PAOLA BEATRICE ROSSINI. Occhi gialli-neri ROMANZO FANTASY

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2 PAOLA BEATRICE ROSSINI Occhi gialli-neri ROMANZO FANTASY

3 Copyright 2011 CIESSE Edizioni Design di copertina 2011 CIESSE Edizioni Occhi gialli-neri di Paola Beatrice Rossini Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E Maserà di Padova (PD) Telefono / Fax redazione@ciessedizioni.it P.E.C. infocert@pec.ciessedizioni.it ISBN Collana GOLD Versione ebook NOTE DELL EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi , siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario. Quest opera è stata pubblicata dalla CIESSE Edizioni senza richiedere alcun contributo economico all Autore.

4 A Daniele, Mattia, Bianca Olga e Gianluca

5 BIOGRAFIA DELL AUTRICE Paola Beatrice Rossini è nata a Firenze il 27/07/1971. E' sposata e ha tre figli. Laureata in Pedagogia è insegnante di scuola primaria e lavora con bambini che hanno difficoltà di apprendimento. Appassionata della lettura; le piace essere creativa nel lavoro e nella scrittura (che spesso mescola insieme) filastrocche, poesie, racconti e adesso un romanzo. Due sue poesie sono state pubblicate: una nell'antologia "Habere Artem" vol. XIII Aletti Editore, l'altra nell'antologia "La Notte" di Poesiaèrivoluzione. Ha partecipato con entusiasmo al libro "Nano-scrittori ai tempi di Facebook Un romanzo di dieci parole" di Franco Coda e "Scrivi una pola in dieci parole" Nanowriters meet polaroiders.

6 RINGRAZIAMENTI Questo fantasy è nato dalla poesia iniziale pubblicata sul sito "Poesieracconti.it". Ringrazio dunque il sito che è stato il primo stimolo a scrivere, gli "amici" che mi hanno sempre commentato positivamente: prima la poesia poi alcuni racconti che si sono succeduti fino a diventare la storia che conoscete. Grazie a Simone, Nunzio, Michele, Giacomo, Nino, Laura, Guido (i più assidui) e in particolare Denny, sempre entusiasta, aiutandomi anche con dei suggerimenti. Ringrazio Irina, la mia editor, che ha portato avanti la causa presso la casa editrice e soprattutto la Ciesse Edizioni e il suo Direttore, per avermi fatto avverare un sogno.

7 ForgottenTales Books

8 0. Vagava nel cielo un angelo nero il suo lungo mantello un oscuro fardello; per sbaglio o per caso si scontrò contro un vaso in un balcone di pietra scivolò come seta. Non aveva più sonno si alzò a quel tonfo incurante della veste aprì, con eleganza celeste. Uno scontro di sguardi due opposti codardi, che un bizzarro destino stabilì col suo zampino. Il sapore goloso dell opposto proibito li attraeva entrambi e divennero amanti. Ma il sogno finisce l opposto proibisce l oscurità lo reclama anche adesso, che ama

9 PROLOGO Londra, nella notte fra il 19 e 20 giugno Camminava nel buio della notte. Cercava di fare piano, ma i tacchi rimbombavano nel silenzio della strada. Voleva essere piccola piccola, invisibile a tutti. Era fuggita dal locale presa da un forte impulso, lasciando le sue amiche sbigottite al tavolo. Quello che aveva visto l'aveva sconvolta. Doveva essere una serata divertente con vecchie amiche, a bere, a ricordarsi vecchi aneddoti, farsi parecchie risate e invece... Tra il fumo delle sigarette sparso in tutto il locale e forse qualche bicchiere di troppo, andando al bagno, con la coda dell occhio, aveva intravisto il suo compagno, Colin, flirtare con trasporto insieme a un'altra. Senza farsi troppo notare, si era avvicinata alla sala accanto per guardare meglio. Non c'era dubbio, era lui. Meno male che doveva essere a casa di amici a vedere i mondiali, pensò fra sé irritata. Adesso lui era fianco a fianco alla ragazza e le cingeva la vita. Ecco, ci mancava il bacio. Rimase dentro al bagno un buon quarto d ora. Non sapeva come comportarsi: fare una bella sceneggiata davanti a tutti o far finta di niente e proseguire la serata lieta e spensierata? Nessuna delle due scelte era nelle sue corde. Non riusciva a essere fredda e calcolatrice, ma neanche travolta dal sentimento ignorando il contesto attorno. Tornò al tavolo e, con la scusa di una chiamata urgente, uscì di corsa. La rabbia la travolgeva. Camminava veloce e si allontanava senza una meta precisa in testa. Accecata dall'ira, non si rendeva conto del suo vagare. Andava. Andava con smania di arrivare chissà dove, la rabbia le metteva le ali ai piedi fino a quando si ritrovò vicino a un parco. Era disorientata, non riconosceva le strade e il giardino che costeggiava. La consapevolezza le piombò addosso ed ebbe paura. Perché era arrivata proprio lì? Sapeva benissimo quello che succedeva la notte negli angoli più scuri della città. Rallentò in modo da non battere i tacchi sul marciapiede: doveva fare il minor rumore possibile. Pensò a come era vestita: non era proprio un abbigliamento da lucciola, aveva una minigonna, ma l'impermeabile scuro le copriva le gambe fino al ginocchio; se lo abbottonò per coprirsi la maglia scollata e lo strinse alla vita. Il colore dell impermeabile l avrebbe aiutata a mimetizzarsi con la notte, si disse per farsi coraggio. All improvviso si sentì osservata, girò la testa di scatto verso il parco ma, oltre

10 alle foglie degli alti cespugli e al buio, non vide altro. Era stata una sensazione che le lasciò sotto la pelle un forte brivido di adrenalina. Con sollievo scorse il cartello della metropolitana, era in fondo al marciapiede vicino all entrata; ancora cento metri e sarebbe uscita da quella situazione. Un fruscio delicato la impietrì. Rigirò la testa atterrita, il parco era sempre più buio con lunghe ombre sinistre mosse dalla leggera brezza. Aumentò il passo, più veloce, sempre più veloce. Voltò l'angolo certa di avercela fatta e si trovò di fronte a due ubriachi. «Ehi, tu, fermati con noi, ti offriamo una birra!», disse il più grosso porgendole la bottiglia. «No, devo andare». Accelerò il passo. Si sentì prendere per un polso. «Aspetta, che fretta hai? Potremo divertirci un po' noi due». Dafne rimase interdetta dal forte odore di alcool emanato dall uomo e, schifata, si portò una mano al viso per proteggersi il naso. «Vuoi divertirti solo tu?». L'altro le prese le braccia tenendole ben salde dietro. «Aspetta, andiamo dentro al parco. Portala dai». Ecco, era finita: perché non era rimasta nel locale, scioccata, ma almeno salva? Adesso... I pensieri divennero frenetici. Cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva, si dibatteva: braccia, gambe, cercava di scuotersi per riuscire a sfuggire alla loro presa, ma era tutto inutile. I due la tenevano e la trascinavano saldamente pregustandosi la scena. La gettarono a terra sotto una grossa quercia e le si avventarono addosso. Cercò di graffiare i loro visi, riuscì a mordere un polso, avrebbe potuto farcela se fosse stato uno solo ma, come si liberava, l altro la riacchiappava. Si sentiva in trappola e quella certezza le uscì dallo stomaco con una violenza viscerale. Lanciò un acuto NO che echeggiò di albero in albero, di ramo in ramo infilandosi tra le foglie, circondando i tronchi fino a penetrare la terra attraverso le loro radici. Stremata dall urlo divenne inerte, un topolino spacciato in bocca a un serpente, apatica a tutto, non si rese conto di quello che accadeva. Improvvisamente le avevano lasciato i polsi e le caviglie libere. Aprì gli occhi stordita, non capiva il repentino cambiamento e un barlume di speranza le accese il viso. Vide i suoi assalitori battersi con qualcosa di grosso, molto grosso e scuro, senza avere la meglio. La poca luce della strada che filtrava nel parco non permetteva una buona visibilità, distingueva appena i movimenti veloci e precisi. Tutto accadde rapidamente: quella cosa, con una forza straordinaria, li aveva abbattuti. Ora stava in piedi in mezzo ai due corpi stesi. Ansimava e guardava nella sua direzione. Lei incontrò il suo sguardo, distingueva nella cupa notte solo gli occhi gialli con fessure nere. Rabbrividì. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma lo stupore intorpidiva la sua bocca. Percepiva in lui violenza e ira, era consapevole però, che non l avrebbe toccata. Con un balzo, l agile figura saltò fra i rami degli alberi e sparì. Tremando si alzò e, con le gambe non del tutto stabili, si avvicinò ai corpi dei due uomini. Il sangue ancora caldo era sparso ovunque. Sembrava che dei coltelli li avessero squartati. Non toccò niente e, prima che quella bestia potesse cambiare idea, scappò. Non era facile correre con i tacchi che si infilavano nel terreno umido. Riuscì ad arrivare in strada, l entrata della metropolitana era lì a due passi e

11 con sollievo si precipitò in quella direzione. Scese le scale e fece appena in tempo a prenderla. Sconvolta, si aggrappò al primo palo libero che trovò. Ansimava ancora: la paura, la corsa, la visione dei due corpi smembrati le facevano girare la testa. Vide un seggiolino vuoto e si sedette; lentamente i suoi battiti cominciarono ad acquietarsi. Pensava di continuo alla scena, la rivedeva veloce e immediata; una serie di fotogrammi mescolati a sensazioni forti, drammatiche, surreali e più ci pensava e più dallo stomaco saliva la nausea. Doveva ringraziare quella cosa o era solo un caso che non avesse dilaniato anche lei? Che cos era? Rivedeva gli occhi gialli neri carichi di collera che la osservavano e una strana inquietudine le sfiorò il collo, ghiacciandola.

12 1. «Si riparte. Altre missioni da compiere, altri comandi da svolgere Ogni secolo è così, sarà così, all infinito e ancora e ancora». Da dove cominciare? Si domandava scrutando il nuovo luogo, il nuovo tempo. Tutte le volte che iniziava una missione cambiavano le ambientazioni e il tempo storico, l unica variante nelle cose che era costretto a fare, perennemente. L anno 2010, giugno per la precisione e il parco di quella città, Londra, gli parvero il momento più adatto. Da cosa cominciare? Di solito lasciava che fosse il caso, o Dio, a decidere per lui. Il pensiero lo divertì, in un certo senso lavorava anche per Lui? Era elettrizzato. Si stava avvicinando una vittima. Un brivido di piacere si diramò in tutto il corpo; amava assaporare ogni attimo, di questo non si era ancora annoiato. Si avvicinò piano per osservare la nuova vittima. Carina. Non di impatto. L osservò. Lei si girò di scatto, guardava nella sua direzione, ma non vide niente. Lui vide e non gli dispiacque ciò che vide. La paura nei suoi occhi la rendeva più attraente. Si era sentita osservata? Strano, nessuno si accorgeva di lui. Adesso la ragazza cominciò a rallentare il passo. I suoi tacchi non risuonavano più sulla strada. Si allacciò l impermeabile nero. Sì, lei si era accorta di qualcosa. Scaltra, ma non abbastanza. Ecco, pensò, uno stupro aumenterebbe la tensione. La giovane girò l angolo e, neanche a farlo apposta, si trovò di fronte a due miserabili ubriachi. Cominciamo! Infuse in loro una pulsione libidica, parecchio forte per contrastare l effetto dell alcol. Rise fra sé pensando: ce la faranno a violentarla? La scena si stava avviando bene; la paura nella ragazza crebbe, lui assaporò quelle intense emozioni. Di questo si cibava come ricompensa del lavoro svolto. Ancora di più, il terrore di lei avanzava mentre la trascinavano nel parco. La gettarono a terra. Gustava quel momento centuplicato rispetto al piacere che poteva procurare a due stupratori Qualcosa, però, cambiò in lui. Un forte urlo di panico penetrò lungo le sue viscere toccando emozioni consapevolmente occultate e facendone uscire una rabbia furiosa che lo percorse lungo il corpo; una tremenda ira. Prese le sembianze di un enorme lupo nero e si scaraventò su di loro. Non ci volle molto, li squartò impossessato da una furia cieca. Fermo in piedi la guardava, sperando fosse incolume. Anche lei lo cercava con lo sguardo, sentiva le sue emozioni. Non c era terrore, gratitudine, una sensazione diversa che non aveva mai assaporato, ma che gli piaceva. Ansimava. Cosa aveva fatto? Con un balzo veloce si allontanò dalla sua visuale. Era

13 vicino e la osservava nascosto tra i rami degli alberi. Lei, atterrita, passò vicino ai due corpi, li guardò inorridita e scappò. Cosa aveva fatto? Si domandò nuovamente. Mai era uscito dalle regole della propria realtà; dopotutto aveva ucciso, anche se l obiettivo era un altro. Era turbato, un altra sensazione nuova. Non doveva scappargli. Era una predestinata, doveva finire il compito. La seguì. Entrò anche lui in metropolitana e con l aspetto di un anziano si mise a sedere dietro di lei. L osservò. Lentamente vide i suoi respiri placarsi; sentì le sue riflessioni. Era vicina, pericolosamente vicina alla soluzione, ma come tutti non ci credeva con convinzione. Soffiò leggermente nella sua direzione. Vide il brivido insinuarsi sulla pelle. Ecco, stava tornando in sé. Adesso sapeva cosa fare, adesso avrebbe compiuto Dafne si era appena fatta la doccia. Strizzò con l asciugamano i lunghi capelli castani a testa in giù, poi alzò il capo di scatto e si guardò allo specchio. Che cosa era successo? Guardava il riflesso del suo viso, ma non si vedeva, attraverso i suoi occhi castani riviveva le scene nel parco, la violenza non ricevuta, la cosa dagli occhi gialli. Voleva salvarla o era passata di lì per caso? Indossò una sottoveste bianca e si mise a letto prendendo un libro dal comodino. Provò a leggere. Inutile. La testa divagava, non riusciva a concentrarsi. Posò il libro sul cassetto e si diresse verso la porta che dava sul balcone di pietra. Viveva in affitto in un piccolo appartamento nel cuore di Londra; una volta era un bellissimo edificio d epoca vittoriana, adesso era stato suddiviso in tanti mini appartamenti lasciati andare all incuria, con qualche balcone qua e là che simboleggiava l antica ricchezza del palazzo. Uscì. L aria era leggermente frizzante, ma volle affacciarsi lo stesso. Guardare la città di notte l affascinava. Di fronte a lei, c era un alto palazzo in stile gotico con piccoli gargoyles agli angoli, mentre sul lato sinistro alcune palazzine più basse le permettevano di allungare lo sguardo sopra i loro tetti. In lontananza si vedeva il Big Ben e alla sua destra si intravedevano gli alberi di un altro parco. Un forte brivido le diede una scossa. Era meglio rientrare. Chiuse le imposte e, mentre riattraversava la stanza, una gelida brezza l attraversò, ghiacciandole la schiena. Eppure era sicura di aver chiuso. Si girò e lo vide. Imponente, vestito di nero, un bellissimo volto circondato da folti riccioli scuri e gli occhi: neri con piccole pagliuzze gialle. Si osservarono a vicenda. Si riconobbero. Una presa di coscienza non razionale, ma profonda. Lei, la predestinata, piccola e delicata, i capelli lunghi e castani, gli occhi grandi e puliti, coperta solo da una leggera sottoveste, lo guardava senza timore, ma affascinata. Lui, che avrebbe potuto distruggerla anche solo con lo sguardo, ammirava il suo coraggio e qualcosa di più: il suo candore. Era lì per compiere la sua missione. Moltissime altre volte l aveva fatto, non si sarebbe fatto distrarre. Dafne si sentì afferrare per i fianchi e alzare come se fosse una piuma. Schiacciata addosso alla parete, sentì le sue mani esplorare il suo corpo. Lui assaggiò la sua pelle: era morbida, profumata, invitante. Lei, catapultata in quella situazione,

14 non ebbe il tempo di reagire. Sentì la bocca strusciare sulla sua pelle dandole un piacere ipnotico. La testa cominciò a vorticare lungo un fiume di sensazioni nuove, mai provate. Fu trasportata lontano, dove non c erano pensieri e problemi; dove i sensi avevano la meglio e dominavano il corpo. Le strappò la sottoveste e l adagiò sul letto. Lussuria. Quale piacere migliore, il suo peccato preferito! Avrebbe goduto di lei, di ogni minima parte del suo corpo; lei lo lasciava fare trascinata da un inesorabile stato di ebbrezza. Poco alla volta, sprofondarono in un turbinio d infinito piacere, sensazioni nuove e forti, sempre di più, fino a quando travolti dalla passione dimenticarono il mondo intorno a loro e chi erano. C erano solo loro due e una forte attrazione che li univa. Stremati, crollarono ansimanti, una nelle braccia dell altro.

15 2. Qualche mese prima. Golfo del Messico 11 aprile 2010 Piattaforma Over water Arizona. Quella mattina, a controllare la piattaforma, erano venuti in cinque, i soliti visi più uno nuovo. Elmet Browen era uno dei responsabili insieme a Vincent Collins e adesso dovevano illuminare i nuovi responsabili prima di staccare. Quindici giorni soli sulla piattaforma e tutto era stato regolare, ora avevano voglia di riprendere la vita tranquilla di tutti i giorni, non sarebbero tornati prima di un mese. Tre dei nuovi arrivati dovevano rilevare eventuali anomalie, due di questi avrebbero occupato il loro posto. Ognuno aveva il suo settore da verificare, poi avrebbero fatto una relazione da mandare alla Oceans Petrolium, la società che gestiva la manutenzione della maggior parte delle piattaforme nell oceano Atlantico. Elmet, uomo di mare, annusò qualcosa di strano nell aria. Era ormai vicino alla pensione e conosceva quasi tutti, ma quel ragazzo sulla trentina con i riccioli neri non gli sembrava un volto familiare. «Sei nuovo della compagnia?» «Sì, è appena un mese che sono stato assunto dalla Oceans Petrolium. Fuscus Implagor», e gli dette la mano. «Elmet Browen. Sei di origine europea?». «Romane, molto alla lontana,» gli sorrise sardonicamente. «Sì, ora che ci penso, è un nome latino». Il ragazzo lo confermò con un cenno della testa. «Ho bisogno di controllare se ci sono infiltrazioni di gas, mi può indicare dove è l apposito settore?». «Certo, per di qua». Gli altri si erano già sistemati ognuno al proprio posto di controllo. Scesero lungo una scaletta all interno di una botola della piattaforma e si ritrovarono in un ampia stanza piena di monitor e computer. Elmet gli mostrò il settore che gli interessava, dalla parte opposta un altro verificava il flusso di petrolio e la composizione. «Tutto a posto, può andare adesso». Lo sguardo volutamente serio e il tono autorevole fecero pensare a Elmet che probabilmente lo aveva giudicato male. Sembrava molto sicuro di sé e non un ragazzino alle prime armi. Capì il messaggio e andò a liberare la stanza dalle poche cose che si era portato. Fuscus Implagor utilizzava questa identità solo nelle situazioni ufficiali dove serviva un nome e un cognome, i suoi amici lo conoscevano semplicemente come

16 Laghor, più americanizzato e moderno rispetto all originale. Laghor azionò gli schermi del computer, si fece fare una cartina dettagliata di come era costituita la pompa, non era l ultimo modello, ma un blowout preventer con un buon sistema di protezione. Se una parte diveniva difettosa, se ne poteva aggiungere un altra facilmente e in poco tempo. Laghor prese dalla tasca dei pantaloni una chiavetta, la inserì nel computer e scaricò un programma particolare e sofisticato; una specie di bomba a orologeria. Un lampo giallo attraversò i suoi occhi: tutto procedeva regolarmente. Nessuno avrebbe potuto accorgersi del virus e una volta utilizzato si sarebbe eliminato da solo. Dopo qualche ora la barca riprese il largo lasciando sulla piattaforma due nuovi responsabili e riportando gli altri a terra. Golfo del Messico, Hotel California, 12 Aprile 2010 ore 5 p.m. Laghor era appena rientrato in albergo dopo essersi fatto un giro di surf nell oceano; le onde non erano le meravigliose montagne d acqua della California ma, in mancanza d altro, si accontentò. Si era fatto una doccia, si accese una sigaretta e: al lavoro, si disse. Aprì il portatile e inserì la chiavetta. Sullo schermo gli apparve la pompa dell Overwater Horizon con tutti i funzionamenti allo stato attuale. Ne verificò la lunghezza della pompa e la profondità necessaria. «Questa dovrebbe bastare». Cliccò sul punto preciso e, senza pensarci più di tanto, premette invio. Golfo del Messico 12 aprile ,01 p.m. Nella sala controllo della piattaforma Overwater Arizona c era Richard Green, mentre il collega era a farsi un pisolino nelle camere. Leggeva, immerso nel racconto de Il codice da Vinci, tutti i suoi amici lo avevano già letto e lui, come suo solito, aspettava che la foga finisse per assaporarselo a modo suo. Gli piaceva andare contro corrente, mai eguagliarsi troppo agli altri. Preso dalla trama, non si accorse che una delle luci di controllo aveva cominciato a lampeggiare, poi, fu colto da un forte tremolio. Il terremoto. Subito la mente trovò quella scusante, ma quando vide la luce rossa che si alternava, capì che qualcosa di terribile era successo alla pompa. Accese la sirena per allertare velocemente il collega; azionò il sistema di sicurezza che gli mostrò immediatamente la falla in fondo alla pompa. «Richard, cosa succede?». John saltò direttamente gli ultimi scalini della botola per trovarsi subito nella sala comandi. «John, siamo rovinati, cazzo!». Batté il pugno sul piano di controllo. John guardò lo schermo e il peggiore dei suoi timori prese vita. «Calma. Allora: o raccomodiamo la falla o sostituiamo il meccanismo difettoso. Non c è problema. Prima, però, dobbiamo sentire i capi in Arizona». «Signor Tyler, secondo me ci metteremo più tempo a raccomodare la falla, ma è la soluzione più sicura». John esponeva la sua idea con piena convinzione. «No. Assolutamente no. Mi stanno dicendo che la fuoriuscita di petrolio è fluente, noi abbiamo dato delle garanzie sulla sicurezza della pompa; spegnete

17 immediatamente il sistema difettoso e azionatene uno nuovo, è più veloce e non inquina, soprattutto». «È vero, è più veloce, ma se si rompe anche quello non abbiamo altro con cui sostituirlo, invece in due giorni la pompa si può recuperare». «Ho detto di no. Procedi come ti ho ordinato». Clic.

18 3. Londra mattina del 20 giugno. Come al solito era sempre di fretta, le piaceva dormire fino all ultimo minuto e si ritagliava solo un oretta per prepararsi: in bagno a lavarsi, indossare velocemente un paio di jeans e una delle sue magliette attillate; aprì il cassetto e scelse quella rosa scollata, la colazione e una pettinata svelta. E pensare che molte delle sue amiche si alzavano due ore prima solo per truccarsi Finita la routine del mattino corse in metropolitana. Finalmente seduta accanto al finestrino le vennero in mente le immagini della sera prima. Aveva sognato? Razionalmente quello che credeva di aver vissuto era impossibile, però se faceva parlare il suo corpo, le emozioni riprendevano vita e la sensazione diventava più reale. Non era un fantasma, l aveva toccato. Cosa aveva vissuto? Era passione? No, però qualcosa di simile; un forte trasporto come quello Non sapeva a cos altro paragonarlo. Nei suoi venticinque anni, aveva avuto solo storie serie, o almeno così erano partite; non era mai riuscita a lasciarsi andare per una sera, una notte e via, era troppo viscerale. Ciò che era successo le aveva fatto dimenticare Colin, il suo ragazzo. Tutto a un tratto si rese conto che la ferita appena inferta da lui, non le faceva più male; nell anno in cui erano stati insieme non c era mai stato un incontro travolgente come quello. Ripensandoci, neanche nelle poche relazioni precedenti. Quella cosa era apparsa e aveva rivoluzionato il suo concetto di passione. Ma poteva chiamarsi passione? Era talmente nuova e forte che l aveva lasciata Non lo sapeva neanche lei, disarmata? Attonita? Presa dai suoi pensieri non si era accorta di essere arrivata alla fermata. Scese e si avviò verso l uscita. Era in Old Castle Street, lavorava alla Women s library, una biblioteca gestita da sole donne; aveva un contratto a tempo determinato di sei mesi e stava per concludere il primo. La sua laurea in storia e letteratura antica non le aveva lasciato altra possibilità, almeno per ora. Lavorava nell archivio all ultimo piano. Le arrivavano le ordinazioni e doveva trovare i libri e posizionarli su un nastro che, scorrendo, li portava nella sala centrale. Verso mezzogiorno le richieste rallentarono fino a interrompersi e lei poté finalmente mettersi a sedere e riprendere un po di fiato. I pensieri ricominciarono a vagare. Chi era? Cosa era? Era certa che nel parco non avesse sembianze umane. Il parco, sembravano passati giorni. Che stupida! Perché non aveva comprato il giornale? Dopo, durante la pausa pranzo, l avrebbe fatto, si ripromise. Le venne un idea. Si guardò intorno, non c era nessuno; si mise davanti al computer e aprì Wikipedia. Cosa doveva cercare? Fantasmi? Vampiri? Diavoli? Provò a digitare demoni: Il Dèmone (dal greco antico δαίμων, dáimōn) è, nella cultura

19 religiosa e nella filosofia greca, un essere che si pone a metà strada fra ciò che è Divino e ciò che è umano, con la funzione di intermediario tra queste due dimensioni. Poteva anche essere pensò, ultimamente non era una buona anglicana, frequentava poco le chiese; ma il demone cattolico, il diavolo, aveva un aspetto peggiore e lei lo ricordava molto bello. Una cosa bella poteva essere maligna? Lesse fino a quando fu catturata da un altra informazione: Con Senocrate viene analizzata la figura del Dèmone ripresa dall opera di Platone. I Dèmoni, per Senocrate, sono sempre essere intermediari tra gli uomini e gli Dèi, sono più potenti degli uomini, ma meno degli Dèi. A differenza di questi ultimi che sono sempre buoni, tra i Dèmoni ve ne sono di cattivi. Quando gli antichi miti narrano di Dèi in lotta fra loro, coinvolti in passioni umane, questi, per Senocrate, parlano di Dèmoni non di Dèi. I Dèmoni hanno un posto di rilievo sia negli atti cultuali sia negli oracoli. I Dèmoni infine corrispondono ad anime umane liberate dai corpi dopo la morte, permanendo in loro il conflitto tra bene e male, essi lo trasferiscono dalla Terra al mondo celeste. Poteva essere un demone? Come aveva raggiunto il suo balcone? Era un quinto piano e nel parco le sembianze non erano umane. Cosa voleva da lei un demone? Un sorrisetto malizioso apparve sulle sue labbra, qualcosa aveva capito. Non c era niente da ridere, si rammaricò, se veramente fosse stato un demone, la cosa si metteva male. Il respiro le si bloccò.

20 4. Fuori dal tempo. Che cosa gli succedeva? Era partito con un intento e poi la violenza iniziata era cambiata, si era trasformata, andando avanti, in un piacere reciproco, aveva assaporato ogni momento e ne era conquistato. Da quanto non provava quelle sensazioni? Secoli? Nella vita precedente? Neanche si ricordava di aver vissuto come uomo. Perché provare adesso quelle emozioni? Era lui che giocava con gli uomini, eppure aveva la sensazione che qualcuno giocasse con lui. Avere dei pensieri in testa non era sua consuetudine. Scappò e si rifugiò nel suo secolo preferito: l età oscura, dove tutto era permesso e lecito. Doveva fare qualcosa per scaricare la tensione, qualcosa che non lo avrebbe fatto pensare più. Courtrai, Belgio 11 luglio 1302 Le milizie fiamminghe aspettavano, sulla piana di Groniga, l arrivo dell esercito di Filippo il Bello. Le milizie avanzavano lentamente, un alone di bellezza e ricchezza scintillava nelle superbe armature dei cavalieri, sicuri di sé, della loro potenza. I fiamminghi, molti di loro rozzi contadini e allevatori, erano armati di picche e goedendag, ma la voglia di liberare la loro terra dagli stranieri li rendeva impavidi e vittoriosi. Quella era una delle battaglie più cruente della storia, segnava la fine dei cavalieri e delle loro armature; quella battaglia avrebbe cambiato l assetto da combattimento. Lui era lì, in mezzo ai fiamminghi, respirava l aria tesa prima dell attacco. Una volta anche lui combatteva con la spada. Niente a che vedere con le armi moderne, distanti, troppo rapide; confrontarsi con un degno avversario, erompeva energia, il sudore era pregno della paura, l attenzione era al massimo. Seicento cavalieri erano distribuiti lungo le rive del fiume, i due eserciti si trovarono contrapposti uno di fronte all altro sulle sponde del canale. I cavalieri francesi avanzarono, superarono senza difficoltà il fiume e caricarono la fanteria nemica; le milizie fiamminghe, decise a resistere, ressero l urto della carica e, nella mischia che seguì, spinsero i francesi fino alla soglia del canale. A questo punto i cavalli non poterono indietreggiare ulteriormente e si trovarono alla mercé dei fanti fiamminghi che colsero l occasione e trasformarono la sconfitta in un massacro. Sotto i colpi delle picche fiamminghe caddero i seicento cavalieri ai quali furono trafugati speroni d oro e altri trofei di guerra. La battaglia si era conclusa, aveva ucciso migliaia di uomini, squarciato

21 membra con una brutalità assurda. Adesso, appoggiato alla sua immensa spada, ansimava soddisfatto, si riconosceva nell operato, guardava i corpi stesi a terra appagato. Era di nuovo lui. Senza nessun altro dubbio. Scomparve.

22 5. Londra, 20 giugno 2010, pomeriggio. Il cellulare squillava. Aveva squillato tutta la mattina e non voleva rispondere. Colin poteva fare a meno di sentirla. Che telefoni all altra, pensò, cosa vuole da me? Si fermò davanti a un edicola e comprò il Times. C era da aspettarselo: in prima pagina l omicidio della sera precedente. Lupo mannaro sbrana due balordi, il titolo era molto ironico però, pensò, non erano lontani dalla verità. Si fermò su una panchina di un giardino e si immerse nella lettura. Misterioso plurimo omicidio a Kensington Garden. C era la foto di due cadaveri coperti da un telo chiaro. Sono stati rinvenuti questa mattina i cadaveri di due uomini completamente dilaniati; l arma del delitto rimane ignota. La polizia ipotizzerebbe, se fosse possibile, gli artigli di un enorme lupo o, più probabilmente, un coltello con lama ricurva all interno. I due cadaveri giacevano poco distanti dalla strada. Al momento, sembra non ci siano testimoni, poi continuava con informazioni inutili. Un enorme lupo. Possibile, pensò, se andassi a raccontare quello che è accaduto? E se dicessi delle ricerche che ho fatto in internet? Scartò l idea, l avrebbero presa per una pazza visionaria. Il telefono squillò di nuovo, questa volta era Sandra. «Ciao Sandra, come va?». «Io bene. Tu, piuttosto, che sei scappata via in quel modo! Cosa ti è successo? Avevi un viso bianco. Mi ha telefonato Colin, dice che non rispondi». «Gli hai detto dov eravamo ieri sera?». «Sì, strano, poi si è ammutolito». Strano? Bene, se è intelligente ha già capito tutto, rifletté Dafne. «Senti, ora non mi va. Vediamoci, poi ti racconterò». «Ok, ma affrettati, la cosa si fa interessante». E ancora non sai quanto, pensò fra sé. «Ti mando un messaggio». Era il caso di raccontarle tutto? E lei era in pericolo o no? Con chi poteva confidarsi? Se era quello che pensava Quanti giorni di vita aveva a disposizione? Però, se avesse voluto ucciderla avrebbe potuto farlo nel parco o in camera sua. Doveva andare da un prete? E cosa dirgli? Sa padre, ho fatto l amore con un demone. Avrebbe riso come per una barzelletta o l avrebbe presa per pazza; oppure l avrebbe cacciata per essersi sentito preso in giro. Il telefono squillò di nuovo, ancora lui. Chiuse la chiamata e gli mandò un

23 messaggio. Ti ho visto ieri sera con l altra. Non chiamarmi più. Avrebbe fatto una passeggiata a Kensington Garden. Slovenia, terme di Postunja, ai giorni d oggi. La battaglia gli aveva riacceso il sangue, calmato le nuove emozioni; adesso aveva bisogno di rimettersi in forma. I dolori articolari si erano impossessati dei suoi muscoli, una volta combatteva quotidianamente, non aveva bisogno di nulla, adesso invece il dolore fisico pulsava: o rimaneva una vaga entità per qualche tempo o incarnandosi doveva subire i dolori dello sforzo continuato. Sdraiato sul lettino, si lasciava massaggiare dalle delicate mani di una morbida bionda. I pensieri vagavano: incroci di spade, urla, cavalli imbizzarriti dall odore del sangue, lei. Quanti ne aveva fatti fuori? A centinaia, l euforia della vittoria, lei che lo guardava impaurita. Gli occhi si accesero leggermente di giallo. Ovunque portasse la mente, questa traditrice lo riportava a lei. «Laghor, anche tu qui?». Interrotto dai suoi pensieri, girò la testa verso la voce che conosceva assai bene. «Qualcosa mi dice che non sei qui per caso Mefisto, è sempre un piacere rivederti». Un uomo sulla sessantina si sdraiò sul lettino accanto. «Le mie vecchie membra necessitano di un massaggio». Intanto una donna robusta cominciò a manipolargli le dita dei piedi. «È parecchio che non ci vediamo». «Di solito appari di fronte a un problema o per propormi qualche nuovo compito da eseguire. Perché sei qui oggi?». «Non potrebbe essere per pura e semplice voglia di incontrarti?». «No, di solito non funziona così». Mefisto era colui che l aveva accolto fra i demoni, quando ancora era un semplice uomo. Lo aveva aiutato a uscire da un profondo periodo di crisi e di questo gliene era grato. Il loro legame andava oltre il rispetto fra maestro e allievo. «Mi è giunta voce che tu sia stato clemente con una pulzella». «Clemente? È una parolona. L ho violentata». Le due massaggiatrici lavoravano freneticamente, la loro mente era presa da fumi caldi che uscivano dalle loro parole ipnotizzandole; immerse nel massaggio, li vedevano fermi, rilassati e non li sentivano parlare. «Era tanto che non ti facevi prendere da quelle voglie; non ti presenti neanche ai sabba, una volta eri un assiduo frequentatore». «Mi annoiano. Da secoli e secoli sempre uguali». «Uguali? Mio caro, non direi. Ogni tanto c è chi prova a mettere la pace nel mondo. Quella sì che è una noia infernale». Scoppiò in una fragorosa risata, ma vedendo che l amico non lo assecondava, ritornò serio. «Laghor non ti riconosco, cosa ti succede?». «Niente».

24 «Andiamo a Salem stanotte, stanno organizzando un sabba micidiale, c è da divertirsi». «Te l ho detto, mi annoia». «È la pulzella? Perché non l hai uccisa? Si fa troppe domande». «Cosa ne sai di lei?». «Non m interessa lei, ma tu!», incalzò irritato. «Non sei lo stesso. Spupazzatela quanto vuoi, ma uccidila al più presto! È una predestinata, lo sai». «Sei stato tu a renderla tale?». «No». «Allora una volta tanto è stato il caso a metterla lì». «Sai meglio di me che quello che gli uomini chiamano caso è il volere nostro o di quell altro, non esiste il caso!». «Che sia un angelo?». «Un angelo? Non credo proprio. Però stai attento, potrebbe essere un piano dell altro; sicuramente c è sotto qualcosa, qualcosa che ancora non sappiamo». «Forse, era lì per caso veramente». Mefisto scosse la testa sospirando. «Ti stai rimbambendo, uccidila o manderò un altro al tuo posto». Scomparve in mezzo ai vapori. La stanza ritornò chiara, la massaggiatrice robusta sistemò il lettino e se ne andò. «Il massaggio è finito, quando vuole, può alzarsi». Rimase solo. Si mise seduto nel letto. «Se non l hanno mandata loro, allora».

25 6. Londra, tardo pomeriggio. Davanti all entrata di Kensington Garden non c era gente, si aspettava di vedere il via vai della polizia o dei curiosi e invece niente. Entrò. Il luogo le faceva riaffiorare brutti ricordi. L area interessata era circondata dal nastro della polizia. Si guardò nuovamente attorno e lo scavalcò. «Ehi, tu. Non si può superare il limite». Sorpresa, Dafne si bloccò e si girò. «Chi sei? Polizia, mi mostri i documenti». Un uomo sui trentacinque anni, alto e longilineo, la scrutava severo. «No, ma io non volevo far niente». «Documenti, prego». Irremovibile allungò la mano. «Ecco, a lei». Lo guardò timorosa. «Hm, Dafne Clearful; cosa ci fa qua?». «Be, ieri sera ero passata di qua e, quando ho letto quello che è successo Io, be, penso di esser stata fortunata». «È passata di qua, ieri. A che ora?». La infastidiva da morire essere osservata in quel modo. In che guaio si era cacciata? Dunque, era più o meno mezzanotte ma disse: «Le dieci, sì!». Il poliziotto la guardava divertito, aveva capito l imbarazzo che lei provava al suo cospetto e valutava come sfruttare la situazione. La possibilità che gli mentisse gli balenava in testa, era una semplice curiosa o ne sapeva di più? «Senti, preferisci raccontarmi tutto in commissariato?». Dafne gli lanciò un occhiata incerta, era serio o no? Capì la diffidenza della ragazza e, ammorbidito, la invitò a prendere un caffè. Lei era molto dubbiosa, voleva lasciarselo alle spalle il prima possibile, ma si rese conto che doveva assecondarlo in qualche modo, se no, non l avrebbe lasciata andare. Seduto a un tavolino con la tazzina in mano, il tenente attenuò il tono della voce. Dafne invece si oscurò, non avrebbe parlato, si ripromise. L osservò cupa: capelli corti biondi, occhi azzurri, naso affilato, bocca stretta; lo trovò antipatico anche di aspetto. Almeno non aveva la divisa e questo la faceva sentire un po più tranquilla. «Sono il tenente Edward Grant, mi occupo di questo caso. Ti sarei grato se mi raccontassi ogni particolare che ti viene in mente, vedi a volte anche le cose più insignificanti, se messe nella giusta collocazione... Sai, tipo i puzzle: all inizio non ci

26 capisci niente poi piano piano tutto acquista un senso». Fece una pausa per darle spazio. «Le ho già detto, sono solo passata di lì. Non ero dentro il parco, ma nella strada che lo costeggia». «Da sola?». «Sì». Il tenente Grant amava la sua professione, l aveva scelta fin da bambino, si era sempre sentito un eroe, forse era stato influenzato dalla troppa televisione e da quei telefilm americani: Chips, Magnum P.I., E-Team e quelli un po più recenti come: X files, C.S.I., dove i casi erano sempre risolti. Magari ci voleva un bel po per arrivare alla conclusione, una raccolta meticolosa di indizi, ma anche lui ce l avrebbe fatta. Capì che dalla ragazza non avrebbe colto altri particolari, almeno non adesso, avrebbe fatto in modo di incontrarla casualmente in altre occasioni. «Ti lascio il mio biglietto», lo prese dalla tasca dei pantaloni, ne portava sempre una decina dietro e glielo mise accanto alla tazzina del caffè. «Qualsiasi cosa ti venga in mente o per qualunque bisogno, chiamami». «Sì, capitano, ehm, tenente». Si alzò, prese il biglietto e salutandolo frettolosamente se ne andò. [ e b o o k _ b y _ R I h a n n o n ] Era furiosa con se stessa; aveva un estrema capacità di mettersi nei guai. Entrò in casa. Doveva fare qualcosa per calmare il tumulto che aveva in testa. In questi casi sapeva bene cosa le ci voleva. Aprì l acqua calda nella vasca e versò parecchio bagnoschiuma. Un bel bagno bollente riusciva sempre a mitigarla. Si spogliò e sprofondò. Il silenzio in casa, l acqua calda sulla sua pelle, la schiuma leggera, cominciarono a farle effetto; si distese più che poteva bagnando completamente i lunghi capelli e lasciando scoperta solo la parte centrale del viso. Chiuse gli occhi. I pensieri tumultuosi cominciarono a scendere lenti e gravi dalla sua testa, scivolando lungo l acqua. Il bagno caldo non si smentiva mai. Era come se una leggera corrente d acqua fredda attraversasse il perimetro del suo corpo. Prima una tenue sensazione, poi sempre maggiore fino a sentirsi ghiacciare. Il panico s impossessò di lei. Poggiò le mani sul bordo della vasca per alzarsi, ma si sentì trattenuta. Sarebbe morta, questa volta ne era certa. Un onda si alzò e le si avventò al collo. Si sentiva stringere, soffocare. «Chi sei?», fu la prima volta che sentì la sua voce. La presa mollò leggermente. Dafne aprì gli occhi, ma non vide niente. Di nuovo: «Chi sei?». «Da Dafne». «Sei un angelo?». «Ma?» Si sentì portare sott acqua e poi ritirare su. «Rispondimi», ordinò. «No, te lo giuro». L acqua si placò. Rimase venti minuti ferma. Tremava, anche se l acqua era tornata calda. Non aveva il coraggio di alzarsi. E andato via?, si domandò più volte. Prese coraggio e si alzò. Si coprì e uscì

27 dal bagno con l asciugamano intorno al corpo. Sbirciò dalla porta, gli occhi spalancati dalla paura. La casa sembrava tranquilla, andò in camera sua e, seduta sul bordo del letto, cominciò a spazzolarsi lentamente con mano tremante. Forte, come la violenza del vento quando nelle strade spazza via cassonetti e rovescia motorini, si sentì travolgere e si ritrovò prona sul letto. Cominciò a piangere, a singhiozzare. Lo sentiva sopra di sé, sulle spalle, sulla schiena. «Se devi uccidermi, fallo subito!», singhiozzò. «Ssssss», le sussurrò all orecchio. Le spostò di lato i capelli bagnati, liberandole il collo e la schiena. Ancora una volta lui respirò l odore fresco e pulito della sua pelle e ne fu inebriato. Passò la lingua sul suo collo, sulle sue spalle. Il suo soffio a contatto della pelle le procurava pungenti brividi di piacere; lui la sentì rilassarsi. Le tolse l asciugamano e prese a stringerla a sé, l accarezzava non c era più violenza. Dafne non capiva questi suoi stati altalenanti, era convinta che volesse ucciderla con una forte frenesia; poi, però, il contatto lo rendeva docile, mansueto, quasi non potesse farne a meno e in quei momenti anche lei sentiva il bisogno di assecondarlo, stregata dalla passione che si sprigionava in loro. Fu ancora più travolgente della prima volta, erano drogati uno dall altra. Si stabilì così fra loro un forte legame di dipendenza.

28 7. Si era assopita, ripensava a prima, non voleva ammetterlo, ma le era piaciuto. Come faceva a sapere come prenderla? Si rigirò, il letto era vuoto. Lui appare, scompare e io qui! Doveva essere arrabbiata? Non lo sapeva. Si alzò, si mise un enorme t-shirt e si diresse nel tinello. Aveva fame. Lo stomaco vuoto e la testa affollata di pensieri. Cacciò fuori un urlo, sbatté la schiena contro la parete e scappò di corsa in camera, chiudendo a chiave la porta. Cazzo! Che ci faceva spaparanzato sul divano a guardare la televisione? Santa Maria madre di Dio! E ora? Andava nervosa su e giù. Come si doveva comportare? Intanto si cambiò: un paio di jeans, una maglia più carina, si pettinò. Ora doveva affrontarlo, come? Arrabbiata? Dolce? No, questo mai. Uscì dalla stanza vigorosa, almeno ci provava, lui era sempre lì. Intorno ai fianchi aveva il suo asciugamano e sembrava assorto dalla televisione. Alla tivù, intanto una giornalista riportava delle notizie: «La situazione nel Golfo del Messico non lascia ben sperare, tutte le soluzioni finora previste si sono rivelate inconcludenti e la marea nera, al momento, avanza». Lui sembrò compiaciuto. L osservò severa: l aspetto non era demoniaco anzi, il volto era bello e il fisico anche, come lo ricordava. Spalle larghe, muscoloso, torace tonico e largo, aveva una grossa cicatrice che partiva dalla spalla destra e scendeva giù per circa dieci centimetri. Si ricompose e lo sfidò, guardandolo negli occhi. Lui era divertito, un leggero sorriso gli piegava gli angoli della bocca. Dafne non voleva dargliela vinta, indifferente aprì il frigo e cercò qualcosa da mangiare. Poi si girò. «Cosa devo fare con te, devo chiamare un esorcista per buttarti fuori di casa?». «Film interessante, ma non è così semplice». Il film tutto le sembrava, fuorché semplice, pensò mentre sbatteva nervosamente due uova. «I diavoli, i demoni, i fantasmi non mangiano vero?» «A volte, se ci va». «Beh, questo non è un ristorante», prese coraggio, «e neanche un bordello dove si va e si viene a proprio gradimento». Le apparve improvvisamente davanti, la tirò su all altezza dei suoi occhi nerissimi. «Non mi sfidare». Un lampo giallo gli accese velocemente lo sguardo e la rimise giù.

29 «Preparati, tra poco usciamo». Sparì. Rabbia, stizza, paura, frustrazione, angoscia, queste forti emozioni presero il sopravvento. Era un suo giocattolo, lui poteva fare di lei quello che voleva; a che scopo lottare? Le passò la fame. Non voleva stare lì. Lasciò tutto sul tavolo, aveva bisogno d aria, si sentiva soffocare fra quelle mura. Prese un giacchetto, indossò le scarpe e uscì di corsa. Non aspettò neanche l ascensore, si fece i cinque piani a piedi. Stava calando la notte, le strade cominciavano a svuotarsi, presto sarebbe cominciata un altra partita dei mondiali di calcio. Di solito detestava il vuoto che si creava per quell evento, tutti attaccati al televisore con lo sguardo ebete sul volto, aspettando un goal. Quella sera non ci fece caso. Dove andare? Le venne in mente Sandra, la sua amica; sì aveva bisogno di un amica, ma cosa poteva dirle? «Dafne, che sorpresa! Vieni dai». La fece accomodare. «Hai mangiato? Butto un po di pasta anche per te». La madre di Sandra era italiana, pur avendo sposato un inglese e accettato di vivere a Londra per amore, aveva mantenuto le sue origini crescendo i figli da vera mamma chioccia e con la cucina più salutare, come diceva lei, la famosa dieta mediterranea. Sandra continuava la tradizione, ma con meno rigore. «Allora cos è successo tra te e Colin?». «Colin? Ah, sì. L altra sera sono andata via perché l ho visto. C era anche lui nel locale, con un altra». Ormai questo era un altro mondo, non le interessava più, poteva andare a morire sotto una macchina o scoparsi chi voleva. Vide Sandra poco sorpresa. «Lo sapevi che si vedeva con un altra?». «No, ma che dici?». Dafne le lanciò uno sguardo severo. «Ecco, una volta l ho visto fare il galletto con una». «Il galletto con una?». «Sì, ma pensavo fosse tutto lì». La guardò un attimo. «Lo sai come sono gli uomini, ci provano, poi c è chi si ferma lì e». «E chi va avanti. Bell amica che sei, potevi dirmelo!». Si sentiva sola. Mangiarono in silenzio. La rabbia che provava non era per lei, Sandra non c entrava; non riusciva a fare la distaccata, a fare la finta. Forse era meglio non coinvolgerla, l avrebbe lasciata così, che pensasse pure che fosse arrabbiata a causa di Colin. «Scusami Sandra, ultimamente non sono io». «Non ti devi scusare. Parliamone». «No, non me la sento. Vado via. Grazie per la cena». Dette un bacio all amica e se ne andò. Erano le 21,30, non aveva voglia di tornare a casa. Camminava adagio sul marciapiede a testa bassa, voleva piangere. «Avevamo un appuntamento, no?». Il tono era gioviale, alzò gli occhi, era lì, di fronte a lei. Nessuna sorpresa, nessuna paura ormai

30 8. Sembrava un uomo sui trenta, trentadue anni, vestito con una maglia nera aderente, jeans scuri, l aspetto era umano e non terrificante. «Andiamo?». «Dove?». «Qui, in giro. Camminiamo». Con fare protettivo le cinse le spalle e la spinse in avanti. Le strade erano silenziose, tutti in casa, le partite non erano terminate e quella sera giocavano Italia contro Nuova Zelanda e Slovacchia contro Paraguay. «Chi sei?». «Laghor». «Nome strano, un». «Demone? Sì». «Quanti anni hai?». «Anni?», rise divertito. «Almeno due secoli, non ricordo». La sua voce ritornò più seria. «Cosa vuoi da me?». Gli parlava senza volgergli lo sguardo, fissando la strada davanti a sé. «Devo ancora capire una cosa». Questa volta Dafne si girò e lo guardò negli occhi. «Su di me? C è poco da capire», rispose irritata. «Su, non ti agitare adesso. È una bella serata, passeggiamo». Erano arrivati in Grosvenor Road, un lungo viale che costeggiava il Tamigi, davanti a loro c era il ponte di Vauxhall e dopo Westminster, la Casa del Parlamento. La notte era luminosa, il cielo stellato ricco di costellazioni sembrava favorevole al loro incontro. «Cosa fa un demone?». «Tante cose». «Tipo?». «È meglio non saperlo, lo dico per te. Non ti piacerebbe». Ora era anche protettivo, pensò. Erano sopra il ponte e guardavano in basso. Il Tamigi scorreva lento e scuro, era poco illuminato. Davanti a loro le luci dei palazzi si riflettevano come piccole fiammelle sul fiume. Si alzò una leggera brezza. Il Big Ben cominciò a scandire i suoi colpi che rimbombavano nelle strade vuote. Dafne ne contò dieci. «Sei mai stata lassù?». «Dove?». «Sul Big Ben». «No».

31 Un vento forte le scompigliò i capelli. Gli occhi, le labbra, la fronte erano nascosti dai suoi boccoli castani. Li spostò con fatica e il panorama che le si aprì davanti le fece mancare il fiato. Indietreggiò di un passo. «Dove siamo?». «Sul Big Ben, vieni a vedere» e le allungò la mano per avvicinarsi al bordo. Lo sguardo andava oltre la città, la notte confondeva il cielo con la campagna attorno; una leggera foschia velava le stelle nel cielo. Abbassò gli occhi: sotto di lei un centinaio di metri la separava da terra. Si aggrappò alle paratie senza sporgersi troppo. Erano sopra l orologio, non aveva il coraggio di allungarsi per guardare le enormi lancette sotto di loro. Inutile chiedergli come aveva fatto. Lui era catturato dal panorama, lei aveva timore, non le piaceva stare lassù. Gli prese un braccio. «Andiamo via, ti prego». Gli urlò, mentre il vento rimbombava nelle loro orecchie. «Non ti piace? È bellissimo». «Sì, è bellissimo; troppo alto, soffro di vertigini». «Un angelo che soffre di vertigini?». «Non sono un angelo, te l ho detto». Fece tre passi indietro e si attaccò al muro. «Tu ti sottovaluti. C è qualcosa in te e devo scoprire cos è». «Voglio andarmene, portami via». «Dafne, voglio vedere una cosa», il suo sguardo la turbava. «Cosa?». Ecco che il panico tornava, riconosceva nella sua voce quel tono autorevole che non ammetteva repliche. Il vento e la paura le gelavano le membra. Cominciò a tremare e cercò di allontanarsi da lui in cerca di un uscita. Lui percepì il suo movimento e la bloccò. «Sarà l ultima volta, te lo prometto». La prese fra le braccia e si avvicinò alle paratie. «No. Mi ucciderai. No, non voglio morire». Si aggrappò a lui. Stava implorando un demone, che speranze aveva? La protese oltre il muro, nel cielo aperto e le strizzò l occhio: la lasciò cadere senza indugi. Non poteva crederci, l aveva fatto. Era finita. Si sarebbe schiantata al suolo come un moscerino su un parabrezza. Lei che fino a due giorni prima aveva avuto la vita più banale del mondo. Era uno scherzo? Era un incubo? Non poteva accettarlo, non poteva essere vero. Perse i sensi. Ottanta metri, stava ancora cadendo. Laghor guardava con la speranza di vederla riapparire o che si fermasse a mezz aria. Settanta metri. La torre era alta novantasei. Cinquanta. Nessuno la salvava. Allora era veramente umana? Non tornava. Trenta. Doveva resistere. Venti. Però Dieci

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