DONNE E LAVORO idee e proposte per sostenere l occupazione femminile

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1 idee e proposte per sostenere l occupazione femminile

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3 idee e proposte per sostenere l occupazione femminile SOMMARIO PRESENTAZIONE di Vittoria Franco ed Enrico Letta INTRODUZIONE Donne al lavoro, per crescere bene di Vittoria Franco RELAZIONI Qualità del lavoro delle donne e sviluppo dell occupazione italiana di Giovanna Altieri Tra tutele e mercato: effetti della promozione del lavoro femminile di Roberta Bortone INTERVENTI Conciliazione, fisco, parità salariale: dal PD la vera rivoluzione di Alessia Mosca Occupazione femminile: buone pratiche europee e proposte italiane sulle pari opportunità di Tiziano Treu CONCLUSIONI Merito e metodo per una priorità del Paese di Enrico Letta APPENDICE Scheda riassuntiva delle proposte del PD

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5 3 Presentazione Il seminario Il lavoro femminile. L asso dello sviluppo e della modernizzazione del Paese. Un confronto con le categorie sociali, economiche, dell associazionismo si è svolto a Roma lo scorso 15 luglio. A pochi giorni dall incontro abbiamo pensato di raccogliere alcune delle idee e degli spunti emersi, affinché la discussione possa continuare all interno del Partito Democratico e della società italiana. Nel corso del convegno abbiamo ascoltato molte voci: esponenti di associazioni di categoria, sindacati, rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali, e del mondo accademico e della ricerca. Adesso vorremmo che il dibattito si allargasse ulteriormente: sui territori, in occasione delle feste estive del Partito, nelle riunioni di associazioni e movimenti legati al PD. Ci auguriamo, inoltre, che questa esperienza possa avviare un innovativo metodo di lavoro, basato sull ascolto, l approfondimento dei contenuti, la condivisione delle idee e delle conoscenze. Per noi l occupazione femminile costituisce una priorità. E come tale richiede un impegno, cognitivo e pratico, da parte della classe dirigente politica e dell intero Paese. Una priorità, dunque. Meglio: un urgenza, che implica un cambiamento di visione, quasi un capovolgimento, per iniziare a considerare le donne come una marcia in più del sistema economico e sociale. Politiche per il lavoro, promozione dell impresa femminile, conciliazione: sono la base di un dibattito che non deve valere solo per gli addetti ai lavori. Le misure contenute nella proposta di legge del PD, presentata al convegno e volta proprio a sostenere e a promuovere l occupazione femminile, rappresentano un buon punto di partenza per la valorizzazione delle donne e lo sviluppo delle loro potenzialità: forti incentivi fiscali per le aziende che le assumono, sostegno alla flessibilità oraria e al part time, obbligo, per tutte le amministrazioni pubbliche, della presenza di donne nei CDA, in misura non inferiore a un terzo. Tutti tasselli di un disegno complessivo fondato su un assunto imprescindibile: non si può più incappare nell errore di considerare la questione femminile un tema puramente di genere. La portata della questione è ben più alta. In gioco ci sono le opportunità di sviluppo e di modernizzazione dell intero Paese, l attivazione di nuove competenze, la creazione stessa di nuovi ambiti occupazionali. Solo mettendo in campo sistemi innovativi, modi differenti e non indifferenti di intendere l occupazione femminile, possiamo dare una spinta decisiva verso le pari opportunità. Opportunità reali, opportunità concrete. Vittoria Franco Ministro ombra PD per le Pari Opportunità Enrico Letta Ministro ombra PD per il Welfare

6 4 Donne al lavoro, per crescere bene Si sa ancora che una donna su cinque è costretta a lasciare il lavoro quando nasce il primo figlio. È un indice di significativa arretratezza del nostro Paese rispetto agli standard europei, del nostro scarso contributo alla costruzione della società e dell economia della conoscenza e al superamento delle discriminazioni di genere. È una fotografia impietosa della realtà che ci restituisce una condizione di profondo gap di genere, tanto più ingiusto e indice di miopia politidi Vittoria Franco* introduzione Oggi diamo il via a una campagna di sensibilizzazione, di confronto e di proposta sull occupazione femminile. Lo facciamo a partire da una bozza di disegno di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione in questo primo incontro con le associazioni, con le categorie sociali ed economiche: il primo di una lunga serie di iniziative che si svolgeranno in tutte le regioni, nelle città, nelle province nei prossimi mesi. È nostra intenzione farne, al termine di questa fase, un ddl di iniziativa popolare, sul quale raccogliere firme. Non è facile bucare l agenda del governo e di una buona parte della politica quando si parla di occupazione femminile. Ma per noi, per il Partito Democratico, invece, si tratta di una questione dirimente e aspiriamo a farla diventare centrale nella nostra proposta per il governo del Paese. Nell ottica che ci guida nell elaborazione delle politiche cioè la crescita e la modernizzazione del Paese non possiamo eludere il problema della promozione del lavoro femminile, dalla quale dipendono molte delle possibilità di crescita, di sviluppo, di competitività dell Italia. Ce lo dicono molti degli indicatori economici, lo ripete spesso il governatore della Banca d Italia, Draghi, lo confermano le esperienze di altri Paese europei e non. Non citerò statistiche in questa mia breve introduzione ai lavori (lo faranno probabilmente le nostre relatrici), ma non posso non ricordare i dati sconfortanti da cui partiamo, dati che sono stati confermati pochi giorni fa dal Rapporto OCSE, che ci assegna la maglia nera per il lavoro femminile. Col 46% di donne impiegate, siamo 11 punti sotto la media europea con differenze rilevanti tra il Sud, il Centro e il Nord. Al Sud le donne occupate sono il 31% e spesso smettono di cercare lavoro perché disperano di trovarlo. Secondo l Agenda di Lisbona, dovremmo arrivare al 60% entro il Nella fascia di età più attiva (25-54 anni) il tasso di occupazione femminile è del 59,6%, il terzo peggiore dei Paesi OCSE (Messico e Turchia dopo di noi). L Italia brilla inoltre anche per una rilevante discriminazione salariale: nel 2005, infatti, il 15% delle italiane occupate tra i 25 e i 54 anni aveva un contratto a tempo determinato (i maschi erano il 9%) e per di più in quella stessa fascia di età, le donne con impiego a tempo pieno guadagnano in media il 18% meno degli uomini e, nel caso delle donne con diploma universitario, addirittura il 22% meno.

7 5 ca quanto più cresce il livello di scolarizzazione, di conoscenza, di sapere delle donne. Anche questo nuovo fenomeno è ormai sotto gli occhi di tutti. Le donne si distinguono per le loro capacità di superare i loro colleghi maschi in rendimento scolastico, prendono voti più alti a scuola, si laureano in maggior numero, crescono le iscrizioni anche in facoltà tradizionalmente maschili come ingegneria o altri indirizzi scientifici, hanno notevolmente ampliato la loro competenza nelle tecnologie informatiche e comunicative. Hanno realizzato quella che è stata chiamata una trasformazione silenziosa del loro essere e del loro ruolo. Restano però indietro sul mercato del lavoro. Hanno spesso occupazioni sottoqualificate, meno pagate o precarie, hanno difficoltà a raggiungere posizioni apicali nelle carriere (sono solo il 3, 4 %!) e percepiscono di conseguenza pensioni più basse. Sono pochissime le donne che raggiungono i più alti livelli decisionali. La domanda alla quale una politica lungimirante non può sottrarsi è: un Paese che punta sulla crescita e sulla modernizzazione può fare a meno di queste competenze, di questi saperi, dei talenti femminili? La domanda per noi è retorica e la risposta è NO. E allora: che fare? Quali politiche e quali misure di incentivazione e di promozione mettere in atto non solo a livello nazionale, ma anche regionale? Noi vogliamo cominciare a rispondere con le nostre proposte; quelle contenute nel documento che sottoponiamo al vostro contributo costituiscono un primo pacchetto. Sono proposte non esaustive, sicuramente da migliorare e da arricchire nel percorso che ci siamo dati. Sappiamo però anche che per dare risposte compiute occorre qualcosa di più: occorre dare forza e gambe a una nuova cultura politica, la cultura di una maggiore eguaglianza fra i generi, di una società che non solo non rifiuta, ma promuove il contributo delle donne alla costruzione del benessere sociale e delle istituzioni della democrazia. È ora di estendere anche al genere femminile la piena attuazione all articolo 4 della Costituzione quando recita: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. C è insomma ancora molto da fare per affermare l eguale diritto al lavoro per uomini e donne. In altri Paesi negli anni recenti si è diffuso un bisogno di innovazione in quest ambito, riassunto nel termine womenomics, l economia delle donne. Si intende indicare il circolo virtuoso che si crea fra occupazione femminile, consumi

8 6 Donne al lavoro, per crescere bene e investimenti e che produce una crescita del PIL. Le esperienze di altri Paesi dimostrano, infatti, che più occupazione femminile porta maggiore serenità nelle famiglie, le quali diventano meno vulnerabili ed esposte al rischio povertà; significa più nascite, maggiori investimenti in servizi perché crescono domanda e bisogno, diminuzione del numero di bambini che vivono in povertà. Ma significa anche, e non lo si può trascurare, riconoscimento del crescente desiderio di protagonismo e di affermazione personale delle donne, specialmente fra le più giovani, che desiderano tenere insieme maternità, lavoro e carriera, vogliono essere giudicate in base al merito e avere eguali opportunità, si tratti della ricerca, della libera professione, dell imprenditoria o del pubblico impiego. Donne più istruite e più colte dei loro coetanei maschi non possono continuare a restare indietro nel mercato del lavoro e nella carriera e a essere mortificate nelle loro capacità. Forse pari opportunità fra uomini e donne dovrebbe cominciare a significare anche pari aspirazioni e pari possibilità di realizzare i propri progetti di vita. Tanto più se è l intero sistema economico e sociale che non può continuare a privarsi dei loro talenti e del loro sapere, pena il blocco della crescita e dello sviluppo generale. Non è solo una questione, sia pure importante, di giustizia di genere, dunque, ma anche di una necessità per la crescita del Paese, se è vero come ormai tutti gli osservatori economici indicano che con la crescita dell occupazione femminile cresce il PIL. Il governo Prodi aveva aperto la strada a provvedimenti importanti previsti nelle 2 leggi finanziarie per il 2007 e il 2008, che riguardavano sia la promozione del lavoro femminile con incentivi alle imprese che promuovono le donne a partire da quelle del Sud e delle aree svantaggiate, sia la conciliazione. Ricordo solo la parziale revisione della legge sui congedi parentali e il forte investimento in un piano decennale di asili nido. Nei primi atti della destra possiamo per ora registrare soltanto arretramenti, come: - la cancellazione della legge 188/2007 per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco (che riguarda soprattutto donne e giovani); - maggiore precarizzazione del lavoro; - nessun incentivo fiscale; niente sull imprenditoria femminile; - niente sulla conciliazione; - penalizzazione del lavoro femminile con la detassazione degli straordinari (di cui è facile prevedere che si avvantaggeranno soprattutto gli uomini). Il problema della promozione dell occupazione femminile per la destra non esiste. Per costruire la nostra proposta siamo partiti da ciò che ostacola il lavoro femminile sia dal punto di vista dei datori di lavoro che per condizione oggettiva del nostro sistema di welfare.

9 7 La difficoltà maggiore riguarda la conciliazione fra maternità e lavoro, la difficoltà di conciliare cura familiare, occupazione esterna alla sfera domestica e carriera. In altri termini, gli ostacoli principali si chiamano maternità e tempo. Il tempo di cura ricade all 80% circa sulle donne, anche quando hanno un lavoro esterno alla sfera domestica: sono 5 ore e 20 minuti al giorno dedicati al lavoro familiare rispetto a 1 ora e 35 minuti degli uomini. Spesso è un carico di responsabilità tale da deprimere la loro presenza nel mercato del lavoro, in termini sia quantitativi che qualitativi. Che sia urgente mettere in atto misure efficaci di conciliazione lo dimostra un altra realtà. Non è più vero che le donne che stanno a casa fanno più figli. Donne a casa culle vuote (Maurizio Ferrera). Per sbloccare l impasse demografico, bisogna invece dare impulso al lavoro delle donne. Occorrono servizi educativi e servizi sociali, vantaggi fiscali per le imprese e per le madri lavoratrici, misure per un part time non penalizzante per la carriera, misure per favorire il rientro nel mercato del lavoro delle donne che si sono assentate per maternità o per dedicarsi al lavoro di cura. Occorre adeguare la legge 53/2000 sui congedi parentali per renderne più conveniente la fruizione anche da parte dei padri. Secondo i dati: solo il 7% dei padri ha usufruito di congedo parentale entro i primi due anni di vita del bambino. Noi vogliamo sottolineare che esistono due bisogni che vanno considerati distintamente: 1. la conciliazione fra maternità e lavoro; 2. la conciliazione fra lavoro e cura familiare. La prima riguarda la donna, la seconda riguarda entrambi i genitori o partner e riguarda un concetto più ampio: quello della condivisione del lavoro di cura. Occorre agire su entrambi per creare un circolo virtuoso fra servizi e occupazione femminile. Occorrono poi patti con le imprese, sostegni efficaci all imprenditoria femminile per il consolidamento di imprese femminili, agevolazioni nell accesso al credito e nel rapporto con le banche. Negli ultimi anni si è manifestata un importante tendenza delle donne al lavoro autonomo e si è registrata una significativa crescita dell imprenditoria femminile a dimostrazione del fatto che le donne vogliono scommettere su se stesse. Noi vogliamo dare loro strumenti efficaci per promuovere la loro autonomia e far crescere l Italia. Come sostiene Maurizio Ferrera nel suo Il fattore D: Senza le donne, l Italia non può tornare a crescere, soprattutto a crescere bene. * Vittoria Franco, senatrice, è ministro ombra per le Pari Opportunità del PD.

10 8 Qualità del lavoro delle donne e sviluppo dell occupazione italiana di Giovanna Altieri* relazioni Questo mio intervento non sarà strutturato come una vera e propria relazione. Sono interessata, piuttosto, a riflettere su alcuni dei temi affrontati in apertura e soprattutto sui contenuti della proposta di legge che oggi discutiamo. Vorrei partire dai dati. Anche i pochi che sono già stati citati ci danno la misura del fatto che in Italia, in tema di lavoro, esiste una questione femminile. C è anzitutto una problematica che riguarda la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Negli ultimi anni effettivamente si è registrato un lento e graduale processo di crescita della partecipazione. Tuttavia, essa si attesta ancora in media sul 51%, con una presenza femminile nell occupazione che rimane al 39%. È un problema generale, dunque, non solo una questione di genere, come ormai anche l OCSE puntualmente ci ricorda, collocandoci in posizioni di totale retroguardia nelle graduatorie internazionali. In estrema sintesi, l occupazione femminile in Italia è depressa. Certo, come dicevo, essa è cresciuta negli ultimi anni, articolandosi però in due direzioni specifiche. Direzioni che devono essere comprese e affrontate in termini di priorità nelle proposte che si vogliono avanzare. In primo luogo, la dinamica occupazionale è stata caratterizzata da una rilevante presenza femminile. In altri termini, l occupazione aggiuntiva che si è creata è stata largamente a vantaggio delle donne. Una componente significativa di questa si è espressa, tuttavia, attraverso il ricorso al part time. Quest ultimo ha ormai raggiunto il 27% del livello complessivo dell occupazione femminile. Se osserviamo l andamento delle singole componenti riscontriamo poi che, nella classe di età dai 30 ai 44 anni, ormai i rapporti di lavoro part time pesano addirittura per il 30,6% dell occupazione femminile. Io stessa ho effettuato una serie di elaborazione sui dati Istat, isolando la componente delle donne con figli entro i 15 anni e verificato che, nelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, l occupazione delle donne è part time nel 49% dei casi. Ciò significa che nel nostro sistema, almeno nella metà dei casi, la sostenibilità del lavoro della donna è possibile solo attraverso il lavoro a tempo parziale. Ma c è di più: all interno di quel 30% di donne adulte impiegate part time almeno il 10% quindi una su tre lavora in una situazione di cosiddetto part time involontario. Queste donne, in sostanza, vorrebbero lavorare di più, ma fanno fatica a trovare un occupazione in linea con gli impegni orari che sarebbero disposte a offrire. Quindi, nel nostro Paese attualmente da parte delle donne non esiste solo una domanda di part-time di conciliazione, ma anche una domanda di allargamento dell occupazione in termini orari. È una domanda che proviene soprattutto dalla componente giovanile e che nel mercato del lavoro riesce spesso a trovare solamente occupazioni di breve durata e con impegni orari ridotti.

11 9 Infatti, un altro elemento sul quale vorrei sollecitare il dibattito è il fatto che le occupazioni in fasce orarie limitate negli ultimi anni sono cresciute fortemente anche nell ambito del lavoro temporaneo precario o atipico, dove la componente femminile è maggioritaria. Una serie di stime che ho fatto dimostra che, nell ambito della cosiddetta area dell instabilità all interno della quale gravitano all incirca 3 milioni e mezzo di lavoratori circa il 53% è di genere femminile. Riassumendo, possiamo mettere in evidenza una forte concentrazione dell occupazione delle donne tra le componenti precarie. Si tratta di un aspetto da tenere in assoluta considerazione nel momento in cui ci si chiede cosa fare per risolvere la questione. Le nuove opportunità occupazionali stanno, infatti, producendo tra le donne italiane anche un aumento dei rischi di una marginalizzazione nel lavoro, in seguito alla crescita di una partecipazione lavorativa spesso discontinua e precaria, ma anche caratterizzata da redditi parziali e secondari. Una condizione che rafforza di fatto la dipendenza dal partner, in termini di garanzie di reddito e di copertura assicurativa e impedisce il superamento del modello basato sul maschio lavoratore capofamiglia (strong male breadwinner) e sulla asimmetria dei ruoli nella distribuzione del lavoro tra i generi. Per questa via si innestano altresì circoli viziosi che frenano lo sviluppo ulteriore dell occupazione femminile. Le nuove forme contrattuali flessibili, d altra parte, non sempre aiutano la conciliazione e, anzi, più che sostenere il lavoro delle donne impegnate in attività di cura, spesso le inducono ad abbandonare il mercato oppure a ridimensionare i progetti di maternità. In questo quadro, per quanto riguarda le politiche specifiche da attivare, mi sembra che sia indispensabile tenere presenti alcuni aspetti tra loro interconnessi ma che, discutendo di policies, devono essere trattati separatamente. Preliminare è, infatti, chiarire quali siano gli obiettivi strategici: - migliorare la qualità del lavoro, ovvero la qualità della vita delle donne occupate; - accrescere il tasso di partecipazione delle attuali inattive. Evidentemente c è una forte relazione tra i due obiettivi: agendo sul primo si promuove l esplicitazione dell offerta di lavoro femminile, ma pensando alle politiche è bene tenere distinti i due obiettivi. Riguardo agli interventi tesi a migliorare la qualità del lavoro e la qualità della vita delle donne o meglio delle famiglie, esistono sulla carta tutta una serie di misure che in qualche modo possono favorire una distribuzione più equa del lavoro cura all interno della famiglia, bloccando o arginando i processi di segregazione orizzontale e verticale dell occupazione femminile e sostenendo le famiglie attraverso un offerta differenziata di servizi di cura. Questo genere di interventi migliora la qualità della vita e del lavoro delle donne e soprattutto si pone l obiettivo di redistribuire il carico del lavoro di cura all interno della coppia.

12 10 Qualità del lavoro delle donne e sviluppo dell occupazione italiana Sul punto vorrei fare una breve digressione in qualche modo terminologica. Mi riferisco all utilizzo del concetto di conciliazione. Forse dovremmo cominciare a usarlo un po meno, perché si presta ad eccessive ambiguità. Basti ricordare che quando si parla di conciliazione si pensa automaticamente al problema delle donne che devono conciliare lavoro e famiglia. È invece probabilmente ora di ragionare in termini di qualità della vita degli uomini e delle donne. In quest ottica dobbiamo porci l obiettivo di un riequilibrio delle diverse dimensioni della vita, che riguardano sia la sfera lavorativa, sia la sfera degli affetti e della cura, sia, infine, la dimensione della ricostituzione della propria sanità fisica e mentale o la gestione del tempo libero. Se adottiamo questo approccio, attuiamo una sorta di operazione di giustizia a vantaggio delle donne, evidenziando che il tema della cura non è un problema femminile ma una questione sociale. Non solo: invertendo i termini del ragionamento possiamo contribuire a un graduale cambiamento di comportamenti da parte dei giovani uomini, che forse possono avere l opportunità di diventare più moderni e attenti a queste istanze. Istanze che, in fin dei conti, sono anche le loro. I risultati di alcune ricerche che io stessa ho condotto ma anche, ad esempio, i dati che qualche anno fa ci ha proposto l Istat sulle nuove dimensioni della paternità dimostrano poi che soprattutto i giovani uomini esprimono nuove esigenze di partecipazione alla paternità. Si tratta di orientamenti completamente diversi rispetto a quelli delle generazioni precedenti, che si riflettono anche nei comportamenti interni alla coppia, nella quale si riscontra una maggiore distribuzione del lavoro di cura tra uomini e donne tra le fasce giovanili. A questo proposito, le indagini effettuate dalla Fondazione europea di Dublino confermano i nostri risultati, mettendo in rilievo come gli uomini oggi esprimano una maggiore insoddisfazione rispetto al tempo trascorso in famiglia proprio perché avvertono anche un più forte desiderio di partecipazione. Questo passaggio non è solo, per così dire, lessicale. È, piuttosto, un passaggio di impostazione delle politiche che mi sembra fondamentale. Entro, dunque, nel merito della discussione sulla proposta di legge al centro dell incontro di oggi, affermando anzitutto di condividerne l impostazione. Da un lato, mi sembra infatti corretto il punto di vista per cui l occupazione femminile rappresenta non un obiettivo femminista ma una questione utile all intero Paese. Dall altro, concordo sul fatto che un obiettivo di questo tipo debba essere perseguito servendosi di una tastiera complessa, composta da tutti quegli elementi che effettivamente sono contenuti nella proposta di legge. All interno di ogni singola misura ovviamente bisognerà analizzare e chiarire le compatibilità economiche. Ci sono, infatti, aspetti di

13 11 onerosità di bilancio che occorre prendere in considerazione con rigore. Non ho fatto conti su questo, ma ritengo opportuno farli per dare in qualche modo sostanza concreta a queste idee. Idee che non saranno appunto a costo zero, ma che sono interessanti e mi sembrano andare nella giusta direzione. Penso, ad esempio, all estensione dei congedi parentali in termini sia di copertura, sia di individuazione dei meccanismi di coinvolgimento diretto e di quote di disponibilità solamente per gli uomini. Interventi di tal genere, inoltre, sono importanti perché incidono anche su quella che prima definivo cultura della condivisione. Essa si può sviluppare appunto attraverso incentivi ad hoc, come i congedi parentali. Tuttavia, il problema è più generale e può essere risolto solo mettendo mano al mercato del lavoro e agli aspetti più strutturali come il sistema di offerta dei servizi territoriali. In caso contrario, si rischia di disperdere risorse senza raggiungere gli obiettivi. Creare condizioni di uguaglianza nel mercato del lavoro, allargando le opportunità di lavoro per le donne, riducendone anche i differenziali di salario, significa, infatti, creare le premesse anche per una maggiore condivisione del lavoro di cura nella famiglia tra uomini e donne. Per la mia esperienza e i risultati delle ricerche ne danno conferma posso affermare che, quando nella coppia il lavoro della donna ha un importanza sia in termini economici sia in termini di riconoscimento sociale, anche la distribuzione del lavoro all interno della famiglia è più equilibrata. L altro aspetto che vorrei toccare riguarda l allargamento del tasso di occupazione. Guardare ai dati ci è utile per capire verso quali soggetti orientare le politiche. Le donne comprese nella fascia di età tra i 30 ai 49 anni, con livelli di scolarizzazione fino alla licenza media, hanno nel Nord un tasso di occupazione pari al 63%, nel Mezzogiorno del 25%, nel Centro del 51%. Tre le laureate le percentuali salgono all 87% al Nord, all 82% al Centro e al 77% al Sud. Ricordo che stiamo parlando di donne adulte. Tra le giovani fino ai 29anni in possesso di laurea il tasso di occupazione è nel Nord del 63%, nel Mezzogiorno del 36%. Quasi trenta punti percentuali di differenza che ci dicono come nelle regioni settentrionali abbiamo raggiunto quasi un livello di saturazione del tasso di occupazione femminile, tanto è vero che un allargamento della partecipazione potrà presumibilmente avvenire solo attraverso politiche che aumentino l occupazione part time. Al Sud invece ma parzialmente anche nell Italia centrale il problema non è rappresentato dalla forma occupazionale. C è bisogno di qualcosa di più e di diverso. E dobbiamo interrogarci su quali siano oggi le forme occupazionali e il tipo di lavoro che, nel sistema economico e occupazionale, siano a disposizione delle donne con medio basso livello di scolarizzazione. In quest area, infatti, osser-

14 12 Qualità del lavoro delle donne e sviluppo dell occupazione italiana viamo che l occupazione disponibile è tendenzialmente temporanea, con mansioni fortemente dequalificate nel terziario più o meno avanzato. Ciò determina una bassissima remunerazione economica spesso con contratti part-time e involontari. Ma cosa succede al momento della prima maternità per una donna giovane che comincia un percorso di questo tipo? Senza il sostegno di servizi adeguati o l ausilio del compagno/marito/padre è molto probabile che questa donna decida, nella economicità della coppia, di rimanere a casa. Nel Mezzogiorno, quindi, la temporaneità del lavoro fa sì che alla maternità si esca dal mercato del lavoro, salvo poi tentare di rientrare con grande difficoltà e rimanendo peraltro all interno dell occupazione più o meno precaria, se non sommersa. Alla luce di queste considerazioni, proviamo a distinguere il discorso. Da un lato, ci sono le donne laureate e quelle che sono riuscite o sono costrette per ragioni economiche a essere presenti nel mercato del lavoro, per le quali è fondamentale sviluppare politiche che le aiutano a lavorare e in qualche modo a faticare di meno per affermarsi pienamente. Dall altro, le donne con basso o medio livello di scolarità. Ecco, se vogliamo davvero far crescere il tasso di occupazione femminile, dobbiamo fare in modo che proprio queste ultime lavorino, soprattutto al Centro e al Sud. È indispensabile, allora, favorire percorsi continuativi nel lavoro, per allargare il ventaglio delle opportunità occupazionali meno instabili. Da questo punto di vista, ritengo, ad esempio, che si dovrebbe agire sulla rete dei servizi all impiego con politiche orientate a questi target, anche attraverso accordi e sinergie con le agenzie del lavoro private e interinali. L ultima considerazione riguarda la questione dei servizi di cura. Le proposte fatte sono molto interessanti, così come l idea di un sostegno anche di carattere finanziario alle spese sostenute per i servizi di cura. Tuttavia, si tratta di vedere quale sia l architettura migliore per questo tipo di interventi. Sul punto possiamo ricondurci ad alcune esperienze straniere di qualità. Sto pensando, ad esempio, ai voucher in Belgio, che hanno dimostrato di essere uno strumento utile. Possiamo studiare questi modelli per costruire un architettura più agile che aiuti le famiglie, anche sul piano economico. Scendendo nel dettaglio del caso italiano, a proposito di servizi di cura, non può non evidenziarsi il fatto che nel nostro Paese la cura dei bambini all interno delle famiglie sia affidata anzitutto ai nonni. Per quanto riguarda i membri adulti o gli anziani non autosufficienti, invece, sappiamo bene che ormai il lavoro è svolto da donne immigrate. Mi chiedo se non possiamo dare effettività anche normativa e dignità di policy a un dato di realtà oggettiva: quello, cioè, che ci dice che in Italia le immigrate svolgono, più o meno in nero, una funzione di welfare semplicemente fondamentale. Per questo ritengo che il lavoro delle immigrate debba diventare una porzione significativa dell offerta di welfare territoriale di servizi alle famiglie.

15 13 A tal fine, dobbiamo mettere in atto meccanismi che tentino di convogliare l offerta di lavoro delle immigrate in circuiti regolari gestiti dai comuni con albi certificati e con procedure di avallo del pubblico che certifichino competenze e regolarità dei percorsi. Questa proposta potrebbe creare una modalità per rispondere a due problemi tra loro legati a doppio filo: la necessità di regolarizzare le immigrate e la garanzia di soddisfare i bisogni oggettivi delle famiglie. Peraltro, all interno di questo quadro, si potrebbero utilizzare forme cooperative tra le immigrate per rispondere non solo alle esigenze di badantato, ma anche alla domanda flessibile delle famiglie che hanno bisogno di servizi di cura solo in determinati momenti. In definitiva, un albo certificato consentirebbe di rendere regolare e trasparente un circuito oggi ancora troppo informale e oneroso per le famiglie. * Giovanna Altieri è attualmente direttore dell Istituto di Ricerche Economiche e Sociali (IRES) e responsabile dell area di studio sul Mercato del Lavoro.

16 14 Tra tutele e mercato: effetti della promozione del lavoro femminile di Roberta Bortone* relazioni Credo che questo seminario sia un occasione importante, anche se rilevo con una certa tristezza che sono presenti in sala soltanto tre uomini, tra cui Tiziano Treu, l unico mio collega da sempre interessato alle tematiche del lavoro femminile. Faccio questa osservazione perché purtroppo, quando si parla di donne e di lavoro delle donne, gli uomini ritengono che si tratti di una cosa di cui si possono disinteressare senza conseguenze e ciò, a mio avviso, marca davvero la differenza culturale del nostro Paese rispetto agli altri Stati europei. Credo infatti che la partecipazione delle donne alla vita economica e sociale sia un tema rispetto al quale gli stereotipi culturali presenti in Italia ne evidenziano in modo emblematico l arretratezza. Qui ancora non si è percepito da parte sia degli uomini sia delle donne che il lavoro femminile non è soltanto un modo di partecipazione delle donne alla vita democratica, ma, come è stato già detto, diventa una necessità imprescindibile per l economia del nostro Paese rappresentandone l unica occasione concreta di sviluppo. Come sapete sono una giuslavorista, ma su queste tematiche un approccio tecnico-giuridico non risulta efficace: abbiamo tra le leggi migliori a livello europeo per la disciplina del lavoro delle donne e per la tutela della maternità, eppure siamo quasi al posto peggiore per quello che riguarda la partecipazione effettiva delle donne al mercato del lavoro. Perciò credo che anche noi giuslavoristi e giuslavoriste non possiamo limitarci a esaminare le leggi che riguardano il lavoro delle donne e i rapporti di lavoro, ma dobbiamo cercare di avere uno sguardo un po più alto e tentare di capire quali siano le ragioni del fenomeno che ci vede tanto indietro sia per l occupazione femminile sia per il tasso di natalità. Così, se analizziamo con questo sguardo le norme di disciplina dei rapporti di lavoro e in particolar modo di tutela della maternità, non possiamo negare l effetto secondario più o meno involontariamente prodotto da tutti gli interventi legislativi rivolti a consentire alle donne di lavorare tutelando la maternità: la reazione inevitabile e contraria del mercato. È evidente che se il lavoro delle donne, con tutti gli interventi di tutela e di sostegno della maternità, costa più di quello maschile si produce una tendenziale fuga delle aziende dal lavoro femminile e le imprese tenteranno in tutti i modi di sottrarsi ai vincoli costosi. Da questo punto di vista l unico aspetto della proposta su cui oggi discutiamo che mi induce perplessità, mi pare quello collegato all incremento della misura temporale dei congedi parentali: la maternità e l uso dei congedi da parte quasi esclusivamente delle madri sono proprio il motivo principale che induce gli imprenditori a preferire l assunzione degli uomini oppure - cosa ancora più frequente - a lasciare le donne segregate nelle parti più basse delle carriere, laddove sarebbe necessaria una presenza nei livelli alti sia

17 15 della politica sia delle organizzazioni produttive se si volesse una reale partecipazione delle donne alla vita sociale. Perciò, poiché aumentare le tutele delle donne nel rapporto di lavoro produce un effetto-boomerang, è meglio operare con interventi legislativi diversi. Penso, ad esempio, che l astensione obbligatoria dal lavoro per paternità, anche se di pochi giorni, così come è già accaduto in Spagna, rappresenti una misura di grande impatto simbolico che comincerebbe a introdurre un mutamento culturale sugli stereotipi. Penso anche che si potrebbe immaginare di differenziare l indennità connessa ai congedi parentali, prevedendone una misura maggiore per le ipotesi in cui sia il padre ad assentarsi e ciò al fine di incentivare l utilizzazione dei congedi da parte degli uomini. Infatti ripeto - sono soprattutto le madri a utilizzare queste ipotesi di assenza dal lavoro, ma se ci interroghiamo sulle cause di tali scelte, scopriamo che spesso si tratta di scelte collegate comunque a calcoli economici e non sempre frutto esclusivo di una differente ripartizione dei compiti nella famiglia. Per spiegare queste scelte basta riflettere sull effetto dei differenziali retributivi di genere. Infatti, sappiamo che le retribuzioni femminili sono di solito più basse di quelle maschili in una percentuale che varia a seconda dei criteri utilizzati per il calcolo; sappiamo anche che l utilizzazione dei congedi parentali comporta una riduzione del 70% della retribuzione per i primi 6 mesi e la perdita dell intera retribuzione per i periodi successivi. È chiaro, a questo punto, che ragionando sul bilancio familiare i genitori sono indotti a preferire l assenza che produca una minore perdita economica e perciò, nella maggior parte dei casi, della madre. Per questo, forse, prevedere una differente misura dell indennità, lasciandola al 30% della retribuzione per le madri ed elevandola, ad es., al 50% della retribuzione per i padri potrebbe produrre uno spostamento almeno parziale nell utilizzazione dei congedi parentali. Questo discorso mi porta a un altro genere di considerazioni che io ritengo fondamentale. Quando si condivide l obiettivo politico di favorire una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, per tutte le ragioni che ho detto bisogna discutere di politiche e di incentivi economici più che di norme di regolamentazione del lavoro. Ed è questo l aspetto centrale della proposta di legge che stiamo discutendo e rispetto alla quale va perciò tutto il mio apprezzamento. In questa prospettiva, tuttavia, sottolineo la necessità di conservare un attenzione costante a tutti gli elementi in gradi di incidere sul risultato voluto, soprattutto a quelli di tipo economico, il che purtroppo non avviene sempre. Penso in questo momento all eccessivo silenzio sugli effetti di discriminazione indiretta prodotti da alcuni

18 16 Tra tutele e mercato: effetti della promozione del lavoro femminile provvedimenti già attuati e ad altri annunciati dal governo in carica. Mi riferisco prima di tutto alla detassazione degli straordinari, che ha un effetto di tipo discriminato collettivo nei confronti delle donne in quanto le donne sono tradizionalmente poco disponibili rispetto al lavoro straordinario. Perciò questa misura tende ad aumentare il differenziale retributivo di genere. Desidero anche lanciare un caveat con riferimento alle retribuzioni di produttività. Tutti siamo d accordo sulla necessità di sviluppare la contrattazione di secondo livello e di favorire la parte variabile di retribuzione collegata alla performance aziendale e perciò non mi dilungo su questo aspetto. Desidero tuttavia sottolineare un rischio sotteso a interventi che vadano in questa direzione: molto spesso le retribuzioni di produttività sono calcolate tenendo conto della presenza sul lavoro e forse sarebbe opportuno individuare strumenti per sterilizzare gli effetti almeno dell astensione obbligatoria per maternità dal calcolo di questo istituto retributivo, se non si vogliono penalizzare le donne in misura eccessiva. Ancora una considerazione a proposito delle politiche del governo: parlare di quoziente familiare per il sistema fiscale vuol dire disincentivare il lavoro delle donne e lo stesso effetto si produce in generale quando il quoziente familiare è preso in considerazione per tutte le misure di welfare adottate anche a livello locale (accesso agli asili nido, calcolo del contributo per i servizi pubblici, etc.) Tornando poi alla proposta di legge di cui ragioniamo, come ho detto mi sembra ottima proprio perché utilizza la leva economica e per la prima volta mette insieme in maniera sistematica una serie di misure economiche per favorire la presenza femminile. Da questo punto di vista, una parte che considero estremamente interessante è quella relativa all introduzione nel codice dei contratti pubblici di un meccanismo che incentivi le aziende ad adottare quello che viene chiamato certificato di qualità delle politiche di genere. Tuttavia, sempre sul versante della leva economica, si potrebbe immaginare anche una misura più ambiziosa: negare in generale l accesso ai benefici pubblici alle aziende che non abbiano ottenuto questo certificato, sempre che lo strumento in questione non sia costruito come un difficile percorso burocratico. In conclusione, ritorno a parlare del problema culturale che investe il nostro Paese facendo sopravvivere gli stereotipi che conducono a quello che è davanti ai nostri occhi: quando si parla di donne sono presenti solo donne. A questo proposito mi ha colpito una frase di Vittoria Franco che richiamava la necessità avvertita come sempre attuale di applicare l eguaglianza di genere presente nella nostra carta costituzionale fin dal Mi è venuto in mente che mentre noi dobbiamo ancora rivendicare questa uguaglianza, negli altri Paesi l imprenditoria più avanzata,

19 17 quella che compete sui mercati internazionali, ha ormai superato persino il tema delle pari opportunità e adotta approcci organizzativi fondati sul Diversity Management, nei quali non soltanto le differenze uomo-donna sono viste come fattori positivi, ma dove l azienda è in grado di cogliere i talenti di ciascun individuo inserito nella sua organizzazione e di farne tesoro. Infine, un auspicio tutto politico. È evidente che la proposta oggetto della discussione di oggi è molto onerosa per il bilancio dello Stato. Io credo che se il PD vuole davvero fare del lavoro delle donne una priorità dell agenda politica, debba impegnare il governo-ombra ad agire su questi temi come forza di governo e cioè lo impegni a quantificare il costo della proposta di legge e a individuarne la copertura di spesa. Solo in questo modo, a mio avviso, si dimostrerà di volersi davvero impegnare su questo fronte. Altrimenti, fino a quando si continuerà a parlare di grandi progetti e non si comincerà a discutere di quali capitoli di spesa andare a toccare per destinarli alla questione femminile, gli uomini capiranno che si continua a non fare sul serio e diserteranno ancora queste sale. * Roberta Bortone è attualmente professoressa di Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell Università degli Studi di Roma La Sapienza.

20 18 Conciliazione, fisco, parità salariale: dal PD la vera rivoluzione Andiamo con ordine. Aumentare il tasso di occupazione femminile avrebbe un impatto dirompente su una serie di fattori: - aumenterebbe la crescita complessiva del nostro Paese. Uno dedi Alessia Mosca* interventi Un policy maker prende o dovrebbe prendere le sue iniziative politiche in base a una serie di variabili e valutazioni, tra le quali non ne mancano mai almeno due: da un lato la coerenza rispetto alla risoluzione dei problemi più urgenti del Paese che si trova a governare, dall altro la sostenibilità economica di tali iniziative rispetto alla quantità di risorse di cui può disporre. L Italia sta vivendo un periodo di grande difficoltà economica, legata al crescente rincaro dei prezzi non bilanciato da un corrispettivo aumento dei salari, con un conseguente impoverimento delle famiglie e calo dei consumi. Calo che non aiuta certo l economia a uscire da un rallentamento della crescita, di cui la scarsa produttività è fra le principali cause. A sua volta, la scarsa produttività è determinata da una serie di fattori, tra cui rientrano la poca valorizzazione delle migliori competenze e una organizzazione del lavoro ancora piuttosto rigida. Sia in termini di orari di lavoro, sia per le modalità di valutazione della progressione salariale e di carriera, focalizzate più sulla quantità che sulla qualità. Inoltre, il nostro sistema di welfare diventa di sempre più difficile sostenibilità, per la vera e propria rivoluzione demografica degli ultimi anni, che in prospettiva non potrà che aggravarsi, se non si prendono contromisure, anche a causa di una tal diminuzione del tasso di natalità che ci ha fatto crollare all ultimo posto, insieme al Giappone, nella classifica di tutti i Paesi del mondo. Parallelamente, l Italia si trova a un livello di occupazione femminile del 46%, con una punta minima del 31% nelle regioni meridionali. La media del Unione europea è del 57%, l obiettivo fissato dalla Strategia di Lisbona è del 60%. Solo Malta, tra i 27 Paesi membri, è messa peggio. Non considerando il recente fenomeno, molto preoccupante, della fuoriuscita di una larga fetta di lavoratrici potenziali dalla forza lavoro, così disilluse dopo vane ricerche di una occupazione da non tentare più neppure di trovarne una. Le donne italiane vorrebbero lavorare più di quanto non facciano e vorrebbero più figli di quanti non ne abbiano. Un altro elemento contro intuitivo e del tutto nuovo è legato alla natalità: sono le donne che lavorano ad avere in media più figli rispetto alle donne che non lavorano o che hanno occupazioni saltuarie. Nel 2007 la città di Milano, dove l occupazione femminile raggiunge le percentuali più alte di tutto il Paese, è stata la capitale dei nuovi nati. Dunque, date queste premesse, il sostegno e l incentivo all occupazione femminile rappresenta la soluzione perfetta, più facile e immediata che in Italia un policy maker possa pensare di avanzare per un lungo elenco di ragioni.

21 19 gli elementi che hanno determinato lo slancio dell economia spagnola degli anni passati è stato proprio l aver investito sull occupazione femminile, che è aumentata di 10 punti percentuali facendo aumentare il PIL di 1 punto percentuale. C è da sfatare a questo proposito una falsa convinzione: il tasso di occupazione non è una misura determinata e fissa. Se le donne lavorano non tolgono spazio ai colleghi uomini: aumentano i consumi, si esternalizzano alcuni servizi, aumenta la crescita economica quindi in generale il tasso di occupazione cresce; - il secondo salario in famiglia sarebbe una prima risposta, molto efficace, contro l impoverimento e per far ripartire i consumi; - come dimostrano i dati, le donne che lavorano sono più propense ad avere figli, ovviamente laddove sussistano le condizioni per conciliare vita lavorativa e vita familiare; - non utilizzare le competenze migliori come dimostrano i dati, le donne conseguono titoli di studio più elevati in tempi più ridotti dei colleghi maschi e con risultati decisamente migliori significa rinunciare alla risorsa più importante nell era dell economia della conoscenza, nella quale anche l Italia deve giocare un ruolo significativo. Certamente, quindi, la prima delle condizioni perché una misura di questa natura possa essere adottata dal policy maker sarebbe soddisfatta. Sugli incentivi all occupazione femminile non ci sarebbero neppure controindicazioni riguardo alla seconda condizione: i costi di realizzazione. Infatti, la caratteristica peculiare di una azione di questo tipo è la sua auto-sostenibilità nel medio periodo. A seguito di un esborso iniziale, infatti, l efficacia dell intervento provocherebbe un aumento del tasso di occupazione e l emersione dal nero di una fetta di popolazione tale da compensare i costi iniziali di avvio. Il Partito Democratico, per tutte queste ragioni, ha presentato al Parlamento una proposta di legge comprensiva di una serie di misure per incentivare il lavoro femminile. L esperienza quella italiana del passato in negativo, quella dei Paesi europei che hanno conseguito risultati molto soddisfacenti in positivo ci insegna che non basta concentrarsi su un unico aspetto per conseguire gli obiettivi che ci si propone. L occupazione delle donne può essere aumentata solo se si agisce su diversi fronti. Quello della conciliazione fra lavoro e vita familiare, quello della suddivisione dei compiti all interno della famiglia, quello della convenienza fiscale, quello del raggiungimento della parità salariale. Per questa ragione, la nostra proposta di legge contiene un insieme articolato di elementi: - un piano per l aumento dei servizi, in particolare gli asili nido; - incentivi fiscali per le donne lavoratrici; - la detraibilità delle spese di cura per tutte le donne lavoratrici, a prescindere dalla tipologia contrattuale con cui sono impiegate. Misura, questa, che aiuterebbe anche l emersione del lavoro nero,

22 20 Conciliazione, fisco, parità salariale: dal PD la vera rivoluzione perché ci sarebbe convenienza a regolarizzare tutte le prestazioni; - il credito d imposta per l occupazione femminile nelle regioni del Mezzogiorno; - l estensione dei congedi parentali, con la possibilità di acquisire il diritto a tre mesi aggiuntivi di congedo a patto che vengano usufruiti per almeno quattro mesi anche dai lavoratori padri; - il bollino di qualità per quelle aziende che applicano l effettiva parità di genere. È veramente sorprendente che dinnanzi a un quadro così chiaro la risposta del governo Berlusconi non solo non sia un intervento così comprensivo come quello che il Partito Democratico ha presentato con la sua proposta, ma la totale assenza del tema in qualsiasi delle misure fino ad ora avanzate, inclusa la misura per lo sviluppo economico (!). Addirittura peggio: una serie di indizi fanno pensare che non ci sia solo una mancanza di azioni per incentivare il lavoro femminile, ma una tendenza a disincentivarlo o comunque a continuare a considerarlo lavoro accessorio, di serie B. La sbandierata azione di detassazione degli straordinari, per citare solo un esempio, è chiaramente del tutto discriminante per le donne, che già faticano a fare l orario ordinario, specie se hanno figli piccoli. Così come le modifiche alle tipologie contrattuali, che se non accompagnate da un contemporaneo intervento sugli ammortizzatori sociali rischiano di nuovo di penalizzare soprattutto i lavoratori più deboli, tra cui ovviamente sono incluse le donne, specie le più giovani. Ma di quale sviluppo economico parla il governo allora se non prende neppure in considerazione la misura che più di ogni altra potrebbe davvero sostenerlo? Forse è troppo facile e lineare utilizzare questo strumento per il governo Berlusconi e per il suo ministro Tremonti, impegnati a immaginare illusionistiche tasse più da sceriffo di Nottingham che da Robin Hood dagli assai dubbi effetti sulle tasche dei consumatori? * Alessia Mosca, già responsabile Lavoro del PD, è deputato e segretario della Commissione Lavoro della Camera.

23 Occupazione femminile: buone pratiche europee e proposte italiane sulle pari opportunità di Tiziano Treu interventi Il tema delle pari opportunità e dell uguaglianza di genere occupa da molti anni l agenda della politica e del legislatore in Italia, come in tutti i Paesi sviluppati. Fin dagli anni Settanta è al centro del modello sociale europeo. È stato oggetto di importanti iniziative normative: dalle prime direttive proprio degli anni Settanta a quelle più ampie di seconda generazione : 2000/43, 2000/78, 2002/73, 2004/113, 2006/54. Tali norme sono state accompagnate da programmi di azione diretti agli stessi obiettivi di promuovere la parità nei suoi vari aspetti (di trattamento retributivo, nelle condizioni di lavoro e previdenziali, di eguaglianza delle opportunità), a estendere l occupazione femminile e a favorire la conciliazione tra lavoro e vita familiare e personale. Il nostro Paese ha dato attuazione, in modo insolitamente puntuale, alle più importanti direttive europee sulla parità: dalla legge 903 del 1977 sulla parità di trattamento a quella sulle azioni positive, 125 del 1991, al dlg 196/2000 sui consiglieri di parità, ai decreti attuativi 215 e 216 del 2003, 145 del 2005 attuativi delle direttive comunitarie, fino al dlgs 198/2006 che ha ricompreso l intera normativa nel codice delle pari opportunità uomo e donna. Minore seguito hanno avuto le indicazioni comunitarie sui vari aspetti della conciliazione, dell assistenza ai bambini e alle famiglie, pure necessari a sostenere l equilibrio di genere non solo in tema di lavoro: in questo si è scontato il ritardo delle nostre politiche di welfare e familiari nel superare il cd. modello mediterraneo anche su questo versante. Le iniziative si sono intensificate negli ultimi anni a livello europeo e solo in parte in Italia. È del 2006 un ambizioso programma dell Unione traguardato al 2010 per promuovere l eguaglianza fra donne e uomini (Road Map for equality between women and men 2006/2010). Con tutto ciò, a distanza di decenni, il bilancio dei risultati in tema di parità è ritenuto alquanto deludente dagli osservatori e lo è in particolare per il nostro Paese. Risultati significativi sono stati raggiunti nel mercato del lavoro perché il tasso di occupazione femminile è cresciuto in tutta Europa e anche da noi. Peraltro, in Italia esso è ancora alquanto più basso di quello maschile specie nelle regioni del Sud e per certe fasce d età, in particolare dopo la nascita dei figli. In Italia quasi il 20% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del figlio, e il tasso di occupazione delle madri con figli di età inferiore a 6 anni è del 25% inferiore a quella delle single. Il mercato del lavoro è ancora in buona parte segregato sia nel settore privato, sia nel pubblico impiego, nonostante questo presenti condizioni relativamente più favorevoli di quelle del settore privato alla conciliazione fra lavoro e vita familiare. Il contesto opera a svantaggio delle donne, anche se le donne hanno non solo recuperato i divari di istruzione rispetto ai maschi ma raggiungano livelli superiori sia nella quantità (14,3% di laureate contro il 12,3% degli uomini fra 25 e 29 anni) sia nella qualità (voto

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