La previdenza complementare e l autonomia collettiva 1

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1 La previdenza complementare e l autonomia collettiva 1 di Giulio Prosperetti 1. La previdenza complementare tra neocorporativismo e tutela della concorrenza. La previdenza complementare, nella sua evoluzione, sottende le problematiche relative al rapporto tra libertà sindacale, legislazione di sostegno al sindacato, tutela del singolo e libertà della concorrenza. Ed invero dalla impostazione del d. lgs. n. 124 del 1993, tutto incentrato sulla preminenza dell autonomia collettiva nella regolamentazione dei fondi pensione, si è passati alle norma contenute nella riforma Dini del 1995 che, prevedendo la possibilità del trasferimento della posizione previdenziale complementare dal fondo categoriale ad altro fondo, anche aperto, riconosceva il preminente diritto del singolo alla gestione della propria posizione previdenziale complementare. Successivamente, con la riforma Maroni del 2004, legge delega n. 243, la previdenza complementare ha cambiato volto, proponendosi con un largo ventaglio di formule, alcune delle quali sono più di matrice assicurativa che previdenziale ed ha riaffermato a livello formale la libertà di adesione individuale ai fondi pensione (art. 1, 2 comma, e art. 3, 3 comma d. lgs. n. 252 del 2005 già art. 3, 4 comma, d. lgs. n. 124 del 1993). Ma l attuazione datane dal legislatore delegato, con il d. lgs. n. 252 del 2005, sembra aver attenuato i termini dell equiparazione tra diversi forme di previdenza complementare, subordinando appunto il diritto alla portabilità del contributo datoriale ad un esplicita previsione in tal senso da 1 Il presente articolo ricalca l intervento del Prof. Giulio Prosperetti al Seminario del 21 maggio 2007 presso l Università di Roma Tre, su La portabilità della posizione previdenziale. 1

2 parte del contratto collettivo, e ciò a seguito di una forte pressione del mondo sindacale. Insomma, la legislazione in materia di previdenza complementare, che all inizio sembrava porsi come un ulteriore legislazione di sostegno al sindacato, tanto che l intervento era richiesto dalla legge persino per la trasformazione di fondi aziendali preesistenti di iniziativa datoriale, si è invece evoluta in una disciplina che sembra porre il lavoratore-consumatore sicuramente libero, ma non protetto di fronte alle offerte dei gruppi bancari ed assicurativi. In questa stagione, nella quale sembra essere l assoluta libertà di concorrenza il motore dello sviluppo, la questione finirà probabilmente con l interessare le Istituzioni europee in termini di violazione del principio di libera concorrenza nell ambito della raccolta di tale risparmio previdenziale. A questo punto ci si deve domandare se la previdenza complementare appartenga di per sé, per la sua storia e per la sua natura, alla tutela degli interessi professionali e quindi sia o meno di competenza dell autonomia collettiva, cioè di un regolamento di rapporti che, implicando il costo del lavoro, investa in via generale il conflitto industriale. Invero, è proprio dalla natura della previdenza complementare che occorre partire per tentare di sciogliere le problematiche a questa collegate. Parte della dottrina considera la previdenza complementare come riconducibile all art. 38, 2 comma, Cost. e cioè nell ambito della previdenza pubblica obbligatoria, nella misura in cui concorre a garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita (art. 38, 2 comma, Cost): espressamente, invero, il legislatore del d. lgs. n. 124 del 1993 considerava le prestazioni che andava a disciplinare come complementari del sistema 2

3 obbligatorio pubblico al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale. Altra parte degli studiosi ritiene di inserire la previdenza complementare nel 5 comma dell art. 38 Cost., che prevede l assistenza privata come libera; pertanto si pone la questione se la previdenza integrativa sia indispensabile al raggiungimento di un adeguato trattamento pensionistico o sia invece solo da un punto di vista pratico, e non già formalmente, indispensabile ad assicurare mezzi adeguati ai pensionati. Insomma, anche se i trattamenti pensionistici pubblici sono destinati a ridursi, non per questo si può senz altro affermare che non siano idonei a garantire una qualche adeguatezza alle esigenze di vita, giacché si deve tener conto del fatto che il sistema è in evoluzione e lo stesso concetto di età pensionabile è destinato ad essere sostituito da una logica di percorsi professionali assolutamente liberi ed autonomi. In questa logica la prestazione pensionistica è destinata a sommarsi ad un attività lavorativa residuale. Invece, la legislazione in materia di previdenza complementare viene a costruire tale forma pensionistica in stretta correlazione con il sistema generale di sicurezza sociale, agganciando il diritto alla prestazione pensionistica al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche nel regime obbligatorio, anche se ora, in effetti, è possibile sganciare il pensionamento pubblico dal pensionamento della previdenza complementare, nel senso che si può continuare a lavorare percependo la sola pensione complementare (art. 11, 2 comma, d. lgs. n. 252 del 2005). Problema parallelo è quello relativo al ruolo che gioca il sindacato nella predisposizione degli istituti della previdenza complementare, per cui si discute se il sindacato svolga le funzioni demandate dalla legge 3

4 nell ambito di una funzionalizzazione conforme al sistema neocorporativo, ovvero operi nell esercizio dei suoi poteri originari ai sensi dell art. 39 Cost. Nello specifico, si pone il problema se dobbiamo intendere un sindacato che non esercita poteri di fatto di autotutela, ma che invece è chiamato a gestire per conto dell ordinamento funzioni che in rapporto alla sua riconosciuta competenza gli vengono demandate dall ordinamento. Il fenomeno si è molto accentuato e ne sono esempi il parere per la concessione della Cassa integrazione guadagni straordinaria, gli accordi di mobilità ed in genere tutte quelle flessibilizzazioni di tutele legali rimesse appunto ad accordi sindacali. Altra prospettazione è quella di un sindacato che non gestisce per conto della legge, ma che esercita le proprie originarie attribuzioni che la legge gli riconosce sul piano dell autonomia privata, così contrapponendosi all altra ipotesi che, come detto, vede invece il sindacato esercitare un sostanziale munus pubblico. Il problema è quello di sempre e che, ad esempio a proposito della famiglia, il legislatore costituzionale risolve riconoscendo la famiglia come società naturale. Infatti, la famiglia non esiste per legge e le regole nell ambito della stessa non sono norme dell ordinamento generale; la famiglia è tutelata in quanto istituto che preesiste allo Stato. In maniera analoga, tutta la legislazione sociale (sia che riguardi l evoluzione della previdenza che il progresso dei diritti del lavoratore) nel nostro ordinamento è stata prodotta attraverso l ipostatizzazione in legge di norme e principi stabiliti dall autonomia collettiva e così le prime mutue sono state istituite dal sindacato e la tutela sulla giusta retribuzione, orario di lavoro, ferie e licenziamenti sono tutte conquista sindacali poi tradotte in legge. 4

5 L intervento della legge pertanto si è storicamente svolto nell estendere a tutti i lavoratori le tutele che il sindacato aveva conquistato nei settori trainanti dell economia, ma questa prassi ha finito col trasferire alla legge quindi all ordinamento generale, competenze proprie dell autonomia collettiva. Nel mio studio su L efficacia dei contratti collettivi nel pluralismo sindacale (Franco Angeli, 1989), ho sostenuto che la legge legittimamente invade l area dell autonomia collettiva solo allorché viene a tutelare diritti individuali della persona del lavoratore, mentre gli interessi professionali rimangono nella sfera riservata all autonomia sindacale dall art. 39 Cost e la legge non può porre limiti, né ipostatizzare situazioni riguardanti strettamente l assetto di interessi dei rapporti professionali (è di tutta evidenza che non può essere la legge a stabilire la retribuzione dei lavoratori metalmeccanici). Ora, poiché il cosiddetto ordinamento intersindacale garantito dall art. 39 Cost, laddove si dice che l organizzazione sindacale è libera, ricomprende sotto ogni forma l autotutela degli interessi professionali dei lavoratori (e ciò fa sulla base di incontestati poteri di fatto non conculcabili dall ordinamento), laddove si volesse convenire sul fatto che la gestione dei rapporti previdenziali complementari fossero di stretta competenza del sindacato, si dovrebbe concludere per consegnare tutta la previdenza complementare alla libera gestione sindacale conformemente all art. 38 Cost 5 comma e all art. 39 Cost, 1 comma. Del resto, come detto, anche le prime mutue assicurative all inizio del 900 erano di matrice sindacale e solo successivamente nella seconda decade del secolo scorso si è arrivati ad una loro successiva, progressiva pubblicizzazione. 5

6 Orbene, il problema è tutt altro che teorico giacché le ricadute sul piano pratico di queste considerazioni, apparentemente astratte, sono rilevanti per l interpretazione della concreta normativa posta dalla d. lgs. n. 252 del 2005 e segnatamente della questione relativa alla portabilità, che è emblematica della suddetta questione. 2. Il problema della portabilità: tutela del singolo e interesse collettivo. Nello specifico, il problema della portabilità della posizione previdenziale da un fondo ad un altro e della portabilità del contributo datoriale è disciplinata dall art. 14 del d. lgs. n. 252 del Il problema si pone con riguardo alla disposizione contenuta in tale articolo di legge che stabilisce che i contratti collettivi possono prevedere la non portabilità del contributo datoriale; sorge il problema se il legislatore attribuisca un potere al sindacato ovvero prenda atto di un potere negoziale che il sindacato ha di per sé. Tale questione non conduce a conseguenze pratiche fino a che, in conseguenza della suddetta analisi, ci si scontra con il quesito se il sindacato possa inibire il trasferimento dal fondo categoriale del contributo datoriale ad un altro fondo non negoziale. La problematica si pone, invero, in termini non dissimili dalla previdenza obbligatoria in ordine ad un rapporto trilatero e alla giurisprudenza che riconosce da una parte il diritto dell ente previdenziale e dall altra il diritto del singolo all accertamento dell obbligo della contribuzione. Si discute cioè se sia riferibile alla persona del lavoratore in quanto tale, ovvero diventi un diritto del fondo in quanto l obbligazione 6

7 contributiva del datore di lavoro è pur sempre prevista a favore non del singolo ma del fondo pensione. Mentre nella previdenza obbligatoria è l ente previdenziale e non il singolo il formale creditore dei contributi, nella previdenza privata il problema si atteggia con diverse peculiarità, giacché ciò che nella previdenza obbligatoria è stabilito per legge, nella previdenza privata è stabilito invece dalla contrattazione collettiva, il che altera il canonico rapporto trilatero proprio della previdenza pubblica. In effetti, sul piano tecnico, il dato che la previdenza complementare è istituita con un sistema di finanziamento a capitalizzazione a fronte di una previdenza pubblica necessariamente a ripartizione, costituisce un ulteriore dato di specialità che riverbera anche a livello di principio. Qualora dovessimo ammettere la portabilità della contribuzione a carico del datore di lavoro, il sesto comma dell art. 14 del D.Lgs. 252 del 2005 andrebbe letto in relazione al modificato art. 10 del D.Lgs. 124 del 1993 che disponeva che le fonti collettive stabilissero le misure, le modalità e i termini di esercizio per porre in essere la portabilità della contribuzione a carico del datore di lavoro ad altra forma di previdenza complementare. Tale assunto comporta che potrebbe non essere consentito esercitare il diritto al trasferimento in tutte le ipotesi in cui la contrattazione collettiva lo abbia espressamente vietato. Il problema della portabilità ha quindi due aspetti, uno che riguarda il trasferimento del contributo datoriale e l altro, più generale, che riguarda la possibilità di trasferirsi, anche a prescindere dal contributo datoriale, da un fondo ad un altro. Si obietta che, come verremo chiarendo, il divieto alla portabilità del contributo datoriale potrebbe non essere legittimo poiché la legge delega n. 243 del 2004 parla espressamente di libera portabilità e l attuazione con il 7

8 d. lgs. n. 252 del 2005 riconosce tale potere sindacale forse eccedendo la delega legislativa. Si pone poi il problema della possibilità che la contrattazione collettiva ponga divieti sul piano della sanzionabilità endoassociativa, nel senso che si potrebbe ipotizzare una sanzione del sindacato nei confronti del singolo iscritto che potrebbe giungere sino all esclusione del lavoratore dall associazione sindacale, nel caso in cui lo stesso rifiuti di aderire al fondo collettivo chiuso. Ma, la diversa considerazione in termini di libertà assoluta escludente un assoggettabilità anche volontaria ad una regolamentazione collettiva, comporterebbe un evidente contrasto con i principi fondanti dell autonomia collettiva e del diritto sindacale, laddove proprio istituzionalmente la rinuncia alle prerogative individuali consente l esercizio di quella solidarietà superindividuale che nell organizzazione sindacale trova la maggior forza della categoria e quindi la miglior tutela degli interessi anche individuali. Invero, la libertà comprende anche la volontà per il singolo di obbligarsi, limitando la propria libertà sul piano dell autonomia individuale e della delega alle organizzazioni sindacali. Quindi, se il lavoratore iscritto al sindacato gode di un trattamento economico e normativo riconosciutogli dal contratto collettivo firmato dal proprio sindacato, perché questi non potrebbe obbligarsi a limitare la propria libertà vincolandosi al fondo negoziale? D altra parte l iscrizione al sindacato non è obbligatoria, così come non è legalmente imposta l applicazione dei contratti collettivi. Ciò che va sottolineato per comprendere la portata della questione è che il sindacato contratta allo stesso tavolo, ed in una trattativa unitaria, pacchetti di rivendicazioni tra loro sinergiche, relative a tutti gli istituti di 8

9 fondamentale importanza per i lavoratori quali la retribuzione, il contenuto normativo dei contratti collettivi ed anche l eventuale contributo che il datore di lavoro versa al fondo negoziale. Insomma, il costo del lavoro risulta convenzionalmente ripartito in una serie di istituti tra cui acquisterà sempre maggiore importanza la contribuzione alla previdenza complementare. Bisogna a questo punto distinguere ulteriormente tra ciò che il sindacato contratta, e quindi stabilisce con norme collettive vincolanti sul piano del rapporto, e quanto invece il sindacato è libero di imporre sul piano associativo ai propri iscritti. La differenza è sostanziale giacché ciò che il sindacato stabilisce ai sensi della parte normativa del contratto collettivo vincola di fatto anche i non iscritti al sindacato, mentre ciò che impone sul piano associativo vincola evidentemente solo gli iscritti e solo, come si è detto, a livello di sanzioni endoassociative. Negli Stati Uniti si sono registrati, in passato, profonde tensioni all interno delle aziende tra lavoratori giovani e lavoratori anziani, preferendo i primi una maggiore retribuzione e gli anziani, invece, una maggiore contribuzione al fondo pensione, e ciò deve far riflettere sulla sostanziale unicità della tutela complessiva sia sul piano previdenziale che sul piano retributivo. Dunque, considerato che il sindacato ha piena facoltà di gestire la tutela dell interesse collettivo, si ritiene che il singolo riceva diritti derivati che esistono solo in quanto sussiste la disciplina collettiva attributiva di situazione giuridiche che il sindacato può gestire all interno di uno scambio contrattuale complessivo. Ed invero, la ratio della costituzione in capo al singolo lavoratore di posizioni soggettive intangibili da parte dell autonomia collettiva, 9

10 contrasta, come si è detto, con quella funzione normativa del contratto collettivo finalizzata alla tutela dell interesse collettivo, che come tale è superindividuale. In applicazione di tale principio si consideri che nella disciplina istitutiva dei fondi pensione il favore verso l autonomia collettiva si ravvisa con tutta evidenza rispetto agli accordi tra lavoratori e regolamenti aziendali; a conferma di tali affermazioni vi è la disposizione per cui l istituzione di fondi pensione in base a regole diverse dai contratti collettivi è ammessa solo in mancanza di questi. Come si è detto la normativa rispetta il ruolo del sindacato ma non sino al punto di consegnare la materia della previdenza complementare all autonomia collettiva. 3. La legge delega n. 243 del 2004 e l attuazione con d. lgs. n. 252 del 2005: la tesi dell incostituzionalità. A favore della portabilità del contributo datoriale ad un fondo pensione diverso da quello categoriale, come si è accennato, vi è quella parte degli studiosi che adombrano delle incongruenze, e quindi un vizio di costituzionalità, tra quanto previsto dai principi della legge delega n. 243 del 2004 e le disposizioni di attuazione del d. lgs. n. 252 del Se dunque il decreto attuativo ha violato i principi stabiliti nella legge delega, si potrebbe, per contro, arrivare ad ipotizzare che a sua volta la legge delega ha violato la riserva dell art. 39 in favore dell autonomia collettiva: in tal modo la possibilità prevista dal decreto a favore del sindacato di inibire la portabilità del contributo datoriale, avrebbe in qualche modo riportato nei binari del sostanziale rispetto della costituzione la materia del ruolo del sindacato nella previdenza complementare. 10

11 Invero, la citata legge delega per la riforma previdenziale ha, tra i suoi obiettivi espressamente enunciati, quello di sostenere e favorire lo sviluppo di forme di previdenza complementare e, a tal fine si inserisce nel quadro normativo della previdenza complementare tracciato con il decreto legislativo n. 124/93, prevedendo l adozione di misure finalizzate a incrementare i flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementare, collettive ed individuali, con contestuale incentivazione di nuova occupazione con carattere di stabilità, con il conferimento ai fondi pensione, salvo una diversa esplicita volontà del lavoratore, del Tfr maturando (le quote di trattamento di fine rapporto, che i lavoratori matureranno dopo l approvazione dei decreti delegati). La riforma del legislatore delegante mira quindi a rafforzare la previdenza complementare eliminando gli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori all interno del sistema della previdenza complementare, prevedendo la definizione di regole comuni relativamente alla comparabilità dei costi, alla trasparenza e alla portabilità, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari. Prevede altresì che il contributo di parte datoriale possa essere destinato alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore o alla quale egli intenda trasferirsi, ovvero alla forma a cui tacitamente abbia aderito e ciò per rafforzare le regole di parità e competitiva tra le forme di previdenza complementare. Ora, è innegabile che la parità concorrenziale tra le diverse forme pensionistiche complementari fosse un importante obiettivo della legge delega e questo, secondo parte della dottrina, non sembra essere stato perseguito nel decreto legislativo n. 252 del

12 Ma del resto, deve essere osservato che in altre esperienze europee ed internazionali il principio di portabilità del contributo contrattuale alla previdenza volontaria non opera nella maniera prospettata dal legislatore delegante italiano, vale a dire consentendo la portabilità, oltre che del contributo del lavoratore e del TFR, anche del contributo datoriale. La nuova disciplina legislativa, nel suo comlesso, si differenzia profondamente dalle precedenti esperienze connotate, in assenza di specifica regolamentazione, dalla consueta sovraordinazione dell autonomia collettiva su quella individuale. Invero, deve essere posta l attenzione sul fatto che, alla luce della vigente normativa (d. lgs. 252 del 2005), la libertà di scelta del lavoratore si è già pienamente compiuta nel momento in cui quest ultimo ha spontaneamente aderito alla forma di previdenza complementare sindacale. Dunque, come ricordato, ogni fondo nasce sempre in virtù di un iniziativa autonoma di soggetti privati e quindi sia che si tratti di contratti collettivi che di regolamenti aziendali si rientra pur sempre nel campo degli atti di autonomia a carattere negoziale. Ed infatti, con riferimento alla normativa più recente, il d. lgs. n. 252 del 2005, va rilevato che in primo luogo l obbligazione contributiva del datore di lavoro sussiste in quanto il lavoratore abbia aderito ad un fondo pensione sindacale. 4. Conclusioni. La previdenza complementare è destinata a divenire la principale garanzia del reddito nella vecchiaia per quanti possono vantare un adeguato percorso professionale, laddove invece la previdenza obbligatoria sembra dover ridimensionare il proprio ruolo, sotto questo profilo, a fronte di una 12

13 solidarietà di tipo universalistico in considerazione della crisi del sistema a ripartizione e delle profonde modificazioni del mercato del lavoro. Può ipotizzarsi un futuro dove il primo pilastro garantisca un minimo di tutela in una situazione ibrida previdenziale-assistenziale, mentre il secondo pilastro, quello della previdenza complementare dovrebbe garantire un livello di pensionamento meritocratico di tipo previdenzialeassicurativo. L autonomia collettiva dovrà essere protagonista di questa trasformazione e si impone la scelta se questo percorso dovrà svolgersi all ombra di una legislazione vincolistica, anche se con momenti di sostegno all attività sindacale, ovvero in un confronto nel quale i sindacati siano capaci di riprendere quell autonomia che compete loro, quali gestori di interessi collettivi che devono ricomprendere anche il settore della previdenza complementare. In questa prospettiva la contrattazione collettiva, nell ambito dell autonomia dell ordinamento intersindacale, può trovare strumenti di vincolatività in favore delle forme pensionistiche istituiti dalla stessa contrattazione collettiva. 13

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