal libro Mondadori Electa «Odisseo» di FEDERICO GURGONE Era sì un cimitero il Mediterraneo nell età del bronzo. Eppure, alla fonda, fermentava nella spuma del mare la voce universale della poesia. Il prototipo di ogni storytelling, capace di scoccare il canto dell uomo moderno, mise in versi tra il levante e il ponente dell Egeo le gesta del re di una piccola isola. Un marinaio. Mondadori Electa pubblica Odisseo: il racconto in cinquanta folgoranti episodi della storia di un attore «dalla mente versatile», attraverso i testi di Valerio Massimo Manfredi e le illustrazioni di sua figlia Diana (pp.147, euro 19,90). La particolarità del libro consiste nella scelta di confezionare in ordine cronologico la trama vissuta dall itacense, dipanando il filo di Arianna delle tante narrazioni che parlano di lui, per riconsegnare al lettore la figura a tutto tondo di una biografia concreta: dalla nascita, al suo primo incontro con Penelope, passando per l assedio di Troia, l ira di Achille e i viaggi filmati dal secondo poema omerico. Lo scrittore e l illustratrice congedano Ulisse concentrandosi sulla prosecuzione della sua vita dopo il ritorno in patria e riallacciandosi con un epopea continentale annunciata e mai composta da Omero. Da qui inizia il colloquio degli autori con il manifesto. Dalla forza d impatto di una doppia pagina dischiusa nell epilogo: il nostro avanza nella neve tra i monti con un remo sulla spalla, le vesti sconvolte dalla tormenta. «È la premonizione di Tiresia, l indovino evocato dall Aldilà nel libro XI dell Odissea», spiega Diana. «Un viaggio verso una misteriosa meta agli antipodi del mare, dove un viandante avrebbe chiesto a Ulisse se il remo che portava con sé fosse una pala per separare la pula dal grano». Lì l eroe avrebbe immolato un toro, un verro e un ariete, prima di riprendere la via del ritorno. Qui hanno dispiegato le loro ali le fervide fantasie di Pascoli, Kavafis, D Annunzio, Joyce. «Ho immaginato lo scenario di un entroterra ammantato di bianco per esemplificare l abisso che allontana Odisseo dalle sue radici. Siamo ex abrupto in una realtà aliena al Mediterraneo e il volo degli uccelli sullo sfondo è il subconscio di un viandante che volle varcare il limite del tempo e dello spazio, al fine di sperimentare davvero cosa significasse essere un uomo». Difficile comprendere il mondo di Odisseo prescindendo dall universo che l aveva generato. Omero sembra rimarcare lo stacco bruciante tra due generazioni contigue. Ulisse appare simile a un Quel viandante di nome Ulisse Robinson Crusoe che sa di dover contare soltanto sulla sua intelligenza, seppur con l appoggio di Atena. È un uomo che non di rado pare pazzo, la cui oratoria con «parole simili ai fiocchi di neve d inverno» non teme rivali. «La generazione degli Argonauti, quella di suo padre Laerte, tra i seguaci di Giasone alla ricerca del vello d oro sulla nave Argo, è a metà strada tra mito e epos», chiarisce Valerio. «Apparteneva a un altra era, a una stirpe di eroi che aveva nelle vene ancora le ultime stille del sangue degli dei». Svanivano invece nella nebbia, intorno a Ulisse, i «tempi che ai monti stridevano ancor le Chimere», rimpianti con commozione da Giovanni Pascoli. Il padre dell argonauta Eracle, figlio dell umana Alcmena, era l onnipotente Zeus. Il protagonista dell Odissea è, al contrario, un re che parte per la guerra e, al culmine di terrestri peripezie, trova la casa invasa da arroganti rivali: un tema comune nella tradizione popolare coeva. «Questo è l epos: un evento accaduto nella realtà che, in seguito, diventerà oggetto di canto. Io lo ricostruisco risalendo alla fase precedente la mediazione cantata dai poeti. Atta, padre, raccontami, dice il mio piccolo Ulisse a Laerte. No, aspetta che sia l aedo Femio a farlo, lui ti narrerà una storia bellissima. E qui il bambino lo sorprende: No, atta, voglio saperla da te: voglio la storia vera. È, questa, una curiosità già moderna». Achille è un monolite, una macchina da guerra coperta di metallo. Ulisse è un personaggio di transizione. «Se sa battersi come un leone, spesso ha tuttavia paura», sottolinea l archeologo e scrittore. «Durante un importante battaglia i troiani colpiscono l auriga di Nestore; il carro si rovescia e il re di Pilo rotola a terra. Ettore, vedendolo in difficoltà, si lancia contro di lui per finirlo. Diomede chiama allora in soccorso Odisseo, che non lo ascolta e si ritira a gambe levate verso le navi. Nello stesso passo l itacense è chiamato sia divino e glorioso, sia vile». Il suo grado di umanità aumenta passando dalla narrazione iliadica della guerra, che per Omero non ha un senso né una logica, alla sfida contro la natura eternata dall Odissea, quasi un contrappasso per le violenze disumane commesse nei dieci anni di conflitto. È ormai tempo di nòstoi, termine che indica i tanti poemi greci dedicati al ritorno dei re achei da Troia. L etimo è presente anche nella radice di nostalgia: «dolore del ritorno». Una pena che nasce dall attaccamento a quello che si ha e si rischia di perdere. La vita, più di ogni altra cosa. «Nel canto XI dell Odissea, l ombra di Achille appare a Ulisse nell Ade. Nulla più rimane in lui degli ideali eroici. Al re di Itaca, convinto che il pelide resti un sovrano tra le larve degli inferi, il guerriero che fu controbatte: Preferirei essere l umile servo di un padrone povero e diseredato, piuttosto che regnare su tutti i morti. E, infine, aggiunge tagliente: Non lodare la morte, splendente Odisseo». Vero, perentorio, umano. Su queste basi l Odissea, lodando l amore per un esistenza preziosa proprio perché irripetibile, costruirà il preludio al mondo del tempio dorico e dello stile geometrico: l alba del miracolo greco. Le pagine del libro insistono su Un libro racconta le gesta di Odisseo, marinaio e re dell età del bronzo. A colloquio con gli autori, Valerio Massimo Manfredi e sua figlia Diana, che lo ha illustrato particolari meno noti del rapporto di Ulisse con le donne: dal nido d amore ancorato su un ulivo per celebrare la sposa Penelope, il cui nome significa anatra, agli onori tributatogli da Elena tra le mura di Troia. La bella fanciulla racconta a Telemaco, giunto a Sparta per cercare notizie sul padre, un episodio inedito: un giorno Odisseo, camuffato da troiano, si era intrufolato nella città. La sola Elena lo riconobbe; lo invitò nella sua casa, gli fece il bagno ungendolo d olio e, ormai pentita, gli diede informazioni utili. «Una scena molto intima, quasi la ritualizzazione dell offerta di un rapporto sessuale: la stessa che Odisseo avrebbe rifiutato a Nausicaa». Ulisse è comunque un re dell età del bronzo, che impicca per vendetta le ancelle traditrici, considerate proprietà personale. Odisseo è un marinaio atteso da un innamorata in ogni porto, per quanto tutte loro siano diverse facce della sola donna ancestrale che egli ama, aspetti cangianti dell unica femminilità con cui deve senza posa confrontarsi. Lui, astuto, sa sempre quando lasciarsi andare e quando fermarsi. «Troviamo un intuizione felice nel film Ulisse, diretto nel 1954 da Mario Camerini», ricorda Valerio. «Nel lungometraggio, Odisseo - Kirk Douglas, ogni qual volta guarda Circe, vede il volto di Silvana Mangano, l attrice che interpreta anche Penelope». Circe è la donna maga: «con inganno m adeschi / a entrare nel talamo, a salire il tuo letto, / per farmi poi, così nudo, vile e impotente». Quel che conta per Odisseo è che, pur nei suoi tradimenti, non perde mai la memoria della sposa, alla quale si aggrappa nei momenti peggiori. Nausicaa è l ingenuità della fanciulla, e ne rispetta l innocenza. Elena, la perla più bella, è per lui null altro se non tutte le femmine del mondo. «Per disegnarla, ho sovrapposto diversi volti alla ricerca della perfezione del canone ideale», racconta Diana. «Le donne incontrate da Odisseo lo strappano al suo scopo: una direzione vissuta con coerenza. Calipso è colei che deraglia gli uomini; è una dea dalla sensualità oscura, esibisce la compenetrazione totale e assoluta tra due corpi, quello divino e quello umano». Tutto quello che non dominiamo, per Ulisse, è un dio.

6 (6) ALIAS CIBO&TV di FRANCESCA ANGELERI A non giocare un ruolo di prim ordine è, manco a dirlo, la stampa. Dove? Ovunque, verrebbe da scrivere. Taciuta, involgarita, depredata del suo significato, la comunità scrivacchina se ne sta in disparte, tranne rari e sostenuti casi. Nella fattispecie, in questo articolo, facciamo riferimento a un mondo piccolo piccolo e chiuso chiuso, quasi claustrofobico, che è quello dell enogastronomia. Potrebbe sembrare strana questa cosa, dall esterno, poiché siamo subissati da notizie e notiziette sull argomento. Ma tant è. Tutto, o almeno tanto, bisogna ricordarlo, nacque proprio qui. Su queste pagine. È nato su il manifesto lo storico inserto del Gambero Rosso, dalla mente e dalla penna di un uomo che ci ha lasciati la scorsa estate, Stefano Bonilli. Il Gambero nacque e se ne andò, creando qualcosa mai esistito prima, da cui hanno tratto linfa tutti i discorsi attuali, da quelli più interessanti e costruttivi a quelli più inutili e insignificanti. Ego spropositati si sono generati da allora. Ma anche barlumi di luce. Perché se c è un aggettivo che ricorre sempre di più e a buona veduta accanto al termine cibo è: antropologico. Bonilli alias Papero Giallo, questo il suo nick du Twitter, ci ha lasciato un soffio di tempo prima di realizzare l ultimo progetto legato a quel mondo cibo in cui credeva molto. App.etite è stato «una riunione nella quale discutere con chi è impegnato in iniziative nuove in Italia e all estero e dove ascoltare chi ha già dato vita a progetti innovativi non solo nel mondo del food» questo aveva scritto in un articolo in cui lanciava il progetto lo scorso aprile. Non ce l ha fatta. A portare avanti il tutto ci hanno pensato i suoi «discepoli», la giornalista Elisia Menduni suo braccio destro operativo nella testata on line Gazzetta Gastronomica e Marco Bolasco, che fu il suo pupillo, cui diede in mano la Guida del Gambero in un periodo buio e attuale direttore scientifico dell area enogastronomia di Giunti passando dalla direzione editoriale di Slow Food. Operativo da subito anche Massimo Bergami, dean della Bologna Business School, sede dell incontro. Cosa volesse fare davvero Bonilli non lo si può ovviamente sapere per certo però «nell ultimo periodo gli mancava MEDIA UN FENOMENO ANTROPOLOGICO Stefano Bonilli, il primo a scatenare l appetitoso inferno Dal Gambero Rosso sul manifesto alle sfrenate competizioni in studio: intervengono Enrico Menduni, Fabrizio Ievolella e Massimo Bottura l aria- racconta Bolasco- non ne poteva più di questo mondo cui aveva contribuito in maniera enorme, non trovava più interlocutori lucidi. Era sempre alla ricerca del nuovo, sia che si trattasse di un giovane da ascoltare sia che si trattasse di un concetto, di un punto di vista. Da questo anche la sua passione, a volte abbagliante, per la rete. Quindi, per dirla alla Buffalo Bill o si scartava di lato oppure si doveva cambiare tema. Sarebbe stato capace di farlo. Era un giornalista puro. In qualche modo sentiva l esigenza di rifondare questo mondo spingendolo avanti. La sua, quella del Gambero, è stata una vera e propria scuola laica sul cibo, l unica. Individuò in esso un linguaggio ed erano i tempi da La Messa è finita. Trascinò intellettuali ancorati ai loro universi colti e raffinati verso il mondo della cultura materiale. Ridando parola e dignità a gestualità e concetti perduti». È stato detto tanto in questo congresso e, al contempo, niente. Merito e colpa anche, come si diceva all inizio, di un ruolo completamente svuotato quale quello di una stampa che non è più in grado di rinnovarsi e di dire la sua in modo,appunto, laico e libero. Contributi ce ne sono stati tanti e, in questa sede, ci occupiamo di quelli relativi alla modalità tv del cibo, quella più criticata ma allo stesso tempo più desiderata da tutti i roteanti attorno al settore. Si sa, sempre si brama ciò che non si possiede. Seduttiva e sirena come sempre, la televisione entra nelle teste e nelle viscere dei suoi adepti, atraendoli di volta in volta con l argomento che di lì a poco diventerà il loro più caro. «Come se non ci fosse un domani» scrivono molte blogger parlando del loro argomento preferito, il food, ed è esattamente così che l ha presa il meccanismo televisivo: programmi di cibo come se non ci fosse un domani. A raffica. Guardatissimi, davanti allo schermo si opta per poco altro. Differenze in realtà ce ne sono molte, come ci spiega Enrico Menduni professore ordinario di cinema, fotografia e televisione all università di Roma Tre. «anche la televisione è in sé nutrimento. Al punto che spesso creiamo confusione tra i cibi che realmente ingeriamo e quelli che, invece, assumiamo in forma di immagini in quantità a dir poco bulimiche. Un tempo la mission della tv era quella di educare alla modernità, insegnare, cioè, a consumare. Spazzare via il salsamentario e inserirci in un mondo di marche e packaging. Oggi le strade si dividono in due, da una parte c è una tv generalista, quella che guardiamo all ora di pranzo e cena, per intenderci, con la bottiglia d acqua davanti a fare da barriera. In essa il cibo si somministra per l appunto all ora dei pasti a mo di conduttrici sotto forma di massaie che insegnano a eventuali giovani generazioni che la famiglia può essere tenuta insieme da un cibo ben cucinato. Una in forma dieci minuti e via, l altra in una più patemica: se lo fai bene non ti lascerà per un altra! Sprofondiamo in archetipi familiaristici arcaici. Ma la tv generalista è oggi tanto più arcaica perché a guardarla sono i vecchi, oppure i poveri, che non hanno i soldi né per le Maldive, né per il satellite. E qui subentra la seconda strada, dove troviamo la nicchia, ed è in essa che si scatena la cucina! Il cibo ha oggi raggiunto la sua maturità d ibridazione, con gli altri generi appetibili, primo fra tutti il talent e la competizione. Lasciandosi andare a toni forti, spesso al trash, all unto e al bisunto. E quando arrivi lì, si sa, un po è perche hai finito la benzina». Qualche dritta ulteriore la fornisce Fabrizio Ievolella, direttore generale dei contenuti di Magnolia, preso d assalto App.etite. Per lui è di nuovo antropologico l aggettivo da utilizzare. Sostanzialmente, visto che non se ne occupano gli esseri umani a prendere contatto con le loro cucine e rispettivi saperi, ci pensa la televisione. «La tv è uno strumento centrale per raccontare il cibo e le sue storie. Nello specifico, due programmi in particolare Master Chef e Bake Off Italia, sono due successi assoluti. Il cibo è partito dal tutorial, dal come si fa una ricetta, ed è arrivato al talent, esattamente come tutti gli altri generi di intrattenimento, dalla musica al ballo etc. è il sogno delle persone il punto di partenza, la loro aspirazione, la possibilità che mostri loro di compiere una immensa scalata sociale utilizzando il talento. Il talent fornisce allo spettatore un linguaggio specifico, proprio di una determinata categoria, rendendolo disponibile e alla portata di tutti. Pensiamo al verbo impiattare, prima quasi non esisteva, ora lo usano tutti. Il concetto arriva allo spettatore che lo fa proprio, acquisisce un metro di giudizio personale e, alla fine, si sente una persona migliore». Potrà forse finire il genere talent, iper sfruttato e iper spremuto, ma non sarà il cibo ad abbandonarci «La cucina non può esaurirsi come genere- continua Ievolella- proprio perché è un genere. Ed è talmente radicato, che semplicemente porterà dietro e dentro di sé dei nuovi linguaggi per trattare un tema che è antropologicamente troppo rilevante per essere messo da parte». E chissà, forse si arriverà o sarebbe meglio dire si tornerà a parlarne in maniera più umana. Senza affibbiare ruoli, francamente, spesso ridicoli a personaggi che potrebbero e sicuramente sono più interessanti agli occhi di tutti? Forse lo spettatore, povero o ricco, può considerarsi pronto per divertirsi e anche apprendere senza la pantomima del cattivone bastardo che tale deve mostrarsi per convincerti che è un grande professionista? Certo gli autori televisivi lo sanno meglio di noi e quando sarà il momento, ce ne accorgeremo perché lo schermo se ne sarà fatto una ragione prima. Questo vale per molti. Non per tutti. Fortunatamente! Sicuro non per Massimo Bottura, osannatissimo chef di casa nostra. Proprio lui, ad App.etite, dal fondo della sala, è insorto contro le «bugie» della food-televisione. «La tv è importante- dice- quando ti lascia raccontare la verità delle cose che accadono». Lui ha rifiutato un po tutti quelli che sono andati a cercarlo, anche se è il primo ad ammettere che le puntatine a Master Chef Uk o Australia gli hanno fruttato una pubblicità giga. Però «la cosa fondamentale è solo una, cioè andare in profondità delle proprie passioni, perché non ci sono altre strade. Da lì parte tutto. Io vivo l arte, la musica, nella mia quotidianità, così come accade con la cucina. Non c è un ora X in cui stacco e divento un creativo! Sarebbe ridicolo. Quello che prepariamo alla Francescana (il suo ristorante stellato a Modena) sono bocconi delle nostre passioni, che ti raccontano di un quadro di Hirst o di una musica straordinaria. La gente con cultura capisce questa cosa ed è il motivo per cui noi stiamo in piedi e abbiamo il ristorante pieno a pranzo e cena. Non esistono cucine infernali. Certo, in Italia, il livello di consapevolezza è molto più basso, ci sono troppe mentalità superficiali, che hanno ancora bisogno di certi concetti sfalsati». Non c è scampo. Neppure qui. In alto: uno studio tv durante una trasmissione culinaria, a destra Julie Child durante il suo programma, sotto: Meryl Streep che la interpretava nel film «Julie and Julia» (2009) di Norah Ephron. Al centro: Stefano Bonilli

7 ALIAS (7) Arriva Bombolo l uomo delle «pizze» di ALBERTO CASTELLANO Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Bombolo e delle coppie che ha formato con Enzo Cannavale e il commissario Monnezza/Tomas Milian. Negli anni '70 e '80 molti li conoscevano ma si nascondevano o si vergognavano di ammetterlo. Oggi è più facile che si esibisca la conoscenza e anche l'ammirazione per il cosiddetto «cinema spazzatura» perché magari fa anche chic. A sollevare questi quesiti ma anche a riaprire una querelle nella sostanza rimasta irrisolta ci pensa ora la prima biografia autorizzata di Bombolo scritta da Ezio Cardarelli E poi cominciatti a fa' l'attore (ad est dell'equatore, pp. 176, euro 12), pubblicata grazie all'intraprendenza e a una linea originale e «aperta» di un piccolo editore napoletano. Bombolo, al secolo Franco Lechner (nato nel 1931 e scomparso nel 1987), diventò in quegli anni per i tanti che disprezzavano i b-movies italiani un'icona trash, l'attore/personaggio simbolo del cinema italiano di serie Z e quei pochi coraggiosi (tra i quali Marco Giusti, autore della prefazione alla monografia, Steve Della Casa e il sottoscritto) che analizzavano e studiavano in tempo reale il fenomeno della comicità popolare trasversale a vari generi sull'asse teorico abruzzesiano/nicoliniano e ne scrivevano soprattutto sulle pagine de il manifesto, diventarono una specie di avanguardia dada della critica incuranti dell'accerchiamento di intellettuali spocchiosi, prevenuti e snob. Poi naturalmente negli anni ci sono stati vari sdoganamenti. Resta il fatto che Bombolo è entrato prepotentemente nell'immaginario nazional-popolare e appartiene di diritto alla storia del cinema italiano. E questo libro non fa parte PAGINE di quei rituali corsi e ricorsi esegetici quando si decide di riesumare qualche personaggio o qualche argomento per riproporre stantie polemiche. È un omaggio dovuto, la ricostruzione di un'avventura cinematografica sui generis che diventa anche uno spaccato dell'italia e del nostro cinema degli anni '70 e oltre. Scrive Giusti nella sua prefazione intitolata Tzé, Tzé (da un famoso intercalare con difetto di pronuncia dell'attore): «Il fatto è che Bombolo non era esattamente un attore, era qualcosa di reale, di pesantemente vitale e scatenato, precipitato nel pieno del teatro e del cinema comico italiano degli anni 70 e primi 80. Come un meteorite». LIBRI GUALTIERO JACOPETTI E PAOLO CAVARA Al tempo di Mondo Cane di FABIO FRANCIONE Fortunate coincidenze o tempi ormai maturi? Forse tutte e due le cose, hanno fatto sì che, nel giro di pochi mesi uscissero due libri su Gualtiero Jacopetti e Paolo Cavara, rispettivamente di Stefano Loparco e di Fabrizio Fogliato, dedicati a due dei tre registi dello scandaloso Mondo Cane, uscito all inizio degli anni 60 e che testimoniano - da posizioni che offrono spunti, anche, di accesa discussione - il tratto comune percorso con l ideazione e la realizzazione di quel leggendario film che generò tutta una ridda di ipotesi fino alla loro controversa separazione artistica. E ora, complice anche il restauro del film a cura della Cineteca Nazionale e in concomitanza con la presenza alla Festa di Roma, esce per i tipi Bompiani e con la rigorosa curatela di Alberto Pezzotta, la sceneggiatura de L occhio selvaggio, redatta da Paolo Cavara con Tonino Guerra e Alberto Moravia. Questo film, riprendendo le fila del discorso, ha rappresentato per Cavara il punto di non-ritorno dall esperienza di Mondo Cane e forse anche il punto più alto della sua filmografia offrendo allo spettatore, allora non pienamente compreso, una riflessione sulla violenza dei media e dell immagine, quanto mai attuale. E nei fatti, mai come oggi ci si rende conto di come una storia univoca del cinema non esiste. Esistono storie di cinema e di film, di paesi e di generi; esistono elenchi di registi e attori; ed esistono, infine, sistemi produttivi e distributivi che, in modo non sempre virtuoso, costruiscono con la critica il reticolo relazionale della cosiddetta «settima arte». Almeno così dovrebbe essere, anche quando i caterpillar dell economia demoliscono le strutture della società dell intrattenimento eh sì, mai scordare la funzione commerciale del cinema - nel tentativo di ricostruirle al passo con il progresso tecnico e comportamentale contemporaneo. Ma, la storia non si può arrestare, semmai ci si può fermare ad osservarla nel suo dispiegarsi nel tempo e negli anni, soprattutto nei suoi incroci più pericolosi. Un deragliamento annunciato, ma foriero di magnifiche e «a posteriori» fantasie cinematografiche, è stato quello tra il giornalista e scrittore Gualtiero Jacopetti ( ) e lo studente di architettura Paolo Cavara ( ): entrambi folgorati, per l appunto, dal cinema, in particolare dal documentario, intraprenderanno sul finire degli anni cinquanta un percorso comune che li porterà, prima di dividersi ed avviarsi all elaborazione di linguaggi autonomi, pur se segnati ancora tratti dall esperienza comune (vedi il debutto de I In pagine foto di Bombolo e una scena di «Mondo Cane» Oltre tutto è un libro frutto della passione autentica di un fan di quel cinema, di una full immersion nel mondo di Bombolo di chi non fa il critico o studioso di cinema per mestiere. Ezio Cardarelli infatti è un poliziotto di professione, scrittore per passione, al suo esordio letterario, e si è occupato di attività sindacali. 'Scortato' dall'incoraggiamento di Tomas Milian conosciuto nel 2009 a dare corpo e forma al progetto editoriale che gli aveva confidato e, mentre scriveva il libro, dall'insospettabile apprezzamento dell'attore e regista americano Eli Roth per quel cinema italiano, per Bombolo e in particolare per W La Foca di Nando Cicero, l'autore si è convinto sempre di più della validità dell'operazione. E stemperando la comprensibile smania che assale gli esordienti di dimostrare le proprie qualità letterarie, si è fatto umile ricercatore che ha attraversato in lungo e in largo il mondo artistico e privato di Bombolo raccogliendo con pazienza materiali rari (c'è persino l'atto notarile originale con il quale Franco Lechner dichiarava di essere Bombolo) e testimonianze esclusive, integrando documenti cartacei e fotografie messi a disposizione dalla famiglia, racconti orali e interviste con quanti hanno lavorato con lui o comunque lo conoscevano. E poi cominciatti a fa' l'attore (che esce il 19 e sarà presentato a Napoli alla libreria Ubik il 3 dicembre) è strutturato in capitoli brevi (Vengo dall accademia de Modena, Ammazza quanto so boni sti canadesi, Du ore de ritardo ma dieci giorni d anticipo, A nonna, stasera famo na festa a casa tua sono i titoli di alcuni) con il dialetto romanesco che la fa da padrone restituendo con un'incisività «Graffi sul mondo» di Stefano Loparco e «Gli occhi che raccontano il mondo» di Fabrizio Fogliato in libreria malamondo di Cavara e ancor più L occhio selvaggio, di cui si è detto, e Africa addio di Jacopetti), all invenzione di un modo nuovo, spregiudicato e politicamente scorretto, di girare documentari con i Mondo Cane. La loro derivazione dal seminale Europa di notte di Blasetti avrebbe richiesto un discorso più approfondito, oltre l analisi della struttura ad episodi e la ricerca di situazioni scandalose, assurde e inverosimili (riferito all oggi ci si chiede se un regista come Ulrich Siedl nella sua ricerca dell abnorme nella società austriaca contemporanea può non aver visto e studiato i Mondo movies?). Esce la biografia firmata da Ezio Cardarelli dedicata a Franco Lechner in arte Bombolo, la spalla der Monnezza impareggiabile dialoghi, battute, episodi, racconti. E ripercorre la parabola artistica e umana dell'attore facendo rivivere con la forza icastica dell'aneddoto preferibilmente in dialetto con espressioni gergali estreme e simpatiche storpiature compreso il cominciatti del titolo, le origini umili, l'infanzia povera, il precariato sottoproletario giovanile quando faceva il piattaro con un carrettino, la scoperta al ristorante Picchiottino da parte di Pingitore e Castellacci che poi lo fecero esordire con il Bagaglino, l'exploit cinematografico lavorando a ritmo frenetico (una quarantina di titoli dal 1976 al 1986) grazie allo stesso Pingitore specialista delle commedie con Pippo Franco, a Bruno Corbucci che nella serie delle commedie poliziottesche con Tomas Milian, gli cucì addosso il personaggio di Venticello che interagiva con er Monnezza a suon di schiaffi, a Mariano Laurenti piccolo maestro della sexycommedia all'italiana, che per lui creò un sodalizio artistico con il grande attore napoletano Enzo Cannavale. E poi il teatro, la televisione. Una biografia che va oltre cinema perché c è Roma con il suo cuore antico, le sue trasformazioni culturali e di costume, vissuta da Bombolo intensamente in un arco di oltre 40 anni. E la forza del libro sta proprio nel modo discreto con cui Cardarelli finalizza il suo ruolo di narratore a un piacevole e appassionante viaggio nel quale ci fa guidare da un'icona della romanità. Dunque, proprio a partire da Mondo Cane, gemmato ne La donna del mondo einmondo Cane 2 (da estendersi a I malamondo per strisciare un blocco imprescindibile di visione) e dal suo strepitoso successo, trasformatosi a più di cinquant anni dalla sua uscita in un vero e proprio cult movie, come i suoi autori (compagno insostituibile dei due è Franco Prosperi, regista di qualche titolo interessante come Un uomo dalla pelle dura, che seguirà Jacopetti fino al fallimento, nel 1975, dell operazione Mondo Candido), si può cominciare a riflettere sulla trasformazione di un genere come il documentario, nelle sue declinazioni di shockumentary e mockumentary, fino ad arrivare a quelle nuove forme di drammaturgia che contraddistinguono la produzione contemporanea che spariglia non poco festival e critica come mostrano, per l appunto, le recenti uscite dei libri, editati dalle edizioni Il Foglio, di Fabrizio Fogliato, «Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo», e di Stefano Loparco, «Gualtiero Jacopetti. Graffi sul mondo».

8 (8) ALIAS di LUCIANO DEL SETTE I vecchi cinema non vanno in paradiso. Se aprivano i battenti delle loro porte sulle strade del centro cittadino, sono sprofondati nel girone infernale delle riconversioni: centri commerciali con qualche pretesa, sedi di compagnie di assicurazioni, show room di griffe della moda, grandi magazzini per marchi internazionali dell apparire a prezzi stracciati. Se, invece, il proiettore girava i suoi rulli in periferia, è finito, insieme ai sedili in legno e alla tela dello schermo, nel girone degli abbattimenti per far posto a una lottizzazione edilizia, delle speculazioni, delle trasformazioni in punto scommesse Snai o sala bingo, degli scontri in tribunale tra chi vorrebbe difenderli e chi specularci su. Prendete tre grandi città. A Milano, in ordine di età, sono scomparsi o sono stati condannati, fra i tanti, il Corso (1926), l Excelsior (1928), l Astra (1941) diventato gran bazar di una multinazionale spagnola di abbigliamento e accessori per la casa, l Ariston e il Mignon (1945), il Durini (1955), l Ambasciatori (1956), il Cavour (1962). Ultima vittima il Manzoni, in via Manzoni 40, aperto nel 1947 e firmato da Mario Cavallé, cui si devono 136 sale in Europa e l Astra a Milano. A Torino è bruciato in un incendio per fortuna senza vittime, il Corso di corso Vittorio Emanuele, nel Oggi ospita una compagnia assicurativa. Quando lo disegnò Vittorio Bonadè Bottino, maestro dell Art Déco sabauda, era il Si chiamava Palazzo, aveva gli ascensori e poteva accogliere duemila persone. In occasione di grandi film, il pubblico, all ingresso entrava dentro una scenografia in tema, come nel caso di Ventimila leghe sotto i mari, produzione Walt Disney, La copertura dell Astor, costruito nel 1946 sulle ceneri del precedente Sabaudo, poteva spalancarsi. Con la bella stagione, gli spettatori avevano per tetto il le stelle dello spazio insieme alle stelle di Hollywood. Chiuse nel 1983, cinque anni dopo fu destinato ad altro uso. Identica sorte e anno per l Ariston nella centralissima via Lagrange. Data di nascita 1948, capienza quasi settecento spettatori. Il centro di Roma ha subito la recente mutilazione del Metropolitan in via del Corso. L Etoile di piazza San Lorenzo in Lucina, dopo una serie di effimeri e inutili riutilizzi, è da due anni il santuario di una superstar del vestire Made in Italy. Ai tempi d oro, nonostante fosse una sala di seconda visione, programmava titoli quali Il buio oltre la siepe e Tenera è la notte. Pellicole da cinema d essai. Se ne sono andati l Aurora in via dell Umiltà e l Orfeo di via Depretis. Ma il patrimonio romano dei cinema storici si è estinto, o meglio è stato estinto, anche in altri quartieri: il Mondiale di viale Libia, il Rex di corso Trieste, l Adriacine in via del Forte Trionfale. Le macerie, gli stravolgimenti, le chiusure a tempo In Vespa alla ricerca del cinema perduto indeterminato hanno seppellito un immensa e collettiva fabbrica dei sogni. Nella platea dei cinema più eleganti le signore e i signori si vestivano come per andare a teatro. In galleria era confinato chi aveva pochi soldi. Nei cinema popolari il fumo delle sigarette volava in alto insieme a commenti e battute di vario genere, le più grevi rivolte dal pubblico maschile alle attrici. Le sedie in legno scricchiolavano sempre, con maggior intensità nelle ultime file, Incontro con Umberto Giupponi, studente del Politecnico di Milano, che ha percorso da nord a sud le province italiane per il programma Old Cinema rifugio delle coppiette in cerca del buio. Durante l intervallo passava, cassetta a tracolla, l uomo che vendeva tavolette di cioccolato surrogato, bibite troppo colorate, biscotti dal dubbio sapore. E i bambini, vedendolo, usavano l arma ricattatoria dei capricci nei confronti di mamma e papà. Nella provincia italiana l inferno è diventato limbo, senza che questo abbia significato una miglior situazione. I vecchi cinema, per buona parte, li puoi vedere ancora. Ed è vista che suscita pena. Porte sbarrate o murate, insegne penzolanti, muri scrostati, interni ridotti a depositi o lasciati andare senza curarsi di preservare i tanti pezzi d epoca, macchinari arrugginiti. A volte sono edifici anonimi, che però rappresentavano per la gente di un paese o di una cittadina il vero momento di socialità, l occasione per scambiarsi occhiate amorose e sussurrare pettegolezzi, novanta minuti di fantasia in una vita di lavoro e di riti sempre uguali. Altre volte sono edifici con una solida storia architettonica e culturale alle spalle, disgregati dalla mancanza di soldi pubblici o dall inerzia. Alla ricerca dei cinema perduti di provincia è andato Umberto Giupponi, studente del Politecnico di Milano, poco più che ventenne. Lo ha fatto partecipando in prima persona a un progetto, Old Cinema, di cui raccontiamo nel box a parte in queste pagine. Mezzo di locomozione Bianca, una Vespa 50 Special 1972, tre marce, rimessa a nuovo dieci anni fa. Velocità media di crociera quarantacinque chilometri l ora. Buongiorno, Umberto. Giupponi ha bell aspetto, pc portatile nella borsa, eleganza informale, modi che rivelano ottima educazione familiare. Fai qualche fatica a immaginartelo mentre ballonzola su Bianca per chilometri e chilometri, sotto il sole e la pioggia dell estate. A proposito, Umberto: quanti chilometri esattamente? «Sono partito da Codevigo (provincia di Padova, ndr) e sono arrivato a San Cataldo, Lecce, lungo la Dorsale Adriatica. Le tappe sono state organizzate soltanto per l andata, una settimana. Grazie al passaparola dei miei compagni di studio, ho dormito a casa di loro amici. Oppure ospitato da gente che conoscevo, o incontravo nel corso del viaggio. La media giornaliera, salvo imprevisti climatici o di altro genere, era di 130 chilometri al giorno. Man mano che andavo verso Sud, mangiavo sempre meglio. Fattore che, lo confesso, in alcuni casi ha accorciato le tappe. La più lunga è stata di 220 chilometri, sette ore, su un totale di 2300». Domanda d obbligo la nascita dell idea «Ero all estero per uno scambio Erasmus, e lì gli esami finivano in anticipo rispetto all università di Milano. Avevo, quindi, del tempo a disposizione prima di ricominciare. Decisi di coronare un sogno: fare un viaggio in Vespa e in solitaria attraverso l Italia o da qualche altra parte. L incontro con Old Cinema univa al viaggio su due ruote l altra mia grande passione, il cinema». Andare in cerca dei cinema abbandonati aggiunge all itinerario di Umberto il colore dell avventura e il sapore della scoperta. Mediati, in parte, dalla partecipazione virtuale di altre persone. La presenza, sul casco del pilota e sulla Vespa, di un Qrcode, il codice che, fotografato con lo smartphone, permette di acquisire informazioni, portava a connettersi alla specifica pagina facebook sull evento, e da lì inviare

9 ALIAS (9) Al centro: da «Territori del Cinema: Stanze, Luoghi, Paesaggi», di Valentina Ieva e Francesco Maggiore, Gangemi Editore, una ricerca sulle sale in Puglia (copy Inferno). Le altre sono foto di Umberto Giupponi: da sinistra: Nonantola, Jesi, Casacalenda, festival MoliseCinema, Trani, Zapponeta Cinema Francavilla, sosta a Rimini, Embassy a Bologna AS FILM FESTIVAL A Roma, sabato 15 e domenica 16 all Auditorium del Maxxi (via Guido Reni 4) un festival uguale agli altri però diverso, il primo festival di cinema nato per volontà di alcuni giovani con sindrome di Asperger, una condizione autistica ad alto funzionamento. Asff realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Giuseppe Cacace non è un festival sull'autismo ma un festival cinematografico vero e proprio che vede la partecipazione attiva di persone che si riconoscono nella condizione autistica. In programma lungometraggi e cortometraggi (tra questi Bello di nonna di Marco Chiarini con Nicola Nocella nella foto, recuiem di Valentina Carnelutti). Inoltre undici film di vari paesi che raccontano la condizione autistica, film d animazione, due focus su frontiere e immigrazione e sul caso Taranto e l Ilva. In giuria il regista Giuliano Montaldo, il giornalista Santo della Volpe, il giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori. Ingresso libero fino ad esaurimento posti. segnalazioni e materiali utili. Ma il prode Giupponi, durante il suo on the road, fa incontri anche sul campo, e conteranno molto. Viene consigliato, ospitato, ascolta aneddoti e stralci di vita, favorito dalla curiosità che suscita quella strana Vespa, dalla ragione in nome della quale sta mordendo l asfalto e il terreno irregolare di tante strade secondarie «I cinema che sono andato a cercare, ma soprattutto che ho scoperto grazie alle indicazioni delle persone del posto, riflettevano un modo di vivere tutt ora profondamente diverso dal modo di vivere del mio territorio, la provincia di Padova. La non velocità del mezzo mi ha consentito di percepire i cambiamenti chilometro dopo chilometro, paese dopo paese, soprattutto a Sud: i colori della terra, le voci dei dialetti, l isolamento di piccolissimi nuclei dalla zona cui appartengono. E, all opposto, la facilità del rapporto. A Casacalenda (Molise, ndr), in meno di due ore, ero già parte di un gruppo di ragazzi. Nel mio Nord è una cosa se non impensabile, certo molto più difficile. In queste realtà i cinema sopravvivono quantomeno come edifici. Altrove, molto più su nella carta geografica dell Italia, sono stati rasi al suolo o totalmente soppiantati dalle multisale». La strategia di Umberto è semplice. All arrivo in un posto, identifica la tipologia di abitante che può fornirgli informazioni certe. E chi, meglio degli anziani? I settantenni, gli ottantenni sanno dove sta consumando la sua lunghissima agonia un vecchio cinema; ricordano nomi e indirizzi dei tanti che non ci sono più «Dopo tre o quattro giorni di viaggio, mi sono fermato a Jesi, dove mi hanno indicato una sala in disuso, il Politeama Astra. Trovare una delle quattro porte principali aperta, ha dato in un attimo un significato totalmente diverso, il vero significato, al mio viaggio». Metri e metri di pellicola srotolata, per terra e nella cabina di proiezione; stucchi polverizzati, il palco ridotto a uno scheletro, lo schermo di un vecchio computer dietro la biglietteria all ingresso. Fuori dal Politeama ti aspetteresti di trovare una città morta del vecchio West. Lo studente d ingegneria mette da parte la razionalità per raccontare con parole semplici quello che ha provato «Banalmente, mi sono trovato davanti a qualcosa che c era e non c è più; qualcosa che comunicava emozioni, faceva incontrare la gente. Al suo posto, oggi, soltanto un grande vuoto». Ogni vecchio cinema si porta dietro una storia, che la memoria di coloro che lo frequentavano conserva intatta. Peppino, a Casacalenda, è stato uno dei cantastorie «Lui ricordava alla perfezione il cinema del paese, che prima era un teatro di fine 700, e ciò che aveva significato per la comunità di Casacalenda. Dopo la fine dell ultima guerra, il cinema era il posto dove tutti cercavano un po di svago, dove rimanevano provvisoriamente fuori la miseria e le difficoltà. Si guardava il grande schermo, ma durante le feste arrivavano a suonare sul palco le bande e le orchestre. Dopo il film nascevano le discussioni e i pareri, che presto sconfinavano su terreni al film del tutto estranei». Peppino, al cinema ci andava tutti i giorni. Si nutriva di Ladri di Biciclette e di Ben Hur, ha ben impressa negli occhi Gina Lollobrigida, forse la Bersagliera di Pane, amore e fantasia, e i commenti degli uomini quando un inquadratura ne mostrava le gambe. Altri luoghi, altri abbandoni. Apricena, provincia di Foggia. Il cinema del paese ha una storia significativa. Nato come officina del bisnonno dell attuale proprietario, è il bisnonno stesso a farne una sala cinematografica, per due generazioni. Dopo il 2005 entra in crisi, nonostante un bacino potenziale di cinquantamila persone sul territorio. Chiude per mancanza di pubblico, chiude perché il modo di andare al cinema è cambiato. E lo sa bene il giovane Umberto «Poltrone comode, ottima acustica, impianto sonoro e video di qualità. Ma sempre meno spettatori. Computer, tablet, smartphone OLD CINEMA I dati della Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) suonano inquietanti. Tra il 2001 e gli inizi del 2012, hanno chiuso i battenti 761 monosale italiane. In tutto, le sale che hanno cessato l attività ammontano a 889. Altre centinaia devono affrontare serie difficoltà di carattere economico a causa della digitalizzazione, obbligatoria entro il In tale, drammatico, contesto si inserisce l attività della Old Cinema, progetto a di dimensione nazionale, nato a Milano con l obbiettivo di costruire una mappa dei cinema perduti e documentarne storia, stato attuale, possibilità di recupero. Un idea e insieme «Un vero e proprio allarme sul rischio di perdere un patrimonio culturale e cinematografico che va invece recuperato e valorizzato. Il progetto, che ha l adesione di Giuseppe Tornatore, è alla ricerca di cinema dormienti, trasformati, scomparsi: un immenso patrimonio, ad oggi sommerso e frammentato». Creato e fondato da Ambra Craighero, Old Cinema punta a riconnotare 20 sale, una per regione, riqualificandole come incubatori culturali. La sua funzione di start up e di acceleratore per privati e istituzioni, soprattutto i Comuni dove sono presenti sale abbandonate, si articola in contenuti mirati a produzioni video, sviluppo e organizzazione di eventi, progetti didattici per le scuole primarie e secondarie; ideazione di contenuti e sviluppo di format integrati all hi-tech e al web, con particolare attenzione ai giovani della generazione web 2.0. Old Cinema Social è un altra e nuova strada del progetto che, con l ingresso nei social network, mira ad allargare il proprio campo d azione grazie alla raccolta di segnalazioni e al coinvolgimento del popolo web. Presentato al Festival di Venezia 2013, Old Cinema Social ha fatto partire la caccia agli Old Cinemas. Postando foto, video, informazioni sui cinema chiusi della propria città, si entra a far parte del team Ricercatori delle sale perdute. Il viaggio di Umberto Giupponi ha percorso questa strada che, nel suo caso, è stata più reale che virtuale. Ecco tutti i riferimenti per saperne di più e decidere se diventare un Indiana Jones fuori dal grande schermo, ma schierato dalla sua parte. Ambra Criaghero, tel. 347/ , ambra.craighero@gmail.com; ma?ref=hl per postare foto e segnalazioni (l.d.s.) danno la possibilità di guardare un film quando si vuole, senza orari e ovunque. I giovani, credo, preferiscono condividere spazi interattivi. Il cinema non lo è. Il primo giorno di viaggio ero arrivato a Bologna, ospite di un amica. Una stanza della casa era... una sala con tanto di telo e proiettore. Mi sono detto Forse sto facendo qualcosa di sbagliato! Sempre a Casacalenda ho parlato con un ragazzo che si occupa della rassegna Molisecinema e studia regia. Mi diceva che lui pensa a un film guardando ai media di oggi. Il suo fine non è più il grande schermo. Durante qualche tappa, ho chiesto a miei coetanei dove fosse una volta il cinema del paese. Nessuno ha saputo rispondermi. Penso che il futuro delle sale dismesse sia diventare centri polifuzionali, favoriti dalla collocazione comunque e sempre centrale e dall ampiezza degli spazi». Tappa che fai, abbandono che trovi. Graffiti di nessun pregio deturpano la facciata dell Embassy di Bologna. Una rete di tubi Innocenti sostiene le crepe del Teatro Sociale di Finale Emilia. A Zapponeta una fila di colonne vagamente neoclassiche sormonta le saracinesche del Francavilla, dietro cui si accumula spazzatura. A Larino, la platea e la galleria del Cineteatro sembrano pronte ad accogliere un pubblico che invece non entrerà più. E sempre a Larino, chi mai potrebbe pensare che al posto di una casa ci fosse la prima sala del paese? L Acquaviva di Mosciano, il Supercinema di Trani, l Arena di Nonantola somigliano a relitti arenati sulle spiagge del pubblico e privato abbandono. Ogni viaggio è un Grand Tour, non importa l epoca, non importa quali siano le strade scelte. Lo è stato anche quello del futuro ingegnere, dell appassionato di Vespa e di cinema Umberto Giupponi? «L obbiettivo era quello di cercare un Old Cinema, di trovarlo, di arrivarci davanti. E questo, forse senza che me ne accorgessi, mi ha portato fuori dal sentire quotidiano dei giovani della mia età. Allora mi sono trovato a riflettere su cosa significhino per noi i cambiamenti nel modo di comunicare, l impiego più disarticolato e meno completo dei nostri momenti liberi. Mi capita di andare al cinema con un gruppo di dieci persone, mai che tutti vogliano vedere lo stesso film. Ci si divide all ingresso e ci si ritrova fuori a spettacolo finito. Guardando al viaggio che ho fatto, alle testimonianze, agli incontri, ai discorsi, ho sentito un divario enorme tra la socializzazioni di ieri e quella di oggi». Nuovo Cinema Paradiso, ritorno al paese di origine e all infanzia, e Che ne sarà di noi, transito dalla maturità scolastica verso la maturità, sono tra i film che Umberto vorrebbe vedere dentro una sala tornata a vivere. Che ne sarà di noi è la domanda muta dei vecchi cinema. Nuovo cinema paradiso una promessa per ora molto difficile da mantenere.

10 (10) ALIAS STORIA VAL DI COGNE RESISTENZA E ALPINISMO In lotta per la libertà prima come partigiani poi scalando le vette TESTATA La nostra campagna «sportiva» per superare limiti, record e ostacoli Di Pasquale Coccia Il novembre del 1944 fu particolarmente freddo. I gruppi partigiani formatisi dopo l 8 settembre del 1943 si apprestavano a vivere il secondo inverno, mentre le formazioni costituitesi nella primavera e nell estate del 44 avvertivano il primo freddo. La neve quell anno era caduta presto e abbondante, il trasporto delle armi e il rifornimento di cibo cedevano al peso reso instabile dalla neve soffice, e i partigiani avevano i geloni ai piedi per le tante ore passate in mezzo alla neve. In val di Cogne il 7 luglio del 1944 si era costituita la repubblica partigiana, un affronto per le truppe nazifasciste, che sul finire di ottobre decisero di sferrare un colpo mortale a quell esperienza di libertà, sostenuta apertamente dalla popolazione civile, accerchiando l intera vallata. Nella notte tra l 1 e il 2 novembre, le truppe partigiane concentrate a La Nouva respinsero con grande coraggio l attacco, fino a costringere i nazifascisti ad arretrare verso il fondovalle. Le gravi perdite e la mancanza di armi resero improbabile ogni possibilità di reggere un secondo attacco dei nazifascisti, forti di ulteriori rinforzi sopraggiunti. Inoltre ad essere gravemente in pericolo era la popolazione civile, perciò il comando generale della repubblica partigiana della val di Cogne decise di lasciare la valle e a mezzanotte del 2 novembre 350 tra partigiani e civili si spostano in Valnontey per raggiungere il rifugio Sella, collocato a 2584 metri, oggi il paradiso degli stambecchi. La notte seguente raggiunsero il Colle Lauson a 3296 metri, per scendere in Valsavarenche al ponte di Eaux-Rousses a 1666 metri, poi a Pont per proseguire lungo il ripido vallone che conduce al pianoro del Nivolet. Dopo una giornata di marcia e riposati poche ore, al calar della notte i partigiani della val di Cogne, ai quali si erano uniti quelli della Valsavarenche, si rimisero in marcia, nonostante - una tormenta di neve, per raggiungere il rifugio Savoia a 2532 metri. All alba del 5 novembre, preceduti dal comandante partigiano Giuseppe Cavagnet, capo della banda Verraz, e da Roberto Robino, che insieme a un contingente di uomini avevano il compito di aprire la strada tra la neve alta, la colonna dei partigiani riparte, percorre ripidi canaloni e si porta al Colle dell Agnello fino ad arrivare, il 5 novembre, al Passo del Galisia a 3002 metri. Qui stremati dalla stanchezza e privi di cibo, stretti nella morsa del moderati arabi < > «Chiuse nelle celle, a volte stacchiamo pezzi di intonaco umido dalle pareti per scrivere frasi sulle pietre del suolo. Visto che ci è proibito leggere e prendere appunti, che ci perquisiscono e ci maltrattano di continuo, possiamo cancellare in tempo ogni scritta strofinando i sandali sul pavimento». Le testimonianze di Fatima e Mamia Salek Abdessamed, sorelle sahrawi imprigionate per oltre quindici anni, sono ricordate nelle conferenze della scrittrice Salka Embarek, insieme a quelle di decine di altre prigioniere della resistenza all occupazione marocchina. «La Asociación cultural saharaui svolge un lavoro di incalcolabile valore nei Territori Occupati. La voce delle donne, nelle condizioni dell esilio e del conflitto, è un chiaro esempio del desiderio di libertà che nutre la nostra lotta» (poemariosaharalibre). Le esperienze partigiane tra i monti, vissute a caro prezzo, produssero grandi alpinisti come Attilio Tissi, Federico Chabod, Massimo Mila... freddo, morirono assiderati 12 partigiani e 24 ex prigionieri inglesi, che si erano uniti alle formazioni partigiane. Dal Passo Galisia per il gruppo dei partigiani inizia la discesa verso il rifugio Prariond attraverso Maupasset fino a Le Fornet in Val d Isère, dove la sera del 6 novembre, dopo quattro giorni di ininterrotto cammino, finisce la lunga marcia bianca dei partigiani della Val di Cogne e della Valsavaranche. Quelle esperienze partigiane tra le montagne, vissute in nome della libertà e a caro prezzo, dalla Val d Aosta fino ai mugari del Trentino, i montanari della zona del Pino Mugo, produssero grandi alpinisti come il comandante partigiano bellunese Attilio Tissi del Partito d Azione, Federico Chabod, figura di primo piano della Resistenza valdostana e primo presidente della regione Valle d Aosta, raffinato alpinista che ebbe come compagno di cordata il musicologo comunista Massimo Mila, quest ultimo compendiò i suoi articoli e saggi nel volume Scritti di montagna (Einaudi, 1992). Eccellente alpinista fu anche Leopoldo Gasparotto, capo della struttura militare del Partito d Azione lombardo, che durante la Resistenza assunse il nome di battaglia Rey, in omaggio a Guido Rey, ritenuto il pioniere dell alpinismo italiano. All esponente del Pd A, Ruggero Meles ha dedicato un libro, Leopoldo Gasparotto. Alpinista e partigiano. Tra i grandi scalatori non poteva mancare Gino Soldà, che prese parte alla spedizione italiana che nel 1954 conquistò il K2. Soldà con il nome di battaglia Paolo, fu attivo nella Resistenza tra Recoaro e Schio nel gruppo partigiano «Valdagno». Tra i più famosi c è Riccardo Cassin, capace di scalare una parete di sesto grado, sua la punta del Grand Jorasse ( 4.205m) della catena del Monte Bianco. Nel 1958 fu capo della spedizione italiana impegnata nella conquista del Karakorum, e nel 1961 guidò la conquista dalla parete sud del Mc Kinley. Per Riccardo Cassin alpinismo e Resistenza furono tuttuno: «Il 26 aprile del 1945 affrontammo trecento uomini delle Brigate Nere ben armati che tentavano di raggiungere la colonna di Mussolini nell Alto Lario. Nei primi scontri cadde Alfonso Crotta, poi Vittorio Ratti con il quale avevo effettuato due belle prime: sulla nord della cima ovest della Lavaredo e sulla nord est del Badile. Venni ferito la mattina del 27 aprile mentre dalla massicciata della ferrovia sparavo con il bazooka sui repubblichini asserragliati in un caseggiato. Il gruppo dei Rocciatori chiuse la sua attività con la grande sfilata del 6 maggio a Milano. Non ci sentivamo eroi, ma solo uomini liberi che finalmente potevano tornare a essere solo alpinisti». Il rapporto tra montagna, Resistenza e libertà fu indissolubile: «In montagna si va per essere liberi. Se togli la libertà, l alpinismo, quello vero, non esiste più» dirà Bruno Detassis, autore di oltre duecento via nuove, per spiegare perché il suo amico Ettore Castiglioni, grande alpinista non poteva che essere anche un profondo antifascista. Al centro: festa partigiana in Val di Cogne. In alto e sotto: l attraversamento P.C. Nella campagna avviata per riacquistare la testata, per rendere più chiaro lo sforzo che ci attende il manifesto ha fatto ricorso a una metafora sportiva: il salto con l asta. Una specialità dell atletica che richiede grande forza fisica, innanzitutto nelle gambe che nella rincorsa consentono di acquistare velocità, nelle braccia che sul rettilineo della pista devono reggere l asta fino alla buca e muoversi in perfetta coordinazione per spingere il corpo verso l alto. Tutto molto difficile, ma non impossibile, che rende affascinante quell impresa di staccarsi da terra e volare verso l alto, cui segue, una volta superata l asticella, la fase discendente, liberatoria per il corpo dell atleta, fino a lasciarsi andare sui tappetoni sottostanti. A Parigi il 13 luglio del 1985, Sergej Bubka è stato il primo atleta di tutti i tempi a superare la soglia dei 6 metri nel salto con l asta, un limite fino ad allora ritenuto impossibile. Nei tre anni successivi, l atleta sovietico migliorò il suo record mondiale di ben 21 centimetri. Anche noi, imitando Sergej Bubka, ci alleniamo giorno dopo giorno per la gara di salto con l asta che ci aspetta a fine anno, per consentire alla pagina sport di continuare a raccontare quel mondo sportivo sommerso che non compare mai negli almanacchi e nelle pagine dei quotidiani sportivi. Vorremmo continuare a raccontare dell altro sport, fatto di volontari che consentono alle donne musulmane di nuotare, come abbiamo scritto dell esperienza di Torino «Piscina al femminile» gestita da donne dell Uisp, oppure della campagna «Gioco anch io» portata avanti con successo da Sport alla rovescia, che ha permesso ai calciatori dilettanti extracomunitari di giocare nei campionati minori promossi dalla Federcalcio, dai quali fino all anno scorso erano stati interdetti, grazie a una norma razzista e discriminatoria della Federazione calcio. Hanno avuto voce le palestre popolari, che hanno occupato e trasformato spazi abbandonati in quartieri degradati, per offrire a bambini e donne corsi di ginnastica a prezzi accessibili, giovani psichiatri coraggiosi che hanno visto nel gioco del rugby l occasione per far uscire i loro pazienti dal disagio mentale. Abbiamo raccontato il ruolo che ha avuto nello sport la sinistra e il movimento operaio in Italia e nel mondo, e le storie di sportivi affermati e famosi, che non esitarono a schierarsi con la lotta partigiana per ridare la libertà al nostro paese. Unici in Italia, a più riprese abbiamo scritto del rapporto tra la shoah e lo sport, storie di calciatori che nei campi di concentramento furono costretti a giocare con i nazisti per salvare la pelle e conservare bucce di patate da dividere con i compagni di baracche. Anche noi come Bubka vogliamo provare a superare il limite dei 6 metri e fare nuovi record nei prossimi anni, per scrivere dello sport di sinistra e quello visto da sinistra. Perciò è necessario prendere la rincorsa tutti insieme e spingere il manifesto verso l alto. Oltre il limite.

11 ALIAS (11) I FILM SINTONIE A CURA DI SILVANA SILVESTRI CON ANTONELLO CATACCHIO, ARIANNA DI GENOVA, GIULIA D AGNOLO VALLAN, MARCO GIUSTI, GIONA A. NAZZARO, CRISTINA PICCINO IL FILM COME AMMAZZARE IL CAPO... E VIVERE FELICI 2 DI SEAN ANDERS, CON JENNIFER ANISTON, KEVIN SPACEY. USA Tre aspiranti imprenditori decidono di diventare capi di se stessi ma sono subito fatti fuori da un cinico investitore. Decidono di rapir il figlio dell imprenditore di maggior peso e chiedere un riscatto. A dispetto della trama drammatica è una commedia, sequel di Come Ammazzare il Capo e Vivere Felici del 2011 (dal 27 novembre) CUB - PICCOLE PREDE DI JONAS GOVAERTS, CON STEF AERTS, EVELIEN BOSMANS. BELGIO Sam, un ragazzino di dodici anni, si avvia verso il consueto campo estivo con gli altri boy scout, ma non riesce a fare amicizia con gli altri che invece lo emarginano e lo deridono perché lo trovano troppo chiuso. Ben presto si renderanno conto che hanno preso di mira il ragazzo sbagliato. I VICHINGHI DI CLAUDIO FAH, CON RYAN KWANTEN, ED SKREIN. SVIZZERA GERMANIA SUDAFRICA Girato in Sudafrica, I Vichinghi racconta una battaglia incredibile per la sopravvivenza in mezzo al mare in tempesta, dopo un impresa fallita. Altri celebri film sui Vichinghi: quello di R. William Neill nel 1928 e di Richard Fleicher nel 58, girato in Croazia con Kirk Douglas e la vioce narrante di Orson Welles. I PINGUINI DI MADAGASCAR (3D) DI ERIC DARNELL, SIMON J. SMITH. ANIMAZIONE. USA Uno spin-off della serie «Madagascar»: Skipper, Kowalski, Rico e Soldato sono impegnati in un azione di spionaggio internazionale per fermare il malvagio dottor Octavius Brine e il suo piano per conquistare il mondo. MASTER OF THE UNIVERSE DI MARC BAUDER. DOCUMENTARIO. AUSTRIA GERMANIA Marc Bauder incontra Rainer Voss, fino a qualche anno fa uno dei «dominatori dell'universo» nel mondo dei broker al soldo di banche e società d'investimento. Infatti il titolo originale èder Banker, mentre questo allude a un fantasy ispirato ai giochi. MELBOURNE DI NIMA JAVIDI, CON PAYMAN MAADI, NEGAR JAVAHERIAN. IRAN Uno dei film del nuovo cinema iraniano presentati con successo alla Mostra di Venezia. Una giovane coppia sposata sta per partire da Teheran e andare a studiare a Melbourne, ma la donna che accudisce la neonata dei vicini la lascia a loro dicendo che deve fare una commissione urgente e non torna più. I due si accorgono a un certo punto che la piccola è morta. Nel chiuso dell appartamnento si avvicendano vari personaggi che non devono sapere quello che è avvenuto. VIVIANE DI SHLOMI ELKABETZ, RONIT ELKABETZ, CON RONIT ELKABETZ, SIMON ABKARIAN. ISRAELE In Israele, non c'è matrimonio il civile e il divorzio civile. Solo i rabbini possono decidere sul matrimonio e sul suo scioglimento. Ma questa soluzione è possibile solo con il pieno consenso del marito, che ha in questo senso più potere di giudici. Viviane Amsalem ha chiesto il divorzio tre anni, ma il marito Eliseo lo ha rifiutato e lei continua a lottare per la sua libertà. LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO DI ANTONIETTA DE LILLO. DOCUMENTARIO. ITALIA Alda Merini racconta la propria vita in una narrazione intima e familiare, oscillando tra pubblico e privato e soffermandosi sui capitoli più significativi della sua esistenza: l infanzia, la femminilità, gli amori, la maternità e il rapporto con i figli, la follia e la lucida riflessione sulla poesia e sull arte. Dettagli fisici, ma ancor più dettagli intimi di una grande poetessa italiana. L AMMINISTRATORE DI VINCENZO MARRA. DOCUMENTARIO. ITALIA Attraverso il lavoro di Umberto Montella, amministratore di numerosi condomini a Napoli, scopriamo un volto dell Italia di oggi nel mezzo della crisi, tra poveri e ricchi decaduti. Straordinario personaggio e grande vitalità di racconto. A Roma al Nuovo Cinema Aquila (dal 13 al 16) e al Detour (dal 21 al 23). Il regista incontrerà il pubblico domani al Nuovo Cinema Aquila. Il film è poi in programma a Napoli dal 24. (s.s.) BOYHOOD DI RICHARD LINKLATER, CON ETHAN HAWKE, PATRICIA ARQUETTE. USA Linklater ha fatto del tempo una delle sue ossessioni, sempre a caccia della realtà che sborda da un inquadratura, spesso nel rifiuto di ingabbiare le sue storie nei confini dello schermo. Girato in 39 giorni distribuiti nell arco di dodici anni ha riunito la sua troupe ogni anno per qualche giorno di riprese, al centro l infanzia e l adolescenza di un bambino texano (Ellar Coltrane) e la sua famiglia, sempre leggermente diversi. Senza bisogno di spiegazioni e psicologismi, con un aderenza totale al flusso della vita così come viene. (g.d.v.) LA DANZA DELLA REALTÀ DI ALEJANDRO JODOROWSKY, CON BRONTIS JODOROWSKY, PAMELA FLORES. CILE FRANCIA Racconto non solo dell infanzia del regista trascorsa a Tocapilla villaggio minerario nel nord del Cile, nato da immigrati di origine ucraina, ma anche riflessione visionaria sul paese, i suoi eventi e i personaggi tanto inverosimili da sembrare inventati. Suo figlio Brontis interpreta il padre a cui il regista fa scoprire la possibilità del sentimento. Come in un musical di Démy tragedia e farsa si compongono in un avventuroso disegno, Jodorowsky filtra pozioni magiche per i suoi adepti. Programmato ora a Napoli e poi in Sicilia. (s.s.) GET ON UP DI TATE TAYLOR, CON CHADWICK BOSEMAN, VIOLA DAVIS. USA Film biografico su un leader assoluto della comunità afroamericana, James Brown, raccontato dal regista come un black man instancabile, sciupafemmine, con uno smisurato bisogno di superare i propri limiti. Gran parte della musica del film è quella originale con sequenze imperdibili. Un po dappertutto aleggia quella mistica isteria da funzione della chiesa battista. Il film è prodotto da Brian Grazer e Mick Jagger che non ha resistito alla tentazione di inserire un episodio autobiografico, il primo incontro nel 64. (f.d.l.) INTERSTELLAR DI CHRISTOPHER NOLAN, CON MATTHEW MCCONAUGHEY, ANN HATAWAY. USA Visivamente impressionante, un ritorno al grande cinema d avventura. Quello che colpisce è l idea di ricucire dentro un kolossal eccessivo da 200 milioni dove una star come Matthew McConaughey viene spedito da quel che resta della Nasa dentro non so quale worm hole dalle parti degli anelli di Saturno insieme a Anne Hathaway, una piccolissima storia d amore. Le sue costruzioni narrative non sbocciano mai in un racconto epico commovente e nonostante la sua totale mancanza di ironia, Nolan crede totalmente nel suo progetto di cinema. Lo amiamo comunque. (m.gi.) ON ANY SUNDAY - THE NEXT CHAPTER DI DANA BROWN. CON TRAVIS PASTRANA, DANI PEDROSA. USA Ispirato al documentario di Bruce Brown, il figlio Dana presenta il nuovo capitolo del documentario per gli appassionati di motori. Celebri piloti di tute le varie discipline interpretano se stessi: Robbie Maddison, Marc Marquez, Carline Dunne, Travis Pastrana, Roland Sands, James Stewart, Dani Pedrosa, Ashley Fiolek, unica donna del gruppo, classe 1990, campionessa di motocross a 18 anni. SILS MARIA DI OLIVIER ASSAYAS, CON CHLOË GRACE MORETZ, JULIETTE BINOCHE. FRANCIA Un'attrice famosa accetta di interpretare a teatro, vent'anni dopo, la pièce che le ha dato il successo dall'altra parte. Non più la ragazzina arrogante e cinica Sigrid, ma la donna matura che ne viene travolta, Helena, imprenditrice di successo, ferita a morte dall'abbandono della ragazza. Il nuovo film di Assayas non è però Eva contro Eva, anche se punteggiato di passioni cinefile, esplorazione sentimentale in cui si mescolano esperienza vissuta, le scelte, le perdite, la relazione tra passato e presente. (c.pi.) SUL VULCANO DI GIANFRANCO PANNONE. DOCUMENTARIO. ITALIA Il materiale d archivio delle eruzioni di inizio secolo che distrussero interi paesi fanno da filo conduttor a questo documentario che si inerpica su per il Vesuvio a visitare chi vi abita e chi conduce la sua vita tra fatalismo e ansia atavica. Un vivaio, uno scultore che lavora la pietra lavica, una donna devota. E tante costruzioni edificate là dove non si potrebbe, tante fonti letterarie, Non si tratta solo di un vulcano, Pannone lavora sull orlo di un abisso. (s.s.) TRE CUORI DI BENOÎT JACQUOT, CON CHARLOTTE GAINSBOURG, CATHERINE DENEUVE. FRANCIA In una cittadina di provincia, una notte, Marc incontra Sylvie, vagano per le strade fino al mattino e non si incontreranno più, fino al giorno che la sorella di Sylvie le presenta il suo fidanzato. Jacquot compie una delicata operazione cinefila, che sarà apprezzata da quanti conoscono il cinema francese e in particolare la filmografia di Catherine Deneuve, a cominciare da Les Mademoiselles de Rochefort ( 67) di Jacques Démy che lei interpretava con la «dimenticata» sorella Françoise Dorléac scomparsa giovanissima, fino a Potiche di François Ozon. (s.s.) DA FORMIELLO AL GOLGOTA ALL THE THINGS Usa/Italia, 2014, 4 31, musica: Chrysta Bell e David Lynch, regia: Nicolangelo Gelormini, fonte: Youtube 7Girato nel chiostro di Santa Caterina a Formiello a Napoli, questo suggestivo clip visualizza il brano del regista americano interpretato da Chrysta Bell. La protagonista esprime tutto il suo travaglio sentimentale in interni dai colori marcati e dalle atmosfere sospese, cui fa da contrappunto il lunare chiostro del 500, dove la donna anestetizza il proprio dolore. Nel video diretto da Gelormini, svolge un ruolo fondamentale un ceppo di legno che campeggia al centro dello spazio, opera dell artista statunitense Jimmie Durham (che ha scelto di vivere nella città partenopea). È inevitabile che All the Things sia visualmente e narrativamente un omaggio a Lynch ma Gelormini raggiunge un suo personalissimo e convincente stile. L accurata fotografia è di Stefano Usberghi. TIGHTEN UP Usa, 2010, 4 30, musica: The Black Keys, regia: Chris Marrs Piliero, fonte: Youtube 1Il detto «Talis Pater...» potrebbe essere rovesciato dopo la visione di questo divertente videoclip. Daniel Auerbach (voce e chitarra) e Patrick Carney (batteria) il duo dell Ohio che si cela dietro la sigla Black Keys portano i figli al parco giochi. Per farsi bello davanti a una bambina, il piccolo Auerbach comincia a cantare Tighten Up e, alla fine, nasce una rivalità con Carney junior fino ad azzuffarsi. Dopo averli separati, toccherà ai genitori contendersi la madre della ragazzina, picchiandosi a sangue a colpi di strumenti musicali, sotto gli occhi delusi dei figli ai quali dovrebbero dare l esempio. HEART SHAPED BOX Usa, 1993, 4 55, musica: Nirvana, regia: Anton Corbijn, fonte: Youtube 8Un Cristo anziano e scheletrico con il cappello da Babbo Natale sale sulla croce. Tre corvi meccanici vi bivaccano sopra, mentre ai suoi piedi c è una distesa di papaveri rossi. L ambiente principale di questo capolavoro del fotografo e regista olandese è un Golgota di colori saturi popolato da bizzarri personaggi e sfondo per l esibizione del gruppo. Come per Walking in My Shoes (per i Depeche Mode) basato su citazioni da Bosch, anche qui il riferimento è la pittura fiamminga, ma rivisitata con uno spirito pop e pregna di un misticismo dovuto al fatto che il padre di Corbijn è un pastore protestante. Pensando al suicidio di Cobain di appena qualche mese dopo, Heart Shaped Box èun video carico di funesti presagi. Del resto a concepirlo è stato lo stesso front man, anche se Kevin Kerslake autore di altri 4 video per il gruppo di Seattle accusò i Nirvana di avergli rubato alcune idee. Il clip ha, inoltre, una particolarità: è stato girato a colori, stampato in bianco e nero e ricolorato a mano fotogramma per fotogramma. MAGICO ADIEU AU LANGAGE DI JEAN-LUC GODARD, CON HÉLOÏSE GODET, ZOÉ BRUNEAU. FRANCIA 2013 Il ritorno di Godard dal festival di Cannes, il 20 novembre nelle sale. Non è solo la conferma della grandezza di un regista che negli anni non ha mai smesso di interrogare il proprio fare cinema. Il film sembra un testo fondamentale nella riflessione sul cinema che ci interessa, e che appunto esprime una ricerca del movimento incessante della vita, la sua immagine, la sua invenzione. In quello che Godard descrive sullo schermo, e stavolta usando un particolarissimo 3D, come «un saggio di investigazione letteraria», Godard investiga ma su cosa? Qual è la storia, cosa si racconta? Il soggetto è molto semplice: «Un uomo e una donna si incontrano, si amano, intanto un cane vagabonda tra la città e la campagna, le stagioni passano, l'uomo e la donna si ritrovano, e il cane è di nuovo fra di loro. Nelle note, scritte a mano dallo stesso cineasta - sul pressbook distribuito allo scorso Festival di Cannes dove Adieu au langage era in concorso - Godard aggiunge che la donna per inciso è «sposata» e che l'uomo invece è «libero». La donna si chiama Ivich o Josette o Mary, e l'uomo Marcus, Gédéon o Davidson. Non so se vivere o raccontare si chiede una delle giovani protagoniste. Se nel cinema esistono due tendenze, una al controllo delle immagini, una alla registrazione del mondo, Godard li ha sempre esplorati entrambi, radicalizzandoli, ma senza mai abbandonare l'uno per l'altro. Dove si situano dunque le immagini? Quale il bordo che le delimita, e il fuoricampo che ne produce il senso? (c.pi.) IL TEATRO PETER HANDKE E IL TEATRO ROMA, AUDITORIUM GOETE INSTITUT (VIA SAVOIA 15), NOVEMBRE Un convegno internazionale, un concerto, spettacoli, letture, mise en espace, radiorammi: questa in sintesi il programma della settimana di studi dedicata a Peter Handke, il grande autore austriaco. Il convegno internazionale si terrà il 20 e 21 (ore 9.30) all Auditorium del Goethe institut, a cura di Francesco Fiorentino, Camilla Miglio, Valentina Valentini, promosso da Goethe Institut Rom, Università Roma Tre Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere, Centro Teatro Ateneo - Sapienza Università di Roma. Nel corso del Convegno verranno analizzati gli aspetti legati alla messa in scena, traduzione e alla poetica delle opere dell autore austriaco a cui è stato assegnato quest anno il prestigioso Premio Ibsen. Il convegno rientra nell ambito del progetto «La terra sonora. Il teatro di Peter Handke», iniziato nel 2013 e che si conclude con una intensa settimana di programmazioni, dal 17 al 23 novembre, al Forum Austriaco di Cultura, al Teatro Argot. info@rom.goethe.org / L ATTORE NINO! ROMA, PALAZZO BRASCHI (PIAZZA SAN PANTALEO 10), 13 NOVEMBRE- 6 GENNAIO In occasione del decennale della scomparsa di Nino Manfredi si inaugura una mostra multimediale in omaggio al grande attore. Attraversi proiezioni, scatti inediti dei suoi film più famosi. L iniziativa, proposta dalla famiglia Manfredi, organizzata da Dalia Events, in collaborazione con Onni propone anche un documentario diretto dal figlio Luca, sui momenti della vita artistica, ma anche privata. Il ciclo di appuntamenti dedicato a Manfredi é stato inaugurato lo scorso 9 maggio al Linwood Dunn Theater di Los Angeles, in California, per poi spostarsi all Auditorium della Conciliazione di Roma e quindi a Castro dei Volsci, paese natale di Nino. Le tappe di quest anno termineranno a Parigi per riprendere nel 2015 a San Paolo, Kuala Lampur, Bulgaria, sino a Buenos Aires. Un rilievo internazionale di cui si sono fatti promotori anche gli Istituti italiani di cultura in giro per il mondo. La mostra ha fatto tappa anche a New York, dove è stata ospitata dall atelier Bulgari sulla Fifth Avenue. In quell occasione è stato proiettata la copia restaurata di Pane e Cioccolata di Franco Brusati. IL POETA GIUSEPPE PAMBIERI «L INFINITO GIACOMO» ROMA, TEATRO DELL ANGELO, 17,18 E 25 NOVEMBRE L Associazione Città Teatro presenta Giuseppe Pambieri in «L infinito Giacomo» vizi e virtù di Giacomo Leopardi drammaturgia e regia di Giuseppe Argirò che nota: «L imperfezione del genio, in tutta la sua irregolarità, conduce alla solitudine, a un pellegrinaggio estenuante nell universo. Leopardi è un re senza regno, è Amleto che arriva oltre il limite del conoscibile, supera la coscienza affermando la vita nel suo groviglio inestricabile di bene e male; per il genio tutto è noia, è tedio incommensurabile....leopardi, con grande sincerità, confessa le sue paure come la sua fobia per l acqua, un fastidio che giungerà al parossismo e alla comicità, culminando nel rifiuto del bagno almeno settimanale. Non mancano gli spunti divertenti per riflettere sul suo rapporto con l eros e la sessualità. Nelle sue stesse parole, il desiderio di una vita normale, è incessante: il dono della poesia appare spesso come una maledizione divina che lo segna come diverso, lo condanna a una sofferenza eterna e lo affranca contro ogni sua volontà dal mondo che lo circonda».

12 (12) ALIAS Riaffiora una storica intervista apparsa in Francia nel 97. Dall incontro dell autore de «La voce e il fenomeno» con il sassofonista scaturisce un curioso e inatteso contraddittorio su composizione, improvvisazione, lingua e razzismo VISIONI L OCCASIONE FURONO I TRE STORICI CONCERTI ALLA VILLETTE DI PARIGI Ornette Coleman, la filosofia è jazz di JACQUES DERRIDA* Questa intervista - di cui si sono perse le trascrizioni originali - è stata realizzata dal filosofo Jacques Derrida il 23 giugno Ornette Coleman, sassofonista e compositore, maestro dell avanguardia nera si trovava a Parigi per tre concerti alla Villette, museo e sede per le arti performative (tra le quali il Conservatorio). Il filosofo intervistò Ornette Coleman che era al momento impegnato con il progetto «Civilization», una serie di esibizioni che comprendevano esecuzione della partitura sinfonica Skies of America, concerti in trio con Billy Higgins e Charlie Haden, membri del suo Quartetto «storico», e infine un concerto di Prime Time, il gruppo elettrico e «free funk». Composizione, improvvisazione, lingua, razzismo sono le tematiche principali dell intervista riaffiorata di recente, apparsa nel '97 in Francia sulla rivista Les Inrockuptibles e a cui si è fatto riferimento in questa sede. Quest'anno presenterà un programma dal titolo «Civilizzazione». Che rapporto c'è fra il titolo che ha scelto e la sua musica? Cerco di esprimere un concetto secondo cui una cosa può essere tradotta in un'altra. Credo che il suono abbia una relazione assai democratica con l informazione, perché non c'è bisogno dell'alfabeto per capire la musica. Quest'anno sto preparando un progetto con la Filarmonica di New York e il mio primo quartetto (senza Don Cherry) e altri gruppi in aggiunta. Sto cercando di realizzare l idea secondo cui il suono si rinnova ogni volta che viene espresso. Lei ritiene di agire più da compositore o da musicista? Come compositore, spesso le persone mi dicono, 'Suonerà brani che ha già suonato, o cose nuove?'. Dunque lei non risponde mai a queste domande, giusto? Se ti trovi a suonare musica che hai già registrato, la maggior parte dei musicisti riterrà di essere stata chiamata a mantener viva quella musica specifica. E la maggior parte dei musicisti non ha grande entusiasmo quando si trova a suonare la stessa musica in continuazione. Dunque io preferisco scrivere musica che non è mai stata eseguita prima. Vuole sorprenderli? Sì, voglio stimolarli piuttosto che semplicemente chiedere loro di accompagnarmi in pubblico. Ma è difficile da farsi, perché il musicista di jazz è forse l'unica persona per la quale la figura del compositore non è qualcosa di interessante, nel senso che preferisce 'distruggere' quanto il compositore scrive o suona. Quando afferma che il suono è più «democratico», come la mette con il fatto che è un compositore, e scrive musica come tutti in forma codificata? Nel 1972 ho scritto una sinfonia dal titolo Skies of America, è stato quasi una tragedia, perché io non avevo un gran bella relazione con la scena musicale: esattamente come quando facevo free jazz, la gente perlopiù credeva che semplicemente io prendessi il mio sassofono, e poi mi mettessi a suonare quanto mi passava per la testa, senza seguire alcuna regola. Il che ovviamente non è vero. Lei spesso ribatte quell accusa... Certo. La gente al di fuori crede che sia una forma di libertà eccezionale, io credo invece che sia un limite. Dunque ci sono voluti vent'anni, ma oggi finalmente posso avere un brano suonato dall'orchestra sinfonica di New York e dal suo direttore. Giorni fa parlando con membri della Filarmonica, questi mi hanno detto, 'Senti Ornette, le persone incaricate delle partiture hanno bisogno di vedere le tue'. Io ero terribilmente arrabbiato: è come se mi avessero scritto una lettera e una terza persona la dovesse leggere per confermarmi che nella lettera stessa non c'è nulla che possa irritarmi. Era per essere sicuri che la Filarmonica non avrebbe avuto disturbi. E poi mi han detto, 'L'unica cosa che vogliamo sapere è se c'è un punto lì, una parola in quell altro spazio'. In realtà non aveva nulla a che fare con la musica o con il suono, ma solo con i simboli che usiamo. Infatti la musica che scrivo da trent'anni e che definisco 'armolodia' è come se stessi fabbricando le mie parole personali, con un'idea precisa di cosa quelle parole nuove debbano significare per le altre persone. Ma chi suona con lei condivide questa concezione della musica? Normalmente io parto dal fatto di scrivere qualcosa che loro possano analizzare, la suono assieme a loro, e poi consegno le partiture. Nella prova successiva chiedo loro di mostrarmi cos'hanno scoperto e come dall idea di base se ne possano sviluppare altre. Lo faccio sia con i musicisti, sia con gli studenti dei miei corsi. Io credo che chiunque tenti di esprimersi con le parole, con la poesia, nella forma che volete, può prendere il mio libro dell'armolodia e scrivere seguendone i precetti, con la stessa passione e gli stessi elementi di fondo. Nella preparazione del nuovo progetto di New York, ha prima scritto la musica e poi chiesto a chi doveva partecipare di leggerla, vedere se si trovava in accordo, e alla fine di trasformare il materiale originario? Per la Filarmonica ho dovuto scrivere le parti per ogni strumento, fotocopiarle, poi confrontarmi con la persona che si occupa delle partiture. Con i gruppi jazz, compongo e distribuisco le parti direttamente alle prove. Quello che è veramente sconcertante nella musica improvvisata è che, a dispetto del nome che usiamo, la maggior parte dei musicisti in realtà usa una base per improvvisare. Mi sono trovato di recente a incidere un disco con un musicista europeo, Joachim Kühn, e la musica che ho scritto per suonare con lui, e poi registrata nell'agosto del '96, ha due caratteristiche: è totalmente improvvisata, e al contempo segue leggi e regole della musica europea. Ciò nonostante, a sentirla, sembra quasi totalmente improvvisata. Ricapitolando: il musicista legge lo schema di fondo, e poi interviene il tocco personale? Sì, l'idea è che due o tre persone possano avere una conversazione con i suoni senza che nessuno tenti di guidare o indirizzare la conversazione stessa. Intendo dire: si tratta di intelligenza, quella è la parola. Credo che nella musica improvvisata i musicisti cerchino di rimettere assieme i pezzi di un puzzle emotivo o intellettuale, e in ogni caso si tratta di un puzzle nel quale il tono è dato dagli strumenti. Il pianoforte - più o meno sempre - è servito come base per la musica, ma ora non è più indispensabile: infatti gli aspetti più propriamente commerciali della musica sono diventati molto incerti. Peraltro la musica che passa attraverso il mercato non è necessariamente più accessibile, ma ha dei limiti. Quando inizia a provare, tutto è pronto e scritto, o già prevede di lasciare spazi aperti? Supponiamo di essere nel momento in cui si suona e tu capti qualcosa che potrebbe essere sviluppato. A quel punto dovresti dirmi, 'Proviamo questo'. La musica non ha leader, per quanto mi riguarda. Cosa ne pensa della relazione tra il concerto, che è poi l evento, la musica scritta e la musica improvvisata? Ritiene che la musica scritta impedisca all evento di accadere? No. Non so se sia vero per le questioni che attengono alla lingua ma nel jazz si può prendere un pezzo molto antico e farne una nuova versione. La cosa eccitante è il ricordo che se ne trasmette al presente. Comunque ciò di cui parla, la metamorfosi di una forma in una forma diversa è qualcosa di assai sano, ma raro. Forse sarà d accordo con me sul fatto che al cuore dell improvvisazione vi è la lettura, dal momento che spesso ciò che capiamo dall improvvisazione è la creazione di qualcosa di nuovo, ma che tuttavia non esclude la matrice scritta che la ha resa possibile... Vero. Non credo di essere un esperto sulla sua musica, ma se provo a tradurre ciò che lei fa in un ambito che conosco meglio, quello del linguaggio scritto, l evento unico - che si produce una volta sola - è cionondimeno qualcosa di ripetuto nella struttura stessa. C è dunque una ripetizione, nella struttura, intrinseco alla creazione iniziale, che compromette o comunque complica il concetto

13 ALIAS (13) di improvvisazione. La ripetizione è già nell'improvvisazione: dunque quando la gente tende a intrappolarti tra improvvisazione e scrittura alla base, è in torto... La ripetizione è naturale esattamente come il fatto che la terra ruota. Il suo ruolo di artista e compositore può avere un effetto sullo stato delle cose? No, non lo credo, ma ritengo che molte persone ne abbiano già fatto esperienza prima di me, e se comincio a lamentarmi, mi diranno, 'Perché ti lamenti? Non siamo cambiati a causa di questa persona che ammiriamo ben più di te, perché dovremmo cambiare grazie a te?' Dunque di fondo non la penso così. Vivevo nel sud degli Stati Uniti quando le minoranze erano oppresse, e mi identificavo con loro attraverso la mia musica. Ero in Texas, cominciai a suonare il sassofono e a guadagnarmi da vivere per me e la mia famiglia suonando alla radio. Un giorno capitai in un posto pieno di gente che giocava d azzardo e di prostitute, gente che litigava, e mi capitò di vedere una donna accoltellata. Pensai di dover scappare da lì. Allora dissi a mia madre che non volevo più suonare la musica, che era come aggiungere sofferenza alla sofferenza. Mi rispose, 'Che ti è preso, vuoi che qualcuno ti paghi per la tua anima?'. Non ci avevo pensato, e quando me lo disse, e come se avessi ricevuto un nuovo battesimo. Sua madre aveva le idee molto chiare... Sì, era una donna intelligente. Ho provato da quel giorno stesso a cercare il modo per non sentirmi in colpa nel fare cose che le altre persone non fanno. E ha avuto successo? Non lo so, ma intanto era venuto fuori il bebop, e lo vidi come una via d uscita. È musica strumentale non connessa specificatamente a una scena, che può esistere a prescindere dal luogo. Dovunque suonassi il blues, c erano frotte di persone senza lavoro che non facevano altro che giocarsi i soldi. Allora mi scelsi il bebop, la cosa nuova che stava succedendo a New York, e mi dissi che dovevo andar là. Avevo solo 17 anni. Me ne andai di casa, diretto a sud. Prima di andare a Los Angeles? Sì, avevo i capelli lunghi come i Beatles, era l inizio degli anni Cinquanta. Dunque me ne andai a sud, e tutti provavano a picchiarmi, polizia e gente nera; non gli piacevo. Avevo un look troppo bizzarro per loro. Mi prendevano a pugni e cercavano di rompere il mio sax. Era dura. Inoltre ero con un gruppo che suonava quella che più o meno chiamavamo musica con i fiati da menestrelli e cercavo di fare bebop, stavo anche facendo progressi e avevo trovato ingaggi. Ero a New Orleans, me ne sono andato a visitare una famiglia molto religiosa, e ho cominciato a suonare in una chiesa nera. Quand ero piccolo, suonavo «Non c è musica improvvisata, la maggior parte dei musicisti usa una base da cui partire» sempre e solo in chiesa. Da quando mia madre mi disse quelle parole, ho cercato una musica che potessi suonare senza sentirmi in colpa per aver provato a fare qualcosa. E a tutt oggi non l ho ancora trovata. Quando è arrivato a New York, ancora molto giovane, ha avuto qualche tipo di premonizione su quelle che sarebbero state le sue scoperte musicali, l armolodia, o è successo tutto dopo? No, perché quando sono arrivato a New York mi trattavano più o meno come un tipo del sud che non conosce la musica, che non sa né leggere né scrivere. Non ho mai provato a controbattere. Ho poi deciso che avrei cominciato a sviluppare le mie idee, e senza l aiuto di nessuno. Mi sono affittato il teatro Town Hall, era il 21 dicembre 1962, per 600 dollari, ho ingaggiato un gruppo rhythm n blues, uno classico e un trio. Avevo chiesto a qualcuno di registrare il concerto, ma quel qualcuno s è suicidato, ed è successo che qualcun altro ha registrato il concerto, fondato la sua etichetta con quella registrazione, ed è sparito nel nulla. Tutto ciò mi ha fatto capire, una volta di più, che lo avevo fatto Immagini di Ornette Coleman e di alcuni suoi dischi. Al centro con il The Ornette Coleman Quartet (1961). Da sinistra a destra Don Cherry, Charlie Haden, Ornette Coleman e Ed Blackwell. Qui accanto Jacques Derrida la tecnologia sembra sia in grado di coprire solo l area di senso di 'bianco'. Mi sembra di capire che lei non creda al concetto di globalizzazione, e ritengo sia nel giusto Se consideri la musica, i compositori che sono stati realmente 'inventori' nella cultura occidentale sono forse una mezza dozzina. Lo stesso vale per la tecnologia, gli inventori di cui ho sentito davvero parlare sono indiani di Calcutta e di Bombay. Ci sono un sacco di scienziati indiani e cinesi. Le loro invenzioni sono come delle inversioni di idee di inventori americani o europei, ma la stessa parola 'inventore' ha assunto un connotato di dominazione razziale che è diventato più importante dell invenzione stessa, cosa ben triste, perché è l equivalente di una qualche specie di propaganda. Quello che intendo dire è che le differenze tra uomo e donna o tra le razze sono in relazione alle educazioni e alle credenze. Dal momento che io sono nero e discendente di schiavi, non ho alcuna idea di quale fosse il mio linguaggio d origine. Se fossimo qui a parlare di me (e non è questo il caso) direi che, in modo differente ma analogo, mi succede la stessa cosa. Sono nato in una famiglia di ebrei algerini che parlavano francese, che non era la loro lingua d origine. Ho scritto un piccolo libro su questo argomento, e in un certo senso sono sempre nel processo di parlare in quello che definisco 'il monolinguismo dell Altro'. Non ho contatti di sorta con la lingua d origine o, meglio ancora, con quella dei posto. Poi qualcuno ha cominciato a farmi moltissime domande, e io non riuscivo a rispondere, allora sono andato da uno psichiatra per vedere se riuscivo a rispondere. E quello mi ha prescritto del valium. L ho preso e buttato nella tazza del water. Non sempre mi rendevo conto di dove fossi, così sono andato in una biblioteca e ho fatto ricerche in tutti i libri che ho trovato sul cervello, mi son letto tutto. E i libri dicevano che il cervello in fondo è conversazione. Non dicevano a proposito di cosa, ma mi ha fatto capire che il fatto di pensare e apprendere non dipende solo dal posto dove sei nato. Credo di capire sempre meglio che quello che chiamiamo cervello, nel senso di conoscenza e essere, non è la stessa cosa del cervello che ci fa essere ciò che siamo. Questo è sempre un fatto di convinzione: noi conosciamo noi stessi in base a quanto crediamo. Naturalmente nel suo caso è tragico, ma è un fatto universale: noi crediamo (o supponiamo di credere) che siamo quel che siamo attraverso le storie che ci raccontano. Un fatto rilevante è che abbiamo razzismo non appare mai in tua presenza, è qualcosa di cui senti solo parlare. Ciò non significa che non ci sia razzismo, ma che sia commisurato obbligatoriamente al contesto in cui si trova ad essere. Qual è la strategia alla base della sua scelta musicale per Parigi? Essere un innovatore per me non significa essere più intelligente, più ricco. Non è una parola, è un azione. E dal momento che tale azione non s è ancora prodotta, non ha senso parlarne. Ho capito che lei preferisce il fare al parlare. Ma come si comporta lei con le parole? Qual è la relazione tra la musica che fa e le sue parole, o quelle che le persone cercano di sovrapporre a quello che lei fa? Prendiamo ad esempio il problema di scegliere un titolo, come lo concepisce? Una mia nipote è morta a febbraio di quest anno e sono andato al suo funerale. Quando l ho vista nella bara, ho notato che qualcuno le aveva messo degli occhiali. Lì mi è venuta l idea di chiamare un mio pezzo 'Lei dormiva, morta, nella bara e indossava occhiali'. Poi ho cambiato idea, e quel pezzo l ho chiamato 'Appuntamento al buio'. Vuol dire che quel titolo s è imposto da solo? È che cercavo di capire il fatto che qualcuno avesse messo gli occhiali a una donna morta... avevo una qualche idea di cosa significava, ma è molto difficile capire il modo di concepire la vita femminile, quando tale modo nulla a che fare con quello maschile. per la stessa ragione per cui avevo detto a mia madre che non avrei suonato più lì. Ovviamente la situazione da un punto di vista di tecnologia, a livello finanziario, sociale e perfino di rischio criminale era davvero peggio di quando ero nel sud. Bussavo a porte che rimanevano ostinatamente chiuse. Qual è stato l impatto di suo figlio sul suo lavoro? E ha a che fare con l uso di nuove tecnologie nella sua musica? Da quando Denardo è il mio manager, ho capito finalmente che la tecnologia è semplice, e ne ho compreso il significato. Ha avuto la sensazione che l introduzione della tecnologia abbia portato cambiamenti violenti nel suo progetto, o è stata cosa facile? E, d altra parte, il suo progetto «Civilization» ha che fare con quanto viene definito globalizzazione? C è qualcosa di vero in entrambe le affermazioni, nel senso di poter chiedere a te stesso se siano esistiti 'uomini bianchi primitivi': miei supposti antenati. Non si chiede mai se la lingua in cui parla ora interferisce, condiziona il suo vero pensiero? Un lingua d origine può influenzare i pensieri? È un enigma per me. Non lo so. Credo che qualcosa parli attraverso di me, una lingua che io non capisco, una lingua che a volte cerco di tradurre più o meno facilmente nella 'mia lingua'. Ovviamente io sono un intellettuale francese, insegno in scuole dove si parla francese, ma ho sempre l impressione che qualcosa mi forzi a far qualcosa per la lingua francese Ma lei sa che, per quanto riguarda le mie vicende, negli Stati Uniti esiste l ebonics, che sarebbe l inglese che parlano i neri: che è poi poter usare un espressione che significa qualcosa di diverso rispetto all inglese standard. La comunità nera ha sempre usato un lingua a doppio significato. Quando sono arrivato in California, è stata la prima volta che mi sono trovato in un posto dove un bianco non mi diceva che non potevo sedermi in un certo esattamente la stessa età, siamo nati lo stesso anno. Quando ero giovane, durante la guerra (non sono mai stato in Francia prima dei diciannove anni) vivevo in Algeria, e nel 1940 sono stato espulso da scuola perché ero ebreo, come risultato delle leggi razziali, e non riuscivo neppure a capire cosa stesse succedendo. L ho capito molto tempo dopo, e questo attraverso storie che mi hanno fatto capire chi fossi, per così dire. E perfino per quanto riguarda sua madre, noi sappiamo chi è e che è in un certo modo solo attraverso la narrazione. Ho cercato di capire in quale momento storico lei fosse a New York e a Los Angeles, ed è stato prima che venissero riconosciuti i diritti civili ai neri d America. La prima volta che sono stato negli Stati Uniti, nel 1956, c erano cartelli 'solo per bianchi' ovunque, mi ricordo la brutalità del messaggio. Lei ne ha avuta esperienza diretta? Certo. Sia come sia, quello che mi piace di Parigi è che non puoi essere snob e razzista allo stesso tempo, non funziona. Parigi è l unica città che io conosca dove il Lei ritiene che il suo modo di scrivere musica ha a che fare con il modo in cui si relaziona con le donne? Prima di essere conosciuto come musicista, quando lavoravo in un grande magazzino un giorno, durante la pausa pranzo, sono capitato in una mostra, e lì c era un quadro che aveva dipinto qualcuno che ritraeva una donna bianca e ricca, una di quelle persone che hanno assolutamente tutto nella vita, e aveva l espressione più solitaria che avessi mai visto, in volto. Non mi ero mai imbattuto in una tale solitudine, e quando sono tornato a casa ho scritto il pezzo Lonely Woman (donna solitaria). Ma lei come interpreta o valuta le sue stesse affermazioni? Mi interessa assai di più avere una relazione umana con lei piuttosto che una relazione musicale. Voglio verificare se riesco a esprimermi con le parole, con suoni che hanno a che fare con una relazione umana. Mi piacerebbe anche essere in grado di parlare della relazione tra due talenti, tra due azioni. Per me, la relazione umana è la cosa più bella, perché ti mette in condizione di guadagnarti la libertà che desideri, per te e per l altra persona. *traduzione e cura di Guido Festinese

14 (14) ALIAS di JESSICA DAINESE Cuneo. Nell'inverno a cavallo tra il 1992 e il 1993 i membri di una sconosciuta band rock formatasi qualche anno prima decidono che è arrivato il momento cruciale: o la va o la spacca. Sono tutti «più o meno laureati» (Cristiano Godano, voce e chitarra, in Economia e commercio; Riccardo Tesio, chitarra, in Ingegneria elettronica; Luca Bergia, batteria, in Geologia), è tempo di pensare al futuro. Un ultimo tentativo con la musica e, in caso di insuccesso, l'eventualità di sciogliere il gruppo e trovarsi un «lavoro vero». Il disco, che costituisce la loro ultima chance, ha un successo straordinario. Parliamo di Catartica, uno degli album più suggestivi e significativi di quella stagione così feconda per la musica indie italiana, che in questi giorni compie vent'anni. E loro, che festeggiano anche i venticinque anni di carriera, sono ovviamente i Marlene Kuntz. Per celebrare la ricorrenza la band ha deciso di regalare ai fan vecchi e nuovi un disco, Pansonica, e un tour (in cui suonano le canzoni di Catartica e di Pansonica). Alla faccia della nostalgia... Qualche ora dopo l'intervista, chi scrive è testimone partecipe di un concerto strepitoso, in cui i Marlene suonano i brani vecchi con lo stesso slancio di allora, e la perizia accumulata in un quarto di secolo di carriera. Come vent'anni fa, la chitarra di Godano trasuda come una cavalla sotto il sole messicano. Ma-Ma-Marlene è ancora la migliore! Con Luca, Riccardo e Cristiano ci sediamo al bar dell Hotel Duomo di Rimini per parlare del nuovo tour e non solo. Siete stati attaccati da alcuni vecchi fan per il vostro percorso artistico. Con questo tour credete di aver richiamato a voi i «critichini»? (C.G.) Ieri c'erano delle facce più anziane, qualche nostalgico, mas embravano talmente anziani che non penso fossero dei «critichini». Noi non li cerchiamo (gli ex fan, ndr), c'è tra noi una cordiale e reciproca indifferenza. Le critiche via web che vi sono state mosse nel corso degli anni vi hanno fatto molto male... Ho chiesto ai miei contatti su Facebook cosa avrebbero voluto chiedervi. Mi hanno risposto cose tipo: «se hanno paura di diventare i nuovi Pooh» (risate e commenti ironici, ndr), oppure «quanto siete stati sopravvalutati?». Poi ho letto, così a caso, sul web, critiche come «sbandata commerciale», «sdegno vagamente snob»... (C.G.) Sono stupidi pregiudizi. (L.B.) Non abbiamo voglia di aver a che fare con questa gente. Ma su questo tema avete scritto addirittura un brano, «Ricovero virtuale». Non era meglio lasciar perdere? (C.G.) È che questa gente non mi verrebbe mai a chiedere in faccia se mi sento candidato alla carriera di nuovo Pooh, o se sono uno sdegnoso snob. Me lo chiede su internet, dietro a uno schermo. Quella canzone nasce in questo senso di vago smarrimento al cospetto di una situazione nuova che è il web, con tutta questa canea di gente sciocchina che dietro a degli schermi assume questa dimensione da protagonista. Tant'è che questo comportamento lo stanno cominciando ad analizzare i sociologi. Queste persone nel corso del tempo mi hanno succhiato molte energie. Ma dovreste andare oltre, ignorarle... (C.G.) Io le ignoro volentieri però... Sappiano che il mondo della sinistra in genere non va avanti perché c'è sempre dissidio interno. Se tu vai RITMI Per celebrare la ricorrenza, Cristiano Godano, Luca Bergia e Riccardo Tesio pubblicano «Pansonica» e riprongono dal vivo i brani di «Catartica» si pone i suoi limiti. Io se scrivo «cazzo» o «voglio una figa blu» evidentemente ritengo in quel frangente di non essere volgare, ma di essere funzionale a un mood che sto cercando di estrinsecare. In un contesto artistico per me sono volgari le cose che non sono realmente artistiche e magari pretendono di esserlo. Non è esattamente la parolaccia. INTERVISTA NEL 1994 USCIVA IL PRIMO ALBUM DELLA BAND PIEMONTESE Marlene Kuntz, vent anni tra catarsi e sentimento nei siti delle grandi popstar, nessuno rompe i coglioni alle popstar, sono tutti più uniti. Se io mi disinteressassi di questa cosa, probabilmente lo farei sapendo che comunque il mio pubblico c'è... ma qui si «lotta» per non perdere il pubblico, e il pubblico è spesso fatto di gente che ha soltanto voglia di ostruire, di non costruire un bel nulla. Così facendo, la scena rock italiana è destinata a non crescere mai. Perché hanno «preso di mira» voi? (C.G.) Perché siamo un gruppo figo! (ridono, ndr) Ma che vadano a farsi fottere! Nel sito di Ligabue non c'è gente che ce l'ha con lui. Invece da noi vengono a rompere i coglioni, perché «siamo» quel mondo lì, fatto di gente che distrugge. Ci sono un sacco di musicisti che non vedrebbero l'ora di avere il nostro tipo di riscontro, e non ce la faranno mai perché sono malmostosi. E se ce la fanno, benvenuti nella dimensione delle baraonde. Cosa sarebbe successo se i Marlene si fossero sciolti prima di «Catartica»? Avete mai fantasticato su questo? (C.G.) «Fantasticato» proprio no, sarebbe un incubo. Meglio che sia andata così, con questa bella carriera alla Pooh (risate, ndr). Non posso pensare di fare niente nella mia vita più bello di questo, è il coronamento del mio sogno. Avete da subito scelto di esprimervi nella vostra lingua madre, una scelta per niente scontata all'epoca, e avete funto da modello per molte band formatesi in seguito... (C.G.) Avevo fortunatamente un immaginario più complesso rispetto alle mie chance di tradurlo in inglese. Non ho un buon inglese. (R.T.) È stata una scelta programmatica: il progetto dei Marlene Kuntz era fare rock in italiano, che non fosse però quello che c'era prima. (L.B.) Anche se i Cccp ci piacevano un sacco. Da sempre i testi giocano un ruolo fondamentale nella vostra produzione artistica: da una parte troviamo termini ricercati, anche arcaici; dall'altra «slang giovanile», parolacce, immagini carnali... Cosa è per voi la volgarità? (C.G.) Mah... la volgarità nell'arte credo sia una faccenda molto personale. Siamo tutti contrari all'idea della censura, è l'artista che ON THE ROAD Peter Gabriel Torna in Italia l ex voce dei Genesis, icona del rock inglese, con la riproposizione del tour di So. Torino GIOVEDI' 20 NOVEMBRE (PALAOLIMPICO) Bologna VENERDI' 21 NOVEMBRE (UNIPOL ARENA) St. Vincent La cantautrice statunitense Annie Clark torna in Italia per presentare il suo quarto e omonimo lavoro. In apertura i quotatissimi inglesi Coves. Roma DOMENICA 16 NOVEMBRE (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA) Milano LUNEDI' 17 NOVEMBRE (ALCATRAZ) Gallon Drunk L antitesi del brit pop è racchiusa nel sound di questa band dell underground londinese, superstite degli anni Novanta. Madonna dell'albero (Ra) SABATO 15 NOVEMBRE (BRONSON) Arto Lindsay L'artista, tra i principali esponenti del movimento no wave, è in tour per presentare il suo ulimo lavoro, Encyclopedia of Arto. Savona SABATO 15 NOVEMBRE (RAINDOGS) The Parov Stelar Band La formazione capitanata dal mago Oggi i tuoi testi sembrano più semplici, più sinceri... (C.G.) Non sono sicuro che mi interessi la sincerità. L'arte non ha bisogno di essere sincera. È un esito, un percorso. Dopo vent'anni so cosa fare, e a volte le cose arrivano con un esito più efficace, che sembra più semplice. Ma io a priori non mi pongo mai l'obiettivo della semplicità. A priori so sempre che devo risolvere un problema: come scrivere un buon testo. Una volta erano testi complicati, ermetici... C'è gente che mi dice: perché non scrivi più ermetico? Io gli rispondo: ma io non ho mai voluto essere ermetico. Cosa è per te la donna? (C.G.) Il contraltare maschile, qualcosa che nel bene e nel male controbilancia l'essenza maschile. Ci sono cose fantastiche che hanno a che fare con l'universo femminile, aspetti della sensibilità femminile che colpiscono perché hanno una natura più variegata di quella maschile. Però non mi piace l'idea di celebrare la figura femminile... è una cosa fantastica, ma... Ma i testi delle tue canzoni... «Sua maestà», «Ape Regina», «Creatura incantevole»... (C.G.) Ma c'è anche Donna L, che vorrei si levasse dai coglioni il più in fretta possibile... la odio Donna L... (risate di Luca e Riccado, ndr) Qual è stato il miglior consiglio che vostra madre o vostro padre vi ha mai dato? Qual è il migliore che potete dare ai vostri figli? (L.B.) I miei bimbi sono piccolissimi. Più che consigli in questo momento sto cercando di capire come padre da cosa sono attratti, le loro passioni. Ad esempio, mio figlio Tommaso ama dipingere, disegnare. Sto cercando di assecondarli in questo. (R.T.) Mia figlia è ancora troppo piccola. Però sicuramente le direi di non aver paura. Credo che la generazione di oggi avrà più difficoltà rispetto alla nostra, e quindi le direi di non aver paura. Io da adolescente ero molto timoroso, timido... Mi dicevo: ma finita l'università dovrò trovarmi un lavoro, come faccio a «meritarmi» dei soldi? Non mi sentivo all'altezza. (C.G.) Sta diventando un'intervista veramente commovente (ride, ndr) (L.B.) Neanche Marzullo... (ride, ndr) (C.G.) Sei riuscita a squarciare dei veli... dell'electro swing austriaco. mescolano anni Quaranta e ritmi dance. Padova VENERDI' 21 NOVEMBRE (GRAN TEATRO GEOX) Roma SABATO 22 NOVEMBRE (ATLANTICO LIVE) The Proper Ornaments Indie rock dalle reminiscenze Seventies per la band londinese. Firenze SABATO 15 NOVEMBRE (TENDER) Osimo (An) DOMENICA 16 NOVEMBRE (FUN HOUSE) Torino MARTEDI' 18 NOVEMBRE (ASTORIA) Stiff Little Fingers Una delle mitiche band del punk inglese. Mezzago (Mb) VENERDI' 21 NOVEMBRE (BLOOM) Bologna SABATO 22 NOVEMBRE (COVO) Wildbirds & Peacedrums Un ibrido di pop spirituale, blues primordiale e musica soul estatica per il duo svedese. Milano MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (BIKO) Olof Arnalds La cantante e autrice islandese dal vivo. Bologna VENERDI' 21 NOVEMBRE (COVO) Settimo Torinese (To) SABATO 22 NOVEMBRE (LA SUONERIA)

15 ALIAS (15) ULTRASUONATI DA STEFANO CRIPPA VIOLA DE SOTO GIANLUCA DIANA GUIDO FESTINESE GUIDO MICHELONE ROBERTO PECIOLA ETICHETTE Ecm, note gelide dalla Scandinavia Nuove uscite in casa Ecm, nuove uscite dal grande Nord scandinavo in cui, al solito, è dato cogliere anche interessanti situazioni sonore ai bordi del jazz, in rotta di allontanamento per andare a congiungersi con altre musiche. Il pianista, compositore e direttore d'orchestra norvegese Ketil Bjørnstad firma con A Passion for John Donne il suo lavoro forse più lirico ed emotivamente coinvolgente: un coro a cantare le liriche sublimi, il sassofono «surmaniano» di Hakon Kornstad, il pianoforte di Ketil Bjørnstad, le percussioni leggere di Birger Mistereggen. Algide atmosfere, a volte quasi apocalittiche e marziali, o estenuate in languori da aurora boreale in Lunem Drones, in cui interagiscono i violini tradizionali nordici di Nils Økland, le chitarre di Per Steinar Lie, la batteria di Ørian Haaland. Un buon punto di congiunzione tra jazz nordico di ricerca, ambient ed elettronica invece in Outland, nuovo lavoro dei veterani Jøkleba: tromba, piano, percussioni, voci-strumento, e massicce dosi di sonorità sintetiche a increspare il tutto: decisamente affascinante. (Guido Festinese) The Experimental Tropic Blues Band La follia della band belga, tra esperimenti pop e post punk malato, dal vivo nel nostro paese. Trento MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (L'ANGOLO DEI 33) L'Aquila GIOVEDI' 2O NOVEMBRE (IRISH CAFE') Roma VENERDI' 21 NOVEMBRE (WISHLIST) Rimini SABATO 22 NOVEMBRE (CASA SULL'ALBERO) The Musical Box Il nome della band prende spunto da un brano storico dei Genesis. Ripropongono con costumi, luci e scaletta originali di quegli anni. Qui ripresentano il tour di Selling England by the Pound. Roma DOMENICA 16 NOVEMBRE (AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA) Genova MARTEDI' 18 NOVEMBRE (TEATRO POLITEAMA GENOVESE) Firenze MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (OBIHALL) Glass Animals La band indie pop di Oxford, per una sola data. Segrate (Mi) SABATO 15 NOVEMBRE (MAGNOLIA) Twin Atlantic Una data per la rock band scozzese. Assago (Mi) VENERDI' 21 NOVEMBRE (LIVE FORUM) KING AYISOBA WICKED LEADERS (Makkum Records) Il cantastorie ghanese, «poeta» in tre lingue (inglese, frafra e twi) con un quartetto etnico, in 10 brani affronta temi politici, descrivendo popoli affamati, diritti umani, elezioni farsa, ricchezze esagerate, ma anche rispetto per gli animali, valore dell'amicizia e, nel finale, un inno alla pace. Il sound modernamente arcano è lirico, rabbioso, entusiastico, ponendosi, nella world music, all incrocio fra antiche tradizioni locali e un nuovo afrobeat risolto con strumenti acustici. (g.mic.) THE BUDOS BAND BURNT OFFERING (Daptone/Goodfellas) Come un vino che invecchia, un disco dopo l'altro il combo arriva migliorando al quarto capitolo della propria saga. Jazz funk marcatamente intriso di un feeling Seventies. Dieci composizioni una meglio dell'altra in cui il chitarrista Tom Brennack assieme ai suoi sodali, mescola sapientemente il battito afrobeat con chitarre quasi doom. Magus Mountains è figlia di Morricone, The Sticks dei poliziotteschi di genere. Il resto? Scopritelo! (g.di.) DOMENICO CALIRI CAMERA LIRICA (Caligola Records) Il miglior disco italiano «jazz» dell'anno? Forse. A condizione di essere d'accordo con il disturbante e geniale detto di Frank Zappa, secondo il quale «il jazz non è morto, è solo che ha un buffo odore». Dunque, si tratta di rimestare per bene la miscela: Caliri qui alla guida di una piccola orchestra si inventa una musica obliqua e imprevedibile, con l'ombra del Maestro baffuto, spezie stravinskiane, echi di Carla Bley, schegge di nobile art rock continentale. (g.fe.) THE FLAMING LIPS WITH A LITTLE HELP FROM MY FWENDS (Bella Union/Pias-Coop/Self) Dopo The Dark Side of the Moon è l'ora di un'altra pietra miliare del rock rivisitata dai Flaming Lips: Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. Il capolavoro beatlesiano destrutturato e riassemblato dalla band con l'aiuto di alcuni «fwends»: My Morning Jacket, Miley Cyrus, Dr. Dog, Moby e Maynard J. Keenan tra questi. Se alcune cose sembrano tirate un po' troppo per i capelli (Sgt. Pepper's..., With a Little Help...) o non particolarmente «alternative» (Lucy in the Sky), in altre hanno centrato la giusta idea (Fixing a Hole, Being for the Benefit for Mr. Kite!,la dub version di A Day in the Life). Ma in definitiva fare meglio dell'originale è impossibile. (r.pe.) Lamb Ritorna il duo mancuniano, tra drum n bass, trip hop e pop. In apertura The Ramona Flowers. Roncade (Tv) LUNEDI' 17 NOVEMBRE (NEW AGE) Roma MARTEDI' 18 NOVEMBRE (CIRCOLO DEGLI ARTISTI) Milano MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (MAGAZZINI GENERALI) Skip&Die Electro, dance, hip hop per la band sudafricana-olandese. Colle Val d'elsa (Si) SABATO 15 NOVEMBRE (SONAR) Counting Crows Torna la band di Mr. Jones. Padova SABATO 22 NOVEMBRE (GRAN TEATRO GEOX) Hardcore Superstar Il metal estremo della band svedese. Livorno MARTEDI' 18 NOVEMBRE (TEATRO MASCAGNI) Padova MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (GEOXINO) Romagnano Sesia (No) VENERDI' 21 NOVEMBRE (ROCK'N'ROLL ARENA) Pinarella di Cervia (Ra) SABATO 22 NOVEMBRE (ROCK PLANET) Machine Head La band metal guidata da Robb Flynn. Milano MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (ALCATRAZ) ROCK Quel punto di non ritorno Che siano stati una fonte di ispirazione per Kurt Cobain è risaputo. Che si siano sciolti appena al debutto (era il 1989) anche. Parliamo dei The Vaselines, e nello specifico di V for Vaselines (Rosary Music/Audioglobe), terzo lavoro per il duo di Glasgow. Suonano ancora oggi pop con uno spirito punk addolcito e un suono lo-fi non più così «lo», sempre alla ricerca della giusta frase melodica. Per chi si accontenta. Ne avevamo perso traccia circa 35 anni fa, ai tempi del tormentone, Whatever You Want, per chi scrive, tra i più insulsi della storia. Ma gli Status Quo non hanno mai smesso di suonare il loro r'n'r con note blues, di una banalità disarmante. Ora ecco Aquostic (Stripped Bare) (PledgeMusic): 21 brani risuonati in acustico. Se volete farvi un'idea, prego, altrimenti passate la mano... che è meglio. Riappare anche un altro personaggio noto negli anni Ottanta, Ali Campbell, che con i suoi UB40 portava avanti la scena reggae bianca in Inghilterra. In compagnia degli altri ex Astro e Mickey, pubblica Silhouette (Cooking Vinyl/Edel), tra nuovi brani e cover in versione reggae. Ne sentivamo la mancanza? Personalmente no... (Roberto Peciola) POLAR FOR THE MASSES #UNAGIORNATADIMERDA (Tirreno Dischi) Per il loro secondo disco in italiano, optano per un uscita esclusivamente in vinile. Il titolo del lavoro, #UnaGiornataDiMerda, denso di attitudine punk, massicciamente rock, pieno di invettiva sociale e autoironia, è un assalto frontale che ripropone la formula cara alla band; sembra musica elettronica, ma è tutto suonato a duecento all'ora. Punk dei nostri tempi spazzati dalla tecnologia e dalle crisi di sistema. (v.d.s.) Combichrist La band norvegese unisce il metal con la techno e l'electro. In apertura William Control. Mezzago (Mb) GIOVEDI' 20 NOVEMBRE (BLOOM) Roma VENERDI' 21 NOVEMBRE (BLACKOUT) Madball Dal vivo il gruppo metalcore di New York. Milano GIOVEDI' 20 NOVEMBRE (LEGEND) Slash Il chitarrista dei Guns 'n Roses con Myles Kennedy and The Conspirators. Torino DOMENICA 16 NOVEMBRE (PALAOLIMPICO) Firenze LUNEDI' 17 NOVEMBRE (MANDELA FORUM) Paolo Benvegnù L'ex leader degli Scisma con la band che porta il suo nome di nuovo live per presentare il nuovo album, Earth Hotel. Pescara SABATO 15 NOVEMBRE (TIPOGRAFIA) Segrate (Mi) GIOVEDI' 20 NOVEMBRE (MAGNOLIA) Modena VENERDI' 21 NOVEMBRE (OFF) Vigonovo (Ve) SABATO 22 NOVEMBRE (STUDIO 2) Marlene Kuntz Torna dal vivo la rock band di Cuneo, BLUES Liguria chiama New Orleans C'è fermento nella penisola e non è una novità. Da Nord a Sud fioccano interessanti produzioni sonore. Partiamo dalla Liguria con il pianista Henry Carpaneto. Tanta esperienza la sua che confluisce in Voodoo Boogie (Orange Home), disco dove si sente al 100% l'amore per il piano suonato in stile New Orleans. 12 brani in cui conta il feeling: Drinking & Thinking e One Room gli apici. Le altre due novità vengono ambedue dalle terre pugliesi. Martino Palmisano & Complanare Blues Band sono un trio composto da Corrado Lucherini e Max Pieri (già Warm Gun). Il loro The Last Train for the Last Clown (Autoprodotto), è Delta blues non derivativo e fatto di gusto. Coraggiosa la scelta di cantare anche in dialetto: segnaliamo Blues for Mama e Black Bloc. Chiudiamo con il rientro dei Dirty Trainload in A Place for Loitering (Side 4 Records) che aumentano ancora più il volume rispetto ai precedenti lavori. Un robusto rock blues quasi cinematografico che sembra inciso appositamente per il venerdì e sabato notte: il meglio in Tractors Downtown e I'm Working on it.(gianluca Diana) MARINA REI PAREIDOLIA (Universal) La pareidolia - dizionario alla mano - è «il vedere o sentire qualcosa anche dove quel qualcosa non c'è». Marina Rei ci ha costruito il nuovo album dai suoni molto rock ma che si riserva anche parentesi più quiete. 10 composizioni ex novo e un omaggio ai Cccp con una bella versione di Annarella. Produce Giulio Ragno Favero, già al lavoro con One Dimensional Man e Il Teatro Degli Orrori, che con lei firma gran parte dei pezzi. (s.cr.) A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI SEGNALAZIONI: rpeciola@ilmanifesto.it EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ che ha appena pubblicato il nuovo Pansonica, in occasione del ventennale del loro album d'esordio, Catartica. Perugia SABATO 15 NOVEMBRE (AFTERLIFE) Roma GIOVEDI' 20 NOVEMBRE (CIRCOLO DEGLI ARTISTI) Bari VENERDI' 21 NOVEMBRE (DEMODE') Firenze SABATO 22 NOVEMBRE (FLOG) Giardini di Mirò La post rock band reggiana torna dal vivo con il nuovo album Rapsodia satanica, sonorizzazione dell'omonimo film muto del 1917 di Nino Oxilia. Verona SABATO 22 NOVEMBRE (INTERZONA) Pierpaolo Capovilla Il leader e vocalist de Il Teatro degli Orrori sul palco per presentare il suo album solista, Obtorto collo. Livorno SABATO 15 NOVEMBRE (THE CAGE) Brescia SABATO 22 NOVEMBRE (LATTERIA MOLLOY)...A Toys Orchestra Indie-rock, post-punk e ballate pop per il gruppo campano. Legnano (Mi) VENERDI' 21 NOVEMBRE (CIRCOLONE) Colle Val d'elsa (Si) SABATO 22 NOVEMBRE (SONAR) RomaEuropa Festival Ventinovesima edizione del festival INDIE ITALIA Se il post core diventa Ruggine Nove brani che rievocano i primi anni Novanta, i Massimo Volume (per i testi: intimi, declamati con rabbia o sofferenza), i Don Caballero (per le travolgenti sonorità math rock/post hardcore). Sono quelli di Iceberg (V4V/ Canalese Noise/ Escape from Today/ Sangue Dischi/Vollmer), secondo album dei piemontesi Ruggine. Un disco brillante, con un unico, piccolo, «difetto»: i brani per lo più ricalcano la stessa formula, eccetto l'ultimo, il dilatato Cds. Particolarmente suggestiva Pin-Up. Post core (ancora più brutale) e testi recitati (ma meno convincenti) anche per Muffa (From Scratch Records/Audioglobe), secondo lavoro del duo Asino. Un po' grezzo ma poderoso. I Valerian Swing con Aurora (To Lose La Track) ci conducono invece in un viaggio interplanetario in cui le loro mille influenze sgorgano come fiammeggianti aurore polari dalla granitica e compatta base post rock (quasi interamente strumentale). L'ottimo gusto per le melodie e l'indubbia bravura del trio di Correggio fanno di Aurora un disco da avere. (Jessica Dainese) DUSTIN WONG & TAKAKO MINEKAWA SAVAGE IMAGINATIONS (Thrill Jockey) Il folle duo di experimental pop aggiunge solidità e consapevolezza al primo disco. Musica digitale, ironia rumoristica piegata con gusto e raffinato dinamismo al volere dei due. She He See Feel sembra un remix elettronico della lounge Sixties, Pale Tone Wifi è japan pop leggiadro e quasi psych e i tre momenti di Dimension Dive riassumono i viaggi tra videogame e talento di Wong & Minekawa. (g.di.) che propone Lucia Rochetti, Readymade Ensemble e Ermanno Cavazzoni (oggi), sempre stasera, in collaborazione con «Sensoralia», il progetto Midnight Sun con Abdullah Rashim, Acronym e Varg, e ancora il 21 Alessandra Cristiani + Ars Ludi + Michelangelo Lupone e il 22 Tempo Reale + David Moss. Rona SABATO 15, VENERDI' 21 E SABATO 22 NOVEMBRE (VILLA MEDICI, CS BRANCALEONE, LA PELANDA) TrentinoinJazz Per la rassegna il trio chitarristitico Schwingungen 77 Entertainment. Trento MERCOLEDI' 19 NOVEMBRE (SALA FONDAZIONE CARITRO) Bologna Jazz Festival La nona edizione della rassegna che si dipana tra Bologna e Ferrara, nell'ultima settimana propone l'abercrombie-versace-nussbaum Organ Trio (il 15 a Ferrara, Torrione Jazz Club, e il 16 a Bologna, Cantina Bentivoglio), Barron-Holland Duo (il 17, Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara), George Cables Quartet (18 e 19, Cantina Bentivoglio di Bologna; 21, Torrione Jazz Club di Ferrara), Medeski-Scofield-Martin & Wood (il 20, Teatro Duse di Bologna), The Swallow Quintet (il 22, Unipol Auditorium di Bologna). Bologna e Ferrara DA SABATO 15 A SABATO 22 NOVEMBRE (VARIE SEDI) LE PALLINE DEL SOUL Questo è un disco, con una coerenza, una pienezza e un'attenzione ai suoni e al testo che riconciliano con l'idea di album in sé. In No Hard Feelings (Acid Jazz AJXCD 344; 204), debutto dei New Street Adventure, non si scarta nulla. Le ballate più soffici - Keep It Burning o No Hard Feelings - si alternano in maniera magistrale all'irruenza «white soul» dei pezzi più movimentati - Lucky Lady, She's an Attraction, Be Somebody. Il merito è anche e soprattutto di Nick Corbin, cantante, chitarrista, con una voce piena di cockney e un flirt costante con i mondi di Paul Weller. La band - legata non a caso all'etichetta Acid Jazz - asperge qui e là stille di Curtis Mayfield o Bobby Womack che vanno a perdersi nelle rielaborazioni soul/beat che negli anni hanno caratterizzano Oasis, Paul Weller e tanti altri. Tanto per rendere l'idea qui c'è odore di Style Council ovunque ma siamo un passo oltre la raffinatezza formale del duo, piuttosto entriamo nei territori mod e northern soul tornati di grande attualità proprio con il recente film Northern Soul. Determinanti i cori, i fiati e quelle aperture inattese che caratterizzano i pezzi più ritmicamente sostenuti. E poi i testi, ironici e «melensi» il giusto: nonostante le miei imperfezioni so quando ha bisogno di me (da She s an Attraction). Ma chi lo direbbe mai in un pezzo? Splendido. Ideale compagno di questo disco è la doppia raccolta She's My Girl! He's My Boy (Fantastic Voyage FVDD 206/Goodfellas; 2014) dal titolo già di per sé emblematico e con il sottotitolo ancora più chiaro: «The boys sing about the girls, the girls sing about the boys». Dentro figurano: Bobby Darin, Etta James, LaVern Baker, The Crickets, Eddie Cochran, The Shirells e tanti altri. Sull'eterno dilemma cosmico - mi ama o no? - si sprigionano gli immaginari più fecondi e le dediche più note del rock'n'roll: a Sue, Donna, Jamie, Joey, Peggy, Brenda, Jerry ecc. Cioè la stessa «anima» declinata in modi diversi. Imperdibile. Occhio all'electro swing travolgente di Microswing Show (ChinChin rec. DC 3054; 2014) dei Pep's Show Boys, ep del duo spagnolo che si cimenta - tra gli altri brani - con un remix travolgente di Cuban Pete di Louis Armstrong (è il pezzo che Jim Carrey eseguiva in The Mask). Sala giochi: occhio a questa parata di rocker ipnotizzati dal flipper; ci sono i Ramones con birre in mano, Dylan e Elvis concentratissimi, Springsteen, Gene Vincent e Joe Strummer. E poi Blondie, Michael Jackson, Tina Turner. E anche uno spezzone video di Keith Moon (The Who) che racconta da vero maniaco il suo amore erotico per le palline! Imperdibile. Si vede qui: ntage_photos_of_rockers_punks_and_p op_stars_playing_pinball

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