SCRIVI UNA FAVOLA CON FILOSOFIA

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1 SCRIVI UNA FAVOLA CON FILOSOFIA Progetto di scrittura creativa della Classe 2^ sez. B ispirato dalla lettura del testo di Ermanno Bencivenga La filosofia in 52 favole A.S. 2011/ 2012 ANTONIO E IL MARE di Niccolò Brandodoro Antonio aveva 8 anni e aveva paura del mare. <Sono nato così>, rispondeva a chi gli chiedeva il perché di questo suo timore. Eppure abitava in una vecchia città di mare e il suo papà era pescatore, così come suo nonno e il padre di suo nonno e così via. A scuola se ne stava sempre da solo perché i suoi compagni lo prendevano continuamente in giro per questa sua paura. Nelle belle giornate d'estate, Antonio rimaneva in camera sua e passava il suo tempo guardando dalla finestra tutti i bambini che giocavano felici nell'acqua salata del mare. Ma un giorno, a scuola, si sedette vicino a lui una bambina che era da poco arrivata in città. Si chiamava Maria e veniva da un lontano paese di montagna, e anche lei non aveva mai fatto un bagno nel mare. Dopo qualche settimana divennero amici per la pelle. Un pomeriggio di Luglio particolarmente caldo, Antonio aveva invitato Maria a casa sua per fare merenda insieme. Dopo aver mangiato, stufa di vedere tutti i bambini che si divertivano nell'acqua, Maria chiese ad Antonio di accompagnarla in spiaggia perché voleva fare il suo primo bagno con lui. Antonio accettò, pensando che magari si sarebbero fatti coraggio a vicenda. Arrivati alla spiaggia, si levarono le scarpe ed affondarono per la prima volta i piedi bianchi nella sabbia calda. Maria rimase in silenzio per qualche secondo, poi sorrise e si mise ad alzare la sabbia per aria con i piedi. Ad Antonio, invece, cominciò a battere fortissimo il cuore. Il mare quel giorno era calmo e pulito, e la sua superficie era disturbata solo da minuscole onde qua e là. Mossero i primi passi nell'acqua insieme, poi Antonio si bloccò e si sentì svenire. Maria allora gli si avvicinò e gli chiese: <Perché hai paura del mare?>. <E troppo grande per me>, rispose lui. Lei lo prese per mano e gli disse sorridendo: <Non devi avere paura; se stiamo insieme il mare ti sembrerà meno grande >. Da quel giorno Antonio passa interi pomeriggi al mare con i suoi compagni e con Maria, con la quale continua spesso a tenersi per mano. LA CONOSCENZA di Eugenio D Alò Un tempo, in un mondo lontano, gli uomini erano tutti sapienti: chiunque era colto e non esistevano disoccupati, ma solo medici, ingegneri, professori, architetti, scienziati, ricercatori, e chi più ne ha, più ne metta. Ognuno svolgeva diligentemente le proprie mansioni; l'economia era stabile e i lavori erano ben pagati. Tutti erano felici, tutto era perfetto. Ma non è sempre stato così. Infatti in un tempo ancor più remoto, in quello stesso mondo lontano, gli uomini erano tutti ignoranti: non si sapeva leggere, parlare, non esistevano libri e nessuno sapeva il proprio nome. Ma la Natura, che voleva bene alle proprie creature, un giorno decise di donar loro la conoscenza; così qualcuno cominciò a costruire città, qualcuno ad elaborare lingue, qualcuno a scrivere libri, qualcuno a studiarli e qualcuno ad insegnare il loro contenuto. Così tutti cominciarono a diventare colti, non esisteva disoccupazione e chiunque, medico, ingegnere, architetto o ricercatore che fosse, era sapiente. Ma dal momento che gli uomini erano consapevoli del loro potere e della loro conoscenza, osarono vantarsi ed insinuare che

2 la Natura, loro salvatrice, fosse inutile. Così la natura tolse loro tutto: i libri divennero inutili, visto che gli uomini non erano più in grado di leggerli, e le lingue morirono, visto che non erano più in grado di servirsene. Alla fine non seppero più nulla. Capirono solo di aver sbagliato. LO SPIRITO DEL MARE di Valeria D Annibale Era l anno 18. Il sole bruciava come non mai, il cielo limpido e sereno era piacevole per i viaggiatori, ma non per coloro che vivevano e lavoravano in quella calda striscia di terra che si confondeva con le acque marine dove i marosi spumeggianti, con un ritmo lento e cadenzato, si infrangevano sugli scogli, dando vita a una melodia un po noiosa. Giacomo odiava tutto questo. Era un ragazzo di umili origini, ma dall aspetto nobile: occhi azzurri aveva, come le profondità dell oceano, e capelli color dell oro, splendidi come i raggi del sole. La carnagione era chiara, ma ormai il sole l aveva resa un po ambrata. Era un pescatore, ma odiava il suo lavoro: doveva farlo soltanto per continuare una stupida tradizione di famiglia, mentre lui ambiva ad una vita diversa. Viveva praticamente in mare, ma odiava anche le acque cristalline, che per lui erano soltanto una minaccia e un covo di pirati e fuorilegge; il sole lo infastidiva e gli bruciava il giovane corpo. Quel giorno, come sempre, dopo aver pescato con il padre, si stava recando al porto per scambiare dei prodotti con i mercanti, per poi vendere il tutto al mercato, nel pomeriggio. Ma fu distolto dai suoi compiti da una strana ombra che ondeggiava cupa sulla sabbia. La inseguì, temendo che fosse un pirata. Era scura, infatti, e si intravedevano i bordi di un ampio cappello e sembrava che portasse un mantello lungo. Giacomo ripeteva sempre che ciò che riteneva più importante fosse la giustizia e non tollerava chiunque si opponesse ad essa. Ecco perché odiava tanto il mare: era un luogo in cui la legge non vigeva, dove crudeli uomini assalivano navi colme di innocenti e dove anche la natura stessa, senza porsi scrupoli, eseguiva terribili stragi. Perso nei suoi pensieri, il ragazzo giunse presso una capanna disabitata, aprì la porta cigolante ed entrò, lasciandosela richiudere dietro con uno stridio agghiacciante. Avanzò lentamente senza far rumore e tremando un po. L aria era fredda e umida, molto più che fuori, e si sentivano lontani sospiri nonostante non tirasse un alito di vento. Davanti a lui si trovava lo schienale di una sedia. Si intravedeva il cappello(quell essere era lì, dunque), ma sembrava che non vi fosse il resto del corpo. Finché una voce tetra e lontana lo chiamò. Invece di obbedire, Giacomo si fermò stordito e balbettò: Chi- chi siete? Dopo qualche minuto di silenzio, la voce disse: Vieni qui, ragazzo mio. Non ti farò nulla, non potrei. Giacomo si avvicinò e lo vide: era un ombra. Sembrava uno spettro e subito, una paura carica di superstizioni intimorì il giovane; ma l essere gli fece segno con la mano di sedersi, e questa volta il ragazzo obbedì. La strana ombra cominciò a parlare: Perché Giacomo stai sfuggendo dalla tua natura, dal richiamo che il mare impone al tuo cuore selvaggio?. Giacomo non capiva e lasciò cadere le cupe parole nel silenzio. Tu odi i pirati e il mare, perché ami il rispetto delle regole e la civiltà. Ti SBAGLI!. Giacomo stava

3 per rispondere indignato e impugnò il coltello che aveva sempre con sé, ma l essere parlò ancora: Ti SBAGLI, posa il coltello e calmati, ora ti spiego il perché. Quelle che tu chiami leggi e regole non sono altro che pure convenzioni, che uomini ingiusti e incapaci hanno imposto ad uomini più o meno ingiusti di loro, ma che non hanno comunque saputo reagire. Queste convenzioni non chiamiamole leggi: sono state create solamente per soddisfare la sete di potere che corrode tutti gli uomini, o quasi. Non è un discorso di Democrazia o Monarchia, non importa il numero di persone che detengono il potere, perché il Potere è sempre lo stesso, e soggioga chiunque ci entri in contatto e corrode la giustizia umana. Poi, finalmente, si decise di porre fine a questo scempio. Dopo la scoperta delle Americhe, dal Mare nacque il cambiamento, portato avanti da uomini coraggiosi, i Pirati, disprezzati solo da coloro che temevano per la propria sicurezza e per il proprio potere. Il Mare è Libertà, è Giustizia, è la vera vita che tutti noi cerchiamo, è il vivere secondo natura, seguendo le leggi della Natura stessa che in fondo è la Legge-Madre di tutte le altre. Ciò che importa è il Rispetto reciproco e per la Natura. Il Mare e il Destino sono i veri Giudici, perché sono loro a decidere chi salvare e chi seppellire nel fondo sabbioso delle azzurre acque Giacomo era stordito e solo dopo qualche minuto disse con voce incerta: Ma chi siete voi? Mio caro ragazzo, io sono lo Spirito del Mare che si è risvegliato in te, altrimenti non mi avresti seguito; sono il tuo stesso pensiero e rappresento il tuo futuro, o perlomeno, ciò che dovresti diventare. Spero che le mie parole umili ti facciano da guida Nelle tue vene scorre il sangue dei più grandi corsari, e tu sei il loro degno erede. L ombra si assottigliò sempre più e, con una risatina che sembrava un eco, lo spirito scomparve. Quando Giacomo uscì non fu né abbagliato né bruciato dalla luce del sole, provò solo un confortevole senso di piacere per il caldo tepore. Quei raggi gli avrebbero mostrato il giusto cammino. Una leggera brezza lo scosse: non sapeva cosa avrebbe fatto in futuro, sapeva solo che il suo futuro era il mare. L ANIMA DELLE COSE di Valeria Frezza Una volta gli alberi, le piante, gli animali e le pietre avevano una voce. Una volta gli alberi, le piante, gli animali e le pietre vivevano bene con gli uomini e si completavano con loro. Una volta gli uomini amavano loro e loro amavano gli uomini. Le piante erano rispettate e offrivano generosamente i loro frutti. Gli uomini le veneravano come dee. Il calendario era basato sulle fasi della natura e spesso si facevano delle feste in estate nelle foreste per ringraziare la natura e volentieri gli alberi piegavano i loro rami per offrire fresca ombra alle persone radunate. I sassi, aiutati dal vento, rotolavano vicino a qualche vecchio stanco per offrire un sedile su cui riposare. Gli uomini veneravano le pietra, giganteschi monoliti avevano significati fondamentali per la vita ed indicavano la posizione delle stelle e le vie principali da percorrere..anche gli animali contribuivano volentieri al

4 sostentamento dell uomo e venivano uccisi solo per cibarsene, sempre naturalmente dopo cerimonie durante le quali accordavano il loro permesso ad essere sacrificati. Ma poi vennero tempi bui. Tempi in cui l uomo si sentiva il padrone della terra e voleva piegare tutto al suo volere. Si sentiva allora spesso bisbigliare sommessamente nelle foreste e nei boschi. Gli alberi temevano il peggio ed il peggio giunse. In tempi in cui anche i rapporti tra umani si stavano deteriorando, quando si stava attenti a parlare e ad agire liberamente, nello stesso periodo alcuni uomini decisero per tutti che gli alberi, le piante, gli animali e le pietre non avevano l anima. E da allora gli alberi, le piante, gli animali e le pietre tacquero per sempre. Occorrerà un gran lavoro per poterli riascoltare. LO SPAZZOLINO di Laura Gabriele Un tempo non esisteva lo "spazzolino" per lavarsi i denti. Bimbi, genitori e nonni potevano mangiare tutto: carne, pesce e persino una montagna di caramelle, senza il bisogno di lavarsi i denti e soprattutto senza che venissero le carie ( anche se a quel tempo non si sapeva neanche cosa fossero)! Il dottore diceva che il cibo, all'interno della bocca, si posizionavano in modo tale che appena si fosse bevuto un bicchiere d'acqua, andava tutto giù per essere digerito. Un giorno pero i denti si stancarono di essere lavati solamente con un bicchiere d'acqua. Volevano essere trattati meglio, volevano sentirsi più importanti. Decisero che era arrivato il momento di fare una riunione. Ognuno diceva la sua: gli incisivi si lamentavano del fatto che, siccome erano i primi a mordere il cibo, rimanevano un Po più sporchi degli altri, lavaggio incluso. I molari si sentivano esclusi dal lavaggio, erano così in fondo alla bocca che l'acqua non arrivava quasi mai. Detto questo, decisero che i molari avrebbero indossato dei vestiti neri chiamati carie. Un giorno, infatti, successe un fatto insolito per i cittadini. Un bambino, Gianluca, iniziò a soffrire un fortissimo mal di denti. Allora i Grandi decisero di chiamare il Signore che veniva da lontano, il "dentista". Il "dentista" visitò Gianluca e gli disse:" hai mangiato troppe caramelle! Gli zuccheri erano troppi; alcuni sono scesi giù per essere digeriti, altri invece sono diventati dei vestiti per i denti!" I denti rimasero stupiti dalle conoscenze dell'uomo che veniva da lontano e sperarono che egli potesse risolvere i loro problemi. E così fu. Il dentista per evitare che le carie venissero anche ad altri bambini, regalò loro un oggetto strano, dotato di un manico e di una piccola spazzolina: lo spazzolino. Da quel giorno bimbi, nonni e genitori iniziarono a lavarsi i denti con li spazzolino. Così ai bambini non venivano le carie e i denti erano contenti di essere puliti tutti allo stesso modo.

5 LA SFERA di Emanuele Gentili In un tempo lontano un Maestro voleva tramandare che al principio di tutto ci fosse solamente un' enorme massa sferica, formata da chissà quali reazioni chimiche e fisiche, che contenesse all'interno tutto ciò che in futuro sarebbe stato, di umano e di inumano, di naturale e di innaturale, di fisico e di metafisico. E gli sembrava ancora che questa Sfera esistesse fisicamente, o che almeno si dovesse immaginare come qualcosa di reale ed immutabile, che aveva dato a tutto un inizio ed avrebbe dato a tutto una fine, rimanendo solo lei l'unico essere immobile ed immortale nell'universo. La sfera era e sarebbe rimasta la stessa per sempre, poiché la sua perfezione ed il suo compito divino non le permetteva di mutare, assimilandosi così a tutte le cose che noi percepiamo nel nostro mondo. Questa sorta di religione per alcuni, di credenza per altri, non era basata però su un folle pensiero di un maestro un po' bizzarro e di alcuni matti che lo assecondavano, ma traeva le sue origini dalla più antica tradizione del popolo da cui questi fantasiosi uomini venivano e dalla visione che essi avevano di ciò che era al di sopra di noi. La Sfera, infatti, si prestava perfettamente al compito di essere identificata da quegli uomini come unica entità al di sopra di tutto. Aveva dei confini e non era infinita, quindi non sembrò a quel Maestro qualcosa di imperfetto o di troppo difficile da comprendere; era di certo dotata di un centro, fondamentale punto di orientamento da dove si sarebbero potuti raggiungere con la stessa distanza tutti i suoi punti di confine. Il Maestro ammetteva che solo quella Sfera esistesse realmente e che tutto ciò che fa parte del nostro mondo mutabile ed imperfetto, soggetto alla nascita ed alla morte, fosse solo un' illusione per certi stolti che non riuscivano a concepire la vera realtà. Grazie a queste considerazioni un po' difficili ed un po' originali, questo saggio Maestro si era guadagnato, presso tutta la sua città, la fama di essere pazzo e anche un po' miscredente, tanto che molti erano i cittadini che lo prendevano in giro, invitandolo a darsi alla vita pratica piuttosto che abbandonarsi a quelle elucubrazioni. Egli considerava tutti loro degli stolti e si adoperava a trasmettere il proprio credo ai pochi che erano disposti ad ascoltarlo ed a fare proprie le sue tesi. Un giorno quest'uomo morì, e nessuno per qualche tempo si interessò più della sua sfera e dei suoi ragionamenti così astrusi e complicati. Tuttavia, un po' di tempo dopo, capitò che un giovane, sicuramente una mente brillante e contorta, ripensò a ciò che aveva detto il vecchio Maestro e notò che non tutto ciò che egli voleva tramandare fosse così assurdo da essere schernito. E il giovane, dopo che ebbe fatto suo il pensiero di quel Maestro e ci ebbe fatto le dovute modifiche, lo fece tramandare nei secoli successivi, riconoscendo quell'uomo così bizzarro come padre del suo pensiero, che poi divenne famoso in tutto il mondo. Figurarsi che ancora adesso molti riconoscono quello strano Maestro e quel diligente giovane che si ispirò a lui coloro che posero le basi di tutta quella modernità e di tutto quel progresso a cui noi siamo abituati ai nostri tempi. E chissà, c'è forse ancora qualcuno che crede che quella Sfera così rotonda esista e che alla fine tutti faremo parte di essa, conoscendo così la Verità.

6 IL MAGAZZINO di Marco Genualdo A casa Ferranti c è un ripostiglio molto grande, che quindi è stato ribattezzato come il magazzino. Nel magazzino non c è niente. Quando qualcuno entra nella bellissima casa del signor Ferranti, e vede quella porta oltre la quale, a giudicare dalle dimensioni della parete ci deve essere una grossa stanza e chiede che cosa c è dietro, gli viene svogliatamente risposto che non c è niente. Visto questo disinteresse nessuno entra nel magazzino, che in realtà è pieno di scatole di oggetti usati, tranne ogni tanto il signor Ferranti stesso, che armeggia un paio di minuti per inserire la chiave e far girare la serratura della porta, entra, impreca per la polvere che copre ogni scaffale, accatasta un altra scatola in un angolo, esce, sbatte la porta e chiude a chiave. Del resto chi altro può entrarci? Ai bambini è severamente proibito perché la mamma ha paura che si facciano male con qualche arnese, e la mamma stessa non vuole entrare visto che è allergica alla polvere. Così il magazzino non viene mai sistemato, e sembra essere troppo grosso perché un giorno possa riempirsi. Eppure nel magazzino prima o poi ci si mette ogni cosa, più precisamente tutto finisce lì. Esatto, finisce è la parola giusta, perché, come è prevedibile, una volta che qualcosa entra là dentro non viene più ripresa, non si muove più, giace là in attesa di un cambiamento. Diciamo che lì finisce la sua storia, e tutti i ricordi legati ad essa sono rinchiusi lì dentro, ma alla famiglia Ferranti poco importa, perché tutto il loro tempo è impegnato da altre esperienze, legate ad oggetti che poi finiscono in magazzino. In tutto questo voi direte che il ruolo del magazzino sia un ruolo poco onorevole e che tutta questa storia drammatica sia finita. Il nostro magazzino però può dirsi abbastanza felice del suo ruolo, infatti contiene storie, tante storie, che saranno sì passate e trascorse, ma raccontano comunque delle vite. Così il magazzino si sente pieno, infatti la famiglia Ferranti vive le esperienze, ma poi le lascia andare, non le ha per sempre, mentre lui le accoglie per sempre, e si diverte a fare previsioni sulle prossime scelte delle persone in base a ciò che hanno fatto in passato, che spesso si rivelano giuste. Tuttavia il magazzino un ripianto ce l ha: non riesce mai a stare al passo col mondo, ma viene a conoscenza degli avvenimenti solo quando il signor Ferranti porta qualcosa di nuovo e per quanto possa avvicinarsi al tempo presente non lo raggiungerà mai. IL POVERO TAGLIALEGNA di Lorenzo La busta C'era una volta un povero taglialegna che col sole o con la pioggia passava la giornata ad abbattere alberi nelle foreste: " Ah se potessi essere un gran signore"- pensò un giorno- "mi riposerei finalmente". Di punto in bianco il suo desiderio fu esaurito. Il povero taglialegna si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici. Poteva riposare a suo agio, ma un giorno ebbe l'idea di alzare gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai:" il Sole! Ah se potessi diventare il Sole!"-sospirò- " Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici". Anche questa volta il suo desiderio venne soddisfatto. Ma quando l'uomo venne tramutato in Sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore. "Magari potessi essere una nuvola!- pensò tra sé e sé- una nuvola è persino più potente del sole". Ma esaudito che fu soffiò il Vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo. "Vorrei essere il vento che travolge ogni cosa!", e di nuovo fu esaudito il suo desiderio; ma divenuto Vento impetuoso e violento incontrò la Montagna che resiste anche al vento. Trasformatosi a sua volta in montagna si accorse che qualcuno colpiva la base a colpi di piccone: "Ah potessi essere quello che spacca le montagne!", e per l'ultima volta il suo desiderio venne esaudito. Così il taglialegna si ritrovò nell'umile condizione da cui era

7 partito. Ne mai da allora si lamentò più. IL PERMALOSO di Francesco Lucattelli C'era una volta, in una stazione di un lontano paesino, un orologio, un po malandato,nonostante ciò segnava l'ora in un modo impeccabile. Tutte le persone contavano su di lui: ragazzi, treni, capostazione ed anche il sole, il quale senza l'ora segnata dall'orologio non ricordava quando sorgere o tramontare. Ma un giorno accadde una cosa inaspettata. In un pomeriggio di un freddo inverno l'orologio vide che tutte le persone che lavoravano nella stazione si preoccupavano solo dei treni, tenendoli al riparo dalla terribile tempesta di neve che si stava abbattendo sulla stazione, mentre di lui nessuno si occupava. Preso dallo sconforto, smise di segnare l'ora e le lancette si fermarono. La mattina seguente ci fu il caos più totale in quella piccola stazione. Il sole non sorse, i treni rimasero nei capannoni e le persone tardarono alle loro rispettive destinazioni. L'orologio non aveva proprio voglia di ripartire. Questa routine andò avanti per giorni e giorni, sino a quando l'orologio si accorse che anche se non riceveva le attenzioni che desiderava, le persone contavano su di lui, perciò esso ricominciò a segnare l'ora e il lavoro in quella piccola ma movimentata stazione riprese regolarmente. LA MELA VERDE di Melissa Masucci C'era una volta un grande albero. La sua particolarità era quella di fare frutti tondi e colorati, chiamati mele. Tutto l'anno l'albero era ricoperto di mele di un colore rosso talmente forte che si potevano notare anche dalla strada che portava al frutteto. Un giorno nacque una mela diversa da tutte le altre, ma nella sua diversità era immensamente bella. Questa mela però si sentiva diversa e emarginata dalle altre che la deridevano spesso. La sua vita era monotona e noiosa fino al giorno in cui cadde dall'albero e rimase a terra da sola. Di li a poco passo un giovane pastore di nome Giovanni, che aveva portato le sue pecore a pascolare. Era una giornata calda e torrida e Giovanni si sedette all'ombra del grande albero. Cadde in un profondo sonno e quando si risvegliò trovò quella strana mela. Anche Giovanni, come le altre mele, rimase stupito nel vederla, ma decise di prenderla e portarla con se. Inizialmente la lasciò sul davanzale della cucina, poi decise di prendersene cura. Allora la portò in un posto fresco e al riparo dalle intemperie. La mela rimase li per tanto tempo e ogni giorno Giovanni andava a vedere le sue condizioni. Un giorno pero Giovanni si accorse che la mela si era rovinata e quindi la aprì e notò che c'erano dei piccoli semini marroni. Allora decise di seminare i semi nel giardino di casa. Passarono i giorni e Giovanni ormai se ne era dimenticato. Un giorno si accorse che, proprio nel punto in cui tanto tempo prima aveva seminato quei semi, stava nascendo una pianta. Allora iniziò a curarla e quella pianta diventò un albero. Ma Giovanni, poiché si era dimenticato, non poteva immaginare che era un albero di mele, fino a quando si accorse che stavano nascendo dei frutti: delle mele per l'appunto. Giovanni fu molto stupito nel vedere che quelle mele erano uguali a quella che aveva raccolto da terra tanto tempo prima, ed erano tutte mele verdi. La portò con se in paese e la gente fu attirata dal brillante colore verde. Da allora la gente poté

8 apprezzare il sapore e la bontà di questi nuovo frutto, fino ad allora sconosciuto. IL CRICETO di Andrea Musetti Non tutti sanno che il criceto, un piccolo roditore domestico considerato da molti (cito testualmente) dolce e batuffoloso, è un animale che può decidere di ammalarsi e persino di passare a miglior vita. Certamente, direte voi, anche l uomo può decidere di morire con il tanto biasimato suicidio, ma il criceto adotta uno stratagemma molto più semplice e silenzioso. Se pensate che sto vaneggiando, ecco questa storia. C era una volta un ragazzo di nome Alex che, chissà perché, decise di comprare un criceto. Tuttavia i genitori gli dissero che era troppo grande per comprarsi un animaletto solitamente destinato a bambini e ragazzine; secondo loro era meglio un pitone, un iguana o un pitbull, o comunque un animale che si addicesse ad un ragazzo. Comunque Alex non si scoraggiò, ed acquistò, alla faccia dei familiari, un criceto; lo mise in una bella gabbia a due piani con ciotola, beverino, cuccia, ruota e fieno. Nei primi giorni il criceto era molto timoroso e difficilmente usciva dal suo rifugio. Poi però Alex cominciò a prenderlo in mano e ad accarezzarlo più spesso, e l animaletto divenne più tranquillo e fiducioso. Ma un giorno successe una cosa strabiliante: il criceto partorì tre cricetini, che in realtà sembravano dei vermetti per quanto erano piccoli e rosa. Alex constatò, ovviamente, che il suo criceto era femmina, e che probabilmente si era accoppiata quando viveva con i suoi simili nel negozio di animali. Dopo un mese i cuccioli erano diventati indipendenti e, per evitare che madre e figli si mangiassero a vicenda come avviene nello strano mondo dei criceti, Alex li affidò al negoziante. Passò un anno, e ormai la criceta era molto più quieta e si faceva accarezzare da tutti. Ma nel mese di giugno, il roditore, battezzato da Alex la Crica, pensò che era giunto il momento di avvalorare quella tesi secondo la quale i criceti possono decidere di ammalarsi. Così ebbe inizio una serie infinita di malattie, e sembrava che la Crica facesse tutto ciò per provare l affetto e la cura che Alex sembrava avere verso di lei: prima ebbe un tumore alla coda, che il padrone fece asportare in una prestigiosa clinica veterinaria con una costosa e delicata operazione; poi la Crica si prese due raffreddori, potenzialmente letali per i criceti, e Alex riuscì a curarla; in seguito si provocò due infezioni, che furono sempre debellate prontamente dal padrone con degli antibiotici. Inoltre, come se non bastasse, nel corso di tutta la sua vita, la Crica, per scendere dal secondo al primo piano della sua gabbia, non usava, come un essere dotato di un minimo di raziocinio, la comoda scaletta messa lì apposta, ma si buttava di testa; di conseguenza si svilupparono nella sua testolina numerosi traumi cranici che comunque non furono mai rilevati e, soprattutto, rilevanti. Erano passati già due anni da quando Alex aveva comprato la Crica e, all improvviso, quest ultima cominciò a sentirsi sempre più stanca; ormai, come gli eroi protagonisti dei racconti, aveva superato moltissime peripezie: aveva dato alla luce tre figli, aveva avuto vari malanni e aveva battuto innumerevoli volte il muso nella sua gabbia. Così deliberò che era giunto il momento di morire e di lasciare per sempre il suo devoto padrone. Quindi, in una fredda mattina di febbraio, si mise a dormire fuori dalla sua cuccia per farsi vedere meglio e aspettò che Alex venisse a osservarla prima di andare a scuola. Chissà come, questi aveva un cattivo presentimento, rafforzato anche dal fatto che la Crica dormiva stranamente fuori dalla casetta. Comunque aprì la gabbia e la accarezzò: il criceto si stiracchiò e lo guardò per un attimo, poi richiuse gli occhi per l ultima volta e emise il suo ultimo, lieve respiro. Quando Alex si rese conto che la Crica non respirava più, era incredulo e infinitamente triste. Chiamò sua madre e, dopo aver messo l animaletto inerte in una scatoletta, lo seppellirono in un boschetto vicino e gli dissero addio. Secondo Alex la Crica lo aveva aspettato per morire, e questo pensiero lo confortava alquanto. NATO PER DIVIDERE di Giulia Nociforo Astolfo, sin da piccino, possedeva un innata curiosità nello scoprire cosa ci fosse mai all interno di ogni cosa inanimata che lo circondasse. Si cimentava nella divisione di qualsiasi oggetto che gli capitasse sotto mano: matite, gomme, palloni, pupazzi, materassi, alimenti, addirittura i fogli. Ovviamente la cosa non era di gradimento ai suoi genitori, che

9 non riuscivano a reprimere in nessun modo questo suo comportamento, che li turbava non poco. Crescendo, Astolfo intraprese gli studi scientifici: conseguì il diploma scientifico, una laurea in Biologia ed una in Chimica. Il suo intento era quello di dedicarsi allo studio della materia, come del resto aveva sempre cercato di fare, e quindi dell atomo. Passava intere giornate nel suo laboratorio costruendo macchinari che gli permettessero di dividere gli atomi, ma ogni volta che provava l esperimento inesorabilmente la macchina si rompeva, talora emettendo fumate nere, talora provocando esplosioni che mettevano sottosopra l intero laboratorio. Forse dovrei rassegnarmi all acquisto di buoni macchinari, e la dovrei piantare di cimentarmi nella creazione di nuovi non efficienti e così fu, si diede all acquisto di mezzi più sicuri. Passavano giorni, settimane, mesi e mesi, ma i suoi occhi non facevano altro che registrare esperimenti fallimentari. Gli acquisti si facevano sempre più cari, tanto che incominciò a vendere qualsiasi oggetto dal quale potesse ricavare una somma ingente di denaro. Arrivò a vendere persino la macchina. Risparmiava sugli alimenti, ormai non pagava nemmeno più le bollette, gettando i parenti nel baratro del debito. Era esausto ed infelice, ed insieme con lui la sua famiglia, che si vedeva defraudata di ogni bene a lei caro. Ormai era quasi inghiottito dal laboratorio, viveva lì dentro. Era un evento per i suoi due figli e sua moglie vederlo a casa una volta a settimana. Ma la sua disperazione arrivò ad un punto tale, che decise di vendere la casa. La moglie, non riconoscendo più l uomo che aveva sposato e, non ritenendolo più capace di pensare con responsabilità a se stesso ed alla sua famiglia, in lacrime tornò dai propri genitori portando con sé i due figli. Astolfo era sicuro che questa sarebbe stata la volta buona in cui l esperimento sarebbe riuscito. Era la sua ultima speranza. Il macchinario per il quale aveva investito migliaia e migliaia di soldi era più che sufficientemente potente per spezzare gli atomi, ma ahimè, per l ennesima volta, ogni fatica andò in fumo. Non gli rimanevano altro che gli atomi e la sua passione innata, passione che lo aveva portato sul lastrico finanziario e via dalle persone a lui care, ma che tuttavia gli salvò la vita: sopravisse tagliando torte nelle pasticcerie più prestigiose della città. Certamente il suo tocco era delicato ma deciso, era infallibile. IL GIOCATORE di Marco Valerio Oskarbiski Un ragazzo, sin da piccolo, era stato sempre il più alto e il più grosso tra tutti i suoi coetanei, sia a scuola, elementari e medie, sia nello sport, nuoto e pallanuoto. Proprio perché alto decise di dedicarsi al basket, uno sport che gli era sempre piaciuto molto ma che adesso era diventato una passione! Con il passare degli anni, il giovane si accorse che mentre tutti i suoi compagni crescevano e diventavano sempre più alti, egli al contrario rimaneva tale a quale. Questo fatto lo deprimeva a tal punto che pensò di smettere di giocare e abbandonare il basket, sport che amava più di ogni altra cosa. Dopo varie vicissitudini di società sportive e allenatori cambiati finalmente incontrò un allenatore che gli fece capire che nello sport è molto più importante la passione che metti nel giocare che non le doti fisiche come l'altezza. Certo queste aiutano, ma se ti impegni al massimo in quello che fai raggiungerai ugualmente i tuoi obiettivi e anzi, poiché sei costretto a impegnarti di più avrai una soddisfazione maggiore. Il ragazzo mise in pratica gli insegnamenti

10 dell'allenatore e ben presto, non solo diventò un buon giocatore, ma anche il leader della sua stessa squadra. GLI UOMINI DELLA NOTTE di Paolo Porena C'era una volta un mondo uguale alla terra, abitato da uomini identici a noi. L'unica differenza tra noi e loro era che noi eravamo nati di giorno e loro di notte. Poco male, direte voi: la mattina dopo avrebbero visto il Sole anche loro e fine della storia. E invece no. Al sorgere del Sole, infatti, quegli uomini provarono paura e si rifugiarono ovunque il Sole non ci fosse: nelle caverne, in buie foreste, sotto terra, dentro una buca. Dopo 12 ore il Sole ritornò da dove era venuto e gli uomini uscirono allo scoperto, cominciando a vivere di notte. Può sembrare assurdo, ma così era. Gli uomini impararono dopo poche notti ad adoperare il fuoco (noi, per colpa del Sole, ci mettemmo un bel po') per vedere il mondo attorno a sé. Poiché era difficile trovarsi nel buio a lunga distanza, gli uomini della notte trovarono più conveniente raggrupparsi in un unico punto, magari attorno ad un grande fuoco, raccontandosi storie, parlando tra se e decidendo sul da farsi. Stando sempre molto vicini svilupparono prima di noi un loro linguaggio ed una loro società, invero primitiva, ma funzionale e funzionante. Questa società era ben fatta. Pensate che non c'erano discriminazioni di alcun tipo tra gli abitanti. Gli uomini della notte infatti erano tutti bianchissimi; nessuno di loro aveva la pelle più scura dell' altro per resistere alla luce del sole. Col passare del tempo le società si allargarono, allestendo villaggi anche di grandi dimensioni, ma mai troppo grandi da creare periferie. Infatti, abituati com'erano fin dal primo giorno a vivere in vicinanza, gli uomini della notte odiavano stare troppo lontani dagli altri e rimanere da soli, ed ormai vivevano pacificamente insieme per indole ed istinto. Gli uomini della notte non furono mai nomadi ed impararono in poco tempo l'arte della terra, poiché di notte era difficile cacciare. Vissero per sempre coltivando, senza mai uccidere. Per loro risultava facile lavorare con il terreno dal momento che il sole non batteva sulle loro teste quando c'era la luna nel cielo. Non si trovarono mai nemmeno a fronteggiare attacchi da qualche animale selvaggio, poiché di notte gli animali preferivano dormire. L'unico problema che avevano era quello di rifornirsi spesso di legna. Tentarono all' inizio di evitare questo inconveniente posizionando le torce in punti strategici, ma poi si resero conto che era più comodo utilizzare la cera, che ricavavano facilmente da alcune piante o dolorosamente dalle amiche api. Gli uomini della notte non svilupparono ulteriormente la loro società. Non crearono grattacieli, né imperi, né centri commerciali, autostrade o ferrovie. Rimasero così, senza mai avere qualcosa di propriamente loro se non la società in cui vivevano, la terra che tutti coltivavano ed il fuoco di cui tutti usufruivano. L UNIVERSO di Cristiano Smeraldo Un giorno l universo si trovò a dover prendere una decisione molto importante: una delle sue galassie infatti l aveva informato che uno dei propri pianeti era a rischio, minacciato proprio dalla specie che l abitava. Inizialmente l universo decise di sterminare immediatamente quella specie, ma un attimo prima di farlo si fermò ad osservarla: quegli

11 esseri erano violenti, uccidevano anche quando non avevano fame, e come gli aveva riferito la galassia, stavano distruggendo il loro pianeta. Tuttavia l universo cominciò a riflettere, chiedendosi se fosse giusto ciò che stava per compiere... è vero, quella specie non aveva fatto nulla per essere degna di continuare a vivere, anzi; ma si domandò comunque se fosse giusto distruggerla, se spettasse a lui di prendere una tale decisione. Concluse che quegli esseri, per quanto insignificanti e violenti, avessero comunque una coscienza, provassero dei sentimenti; decise perciò che, sebbene capissero così poco, quella specie aveva comunque il diritto di scegliere il proprio destino. Quegli esseri, conosciuti come uomini, alla fine compresero quanto fosse grave ciò che stavano facendo, e cominciarono a preservare il loro pianeta, nella speranza che non fosse troppo tardi. LA FORESTA DELL'IGNORANZA E IL MARE DELLA CONOSCENZA di Adriano Leonardo Scapicchi C'era una volta un cervo che viveva in una foresta, dove gli alberi, così grandi e vicini gli uni agli altri, permettevano solo a pochi raggi di Sole di rischiarare il sottobosco. Non c'erano sentieri, se non qualche piccolo spazio vuoto che i rampicanti non avevano ancora inghiottito. Il cervo correva per gioco tra i rovi spinosi, lacerandosi il bel mantello, e si lanciava nelle acque basse degli acquitrini dagli altissimi rami di quelle chiome mostruose che gettavano la selva nel sonno più profondo. Una volta, seguendo quelle pallide chiazze di luce sparse sul terreno coperto di arbusti giunse dove finiva la foresta, e un enorme oceano si estendeva a perdita d'occhio, illuminato dai chiarissimi raggi del Sole. In un primo momento gli occhi della creatura non riuscirono a sostenere la Luce, da troppo tempo avvezzi alle tenebre, ma poi riuscirono ad ammirarla. Si accorse in poco tempo che il bosco non era stato altro che una prigione. Corse per ore lungo l'arenile e poi molto cautamente si addentrò nell'acqua chiara, dove le sue ferite subito si rimarginarono; il cervo così decise di bere l'acqua miracolosa. Quel sapore salato, sconosciuto al cervo, aumentò la sua sete e lo costrinse a continuare a bere, finché la nausea non lo portò a rigettare più volte in acqua ciò che prima aveva ingerito. La follia in cui era degenerato, lo portò a continuare, sicuro che la sua arsura si sarebbe placata, se avesse finito di bere l'infinito mare. Arrivò la sera, e anche la sua fine. Il giorno seguente non c'erano più né alberi né acqua, ma un Sole freddo. Coordinatrice del progetto: Tamara Nale

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