La tassazione dei redditi finanziari nel disegno di legge delega proposto dal governo

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1 La tassazione dei redditi finanziari nel disegno di legge delega proposto dal governo Introduzione di Maria Cecilia Guerra Il disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale statale, presentato dal governo alla Camera (AC 2144) il 28 dicembre 2001, interviene ampiamente sul sistema di tassazione dei redditi di capitale attualmente vigente. Anche in questo campo, come in altri considerati dalla delega, si prospetta un inversione a 180 gradi rispetto alla riforma introdotta col decreto legislativo 461/1997, entrata a regime all inizio del Lo studio delle motivazioni che danno supporto a questo radicale mutamento di prospettiva, così come delle possibili conseguenze che esso può avere sulla neutralità, sull equità e sulla semplicità amministrativa del sistema, sono l oggetto principale di questo lavoro. Va preliminarmente ricordato che la determinazione, e, ad un tempo, l urgenza, di giungere in tempi brevi ad un nuovo riordino complessivo del sistema di tassazione dei redditi di capitale e delle plusvalenze trova la sua principale motivazione in un precedente provvedimento adottato dal governo: l abrogazione dell equalizzatore, disposta all articolo 9 del decreto legge del 25 settembre 2001, n.350. Il meccanismo soppresso costituiva infatti un elemento cruciale per la razionalità della riforma Visco della tassazione delle attività finanziarie: era infatti lo strumento che, rendendo possibile l equiparazione fra la tassazione (alla realizzazione), che interessa in modo particolare il risparmio amministrato e la tassazione sul risultato di gestione riservata al risparmio gestito, aveva reso possibile l adozione nel nostro paese di un regime di tassazione alla maturazione. La sua soppressione ha creato rilevanti distorsioni sia nella tassazione relativa a diverse forme di intermediazione del risparmio, sia nel trattamento riservato a intermediari esteri e intermediari residenti, che richiedevano un pronto intervento correttivo. La tesi da cui muove questo lavoro è che tale soppressione rappresenta una scelta discrezionale 1 del nuovo esecutivo. Per questa ragione, nel commento che segue, essa verrà considerata parte integrante della riforma proposta, e ci si riferirà pertanto al regime disegnato dalla riforma Visco come al regime attuale. Il lavoro è così strutturato: dopo avere illustrato i principi direttivi contenuti nel disegno di legge delega (paragrafo 1), si esamineranno il come, il perché e le conseguenze della sostanziale detassazione prospettata per il risparmio finanziario (paragrafo 2). I paragrafi 3 e 4 saranno rispettivamente dedicati all analisi della neutralità della riforma nonché della sua equità e semplicità Università di Modena e Reggio Emilia e Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche. Ringrazio i partecipanti al workshop sul tema La delega fiscale del Governo Berlusconi. Quale disegno? Quali conseguenze?, organizzato dalla rivista Politica economica e dal Capp, a Bologna, il 18 marzo 2002, per i commenti ricevuti a una prima versione di questo lavoro. Ringrazio in particolare Vieri Ceriani per la sua attenta lettura e i suoi utilissimi suggerimenti. 1 Accogliendo una domanda incidentale del Codacons, la sezione II del Tar del Lazio aveva disposto, con ordinanza 3 agosto 2001, n. 4971, la sospensione dell equalizzatore, bloccandone l operatività a decorre dalla data del 4 agosto A fronte di tale decisione il governo aveva la possibilità di scegliere fra due alternative: ricorrere al Consiglio di Stato per bloccare gli effetti della sospensiva dell equalizzatore e opporsi comunque all eventuale abrogazione dello strumento, sottolineando non solo la fragilità delle motivazioni addotte dal Tar per la sua decisione, ma anche la legittimità della pronuncia stessa del Tar in merito a un impugnativa che non contestava un atto amministrativo, e cioè il decreto istitutivo dell equalizzatore, quanto la disposizione legislativa che lo prevedeva ; o muoversi, invece, come ha fatto, nella direzione opposta di abrogare l equalizzatore, manifestando la propria volontà di disegnare una tassazione dei redditi finanziari coerente con il principio della tassazione al realizzo anziché alla maturazione.

2 amministrativa. Il paragrafo 5 discute alcuni importanti aspetti della riforma della tassazione del risparmio previdenziale. Il paragrafo 6 richiama le principali conclusioni. 1. I principi della delega I principi direttivi per la riforma della tassazione dei redditi finanziari percepiti da persone fisiche sono contenuti alla lettera c) dell art. 3 del disegno di legge in esame e, per quanto riguarda dividendi e plusvalenze, alla lettera b) punti 5 e 6. Si tratta di principi enunciati in forma estremamente sintetica, che si prestano ad alcune importanti ambiguità interpretative, solo in parte chiarite dalla relazione di accompagnamento al provvedimento. Su di un aspetto importante, la tassazione delle gestioni individuali, l interpretazione fornita dalla relazione al provvedimento è poi contraddetta dalla successiva relazione tecnica. Al di là di questi problemi interpretativi, che saranno discussi in quanto segue, la delega prefigura un regime di tassazione alla realizzazione, per tutti i proventi finanziari, secondo un aliquota unica del 12,5%, con possibilità, nel caso di intermediazione da parte di un investitore istituzionale (Oicr o fondo pensione), di differimento della tassazione fino al momento della cessione delle quote o del godimento della prestazione. Più specificamente, i principi direttivi di cui all art. 3 lettera c) della delega sono i seguenti: 1. omogeneizzazione dell imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli. Si tratta dell enunciazione di un obiettivo molto generale e rilevante alla cui concreta realizzazione sembra ispirarsi l intera delega. La relazione di accompagnamento chiarisce, in particolare, che, come prerequisito per il conseguimento di tale obiettivo, ci si propone di ricomprendere in un unica categoria reddituale, a fianco dei redditi di capitale di ogni genere, i capital gains e i proventi dei prodotti derivati, attualmente classificati fra i redditi diversi. La classificazione di redditi che comunque derivano dall impiego di capitale in due diverse categorie è difficilmente giustificabile sotto il profilo economico. Essa è stata tuttavia sino ad ora mantenuta, sia ai fini dell applicazione delle convenzioni bilaterali, nelle quali la distinzione in questione è generalmente riproposta, sia in quanto funzionale alla definizione di regole diverse per la tassazione delle due tipologie di redditi. In particolare, i redditi diversi sono considerati, a fini fiscali, al netto sia dei costi di produzione, sia, soprattutto, delle eventuali perdite, fra cui, in primo luogo, le minusvalenze. Sarebbe allora legittimo attendersi che l individuazione di un unica categoria reddituale preluda all ammissibilità della deducibilità delle minusvalenze (e delle perdite su derivati) anche nei confronti di interessi e dividendi (come già ora avviene nella determinazione del risultato netto di gestione). Questa implicazione non è invece contemplata né dalla delega né dalla relazione di accompagnamento alla delega stessa, che anzi, in più parti, riconferma esplicitamente la deducibilità delle minusvalenze dalle sole plusvalenze. E allora molto probabile che l unificazione in un unica categoria dell insieme dei redditi finanziari non venga attuata o si traduca in un operazione meramente formale. 2. convergenza del regime fiscale sostitutivo su quello dei titoli del debito pubblico. Tale convergenza dovrebbe concretizzarsi, in primo luogo, nell adozione di un unica aliquota del prelievo, al 12,5%, per tutti i redditi finanziari delle persone fisiche e degli enti non commerciali.

3 Se si ricorda che, attualmente il prelievo sui redditi finanziari si articola su due aliquote, 12,5% e 27%, l effetto principale di tale previsione sarà l abbattimento di 14,5 punti percentuali dell aliquota relativa a: - depositi e conti correnti bancari e postali; - certificati di deposito e buoni fruttiferi delle banche; - obbligazioni e titoli similari privati con scadenza inferiore ai 18 mesi; - accettazioni bancarie; - titoli e certificati atipici. L uniformazione del prelievo al 12,5% non interessa invece i dividendi e le plusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate i quali, come previsto dalla delega all art. 3 lettera b) punti 5. e 6., verranno inclusi, parzialmente, nell imponibile dell imposta sul reddito. Per quanto riguarda i dividendi, tale inclusione si accompagna, nell ordinamento attuale, al riconoscimento in capo all azionista di un credito integrale per l imposta pagata a monte dalla società (e di un credito limitato per l imposta non pagata dalla società come effetto del riconoscimento di specifiche agevolazioni, fra cui, in particolare, la dual income tax e l esenzione dei dividendi percepiti da collegate estere). La delega prevede invece la soppressione dell istituto del credito di imposta. La doppia imposizione degli utili societari che ne deriva è in parte mitigata dall inclusione solo parziale dei dividendi nella base imponibile dell imposta sul reddito. Non viene fornita alcuna indicazione sulla possibile percentuale di inclusione. E però presumibile che si intenda orientarsi a favore di una percentuale del 50%, in accordo con quanto previsto dalla recente riforma tedesca, cui la delega in più punti si ispira. Diverso è il discorso per quanto riguarda le plusvalenze. Le plusvalenze relative ad azioni di società di capitali, nella misura in cui riflettano utili non distribuiti in capo alla società, sono già oggi assoggettate ad una doppia tassazione: l Irpeg in capo alla società e il prelievo del 27% in capo al socio. La loro inclusione, anche integrale, nella base imponibile della nuova imposta sui redditi, in ragione delle aliquote che dovrebbero contraddistinguere tale imposta, si tradurrà, nella generalità dei casi, in un prelievo, in capo al socio, inferiore all attuale (23% contro 27%) che potrà tendere, nel caso di inclusione per solo il 50% del loro ammontare, alla tassazione propria di tutti gli altri redditi finanziari. Il ragionamento fatto vale anche per le plusvalenze qualificate relative a quote di società di persone. Va però ricordato che esse sono ricondotte a tassazione, nell attuale ordinamento, solo nella misura in cui eccedano gli utili non distribuiti che sono stati tassati in capo al socio, nel periodo di possesso. Se tale previsione (che ha, analogamente al credito di imposta per i dividendi, la finalità di evitare doppie tassazioni economiche) venisse abrogata, in quanto da considerarsi alternativa rispetto alla previsione di un inclusione solo parziale della plusvalenza realizzata nell imponibile dell imposta sui redditi, la tassazione cui tali plusvalenze sarebbero assoggettate potrebbe essere anche sensibilmente più elevata: è plausibile infatti che, per le quote delle società di persone, il legame fra plusvalenza maturata e utili non distribuiti sia molto più stretto di quanto non lo sia per le società per azioni. L uniformazione del prelievo al 12,5% non vale neppure per i dividendi relativi a partecipazioni non qualificate, percepiti al di fuori dall esercizio di impresa, i quali restano assoggettati al prelievo alla fonte a titolo definitivo. Viene esclusa l opzione, sino ad ora concessa all azionista, di includere tali redditi nella base imponibile dell imposta sul reddito e godere del credito per l imposta pagata a monte dalla società. Ciò si tradurrà in un aggravio del prelievo per i soggetti per i quali tale opzione era conveniente. Con riferimento alle attuali aliquote dell Irpef, si tratta dei soggetti con aliquota marginale inferiore al 44%; l adozione delle aliquote proposte dalla delega renderebbe invece l applicazione del credito di imposta sempre preferibile alla applicazione della cedolare secca. L applicazione della cedolare secca, il cui livello è confermato al 12,5%, si tradurrà in un onere di imposta complessivo più o meno elevato rispetto all attuale a seconda che,

4 in ragione dell operare della Dit, l aliquota media della società che distribuisce i dividendi sia attualmente superiore o inferiore all aliquota unica, prevista dalla delega, del 33%. La convergenza del regime fiscale sostitutivo su quello dei titoli del debito pubblico non dovrebbe limitarsi all unificazione dell aliquota del prelievo al 12,5%. Essa dovrebbe anche comportare, come ricorda la relazione di accompagnamento alla legge delega, l applicazione generalizzata del sistema di imposizione sostitutiva. La relazione non fornisce però sufficienti elementi per valutare la portata di questa affermazione. Mentre è infatti ovvio che essa prefigura il superamento dell istituto della ritenuta alla fonte, in relazione ai redditi di capitale a cui tale ritenuta sia ancora applicata, non ne sono affatto ovvie le implicazioni per la tassazione delle plusvalenze o dei proventi dei prodotti derivati, per i quali il regime attuale prevede la possibilità per il contribuente di essere assoggettato ad imposizione separata al momento della dichiarazione dei redditi (cosiddetto regime della dichiarazione ). 3. imposizione del risparmio affidato in gestione agli investitori istituzionali sulla base dei principi di cassa e di compensazione. La tassazione del risparmio gestito sarà commisurata ai soli redditi realizzati. Più precisamente, stando al commento contenuto nella relazione di accompagnamento, viene operata una importante distinzione, inesistente nel regime attuale, fra gestioni collettive e gestioni individuali del risparmio. Per quanto riguarda le gestioni collettive, il regime previsto consiste nel riconoscimento della possibilità di differire ogni tipo di tassazione sui proventi finanziari, sia in capo al risparmiatore sia in capo all Oicr, sino al momento della eventuale distribuzione dei proventi periodici, o sino al momento del riscatto o della cessione delle quote da parte del contribuente (criterio della cassa), nel qual caso il prelievo sarà commisurato all incremento del valore della quota nel periodo di possesso. Se il riscatto o la cessione daranno luogo ad una minusvalenza, questa potrà essere compensata con altre plusvalenze (si noti bene non altri redditi di capitale) realizzati dal contribuente (criterio della compensazione). Per quanto riguarda invece le gestioni individuali, la tassazione avverrà periodicamente, presumibilmente con cadenza infra-annuale. La giustificazione principale portata a sostegno di questa diversità di trattamento è che, diversamente da quanto avviene nelle gestioni collettive, nelle gestioni individuali, la titolarità degli strumenti finanziari rimane in capo al soggetto gestito. La tassazione periodica riguarda quindi redditi, non solo realizzati, ma anche riconducibili al loro percettore. Vi è inoltre un motivo di opportunità, non esplicitamente ricordato dalla relazione: il differimento della tassazione dei redditi realizzati dalle gestioni individuali sino al momento della cessazione di tale gestione potrebbe protrarsi per un numero molto rilevante di anni, o addirittura sine die, se si considera che la gestione può essere trasferita di padre in figlio, senza alcun prelievo fiscale, a seguito dell abolizione dell imposta di successione. In palese contrasto con quanto sostenuto nella relazione di accompagnamento al provvedimento (ma non con il provvedimento stesso che, in ragione della genericità dell espressione utilizzata per individuare il criterio direttivo in esame, si presta a interpretazioni fra di loro discordanti) la relazione tecnica contempla, pur senza commentare la portata innovativa della propria interpretazione, il differimento della tassazione previsto per le gestioni collettive, anche per le gestioni individuali. Dal momento che solo la relazione di accompagnamento motiva le ragioni della propria interpretazione, in quanto segue ci si atterrà all interpretazione da essa fornita. E indubbio però che l argomento necessita un adeguato approfondimento, specialmente in ragione delle implicazioni che l una o l altra scelta possono avere sulla neutralità e semplicità del sistema proposto, e che verranno discusse nei prossimi paragrafi.

5 E importante ricordare che, per quanto riguarda invece il risparmio affidato in amministrazione, agli intermediari, la relazione di accompagnamento conferma il regime di prelievo al realizzo che si è venuto a determinare come conseguenza dell abolizione dell equalizzatore e con esso la possibilità di compensare minusvalenze (e perdite sui prodotti derivati) esclusivamente con plusvalenze (e guadagni sui prodotti derivati). 4. regime differenziato di favore fiscale per il risparmio affidato a fondi pensione ed a casse di previdenza privatizzate Si tratta del principio direttivo più generico fra i quattro che il disegno di legge delega riserva alla tassazione dei redditi finanziari. Esso si limita infatti a disporre che, a seguito delle modifiche previste per la tassazione del risparmio finanziario, sia rivista anche la tassazione del risparmio previdenziale al fine di garantirne un trattamento di relativo favore fiscale. Qualche indicazione in più si evince dalla relazione al provvedimento, la quale suggerisce, in particolare, l adozione di uno schema di tassazione del tipo EET in cui, alla detassazione dei contributi, si accompagni anche la detassazione della fase di accumulazione (coerentemente con quanto previsto, come si è ricordato, anche per il risparmio non previdenziale che affluisce agli Oicr). Al momento della prestazione si distingueranno le due componenti imputabili, rispettivamente, alla restituzione dei contributi e ai frutti del loro investimento. La prima componente sarà tassata in via ordinaria, la seconda invece sarà assoggetta ad un prelievo sostitutivo, presumibilmente più leggero rispetto a quello previsto per gli impieghi non previdenziali del risparmio. La relazione ipotizza che l agevolazione in questione possa poi essere articolata in ragione della tipologia dei fondi, ovvero del periodo iniziale di operatività dei fondi stessi. Si potrà avere quindi, in particolare, un regime differenziato per fondi aperti e chiusi e per le forme previdenziali individuali. E importante sottolineare che l estensione del regime agevolato alle casse di previdenza privatizzate costituisce un innovazione assoluta, della quale non viene però fornita alcuna giustificazione nella relazione di accompagnamento. 2. Una delega per la de-tassazione dei redditi finanziari 2.1. Detassazione, come? L elemento che più di ogni altro caratterizza la delega in oggetto è la scelta a favore di una sostanziale detassazione del risparmio finanziario. A questo risultato concorrono principalmente tre elementi. 1) L omogeneizzazione delle aliquote al livello più basso fra i due attualmente previsti, il 12,5%, che si tradurrà, principalmente, in un abbattimento del 54% circa del prelievo sulla raccolta bancaria e postale. 2) La tassazione delle plusvalenze realizzate, anziché di quelle maturate (ottenuta indirettamente attraverso l applicazione dell equalizzatore), nell ambito del risparmio amministrato e del risparmio tassato in dichiarazione L applicazione dell equalizzatore comportava infatti, un incidenza del prelievo, valutata al momento del realizzo, superiore a quella indicata dall aliquota legale, e variabile in dipendenza sia del profilo temporale di maturazione delle plusvalenze stesse nel periodo di possesso sia del tasso di interesse netto sui titoli pubblici, utilizzato per capitalizzare l imposta differita fino al momento della realizzazione. Una riduzione dell incidenza del prelievo si ha anche, per analoghe ragioni, con la tassazione periodica sul risultato di gestione realizzato, anziché su quello maturato, per le gestioni individuali. 3) Il differimento di qualsiasi tipo di prelievo sui proventi delle gestioni collettive del risparmio fino al momento della distribuzione, ovvero del riscatto o della cessione delle quote da

6 parte del sottoscrittore. Esso ha l effetto, simmetrico a quello indicato al punto precedente, di comportare un incidenza, al momento della tassazione, inferiore a quella indicata dall aliquota legale, variabile in dipendenza del tasso di rendimento del fondo e del profilo temporale di maturazione del guadagno finale. Potrebbe concorrere ad un ridimensionamento della tassazione sui redditi finanziari la maggiore enfasi che la delega sembra porre sulla compensazione e che, come si è ricordato, potrebbe tradursi, nel caso dell adozione di un unica categoria reddituale per redditi di capitale e redditi diversi, nella possibilità, generalizzata, di dedurre le perdite sui derivati e le minusvalenze dagli interessi e dai dividendi. Si è però già notato che la relazione al disegno di legge delega fa in più parti esplicito riferimento alla facoltà, per il risparmio amministrato, di dedurre le minusvalenze dalle sole plusvalenze. Di segno incerto è infine, come si è ricordato, l effetto del nuovo regime di tassazione per quanto riguarda dividendi e plusvalenze relativi a partecipazioni qualificate. Il venir meno dell opzione per il credito di imposta e della Dit comporterà invece, generalmente, un aggravio nella tassazione dei dividendi relativi a partecipazioni non qualificate, non facilmente quantificabile, dal momento che l opzione, anche quando conveniente, non veniva sempre esercitata dagli aventi diritto Detassazione, perché? Il disegno di legge delega persegue l importante obiettivo di uniformare il livello di tassazione dei redditi finanziari, unificando l aliquota del prelievo, attualmente articolata su due livelli: il 12,5% e il 27%. Si tratta di una scelta molto importante, sulle cui implicazioni positive, in termini di neutralità del sistema di tassazione, si tornerà nel paragrafo successivo. Il punto problematico che si intende discutere in questo paragrafo riguarda la scelta del livello dell aliquota uniforme, 12,5%, che non solo è il più basso fra i due attualmente esistenti ma è anche sensibilmente inferiore all aliquota prevista per il primo scaglione dell imposta sui redditi (23%). Tale scelta costituisce infatti il fattore principale della sostanziale detassazione del risparmio che conseguirebbe alla proposta di riforma in discussione. Secondo i dati della relazione tecnica al disegno di legge delega, in particolare, l abbattimento del prelievo dal 27% al 12,5% sugli interessi determinerebbe una perdita di gettito pari a 1890 milioni di euro (1805, nell ipotesi di andamento positivo dei mercati borsistici) che rappresenterebbe il 106.8% (107,2%) della perdita complessiva imputabile alla riforma prospettata per l insieme dei redditi di capitale e diversi, stimata in 1769,18 2 (1684,18) milioni di euro Riforma Visco: l uniformazione dell aliquota come obiettivo di medio periodo Al momento dell introduzione della riforma Visco, che pure ha operato significativi passi avanti in direzione di una maggiore omogeneizzazione nella tassazione dei redditi finanziari, precedentemente assoggettati ad un insieme di regimi differenti, senza alcuna coerenza logica, l obiettivo dell unificazione dell aliquota, pur considerato fondamentale, venne rimandato al medio periodo, sulla base di valutazioni di opportunità, riconducibili prioritariamente alla disciplina riservata agli interessi dei titoli di stato. Nel nostro paese, tali titoli hanno a lungo beneficiato dell esenzione da imposta, per essere poi assoggettati, dal 1986, ad un prelievo molto controverso e molto contenuto. La riforma Visco è stata introdotta in un periodo di notevoli sforzi per impostare manovre di rientro dagli squilibri della finanza pubblica. In questo contesto, non si è ritenuto 2 La Relazione tecnica ipotizza diverse possibili percentuali di inclusione dei dividendi e delle plusvalenze relativi a partecipazioni qualificate nella base imponibile dell imposta sui redditi. Il dato riportato si riferisce ad una percentuale di inclusione pari al 50%.

7 opportuno modificare il prelievo riservato ai titoli di stato, rispetto al preesistente 12,5%. Uniformare l insieme della tassazione sui redditi di capitale e diversi a questo livello, assai contenuto, avrebbe però comportato una significativa perdita di gettito, anch essa incompatibile con gli obiettivi di riequilibro citati. E interessante ricordare che analoga valutazione era compiuta nel Libro Bianco di Tremonti del 1994 che individuava due vincoli alla riforma della tassazione delle attività finanziarie: Il primo vincolo è quello di non turbare il mercato del debito pubblico. Conseguentemente, la relativa fiscalità resta invariata. Il secondo vincolo è quello del gettito. Conseguentemente non è possibile ridurre il prelievo sugli interessi bancari e postali, per cui non muta la forma di tassazione (Tremonti, 1994, p. 107). L obiettivo dell unificazione dell aliquota, pur ritenuto cruciale ai fini di una compiuta realizzazione della riforma, venne rimandato al medio periodo, e cioè ad una situazione in cui il vincolo dell invarianza della tassazione sui titoli di stato potesse essere rimosso e ci si potesse conseguentemente orientare verso un aliquota intermedia, rispetto alle attuali, attorno al 18-19%, coerente con quella prevista per il primo scaglione dell Irpef e con quella riservata, attraverso la Dit, alla remunerazione ordinaria del capitale investito nelle imprese. Un aliquota che, come si spiegherà meglio in seguito, sarebbe inoltre più coerente con il livello medio di prelievo previsto negli altri paesi della Comunità Riforma Tremonti: aliquota unica al 12,5% per non turbare il mercato del debito pubblico. Una delle motivazioni portate dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge delega a giustificazione dell adozione di un aliquota del prelievo unica, al 12,5%, riguarda la riconferma dell opportunità di non modificare il livello di tassazione attualmente riservato ai titoli di stato. La magnitudine del debito pubblico italiano e la diffusione del suo collocamento presso investitori esteri suggeriscono di mantenerne invariato il relativo regime fiscale. Per valutare queste affermazioni, è opportuno chiedersi se le ragioni che hanno indotto il governo Prodi a non innalzare il livello della tassazione sui titoli di stato permangono tutt ora. Due elementi rendono l attuale quadro economico e politico significativamente diverso da quello presente nel Il 1997 è l anno in cui, come si è ricordato, maggiore è stato lo sforzo compiuto dal nostro paese per impostare la manovra di rientro dagli squilibri della finanza pubblica che ci ha permesso di far parte della Ume sin dal suo nascere. Qualsiasi elemento che potesse turbare la discesa dei tassi di interesse e la loro convergenza verso quelli europei doveva essere accuratamente evitato. Nel 2002 la situazione è radicalmente diversa: l Ume è ormai un area finanziaria integrata, con una moneta unica, in cui il processo di riallineamento dei tassi di interesse su strumenti con analoghe caratteristiche può dirsi completato. In questa nuova situazione i possibili rischi di un aumento della cedolare sugli interessi dei titoli pubblici, che colpisce solo una parte dei potenziali sottoscrittori, rimanendone esclusi sia le imprese che i soggetti non residenti, andrebbero accuratamente riconsiderati. Il rischio che viene più frequentemente richiamato da autorevoli commentatori (Panzeri, 2002; Longobardi 2002) è che esso potrebbe comportare effetti non desiderati sul bilancio dello stato. L argomentazione può essere così sintetizzata (Panzeri 2002). 1. I titoli pubblici sono sottoscritti da tre categorie di soggetti: persone fisiche residenti, diversi da imprese; imprese residenti; non residenti. L aumento della cedolare comporterebbe una variazione dell onere di imposta riservato alla prima categoria di sottoscrittori. 2. Questo aumento della tassazione comporterebbe una traslazione dell imposta sull emittente, in misura, variabile in funzione dell elasticità della domanda delle diverse categorie di sottoscrittori, ma comunque positiva, e un conseguente aumento della quota di titoli sottoscritta da altri soggetti.

8 3. Gli effetti positivi sul gettito conseguenti all aumento della tassazione in capo delle persone fisiche residenti, diverse da impresa, potrebbero allora essere più che compensati dalla diminuzione della quota di titoli da essi sottoscritta, e dal conseguente aumento della quota sottoscritta da soggetti non residenti (che già oggi detengono più dei due quinti dello stock del debito in essere). Sia l affermazione di cui al punto 2. che l affermazione di cui al punto 3. sono però opinabili. L annosa controversia sul fatto che la tassazione sui titoli di stato si traduca, più o meno necessariamente, in una partita di giro per l erario ha sollecitato, nel nostro paese, specialmente nella seconda metà degli anni 80, un numero elevatissimo di importanti contribuiti e riflessioni teoriche, senza però essere in grado di fornire indicazioni univoche circa l opportunità di tale tassazione (Guerra, 1995). Ciò è ampiamente imputabile all assenza di stime empiriche circa l elasticità di domanda delle diverse categorie di potenziali sottoscrittori di titoli pubblici e di attività ad essi sostituibili. Il dibattito ha reso però evidente l importanza di contestualizzare l analisi. Il contesto in cui oggi ci si deve porre è quello di un area monetaria unica, quale la Ume, in cui sono per definizione assenti rischi di cambio. In questo contesto, un aumento anche minimo dei saggi di interesse offerti dai titoli pubblici italiani dovrebbe incontrare un elasticità di domanda molto elevata da parte di operatori residenti (le imprese) e, soprattutto, non residenti, per i quali l aumento dell interesse lordo si tradurrebbe in un aumento anche di quello netto. Una traslazione dell onere sul tasso di interesse offerto dall emittente è, in questo contesto, molto improbabile. Anche l affermazione di cui al punto 3. non sembra affatto scontata. In primo luogo essa ipotizza una forte elasticità nella domanda di titoli pubblici delle persone fisiche diverse da impresa. Questa ipotesi sarebbe altamente plausibile, in un area finanziaria integrata, nell ipotesi che l aumento della tassazione riguardasse i soli titoli pubblici italiani. L ipotesi che qui si discute riguarda invece un innalzamento del prelievo su tutti i titoli obbligazionari, sia italiani che stranieri (sotto forma di ritenuta di ingresso) e sugli altri impieghi attualmente tassati al 12,5%. In questo caso l effetto di sostituzione ai danni dei titoli di stato dovrebbe essere molto contenuto: gli impieghi alternativi, e cioè i depositi bancari e postali, offrono infatti tassi di interesse scarsamente competitivi. In secondo luogo, il processo di aggiustamento verso un nuovo equilibrio comporterebbe un aumento della sottoscrizione da parte delle società italiane, sottoposte ad Irpeg, a meno di ipotizzare una totale rigidità della domanda di tali soggetti, con effetti positivi per l erario. Nel complesso, quindi, la perdita di gettito imputabile all aumento della sottoscrizione da parte di non residenti, e cioè di soggetti esenti, potrebbe non essere drammatico. Ammettiamo comunque che essa sia in grado di compensare, o anche eccedere, l aumento di gettito imputabile all aumento della cedolare sui titoli di stato. Anche in questo caso l aumento di tale ritenuta avrebbe comunque un effetto benefico sul bilancio dello stato, in quanto permetterebbe di rimuovere il vincolo che impedisce di uniformare la tassazione dei redditi finanziari ad un livello più alto del 12,5%. A seguito della scelta di un aliquota unica più elevata, l eventuale perdita che si registrerebbe sui titoli di stato sarebbe infatti con ragionevole certezza compensata dalla minor perdita che si registrerebbe sui depositi bancari e postali, e dal maggior gettito che si otterrebbe sugli altri redditi attualmente assoggettati al 12,5% Riforma Tremonti: aliquota unica al 12,5% per aumentare la competitività del sistema L altra importante motivazione a favore dell unificazione del prelievo ad un livello basso, sottolineata dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge delega, riguarda la volontà di aumentare la competitività del sistema della fiscalità finanziaria italiana 3. Si afferma infatti che 3 La volontà di aumentare la competitività del sistema è portata a sostegno anche della adozione di un regime di tax deferral per gli Oicr. Su questo punto si tornerà diffusamente più avanti.

9 L estensione del regime di imposizione sostitutiva dei redditi di natura finanziaria consente ora di concretizzare uno dei vantaggi competitivi del nostro ordinamento, rispetto a quello di altri Paesi dell Unione europea. Queste affermazioni richiedono alcune qualificazioni, la prima delle quali riguarda il vantaggio competitivo che deriverebbe al nostro paese dall esistenza di un regime sostitutivo di tassazione sui redditi finanziari. Innanzitutto va precisato che, mentre nel 1974 il nostro paese era l unico ad adottare un tale sistema di imposizione, al momento attuale sono ormai otto i paesi europei che prevedono, o in via generale, o in via opzionale, o limitatamente ad alcune tipologie di interessi, il ricorso a regimi sostitutivi o separati. Va inoltre sottolineato che, nella generalità dei paesi europei, il regime fiscale riservato ai redditi finanziari percepiti da residenti è diverso da quello riservato ai non residenti e che, come noto, questi ultimi sono, con rarissime eccezioni, esentati da ogni forma di prelievo alla fonte (o comunque rimborsati, nei casi in cui tale prelievo rimanga) di modo che ogni paese della Comunità si è trasformato di fatto, sotto questo profilo, in paradiso fiscale per i residenti degli altri paesi. In questo contesto, i regimi di tassazione sostitutivi previsti con riferimento ai redditi percepiti dai cittadini residenti, con lo scopo di escludere tali redditi dalla più gravosa imposizione progressiva, possono trovare una giustificazione come difesa nei confronti di possibili fughe di capitali ma non svolgono alcun ruolo nell attrarre capitali dall estero. Un altra importante osservazione riguarda la scelta del livello di imposizione operato dagli altri paesi: con la sola eccezione della Grecia, che dal 2001 tassa tutti i titoli obbligazionari al 10% (mentre mantiene un aliquota del 15% sui depositi bancari), e del Belgio, che prevede l opzione per una ritenuta del 15% sugli interessi, i regimi sostitutivi o separati previsti da Austria, Finlandia, Francia, Paesi Bassi (in cui è assoggettato a tassazione un rendimento presuntivo del capitale), Portogallo e Svezia prevedono aliquote comprese fra il 20 e il 30%. Si tratta di misure del prelievo che non assecondano, né alimentano, possibili processi di azzeramento della tassazione sui redditi finanziari, generati dalla competizione fiscale. Nella direzione di osteggiare la cancellazione di ogni tassazione sui redditi finanziari si è mossa, con il supporto sino ad ora convinto dell Italia, l Unione europea. Essa ha individuato l esenzione riconosciuta ai non residenti come un fenomeno di competizione fiscale dannosa 4, che deve essere eliminato, non affidandosi ad accordi volontari fra paesi, ma mediante il ricorso ad uno strumento vincolante: una direttiva. Con l accordo di Freira del novembre 2000 prima e l approvazione poi da parte del Consiglio Ecofin del dicembre 2001 della bozza di Direttiva intesa a garantire un imposizione minima effettiva sui redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi all interno dell Unione europea (COM(2001)400def.) presentata dalla Commissione il 18 luglio 2001, la Comunità si è impegnata a promuovere l adozione di un regime di tassazione secondo il principio di residenza, reso possibile da un adeguato scambio di informazioni fra paesi membri. Il processo che porta all approvazione della direttiva, prevista entro il dicembre 2002, non è sicuramente privo di incertezze. Lussemburgo, Belgio e Austria non aderiranno inizialmente allo scambio di informazioni, ma adotteranno una ritenuta alla fonte, sui redditi pagati a non residenti, del 15% per i primi tre anni di applicazione e poi del 20%. Il loro definitivo consenso è inoltre subordinato all adozione di misure equivalenti da parte di paesi terzi, con i quali la Comunità è attualmente in trattativa: Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino, Svizzera e Stati Uniti. Una misura di riduzione del prelievo in capo ai propri residenti, per ragioni di competizione fiscale, può essere in questo contesto motivata solo dalla sfiducia nei confronti del processo in corso: l adozione del principio di residenza, nell ambito della Comunità europea, e l adozione di misure equivalenti da parte dei paesi citati, toglierebbero infatti, alla radice, il problema della competizione fiscale: ovunque decidessero di investire i cittadini sarebbero infatti tassati secondo l aliquota del proprio paese. Essa si tradurrebbe in un segnale negativo nei confronti di un processo 4 Misure fiscali riservate esclusivamente ai non residenti (o dai cui benefici siano esclusi i residenti) sono esplicitamente considerate come potenzialmente dannose sia dal codice di condotta europeo che dall Ocse.

10 in atto, particolarmente delicato e importante, a pochi mesi dalla data entro la quale la direttiva dovrebbe essere definitivamente adottata (dicembre 2002) 5. Risulta inoltre difficilmente intelleggibile da parte di un paese, quale l Italia, che già a partire dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale, si è dotata di strumenti di monitoraggio finalizzati ad evitare che i redditi di capitale percepiti da cittadini residenti su investimenti finanziari all estero restino esenti da tassazione in patria; strumenti la cui efficacia deterrente è stata potenziata proprio dall attuale governo, al fine di incentivare il rientro di capitali favorito dalla manovra a favore dell emersione di attività esportate o detenute illegalmente all estero, nota come scudo fiscale Detassazione, con quali conseguenze? La prospettata de-tassazione avrà importanti conseguenze sia esterne sia interne al sistema di tassazione dei redditi finanziari, che verranno sinteticamente ricordate in quanto segue. Le conseguenze interne verranno poi approfondite nei successivi paragrafi Conseguenze esterne La principale conseguenza esterna sarà ovviamente rappresentata da una significativa perdita di gettito. Si è già ricordato che, nell ipotesi di invarianza nell andamento dei mercati borsistici rispetto all anno di riferimento (il 2001), la Relazione tecnica al provvedimento ipotizza, una perdita di gettito di 1769,18 milioni di euro, pari a poco meno del 12% del gettito complessivo delle imposte sostitutive su interessi e plusvalenze stimato, per quell anno, dal Bollettino economico della Banca d Italia del marzo L esistenza di un vicolo di gettito era stata considerata sia dal governo Prodi che dal Libro Bianco di Tremonti del 1994 uno degli elementi ostativi all abbassamento dell aliquota sui depositi bancari e postali. Il disegno di legge delega prevede, al proposito, all art. 9 comma 1, il vincolo esplicito della sostanziale invarianza dei saldi economici e finanziari netti dei singoli settori istituzionali. La Relazione tecnica al provvedimento reinterpreta questo vincolo affermando che gli effetti della riforma, per ciò che concerne la tassazione di capitali, l imposizione societaria e la progressiva abolizione dell Irap, dovranno comunque garantire, nel loro complesso l invarianza di gettito del macro-comparto industrialefinanziario. Sulla base di questa affermazione si dovrebbe concludere che l ipotizzata perdita di gettito conseguente alla detassazione dei redditi finanziari, unitamente a quella riconducibile al progressivo smantellamento dell Irap, dovrebbe essere coperta da un incremento dell imposizione sulle società di capitali. I conti riportati dalla Relazione tecnica non danno però supporto a questa congettura: il previsto aumento netto del prelievo sulle imprese, e soprattutto sulle società di capitali, risulta praticamente pari a, e quindi in grado di finanziare, la perdita di gettito di milioni di euro stimata, con riferimento ai soggetti non appartenenti alle Amministrazioni pubbliche, come effetto della ipotizzata esclusione dalla base imponibile dell Irap del 20% del costo del lavoro. in tal modo, verrebbe rispettato il vincolo della sostanziale invarianza dei saldi economici e finanziari netti dei singoli settori istituzionali (art. 9, co. 1), in questo caso le imprese. 5 Se i tempi di approvazione della direttiva verranno rispettati, ci troveremmo nella paradossale situazione di approvare una delega fiscale che porterà ad una riforma della tassazione delle attività finanziarie, ispirata a principi di competizione fiscale, in epoca successiva all approvazione di una direttiva europea che sostanzialmente elimina tale fenomeno. 6 La perdita di gettito indicata dalla Relazione tecnica sembra essere ampiamente sottostimata, in particolare per quanto riguarda la quantificazione degli effetti del passaggio dalla tassazione al maturato alla tassazione al realizzato, effetti che, nel caso di andamento positivo dei mercati borsistici, non vengono neppure quantificati.

11 La perdita di gettito imputabile alla detassazione dei redditi finanziari non sembra quindi trovare copertura nell ambito di disposizioni compensative previste dalla delega fiscale in discussione. Un altro possibile effetto esterno della prospettata detassazione del risparmio, che potrà essere accuratamente valutato solo quando tutti gli aspetti della delega fiscale saranno compiutamente definiti, riguarda il rischio che essa si traduca in un ulteriore ridimensionamento della tassazione riservata ai redditi finanziari rispetto a quella riservata ad altre tipologie di reddito. Questo fenomeno asseconderebbe la tendenza a spostare la tassazione sui fattori immobili e sul lavoro, evidenziata e stigmatizzata con forza nel rapporto Monti del A tale rapporto ha fatto seguito l approvazione in sede Ue del cosiddetto pacchetto Monti, di cui costituiscono elementi cruciali: il codice di condotta, finalizzato a combattere la competizione fiscale dannosa, per quanto riguarda la tassazione delle imprese e la proposta della citata direttiva sul risparmio, finalizzata a salvaguardare un livello minimo di imposizione sui redditi finanziari. La riduzione del prelievo sui redditi finanziari comporterebbe inoltre l ulteriore aumento del divario nell onere fiscale riservato agli impieghi finanziari del risparmio rispetto a quello riservato ad altre forme di impiego, che penalizzerebbe in modo particolare il risparmio destinato all acquisizione di immobili Conseguenze interne L adozione di un aliquota di tassazione particolarmente contenuta avrà l importante conseguenza di ridurre la rilevanza delle distorsioni (non volute) imputabili al permanere o all introduzione di trattamenti differenziati fra tipologie di redditi, di attività o di intermediari finanziari. Essa renderà in particolare meno interessante il ricorso ad attività elusive che richiedano architetture complesse. Simmetricamente però, essa ha l effetto di ridurre l efficacia delle agevolazioni (distorsioni volute) che si vogliano riconoscere a particolari tipologie di redditi, di attività o di intermediari finanziari. Efficacia che dipende crucialmente dal beneficio fiscale che l agevolazione concede rispetto al sistema ordinario di tassazione. Quando il sistema ordinario prevede un onere di imposta di per sé già molto contenuto lo spazio per misure di incentivo risulta inevitabilmente ridotto. Queste tematiche assumono un importanza fondamentale sia nella valutazione della neutralità del nuovo sistema di tassazione dei redditi finanziari sia per quanto riguarda il disegno del possibile trattamento agevolativo che, secondo i principi contenuti nella delega, dovrebbe essere riservato al risparmio previdenziale. 3. La neutralità del sistema L adozione di un aliquota unica per la tassazione di tutti i redditi di capitale e diversi rappresenta un indiscutibile, quanto atteso, passo avanti in direzione di un sistema di tassazione dei redditi finanziari neutrale. Essa non è però in grado di determinare, da sola, la piena neutralità del sistema, in primo luogo in quanto non riguarda il trattamento degli utili distribuiti da società di capitali. Nel sistema delineato dal disegno di delega, inoltre, permangono due importanti fattori distorsivi: la non omogeneità nella definizione dell imponibile, che varia in ragione dei diversi regimi previsti per la deduzione delle minusvalenze e delle perdite sui prodotti derivati, e le diverse modalità di applicazione dell imposta, con particolare riferimento al timing della tassazione.

12 Per esaminare la rilevanza di questi fattori, è utile considerare separatamente la capacità del sistema di tassazione proposto di garantire la neutralità fra: - tipologie di redditi finanziari; - prodotti finanziari che danno lo stesso reddito; - modalità di intermediazione Neutralità fra tipologie di redditi finanziari Al paragrafo 1, commentando il secondo dei principi direttivi contenuti nella delega, e cioè, in particolare, il principio che prevede la omogeneizzazione dell imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli si è fornita una prima illustrazione del possibile livello di prelievo che verrà a gravare, dopo la riforma, sulle diverse tipologie di redditi finanziari: interessi, plusvalenze e dividendi. Nella tabella 1 si offre una sintesi di queste informazioni e si propone un primo confronto fra la situazione attuale e quella delineata dalla delega. I dati riportati mettono in evidenza alcuni elementi fondamentali. In primo luogo, il regime previsto dalla delega comporterà, attraverso l unificazione delle aliquote del prelievo sostitutivo, una sensibile uniformazione nel trattamento di interessi e plusvalenze. Questa uniformazione è ottenuta attraverso una riduzione dell onere di imposta per quanto riguarda sia alcune importanti tipologie di interessi sia le plusvalenze qualificate (con la possibile eccezione delle plusvalenze relative a partecipazioni qualificate di società di persone, per le quali, come si è ricordato, il regime attuale prevede una piena correzione della doppia tassazione). Non va però sottaciuto che la tassazione delle plusvalenze al realizzo, anziché alla maturazione introduce una discriminazione prima inesistente a favore del trattamento di plusvalenze derivanti dalla cessione di obbligazioni e partecipazioni non qualificate che può aprire la strada ad operazioni, elusive, di trasformazione di interessi in plusvalenze. In secondo luogo, il passaggio da un sistema di tassazione duale ad un sistema ad aliquota unica, per quanto riguarda le società di capitali, e la riduzione degli scaglioni dell imposta sui redditi da cinque a due avranno l effetto di ridurre considerevolmente l ampiezza della forcella entro cui può variare il prelievo complessivamente riservato ai dividendi. TAB. 1. Onere di imposta (%) sulle diverse tipologie di redditi finanziari: regime attuale e regime prefigurato dalla delega Regime attuale Regime delega Interessi 12, , ,5-23 Plusvalenze non qualificate 1 12,5 12,5 (alla maturazione) Plusvalenze qualificate di società di capitali 1 (16,5 33) 2 Plusvalenze qualificate di 27 sulla quota che eccede gli 11,5-23 società di persone 1 utili già tassati per trasparenza (16,5 33) 2 Dividendi non qualificati 29, ,375 opzione per , Dividendi qualificati , ,705 48,41 (44,055 55,11) 2 Note:

13 1 Non si tiene conto, in quanto ciò richiederebbe la formulazione di ipotesi arbitrarie, dell imposizione che le plusvalenze subiscono in capo alla società (o, nel caso delle società di persone, in capo al socio), nella misura in cui riflettano utili non distribuiti. 2 Si ipotizza una percentuale di inclusione del 50 o del 100% e un aliquota marginale del 23%. Fra parentesi i dati relativi all aliquota marginale del 33%. 3 L onere varia fra il 29,125 e il 44% al variare dell imposta societaria fra il 19 e il 36%, come conseguenza dell operare della Dit. 4 In caso di opzione per l inclusione dei dividendi nell imponibile Irpef, in ragione del riconoscimento al socio di un credito di imposta pieno e/o limitato, l onere varia al variare dell imposta societaria fra il 19 e il 36%. Per un contribuente con aliquota media del 18%, l onere varia quindi fra 0 e 18% al variare dell aliquota media della società fra il 19 e il 36%. L analogo intervallo per l onere che grava sul contribuente con ipotetica aliquota media massima del 45% è invece 31,66-45%. Va però rilevato che la discriminazione relativa fra tipologie di reddito e in particolare fra dividendi, da un lato, e interessi e plusvalenze, dall altro, risulta invece sensibilmente ampliata. Ciò discende sia dalla sostanziale omogeneizzazione al livello più contenuto, fra quelli attualmente previsti, del prelievo sugli interessi e sulle plusvalenze, sia dall inasprimento del prelievo medio sui dividendi, principalmente imputabile al venir meno del credito di imposta (pieno e limitato) e della Dit. L esistenza di una divaricazione così sensibile, che fra interessi e dividendi non è, in nessuna ipotesi, inferiore a 28,2 punti percentuali, non può che invogliare il ricorso a pratiche elusive. Questo problema è in parte arginato, nel regime attuale, dalla previsione di una tassazione al 27% sia dei proventi dei titoli atipici, che sono stati storicamente utilizzati per trasformare redditi di capitale in plusvalenze all epoca esenti, sia delle obbligazioni (e titoli ad esse similari), anch esse tassate al 27% quando, pur avendo scadenza superiore ai 18 mesi, offrono un rendimento superiore a parametri definiti per legge 7, facendo scattare la presunzione di utilizzo elusivo di uno strumento di debito per attuare una distribuzione di dividendi mascherati da interessi. Con l unificazione del prelievo al 12,5% anche per tali titoli, il ruolo di sanzionare possibili pratiche elusive viene affidato dalla delega alla previsione di un apposita normativa contro la thin capitalization. Va però precisato che tale norma riguarda esclusivamente i finanziamenti erogati o garantiti da soci che detengano, direttamente o indirettamente, una partecipazione non inferiore al 10% del capitale sociale 8, mentre le pratiche elusive che si sono servite, negli anni del loro boom (inizio anni Ottanta), dei titoli atipici, hanno coinvolto un insieme molto più ampio di tipologie e quindi anche di contribuenti Neutralità fra prodotti che danno lo stesso reddito La sofisticazione ormai raggiunta dai mercati finanziari, anche a seguito dello sviluppo dei prodotti derivati e dell importante ruolo esercitato dagli investitori professionali, che rende possibile, con grande facilità, la trasformazione della natura del proprio reddito (ad esempio, da reddito di capitale a capital gain) rende possibile, con uguale facilità, trasformare le scadenze dei propri crediti o debiti. Ciò rende inadeguata, sotto il profilo economico, una distinzione, cui si accompagnino differenze di tassazione, quale quella che ancora permane nel nostro ordinamento fra titoli a breve e titoli a lungo termine. Il risultato più importante in termini di neutralità del prelievo è indubbiamente raggiunto dalla delega attraverso l unificazione dell aliquota, proprio con riferimento al trattamento riservato a prodotti che offrono la stessa tipologia di reddito, e in particolare ai prodotti che offrono un rendimento sotto forma di interessi, a prescindere dalla loro durata. L unificazione dell aliquota fa 7 Il limite attualmente operativo è pari al doppio del Tasso Ufficiale di Sconto per le obbligazioni negoziate in mercati regolamentati e al Tasso in questione, maggiorato di 2/3, per le altre obbligazioni. 8 Essa consiste nel riqualificare gli interessi corrisposti su tali finanziamenti come utili distribuiti e renderli, almeno in parte, indeducibili in capo all impresa, qualora il rapporto fra quota di patrimonio netto e indebitamento dell impresa, riferita al socio, ecceda valori che verranno stabiliti.

14 in particolare scomparire la discriminazione ai danni della raccolta bancaria e postale e garantisce che la tassazione non distorca le scelte degli operatori circa alternative di investimento del proprio risparmio, equivalenti sotto il profilo economico Neutralità fra modalità di intermediazione Il disegno di legge delega fa esplicito riferimento a tre diversi regimi di tassazione, in ragione della modalità di intermediazione scelta dall intermediario: regime del risparmio amministrato, regime delle gestioni individuali e regime delle gestioni collettive. Non viene mai menzionato il regime della dichiarazione, cui è attualmente previsto che il contribuente ricorra quando non si avvale dell ausilio degli intermediari finanziari né per l amministrazione né per la gestione del proprio risparmio o quando, pur essendo nella condizione di poterlo fare, non opti per nessuno dei regimi alternativi (ad esclusione della gestione collettiva, il cui regime di tassazione non è opzionale ma obbligatorio). Esso svolge una importante funzione di chiusura del sistema, evitando che i contribuenti che non ricorrono agli intermediari sfuggano all imposizione ed è inoltre l unico regime di tassazione ammesso per plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, che costituiscono una categoria a parte, nell ambito dei redditi diversi. E quindi presumibile che, se avesse voluto eliminare questo regime, il disegno dei legge delega (o quantomeno la relazione di accompagnamento) avrebbe dovuto dichiararlo esplicitamente. Si è però già ricordato che alcuni dubbi interpretativi permangono in ragione del fatto che, come si è ricordato al paragrafo 1, commentando il secondo principio direttivo del disegno di legge delega relativo alla tassazione del risparmio, che dispone la convergenza del regime fiscale sostitutivo su quello dei titoli del debito pubblico, la relazione di accompagnamento prevede l applicazione generalizzata del sistema di imposizione sostitutiva. In assenza di ulteriori informazioni, in quanto segue si presuppone che il regime della dichiarazione venga mantenuto. E allora importante esaminare quali siano gli elementi che maggiormente differenzierebbero, nel nuovo sistema, il trattamento fiscale riservato al risparmio finanziario a seconda del regime di tassazione cui viene ricondotto. Nella tabella 2 si mettono in evidenza due elementi particolarmente rilevanti: il timing della tassazione, e l individuazione dell insieme di redditi da cui possono essere dedotte le minusvalenze (e le perdite sui prodotti derivati). TAB. 2. Differenze nei regimi di tassazione riservati dalla delega alle diverse modalità di intermediazione. Timing Regime della dichiarazione Risparmio amministrato Gestioni individuali Gestioni collettive -redditi di capitale -plusvalenze realizzate alla fonte alla dichiarazione alla fonte alla realizzazione periodicamente alla cessione delle quote Deducibilità delle minusvalenze contro le plusvalenze contro le plusvalenze contro plusvalenze e redditi di capitale contro plusvalenze e redditi di capitale

15 Grazie all adozione del principio di tassazione alla maturazione (o equivalentemente alla realizzazione, ma con applicazione dell equalizzatore), il timing della tassazione non aveva alcuna rilevanza per l onere fiscale riservato ai redditi finanziari dalla riforma Visco. Non così nel regime proposto dalla delega. L adozione del principio della realizzazione, interpretata come disponibilità di cassa dei redditi finanziari da parte del contribuente, unitamente alla complessità di prevedere una tassazione sulle singole operazioni nel caso del risparmio tassato in dichiarazione, comportano che il timing della tassazione costituisca un importante elemento di non neutralità del regime di tassazione prospettato dalla delega. Una plusvalenza realizzata a seguito della cessione di un titolo nel gennaio del 2003 sarà tassata: immediatamente, nel caso del risparmio amministrato; nel giugno del 2004, nel caso di opzione per il regime della dichiarazione; ad una scadenza infra-annuale ancora da stabilire, nel caso delle gestioni individuali; al momento della cessione della quota da parte del contribuente, nel caso delle gestioni collettive. La deducibilità delle minusvalenze sarà ammessa solo nell ambito dei redditi diversi, per quanto riguarda il risparmio amministrato o il regime della dichiarazione, mentre potrà valere anche nei confronti dei redditi di capitale, nel caso di gestione individuale o collettiva del risparmio. Si tratta di una caratteristica che è presente anche nell attuale ordinamento ma che, come si argomenterà in quanto segue, ha implicazioni estremamente rilevanti, in termini di possibilità elusive, e di conseguenti non neutralità del sistema, se considerata nella sua interazione con l adozione di un regime di tassazione alla realizzazione anziché alla maturazione. L adozione di un tale sistema è infatti una delle principali fonti di non neutralità del sistema di tassazione proposto dalla delega. Questo per due ragioni principali, cui la letteratura economica riconduce, più che a considerazioni di equità, pure presenti, ma su cui vi è meno accordo, la preferibilità del sistema di tassazione alla maturazione. In primo luogo, la tassazione alla realizzazione induce gli operatori a differire lo smobilizzo delle attività in loro possesso, anche in contrasto con valutazioni di puro interesse economico, al fine di differire la tassazione. Simmetricamente essa crea un interesse ad anticipare la realizzazione delle minusvalenze, che sono immediatamente deducibili. I vantaggi che possono derivare al contribuente, in termini di minore onere fiscale, dal differimento della tassazione delle plusvalenze e dal simmetrico anticipo della tassazione delle minusvalenze sono, nel sistema proposto dal disegno di legge delega, significativamente diversi a seconda del regime di intermediazione e quindi di tassazione utilizzato. Ciò è ovviamente fonte di importanti non neutralità del sistema stesso Lock in effect Nel sistema disegnato dalla proposta di riforma fiscale, l effetto immobilizzo (lock in effect) indotto dalla tassazione alla realizzazione può incidere sulla composizione del portafoglio degli individui (nel caso di detenzione non intermediata e in quello, altamente più probabile, di risparmio amministrato) e delle gestioni individuali. Essa crea infatti un incentivo di natura fiscale a differire la realizzazione delle plusvalenze per differirne la tassazione. Ben diverso è il discorso per le gestioni collettive: dal momento che ogni tassazione è comunque differita sino al momento in cui il contribuente decida di vendere le proprie quote, l intermediario può modificare la composizione del suo portafoglio, quando e come vuole, senza incorrere in alcun prelievo fiscale sulle plusvalenze eventualmente realizzate. Ciò si traduce in un vantaggio competitivo delle gestioni collettive rispetto a quelle individuali e al risparmio amministrato, che può esser interpretato alla stregua di minori costi di transazione. Simmetricamente il lock in effect può incidere significativamente sulla scelta degli individui e dei gestori individuali (ma non dei gestori collettivi) di cedere quote di fondi comuni. 9 9 E appena il caso di ricordare che il lock in effect sarebbe massimo nel caso in cui, come sostenuto dalla relazione tecnica al disegno di legge, ma esplicitamente escluso dalla relazione di accompagnamento, alla cui interpretazione si è sino ad ora fatto riferimento, si applicasse anche alle gestioni individuale il regime di deferral

16 Realizzazione strategica delle minusvalenze Per ragioni simmetriche a quelle richiamate a proposito del lock in effect, in tutti i regimi di tassazione diversi dalle gestioni collettive vi sarà interesse ad una realizzazione strategica delle minusvalenze per ridurre il proprio onere fiscale. Dal momento che è sempre possibile vendere un titolo e garantirsene l immediato riacquisto ad un prezzo uguale a quello di vendita, diviene molto conveniente realizzare, a fini esclusivamente fiscali, le minusvalenze maturate, pur senza rivedere la composizione del proprio portafoglio, e utilizzarle per compensare le plusvalenze realizzate, come conseguenza di scelte di ricomposizione del proprio portafoglio motivate da ragioni economiche. L interesse è però particolarmente rilevante nel caso delle gestioni individuali. Esse possono infatti utilizzare le minusvalenze realizzate per compensare non solo eventuali plusvalenze, ma anche i redditi di capitale del periodo. Lo scenario che si può prefigurare è il seguente: a ridosso della scadenza prevista per il pagamento dell imposta la gestione individuale vende titoli su cui realizza minusvalenze, assicurandosene l immediato riacquisto al medesimo prezzo attraverso il ricorso a strumenti contrattuali di uso ormai quotidiano. Queste minusvalenze vengono utilizzate per compensare non solo le plusvalenze realizzate ma anche i redditi di capitale incassati nel periodo preso a riferimento per la tassazione. La gestione non paga imposte, né è costretta a modificare il suo portafoglio. Dal momento poi che la valutazione del portafoglio, che ovviamente interessa il cliente, viene fatta ai prezzi di mercato, la performance del gestore non ne risulta minimamente scalfita (anzi migliora in ragione del buon esito dell operazione elusiva). Si tratta di un'opportunità che può garantire alle gestioni individuali un vantaggio fiscale persino nei confronti delle gestioni collettive, che pure godono del beneficio del deferral, ma che sono di fatto tassate sul risultato di gestione maturato nel periodo di possesso, in quanto è tale risultato che determina il valore delle quote ed è quindi incassato come corrispettivo della cessione dal contribuente al momento dell alienazione delle quote. Un ulteriore opportunità di realizzazione strategica delle minusvalenze, anche se meno rilevante di quella ora descritta, riguarda i soggetti che sono sottoposti a pagamenti periodici: gli individui tassati alla dichiarazione e, ancora una volta, le gestioni individuali. A questi soggetti conviene realizzare plusvalenze all inizio del periodo preso a riferimento per l imposizione, godendo quindi del differimento dell imposta sino alla scadenza prevista per il pagamento della medesima, e, di converso, realizzare le minusvalenze alla fine del periodo di imposta, per potere beneficiare dell immediata deducibilità delle stesse Il timing della tassazione: perché il deferral per gli Oicr? Come evidenziato dalla tabella 2 la gestione collettiva è la modalità di intermediazione maggiormente favorita dal timing della tassazione. Rispetto al regime attuale il prelievo è infatti spostato dall intermediario al contribuente e rimandato quindi al momento in cui lo stesso entra in possesso dei redditi maturati sulla gestione attraverso una loro distribuzione o la cessione (il riscatto) delle quote. La volontà di spostare la tassazione dall intermediario agli individui non è la sola, né la principale, motivazione che ha portato alla prospettazione del regime di tassazione indicato. Vi è un altra fondamentale ragione. Il deferral è il regime di tassazione prevalentemente adottato dagli Oicr negli altri paesi europei. Un contribuente italiano che sottoscriva quote di Oicr europei si troverebbe a godere del deferral della tassazione che gli sarebbe invece negato nel caso di sottoscrizione di un Oicr italiano. Questo problema era risolto, prima che tale istituto venisse previsto per le gestioni collettive. In tal caso, infatti, il differimento della tassazione dei redditi realizzati sino al momento della cessazione di tale gestione, potrebbe protrarsi indefinitamente.

17 abrogato con provvedimento del settembre scorso dal presente governo, grazie all operare dell equalizzatore. L equalizzatore aveva infatti la funzione di ricondurre la tassazione al realizzo o comunque differita ad una tassazione alla maturazione. A seguito dell abrogazione dell equalizzatore, la discriminazione a favore degli Oicr esteri diventa invece rilevante. In questo contesto il deferral può allora essere giustificato dalla necessità di eliminare un possibile svantaggio competitivo ai danni degli Oicr italiani. Analogamente, adottando il sistema di differimento dell imposizione, si elimina ogni possibile discriminazione nel trattamento di sottoscrittori esteri di fondi italiani, a cui è facilmente riconoscibile, ove ne ricorrano le condizioni, l esenzione. Anche il regime attuale ottiene lo stesso risultato, o detassando i cosiddetti fondi comuni dedicati, e cioè sottoscritti unicamente da non residenti o riconoscendo ai non residenti che investano in fondi comuni italiani un credito, del 15%, per le imposte subite dal fondo Ma quanto conta il deferral? Si è ricordato al paragrafo che una delle conseguenze, interne, della de-tassazione del risparmio propugnata dal disegno di legge delega consiste nel ridimensionamento degli effetti negativi imputabili a non neutralità presenti nel sistema. L analisi sin qui condotta ha portato ad individuare nel differimento della tassazione, imputabile sia alle regole previste per la tassazione delle gestioni collettive, sia al fenomeno del lock in, negli altri regimi di tassazione, un importante elemento distorsivo, che può essere all origine di comportamenti elusivi. Dal momento però che l onere di imposta che viene differito è particolarmente contenuto, l effetto in questione può essere in parte ridimensionato. Nella tabella 3 si calcola l aumento del Tasso di rendimento interno (Tir) e la riduzione del cuneo fiscale rispetto all aliquota nominale del 12,5% che si ottiene posponendo la tassazione, in ipotesi diverse relative sia al periodo di differimento dell imposizione (es. la durata del possesso di una quota di Oicr) sia al tasso di rendimento lordo di cui si evita la tassazione. TAB. 3. Effetto del deferral sul cuneo di imposta e sul Tir attuale delega attuale delega Attuale delega possesso 20 anni rend. lordo 2,5% 5% 10% T.I.R. 2,187% 2,244% 4,375% 4,575% 8,750% 9,383% Cuneo fiscale (%) 12,5 10,225 12,5 8,497 12,5 6,171 rend. lordo 5% attuale delega attuale delega Attuale delega Possesso 5 anni 10 anni 20 anni T.I.R. 4,375% 4,426% 4,375% 4,482% 4,375% 4,575% Cuneo fiscale (%) 12,5 11,49 12,5 10,362 12,5% 8,497% La parte superiore della tabella mette in evidenza come il cuneo fiscale diminuisca (e il Tir aumenti), e quindi il vantaggio del deferral aumenti, all aumentare del tasso di rendimento lordo. Nell ipotesi di un periodo di possesso lungo (20 anni) e di un rendimento lordo del 10%, il cuneo fiscale può più che dimezzarsi.

18 La parte inferiore della tabella mette invece in evidenza come, dato un rendimento lordo, ad esempio del 5%, il cuneo fiscale diminuisce (e il Tir aumenta) al crescere del periodo di possesso, raggiungendo il valore di 8,497% nel caso di un possesso pari a 20 anni. Per periodi di possesso bassi, es. 5 anni, e tassi di rendimento lordo non troppo elevati, es. 5%, l effetto del differimento è molto contenuto: il cuneo fiscale si riduce dal 12,5% nominale all 11,49%, determinando un Tir più elevato dello 0,051%. 4. Equità e semplicità amministrativa 4.1. Prime riflessioni sull equità del sistema Elementi fondamentali per l equità di un sistema di tassazione dei redditi finanziari sono la generalità e la uniformità della sua applicazione. L introduzione, nel nostro paese, di un sistema di tassazione generale è avvenuta con la riforma Visco, che ha ricondotto a tassazione, secondo criteri coerenti con quelli previsti per i redditi di capitale, tutte le plusvalenze finanziarie, azionarie e non. Questa scelta non è messa in discussione dal disegno di legge delega, che compie anzi un ulteriore passo in avanti, uniformando l aliquota del prelievo per tutte le tipologie di interessi e plusvalenze. L effetto principale di questa scelta è di ridurre la discriminazione, non giustificata, nei confronti della detenzione di depositi bancari e postali. Resta però aperto, come si è notato in precedenza, un problema, già presente nel regime attuale, di trattamento equo nei confronti dei rendimenti di altre forme di impiego del risparmio finanziario, i dividendi, e di altre forme, non finanziarie di impiego del risparmio (le abitazioni) Sotto il profilo del disegno fiscale, la convergenza delle aliquote è un elemento estremamente positivo, dal punto di vista, non solo dell efficienza, ma anche dell equità. Più complessa è la sua valutazione nell ambito di un provvedimento di riforma. Come sottolineato, in particolare, dalla letteratura sulla tassazione ottimale, la rimozione di trattamenti discriminatori ha effetti redistributivi che vanno accuratamente valutati. In particolare, essi saranno diversi a seconda del livello a cui le aliquote vengono fatte convergere. Affinché il provvedimento di riduzione della tassazione sugli interessi dei depositi si muova, come afferma, nella sua audizione alla Commissione Finanze della camera, il ministro Tremonti, nella direzione di ridurre le tasse ai poveri, occorre che si verifichino due condizioni: in primo luogo, esso non deve tradursi in una riduzione del tasso di rendimento lordo offerto da tali attività, il che richiede che, nel mercato dei depositi bancari, non si abbia traslazione dell onere sull emittente; in secondo luogo occorre che i depositi siano detenuti, in misura prevalente, dalle famiglie povere. La credibilità del verificarsi di entrambe queste condizionati andrebbe però accuratamente verificata. Per quanto riguarda la prima condizione, è curioso notare come l ipotesi di assenza di traslazione sull emittente, per quanto riguarda la tassazione dei depositi, venga sposata, senza nessuna qualificazione, dalla medesima relazione in cui si considera invece che il mercato dei titoli pubblici sia caratterizzato da piena traslazione dell imposta. Nel paragrafo si è argomentato come l ipotesi di traslazione dell imposta sul mercato dei titoli pubblici non sembri plausibile in ragione principalmente di due fattori: l apertura del mercato, che rende altamente elastica la curva di offerta dell emittente, il quale può agevolmente finanziarsi sui mercati esteri, e l esistenza di oneri fiscali differenziati in capo a categorie diverse di sottoscrittori. Queste problematiche assumono rilevanza diversa per quanto riguarda il mercato dei depositi. La sottoscrizione di depositi da parte delle famiglie (che rappresenta quasi il 50% del totale) non è sicuramente sostituibile con sottoscrizione da parte di non residenti (che rappresenta poco più del 10% del totale) ed ha mostrato a più riprese una certa sensibilità al tasso di interesse netto. Non a caso il differenziale di tassazione fra depositi bancari e Bot è stato storicamente utilizzato nel nostro paese per favorire lo

19 spostamento di offerta dall una all altra di queste attività. Sensibile è stato inoltre lo spostamento dai depositi ad altri impieghi a seguito del boom azionario del E quindi sensatamente ipotizzabile, anche se in questo campo, in assenza di un adeguata evidenza empirica, la cautela è d obbligo, che, sul mercato dei depositi, si abbia una parziale traslazione dell onere di imposta sull emittente. In queste circostanze la diminuzione del prelievo sui depositi si tradurrebbe, almeno in parte, come ipotizzato anche da Panzeri (2002), in un beneficio per l emittente (le banche), in termini di diminuzione del costo della raccolta. Per valutare l impatto redistributivo del beneficio che resta a carico dei sottoscrittori, occorrerebbe fare poi riferimento, come si è detto, alla distribuzione dei depositi fra le famiglie ordinate per decili di reddito disponibile equivalente. Dati relativi a tale distribuzione sono ricavabili dall indagine della Banca d Italia sui redditi delle famiglie. Si tratta di dati che tendono a sottostimare la consistenza delle attività finanziarie effettivamente possedute. Non vi sono però ragioni, a priori, per ritenere che lo scostamento fra il dato dichiarato e quello effettivo sia distribuito in misura diversa fra i diversi decili di reddito (e tanto meno che diminuisca all aumentare del reddito stesso). Da elaborazioni compiute sugli ultimi dati disponibili, relativi al 2000, si evince che la percentuale di famiglie che possiedono depositi bancari e postali, pari al 41% di quelle appartenenti al primo decile, passa al 66% di quelle del secondo e a percentuali sempre superiori al 90% dal settimo decile in poi. L importo medio dei depositi bancari e postali detenuto da una famiglia del primo decile è pari a circa euro, quello di una famiglia appartenente al sesto decile è di circa euro, quello di una famiglia appartenente al decimo decile è di circa euro. In questa situazione, ipotizzando un tasso di rendimento medio lordo del 2,18% 10, la diminuzione dell aliquota del prelievo dal 27 al 12,5% determinerebbe un guadagno medio, per i diversi decili di famiglie italiane ordinate per decili di reddito disponibile familiare equivalente, che varia dai 5 euro del primo decile ai 166 euro del decimo, secondo la distribuzione riportata nella figura 1. FIG. 1. Distribuzione del guadagno medio imputabile all abbattimento della ritenuta sui depositi dal 27 al 12,5% per famiglie ordinate per decili di reddito disponibile familiare equivalente guadagno medio decili Anche sotto il profilo dell equità sarebbe quindi probabilmente preferibile che la doverosa e positiva unificazione dell aliquota sugli interessi avvenisse ad un tasso di interesse superiore al 12,5% Si tratta dell interesse medio sui depositi che risulta dalla Relazione della Banca d Italia, relativa al 2000, riferito al mese di marzo 2001 (ultimo dato disponibile). 11 Una misura di questo genere sarebbe in grado di controbilanciare il favore riconosciuto agli individui ad alto reddito, attraverso la riduzione dell imposta sui depositi, con la perdita ad essi inflitta da una maggiore tassazione dei titoli

20 Questa scelta, permetterebbe anche di evitare il rischio che, come si è ricordato al paragrafo il nuovo sistema di tassazione porti ad un ulteriore, iniquo, ridimensionamento della tassazione riservata ai redditi finanziari rispetto a quella riservata ad altre tipologie di reddito. Va infine rilevato che l abbandono della tassazione dalla maturazione, a favore di una tassazione al realizzo, comporta l abbandono dell adozione di un concetto di reddito entrata, come migliore indicatore di capacità contributiva del soggetto. Anche l equità di questa scelta, oggetto di un dibattito secolare fra gli studiosi, andrebbe accuratamente valutata La semplicità amministrativa del sistema La scelta a favore di una tassazione alla realizzazione piuttosto che alla maturazione è, come si è ricordato in precedenza, sicuramente inefficiente sotto il profilo economico e controversa sotto il profilo dell equità. Il motivo per cui essa è comunemente adottata è principalmente riconducibile alla sua maggiore semplicità amministrativa: essa non richiede infatti una contabilità ai prezzi di mercato. Questo problema era stato affrontato e risolto dalla riforma Visco con l introduzione dell equalizzatore, lo strumento che, come si è detto, permetteva di equiparare l onere della tassazione, che rimaneva al realizzo, per i soggetti non tenuti alla contabilità di mercato, con quello della tassazione alla maturazione, riservata ai soggetti che tengono tale contabilità. I costi, soprattutto informatici e organizzativi, connessi a questa scelta sono stati oggetto di discussione e di critica. Ciò non toglie che il sistema si era ormai assestato sul nuovo regime. La valutazione che deve essere fatta oggi non è quindi su quale dei due regimi comporterebbe minori costi, nell ipotesi che l uno o l altro dovesse essere implementato ex novo, ma sull aumento o la riduzione dei costi (e sull aumento o sulla riduzione della complessità amministrativa) del passaggio dal sistema esistente, alla maturazione, ad un sistema che sia invece alla realizzazione, secondo le indicazioni contenute nel disegno di legge delega. Nelle intenzioni dei proponenti, questo passaggio comporterà una significativa semplificazione degli oneri amministrativi. Si tratta di un affermazione che potrà essere accuratamente valutata solo al momento dell emanazione dei decreti attuativi. L impressione che per ora si trae dalla lettura della delega e della relazione di accompagnamento è, però, che in realtà il nuovo regime richiederà adempimenti aggiuntivi, e quindi nuovi costi, per gli intermediari. Il costo complessivo legato ai cambiamenti organizzativi e di software resi necessari dalla riforma prospettata dalla delega è stato, ad esempio, valutato, per il sistema bancario nel suo complesso, pari a circa 175 milioni di euro dal Presidente dell Abi, nella sua audizione alla Commissione Finanze della Camera (Sella, 2002). Per meglio comprendere queste affermazioni, consideriamo, innanzitutto, il risparmio amministrato: dal momento che sia il regime attuale che quello prospettato richiedono il calcolo delle plusvalenze al momento del realizzo, la maggiore complessità del sistema Visco dovrebbe essere ricondotta al meccanismo dell equalizzatore. Non vi è dubbio che l equalizzatore sia uno strumento di non facile costruzione, che ha richiesto la costituzione di una ponderosa, quanto importante, banca dati presso l Ufficio italiano cambi, ma la sua applicazione da parte dell intermediario era assolutamente automatica, grazie alla disponibilità di un apposito software di cui gli intermediari stessi si erano ormai dotati. La già disposta soppressione dell equalizzatore non ha quindi certamente contribuito quindi né a semplificare il sistema, né a ridurre i costi di adempimento degli intermediari. pubblici. La distribuzione della consistenza di tali titoli per decili di reddito disponibile equivalente, come risulta ancora una volta dalla citata indagine della Banca d Italia, è tale per cui l innalzamento della ritenuta sugli interessi dei titoli pubblici, dal 12,5 al 19%, comporterebbe, nell ipotesi di un tasso di interesse lordo del 4,615% (Rendistato di febbraio 2002, come rilevato dalla Banca d Italia), una perdita assoluta di 1,25 euro per gli individui del primo decile, contro i 71,58 euro per gli individui dell ultimo decile.

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