Pubblichiamo la tesi di laurea in Scienze della Comunicazione della Dott.ssa Pamela Filiberto, dal titolo Il testo stupefacente. La rappresentazione

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1 Pubblichiamo la tesi di laurea in Scienze della Comunicazione della Dott.ssa Pamela Filiberto, dal titolo Il testo stupefacente. La rappresentazione della cocaina nella stampa italiana, nata all'interno di un percorso di studio realizzato nell'ufficio stampa dell'istituto Superiore di Sanità. Il lavoro effettuato riguarda gli articoli pubblicati in Italia sulle testate quotidiane nazionali e locali a partire da gennaio 2003 fino a ottobre 2008, selezionati dall ufficio stampa dell ISS e raccolti all interno del database dell Istituto. Tutti gli articoli contengono argomenti di interesse per l attività di ricerca dell Istituto, tra cui le droghe e le sostanze psicotrope in generale. È stato possibile reperire il materiale giornalistico grazie ad un periodo di stage presso il Dipartimento del Farmaco dell Istituto Superiore di Sanità, e soprattutto grazie alla disponibilità del professor Stefano Canali, ricercatore alla Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati di Trieste e della Dott.ssa Teodora Macchia, del Dipartimento del Farmaco, ISS. L obiettivo dell indagine effettuata, principalmente del contenuto, consiste nell esplorare la comunicazione prodotta per parlare di droga in Italia sui quotidiani nazionali e locali nell intento di comprendere le principali modalità adottate per costruire e confezionare l informazione, in termini di messaggi, campi semantici utilizzati, stili linguistici e narrativi elaborati, i destinatari presupposti, le immagini e le metafore associate al parlare di droga nel linguaggio dei giornalisti e dei giornali. L uso di droghe è legato, nell'immaginario collettivo e in gran parte della letteratura occidentale, a gruppi giovanili che assumono comportamenti "devianti" o quanto meno "a rischio". L ingigantirsi del fenomeno droga ha dato origine a molteplici studi, ricerche ed analisi di tipo sociologico. Partendo da questa premessa, abbiamo indagato l evoluzione del concetto di devianza attraverso lo studio delle diverse teorie elaborate nel tempo, tentando nello specifico di rilevare il cambiamento prospettico che ha riguardato la figura del consumatore di sostanze psicoattive: da emarginato a giovane integrato nella società. In questo senso, è stato molto utile indagare le tappe storiche della diffusione e del consumo delle diverse sostanze, circoscrivendo la nostra analisi dagli anni 30 fino ai giorni nostri. Gli anni 90 rappresentano una tappa importante anche per quanto riguarda la ricerca, dal momento che nasce l OEDT, l Osservatorio Europeo che si occupa di monitorare il mercato e il consumo delle droghe. Illustrando i risultati delle ricerche elaborate dall Osservatorio, giungiamo alla parte del lavoro dedicata alla rappresentazione della cocaina sulla stampa italiana, la sostanza su cui ci siamo focalizzati maggiormente, dal momento che mantiene il più alto trend di crescita del consumo tra la popolazione mondiale. Attraverso lo studio di 300 articoli pubblicati sulle testate nazionali e locali dal 2003 al 2008, raccolti presso l ufficio stampa dell ISS, abbiamo rilevato come il sensazionalismo e l allarmismo, caratteristici del linguaggio dei media, non consentano di rappresentare adeguatamente il fenomeno in tutti i suoi aspetti e tendano a distanziarsi da una corretta comunicazione. Nel campo della dipendenza da sostanze stupefacenti, l informazione può essere considerata elemento di conoscenza indispensabile. Solo una corretta informazione consente di avvicinarsi alla comprensione della natura, delle dimensioni, dell evoluzione e delle motivazioni sottostanti al problema. L informazione, infine, è elemento indispensabile alla valutazione d impatto degli interventi messi in atto a livello preventivo, riabilitativo e di riduzione del danno. Un flusso informativo sulle tossicodipendenze costante, affidabile e aggiornato, rappresenta, dunque, una piattaforma fondamentale per le scelte politiche, amministrative, professionali e culturali di contrasto. La Dott.ssa Pamela Filiberto, è laureata in Scienze delle Comunicazione. È impegnata in attività di divulgazione scientifica, collaborando con importanti riviste scientifiche italiane.

2 Tra i suoi impegni, vi è la partecipazione alla realizzazione della mostra itinerante Psicoattivo, progetto multimediale per l informazione sulle sostanze d abuso e la prevenzione delle tossicodipendenze, ideata dal Dott. Stefano Canali. UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA IL TESTO STUPEFACENTE. LA RAPPRESENTAZIONE DELLA COCAINA NELLA STAMPA ITALIANA PAMELA FILIBERTO RELATORE: PROF. MARIO MORCELLINI CORRELATORE: DOTT. GUIDO VITIELLO CATTEDRA: SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE II

3 INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO I. INTRODUZIONE AL CONCETTO DI DEVIANZA. EXCURSUS DI APPROFONDIMENTO SULLA SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA 1.1 Alcune definizioni di devianza Breve storia del concetto, ovvero del suo uso pratico nella società 1.2 Proprieta del comportamento deviante 1.3 Il quadro di riferimento. Le teorie interpretative della devianza Orientamento di pensiero delle varie scuole sociologiche 1.4 Il positivismo biologico 1.5 Il Paradigma sociale 1.6 Il pensiero di Durkheim 1.7 La teoria struttural funzionalista 1.8 Lo struttural-funzionalismo di Merton Le strategie di adattamento sociale secondo Merton Il concetto di anomia mertoniana Critiche alla teoria di Merton 1.9 La subcultura della devianza giovanile Subcultura di Cohen Critiche alla teoria della subcultura L uso attuale del concetto di subcultura L impiego del concetto di subcultura come termine di classificazione di determinati gruppi di individui 1.10 Il Funzionalismo di Parsons 1.11 Sutherland e la teoria delle associazioni differenziali Elogio e critica della teoria di Sutherland Il superamento della concezione classista di devianza 1.12 Teorie del conflitto. La devianza come costruzione sociale: il paradigma interazionista L interazionismo simbolico 1.13 Sociologia radical della devianza: la Labelling theory Sul concetto di stereotipo e etichettamento 1.14 Teoria del deterrente 1.15 Devianza nell ambito socio-sanitario

4 1.16 Conclusioni. Devianza e relatività della norma CAPITOLO II. DROGHE ED EVOLUZIONE STORICA DEL CONSUMO 2.1 L alba della diffusione delle droghe 2.2 Cambia il consumatore e cambiano le modalità di consumo 2.3 Il significato del termine droga 2.4 Il consumo di droghe 2.5 Le parole-chiave da considerare quando si parla di droghe: dipendenza, uso e abuso 2.6 Le tre determinanti di Zinberg 2.7 Evoluzione storica della droga: fenomeni sociali e di consumo Il consumo di sostanze stupefacenti agli inizi del Novecento: gli esordi del proibizionismo e i primi provvedimenti Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni Nuovi scenari culturali Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni Il consumo delle sostanze stupefacenti negli anni Gli ultimi provvedimenti degli anni 80 CAPITOLO III. LE DROGHE NELLA SOCIETA DEI CONSUMI 3.1 Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni La perdita del centro : la famiglia e l indifferenza dei giovani nei confronti della religione e della scuola 3.2 L OEDT, Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze I Punti Focali Il Progetto ESPAD L Osservatorio Permanente per la verifica dell andamento del fenomeno delle Droghe e delle Tossicodipendenze in Italia 3.3 La Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze in Italia per l anno La Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze in Italia per l anno I giovani consumatori degli anni 90 e l esperienza del consumo Il cambiamento delle funzioni dei servizi per le tossicodipendenze 3.5 Il consumo di sostanze stupefacenti negli anni 2000 fino ai giorni nostri La logica della mancanza sottesa al consumo di merci. La droga come merce

5 3.5.2 I consumatori degli anni 2000 e dei giorni nostri 3.6 La Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia per l anno I nuovi fenomeni d abuso Il Progetto ESPAD 2000: uso di alcool, tabacco e sostanze illecite tra gli adolescenti e i giovani in Italia 3.7 L andamento generale del consumo di cocaina dal 2001 al Indagini sulla popolazione generale Uso di cocaina nei giovani scolarizzati 3.8 La diffusione del fenomeno d abuso in Italia nel La cocaina si diffonde sempre di più Percezione del rischio per le droghe nella popolazione generale e nei giovani scolarizzati Uso di cocaina tra la popolazione e tra gli studenti italiani 3.9 La Relazione annuale 2007 dell Osservatorio Europeo delle droghe e tossicodipendenze Prevalenza e modelli di consumo di cocaina 3.10 Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze in Italia per l anno La Relazione annuale 2008 dell Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze Il consumo di cocaina continua a crescere nonostante la frammentazione del mercato europeo delle sostanze stimolanti Consumo di cocaina tra la popolazione e tra gli studenti 3.12 Cosa induce a sperimentare le droghe 3.13 Proposte di prevenzione 3.14 L informazione sulle droghe e la loro diffusione CAPITOLO IV. LA RAPPRESENTAZIONE DELLA COCAINA NELLA STAMPA ITALIANA 4.1 Comunicare la droga. La rappresentazione della devianza nella stampa italiana Modalità di costruzione della notizia 4.2 La ricerca I numeri in generale Osservazioni preliminari La tipologia degli articoli: informazione, opinione, intervista Gli argomenti Quando scatta l emergenza. I contenuti I Testimoni

6 4.2.7 Il ricorso agli Esperti 4.3 I tentativi di proporre riflessioni e proposte di prevenzione. Il linguaggio e il tono utilizzato dai giornali 4.4 Storia dell informazione sulle droghe 4.5 Una chiave di lettura 4.6 Quantità di notizie relative al crimine e quantità reale di crimine. Informazione e Comunicazione CONCLUSIONI ALLEGATO 1 BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA

7 INTRODUZIONE Dai dati dell ultima relazione annuale dell Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, relativa al 2008, leggiamo una situazione positiva per alcuni tratti e preoccupante per altri. Sembra, infatti, che il consumo di sostanze stupefacenti in Europa si sia stabilizzato e si può osservare un incremento pari a zero per la maggior parte delle forme di consumo, se non addirittura una tendenza alla diminuzione dell uso, come nel caso delle amfetamine e dell ecstasy. Come cercheremo di dimostrare in seguito, le buone azioni non fanno notizia e spesso passano inosservate. Su altri, invece, si focalizza maggiormente l attenzione dei mezzi di comunicazione di massa. In effetti, molti aspetti sono ancora preoccupanti, tra cui, per esempio, l aumento costante del consumo di cocaina tra la popolazione europea, soprattutto tra i giovani. Si calcola che circa 12 milioni di europei tra i 15 e i 64 anni, l abbiano provata almeno una volta nella vita e 4 milioni hanno usato la sostanza nell ultimo anno. Esistono marcate differenze tra i Paesi per quanto riguarda la diffusione del consumo. L Italia è ai primi posti, preceduta solo dalla Spagna e dal Regno Unito. Altro dato da segnalare, la prevalenza più marcata del consumo, nell ultimo anno e nell ultimo mese, nella fascia d età anni. Come si pone la stampa italiana in rapporto a questo delicato tema? L interrogativo ha accompagnato la stesura del presente lavoro, il quale si è posto l obiettivo di analizzare l esperienza maturata, in tema di droghe, nel settore della comunicazione tra stampa e pubblico dei lettori. Spesso, sfogliando le pagine dei quotidiani o delle riviste più popolari, leggiamo: c è ancora chi crede che sia innocua, che il suo effetto duri soltanto lo sballo di una notte; giusto il necessario per sentirsi eccitati, instancabili, capaci di restare in pista fino all alba. I giovani la consumano con leggerezza nelle discoteche, in feste private, il sabato sera. Sono stralci di un articolo di Panorama intitolato, inevitabilmente, La demenza del sabato sera. Il tema della droga, nonostante la sempre maggiore problematicità che lo interessa, viene perciò affrontato con i modi e gli strumenti di sempre. Se è vero che per far capire al pubblico concetti non usuali e non facili, e come nel caso della droga, delicati, soprattutto perché si discostano dalle opinioni radicate nella coscienza, occorrono innanzitutto capacità di sintesi, organizzazione dell esposizione e un linguaggio chiaro, qualsiasi buon giornalista dovrebbe essere un bravo divulgatore. In realtà, come vedremo nel corso del presente lavoro, in particolare nella parte dedicata all analisi degli articoli apparsi sui quotidiani nazionali, questo non si verifica spesso, dato che trattare di argomenti scientifici richiede al giornalista generico un bagaglio di conoscenze tecniche basilari senza le quali rischia di dare informazioni inesatte o addirittura errate. Ecco perché la scienza viene scavalcata dal sensazionalismo dei giornalisti in cerca di scoop, propensi ad enfatizzare gli aspetti emotivi dell argomento trattato, a scapito dei valori sostanziali di esso. Una massima basilare del giornalismo, è quella che dice: scrivi ciò che conosci. Per informare bisogna quindi informarsi. Il punto di partenza della nostra elaborazione teorica affronta innanzitutto il modo in cui il fenomeno droga viene trattato dai mezzi di comunicazione di massa in generale, e dalla stampa in particolare, la quale tende ad assimilare le riflessioni sulle droghe alla discussione sulla devianza. La Sociologia della devianza ha impegnato le sue energie nell analisi del ruolo che i mezzi di comunicazione giocano sull opinione pubblica circa la costruzione e la delimitazione del concetto di devianza e dei relativi stereotipi. L area della devianza è di norma relegata nelle pagine di cronaca nera, priva perciò di interpretazione e contestualizzazione, e i protagonisti delle notizie di cronaca nera non hanno altra storia all infuori di quella unidimensionale dell atto deviante. Riflettendo su questa premessa, abbiamo analizzato, nel primo capitolo, l evoluzione del concetto di devianza, attraverso la ricostruzione delle diverse teorie che si sono succedute nel tempo e dei

8 relativi studiosi che le hanno elaborate, dal concetto di anomia di Durkheim, allo strutturalfunzionalismo di Merton, dal concetto di subcultura di Cohen, alla teoria della associazioni differenziali di Sutherland, prendendo in considerazione il Labelling Approach, l interazionismo simbolico e la teoria del deterrente. Associando il consumo di sostanze psicoattive alla devianza, emerge una figura del consumatore come rinunciatario sia degli scopi socialmente proposti al soggetto, sia delle mete concretamente disponibili per raggiungerli. Sappiamo ormai che la figura del consumatore è cambiata al giorno d oggi, e che il consumo di sostanze psicoattive attraversa diverse fasce della popolazione, tra cui giovani perfettamente integrati nella società e lavoratori, anche di successo, che sperimentano le sostanze nel loro tempo libero. Il secondo capitolo vuole essere, quindi, un analisi temporale della società e dei suoi costanti mutamenti negli anni, nel suo rapporto con le sostanze stupefacenti. L analisi ripercorre le tappe dell evoluzione storica della droga, partendo dai primi anni del 1900, sia dal punto di vista dei fenomeni sociali, sia di quelli del consumo, cercando di capire come nelle diverse epoche, in rapporto alle diverse configurazioni economiche e produttive, in rapporto ai differenti scenari culturali e istituzionali, il fenomeno droga si sia manifestato e quale funzione abbia esercitato sulla scena sociale. Questa seconda parte, vuole essere una dimostrazione del fatto che il rapporto tra uomo e droghe è costante nell evoluzione di tutte le società umane, che le hanno usate per diversi scopi: medici, magici, religiosi, cerimoniali o semplicemente ricreativi. La storia insegna che la problematicità e la pericolosità del consumo di sostanze non dipende solo dalle sostanze stesse, ma va cercata anche nei processi economici, sociali, nelle mode e nei valori dominanti, nelle trasformazioni dei significati che l uomo dà a se stesso, alla sua vita, agli altri, al mondo con cui entra in relazione. Uno studio di questo genere non può prescindere dalla definizione chiara del termine droga, senza la quale non si può intraprendere un percorso volto ad individuare il ruolo e la funzione che le sostanze psicoattive svolgono nell ambito dell esistenza umana. Nello stesso tempo, abbiamo individuato le parole-chiave da considerare quando si parla di droghe, ossia dipendenza, uso e abuso, dando ad ognuno di questi termini una precisa definizione. Il terzo capitolo si apre con l analisi del consumo negli anni 90, decennio importante per il panorama culturale del nostro Paese, dal momento che la crescente complessità sociale e la rapidità dei mutamenti politici, economici, tecnologici e culturali rendono instabile qualsiasi certezza, non solo sul piano religioso e morale, ma anche riguardo la stessa identità individuale. Il consumo di sostanze psicoattive diventa un fenomeno su larga scala, ma con caratteristiche particolari, che lo differenziano dal tipo di consumo di una qualsiasi altra merce. In questi anni cresce l esigenza di un maggiore monitoraggio del mercato e del consumo di sostanze psicoattive, ed è su queste premesse che nasce, nel 1993, l OEDT, ossia l Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, con l obiettivo di raccogliere e divulgare informazioni obiettive, affidabili e comparabili sul fenomeno droga in Europa. Questa parte del lavoro dedica ampio spazio ai risultati delle ricerche effettuati dall Osservatorio nei diversi anni di indagine, fino ad illustrare lo stato attuale del consumo, illustrando i dati dell ultima relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze, quella relativa al In Italia, i dati relativi alla diffusione del consumo di droga si possono rilevare dalla Relazione annuale al Parlamento sullo Stato delle Tossicodipendenze. Anche in questo caso, si è proceduto ad una raccolta di dati attraverso le rilevazioni effettuate nei vari anni, con l obiettivo di delineare un quadro chiaro e preciso dell evoluzione e della diffusione delle sostanze psicoattive in generale, e della cocaina in particolare. Gli anni 2000 sono caratterizzati da accelerazione, istantaneità, velocità di movimento. Chi non è in grado di muoversi altrettanto velocemente, rischia di essere dominato. Cambia, in questi anni, anche la modalità e la tipologia dell offerta delle varie sostanze psicotrope, come pure l identità e l identificazione delle diverse fasce di consumatori. Anche per questi anni, e fino ai giorni nostri,

9 cercheremo di delineare la situazione generale che caratterizza la diffusione e il cambiamento del consumo attraverso l analisi dei dati forniti dai diversi Osservatori (quello europeo e quello italiano). Alla luce delle considerazioni fatte intorno alla natura mutevole e dinamica della diffusione delle droghe, nel capitolo IV si tenta di capire se la stampa italiana rappresenta adeguatamente il fenomeno in tutti i suoi aspetti e riflette la reale situazione oppure se gli intenti tipici dell informazione giornalistica si distanziano da una corretta comunicazione. Nel corso della storia, ogni qual volta un particolare medium è diventato ampiamente accessibile al pubblico, sono sempre nate controversie intorno ai possibili effetti negativi dei suoi messaggi.1 In qualsiasi modo si affronti il problema dell influenza dei media, nella società moderna essi rappresentano un mezzo di comunicazione molto potente e l utilizzo di strumenti mediatici appare una strategia di fondamentale importanza per trasmettere informazioni di tipo sanitario a tutta la popolazione, per sensibilizzare su diversi argomenti per la salute collettiva ed individuale, per prevenire l assunzione di comportamenti dannosi per sé e per gli altri e per correggere atteggiamenti dannosi a favore del proprio benessere. Il lavoro si è basato sull analisi di 300 articoli pubblicati sulle testate quotidiane nazionali e locali dal 2003 al 2008, tutti aventi per argomento la cocaina, raccolti presso l ufficio stampa dell Istituto Superiore di Sanità. Gli articoli, inseriti in un database e successivamente oggetto di un analisi del contenuto, hanno offerto uno spunto di riflessione per individuare il ruolo ricoperto dai mezzi di comunicazione cartacei nel processo di costruzione delle conoscenze e delle opinioni dei lettori intorno a questo argomento. Vedremo più avanti, nel corso del presente lavoro, che l allarmismo e il sensazionalismo, caratteristica del linguaggio dei media, rappresentano gli elementi maggiormente presenti nella costruzione della notizia, funzionali sicuramente a destare l attenzione per qualche giorno, a suscitare curiosità, ma non in grado di fornire le conoscenze adeguate che permettano al lettore di costruirsi una opinione generale sul tema e comprendere il variegato mondo dei consumi e degli stili che caratterizzano i soggetti che ne sono protagonisti. Di fronte ad un tema critico come quello della diffusione del consumo di cocaina, la stampa dovrebbe tenere bene a mente la diversità delle persone a cui desidera rivolgere i propri messaggi, e quindi anziché fermarsi alla trattazione dei semplici fatti, costruire una informazione che porti ad una comprensione più autonoma, matura e complessa del fenomeno.

10 CAPITOLO I. INTRODUZIONE AL CONCETTO DI DEVIANZA. EXCURSUS DI APPROFONDIMENTO SULLA SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA La droga è da sempre un dispositivo ambiguo, un meccanismo al margine del caos, un ordigno posto al confine fra il beneficio e il danno, il piacere e l abbrutimento, la medicina e il veleno. E così, mentre tanti operatori ed esperti richiamano l attenzione sui guasti, persino irreversibili, che il consumo di ecstasy può produrre sulla mente e sul corpo di milioni di giovani, la Medical University of Columbia annuncia all inizio del 2002 l avvio di una ricerca scientifica diretta da Michael ed Annie Mithoefere, una coppia di psichiatri del South Carolina, per verificare l ipotesi che l ecstasy possa avere validi effetti terapeutici in casi di disturbo da stress o se possa curare gravi forme di ansia connesse a traumi psicologici. [1] Il fatto è che in Italia, ma, bisogna dire, non solo nel nostro Paese, è difficile discutere di queste cose considerando gli aspetti concreti del problema, le ipotesi in campo che possono o non possono conseguire talune iniziative valutandoli sul terreno del rapporto fra costi e benefici. Le contrapposizioni divengono subito di principio, venendo condizionate più che da legittime differenze nei punti di vista e nelle impostazioni argomentative, da pregiudizi di ogni genere, ideologici, culturali, religiosi; e per questo, sia l analisi del fenomeno, sia la ricerca di più avanzate ed efficaci soluzioni del problema, difficilmente riescono a fare sensibili passi avanti. Le difficoltà che si incontrano su questo terreno sono anche reali ed effettive: il fatto è che la riflessione sulla droga non è assimilabile disinvoltamente alla discussione che si può svolgere su come affrontare qualsiasi altro genere di devianza. [2] La sociologia, ha spesso posto come oggetti di analisi meritevoli di attenzione, i comportamenti e i fenomeni di devianza, ossia di allontanamento di individui o di gruppi dalle norme condivise all interno di ogni specifico contesto sociale. Le molteplici forme di comportamento deviante sono state perciò sempre più analizzate e discusse a mano a mano che aumentava la loro visibilità, la loro rappresentazione ed enfatizzazione sui mass media, il loro trattamento all interno di politiche pubbliche di prevenzione e controllo. Delitto, reato, crimine, delinquenza, anomia, ribellione, dissenso, patologia, misfatto, eresia, anticonformismo, eccentricità, disadattamento, emarginazione, marginalità, diversità. Con queste parole sono state di volta in volta definite le varie forme di comportamento sociale che violano le regole, le norme o le leggi di una società, che non ottemperano agli obblighi, alle convenzioni diffuse, che non rispondono alle aspettative che gli altri nutrono nei confronti di chi occupa un determinato ruolo. La categoria oggi più comunemente usata per definire questo vasto settore di comportamenti disapprovati o illeciti è quella, onnicomprensiva, di devianza.[3] Il termine, utilizzato da Durkheim nell ambito dei suoi studi sull anomia, fu reinterpretato da Parsons all interno della teoria struttural-funzionalista e, in particolare, con la sua opera più nota, Il sistema sociale (1951). Il comportamento deviante varia a seconda del tempo, del contesto, dell appartenenza culturale e del ruolo; dipende dalle norme storicamente e socialmente costruite e dalle sanzioni che ne risultano dalla loro trasgressione. Non sempre la devianza è disfunzionale; anzi, svolge in certi casi una funzione positiva di regolazione dei comportamenti, favorisce la creatività, serve da riferimento negativo per il controllo sociale.

11 1.1 Alcune definizioni di devianza Molti studiosi hanno focalizzato i loro studi sui fenomeni di devianza, cercando di isolare i principali elementi che consentono di dare una definizione il più possibile completa del termine. Quindi Cohen, nel 1966, considera deviante quel comportamento che viola le regole, così come Leonardi nel 1967 definisce come devianza un comportamento non conforme ai modelli che risultano prescritti in una comunità o gruppo e che quindi viola le aspettative istituzionalizzate. Johnson (1960), afferma che conformità e deviazione hanno significato soltanto in rapporto al fatto che i soggetti agenti o attori nei sistemi sociali sono orientati verso norme sociali che sono interiorizzate come parte della loro personalità, mentre per Gennaro (1993) è deviante il comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale.[4] Dalla esemplificazione è difficile trarre una definizione complessiva di devianza; si può comunque tentare di isolare alcuni elementi che presentano aspetti problematici: La devianza è riferita ad una violazione della norma. Non si tratta solo della violazione intenzionale di un modello di comportamento istituzionalizzato, ma anche più semplicemente di una difformità da caratteristiche somatiche, psichiche, morali, culturali ecc. ritenute normali in un determinato contesto sociale. In questo senso, tuttavia, si parla di diversità più che di devianza, anche se i due termini sono spesso molto vicini nell uso quotidiano e vengono, per questo, utilizzati erroneamente come sinonimi. Così è considerato deviante (perché diversa ) una persona notevolmente più alta o più bassa della media, un uomo dal diverso colore di pelle, mentre è considerato un comportamento deviante, in virtù delle definizioni date dai diversi studiosi e illustrate poco sopra, il furto in una società che sanziona la proprietà privata, così come il consumatore di sostanze psicoattive, deviante in una società, come quella attuale, influenzata per millenni dall immaginario culturale del Cristianesimo, che con le sue prescrizioni, il suo precetto, non persegue, in nessun modo e in nessuna forma, la ricerca del piacere, dell oblio, dell abbandono, dell ebbrezza.[5] Neppure il lenimento del dolore, la missione pietosa del medico, avrebbero avuto una vita facile, anzi il Cristianesimo avrebbe eretto una vera e propria costruzione mitica sull ideale della sofferenza, del dolore, dell astinenza dai piaceri della carne, della rinuncia, della continenza. Nel 391, infatti, con l elevazione del Cristianesimo a religione di stato, si assiste alla promulgazione del divieto verso tutte le forme di culto pagane. La nuova religione procede a smantellare i capisaldi del paganesimo ed elimina ogni forma di soggezione o di trance nelle cerimonie ufficiali, sia iniziatiche che commemorative. D ora in avanti la magia non è più semplicemente condannata in teoria, ma proibita e punita negli atti. [6] La visione cristiana, al contrario, avversa fortemente qualsiasi tentativo di ricercare l euforia o l ebbrezza attraverso i diversi preparati psicoattivi, una pratica che viene considerata del tutto opposta a quei principi morali che corrispondono nei fatti con l accettazione di un obbedienza assoluta alla volontà di un Dio onnipotente. Per questo, gli imperativi della dottrina cristiana, diversamente dai principi delle religioni politeiste, respingono il ricorso a esperienze indotte da piante allucinogene [7] e di fronte all esigenza, di scegliere quale droga proibire, e quale tollerare o rendere lecita, avrebbe risposto, innanzitutto, in positivo, e in modo assai intelligente, eleggendo la droga più semplice, più diffusa, più popolare e forse più buona dell epoca, alla posizione di centrale oggetto simbolico del suo rituale, conferendo, cioè, al vino, alla bevanda alcolica più tipica e caratteristica del mondo mediterraneo, un connotato mitico, mistico e sacrale. Se è vero che il vino è la droga istituzionale della fede cristiana, bisogna pure aggiungere che nella tradizione della Chiesa, anche del consumo di questa sostanza, assolutamente non penalizzata, in quanto tale, sono in ogni caso severamente condannati gli eccessi.[8] Come fa

12 Paolo nella Lettera agli Efesini quando stigmatizza l ubriachezza, consigliando, implicitamente, la moderazione nell uso del vino. [9] Le varie definizioni avanzate sembrano, inoltre, supporre che la devianza non sia una condizione inerente ad un determinato comportamento o caratteristica, ma sia una condizione attribuita dal di fuori, cioè socialmente, ad un certo modo di essere o di agire, difforme dagli standard accettati. È il caso della stigmatizzazione che la cultura attribuisce a determinati gruppi, come è successo nel momento in cui nacque il termine tossicomania, apparso per la prima volta nel 1909 ad opera del medico Louis Viel, che scrisse in un articolo sulla rivista Presse mèdicale: Tossicomania indica, in modo tanto comodo quanto esatto, l intera categoria di persone le quali, per abitudine, si intossicano con prodotti diversi allo scopo di procurarsi sensazioni piacevoli, la cui forma ed intensità cambia a seconda della natura e della quantità della sostanza utilizzata, sensazioni che possono andare dall attenuazione o dalla cessazione di un dolore fisico, alla semplice euforia, all eccitazione piacevole, fino ai sogni, alle allucinazioni, ai godimenti, alle voluttà misteriose dei paradisi artificiali. [10] Il principale risultato del termine tossicomania fu di relegare in una stessa categoria (i tossicomani), peraltro piuttosto vaga, un insieme di persone non facilmente collocabili nella nosografia ufficiale, sottolineandone il comportamento antisociale e/o la fragilità della costituzione mentale: insieme ad altri disturbi del comportamento, le tossicomanie verranno così classificate tra le psicopatie o tra le sociopatie. [11] Oltre al problema della definizione della devianza in termini di oggettivo/soggettivo e di nonconformità/difformità, si pone il quesito della estrema relatività di ogni definizione di devianza. In realtà, la devianza, proprio in rapporto alla variabilità della norma, è commisurata a dimensioni spazio-temporali estremamente mutevoli. Infatti non solo cambiano le norme, ma cambiano anche i limiti di tolleranza attorno alla norma ed i criteri di valutazione negativo-positiva dei comportamenti e delle caratteristiche non conformi o diversi. Il fenomeno della devianza ha a che fare con i processi di formazione e mantenimento del potere, in quanto si pone in alternativa al controllo sociale o almeno indirettamente esprime la necessità del cambio come contrapposta alla necessità dell ordine sociale. Di qui la conseguenza ovvia che nessuna società, per poco che sia interessata alla propria sopravvivenza, può ignorare la realtà della devianza: generalmente ogni comunità toccata dalla devianza, e tutte lo sono, cerca di comprendere teoricamente la devianza (e perciò la interpreta a modo suo) e di controllarla sul piano pratico (e da qui l elaborazione delle varie modalità di contenimento, stigmatizzazione, sanzione). La devianza, almeno nei casi in cui si tratta di comportamento deviante, è in rapporto ovviamente ai processi di socializzazione (attraverso cui si attua l interiorizzazione delle norme) per più motivi: i differenti esiti della socializzazione in individui diversi spiegano infatti come taluni siano in grado di esercitare un controllo interno nei propri riguardi (orientandosi al conformismo) ed esterno nei riguardi altrui (stigmatizzandone il comportamento o la qualità diversa ) e come altri soggetti siano invece inclini alla difformità e al non conformismo. La devianza risulta quindi essere una modalità di azione ostile, uno stile di vita, da prevenire, reprimere, controllare, trattare. [12] Breve storia del concetto, ovvero del suo uso pratico nella società Nello studio dei fenomeni di devianza, si sono succedute diverse teorie e prospettive di analisi, che analizzeremo tra breve, e che hanno risentito delle condizioni socio-culturali e temporali in cui si sono sviluppate, focalizzandosi, di volta in volta, su aspetti diversi del problema, a seconda del

13 paradigma di riferimento, del livello di analisi, delle variabili considerate e così via. Possiamo, di conseguenza, tentare di costruire una percorso non solo storico, ma anche di pensiero, che il concetto di devianza compie nel tempo: Da principio, la devianza è spiegata in termini morali (il peccato), condizionata, come abbiamo detto precedentemente, dai precetti del Cristianesimo; Poi la devianza viene fatta coincidere con la criminalità. È in questo contesto che si sviluppa la teoria di Lombroso sull uomo delinquente, che analizzeremo nella parte dedicata al Positivismo biologico; Distinta dalla criminalità, la devianza diventa un tema di indagine sociologica: per il funzionalismo è un anomalia nei processi di integrazione sociale; Nascono, quindi, diverse teorie sulla devianza; La devianza, da questo momento in poi, cessa di essere un oggetto in sé di indagine sociologica per diventare una chiave analitica: studio dell ordine sociale e della sua riproduzione, come analizzerà Goffman nella sua teoria dell etnometodologia;[13] La devianza è una chiave analitica utile per indagare i rapporti tra potere-sapere, tra sorveglianza e controllo, e la funzione svolta dalla definizione di anormalità. Si inseriscono, in questo filone di studi, le analisi fatte da Foucault, e da Bauman;[14] La devianza è, quindi, una costruzione sociale: è una risposta inadeguata alle norme sociali costruite all interno di una cultura ed è attribuita ai soggetti che trasgrediscono dette norme. [15] È così che le droghe, vengono usate per contravvenire a regole e criteri statici e immutabili, scommettendo sui possibili, casuali, benefici derivanti dalla devianza, ma nello stesso tempo sono usate anche, in modo deliberato e consapevole, per favorire la fabbricazione di nuovi schemi, per rendere sperimentabile, concretamente, la possibilità di un altro mondo, per razionalizzare in modo individuale e collettivo la verità tangibile intorno all esistenza di una dimensione altra della vita, di una realtà parallela, trascendente. [16] Nella società complessa è più probabile che uno trasgredisca le norme, visto che ce ne sono tante quante i sottosistemi, le subculture, i contesti che la integrano. Il controllo sociale tende a minacciare, piuttosto che punire la devianza non intenzionale. Alcune persone sono considerate devianti non per quello che fanno o per l intenzione o meno di farlo ma per quello che rappresentano in sé stessi: subentra, quindi, la questione dello stigma. Le persone possono essere stigmatizzate in base alle caratteristiche fisiche e psichiche: il colore della pelle, l appartenenza culturale. Del processo di stigmatizzazione ce ne occuperemo più avanti nel paragrafo dedicato alla teoria dell etichettamento. 1.2 Proprieta del comportamento deviante Alla luce delle considerazioni fatte fino a questo punto, possiamo cominciare a riferirci alla devianza in termini di comportamento deviante, dal momento che è proprio il comportamento di un individuo che porta alla violazione della norma e a renderlo per questo motivo deviante agli occhi della società. Cerchiamo, allora, di isolare alcuni elementi che, nel loro insieme, costruiscono la devianza: innanzitutto, la devianza si determina quando le aspettative connesse ad un orientamento normativo vengono deluse;

14 il comportamento deviante viene, inoltre, definito come tale da un gruppo, sicchè mutando il gruppo può mutare l individuazione di ciò che va considerato deviante; interviene anche l elemento culturale. Ne deriva che il medesimo comportamento, definito come deviante in un certo contesto culturale, può apparire come non deviante in un altro. Si prenda come esempio la concezione delle sostanze stupefacenti in Italia e in Olanda, dove l approccio verso le sostanze risulta diverso soprattutto a causa di una differenza culturale e anche politica; infine, diversi tipi di devianza appaiono collegati a determinati ruoli sociali. [17] Per comprendere gli elementi che abbiamo appena delineato, possiamo servirci delle riflessioni di Parsons, secondo il quale, le norme sono in larga misura estrinsecazioni, specificazioni di valori sociali. Attraverso i processi di socializzazione questi valori vengono appresi ed interiorizzati dai membri della collettività, segnatamente nel periodo dell infanzia. Emerge quindi un nucleo centrale di valori, atteggiamenti, sistemi proiettivi ecc. che sarà comune alla pressochè totalità dei socializzandi. [18] Questa teoria, afferma la preesistenza di una norma, cioè l esistenza di un consenso intorno a certi modelli di comportamento. Il secondo elemento che caratterizza la devianza, sottolinea l incidenza del gruppo come quadro di riferimento entro cui maturare la definizione di un comportamento in termini di conformismo o devianza. Nella prospettiva dei positivisti, questa seconda proprietà viene a postulare i termini di un relativismo culturale. Merito storico dei positivisti è stato quello di abbattere la barriera costituita dalle credenze di tipo analitico, cioè si dà rilievo costituito solo ad un numero ristretto di devianze, e ad esse si riconosce una determinata caratteristica comune, come ad essere dannose per la società o di offendere sentimenti universali. Invece per i positivisti, la devianza non è l omicidio, ma è la violazione di un aspettativa istituzionalizzata. [19] La terza proprietà considera il fatto che all interno di uno stesso gruppo o contesto culturale, lo stesso comportamento può essere soggetto a valutazioni diverse e ciò dipende dal modo in cui la situazione viene socialmente definita. Un momento fondamentale della socializzazione infantile è proprio l apprendimento di questa dimensione situazionale insita nei significati del comportamento sociale. [20] Infine, in una prospettiva generalizzante, si può sostenere che alcune fattispecie di devianza siano più ricorrenti in un determinato gruppo o di una classe. L ultima proprietà, inoltre, è molto importante soprattutto per quello che nega: la sua accettazione determina la definitiva dissoluzione della concezione analitica della devianza, elaborata principalmente da Lombroso il quale, attraverso una ricostruzione del comportamento criminale presso gli esseri inferiori e i popoli primitivi, giunge a correlare crimine e persistenza di tratti fisici che testimoniano in alcuni individui una mancanza di compimento dell evoluzione verso la civiltà e la capacità di controllo.[21] 1.3 Il quadro di riferimento. Le teorie interpretative della devianza Considereremo, in questo paragrafo, le teorie interpretative della devianza in una visione d'insieme, tra quelle tradizionali e quelle moderne. La distinzione delle teorie tra tradizionali e moderne viene utilizzata esclusivamente per ragioni di praticità, cioè per distinguere le teorie più recenti (moderne) come l'interazionismo, da quelle originate e sviluppate durante la prima metà del secolo scorso (tradizionali) come, ad. esempio, le

15 teorie orientate allo studio dei problemi sociali della Scuola di Chicago. Le teorie che spiegano la devianza variano, inoltre, a seconda del paradigma in base al quale si orientano (ad es. positivistico, funzionalistico, interazionista), al focus della spiegazione (il deviante, la reazione sociale alla devianza), al livello di spiegazione (macro o micro-sociale), al tipo di rapporto che esiste tra le variabili (causa-effetto, probabilità) e alla presa in considerazione o meno dei valori nella ricerca. Nella Sociologia della Devianza, ad esempio, la molteplicità dei paradigmi può essere osservata nel modo diverso di interpretare il comportamento deviante a partire dal positivismo, dal funzionalismo e dall'interazionismo. Le teorie tradizionali, quelle della prima metà del secolo XX, utilizzate dalla Scuola di Chicago per spiegare i problemi sociali, hanno in qualche modo una tendenza funzionalista. Cercano la causa del comportamento deviante nella disorganizzazione sociale del territorio, cioè nella disfunzione di una parte della società. La loro domanda viene focalizzata soprattutto sul perché un soggetto tende ad essere deviante. Esistono approcci diversi all'interno di uno stesso paradigma: per Sutherland è una questione di apprendimento; Merton la spiega come conseguenza della tensione (strain) prodotta da uno scarto tra fini ricercati e i mezzi disponibili per attingerli. Nel panorama della sociologia della devianza, si può giungere alla distinzione tra le teorie oggettivistiche e quelle soggettivistiche, a seconda dell'oggetto focalizzato. Le teorie oggettivistiche definiscono la devianza come violazione della norma sociale. La devianza in questo senso è un dato oggettivo, il che significa che il ricercatore può identificare un atto come deviante attraverso il confronto tra l'atto stesso e il codice normativo (informale, formale o sanitario) disponibile in una determinata società. Queste teorie spiegano la devianza come il risultato del condizionamento di fattori strutturali, culturali e dei processi interattivi al cui interno i singoli individui mantengono uno status deviante. Un esempio è la definizione di Cohen: la devianza è il comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate, cioè, quelle aspettative che sono condivise e riconosciute come legittime all'interno di un sistema sociale. [22] La concezione soggettivistica, a sua volta, definisce la devianza come un atto (reale o immaginario) che è stato identificato come deviante dalla gente. Quindi in questa concezione è la reazione sociale a definire se un atto è o meno deviante. Un esempio è la definizione di devianza data da Becker: da questo punto di vista la devianza non è una qualità dell'atto che una persona commette, ma piuttosto una conseguenza dell'applicazione da parte degli altri di regole e sanzioni ad un deviante. Il deviante è uno per il quale questa etichetta è stata applicata con successo; il comportamento deviante è un comportamento così definito dalla gente. [23] Alcune teorie si sviluppano all'interno di un approccio macro-sociologico allo studio della devianza. In questo caso il ricercatore tende a guardare piuttosto alle variabili strutturali (culturali, economiche, sociali) che condizionano il comportamento delle persone. È il caso delle ricerche intraprese da E. Durkheim che cercava le cause del suicidio nella condizione di anomia delle società in rapida evoluzione. In questo senso la figura del tossicodipendente può essere rappresentata come il tipo di suicidio che Durkheim definisce anomico, proprio cioè, di che è carente di qualunque norma sociale. [24] Le teorie più recenti sono tendenzialmente di carattere micro-sociologico e sottolineano le variabili psicosociologiche, l'interazione sociale e il comportamento nei gruppi. Erving Goffman, ad esempio, focalizza la sua ricerca sui soggetti e sui gruppi di soggetti sottoposti alla reazione sociale e da essa stigmatizzati.[25] Le teorie tradizionali concepiscono un rapporto tra le variabili nella modalità causa-effetto. Tendono ad affermare che, ad esempio, la disgregazione familiare causa la tossicodipendenza. Le teorie più

16 recenti arrivano a conclusioni meno rigide, basate sulla co-varianza e sul calcolo delle probabilità: ad esempio la disgregazione familiare aumenta la probabilità, e quindi è un fattore di rischio, dell'uso di droga. Ricordando le condizioni fisiche dei soggetti, si può osservare che da Lombroso in poi si sono cercati sistematicamente dei segni e degli indizi fisiologici, costituzionali, genetici, ormonali, neurologici ecc., in grado di distinguere e rendere riconoscibile, individuabile oggettivamente il criminale rispetto al non criminale, il perverso, il cattivo, il pericoloso sociale rispetto al normale. Cesare Lombroso nella sua opera più nota, L uomo delinquente, formulò la sua ipotesi del delinquente nato [26] come tipo antropologico distinto, con tendenza coattiva a commettere crimini, caratterizzato da anomalie, malformazioni e asimmetrie dello scheletro, del cranio, della faccia. [27] Orientamento di pensiero delle varie scuole sociologiche Sin dal sorgere della Criminologia e della Sociologia della Devianza, le teorie che si proponevano di spiegare la criminalità e la devianza in genere, si distinsero, secondo le scuole di pensiero che le elaboravano, in due orientamenti: l'indirizzo individualistico e l'indirizzo sociologico. Il primo, incentra il suo studio sulla personalità del singolo individuo delinquente ed individua le cause della criminalità nei fattori endogeni: esso sostiene la predisposizione individuale alla delinquenza, cioè la probabilità dei soggetti segnati da certe caratteristiche di pervenire al crimine. Viceversa, il secondo, muovendo dal postulato che il reato non è un fatto individuale isolato ma un prodotto dell'ambiente, incentra lo studio della criminalità sulla realtà socio-ambientale e ricerca le cause della delinquenza in fattori esogeni: il delitto è un fenomeno sociale generale, non eliminabile, ma modificabile nella qualità e quantità col mutare del contesto sociale in cui si manifesta. Lontane dal determinismo biologico ma vicine all'indirizzo socio-psicologico, si pongono le principali teorie sulla devianza dei tossicodipendenti, le quali considerano il comportamento deviante come la risultante del disadattamento sociale e dei sentimenti di esclusione e di frustrazione vissuti nella società. Tali teorie ricercano le cause della devianza nelle disfunzioni della società. All interno delle teorie sociologiche troviamo due teorie fondamentali: teorie del consenso, secondo le quali le regole poste dalla società si reggono sul consenso della maggior parte dei cittadini ai quali si contrappongono come eccezione i devianti; teorie del conflitto, secondo le quali i modelli normativi e comportamentali della società non esprimono le scelte della maggioranza, ma sono il frutto dell imposizione delle minoritarie classi dominanti. Cambia il modo di intendere la devianza. All interno delle teorie del consenso abbiamo: a. Teorie delle aree criminali Negli anni 40 la scuola di Chicago elaborò la teoria ecologica o delle aree criminali. Si osservò che nelle zone urbane economicamente e socialmente depresse e ad alta concentrazione criminale, il rischio di divenire delinquente è molto alto. b. Teorie della disorganizzazione sociale Secondo tale teoria esiste una stretta dipendenza tra destabilizzazione dei valori culturali di una società e la irregolarità di condotta dei suoi membri. La disorganizzazione sociale può prodursi anche quando in una società esistono contraddizioni normative o conflitti di norme. Ciò avviene quando, ad esempio, vi sia socializzazione difettosa o mancante, oppure quando vi siano deboli sanzioni per certi delitti o ancora, quando vi sia inefficienza o corruzione nell apparato giudiziario.

17 c. Teorie dell associazionismo differenziale Secondo tale teoria il comportamento criminale si apprende attraverso l associazione interpersonale con altri individui che sono già criminali. L unicausalità di questa teoria fu ritenuta inizialmente un pregio, ma successivamente criticata perché incapace di spiegare le origini della criminalità che deve esistere prima di essere appresa da altri. d. Teorie funzionalistiche: devianza ed anomia I processi di socializzazione mirano a condurre l individuo alla conformità, ossia ad uno stile di vita regolato da norme e comportamenti conformi alla cultura dominante. In antitesi alla conformità si pone la devianza, che si concreta nella non osservanza delle regole normative e sociali. Per essere definito deviante, il comportamento deve violare volontariamente la regola culturale. Il concetto di devianza si è affermato grazie allo struttural-fuzionalismo, i cui maggiori esponenti sono Durkheim, Parsons e Merton. Durkheim vide la causa principale della devianza nell anomia, intesa come frattura di regole sociali provocata dalla società. Merton riprese tale concetto allargandone il significato: l anomia è intesa come sproporzione tra mete culturali e mezzi legittimi per il conseguimento di queste ultime. Parsons, invece, considera la devianza come la conseguenza di una imperfetta socializzazione e di specifiche tensioni psicologiche nell infanzia. e. Teoria della neutralizzazione Tale teoria vuole dimostrare che la delinquenza non deriva dall apprendimento di norme o valori devianti, ma il comportamento deviante è il risultato di tecniche psicologiche, di razionalizzazione, così dette di neutralizzazione. Tali tecniche sono concepite secondo 5 forme principali: la negazione della propria responsabilità; la minimizzazione del danno provocato; la negazione della vittima; la condanna dei giudici; l appello a obblighi di lealtà. In questo senso, se inteso come deviante, il tossicodipendente, mediante queste tecniche, si sente scaricato delle sue responsabilità e per le sue azioni si considera più come soggetto passivo che come soggetto attivo. All interno delle teorie del conflitto abbiamo: a. Teoria dell etichettamento Per la teoria dell etichettamento il deviante non è tale a causa del proprio comportamento, ma in quanto la società etichetta come deviante chi compie determinate azioni da essa vietate. Successivamente può accadere che alcuni soggetti, le cui condotte sono state definite dalla società devianti, reagiscano a tale etichettamento accentuando tali condotte. A tal proposito si parla di consolidamento della devianza. b. La criminologia radicale

18 Tale teoria ritiene i ceti dominanti responsabili di definire delinquente chi si oppone al sistema neocapitalistica. In quest ottica si sostiene una correlazione tra opposizione al sistema dominante e devianza. c. La criminologia critica Tale teoria muove da analisi sociali e politiche marxiste, reinterpretando il concetto di devianza come lotta della classe operaia per l instaurazione del socialismo. La devianza si identifica col dissenso di un soggetto nei confronti di un sistema che ne criminalizza la classe sociale di appartenenza. 1.4 IL positivismo biologico Le teorie biologiche o fisiologiche della criminalità affermano che gli individui criminali sono tali perché geneticamente condizionati. Il formarsi di tali interpretazioni deve molto alle teorie scientifiche prevalenti nel XIX secolo: darwinismo, evoluzionismo, antropologia fisica, frenologia. Il rappresentante più noto di questo indirizzo è Cesare Lombroso; ma molti altri studiosi hanno condiviso questa tesi che delinquenti, folli, devianti fossero il risultato di processi di selezione sociale, pressoché necessaria e in quanto tale da combattere solo con interventi di prevenzione e delimitazione dei danni provocati dai delinquenti. Lombroso condusse gran parte delle sue ricerche nelle istituzioni psichiatriche e carcerarie di Torino e le pubblicò nell opera più nota, L uomo delinquente, del La spinta determinante per la formulazione di una teoria sistematica sull eziologia della criminalità venne nel 1870 quando Lombroso, eseguì un autopsia sul corpo di un delinquente recidivo, il Vitella. Nella base cranica egli notò una strana depressione simile a quella che si riscontra nelle scimmie inferiori. Ma Lombroso non analizzò soltanto l anatomia del cranio e del cervello, ma tutta la costituzione fisica dell uomo al fine di individuare uno specifico tipo antropologico: il delinquente nato. Lombroso concluse che i criminali rappresentano una forma di regressione evolutiva verso un tipo umano primitivo. [28] È chiaro il superamento di questa teoria, soprattutto in relazione al discorso che vogliamo sviluppare in questa sede, che ci porta a constatare, come vedremo bene nei prossimi capitoli, che i numerosissimi indizi, le tracce infinite, reperibili nell ambito della riflessione intorno alle generali caratteristiche storiche e culturali, del lontano passato come della modernità, espresse dal consumo di psicotropi, servono splendidamente a ribadire la centralità e l importanza, nel nostro discorso, di un fondamentale concetto: che una domanda di droga c è e c è sempre stata, che essa ha riguardato i contesti storici e le situazioni sociali e collettive più diverse, ancorché le tipologie individuali più varie e differenziate. E questa domanda di droga, benché fortemente suscettibile, sul piano sociale, di intensificarsi o attenuarsi in rapporto a una serie di condizioni complessive, è comunque, in ultima istanza, espressione potenziale di un bisogno soggettivo, la cui possibilità di soddisfazione, in modi tecnicamente diversi, è sempre esistita. [29] C è, in questo senso, un primo elemento che merita di essere sottolineato: se una data sostanza, una droga, si rivela in grado di produrre degli effetti sul sistema nervoso di un determinato organismo, allora vuol dire che quel sistema è in un certo senso abilitato a subire determinate sollecitazioni; è in qualche modo predisposto a sperimentare quegli effetti. Da questo punto di vista, non è affatto azzardato pensare all esistenza di una componente addirittura pre-culturale, naturale, biologica che sollecita la tendenza a ricercare diverse forme di alterazione fisica e/o psichica.[30] Ma perché esiste questa tendenza? Potremmo, in questo contesto, richiamare il discorso fatto dall etnobotanico Samorini, che nel suo libro Animali che si drogano, spiega le motivazioni che spingono gli animali

19 al consumo delle droghe e che per chiunque provenga da una formazione sociologica, non può che risultare estremamente familiare. Il fatto è che ogni specie vivente per riuscire a conseguire le condizioni della sua sopravvivenza, per essere in grado di conservarsi, deve essere capace di produrre adeguate risposte ai cambiamenti, continui e repentini, che si determinano nel suo habitat. È fondamentale, cioè, che, nell ambito di una popolazione gli organismi viventi siano in grado di stimolare l adozione di comportamenti atipici, originali, di sollecitare l intrapresa di atteggiamenti inusuali, aconvenzionali, alternativi, nell ambito dei quali possa avvenire la selezione di possibili innovazioni comportamentali apportatrici di un qualche genere di vantaggio evolutivo. [31] Infatti, il discorso dell etnobotanico, da un lato sembra riecheggiare, in una formulazione trasfigurata, il verbo della beat generation, di quella trasgressività hippy eccentrica e aconvenzionale, che sosteneva l uso di droga quale meccanismo funzionale a rompere gli schemi ordinari e conformistici del comportamento sociale, quale strumento, cioè, per individuare, attraverso l alterazione degli stati di coscienza, nuovi percorsi e nuove dimensioni verso le quali indirizzare la logica, le strategie, il senso dell esistenza individuale e collettiva. Il concetto di deschematizzazione, [32] la funzione evolutiva che viene attribuita a questa pratica, si connettono in maniera assolutamente lineare e coerente con quella pietra miliare che, sulla scia delle analisi di Durkheim, Robert Merton ha piantato sul sentiero della scienza sociale contemporanea, individuando in alcune delle eventuali dinamiche del comportamento deviante esattamente i territori elettivi, i contesti privilegiati per l emergenza di possibili strategie di innovazione. [33] 1.5 Il Paradigma sociale La teoria sociale, formatasi alla fine del XIX secolo, rappresenta un punto di svolta rispetto alle precedenti impostazioni analitiche. Con la nascita del paradigma sociale l analisi dell anomia e della criminalità si spostò dal singolo individuo con le sue caratteristiche fisiche, psichiche, ambientali, alla struttura sociale e culturale, alle reazioni della società, al sistema delle norme. Venne meno l ottica individualistica e se ne sviluppò un altra rivolta allo studio dei fattori extraindividuali, primo fra tutti quello definito con il concetto di fatto sociale. [34] L oggetto della sociologia classica fu il problema della coesione sociale nella società moderna. Durkheim, Weber, Simmel, pur senza studiare direttamente i gruppi dei devianti, individuarono già le loro forme di produzione nella modernità. Essi posero a fondamento delle teorie dell equilibrio sociale due variabili generali: la coesione dei rapporti sociali, quindi il legame sociale, e la coerenza delle rappresentazioni collettive, il legame morale. Nelle società tradizionali la coesione sociale, quale legame verticale, orizzontale e microrelazionale, era basata su un insieme di rappresentazioni collettive, coerenti tra loro e capaci di unificare gli individui tra di loro. Nelle società della modernità il problema critico è proprio il deficit di rappresentazioni collettive. Per Durkheim questo vuoto si definisce anomia; in senso debole l anomia rappresenta la disgregazione sociale; in senso forte essa porta con sé l idea di morte individuale e collettiva. [35] All interno del paradigma sociale i sociologi della teoria strutturale-funzionale, in particolare Merton e Parsons, interpretarono il comportamento deviante come uno stato patologico dell individuo, legato a un difetto di socializzazione o a meccanismi psicologici in base ai quali viene meno l adesione al sistema normativo. Le ricerche empiriche degli studiosi che si basarono su un analisi funzionale di tipo strutturalista, approfondirono le ipotesi dell anomia, delle associazioni differenziali, della socializzazione dei ruoli e delle norme, delle subculture devianti, del controllo

20 sociale. Un terzo insieme di teorie sulla devianza si sviluppò a Chicago intorno agli anni 1920, ancor prima che il paradigma sociale divenisse dominante. Una tradizione di sociologi e di ricercatori rinnovò, con nuovi metodi di analisi, lo studio dei problemi (social problems) della delinquenza giovanile, della esclusione, della marginalità, della disorganizzazione sociale, delle subculture. Numerose ricerche documentarono i rapporti tra criminalità e determinate aree urbane e li interpretarono con categorie quali la disgregazione del territorio, la disorganizzazione sociale, la sovrapposizione tra territorio pubblico e privato. Secondo questi ricercatori la devianza cresce nelle aree urbane caratterizzate da densità demografica, da compresenza di culture diverse, da instabilità di sistemi culturali, da degrado ambientale. 1.6 il pensiero di Durkheim Nel celebre passo, non facilissimo de Il suicidio, sua opera fondamentale del 1897 e testo tra i più importanti della storia della sociologia, Emile Durkheim presenta il concetto di anomia, esito di uno sbandamento generale, dovuto al fatto che la società, in epoche di transizione e di grandi cambiamenti, non è più in grado di offrire una regola normativa; in questo modo i bisogni ed i desideri, non frenati più dalla società, crescono in modo folle, senza che sia mai possibile soddisfarli. Di qui uno stato di inquietudine costante, che conduce a comportamenti di condanna e ribellione contro una società nella quale appare difficile adattarsi. [36] La teoria sociologica del crimine e della devianza, così come oggi è posta e condotta, è in gran parte influenzata dalle questioni poste da Durkheim. Con Durkheim l analisi dei comportamenti devianti iniziò a riferirsi, per la prima volta in modo sistematico, ai soli fattori sociali. Senza più riferimenti a modelli statistici o a costanti bioantropologiche, il principio del bene e del male è ricondotto entro l ambito sociale; le attività con cui gli uomini discriminano tra il bene e il male non sono che fatti sociali, analizzabili sociologicamente. [37] Tra la fine dell 800 e l inizio del 900, il francese Emile Durkheim dedicò una parte considerevole dei suoi studi all analisi della devianza. Per Durkheim, il crimine non è una patologia estranea, ma un fenomeno comune a tutte le comunità: ciò che può variare sono la frequenza e l intensità degli atti criminosi. Un fattore in grado di influire su tali variazioni è l insorgere dell anomia, definita una frattura delle regole sociali. [38] Il concetto di anomia è legato ad una altro concetto centrale della teoria di Durkheim, l influenza della coscienza collettiva sulla natura del legame sociale. Il legame sociale, e più in generale la solidarietà tra gli individui, non può durare se non è intrecciato con delle rappresentazioni collettive che lo rappresentino e lo modellino. Nel libro La divisione del lavoro sociale, Durkheim analizza due forme particolari di legame sociale o di solidarietà. La solidarietà meccanica descrive il legame sociale delle società tradizionali, nelle quali i gruppi sono stabili, coesi e gli individui sono simili tra loro. Questo tipo di solidarietà funziona grazie al principio di similitudine, semplicemente o meccanicamente. In tali società operano il diritto e le sanzioni repressive per tutelare le più essenziali similitudini sociali. Il reato soggetto a repressione è una rottura della solidarietà meccanica, una offesa contro gli elementi forti della coscienza collettiva, contro un ideale collettivo identico in tutti. La solidarietà organica è specifica delle società moderne, nelle quali la divisione del lavoro produce differenziazione nei mestieri e nelle funzioni degli individui. Per analogia con gli organismi viventi, nella solidarietà organica gli individui si uniscono tra loro con la consapevolezza di partecipare

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