I.C.R.I. ISTITUTO DI CULTURA E RELAZIONI INTERNAZIONALI (Ente di rilievo Regione Campania, atto 1205 del )

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1 I.C.R.I. ISTITUTO DI CULTURA E RELAZIONI INTERNAZIONALI (Ente di rilievo Regione Campania, atto 1205 del ) Comune di Telese Terme (Bn) Corso DISASTER OPERATOR 2008/2009 LA PROTEZIONE CIVILE IN ITALIA: VERSO UN NUOVO SISTEMA ORGANIZZATIVO Ing. Prof. Vincenzo Tuccillo Ph.D. Se l uomo non può impedire tutto, può prevedere e prevenire molto M. Roubault 1

2 PREMESSA Nella gran parte del Pianeta la vita dell uomo si svolge principalmente nelle strutture urbane: città grandi, medie e piccole concentrano le popolazioni, offrendo lavoro, beni e servizi. Ma la concentrazione di popolazione nelle città, che peraltro nei primi anni del terzo millennio si calcola è due terzi di quella mondiale, non tuttavia é sinonimo di sicurezza. In tale prospettiva diventa indispensabile una migliore organizzazione degli insediamenti umani, ed un contributo metodologico utile può venire dall osservazione del comportamento delle strutture insediative, allorché sottoposte a condizioni di stress, risulta più evidente l esposizione delle strutture territoriali ed urbane ai rischi, per le popolazioni, provenienti da fattori esterni. Il moltiplicarsi delle esperienze mirate alla riqualificazione delle città sulla base di una lettura integrale dei sistemi edilizi territoriali complessi è quindi necessario, anche in Italia, affinché le politiche destinate ala prevenzione e risoluzione degli impatti tutelino gli ecosistemi naturali ed antropizzati. Di qui la necessità di diffodere i principi della Protezione Civile, in primo luogo, agli addetti ai lavori e, da questi, alla popolazione civile. L Istituto di Cultura e Relazioni internazionali da anni impegnata per diffusione di una cultura di Protezione Civile, ponendo l accento a quelle tematiche di security e di safety di interesse nazionale e locale. In Particolare in collaborazione con l associazione Ambiente Azzurro ONLUS l Associazione la Bacchetta Magica e il Comune di Telese Terme ha promosso, il primo corso tenuto nella provincia di benevento per Disaster Operator di cui il presente volume ne raccoglie una sintesi delle lezioni. 2

3 Verso una nuova Protezione Civile: le componenti, la normativa i protocolli: IL CONCETTO DI RISCHIO Il rischio, secondo un definizione ormai consolidata, rappresenta il numero di perdite umane, feriti, danni alla proprietà, interruzione di attività economiche, dovuto al verificarsi di un evento dannoso. In quanto valutazione del danno atteso, il rischio è considerato funzione di tre parametri rappresentativi dell agente sollecitante, della vulnerabilità del sistema colpito e della quantità e qualità degli elementi colpiti secondo la seguente relazione: RISCHIO = PERICOLOSITA x VULNERABILITA x ESPOSIZIONE Dove: la pericolosità è la probabilità che un evento dannoso si verifichi in un dato periodo di tempo e in una determinata area; la vulnerabilità esprime l attitudine di un elemento, di una serie di elementi o di un sistema di elementi presenti in una determinata area a sopportare le sollecitazioni di un evento dannoso di una certa intensità; l esposizione individua il numero e la qualità degli elementi (popolazione, proprietà, attività economiche, servizi pubblici, ecc) che sono investiti dall evento dannoso in una determinata area. E auspicabile di qui una nuova specifica attenzione verso il comportamento della struttura urbana soggetta, come sappiamo, a carichi ed usi variabili (sia nell arco della giornata per effetto di spostamenti ricorrenti di popolazioni, sia nel tempo storico per effetto di variazioni di destinazioni d uso delle sue parti). Essa - generalmente prodotto della stratificazione di tante epoche, culture e tecnologie - non é quasi mai preventivamente calcolata e progettata per sostenere gli effetti di spontanei variazioni di carico o d uso. Nel caso italiano, in cui generalmente le città rivelano una propria struttura composita, come stratificazione delle città storiche di varie epoche - che testimonia vistosamente i passaggi di civiltà e vicende susseguite - l analisi accurata del comportamento delle strutture urbane ai nodi appare ancora tanto più complessa quanto indispensabile. In particolare i "centri storici", sono risultati generalmente isolati, come problema a parte della progettazione urbanistica, per corrispondere al più immediato problema della determinazione delle zone di nuova espansione. Ne sono derivate soluzioni che hanno prodotto solo in rari casi una reale integrazione delle parti più antiche con il resto della città "recente". La stessa "forma conclusa", tipica di taluni centri antichi, in genere non risulta più facilmente leggibile per effetto dell aggressione edilizia che hanno subìto gli ambiti di contesto, disseminate di informi periferie. 3

4 Ma é proprio alla verifica delle funzionalità complessiva delle strutture urbane, che risulta più evidente la scarsa efficacia dei criteri pianificatori, e quindi la difficile integrazione dei centri antichi con le parti urbane più recenti. Generalmente, infatti, all interno delle zone centrali (che coincidono spesso coi nuclei originari della prima città) permangono le aggregazioni delle principali attrezzature di servizio urbano e territoriale, allocate nelle sedi di maggiore prestigio architettonico e storico, producendo da una parte l effetto "città" (che perciò manca alle periferie residenziali), e dall altra i perniciosi pendolarismi e traffici veicolari congestionanti. La diffusione dell automobile, che da un lato ha "aperto" le porte della città antica, e consentito così lo svilupparsi di periferie urbane a prevalente funzione residenziale, dall altra ha indotto "obbligatori" raggiungimenti delle sedi di lavoro e di utenza per migliaia di "motorizzati". Ma l abbandono delle sedi residenziali antiche (provocato generalmente dalla grande offerta di alloggi più "funzionali" nelle nuove periferie urbane, nel corso di tutti gli anni 60 e 70, e favorito appunto dalla sempre maggiore diffusione dell automobile), ha peraltro ridotto sempre più l integrazione funzionale tipica della città antica, costringendola anch essa ad una prevalente monofunzionalità che non le era originariamente propria. E con l abbandono delle residenze, si é avuto il degrado edilizio. Ma con talune modifiche d uso (sia di attrezzature edilizie, che di infrastrutture) é cresciuto anche il degrado "urbanistico" dei centri antichi. Generalmente, dunque, il fallimento della pianificazione é più evidente proprio in conseguenza della mancata o scarsa definizione di nuovi rapporti d equilibrio tra parti antiche e parti nuove della città. E dunque questa generalmente la realtà di tante città italiane, prodotta dalla mancata progettazione e pianificazione delle strutture urbane, ed al contrario dalla costante trasformazione d uso delle varie parti componenti di tali strutture. Un contributo importante anche alla organizzazione globalizzante degli insediamenti umani, intesa come reale tutela del patrimonio storico, può venire dunque dall auspicata politica di prevenzione dei gravi rischi connessi inevitabilmente alle grandi concentrazioni di popolazione, alla vulnerabilità delle strutture fisiche di attrezzature ed infrastrutture "costruite", anzitutto rispetto agli usi impropri di molte di tali attrezzature ed infrastrutture. Al contrario infatti di quelle urbane le strutture edilizie sono si generalmente predisposte, su progetto ex ante, a sostenere specifiche modifiche di carico, ma la messa in sicurezza di una città passa inevitabilmente e necessariamente attraverso un azione preventiva sui manufatti mirata a ridurre il danno funzionale conseguente all evento ovvero attraverso l organizzazione delle attività strategiche a supporto della fase d emergenza quale misura di mitigazione del rischio. I RISCHI In base alla natura dell evento dannoso, i rischi vengono distinti in rischi naturali e rischi antropici o tecnologici. I primi sono generati da eventi di origine naturale causati da fenomeni di natura atmosferica, geologica e idrogeologica come gli uragani, I terremoti, le alluvioni. I secondi derivano da eventi riconducibili in maniera diretta alle attività umane come le catastrofi nucleari, gli inquinamenti, lo scoppio di serbatoi di combustibile. Quindi è necessario: 4

5 CONOSCERE I RISCHI NATURALI INSITI IN UN CERTO AMBIENTE CONOSCERE I RISCHI DERIVANTI DALL ATTIVITÁ DELL UOMO IN UN CERTO TERRITORIO. Una nuova cultura della protezione civile è basata anzitutto sulla prevenzione ma anche sulla pianificazione e gestione dell emergenza. Tale cultura implica una capillare e sistematica azione di sensibilizzazione, informazione e formazione a vari livelli. Con l espressione protezione civile si intendono tutte le strutture e le attività messe in campo dallo Stato per tutelare l integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi. In Italia la protezione civile coinvolge tutta l organizzazione dello Stato, al centro e in periferia, dai Ministeri al più piccolo comune, ed anche la società civile partecipa a pieno titolo al Servizio nazionale della protezione civile, soprattutto attraverso le organizzazioni di volontariato. Le ragioni di questa scelta, si possono individuare nell incontro tra una motivazione istituzionale ed un esigenza operativa legata alle caratteristiche del nostro territorio. La Protezione Civile : 1. si dota degli strumenti utili per la previsione del rischio (ad esempio, prevedere se si possano avere piogge tali da determinare rischio di alluvioni, etc.); 2. si dota delle conoscenze sullo stato del territorio e sui singoli rischi, al fine di poter prevedere gli effetti di un evento e pianificare al meglio l intervento prima che esso avvenga; 3. si organizza, utilizzando le specifiche competenze di coloro che la compongono, per disporre di tutti gli strumenti necessari a fronteggiare le emergenze. È peraltro importante rilevare alcuni aspetti: e priorità della Protezione Civile sono diverse da quelle percepite dai singoli, perché mirano alla tutela ed alla sicurezza di un ambito generalmente più vasto rispetto a quello individuale o famigliare, e tale priorità deve essere rispettata. Nel corso di un emergenza pertanto si devono mantenere calma ed ordine, rispettando le disposizioni impartite dalla Protezione Civile, e dare aiuto a chi è in difficoltà (bambini, anziani, portatori di handicap); portare tempestivamente all attenzione degli organi preposti le anomalie rilevate può consentire un anticipazione dell intervento di emergenza e quindi ad una riduzione degli effetti. È quindi necessario allertare l organo interessato, riferendo esattamente i fatti, quali e quanti siano i soggetti esposti; il comportamento di ognuno inoltre può essere decisivo nell incrementare o ridurre il livello di rischio ed anche la dimensione degli effetti (esempio: nebbia/velocità); negli edifici bisogna prestare attenzione alle scelte costruttive che si adottano (vie d uscita, scale e percorsi che consentano il passaggio di barelle, etc.); 5

6 infine, bisogna ricordare che, per la prevenzione dei rischi in ambiti più ristretti, quali quello di casa, bisogna essere sempre attenti agli impianti: un impianto non ben realizzato e mal gestito può causare un incidente che può coinvolgere case vicine e passanti. Inoltre alcuni dispositivi (rilevatori di gas, blocco nell erogazione del gas a fiamma spenta, prese elettriche di sicurezza, salvavita, luci di emergenza) possono essere molto utili. I rischi naturali ed antropici I numerosi eventi che purtroppo colpiscono ogni anno l'italia ci ricordano continuamente quanto il nostro Paese sia vulnerabile ai rischi, tanto quelli originati dalle forze della natura quanto quelli determinati dalle attività umane. I fenomeni originati da processi naturali che si definiscono "endogeni", in quanto generati all'interno della crosta terrestre, quali i terremoti e le eruzioni vulcaniche, si ripetono sul nostro territorio con una frequenza che non trova riscontro in altre località dell'area mediterranea ed europea, ad eccezione di Grecia e Turchia, le sole realtà territoriali a poter "vantare" un numero di eventi sismici superiore a quello italiano. Piogge intense e prolungate, che non è più possibile definire fenomeni estremi vista la frequenza con la quale si ripetono, colpiscono la penisola quasi in ogni periodo dell'anno, causando frane, smottamenti, inondazioni in ampie porzioni di un territorio sempre più antropizzato. Alle devastazioni provocate dall'acqua si affiancano nel periodo estivo quelle causate dal fuoco. Incendi ripetuti nelle stesse aree, generalmente provocati dall'uomo, producono danni enormi al patrimonio boschivo ed agricolo, causando anch'essi non di rado la perdita di vite umane, contribuendo all'erosione dei versanti e alla loro instabilità. Fig. 1 - Incendio della pineta di Ostia nel Luglio del Alla crescita esponenziale delle attività antropiche, in un Paese caratterizzato da standard economici e tecnologici di assoluto livello, si accompagnano con sempre maggiore evidenza i cosiddetti rischi industriali, associati a molte attività produttive ed al trasporto di merci (pericolose e non), su una rete stradale sempre più affollata, dove il semplice viaggiare è una sorgente di pericolo di gran lunga superiore, dal punto di vista statistico, a tutte le altre citate sopra. A fronte dello scenario sinteticamente delineato, non deve stupire la constatazione che il nostro Paese, a fianco del Giappone, figuri tra le nazioni del mondo maggiormente esposte ai rischi, tanto di matrice naturale quanto antropica. 6

7 E quindi necessario disporre di strutture di Protezione Civile ben organizzate, capillarmente distribuite sul territorio, continuamente aggiornate e pronte ad affrontare al meglio le continue sfide portate dall'ambiente naturale ed antropizzato, in un contesto di sempre maggiore complessità urbana ed infrastrutturale. Le attività di Protezione Civile sono sintetizzabili in cinque fasi sequenziali: previsione, prevenzione, emergenza, soccorso, superamento dell'emergenza.in questo capitolo, l'attenzione sarà rivolta in particolare ai primi due punti. Fig. 2 - Erosione in sponda sinistra di un torrente a Fenis nel corso dell'alluvione del 2000 in Val d'aosta, che ha asportato il muro di difesa spondale e fatto crollare la strada sovrastante minacciando un'abitazione. La previsione consiste nell'insieme delle attività dirette allo studio, identificazione e caratterizzazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla individuazione delle zone del territorio soggette a tali fenomeni, alla definizione della vulnerabilità e del conseguente rischio. La previsione entro un breve orizzonte temporale (da alcuni giorni fino ad alcune ore) con un ristretto margine di errore prende il nome di preannuncio, per distinguerla dalla previsione tout court, che si limita ad individuare tipologia e localizzazione dell'evento, prescindendo dal tempo di accadimento. Mentre la previsione è generalmente sempre possibile, le possibilità di preannuncio per gli eventi naturali sono limitate ad alcune classi di fenomeni, soprattutto quelli di origine meteorica. La prevenzione consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi catastrofici, sulla base delle conoscenze acquisite in fase di previsione. La legge prevede un complesso sistema di programmazione e pianificazione articolato nella realizzazione di diversi programmi di previsione e prevenzione (dal livello nazionale, al livello regionale, fino al livello provinciale), programmi nazionali di soccorso e piani per l'attuazione delle conseguenti misure di emergenza per i diversi livelli amministrativi. La legge 225/1992 fornisce alcune definizioni dei termini più correntemente utilizzati negli studi e nelle azioni di Protezione Civile. Tuttavia alcuni termini che fanno ormai parte del lessico comune sono talvolta utilizzati con intendimenti diversi e possono generare incertezza e confusione. 7

8 Fig. 3 - Eruzione dell'etna nell'ottobre del Con l'obiettivo di evitare ogni possibile equivoco, si riportano di seguito alcune definizioni per i termini più usati. Si definiscono aree vulnerabili quelle porzioni di territorio potenzialmente interessate da fenomeni di origine naturale o antropica che possono manifestarsi con intensità tali da arrecare danno alle persone ed ai beni che vi sono collocati, incluso lo stesso ambiente naturale. Ogni singola manifestazione del fenomeno temuto, in quanto potenziale fonte di danno, costituisce un evento. Le persone ed i beni che possono subire danni in occasione di un evento nell'area vulnerabile nella quale sono collocati, vengono definiti elementi a rischio. Il valore degli elementi a rischio ne costituisce la entità (E), che viene valutata in modo diverso a seconda della natura degli elementi stessi. Ad esempio, E può esprimere il numero di persone a rischio o l'ammontare del valore economico dei beni monetizzabili presenti nell'area vulnerabile. Il valore di E corrisponde al danno che si subisce nell'evenienza di una perdita completa del bene. Nel caso di beni ambientali, storici o culturali di rilevante interesse, per i quali non è praticabile la monetizzazione, E può indicare il numero di beni che appartengono a categorie da identificare caso per caso. Quando si verifica un evento, ciascun elemento a rischio può riportare un danno, la cui entità dipende dalla propria capacità di sopportare tale evento, in funzione della sua intensità. La vulnerabilità (V) esprime l'attitudine dell'elemento a rischio, a subire danni per effetto dell'evento. Più precisamente, V indica l'aliquota percentuale di danneggiamento o perdita dell'elemento a rischio, ed è compresa tra 0 (nessun danno) ed 1 (distruzione, perdita totale). A ciascun elemento a rischio competono, in funzione della tipologia e delle caratteristiche intrinseche dell'evento, differenti valori sia di E che di V. In un'inondazione, ad esempio, l'effettivo numero di persone e la quantità dei beni colpiti variano in funzione della dinamica e ampiezza del fenomeno, in dipendenza anche dalla tenuta di eventuali difese strutturali (argini), da occlusioni e cedimenti, nonché della prontezza dell'allarme e del conseguente intervento di Protezione Civile. Si tratta quindi di una valutazione tutt'altro che semplice e con ampi margini di variabilità statistica, e questo elemento di incertezza incide notevolmente sulla capacità pianificare la salvaguardia degli elementi a rischio. 8

9 Si consideri inoltre che, a parità di condizioni, sia E che V possono assumere valori numerici diversi in base a fattori puramente casuali, quali ad esempio il periodo dell'anno, il giorno della settimana e addirittura l'ora in cui l'evento si verifica. Ad esempio, in un terremoto la perdita di vite umane può variare fortemente a seconda dell'ora e del giorno della settimana, come purtroppo testimoniato recentemente dalla tragedia della scuola di San Giuliano di Puglia in occasione del terremoto del Molise del 31 ottobre Ancora, il numero e le dimensioni di frane provocate da un terremoto dipendono fortemente dalla piovosità nei giorni precedenti l'evento. In base agli esempi sopra esposti, ed entro certi assunti, E e V possono dunque essere trattate come variabili casuali. In corrispondenza di ciascun evento, e per ciascun elemento, il danno D è pari al prodotto di E e V. Si indica come rischio Rt, relativo ad un determinato elemento a rischio e ad un prefissato orizzonte temporale t, il valore atteso del danno Dt, ossia il danno che mediamente può subire l'elemento considerato in più anni. La previsione risulta finalizzata ad individuare, per una assegnata tipologia di rischio, le aree vulnerabili, e, all'interno di queste, gli elementi a rischio e la loro vulnerabilità. In tal modo si può pervenire, nota la pericolosità dell'evento, ad una stima del rischio atteso su un prefissato orizzonte temporale. Naturalmente, in un ambiente in continua evoluzione come quello italiano, E va aggiornato con una certa frequenza. La previsione è quindi una azione di tipo conoscitivo, mirata a fornire un quadro accurato e preciso delle aree vulnerabili e del rischio al quale sono sottoposte le persone ed i beni in esse presenti. Le misure di prevenzione sono indirizzate invece alla riduzione del rischio nelle aree vulnerabili, e sono attuabili tramite: a) interventi strutturali, volti a ridurre da un lato la probabilità che accada un evento (ove possibile) e dall'altro a mitigare l'entità del danno, attraverso l'adeguamento delle strutture ed eventualmente interventi di ubicazione delle strutture stesse in zone meno vulnerabili; b) interventi di carattere non strutturale ma normativo, tesi a limitare l'occupazione delle aree più vulnerabili. Se per alcune tipologie di rischio, quali quelle legate ad eventi meteorici intensi, è possibile attuare interventi volti a ridurne la pericolosità (ad esempio, opere funzionali a regolamentare il deflusso delle acque in caso di precipitazioni concentrate), lo stesso discorso non vale per i terremoti, e per la maggior parte delle eruzioni vulcaniche. Si può invece sempre agire sulla vulnerabilità, mitigando l'impatto potenziale degli eventi sui sistemi territoriali e i sistemi sociali. Ad esempio, cosa si può fare per ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici? E' necessario anzitutto precisare che nel passato geologico, anche recente, forti e talora brusche variazioni climatiche si sono ripetute anche in assenza di qualsiasi contributo da parte delle attività antropiche, che solo a partire dalla Rivoluzione Industriale hanno esercitato il loro impatto sull'ambiente. Al momento attuale, occorre dunque valutare in modo dettagliato la velocità alla quale i cambiamenti 9

10 climatici si manifestano, in modo da comprendere se e in quale misura le attività umane possano influenzare la dinamica dei processi naturali. In questi ultimi anni la diffusione di un atteggiamento "emotivo", spesso pilotato ad arte sfruttando il latente senso di colpa per le modifiche sempre più intense imposte all'ambiente naturale, ha portato l'uomo consolidare una visione antropocentrica, per la quale l'uomo si ritiene capace non solo di alterare processi a scala globale indotti da meccanismi astronomici, quali sono quelli che determinano il clima, si sente in dovere di "stabilizzare" il clima, come se mai lo fosse stato nel passato. Se invece si considerasse il clima come un evento naturale (vedi terremoto) ci si accorgerebbe che intervenire sulla pericolosità, o sulla natura dell'evento si rivela un'azione sterile: l'unica soluzione è dunque quella della riduzione della nostra vulnerabilità all'evento. La prevenzione dei rischi e la protezione civile sono due concetti che, presi agli estremi del loro significato, sono all'opposto: se si potesse realizzare una prevenzione totale, infatti, i disastri causerebbero danni trascurabili e non ci sarebbe alcun bisogno della protezione civile. Si tratta ovviamente di un caso limite, ma che è funzionale a fare comprendere l'opportunità di due Enti, Agenzie, Dipartimenti (che dir si voglia) distinti, l'uno incaricato della prevenzione e l'altro della protezione civile stricto sensu. Queste due realtà istituzionali dovrebbero essere coordinate da una terza struttura, alla quale sia demandata la verifica del raggiungimento degli obiettivi prefissati, e che rappresenti l'interfaccia tra gli enti di ricerca e operativi sul territorio da un lato e gli organi amministrativo-gestionali dall'altro. E' essenziale che ciascuna di queste tre realtà debba essere autonoma a livello di gestione finanziaria: è possibile infatti che, nei casi in cui più entità si trovano ad operare "sotto lo stesso tetto" e con gli stessi fondi, questi ultimi vengano usati prevalentemente per le fasi di emergenza, che rappresentano momenti di maggiore visibilità e gravati da minori vincoli gestionali; in questa eventualità, poco rimarrebbe per quelle auspicabili misure di prevenzione che, se messe in opera, potrebbero mitigare i rischi in modo significativo. Per quanto attiene ai programmi di previsione e prevenzione, la politica "dei due tempi" (cioè la predisposizione di una completa e dettagliata ricognizione delle situazioni di rischio, seguita dalla programmazione degli interventi) appare poco efficace, sia per i ritardi che possono accumularsi in tale prospettiva, sia perché, di fatti la conoscenza dei rischi che gravano sull'intero territorio nazionale è già ampia, benché non sempre sufficientemente organizzata, e può consentire un primo livello di programmazione degli interventi. A questo livello è opportuno procedere per fasi successive, con una programmazione dinamica che, in una prima fase, oltre a realizzare gli elaborati sulla base delle conoscenze disponibili, possa pianificare le indagini e gli approfondimenti mirati ad una migliore conoscenza delle situazioni di rischio, e che possano servire da base per i successivi approfondimenti. Questa esigenza di periodici aggiornamenti deriva anche dal fatto che il quadro dei rischi naturali, soprattutto quelli di matrice idrogeologica, subisce frequenti modifiche, in ragione della continua evoluzione dei livelli di antropizzazione e degli interventi di sistemazione, e del continuo e progressivo incremento del grado di conoscenza del territorio. 10

11 I RISCHI NATURALI Il rischio idrogeologico Ricadono nella problematica generale del rischio idrogeologico tutti i fenomeni sorgenti di danno potenziale, determinati da eventi atmosferici di particolare intensità. Oltre a frane e inondazioni, in questa tipologia di rischio sono compresi anche eventi antropici o naturali che provochino il degrado delle risorse idriche, oltre a fenomeni naturali più peculiari (nevicate intense, valanghe, gelate, trombe d'aria, mareggiate, etc.) ma non per questo meno gravi nelle loro conseguenze. C'è una sostanziale differenza nell'approccio scientifico volto alla previsione ed alla prevenzione di frane e inondazioni, dettata dalle differenti scale spaziali e temporali dei processi fisici coinvolti: le frane sono un fenomeno tipicamente puntuale, sebbene talora capillarmente diffuso sul territorio, provocate da condizioni peculiari di instabilità locale del terreno, i cui precursori di evento (fenomeni che indichino cioè l'avvicinarsi dell'evento di frana), non sono facilmente identificabili se non attraverso onerosi monitoraggi in sito; le inondazioni sono ben definite a livello territoriale, in quanto sono potenzialmente concentrate solo in corrispondenza di corsi d'acqua dotati di specifiche caratteristiche se sono provocate dall'interazione di più o meno complessi fenomeni di formazione e concentrazione dei deflussi all'interno di una rete fluviale. In funzione dell'estensione e morfologia dei bacini coinvolti, l'entità e la distribuzione spazio temporale dei fenomeni meteoreologici in atto costituiscono i tipici precursori di evento. Fig. 4 - Alluvione del 2000 in Val d'aosta: abitazione parzialmente distrutta da un debris flow. Com'è ormai acquisito, almeno nel nostro Paese l'obiettivo delle azioni di protezione civile è generalmente non strutturale, e consiste nella salvaguardia dei residenti nelle aree a rischio di inondazione e frana e, solo nella misura del possibile, in azioni finalizzate alla riduzione del danno. Le azioni di salvaguardia da intraprendere, sia in fase di prevenzione che in fase emergenziale, sono conseguenti alla definizione di scenari di evento. Uno scenario di evento è una descrizione dei possibili effetti al suolo di una perturbazione atmosferica di particolare intensità, osservata e monitorata dagli strumenti e dai modelli operativi descritti nel seguito, ed eventualmente corredata da una cartografia locale a scala di dettaglio e da un database delle strutture residenziali e produttive. Grande attenzione deve essere prestata alle eventuali 11

12 installazioni industriali, che possono essere fonte di severi rischi per le persone e le cose. Deve inoltre essere esaminato l'impatto degli effetti al suolo sulle infrastrutture essenziali, in particolare vie di comunicazione, linee elettriche e telefoniche. I piani di emergenza, che tengono conto dei possibili scenari di inondazione e frana potenzialmente associabili alle differenti realtà territoriali del Paese, dovrebbero essere redatti con specifiche uniformi, in modo da risultare confrontabili a scala nazionale e potere essere sintetizzati in documenti regionali o sovra-regionali di esposizione al rischio. È indispensabile che le Regioni trovino una sede nella quale, pur nell'autonomia delle scelte regionali, le specifiche dei software utilizzati dai piani di emergenza siano confrontate e rese quanto più omogenee possibile. In tale direzione, il Dipartimento della Protezione Civile, in concorso con le Regioni, sta realizzando il sistema dei Centri Funzionali, finalizzati ad assicurare il collegamento di tutte le strutture che operano in tempo reale nel settore del rischio idrogeologico, in una rete di competenza e di supporto alla decisione. Questa azione dovrebbe consentire lo sviluppo coordinato di quelle aree del Paese che si trovano in ritardo, armonizzandole con quelle più avanzate, sia in termini di strumenti che di risorse umane. Il Dipartimento della Protezione Civile, usufruendo anche del Contributo dell'aeronautica Militare, sta inoltre attuando la rete radar meteorologica nazionale, in concorso con le Regioni già dotate di tale strumentazione e con le Regioni non ancora coperte dalla strumentazione stessa. Attraverso l'osservazione di precursori di evento (piogge cumulate), è possibile il preannuncio, attuabile con un modesto margine di errore, che si verifichi un evento alluvionale. Ovviamente, per essere efficace, il preannuncio deve essere fatto con un anticipo, rispetto all'evento, tale da permettere l'organizzazione di adeguate azioni di emergenza; inoltre, affinché la fase di preannuncio sia efficace, deve essere garantita l'assenza di mancati allarmi e minimizzata la possibilità di falsi allarmi. Fig. 5 - Attraversamento autostradale della Dora a Rondissone (autostrada Milano-Torino), distrutto dalla piena dell'ottobre Il tempo minimo di preannuncio richiesto è dell'ordine di 12 ore, che vanno misurate dal momento dell'emissione dell'annuncio al pubblico fino al momento del possibile evento. Il tempo di preannuncio da parte della struttura tecnica di supporto alla decisione dell'autorità di protezione civile, deve quindi essere maggiore di 12 ore, in modo da consentire l'organizzazione interna delle misure. Il 12

13 tempo di preannuncio complessivo, dall'attivazione della struttura di supporto alla decisione fino al momento del possibile evento, è dunque dell'ordine delle 24 ore. Da ciò consegue che i precursori dell'evento devono essere osservati, e le loro conseguenze modellate e valutate, prima di 24 ore dal possibile evento. Nella maggior parte dei corsi d'acqua italiani, e nel settore montano di quelli maggiori sopra ricordati, i tempi idrologici di risposta non eccedono le 24 ore; quindi non si può attendere che la precipitazione sia avvenuta e sia stata osservata dai pluviometri, per mettere in funzione un modello che, trasformando gli afflussi meteorici in deflussi in alveo, predica i valori di portata nella rete idrografica: in questa eventualità, il preannuncio perderebbe valore, in quanto la predizione precederebbe di molto poco l'evento e mancherebbe il tempo per attuare le opportune misure di salvaguardia. Le reti di osservazione delle grandezze idrometriche, pluviometriche e delle altre grandezze meteorologiche osservabili al suolo devono consentire la copertura più uniforme possibile del territorio nazionale ed essere disponibili telematicamente, affinché le loro osservazioni siano condivise ed utilizzate per la previsione in tempo reale da una molteplicità di Enti, ed in particolare quelli responsabili del supporto alla decisione per le azioni di protezione civile. I dati devono essere inoltre disponibili, in tempo quasi reale, agli Enti che ne fanno uso per compiti di protezione ambientale e di gestione delle risorse idriche. Per poter svolgere efficacemente il ruolo di salvaguardia della popolazione, il Dipartimento di Protezione Civile ha la necessità di conoscere in maniera dettagliata il territorio interessato e di comprendere e prevedere gli eventi (meteorologici, di piena, ecc.) che potrebbero interessare il territorio. Fig. 6 - Colata di fango a Sarno nel 1998 che ha investito numerose abitazioni disposte come una "diga" al piede del conoide alluvionale. In quest'ottica, la Protezione Civile necessita di una serie di strumenti che permettano la previsione degli eventi meteorici e delle portate di piena, e che siano utili alla quantificazione e previsione, ove possibile, dei movimenti franosi, nonché al monitoraggio continuo delle classi di fenomeni che predispongono agli eventi. 13

14 Nel sistema dei Centri Funzionali, a cura del Dipartimento della Protezione Civile e delle Regioni saranno resi disponibili, a scala dell'intero Paese, modelli di risposta del suolo tali da permettere un primo livello di quantificazione dei possibili eventi dannosi. I modelli saranno elaborati attraverso la determinazione di insiemi di soglie pluviometriche aggiornate in base alle precipitazioni precedentemente osservate, all'esperienza storica della risposta del suolo ed alla morfologia locale, come rappresentabile a grande scala. Le attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi destinati a rendere possibile la riduzione del rischio idrogeologico curano in particolare: la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, attraverso interventi idrogeologici, idraulici, idraulico- forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali e di forestazione, e processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico; la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d'acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro foci nel mare, nonché delle zone umide delle aree costiere; la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni; la disciplina delle attività estrattive, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamento degli alvei e delle coste; la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto; il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante operazioni di ristabilimento delle preesistenti condizioni di equilibrio e delle falde sotterranee; la protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi; lo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica, di navigazione interna,di piena e di pronto intervento idraulico, nonché della gestione degli impianti; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni. L'attività conoscitiva, esclusa quella svolta a puri fini di ricerca, fa capo alle Autorità di Bacino, alla scala nazionale, interregionale e regionale ed è svolta dalle Autorità stesse e, per quanto di competenza, dalle strutture centrali e periferiche dello Stato. Questa linea di attività è condotta secondo criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione e consultazione, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore, che garantiscano la possibilità di omogenea elaborazione ed analisi dei dati e la costituzione e gestione di un unico sistema informativo nazionale che fa capo al Comitato dei 14

15 Ministri attraverso l'apat (Agenzia per la Protezione dell'ambiente e per i servizi Tecnici). Deve essere fatto obbligo alle Amministrazioni periferiche dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonché alle istituzioni ed agli enti pubblici, anche economici, che comunque raccolgono dati nel settore della difesa del suolo, di trasmetterli alla regione territorialmente interessata ed all'autorità di bacino interessata. Con l'obiettivo di contribuire a ridurre il rischio idrogeologico, deve essere favorito l'accesso alle attività agricolo-forestali dei residenti nei comuni montani, ad esempio istituendo finanziamenti per le operazioni di acquisto di terreni, proposte dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli, nonché da cooperative. In quest'ottica, i terreni siti nel territorio comunale e lasciati incolti dai proprietari per molti anni, ferma restandone la proprietà, potrebbero venire affidati a cooperative specializzate nello sviluppo di attività agricolo- forestali. In quest'eventualità, al proprietario dovrebbe essere concesso l'esonero dal pagamento delle imposte di legge e la possibilità di entrare come socio nell'attività intrapresa. Al fine di favorire il riequilibrio insediativo ed il recupero dei centri abitati, le regioni potrebbero inoltre disporre di incentivi finanziari e premi di insediamento a favore di coloro che trasferiscono la propria residenza e dimora abituale o la propria attività economica, impegnandosi a non modificarla per un decennio, in un comune con meno di abitanti. Le cooperative di produzione agricola e di lavoro agricolo-forestale che abbiano sede ed esercitino prevalentemente le loro attività in tali comuni e che, conformemente alle disposizioni del proprio statuto, esercitino attività di sistemazione e manutenzione agraria, forestale e, in genere, del territorio e degli ambienti rurali, potrebbero ricevere in affidamento dagli Enti locali e dagli altri Enti di diritto pubblico, in deroga alle vigenti disposizioni di legge ed anche tramite apposite convenzioni, l'esecuzione di lavori e di servizi attinenti alla difesa e alla valorizzazione dell'ambiente e del paesaggio, quali la forestazione, il riassetto idrogeologico e la sistemazione idraulica, a condizione che l'importo dei lavori o servizi non sia superiore a euro per anno, esente da IVA. Il rischio sismico Fig. 7 - Il tragico crollo della scuola di San Giuliano di Puglia per il terremoto del 31 ottobre

16 A differenza di quanto avviene nel caso di eventi di tipo idrogeologico, non esistono precursori di un terremoto che ne permettano un preannuncio nei tempi utili e con l'affidabilità necessaria per l'avvio delle procedure di protezione civile. Per questa tipologia di rischio diviene dunque particolarmente cruciale la fase di prevenzione, fondata soprattutto su misure di tipo strutturale, ed in particolare la costruzione o l'adattamento degli edifici con criteri antisismici, e di tipo non strutturale nelle quali rientrano l'imposizione di normative più restrittive nel settore della classificazione sismica del territorio (provvedimenti che hanno notevoli conseguenze anche a livello strutturale). Il costo antisismico per l'edilizia privata è stimato in un 5% in più rispetto a quello convenzionale, mentre per le costruzioni di interesse pubblico si può arrivare ad un incremento del 10%. La differenza è dovuta al fatto che per gli edifici privati si opera unicamente nella parte strutturale dell'edificio. Per fare un esempio, se il costo di una scuola equivalesse ad un miliardo di vecchie lire, aggiungere 100 milioni per essere sicuri che la struttura non crolli sulla testa degli occupanti è sicuramente un ottimo investimento! Se poi questo divenisse prassi nazionale, della spesa aggiuntiva non ci si accorgerebbe più, un po' come avviene, con un esempio banale ma chiarificatore, per l'aria condizionata nelle auto che, una volta inserita di serie, non si avverte più come oneroso costo aggiuntivo. Nonostante l'elevato livello di conoscenze maturate in campo scientifico, non si è ancora nelle condizioni di poter escludere che un risentimento sismico, cioè uno scuotimento sismico del terreno, corrispondente ad un'intensità macrosismica (vedi avanti) del VII-VIII grado possa colpire una qualunque parte del territorio nazionale. Questo ha imposto di classificare come sismico tutto il territorio nazionale, inserendo nella terza categoria sismica tutte le aree che ne sono attualmente escluse, e persino la Sardegna, che in Italia è l'area a più bassa sismicità. E' opportuno mettere in atto un'azione tempestiva, fornendo istruzioni chiare ai costruttori: si deve contemporaneamente guardare al passato, valutando caso per caso come migliorare l'edilizia pubblica ed i beni culturali, imponendo/suggerendo tutte le azioni di rafforzamento valido, concretamente realizzabili per le costruzioni private. I fondi per realizzare tutto ciò sono certamente ingenti, ma forse meno di quanto si possa supporre, sempre che si ponga un'adeguata attenzione ad impedire lievitazioni ingiustificate dei costi. 16

17 Fig. 8 - Crollo parziale a San Giuliano di Puglia per il terremoto del 31 ottobre Gli edifici in stato di abbandono posti all'interno di centri storici possono ad esempio, con la loro instabilità, arrecare danno agli altri edifici: in questo caso il comune può ripararli, attuando quello che in termini tecnici viene definito "miglioramento sismico", addebitandone gli oneri al proprietario, qualora questi sia interessato; nel caso in cui il proprietario non sia interessato, la proprietà diventa pubblica. Qualora gli edifici non siano di interesse storico-paesaggistico e risultino di intralcio alla sistemazione del centro storico (per renderlo compatibile anche con gli stili di vita attuali dei residenti) possono essere abbattuti. In questo quadro operativo, presso ogni regione o provincia potrebbe essere istituita una competente Commissione Tecnica, con il compito di ridisegnare l'architettura e l'urbanistica dei centri storici, sotto la supervisione del Ministero per i BB.CC.AA.. Nel medio- lungo periodo, i costi aggiuntivi per le nuove costruzioni e quelli per l'adeguamento di quelle preesistenti verranno facilmente recuperati, ottenendo con molta probabilità un consistente risparmio, si considerano in particolare i costi attuali delle ricostruzioni post-evento. E' assolutamente da evitare che i sopralluoghi in fase di emergenza siano effettuati da personale non sufficientemente specializzato ed inadeguato ad affrontare situazioni in cui possono prevalere interessi di parte (pressioni/sollecitazioni di sindaci, tecnici comunali, proprietari, professionisti locali), oppure coinvolto direttamente nell'opera di ricostruzione con relative possibilità di lavoro e di guadagno. Occorre pertanto formare fin da subito Tecnici preparati ed affidabili, che svolgano la loro opera al di fuori di conflitti di interessi, al fine di evitare le cosiddette "sovra-ricostruzioni" (in altre parole sovravalutazioni dei danneggiamenti), derivanti anche dalla politica attuale della Protezione Civile, che tende a sovrastimare l'entità della calamità di fronte ai mass-media ed alla popolazione, con concessioni anche mirate a dimostrare la propria "forza" ed efficienza. Ciò ha comportato esborsi notevoli di denaro pubblico anche per eventi di modesta portata, determinando nella Società aspettative che sarà ben difficile soddisfare di fronte ad autentiche calamità. Ad esempio, per gli ultimi terremoti di moderata intensità che hanno colpito l'area italiana con campi macrosismici tutto sommato modesti (Reggiano, 1996; Umbria-Marche, 1997; Calabria-Basilicata, 17

18 1998; Alto Aniene, 1999; Forlivese, 2000; Reggiano, 2000) si stanno erogando fondi per la ricostruzione anche di edifici pubblici, privati e monumentali ubicati in zone del territorio distanti dall'epicentro degli eventi, nelle quali gli eventi stessi sono stati registrati con intensità macrosismiche (secondo le fonti tecnicoscientifiche istituzionali) del V grado delle scale MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg) e/o MSK (Medvedev-Sphoneur-Karnik). Fig. 9 - Frattura nel terreno e cedimenti per effetto del terremoto di Santa Venerina (CT) del 29 Ottobre E' opportuno a questo proposito precisare che la descrizione del V grado della scala MCS non contempla danni ai manufatti, mentre quella della scala MSK include solo piccoli danni agli edifici di tipo "A", cioè quelli di qualità molto scadente già instabili in condizioni statiche. Ebbene, ad oggi sono stati stanziati centinaia di miliardi di lire per edifici localizzati in aree interessate dal V grado MCS e/o MSK. In caso di eventi sismici realmente severi, come quello che ha colpito l'irpinia nel 1980 (un evento che in termini di rilascio di energia sismica è stato più di 30 volte superiore a quello dell'umbria- Marche del ), la stessa logica imporrebbe di intervenire per la ricostruzione in quasi metà della penisola italiana, richiedendo risorse impensabili per il nostro Paese. E' necessario,pertanto, porre con urgenza un limite a questo sistema di erogazione dei finanziamenti, indirizzando la Protezione Civile verso una linea di efficienza che al contempo sia adeguata a standard compatibili con il sistema economico italiano. La gestione dell'evento emergenziale deve pertanto tenere bene in conto anche l'obiettivo della ricostruzione e non deve quindi creare presupposti per una ricostruzione non proporzionata alla gravità dell'evento. Deve essere chiaro a tutti gli addetti (politici e tecnici) che, se non si prepara il territorio ad affrontare in modo corretto il prossimo grande evento calamitoso, facendo tesoro dell'esperienza dei piccoli eventi più frequenti, si rischia la bancarotta, a prescindere dal danno alle persone: gli ultimi casi dei terremoti etnei e di San Giuliano ne potranno costituire un'ulteriore conferma. La ricostruzione post evento (sismico e idrogeologico) La ricostruzione a seguito di calamità naturali rappresenta una questione di enorme complessità. Innanzitutto, la ricostruzione deve essere realizzata con tempestività, in modo tale che il territorio colpito, inteso come ambito naturale ed antropico, non subisca lo stesso grado di danneggiamento in caso di analoghi 18

19 eventi futuri. In altre parole, la ricostruzione deve assicurare un valore aggiunto al territorio e compiersi secondo principi di prevenzione. In questa ottica, due considerazioni risultano illuminanti. In seguito ad un terremoto la ricostruzione viene attualmente effettuata in base al principio del miglioramento sismico delle strutture colpite, in modo da migliorare la risposta futura del territorio pur non raggiungendo l'adeguamento sismico, che risulta essere più gravoso sia in termini economici che burocratico-amministrativi. Il processo di adeguamento sismico alle norme vigenti richiederebbe tra l'altro una imprescindibile e radicale opera di "ripulitura" di leggi e normative, essenziale per mille altri motivi, anche non attinenti a quanto in titolo. Per quanto riguarda invece il dissesto idro-geologico, allo stato attuale la Protezione Civile eroga i fondi per la ricostruzione limitandosi, di fatto, a ripristinare la funzionalità delle opere danneggiate. Questa politica non è corretta in quanto, ricreando lo status quo ante, replica le medesime condizioni di vulnerabilità, esponendo il territorio alla possibilità di subire gli stessi danni in occasione di futuri eventi catastrofici di pari entità. In una corretta ottica preventiva, l'evento calamitoso dovrebbe invece rappresentare uno "strumento" di controllo per verificare l'efficacia delle azioni di programmazione e di difesa del territorio. La ricostruzione deve essere dunque condotta al meglio e in tempi brevi, migliorando il territorio e incrementando la sicurezza dei cittadini, nel rispetto delle regole di buona economia. E' prioritario dunque che questa delicata fase venga gestita non (come attualmente avviene) da Comitati istituiti ad hoc per tutti i tipi di calamità, ma da Comitati istituiti caso per caso, che devono essere efficienti e dotati di reali poteri. In caso di alluvione, ad esempio, il Comitato dovrebbe fare capo all'autorità di bacino competente, mentre in caso di terremoto la figura di riferimento potrebbe essere l'assessore, regionale o provinciale, ai LL. PP. Come detto, al fine di accelerare i tempi, il Comitato deve poi avere poteri reali, essere composto cioè da Rappresentanti delle Istituzioni interessate, sia a livello centrale sia decentrato, forti del supporto e del pieno mandato della Istituzione cui appartengono. Per fare un esempio, quando all'interno del Comitato il Rappresentante del Genio Civile è solo un "portavoce" privo di potere decisionale, i necessari passaggi burocratici che ne derivano allungano enormemente i tempi di intervento. Occorre dunque eliminare al più presto i vincoli che ad oggi non permettono di agire in queste delicate situazioni, in modo efficace e tempestivo. Infine, la ricostruzione dei centri storici deve procedere considerando le nuove esigenze della Società. In altre parole, non si devono ricostruire "musei" dove nessuno abita, ma "approfittare" di questo contesto di ricostruzione per ridisegnare i centri abitati, senza alterarne le caratteristiche paesaggistico-ambientali, e considerando al contempo le esigenze attuali dei residenti. Come già accennato, si poterebbero demolire le abitazioni peggiori, non abitate, per far posto a piazze e garage in modo che il cittadino sia invitato a riappropriarsi di questi spazi: i centri storici sono la bellezza dell'italia e vanno salvaguardati con 19

20 intelligenza, garantendone la vivibilità. La ricostruzione di Norcia, dopo l'evento del 1979, rappresenta un positivo esempio in questa direzione. Il rischio vulcanico Fig Eruzione dell'etna del settembre-ottobre 2002, i vigili del fuoco davanti al fronte di una colata. In Italia vi sono cinque vulcani attivi (Vesuvio, Stromboli, Vulcano, Etna e Isola Ferdinandea) e due aree con vulcanismo attivo (Campi Flegrei e Ischia). Mentre nel caso dei vulcani attivi le eruzioni degli ultimi millenni si sono verificate sempre nell'ambito dell'apparato vulcanico (crateri principali sulla sommità e crateri laterali lungo i versanti), nelle aree con vulcanismo attivo le eruzioni si sono avute in siti differenziati. Come noto, tutte le aree soggette a potenziali eruzioni sono monitorate dall'istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in modo tale che una eventuale "attività anomala" in profondità, potenzialmente collegata alla risalita di magma in superficie, può essere immediatamente individuata. E' evidente però che tale opera di monitoraggio non è sufficiente a garantire la sicurezza delle persone che liberamente, e anche abusivamente, hanno deciso di vivere o di continuare ad abitare in zone ad alto rischio vulcanico. A questo proposito, singolare è il caso della massiccia urbanizzazione dell'area circumvesuviana, iniziata appena dieci-quindici anni dopo l'ultima eruzione del 1944, quando il ricordo dell'evento era ancora vivo. Fig Eruzione dell'etna del settembre-ottobre 2002, sullo sfondo le luci della città di Catania. 20

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