O SOLDATIN D ITALIA DOVE VAI?

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1 Gianni Maiani O SOLDATIN D ITALIA DOVE VAI? La Mongolfiera LIBRI srl 3

2 Tutti i diritti riservati Gianni Maiani Monfalcone (Gorizia) Prima edizione: novembre 2000 Realizzazione e distribuzione editoriale: La Mongolfiera LIBRI Trieste (Italia) tel fax mongolfiera@xnet.it Stampato in Italia 4

3 UNA IMPORTANTE VISITA Erano quasi mille e cinquecento ragazzi dai sei ai diciotto anni, tutti schierati come piccoli soldati. Erano suddivisi in squadre in ragione dell età e della scuola che frequentavano. Portavano una divisa di panno blu formata da pantaloni e giubbotto, il capo era coperto da un casco della stessa stoffa blu. Guanti bianchi di lana, una camicia bianca, una cravatta blu e un paio di scarpe nere pulitissime, che brillavano per il gran lucido spalmato su di esse e le numerose spazzolate per stenderlo, per farle risplendere sino a scambiarle per nuove, completavano la loro divisa. I ragazzi gremivano le scalinate che correvano verso l alto rimpicciolendosi progressivamente. Ogni restringimento era contrassegnato da un pilastro sormontato da una statua; dopo di esso si allargavano per un breve tratto per poi rientrare, proprio come fa la fisarmonica, e così di seguito sino all inizio della piazzola antistante l edificio. Questo era un parallelepipedo di cinque piani, tutto in cemento armato di colore grigio, che l evoluzione delle scale faceva apparire molto più alto dei suoi quindici metri. Le luci, che dal basso lo illuminavano a giorno e quelle che ampi riflettori collocati a distanze regolari sul bordo del tetto lanciavano sia direttamente al suolo che lontano nell ampio spiazzo che precedeva la scalinata, amplificavano la dimensione massiccia e possente della costruzione. 5

4 Questa, dopo una trentina di metri, rientrava su entrambi i lati per rompere la monotonia del monoblocco ma subito riappariva e continuava per altri trenta metri. Erano le ampie porte e le numerose larghe finestre che rendevano affascinante quella parete di pietra. Porte e finestre erano ad arco e si differenziavano solo per l ampiezza, diversamente non le si sarebbe distinte. Per tre piani si ripeteva eguale la festa di finestre e porte bianche, mentre gli altri due avevano finestre piccole e semplici. Il legno bianco collegava il cemento al vetro. L arco delle porte e delle finestre era chiuso da un tramezzo di legno e dentro il semicerchio si annidavano foglie bianche, lunghe che ricordavano l alloro. Ampie tende bianche ricamate, raccolte a metà da un grosso cordone bianco filettato d oro, adornavano le porte e le finestre, le cui vetrate lasciavano scorgere i marmi rosati dei corridoi e le porte e le finestre gemelle delle prime che si proponevano identiche all ingresso del grande edificio. La facciata di questo, per la verità, era di gran lunga meno sontuosa di quella interna, anzi rispetto ad essa era addirittura modesta. La facciata anteriore si interrompeva un piano prima e il suo tetto fungeva da terrazzo a quella posteriore. Essa inoltre era fasciata da linee rosse che la cingevano tutta da un lato all altro e ciò per due volte a distanza di due metri circa una dall altra. Erano dei mattoni rossi che attraversavano orizzontalmente tutto l edificio. Avevano il compito di vivacizzare la costruzione, impreziosirla un po, renderla più fresca e vivace, meno sciatta della gemella poste- 6

5 riore. Ma il tentativo non era riuscito a togliere ad essa l immagine di un edificio povero, senza pretese, senza carattere e personalità. Di contro, quella interna appariva dinamica, luminosa e massiccia e tutta in movimento; quest ultimo era accentuato dalle finestre e dalle porte che trasmettevano un che di arioso, di libero e di aperto e si riproponeva per ben tre piani in un gioco di luminosità e freschezza, di pieni e vuoti che ricordavano una pomposa villa veneta. Sul lato opposto, all ingresso, un piccolo giardino costituito da due siepi circolari a distanza eguale una dall altra contenevano entrambe uno zampillo d acqua che fuoriusciva da una specie di tromba posta alla rovescia e che doveva fungere da fontana. Il prato attorno era disegnato a losanghe composte da piantine di fiori primaverili. Una folta siepe, molto alta, di odoroso, bianco gelsomino correva da un lato all altro del cancello di ingresso e scendeva a cascata sino a terra. In primavera la fioritura offriva al visitatore un accoglienza dolce e inebriante. Il giardino era chiuso su entrambi i lati da due ampie braccia murarie che come grossi spuntoni fuoriuscivano dall edificio quasi a sua difesa. Quello sito alla destra per chi entrava era il retro dell abside della cappella del collegio, mentre quello di sinistra era un lato del grande salone di ricevimento. Gli ospiti, nei giorni di festa, venivano da ogni parte dell Italia, di buon mattino, a prelevare i ragazzi. Li riaccompagnavano alle prime luci della sera dopo aver girato con loro per il paese, avere affollato le trattorie locali in cui si potevano gustare degli ottimi funghi ai 7

6 ferri con polenta, le trote appena pescate dal fiume del luogo o la selvaggina fatta ai ferri o al sugo, al salmì o anch essa guarnita di funghi e polenta riscaldata sulla grata. Per i più attenti e colti e certamente per quelli religiosi e pii la chiesa gotica del luogo sarebbe stata oggetto di visita e di preghiera. I deliziosi piatti erano tutti accompagnati dal vino locale sia rosso che bianco, tanto buono da essere ormai conosciuto in tutto il Paese, per molti più della stessa basilica. Ma anche le colline d intorno, soprattutto in primavera e in autunno, erano luoghi molto accoglienti; vigneti, frutteti e castani erano un richiamo per i turisti domenicali. Su di esse, ricolme di fiori e di profumi, si svolgevano feste di famiglia e di paese, pic nic e i giochi più svariati. La guerra e il collegio erano lontani per tutti e l aria fresca di primavera richiamava alla vita. Freschezza e vita entravano allora anche fra le mura collegiali, anzitutto nel grande salone di rappresentanza e accoglienza. Esso immetteva in due sale da pranzo, fra loro comunicanti con due ampie doppie porte alte sino quasi al soffitto, affiancate da una grande cucina. Queste sale rientravano rispetto lo spuntone e avevano ampie finestre e porte finestre parzialmente coperte da filari di alberi sempreverdi che ne serbavano la riservatezza. Di fronte alle sale da pranzo e alla cucina, dopo il lungo corridoio, correvano gli uffici della direzione. Alla fine di essi e delle prime iniziavano le grandi stanze di 8

7 ricreazione e quindi le aule scolastiche, prima quelle delle elementari, poi quelle delle industriali, cui seguivano le officine meccaniche e i laboratori tecnici per le esercitazioni degli studenti delle superiori. Quindi si ergevano altri edifici adibiti a palestre e sale da ricreazione, mentre la parte destra del complesso, dopo la chiesa, presentava un ampia sala di ristoro per gli insegnanti laici e finiva in numerosi locali adibiti a lavanderia e stireria. Ai piani superiori trovavano sistemazione la stanze da riposo degli assistenti civili, quindi quelle per il personale inserviente e alfine quello adibito al riposo e alla preghiera delle numerose suore, sia insegnanti che sorveglianti. L attrattiva del convitto non consisteva però nella gran quantità di aule e spazi interni, quanto nella distesa di verde e di terreno non edificato che si presentava a colui che avesse varcato la soglia della zona posteriore. Era una enorme estensione di prati, alberi e spazi attrezzati per il gioco, sistemato con tale armonia e ampiezza che l impressione era di un unico grande, infinito campo di svago. E, infatti, il fascino del convitto lo si coglieva quando al suono della ricreazione delle numerose campane un vociare crescente annunciava l invasione dello spazio erboso da parte di affamati di libertà, di sfogo e di competizione all aria aperta. Era come assistere al librarsi in volo di migliaia di uccelli appollaiati sugli alberi e destati dall improvviso e ripetuto battere di mani che rompeva il silenzio del luogo E i ragazzi correvano come ossessi ad occupare 9

8 campi, spazi, posizioni, tratti di verde o di terra battuta in cui impegnarsi con gli amici in sfide agonistiche. C era di tutto in quell immenso spazio libero, numerosi campi di calcio, delle più diverse dimensioni, campi da gioco per la pallacanestro in cemento e in terra battuta, di pallavolo, di pallamano e di tennis, piste ciclabili e pista di atletica. Fra il verde, i più riflessivi potevano impegnarsi nel gioco degli scacchi, della dama posti su piedistalli di pietra e attorniati da sedili pure in pietra. Altri si dilettavano nella corsa campestre lungo i sentieri tracciati fra gli alberi degli ampi parchi che fiancheggiavano il confine del convitto. Tutti si svagavano, ma molti si preparavano alle tradizionali gare scolastiche e collegiali che avrebbero fatto esplodere tifo e rivalità accesissime fra i ragazzi. Il giorno della festa del papà di Luigi, la direzione e la banda del convitto occupavano gran parte dello spiazzo antistante le porte e le finestre. Era ormai tutto pronto. Mancava solo l atteso ospite. Il capo del governo italiano. Sì, proprio lui! Guido sussurrò a Giacomo Mussolini é proprio dappertutto, come Dio padre. Mia madre me lo diceva sempre che più che un uomo è un semidio. Ma cosa vai dicendo, Guido. La guerra é finita da tempo e il Duce è stato ammazzato molto tempo fa. Quello che viene qui oggi non c entra più con il fascismo. Non eri attento quando il maestro ci parlava di lui e ci diceva che la Monarchia, il Fascismo sono morti. Oggi c è la Repubblica. Quello che viene da noi è come Mussolini di una volta, ma non l ha voluto il Re, ma la gente. 10

9 E cosa vuol dire? Che differenza c è. È anche questo un capo, ma certo non sarà così grande come il Duce. Miamadrecontinuaadirmichenonècambiatonulla. Tu invece dici che ora non abbiamo più nessuno, né Re, né Mussolini. Per giunta tutti noi qui abbiamo perso nostro padre. Insomma Guido, se non sai le cose non parlare a vanvera, fai solo confusione. Potevi stare attento quando ci spiegavano il perché di questa cerimonia, e perché viene questo capo di governo in mezzo a noi. Se vuoi conoscere la mia opinione, non sul Duce, né sul Re, né sulla Repubblica, ma su quanto avviene oggi, ti dirò che non la capisco. Come dicevi tu, qui siamo tutti orfani, abbiamo perso tutti il padre, qualcuno anche la madre e perfino i fratelli. C é chi non ha più nessuno. Basta pensare a Giuliano di Brescia. Lo conosci, non é vero? Di giorno é sempre serio e silenzioso, ascolta sempre e non parla mai. Di notte piange sempre e quando dorme urla come un lupo. Povero amico, che ne sarà di lui? Giacomo, chi te le ha dette queste brutte cose su Giuliano? Io non lo conosco bene né lo frequento e poi non é in classe con me, lui fa già le industriali. Possibile che sia rimasto solo? Nemmeno un nonno o una nonna gli é rimasto? Ma,allora, durante le vacanze dove va? Rimane sempre chiuso qui dentro? No, Guido, ci sono delle famiglie che ci prendono, se lo vogliamo e se la nostra mamma é d accordo. Esse diventano come una seconda famiglia dopo il battesimo o dopo la cresima. Talvolta c é solo un uomo, un padrino, o una donna, una madrina, che si occupano di un ragazzo. Osserva quanti escono la domenica con perso- 11

10 ne che non sono i loro genitori, né i loro parenti. Queste persone vogliono aiutare gli orfani come noi in modo che non restiamo soli e non ci sentiamo abbandonati se i nostri familiari non hanno i mezzi per venirci a fare visita e portarci fuori qualche volta o a casa loro per le festività. Quello che ti volevo invece dire é che non capisco perché per uno di noi viene qui un primo ministro del governo italiano, e per gli altri no, perché? Non saprei proprio cosa rispondere, Giacomo. Io conosco Luigi, il ragazzo che riceverà il premio. È un mio buon amico, giochiamo spesso insieme. Ma non abbiamo mai parlato dei nostri papà. Luigi quando non gioca studia o legge. Non l ho mai visto parlare con qualcuno né l ho sentito, di notte, bisbigliare con i vicini di letto in camerata. È molto riservato, ma non é un musone. Certe cose, lui proprio non le fa né le dice. Hai presente quelli che parlano del loro papà e dei fatti di guerra come se il loro genitore l avesse fatta da solo la guerra e l avesse vinta. Un eroe, sì un grande eroe è stato il proprio padre. Io non so del mio, ma mi piacerebbe che fosse stato un eroe, meglio se fosse ritornato sano e salvo, magari fascista come lo vuole ancora mia madre. Dice sempre che un uomo e un fascista come lui non s era mai visto né durante il periodo civile né durante la guerra. Ma mia madre ne parla bene perché gli ha voluto bene e gli vuole bene anche da morto, ma non esagera mai. Dice solo che é stato leale e fedele. Ma questo non basta a ricevere il premio, come è oggi per Luigi. A me, Guido, questa storia non piace proprio. Secon- 12

11 do me bisognava dare a tutti quelli che sono morti lo stesso trattamento, tranne ai ladri e ai delinquenti, perché questi devono finire in prigione e non possono essere premiati. Ma i morti devono essere ricordati tutti in modo uguale. Insomma non mi piace che di mio padre nessuno sappia e dica nulla, mentre per un altro si sposta un capo del governo. Io non sono geloso di Luigi e del premio che riceve. Sarei geloso se gli restituissero vivo suo padre mentre il mio resterebbe sempre fra i dispersi o i morti. In questo modo gli uomini non sono uguali nemmeno quando sono morti! Così dice mia madre. Lei non vuole male a nessuno, ma dice che suo marito non si trova, quelli che l hanno visto vivo sino all ultimo giorno scappano via e dicono di non sapere né ricordare nulla di quel che successe il giorno dopo. Intanto mia madre piange, non ha soldi per campare e non ha il suo compagno accanto e noi figli siamo senza papà. Qui in collegio siamo tutti senza qualcuno e siamo trattati allo stesso modo, se ci comportiamo bene. Qui siamo tutti uguali e non importa che il padre di uno fosse generale e quello dell altro soldato semplice. Non ci dovrebbe essere più differenza, dopo la fine della guerra, se mio padre era fascista e il tuo no, o viceversa. Dovrebbe essere così per ogni persona e per ogni cosa. Invece con questi sistemi di ricordare una persona in un modo, e non ricordare per nulla un altro, si mette un morto contro l altro e la gente a sinistra e a destra a seconda della regola che si sceglie. Insomma dividere le persone dopo morte non mi pare una bella cosa. Miamadredicecheinvecelecosecontinuanocosì, 13

12 come prima della guerra; e allora fra poco ci sarà di nuovo un altra guerra e magari toccherà a noi andare a combattere e a morire e trovarci uno contro l altro. Mio nonno, che ha fatto il carabiniere e adesso lavora la terra, sostiene che é meglio avere a che fare con la terra, parlare con essa e dedicarle tutto il tempo che si può invece di credere alle chiacchiere degli uomini della guerra e della politica. Egli dice che la terra non é ingrata e sleale. Essa è buona e generosa. Ci sono altre cose che vengono a complicare il rapporto uomo e terra. Mio nonno ha avuto a che fare con gli uomini mentre faceva il carabiniere. I carabinieri sanno sempre tutto di tutti, hanno dei libri dove scrivono e segnano ogni cosa. Sono come il parroco di un paese che conosce una persona con il battesimo, poi con la cresima e la comunione; egli sa sempre qual é il carattere della persona cui ha dato il battesimo e gli altri sacramenti e se questa persona sarà buona o cattiva, onesta o brigante. Sì, Guido, credimi é proprio così. Me lo diceva anche mio fratello più grande che andava a servire messa al parroco del paese ogni giorno e raccoglieva le elemosine. Il prete sapeva perfino chi aveva messo nel cestino delle offerte soldi falsi o scaduti e chi quelli di carta che valgono di più di quelli di ferro. Secondo mio nonno, come il prete assolve e salva tutti coloro che credono in Dio, anche il carabiniere era al servizio di tutti, cioé dello stato e non faceva differenza fra il povero e il ricco perché quello che sapeva fare lo faceva nello stesso modo per entrambi. Mia madre, invece, dice che non é proprio così, che mio nonno non diceva la verità. Era venuto via dai 14

13 Carabinieri proprio perché aveva visto che nemmeno loro consideravano uguali le persone che dovevano proteggere e si inchinavano dinanzi ai ricchi e alzavano le mani contro i poveri se non erano abbastanza ubbidienti. Forse anche per questo mio nonno divenne un comunista e morì da comunista. Cosa vuol dire comunista, Giacomo? Non lo so Guido. L ho fatta alla mamma la stessa tua domanda e mi ha detto che i comunisti sono tutti matti perché credono nelle favole o sono cattivi come gli orsi emangianoibambini.secondomiamammaicomunisti dicono che siamo tutti uguali sempre, da vivi e da morti e quando non lo si è lo si diventerà. Mia madre ha litigato spesso e ha preso anche le botte da mio nonno perché non era comunista e perché non votava comunista. A me l idea di mio nonno non dispiaceva e ancora oggi penso che l idea comunista è una buona cosa, ma dopo che mio nonno ha messo le mani addosso a mia madre non ho più voluto bene a lui e non ho creduto più alle sue idee: Hai ragione Giacomo. Anch io non credo a quelli che dicono una buona cosa a parole e poi mettono le mani addosso. Però quella parola che hai detto io credo che sia buona. Te lo ricordi Ettore, quello che dormiva nella nostra camerata e non sembrava tanto normale? Ricordi le notti che urlava come un ossesso. Chissà se sognava o urlava da sveglio. So che non c era notte che non piangesse disperato e non chiamasse o il padre o la madre. Non ci stava bene qui dentro, Ettore. Non ci poteva stare, era più forte di lui la nostalgia della sua casa. Qui il maestro non lo voleva capire e diceva che 15

14 Ettore era matto. Ma quando non era solo Ettore era normalissimo. Aveva paura del buio e della solitudine. Quante volte chiedeva al vicino di letto se poteva coricarsi insieme a lui per un po, per vincere la paura. Quante volte si era addormentato e l avevano sorpreso con l amico e tutti a credere che facessero dei brutti giochi e invece si davano una mano a non aver paura. Sembra che solo il direttore avesse creduto a Ettore e al suo amico. Diversamente li avrebbero cacciati con infamia dal collegio come quei ragazzi che i vecchi schifosi comprano dai genitori per farci porcherie. Ma Ettore era a posto. Un giorno sua madre venne a prenderlo e tutti capirono che Ettore era sincero. Quanto era bella e dolce sua madre! Sembrava una fata. Forse era un po troppo dipinta e profumata. Sapessi che carezze che fece a tutti noi! Io non mi dimenticherò mai che sembrò soffiarmi sulla fronte il suo alito caldo quando mi disse Ah, tu sei Guido, l amico di Ettore; sei quello delle coccole? No? Si era chinata e stava per scoccarmi un bacio, ma si trattenne perché io avevo fatto cenno di no con il capo, anche se volevo dire sì!. Mi rimase vicina con il suo viso tondo come la luna un eternità o forse un attimo, non so, ma mi ricordò mia madre e mia sorella e il loro calore. Alla sera, quando venimmo in camerata per coricarci, io rimasi quasi incantato a guardare il letto di Ettore. Era vuoto, ma io lo vedevo giocare con me. Il maestro mi chiese cosa facevo seduto sul letto con un sorriso ebete sul viso, invece di prepararmi per la notte e coricarmi. Risposi di sì, ma continuai a rimanere con lo sguardo fisso sul letto dell amico. 16

15 All alba dell indomani mi svegliai e mi ritrovai nel letto di Ettore. Perché e come ci ero arrivato? Nessuno ha saputo o voluto spiegarmelo. Ma l ho capito da solo quando ho ripensato a sua madre. Credo di aver voluto semplicemente tornare a casa mia come aveva fatto finalmente Ettore. Sì, lo so, che qui si dorme, si mangiano tre pasti e si studia, mentre a casa nostra non c é nemmeno il caffelatte al mattino. Ma qui non c é mai nessuno che ti soffi con dolcezza sul viso, che ti accarezzi, che ti stringa forte quando hai il magone e ti viene da piangere. Io non vorrei avere di nuovo mio padre vivo, lo scambierei volentieri con la possibilità di andare a casa e i regali come quello che oggi danni a Luigi a me non dicono nulla, non sanno di niente. Tu che ne pensi Giacomo? Ci vorrebbe un po di comunismo anche qui? Lo so quello che senti, lo so quello che ti manca. Ma non c entra con il comunismo. Mentre ricordavi Ettore il mio pensiero andava a Piero, quel mio amico grande delle industriali, che mi proteggeva se qualcuno mi voleva picchiare. Sì, proprio quel Piero che adesso non c é più, nemmeno lui, in collegio. Un giorno mi ha portato lungo il corridoio della direzione, poi siamo passati dinanzi la cappella, abbiamo sbirciato dentro per vedere se c erano le suore intente a dire il rosario, ma Piero voleva vedere se c erano anche le inservienti. Come quali inservienti?. Quelle che fanno le pulizie nei piani superiori, non le hai mai viste? Fanno le camere alle suore, al personale didirezioneepulisconocamereecorridoifinoalpiano della biancheria, sì proprio sino là ove ci sono i nostri 17

16 guardaroba e quelli di tutto il personale. Noi non possiamo salire lassù se non siamo accompagnati e, se ricordo bene, possiamo andarci solo per i cambi stagionali delle nostre biancherie personali. Deve essere stato là che Piero ha incontrato per caso la signorina Rita, una ragazza delle pulizie. Come abbia fatto non me lo ha mai detto in modo esauriente e completo per evitare che mi sfuggisse qualcosa e venisse riportato. Ho saputo solo in cosa consisteva il loro segnale per incontrarsi. Piero si faceva trovare verso mezzogiorno, l ora che precedeva il pranzo generale, al piano terra mentre lei dall alto gli lanciava una pallina di ferro. Allora Piero salivadicorsalescaleesiappartavaconlarita.piero era molto riservato e discreto e perciò raccontava poco o nulla della sua avventura amorosa, ma i suoi amici grandi erano tutti al corrente dei giochi di Piero. Ne erano tutti orgogliosi e mantenevano il segreto. Piero la faceva in barba a tutti, riusciva a eludere la sorveglianza e il controllo di decine di persone e andava a baciucchiare la sua ragazza proprio sotto il naso e le gonne delle centinaia di suore che occupavano i piani alti. Non c era cosa più coraggiosa e trasgressiva insieme che un collegiale potesse fare quale quella di Piero, era motivo di orgoglio che uno ci fosse riuscito e ce la facesse a coltivare la relazione in barba a tutti. Ma fui proprio io, seppure involontariamente, a tradire l amico. Mi aveva chiesto di correre ad avvertire Rita che non riusciva a raggiungerla e che doveva rinviare al giorno dopo l appuntamento. Quando giunsi sul posto vidi un suora intenta a cercare di afferrare la pallina di ferro che continuava a rimbalzare e urlava 18

17 alla Rita di scendere al piano terra. La suora come mi vide ammutolì, poi mi diede un ceffone e altrettanto fece con la ragazza. Insomma la religiosa, presa da una furia assurdaerabbiosacomesolochicredediavereincontrato insieme il peccato e il demonio può manifestare, prese entrambi e ci portò sino nell ufficio del censore, il dirigente responsabile degli allievi e di tutto il personale del collegio. Questi, come mi vide, sorrise e mi disse che non credeva che io potessi avere un rapporto con la ragazza. Aveva capito tutto subito e mi chiese chi nascondessi. Mantenni il silenzio e rimasi tre ore in piedi sull attenti fuori dall uscio. Poi giunse Piero che ammise tutto. Cercò con ogni mezzo di salvare la ragazza. Ma fu tutto inutile. Sia lui che Rita lasciarono il giorno stesso il collegio. Mi rimproverai per molto tempo di non essere stato attento nell adempiere l incarico che mi aveva affidato Piero e di non avere scorto per tempo la suora, ma di esserle praticamente caduto fra le braccia senza tentare la fuga perché quasi certamente non mi avrebbe riconosciuto. Era anziana la suora, lo si vedeva dalla fatica che faceva nel chinarsi per prendere la pallina di ferro che continuava a saltellarle intorno e sembrava farle i dispetti nel non volersi fare prendere. E così dopo un po in tutto il convitto non si parlava di altro e io ero additato come uno degli autori del fattaccio, quanti amici e conoscenti mi strattonavano e mi chiedevano di metterli al corrente di fatti scabrosi, dei rapporti intercorsi fra gli amanti collegiali, come venivano definiti. E venni chiamato da una quantità di responsabili della Direzione con le scuse più varie. Tutti volevano cono- 19

18 scere particolari erotici. Anche il cappellano mi mandò a chiamare e fu molto insistente, tanto da mettere in campo la salvezza della mia anima prima, anni di inferno e di purgatorio poi in più o in meno a seconda del tasso di verità e di ampiezza di informazioni che gli avrei dato. Francamente io non sapevo dire di più della pallina di ferro che scendeva dall alto e saltellava mentre Piero correva fra braccia di Rita. Per togliermi d impaccio e farla finita mi misi a raccontare tutto quello che mi veniva in mente e che ci raccontavamo noi ragazzi soprattutto durante le giornate di pioggia in cui non uscivamo all aperto e restavamo nei saloni a fare la ricreazione. Anche quel supplizio finì. Si udirono tre squilli di tromba e la voce secca del questore che ordinava agli allievi l attenti. Seguì un movimento di bandiere e di labari, soldati pieni di medaglie che fungevano da testa del gruppo che gradualmente andava occupando lo spiazzo dinanzi le vetrate. Militari, uomini e donne costituivano le autorità di quella cerimonia. Chiudeva la piccola folla una donna che teneva per mano un bambino; erano seguiti dal direttore del collegio e da un uomo alto, dai capelli chiari e dal viso magro, allungato che portava gli occhiali. Un militare si parò dinanzi a noi e lesse alcune frasi in cui si diceva del coraggioso ed eroico comportamento del papà di Luigi che per salvare dei civili si lasciava uccidere. L uomo di governo, il cui pallore del viso spiccava ancor di più quando si avvicinò alla donna vestita di nero, le appuntò una medaglia con una croce sul seno, mentre la tromba dava inizio al suono del 20

19 silenzio in onore dei caduti. L uomo abbracciò e baciò sulle guance la donna e successivamente il ragazzo. Tutto si svolse in una decina di minuti. Prese la parola il Direttore che disse dell onore della famiglia di Luigi e nostro per il grande riconoscimento, chiamò Dio e i Santi a benedire quel giorno e accompagnare per sempre l anima dell eroe, ed estese a tutti i presenti la propria benedizione. L uomo dai capelli chiari e dal volto sofferente e segnato fece un cenno di saluto con lamanoeseneandòtrascinandosidietrolacortedi persone che aveva portato con sé. Ci lasciò un ricordo personale. Una razione di ciliege per ciascuno dei ragazzi, quale frutto per il pasto serale. Erano le prime della stagione e le sole che avrebbero mangiato in tutto l anno. Guido e Giacomo ripresero il colloquio interrotto. È stata una cerimonia breve, ma bella. Luigi e sua madre erano molto commossi. Bello il viso del Capo del Governo. Hai notato, Guido, il naso lungo e stretto, gli zigomi pronunciati e la grande fronte, larga, ampia e lucida. Gli elementi del viso erano tutti ben distinti quasi fossero stati uniti fra loro successivamente e non contestualmente. Nell insieme un viso rassicurante, che trasmette fiducia. Non ti pare? Sì. Giacomo, mi ha ricordato mio nonno. I capelli bianchi e radi si muovevano come piume alla brezza. Mi ha dato l impressione di leggerezza e di riposo. Mi ha ricordato il grande albero che sta al mio paese attorno al quale hanno costruito un giardino. È talmente bello che vicino a lui si siedono tutti. C era un po d erba ai suoi lati. Poi qualcuno si portò dietro la sedia, altri seguirono 21

20 e così molti si trasferivano là. A parlare soprattutto d estate e di sera, con il fresco. E anche durante la grande calura e l afa l albero accoglieva e rinfrescava tutti. Sì quell uomo dava, trasmetteva l impressione di pace e sicurezza, come un grande albero. Devo chiederlo a mia madre se lo conosce e cosa ne pensa. Se é meglio quest uomo o Mussolini. Io le foto di Mussolini le ho viste. È sempre forte e muscoloso. Questo qui invece sta zitto e sembra dirti cose buone, non é uno che ha lavorato i campi come il Duce. Il Duce sembrava sempre arrabbiato. Non era mai tranquillo, ma sempre in agitazione, incazzato anche quando doveva dire belle e grandi cose. Alle donne piace un uomo così. Mussolini doveva essere contadino e deve essere vissuto vicino al mare. Questo qui o é un uomo di lago o di montagna. Sembra pensare in modo forte. Ha poche idee e poche parole ma chiare e sicure. Il Duce amava parlare, parlare, e parlare sempre. 22

21 BISOGNO DEL PADRE Sì, Guido, è piaciuta anche a me la breve ma intensa cerimonia e condivido le impressioni su quest uomo leggero, ma tenace rispetto all altro, il Duce, l uomo del destino, impetuoso e tuonante. Ma quello che per me conta é che il padre di Luigi come i nostri padri sono stati usati per l utopia che si voleva realizzare con rabbia, con furia e contro gli altri, i diversi. Le proprie utopie e i propri sogni difficilmente li spezzano gli altri, succede anche questo, ma sovente, quasi sempre, siamo noi a farli naufragare. Ora tuo padre e il mio non sono più qui come quello di Luigi. Di lui c é memoria collettiva oltreché familiare. Dei nostri nulla. Spesso li si ricorda tutti insieme in un attimo, con un pensiero, una preghiera, un saluto. Sono tanti, é vero, ma è anche vero che sono trattati ancora, seppure morti o dispersi, in modo diverso. Qualcuno é stato più bravo e migliore, é vero, ma troppi sono gli ignoti, i dimenticati, i morti per nulla. In particolare non riesco a capire come mai non si trovino i dispersi. Mica qualche uomo ha mangiato altri uomini. Sono troppi i dispersi e i morti rimasti ignoti. Quanta confusione e quanti orrori in questa guerra. Ma soprattutto quanta ingiustizia per chi é rimasto, per chi é sopravvissuto. Insomma io vorrei un aiuto, un segno, un fatto concreto che mio padre é qui, è là, in un paese o in un 23

22 altro, una tomba o le sue ceneri ci sono da qualche parte. Lo dovrò dire a mia moglie, domani, e ai miei figli o non dovrò averne se non saprò dov é finito mio padre! Insomma uno me lo getta lontano e non me ne rende nemmeno conto, questo uomo di governo sarà buono, serio ma non mi dà nemmeno lui una mano per rintracciarlo. Non voglio fare paragoni fra noi, ma mentre tu stai cercando un luogo ove il tuo é sepolto e tua madre, alfine, te lo dirà o tu, più avanti negli anni, saprai come condurti e come e dove cercare. Ma io non so nulla. Vago nella nebbia. Mia madre piange, si sottrae, quasi ci fosse qualcosa di vergognoso da nascondere o non volesse ricordarlo più. Sai, credo che le mie ricerche dovrebbero partire dalla stazione di Ferrara. Dovrei ritornare là e concentrarmi, riudire e ricordare i suoni e le parole di quella voce che il treno si portava via. Ero in attesa di un treno verso il Nord, quando se ne fermò un altro che conduceva verso Sud. Giacomo, Giacomo, sono io Paola. Dillo a tua madre che ti ho chiamato, lei ti dirà di me. Vado a Sabaudia in un campo profughi, c è mia madre laggiù. Ormai non ci siamo che noi. Dì a tua madre che venga a trovarci. Le racconterò le ultime notizie di tuo padre. Ricordalo Giacomo. Tu non puoi rammentarti di me, ma ti tenevo fra le braccia come un figlio. Il treno fuggì via e non rividi più la donna né sentii mai più la sua voce. Ma nel sogno ritornava e tutto era nitido e chiaro, come l ansia mia e l angoscia che qualcuno sapesse e io non potessi svelare il mistero. Ma com é possibile, Giacomo, che dopo anni questa 24

23 donna, questa Paola ti riconosca senza dubbio alcuno e ti lasci messaggi così importanti e sicuri per tua madre eperte? Non lo so, Guido, ma quello che disse ebbe puntuale riscontro in mia madre che mi raccontò la storia di quella giovane. Era stata l amante del fratello di mio padre; questi lo rimproverava continuamente sia perché non gli pareva giusto che approfittasse della ragazza, sia perché era sposato. La moglie era rifugiata in Toscana presso i propri genitori Egli la trascurava, non la andava a trovare quando aveva i permessi, né le mandava regolarmente i soldi che riceveva quale salario militare. Le lettere della moglie dicevano che questa era disperata, ma egli se ne curava poco. Solo quando minacciava di raggiungerlo, si faceva fretta di chiamarla e di spedirle dei soldi, per rabbonirla, non averla fra i piedi e impedirle di scoprire la sua tresca. La sua relazione con Paola continuò e la giovane rimase in stato interessante, ma il figlio nacque cieco e dopo un po morì. Frattanto la situazione militare precipitava, il nemico aveva la meglio su tutti i fronti e la fine della guerra era prossima, ma con essa anche la resa dei conti per tanti, la fine della gloria per altri e il timore della vendetta per chi si era macchiato di misfatti. Il giovane cadde prigioniero e stava per essere passato per le armi, perché era stato catturato in borghese e senza documenti che provassero la sua appartenenza all esercito nemico. Intervenne Paola e grazie a lei ebbe salva la vita. La donna non riuscì a fare liberare anche il fratello che era prigioniero come il suo ragazzo, e cioé mio 25

24 padre, che rimase nelle mani del nemico. Paola perdette il suo uomo nel momento in cui gli salvava la vita; egli infatti fuggì in l Italia e raggiunse la Toscana. A guerra finita espatriò, non rispose alle lettere di mia madre, né ai successivi contatti che avviai io. Mantenne il silenzio più assoluto sul destino di mio padre. Fu per questo che mi convinsi dell inutilità della ricerca, sino a che non udii la voce di Paola alla stazione di Ferrara. Ma quali vicende mi racconti, Giacomo. Insomma sei ancora alla ricerca della verità sulla sorte di tuo padre. Ma se non é morto dove potrebbe essere. Ancora prigioniero, di chi e perché? Forse dopo anni di solitudine e di disperazione si é rassegnato. Mi hanno raccontato tante storie di prigionieri in Russia che si sono fatti un altra vita. Che sia avvenuto così anche per tuo padre? No, non credo, Guido. I fatti della nostra famiglia e dei vari nostri conoscenti cui ci siamo rivolti per avere notizie di mio padre, sono accaduti nella vicina Jugoslavia e precisamente nella città di Fiume. Se qualcosa di ciò che dici tu fosse avvenuto lo avremmo certamente saputo. Ci sono stati molti italiani che per ragioni politiche e ideologiche lasciarono il nostro paese per trasferirsi nell altro; pensavano di concorrere a costruire il socialismo, ma furono amaramente gabbati e delusi. Per non rientrare rimasero e in tanti condussero unavitadistentianchesulpianosocialeeeconomico. Mio padre, invece, faceva il servizio militare effettivo già in tempo di pace in quella zona. Faceva la spola fra Pola e Fiume. Molto probabilmente cadde in un imbo- 26

25 scata mentre faceva questo tragitto che nel periodo di guerra era diventato molto pericoloso. Ho cercato di riprendere le sue tracce e il suo cammino con l aiuto di un altro suo commilitone, ma anche costui aveva nella reticenza un arma quasi invincibile che non ne permetteva di penetrarne il segreto. Era un contadino, sposato e con una gran prole, ma la sua passione erano le donne e il gioco d azzardo. Con me si comportò come un perfetto giocatore, raccontando cose ovvie e bluffando su quelle più importanti. Ero riuscito a scoprire che si era salvato perché aveva confessato di essere comunista e tale circostanza fu comprovata. Pare non disdegnasse di dare effettivamente informazioni al nemico, seppure di poco conto, ma ciò bastò per avere rapporti più stretti con persone del luogo che testimoniarono a suo favore e gli salvarono la vita. So che mi mentì, perché negò che mio padre fosse stato fatto prigioniero dagli stessi partigiani che presero anche mio zio. La notizia dell arresto e della prigionia venne infatti comunicata da Paola, la persona più attendibile fra quelle che vennero sentite sugli ultimi giorni di vita di mio padre. Adesso capisco le tue osservazioni sul padre di Luigi e sull onorificenza. Tu vorresti molto meno, sapere con certezza se il tuo é vivo o morto. Io che so che il mio vivo non é, sto cercando con ansia il luogo della sepoltura. Voglio poterlo andare a trovare come faccio spesso qui quando sento il bisogno di stare solo e mi porto in chiesa. Sento una strana attrazione per la vita delle suore e dei sacerdoti che ci sono qui, anche se non li amo per 27

26 niente. Ma quel loro stare in silenzio rispetto alla logorroica verbosità di mia madre suscita in me molta attrazione e a volte persino fascino. Mi piace stare solo e ascoltarmi attorno. Mi piace farmi prendere in chiesa dal bisbigliare delle preghiere dei pochi presenti e dal profumo d incenso o dal fumo delle candele. Mi sento stordire e librare in alto, avverto una singolare leggerezza di me. Non prego, qualche volta lo faccio e cado in una specie di deliquio perché colui che prego me lo raffiguro e lo seguo attraverso il percorso che compie la mia fantasia. Sì, vado a spesso con gli angeli e con i santi, ma anche talvolta con i demoni. Ma é la quiete e la pace che cerco, con esse mi immedesimo e mi incanto. È allora che mio padre si accosta a me e non é il papà che mamma mi ha descritto, non é il federale, ma l amico un po grassottello, ma tenero e buono. Prima di sedersi al mio fianco emette un grande sospiro di sollievo, come per dire che finalmente é giunto e può avere un po di riposo e di tempo per stare con me. Non mi dice da dove viene, sostiene che io lo so, che io sono dotato di una particolare virtù. Di vedere le cose entro di esse e oltre ad esse. Le vedrei in anticipo, come anticipo i fatti, gli avvenimenti. Io sarei dotato del potere di illuminazione e divinazione. Non so coso voglia dire esattamente, forse che io potrei conoscere il passato, il presente, il futuro di chiunque, sempre che io avessi interesse a ciò. Non mi ha mai interessato tutto questo, né mi preme esperimentarlo o collaudarlo. Mi piace parlare al vuoto, o meglio a quelli che vivono nel vuoto, agli essere alati, immateriali. Sento il fruscio della loro presenza, li vedo 28

27 come ci vediamo noi e parliamo con il pensiero, attraverso la mente. Io non so se sono ammalato o se sono svanito. So che mi accade di avvertire un senso di grave affaticamento e di pesantezza del capo e corro in chiesa. Papà mi dice di non preoccuparmi, ciò é dovuto al richiamo degli essere informali come lui che vogliono parlare con uno come me. Secondo lui non sarei il solo nel mondo, ma ce ne sarebbero molti altri. Lo scopo della nostra esistenza sarebbe di provare che il nostro mondo e il loro sono collegati e che esistono entrambi. A me la cosa piace perché mi sembra di entrare in un grande pallone gigante che come un mantice spira e soffia lentamente e rende ogni cosa più leggera e soprattutto che vi trovo mio padre, che mi manca perché attraverso mia madre non giungo a lui. Il cappellano del collegio dice che la mia é la vocazione del sacerdozio. Che più avanti dovrei dedicarmi a Dio, come ha fatto lui e come hanno fatto le suore. Lo devo domandare a mio padre cosa significa tutto ciò e se devo proprio farmi prete. Non che la cosa mi preoccupi. Vivere qui o in seminario mi sembra la stessa cosa; non si lavora, basta studiare un po e al resto pensano gli altri. Io di andare a casa mia e nella mia città non ho voglia. Senza un padre mi perderei subito. Perciò sto pensando che forse farò come dice il cappellano. Non avere fretta né paura, Guido. Lascia libero il tuo cuore, segui il tuo impulso. Come avvertivi l esigenza di andare in chiesa e cercare i tuoi strani contatti, così verrà il momento che saprai scegliere. Non è brutto fare il prete, brutto é farlo e accorgersi di avere fatto un 29

28 cattiva scelta, quando è difficile poi rimediare agli errori commessi. Ogni scelta è un problema o una serie di problemi. Quando l hai fatta, solo allora, saprai se sei nel giusto o no. Ma non fartene un malessere. Altrimenti la tua vita diventa un ossessione come lo è diventato per me la ricerca di mio padre. Se ti interessa seguire le vicende delle mie ricerche, ti voglio dire che anch io ho il mio cappellano consigliere. È il maestro Giovanni, che tu ben conosci. Fosse per Giovanni da tempo avrei dovuto smettere la mia ricerca. Giovanni dimostra molti più anni di quelli che effettivamente ha. È l uomo della sofferenza e del dolore, che un tempo si impadronirono di lui e che oggi non lo abbandonano e infatti ogni suo tratto é segnato da loro, ma non lo possiedono più. Quelli che uno vede su di lui sono le tracce di un passato, ma non vive più in lui il passato, lo ha lasciato. Tuttavia tutta l esperienza del dolore e della sofferenza si è depositata in lui e gli ha affaticato il cuore, l animo e il passo del vivere. Giovanni é mite e saggio. Ma fatica a vivere proprio perché il dolore e la sofferenza l avevano quasi vinto. Sottrarsi a essi è stata una prova immane. Giovanni é solo e per questo vive qui con noi. Ha fatto la guerra e ha conosciuto la morte. Questa gli ha chiesto tutto quello che aveva e glielo ha tolto, tranne la sua vita. Giovanni ha stretto un patto con essa, le ha ceduto ogni sua gioia di vivere, per sopravvivere. Ha paura di morire o di vivere, Giovanni? Non saprei. Credo non lo sappia nemmeno lui. Non è questo che gli interessa, ma combattere il dolore degli altri, questo é il suo scopo, per questo ha voluto sopravvivere. 30

29 Giovanni é utile da vivo agli altri, non a se stesso. Agli altri insegna la vita, a capire come vivere, a non abbattersi. È un maestro nel lenire la sofferenza e il dolore degli altri. Egli dice che i vivi di oggi, i figli della guerra come noi sono figli universali di un nuovo mondo. I loro padri, dice, sono sparsi in tutto il mondo e sono morti. Giacciono in Russia, in Giappone, in Cina, in Africa, in Medio Oriente, in Europa. Sono morti in cielo, in terra, in mare, nei fiumi e sui monti. Sogna continuamente di figli che nascono tutti uguali esimoltiplicanocomelefishesdiunaslotmachine; sempre gli stessi sogni, se non sono i casinò, sono i collegi, i seminari, le chiese, gli ospedali, ovunque si nasce l uno identico all altro. Ovunque viene alla luce un figlio che è insieme fratello del medesimo padre. Giovanni sogna di figli uguali ai padri che li generano perché l ha visto fare nei campi di concentramento, ma le copie non erano proprio identiche all originale o se lo erano vivevano pochi minuti. Dice che sono le guerre e l odio che creano le divisioni e le differenze fra gli uomini e lasciano i bimbi al buio della vita, senza una guida, senza un padre. Ha sofferto tanto per questo che gli sono venute le vertigini È da allora che stenta a reggersi in piedi, appena deve affrontare un lieve pendio o una salita gli gira la testa, perde l equilibrio. Quando deve andare in montagna con i ragazzi lo lasciano al piano; l ultima volta hanno dovuto chiamare gli alpini per trarlo in salvo e liberare anche la squadra dei ragazzi che il suo terrore del vuoto aveva paralizzato. Dice che quando gli succe- 31

30 de é perché sente che gli uomini stanno perdendo la vita e lui non riesce ad aiutarli. E allora per il dolore viene a mancare. Anni dopo, quando eravamo in un altro convitto, mentre il signor Giovanni era sempre nel medesimo, stavamo camminando per un sentiero in collina e ci dirigevamo verso la cima del monte. Il signor Giovanni con dei ragazzi scendeva e ci stava incrociando. Lo vidi ed egli pure mi scorse. Era in mezzo alla fila della sua squadra, così stava un po con tutti, non come facevano molti capi che stavano sempre o davanti per primi o in coda per ultimi: dovevano controllare e così non stavano vicino ai ragazzi che si arrangiavano fra loro e si facevano compagnia da soli. Al capo istitutore non si rivolgevano mai, era un estraneo, non come Giovanni che era come un fratello maggiore. Mi parve di rivedere un angelo. Era lo stesso. Sofferenza in volto, ma sorriso e occhi lucenti di gioia perché rivedeva un ragazzo sopravvissuto. Mi disse che mi trovava bene. Egli mi pensava sempre, mi ricordava a tutti e non mi avrebbe mai dimenticato. Poi volò via con gli altri, pieni di problemi come noi, ma loro avevano un custode, un protettore al fianco. Le loro tristezze se le prendeva lui sulle spalle. Prendeva su di sé i problemi di tutti i più deboli. Più in là negli anni Giacomo avrebbe avuto occasione di proseguire queste sue riflessioni con una cara amica, giudice a Fiume : Credo che davvero non mi abbia più abbandonato e mi abbia seguito o direttamente o tramite conoscenti e custodi, protettori come lui. 32

31 L ho di sicuro riconosciuto in un vicino di casa. Abbiamo avuto il giardino che confinava. Era già molto anziano. Lavorava il suo orto che, come la sua casa, era coperto, sovrastato, dominato da un enorme noce, forse di oltre centocinquanta anni. Questo é il mio più grande e vecchio amico dopo Dio, diceva il mio vicino. Ma é anche un grande amico degli uccelli. Vengono tutti qui e fanno a volte un chiasso come mille comari al mercato. Mangiano, chiacchierano, beccano, cinguettano, fischiano, cantano e si cercano continuamente fra loro. Sì, vengono tutti sul mio noce. È sicuro, ristoratore, é adatto ai deboli e agli affamati. Devo dirgli tutto perché vede tutto, non gli posso nascondere nulla. La mia vita? Coltivo i due filari di vite e il mio orto. Ormai sono in pensione. Sto accanto a mia moglie. Non so cos abbia, sembra impazzita dal dolore. Sì, lo so, vicino al dolore ci sono sempre stato. È il mio destino. Mi ha prosciugato lo spirito, ma devo resistere. Vado a trovarla anche se non mi riconosce, ma sono lieto di esserle vicino e accarezzarle i capelli sempre un po in disordine. È stata la mia salvezza e la mia fortuna. Non avevo cieloelucedinanziame,quandomiteselamanoemi riempì la vita. Sono stato uno dei tanti che ha raccolto per strada. Mi ha però amato, a differenza degli altri. Poi una sofferenza inspiegabile e indicibile l ha presa e le ha tolto la ragione. Non é più con me da circa un anno. Per questo ora parlo molto di più con il suo cane. Perché non vado più alla casa degli ammalati di mente, no lei non é più là. Non piange né soffre più. La morte fa del bene a volte, 33

32 io lo so, ho visto spesso la morte fare del bene. Ora non mi resta che l orto. Il suo cane mi sente quando lavoro e mi abbaia, mi saluta, mi chiede. Vuole sapere se sono vivo e se penso a lui. I cani devono sentire queste cose, devono sapere che un amico, il padrone li pensa e vuole loro bene. Diversamente muoiono di inedia, di mal di cuore. Ogni tanto lo chiamo per sentire la sua voce. È come l urlo di dolore di mia moglie il suo abbaiare, sì me la ricorda un po. Poi, proprio come mia moglie i primi tempi, quando sente la mia voce, si calma, diventa quieto e io sento i suoi occhi su di me. Noi così parliamo spesso. Ma sento che il cane é stanco e non ce la fa più. Chissà chi fra noi due avrà la fortuna di trovare la pace e il silenzio. Il suo cane ed io andiamo d accordo perché ci siamo fedeli. Lui lo sa. È strano per un uomo essere sempre fedele. Di solito tradisce, dimentica, scorda, preferisce altre cose che il sacrificio della fedeltà. Io e il suo cane ci assomigliamo ogni giorno di più. Siamo fedeli a noi stessi e fra noi. Lo sa che sino alla morte noi ci saremo fedeli. Io sto perdendo la vista e le gambe mi cedono. Presto non potrò più coltivare la terra. Non mi resterà che prendere il sole appoggiato al muro della mia casa. E fu là che lo vidi per l ultima volta. Sembrava Cristo crocefisso che osserva i passanti che guardano la sua agonia e tirano via diritti. Era proprio messo come un uomo in croce. Reggeva il suo bastone nella mano destra, o questo gli restava attaccato per inerzia. La mano non lo sosteneva più. Aveva il suo basco in testa 34

33 e le ginocchia un po piegate, perciò i calzoni apparivano un po larghi e con troppe pieghe. La camicia era aperta sul petto, le scarpe ai piedi non erano chiuse perché i suoi piedi erano gonfi e gli rendevano difficile il camminare. Le braccia erano allargate per abbracciare, accogliere e ristorare. L ultimo sole su di sé e con esso si incamminava verso la morte. L amico del mio cane era stanco e si stava addormentando al calore del sole, a due passi da casa mia. Era stato lì a custodire me e la mia famiglia come aveva promesso per tutta la vita. Mi sono fermato. Aveva gli occhi chiusi. Il petto era immobile. Non c era più spirito in lui. Forse era a giocare con le rondini che frattanto si rincorrevano nell ultimo sole del giorno. Forse stava chiamando il mio cane che da tempo non abbaiava più Sai, Giacomo, mi chiedo se sia peggio essere orfani di un genitore come noi o avere perso una parte del nostro corpo. Mi vengono in mente tutti i ragazzi handicappati che sono ospitati nel nostro collegio. Essi mi ricordano come le bombe hanno fatto spesso crimini peggiori della morte. La testimonianza visiva della guerra non sono i cimiteri e le tombe che essi raccolgono. Non si vedono un gran che, non fanno impressione. Ma i maciullati nella loro carne, i bambini, i ragazzi, i giovani, sono la testimonianza vivente dell efferatezza della guerra. Ecco la persona senza gambe, guarda quella priva della sinistra, quell altra invece é senza la destra; senza occhi o chi é privilegiato di averne salvato uno lo si può 35

34 trovare facilmente, anche le mani e le braccia si trovano come al mercatino delle pulci. Sembrano fatti in modo diverso, senza un pezzo di sé che è stato lanciato lontano, o polverizzato come fosse stato affittato a un tritacarne, o dimenticato dalla madre nel proprio ventre. No, non stiamo affatto male noi, scampati alla mutilazione e sopravvissuti alla morte bellica; stiamo molto meglio dei nostri amici indelebilmente segnati e di coloro che sono fuori di qui in apparenza liberi. Sì, certamente, le possibilità di una vita di successo si sono di molto ridotte sia per il portatore di handicap che per uno come noi. Io però mi trovo a pensare spesso che rispetto alle migliaia di ragazzi mutilati noi orfani dovremmo ritenerci molto fortunati. Loro sono di passaggio. Presto se ne andranno via, chissà dove. Qui c é dato un ricovero e sono garantiti cibo e studio. A noi, ancora, viene quasi assicurata la possibilità di un inserimento sociale e lavorativo esterno, perché la patente di collegiale é sinonimo di educato, affidabile, civile, non criminale. Noi siamo i ragazzi che i detersivi moderni puliscono e ripuliscono e fanno risplendenti. Non é molto, ma pensa a quanti manco sanno cosa sia il detersivo. Tutto ciò non é garantito al giovane esterno oggi in libertà, che, anzi, ogni giorno deve affrontare il problema non solo di lavarsi, ma anche quello di sfamarsi e di riscaldarsi. Queste erano le riflessioni dei due giovani amici e ospiti del convitto. Ma le statistiche, la vita sarebbero stati a loro sfavo- 36

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