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3 dell osservatorio sociale Provincia di Prato 3

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5 dell osservatorio sociale Collana coordinata da Michele Parpajola Il tessuto sociale ed economico del territorio pratese sta attraversando rapide quanto profonde trasformazioni ma al tempo stesso si caratterizza per i forti elementi di continuità con la storia e la tradizione locale. Il passaggio da un modello di stato sociale tradizionale ad uno di welfare mix, dove accanto al servizio pubblico assumono sempre più rilevanza la progettualità e il lavoro delle organizzazioni del terzo settore, la sperimentazione a livello regionale - avviata anche nell area pratese - di nuove forme per la programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari: la Società della Salute, laddove per salute si intende - nel senso più ampio del termine - il benessere sociale del cittadino, sono fenomeni che richiedono un forte ripensamento delle politiche sociali integrate. Il processo di ridimensionamento delle famiglie, l emergere di nuove tipologie familiari ed il mutato ruolo delle donne all interno della famiglia e nel mercato lavorativo con la conseguente necessità di conciliazione dei tempi di cura e lavoro, nonché la complessità delle dinamiche migratorie con la progressiva stabilizzazione delle comunità migranti determinano una costante evoluzione della struttura demografica dell area provinciale e producono nuove forme di bisogno e domande inedite di servizi. Sono questi alcuni dei cambiamenti significativi che pongono con forza una duplice esigenza: da un lato sviluppare attività di analisi e ricerca finalizzate alla costruzione di scenari, di sintesi interpretative utili alla programmazione e alla governance locale, dall altro promuovere una costante azione di diffusione sul territorio delle conoscenze acquisite per discutere, riflettere sui risultati degli studi realizzati. È dal desiderio di rispondere, almeno in parte, a questa necessità che nasce la collana editoriale le tele dell osservatorio sociale promossa e realizzata dalla Provincia di Prato in collaborazione con Asel srl - Agenzia di Servizi per le Economie Locali. La collana si articola in pubblicazioni monografiche su rilevanti tematiche sociali individuate e scelte sulla base delle molteplici attività di ricerca svolta in questi anni dall Osservatorio Sociale Provinciale unitamente alle indicazioni e agli orientamenti espressi dagli attori locali del pubblico e del privato sociale attivi sul territorio. Le tele dell osservatorio sociale intendono rappresentare un utile strumento di divulgazione dedicato ad amministratori locali, operatori dei servizi pubblici e privati, studiosi, a tutti i cittadini che abbiano interesse a conoscere ed approfondire teorie, buone prassi, esperienze e metodologie d intervento utili per comprendere la complessità e l evoluzione delle dinamiche sociali in atto e contribuire così alla ridefinizione e alla crescita del sistema di welfare locale. 5

6 Comitato scientifico della collana GUIDO FERRARI Università degli Studi di Firenze MAURIZIO BAUSSOLA Università Cattolica del Sacro Cuore BRUNO DE LEO Ministero dell Economia e delle Finanze GABI DEI OTTATI Università degli Studi di Firenze FRANCESCO GIUNTA Università degli Studi di Firenze LAURA LEONARDI Università degli Studi di Firenze FABIO SFORZI Università degli Studi di Parma Via Ricasoli, 25 - Prato - Tel mparpajola@provincia.prato.it sito web: 6

7 Provincia di Prato Bullismo Un indagine-fenomeno delle prepotenze nelle scuole superiori del territorio pratese di VALENTINA CIPRIANI ED ELENA MICHELONI Prato, novembre

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9 Prefazione Chi sono i bulli di oggi? sono ragazzi che esercitano deliberatamente e con frequenza prepotenze verso chi si mostra più debole. Un fenomeno complesso che interessa anche le scuole della nostra provincia, seppur non in maniera drammatica. Questa ricerca nasce con lo scopo non solo di capire le dinamiche che si instaurano fra vittima e carnefice ma punta anche a comprendere la natura sociale del contesto in cui il fenomeno bullismo prende campo. Il bullo è solo uno fra gli attori in scena, per capirne il comportamento è necessario soffermarsi anche sul sistema di valori, sulle necessità e le richieste dei ragazzi. Il terreno di coltura del bullo è trasversale, non esiste una provenienza specifica, ma esistono semmai difficoltà relazionali e situazioni di disagio. Maggiori sono gli studi e i progetti che analizzano il problema e più facile sarà comprendere le cause e limitare gli abusi. La ricerca - condotta su un campione di ragazzi delle scuole superiori pratesi - è uno strumento utile per sensibilizzare studenti, ma anche famiglie e insegnanti, verso la comprensione di un problema dalle molte sfaccettature che può essere affrontato e risolto anche attraverso il riconoscimento, l accettazione e la comunicazione delle emozioni e bisogni dei ragazzi stessi. Un importante dato che emerge dalla ricerca, e che sollecita opportune riflessioni, è la richiesta di poter avere strumenti utili alla comprensione del fenomeno per poi poter agire da soli; agli adulti i ragazzi chiedono comprensione ma non accettano la loro intromissione nella soluzione. Irene Gorelli Assessore alle Politiche Sociali Provincia di Prato 9

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11 INDICE Introduzione pag. 13 PARTE I. Il bullismo come fenomeno psicosociale pag Cos è il bullismo pag Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando... pag e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze pag L entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani pag. 25 PARTE II. Come contrastare il fenomeno Dall informazione alla mediazione tra pari pag Pratica educativa mirata e prevenzione: uno sguardo all Europa pag Interventi in Italia pag Contributi dalla Toscana pag L esperienza dell Istituto Professionale Datini nella provincia di Prato pag. 37 PARTE III. La ricerca pag Metodologia pag Analisi e discussione dei risultati pag Focus-group: i partecipanti alla ricerca a confronto pag Note finali pag. 75 Conclusioni pag. 77 Bibliografia pag. 79 Sitografia pag. 83 Appendici pag

12 Dedichiamo questo libro ai ragazzi che hanno partecipato alla ricerca e ringraziamo per la disponibilità i presidi ed i professori delle scuole coinvolte. Alle professoresse Matilde Griffo dell USP di Prato, Norma di Mauro dell Istituto Professionale Datini, Vincenza Fasulo del Liceo Scientifico Livi, Rosanna Farabella dell Istituto Tecnico Dagomari, Lucia Azzini e Marilena Bagnoli dell Istituto d Arte Bernini di Montemurlo, un ringraziamento speciale per aver messo a disposizione il loro tempo e la loro professionalità. 12

13 Introduzione INTRODUZIONE Comportamenti come impaurire, sottomettere, umiliare con prese in giro e pettegolezzi, escludere qualcuno dai giochi e dai discorsi, minacciare per ottenere denaro od oggetti caratterizzano da tempo memorabile gli ambienti di aggregazione giovanile, in particolare la scuola. Atti del genere vengono raccontati da giovani ed adulti, quindi non è fuori luogo pensare che si perpetuino di generazione in generazione. Frasi tipo a scuola adesso i professori si scandalizzano per niente. Queste cose ci sono sempre state eppure siamo cresciuti bene, oppure, per due spintoni o prese in giro non è mai morto nessuno, anzi si impara a difendersi, esprimono un opinione diffusa in Italia e legittimano l interesse che da qualche decennio le scienze psicologiche e sociologiche nutrono per le dinamiche e le relazioni di potere in contesti educativi. Nonostante sia sempre esistito, il bullismo è stato per molto tempo un fenomeno inosservato ed innominato, perciò privo di significato e senza una chiara definizione. A renderlo percepibile e leggibile sono stati i cambiamenti culturali e scientifici relativi al tema delle prepotenze tra bambini e ragazzi. La nostra società, infatti, ha subito profonde trasformazioni nell ultimo secolo: l incontro di popoli diversi, la complessa ed instabile convivenza di tradizioni, il processo d integrazione fra più culture spingono ad una riflessione importante su ciò che caratterizza la nostra comunità. La figura del soldato, del combattente, di chi si impone con determinazione e incisività, si collega bene all idea di una società liberale in cui la competizione è costante e a vincere è il più forte. Oggi, nonostante il nostro sia un paese in cui la competizione e la sopraffazione rappresentino delle coordinate di vita, prevalgono in maniera spesso contraddittoria valori come la pace, il dialogo, la tolleranza, la risoluzione non violenta dei conflitti: tutta una serie di atteggiamenti a lungo considerati normali, consueti e non connotabili come problema, iniziano oggi ad essere oggetto di esame. Questo slittamento di pensiero si è unito anche ad una svolta avvenuta all interno della comunità scientifica. L Italia, attenta all evolversi della situazione nelle nazioni in emergenza bullismo, ha diretto lo sguardo al proprio contesto e si è interrogata sulla propria condizione rispetto al fenomeno. Possiamo tranquillamente affermare che la sensibilità verso il tema del bullismo è aumentata grazie al prezioso contributo delle prime ricerche italiane coordinate da Ada Fonzi 1. Si assiste ad un chiaro scollamento tra i valori trasmessi ai giovani e ciò che essi devono toccare con mano ogni giorno, sia in casa che a scuola. Prendiamo, ad esempio, un professore che durante una lezione di educazione civica esorta uno studente a dire la sua opinione, per poi schernirlo davanti al resto della classe se ha espresso un concetto poco chiaro. Oppure, un genitore che sistematicamente dice al figlio di non urlare, urlando a sua volta. A tutto questo si aggiunge l educazione alla pace in un paese che ha partecipato ad azioni offensive verso altri paesi definiti più deboli. Concetti come tolleranza, dialogo, confronto vengono in realtà passati con modalità comunicative fortemente ambigue. Non stupiamoci se, nonostante la nostra sia idealmente una cultura di pace 1 Professoressa di Psicologia dello Sviluppo e dell Educazione presso l Università degli Studi di Firenze. 13

14 Introduzione (vista anche la matrice cattolica), una percentuale preoccupante di adolescenti italiani presenta atteggiamenti bullistici 2. Fra i giovani la prevaricazione è sempre più diffusa e c è da chiedersi se gli adulti di riferimento, con il loro ruolo chiave nei processi di socializzazione ed educazione del ragazzo, la stiano utilizzando per primi nelle loro relazioni quotidiane. Diventa necessario, non solo indagare l entità del problema ed agire nelle scuole dove c è un emergenza, ma affrontare anche la questione della cultura che sorregge il fenomeno, poiché è questa a legittimare diffusamente il ricorso a quelle violenze e prepotenze che possono esprimersi anche in forme diverse dal bullismo. Per comprendere il bullismo è, pertanto, d obbligo muoversi dagli stili educativi parentali ai comportamenti assunti dagli adulti significativi, dal modello educativo seguito dall insegnante alla posizione dell istituto scolastico, dall atteggiamento sociale alle decisioni istituzionali. Ma chi è il bullo? Bullo è chi compie deliberatamente e frequentemente prepotenze verso chi sente più debole. Sarebbe però un errore pensare che da solo possa dare avvio ad un fenomeno così complesso: di fatto, il bullo è soltanto uno degli attori in scena. Con questo contributo si cercherà di dare una definizione del fenomeno, di comprendere la sua matrice sociale e le caratteristiche degli attori coinvolti, di riassumere le possibili cause e conseguenze delle prepotenze e di fornire un quadro sintetico dell entità del bullismo in Italia (prima parte). Successivamente saranno illustrati gli interventi attuati per affrontare il problema del bullismo, con un rapido sguardo all Europa e con una rassegna dei contributi italiani: in particolare, saranno descritti i progetti presentati in Toscana e nella provincia di Prato, come Incontriamoci dell Istituto Tecnico Professionale Datini (seconda parte). Infine, sarà presentata la ricerca, condotta da Asel srl 3 per l Osservatorio Sociale della Provincia di Prato, che ha coinvolto quattro scuole superiori del territorio. Dopo una descrizione della metodologia e dei risultati ottenuti con un questionario e con due focus group, si passerà a tracciare una possibile linea di intervento da attuare a livello provinciale (terza parte). La scelta della Provincia di interessarsi alle scuole superiori sembra andare in una direzione diversa dalle principali linee di ricerca, legate soprattutto alla scuola dell obbligo. Per quanto riguarda le superiori, il panorama di ricerche e di interventi è infatti più limitato. Questo può essere spiegato con la diminuzione del fenomeno delle prepotenze e delle violenze all aumentare dell età dei ragazzi, come indicato dalla letteratura. In realtà, l ambito delle scuole superiori costituisce lo sfondo in cui modalità di interazione disadattive e distorte possono stabilizzarsi e costituire un problema sempre più difficile da affrontare. Per questo in altre nazioni, come Olanda, Belgio Spagna, Lussemburgo, Francia, Finlandia, il Ministero per l Educazione ha varato un piano nazionale di contrasto al bullismo, valido anche per gli Istituti secondari (cosa che in Italia manca ed è auspicabile che avvenga). 2 A partire dal mese di novembre 2006 la cronaca nazionale ha riportato sulle prime pagine di tutti i quotidiani episodi allarmanti di prevaricazioni e violenze agite all interno del mondo scolastico. 3 Agenzia di Servizi per le Economie Locali - Provincia di Prato. 14

15 Introduzione La ricerca che viene proposta in questo volume vuole fotografare la situazione delle scuole superiori della provincia di Prato rispetto al fenomeno delle prepotenze fra adolescenti. Il presente lavoro si pone, quindi, come stimolo alla riflessione sul bullismo stesso, affinché venga maggiormente indagato, compreso ed efficacemente affrontato. Interrogarsi sullo stato delle cose è il passo iniziale per capire ed attrezzarsi a contrastare il problema laddove esiste. 15

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17 Il bullismo come fenomeno psicosociale Parte I. Il bullismo come fenomeno psicosociale Ci sono due dimensioni che possono descrivere molto bene il fenomeno del bullismo: quella del potere individuale all interno della relazione e quella del potere sociale all interno del gruppo. Le prepotenze, le angherie, le umiliazioni trovano terreno fertile quando un gruppo si allontana dalla convivenza civile e democratica ed avalla la posizione dispotica di alcuni. La persona che si trova a vivere in questo stato di non diritto può essere più facilmente vittima se ha scarso potere nella relazione, o bullo se al contrario ha grandi capacità di azione all interno di questa dinamica. Il bullismo è un fatto psicosociale proprio per questo, poiché riguarda profondamente la psicologia dell individuo, si genera da una particolare relazione interpersonale, coinvolge il sistema collettivo ad ogni suo livello ed esprime una cultura prevaricatrice e prepotente. A tal proposito, le ricerche campionarie svolte per l annuale Rapporto Nazionale sulla Condizione dell Infanzia e dell Adolescenza (Eurispes e Telefono Azzurro, 2005) offrono dell adolescente italiano due rappresentazioni altamente dicotomiche: arrabbiati, annoiati, aggressivi e prematuramente autonomi da una parte; bisognosi di protezione, emotivamente fragili e per molto tempo dipendenti dall altra. Non è da escludere quindi che il bullismo, se incontra la tolleranza sociale, possa nutrirsi anche di questa impreparazione alla convivenza coi bisogni e con la diversità altrui. 1.1 Cos è il bullismo Nell immaginario collettivo il bullo è da sempre l antagonista che dà risalto alle straordinarie qualità morali del buono, il capro espiatorio malvagio prima o poi punito dalla giustizia sociale, l ostacolo al successo e alla realizzazione personale. In Italia, l atteggiamento comune assunto nei confronti del bullo è stato di silenziosa sopportazione perché il prepotente della scuola, del quartiere o del paese si è rivelato per anni una figura tollerata in quanto presenza naturale all interno di una comunità, come fosse una norma anche la presenza di un leader prevaricatore. Di fatto, il bullo all italiana è ridimensionato nel suo aspetto violento e pericoloso, al punto che si è parlato spesso di bulletto in modo fin troppo benevolo e permissivo. Forse questo atteggiamento ha contribuito a ritardare l interesse dell Italia per il tema e giustifica in parte la maggior diffusione del bullismo nel nostro Paese rispetto al resto dell Europa. Aldilà, però, del profilo romanzato e dell immagine che la letteratura, la cinematografia e la visione popolare rimandano, il bullo emerge dalla cronaca nazionale e dal lavoro scientifico degli ultimi anni come protagonista di un complesso ed articolato fenomeno. Porre rimedio al bullismo potrebbe, di primo acchito, sembrare un bisogno sociale portato alla luce senza segnali di necessità da parte della comunità. In realtà, la risposta all interesse scientifico per il fenomeno rivela tutt altro pensiero: dalla famiglia alla scuola si è sollevato un alto consenso ed una forte partecipazione, affinché siano comprese le dinamiche del fenomeno e si trovi finalmente una modalità efficace ed adeguata per fronteggiare le prepotenze fra gli alunni di tutte le età. 17

18 Il bullismo come fenomeno psicosociale Il termine bullismo è entrato in Italia come neologismo poco dopo, e forse non a caso, che in un articolo Ada Fonzi (Fonzi, 1995) ne ha evidenziato la preoccupante presenza nel nostro Paese. Tradotto dall inglese bullying, la parola bullismo si riferisce ad una condizione in cui vi è la presenza di un prevaricato e di un prevaricatore (Fonzi, 1997). Riconoscendo la radice relazionale del fenomeno, l Italia ha quindi adottato il significato anglosassone del vocabolo, che definisce il bullo non soltanto un giovinastro spavaldo e violento ma un individuo che impiega la propria forza o potere per intimidire o ledere un individuo più debole. La comunità scientifica sta cercando ora di conoscere e comprendere la consistenza e la fisionomia del fenomeno (Olweus, 1973, 1977, 1993; Perry, Kusel & Perry, 1988; Sharp & Smith, 1994; Fonzi, 1997, 1999; Menesini, 2000) e questo è possibile grazie ad una chiara e condivisa definizione che permette comparazioni cross-culturali. L autore al quale si deve tale definizione, grazie al suo pionieristico sforzo ed impegno costante nella ricerca sul bullismo in ambito scolastico, è il norvegese Dan Olweus. Ad oggi, è comunemente condiviso che uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato quando tale studente viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un altra (Olweus, 1993). Il bullismo, perciò, non è un atteggiamento o un atto aggressivo, ma un vero e proprio processo dinamico che parte dalla relazione prepotente-vittima. Tale relazione deve, inoltre, presentare le seguenti caratteristiche: 1. Intenzionalità: il bullo agisce deliberatamente con lo scopo di dominare l altro arrecandogli danno o disagio. 2. Sistematicità: le prepotenze agite e subite sono costanti e frequenti nel tempo. Le offese occasionali e non gravi o un solo esecrabile evento di prevaricazione non sono registrabili come forme di bullismo, proprio perché in letteratura si indicano come tali sole prepotenze frequenti nel tempo rivolte alle solite vittime. 3. Asimmetria nella relazione: nella relazione bullo-vittima c è un chiaro squilibrio di potere; mentre il prevaricato ha difficoltà a difendersi e si trova in una posizione di impotenza, il prevaricatore è generalmente più grande o più forte della vittima. Pertanto, i litigi tra due soggetti pressoché della stessa forza o i casi di lotta fisica messi in atto per gioco non sono considerati episodi di bullismo. Non di rado accade, però, che per episodi in cui si assiste ad un alternanza di ruoli tra le diverse figure coinvolte, piuttosto che ad un asimmetria di potere, si faccia riferimento improprio a forme di bullismo. Il bullismo si manifesta attraverso differenti modalità. Le forme indirette sono osservabili e caratterizzate da aggressioni compiute direttamente nei confronti della vittima attraverso mezzi fisici o verbali (Olweus, 1993; Fonzi, 1997). Il contatto fisico tra il bullo e la vittima può quindi avvenire attraverso pugni, botte, calci, percosse di varia natura ed intensità. La stessa violenza, tuttavia, può essere diretta anche agli oggetti della vittima, che vengono così danneggiati o rubati. I mezzi verbali sono le minacce, le ingiurie, gli insulti e le derisioni verso la vittima, con possibili gesti di scherno o comportamenti che la mettono in ridicolo. Le forme indirette, meno brutali ma comunque dannose, sono l isolamento, l allontanamento o l esclusione dal gruppo, la diffusione di maldicenze e storie inventate a scapito della vittima (Olweus, 1993; Fonzi, 1997). 18

19 Il bullismo come fenomeno psicosociale 1.2 Una relazione in gioco: chi, come, dove, quando... I protagonisti delle prepotenze sono: - il bullo, che le compie, - la vittima, che le subisce, - lo spettatore, che assiste e per ciò appartiene allo scenario del bullismo. Gli studi e le ricerche degli ultimi 30 anni ci permettono di descrivere ciascuna figura in sottotipi dal profilo psicologico e comportamentale più preciso. L articolazione del fenomeno in questi termini non risponde ad un piacere tassonomico fine a se stesso, ma alla necessità di conoscere il bullismo nei suoi meccanismi di funzionamento e mantenimento, per orientarsi nella prevenzione e nell intervento. È così possibile distinguere oggi il bullo dominante da quello gregario, la vittima passiva da quella provocatrice, lo spettatore attivo dall outsider 4. Sappiamo che il bullo dominante utilizza la propria forza e la violenza per ottenere ciò che desidera senza curarsi dell altro. Agisce con impulsività, si arrabbia facilmente e tollera con difficoltà le frustrazioni. Il suo atteggiamento oppositivo, provocatorio ed aggressivo è generalizzato e mira alla sottomissione dell altro in segno del proprio potere. Fisicamente più forte del coetaneo, prevarica ed umilia la sua vittima; mantiene un atteggiamento negativo di fronte alle regole e manipola il rapporto con l altro a proprio vantaggio. Ha un opinione piuttosto positiva di sé, si dimostra sicuro, quasi mai ansioso ed ha probabili difficoltà di comunicazione. Il bullo gregario, o passivo, assume il ruolo di aiutante del bullo dominante. Esegue gli ordini e non prende iniziativa: più incerto, più ansioso e meno popolare del classico bullo, ricerca la stima del gruppo appoggiando le vessazioni; rispetto al bullo dominante è più incline ad esperienze empatiche e a sensi di colpa nei confronti della vittima. La vittima sottomessa, o passiva, è generalmente timorosa, insicura, sensibile e cauta. È un soggetto che si valuta negativamente, che non ha fiducia nelle proprie capacità e che ha difficoltà nelle relazioni con i coetanei. La vittima passiva non è in grado di difendersi e non ha la vicinanza del gruppo, dal quale spesso è esclusa. Il comportamento goffo ed impacciato la rende facilmente bersaglio dei suoi persecutori, di fronte ai quali reagisce chiudendosi in se stessa o piangendo. Tende a negare il problema e a subire passivamente e con rassegnazione le aggressioni. Spesso la vittima sceglie di non parlare di ciò che le accade per vergogna o per timore di essere ulteriormente maltrattata. Soggetti particolarmente a rischio di prepotenze e giochi di potere da parte dei bulli sono giovani extracomunitari e giovani disabili. La vittima provocatrice è un soggetto che, pur in netto svantaggio fisico rispetto al bullo, replica le azioni aggressive dell altro. Nel ruolo di sfidante e di vittima, combina modalità di reazione prepotenti e timorose. Spesso è un maschio, con bassa autostima e dal comportamento irrequieto, impulsivo ed offensivo. È probabile che abbia problemi di concentrazione ed iperattività. La vittima provocatrice assume atteggiamenti che creano tensione e irritazione nei coetanei (nel gruppo di amici, in classe, ecc.) e negli adulti, i quali reagiscono spesso a suo danno. 4 Le definizioni che seguiranno sono il frutto di una revisione e di un lavoro di sintesi dei contributi sul tema presenti in letteratura. Per la conoscenza dei testi si rimanda alla bibliografia e sitografia finali. 19

20 Il bullismo come fenomeno psicosociale Oltre al coinvolgimento dei bulli e delle vittime, il fenomeno si manifesta in più espressioni anche per la presenza di bambini e ragazzi spettatori, che assistono alle prepotenze o ne sono a conoscenza. Ben 4 episodi di bullismo su 5 avvengono davanti al gruppo dei pari (Craig e Pepler, 1997): dato che siamo di fronte ad un fenomeno difficilmente segnalato dai ragazzi, ciò significa che nella maggior parte dei casi le azioni bullistiche passano sotto gli occhi di molte persone senza che siano denunciate o si intervenga in alcun modo. È questo il caso della cosiddetta maggioranza silenziosa o outsider. L individuo che vi appartiene cerca di non essere coinvolto dimostrandosi indifferente di fronte alle prepotenze. L omertà a cui si assiste è forse una delle risorse più potenti per il perpetuarsi del fenomeno, in quanto approva e rinforza su un piano sociale, oltre che individuale, il ricorso alla violenza nella relazione con l altro. Il sostenitore incita, apprezza e sostiene apertamente il bullo mentre il difensore cerca di interrompere le vessazioni prendendo le parti della vittima, confortandola ed alleandosi con lei. Sono spesso le femmine ad assumere il ruolo del soccorritore. Il bullismo è quindi un fenomeno di gruppo che coinvolge tutti i presenti, siano essi attivi, passivi o neutrali nel sostenere o contrastare le angherie. Le ricerche sostengono che la facile distinzione di genere che si fa, pensando al bullismo come ad una cosa da maschi, valga solo per le modalità con le quali si agiscono le prepotenze: di fatto, i protagonisti possono essere sia maschi che femmine, anche se quest ultime con una frequenza assai minore. Un maschio è generalmente un prepotente diretto che aggredisce, soprattutto fisicamente, vittime di entrambi i sessi. Una femmina è più facilmente una prevaricatrice indiretta di un altra femmina. Stessa distinzione per le vittime, poiché un maschio riceve maggiormente aggressioni dirette rispetto ad una femmina, vittima quest ultima di prepotenze più indirette. Spesso il protagonista ha un età compresa fra i 7-8 e i anni: più è giovane più agisce o subisce attacchi fisici (come percosse, furti, brutti scherzi) anziché verbali (prese in giro ripetute, minacce, provocazioni); Gli ambienti dove gli episodi di bullismo hanno luogo con frequenza sono quelli dei plessi scolastici: in aula, nel corridoio, in bagno, nel cortile, in palestra, nei laboratori e in zone appartate e non vigilate dell istituto. Talvolta le prepotenze, anche se con frequenza meno accentuata, si verificano alle fermate degli autobus e sui mezzi di trasporto, nei locali e luoghi di ritrovo di massa,come le discoteche, i bar, le sale-giochi, giardini e parchi pubblici. Anche i momenti in cui le azioni bullistiche prendono scena ruotano spesso attorno ai tempi scolastici: prima di entrare a scuola, durante la ricreazione, durante la permanenza in aula, all uscita da scuola, nel tragitto che il ragazzo percorre fra casa e scuola e perché? Il bullismo fra cause e conseguenze Ogni comportamento umano è il risultato di un complesso gioco di azioni e retroazioni (Fonzi, 1997), oltre che di componenti genetiche, evolutive ed ambientali che concorrono a disegnare la linea di crescita individuale. Non c è un unica causa, né un insieme di elementi che determina l insorgere del problema. Per spiegare le origini del bullismo è necessario ricorrere ad un ottica multifattoriale, tenere cioè presente l insieme dei fattori che, interagendo tra loro, sono in grado di darci una spiegazione sul suo avvio. 20

21 Il bullismo come fenomeno psicosociale Gli elementi che contribuiscono all espressione della vulnerabilità individuale rispetto al fenomeno sono aspecifici, ovvero, non riscontrabili solo in questo quadro problematico. Ad essere specifica è la loro interazione, che varia sia in base ai diversi contesti di azione e di appartenenza (la dimensione familiare, sociale ed ecologica) sia in relazione al tempo (età, fasi dello sviluppo, ecc.). Il bullismo si configura quindi come un processo che si costruisce nel tempo e all interno di relazioni. E come tale, al pari di ogni altro fenomeno, va considerato un fatto sociale (Eurispes-Telefono Azzurro, 2002). È ripetuto in letteratura che il bullismo non è appannaggio esclusivo del genere maschile; sembra però che un maschio corra un rischio maggiore di entrare nel fenomeno rispetto ad una femmina. Nel gioco delle parti, i maschi risultano più attivamente coinvolti nel fare prepotenze (Lagerspetz et al., 1982; Whitney e Smith, 1993), mentre le femmine sono più propense ad assumere comportamenti prosociali (Hoffman, 1977 in Menesini e Gini 2000). I soggetti che più di altri restano coinvolti in certe dinamiche si trovano negli anni della scuola elementare-media ed all inizio delle superiori. A livello della scuola primaria i bambini non hanno sviluppato in modo completo abilità cognitive fondamentali per instaurare delle relazioni sociali di tipo soddisfacente (Miller, 1983). Ciò determina una certa incompetenza sociale: in altre parole i bambini di questa età non sono in grado di comprendere che alcuni tipi di comportamento non devono essere adottati. Molto spesso accade che il bullo della scuola primaria non capisca che è sbagliato infliggere prepotenze ad altri compagni perché non riesce ad associare alla prepotenza il significato di comportamento negativo. Allo stesso tempo, la vittima non possiede ancora quelle determinate abilità sociali che le permettono di difendersi e di gestire il momentaneo squilibrio di potere. Una riflessione aggiuntiva che potrebbe permettere di giustificare la diminuzione della quantità di popolazione scolastica interessata dal fenomeno del bullismo nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, è data dal fatto che i soggetti d età diversa hanno differenti rappresentazioni dello stesso evento (Levorato, 1988). È possibile che i ragazzi della scuola secondaria abbiano una rappresentazione, di ciò che è il bullismo, diversa dagli alunni più piccoli: la maggiore esperienza delle relazioni tra coetanei permette loro di circoscrivere il fenomeno delle prepotenze a specifiche dinamiche sociali; al contrario i bambini della scuola primaria associano, impropriamente, al bullismo una gamma più vasta d eventi. L evolversi del fenomeno in una prospettiva longitudinale di vita è ormai chiaro grazie alle tante ricerche sul tema: il numero dei giovani coinvolti si riduce progressivamente nel passaggio tra le scuole primarie e quelle secondarie di primo grado mentre, più significativamente, nel passaggio della scuola secondaria dal primo al secondo grado gli episodi bullistici si fanno meno numerosi e meno frequenti. Inoltre, con l aumento dell età le aggressioni cambiano forma, in quanto si riducono gli attacchi fisici ed aumentano le prepotenze verbali. Nonostante la portata del fenomeno diminuisca con la crescita del bambino, ci si scontra con l aggravamento delle prevaricazioni e con l irrigidirsi dei ruoli di bullo e di vittima: la forza ed il grado di pericolosità delle azioni messe in atto contro l altro crescono in adolescenza al punto di tradursi, nei casi più estremi, in veri e propri comportamenti devianti. Si esce così dal fenomeno del bullismo per entrare in quello della devianza minorile a cui appartiene un ampia gamma di comportamenti antisociali. Gli studi che si occupano di indagare i fattori di vulnerabilità al fenomeno hanno individuato nel temperamento, ovvero nel substrato biologico di fondo del carattere, uno degli elementi che possono predisporre un soggetto all aggressività. Fondamentale è anche l esperienza di attaccamento alla figura 21

22 Il bullismo come fenomeno psicosociale accudente che il bambino fa nei primi anni di vita; secondo la teoria dell attaccamento (Bowlby 1969, 1988) vi è nell uomo la tendenza innata a ricercare la vicinanza della figura significativa ogni volta si costituiscano situazioni di pericolo o dolore. Il modo in cui la figura di accudimento risponde ai bisogni di protezione e cura del bambino è fondamentale per lo sviluppo di modalità di relazione adeguate. Sembra che un accudimento negativo, senza coinvolgimento o calore favorisca nel bambino comportamenti aggressivi. Gli aspetti psicologici che soggiacciono al comportamento del bullo sembrano essere: un forte bisogno di potere e dominio (per cui sembrano godere nel controllare e sottomettere gli altri) ed una componente strumentale (per la quale i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro, sigarette o oggetti di valore). Inoltre, sia la condizione di vittima che di bullo appare legata a difficoltà nel riconoscere e valutare le emozioni e i loro specifici segnali emotivi, specialmente per le vittime per quanto riguarda la rabbia, il che potrebbe impedire loro di riconoscere il potenziale aggressore per potersene difendere; ed inoltre l incapacità di leggere tale emozione potrebbe impedire il controllo delle proprie manifestazioni comportamentali provocando ulteriormente la rabbia dell altro. Nei bulli si riscontra invece una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, che soprattutto riguarda la felicità. Inoltre, nelle vittime appare scadente la capacità di raccontarsi, in quanto producono storie meno complete ed utilizzano uno stile narrativo meno evoluto rispetto ai bulli. L unico punto in cui sono i bulli a differenziarsi dalle vittime e dal gruppo di controllo in senso negativo è quello che riguarda il disimpegno morale, processo per cui si può giustificare un azione violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire a una norma non è poi così grave. Un altro meccanismo psicologico implicato nella relazione vittima-prepotente è l empatia. Per empatia si intende la capacità di un individuo di comprendere e condividere gli stati emotivi sperimentati da un altra persona. Si può condividere la gioia, ma anche la sofferenza altrui. Probabilmente i soggetti che prevaricano i propri compagni difettano fortemente di capacità empatiche dal momento che sembrano non rendersi conto delle sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni. Anche le vittime, non riconoscendo le emozioni (specie la rabbia), hanno una scarsa abilità nel sintonizzarsi affettivamente con i compagni: interagiscono così in modo spesso inadeguato e stimolano l aggressività dei compagni. Pare, pertanto, che in termini di rappresentazioni mentali nei confronti del diverso, sia i bulli che le vittime abbiano scarsa plasticità, povertà strutturale rappresentativa, un repertorio ristretto di modalità comunicative e scarsa capacità di tenere conto delle caratteristiche dell altro nel dosare il grado di intimità nei suoi confronti. Nuove ricerche hanno messo in risalto il peso degli stili educativi parentali nell emergere del bullismo, attribuendo particolare importanza alla coercizione ed alla permissività. I modelli educativi e le condizioni che possono aver favorito durante l infanzia lo sviluppo di atteggiamenti ostili ed aggressivi verso l ambiente, sono i risultati di un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento da parte dei genitori ed, in particolare, della figura che principalmente si prende cura del bambino nei primi anni di età (in genere la madre). Un atteggiamento educativo permissivo e tollerante invece non pone chiari limiti al comportamento del bambino, sia esso aggressivo o sregolato. In sostanza, l uso coercitivo del potere da parte del genitore, poco amore, poca cura e troppa libertà nell infanzia sembrano essere le condizioni che contribuiscono fortemente allo sviluppo di un modello 22

23 Il bullismo come fenomeno psicosociale aggressivo. L ambiente familiare, oltre a favorire l origine di certi atteggiamenti, rinforza tali modalità di relazione prepotenti durante tutta la crescita del ragazzo: mentre le vittime sono accomunate da uno stile educativo parentale di indifferenza, i bulli sono spesso oggetto di un atteggiamento di approvazione da parte dei familiari. Vi sono poi spesso problemi familiari di fondo: rapporti conflittuali tra i genitori, divorzio, disturbi psichiatrici, alcolismo, tossicodipendenza, ecc. Sia in Italia che in Inghilterra i soggetti implicati nel bullismo presentano alcune caratteristiche simili per quanto riguarda la rete dei rapporti familiari: nelle famiglie dei bambini bulli risulta spesso l assenza del padre naturale a casa, un basso grado di coesione sia tra i genitori che tra il bambino ed ogni genitore; questa invece risulta più alta nel caso delle vittime. Mentre si è visto che il grado di istruzione dei genitori ed il livello socio-economico non sembrano correlati alle condotte dei figli, a livello sociale i fattori di gruppo favoriscono l emergere di comportamenti aggressivi e passivi fra ragazzi. All interno del gruppo si assiste ad un indebolimento del controllo e dell inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi, anche coloro che generalmente non lo sono, lo possano diventare spingendo il gruppo verso la ricerca di una vittima. Risulta evidente da molti studi che, sia nei ragazzi che negli adulti, il comportamento aggressivo può essere stimolato dall osservazione degli atteggiamenti e dei comportamenti di un modello che agisce aggressivamente e ancor più se questo viene valutato positivamente dall osservatore come duro, coraggioso e forte. L osservazione di un modello che viene ricompensato per il comportamento aggressivo porta ad una diminuzione delle inibizioni dell osservatore nei confronti della propria aggressività. Nel bullismo questo meccanismo agisce in quanto il bullo (modello) viene ricompensato dalla vittoria riportata sulla vittima, ed inoltre il suo comportamento risulta produrre scarse conseguenze negative da parte sia degli insegnanti che dei genitori e dei coetanei. Maggiormente influenzabili in tal senso sono i ragazzi insicuri e dipendenti (passivi, gregari), che non godono di considerazione all interno del gruppo dei coetanei e desiderano affermarsi. Questo processo può essere definito contagio sociale. Infine, certi studenti non aggressivi possono partecipare ad episodi di bullismo per una diminuzione e diluizione del senso di responsabilità individuale che riduce il senso di colpa dopo l episodio collettivo; questo può accompagnarsi ad una distorsione cognitiva che porta a percepire gradualmente la vittima come persona incapace, che merita di essere molestata. La recente individuazione di altre figure che agiscono le prepotenze, o che le assistono, ha permesso di comprendere come il processo di cristallizzazione della relazione sia più probabile. E proprio di questo gran numero di soggetti coinvolti nel fenomeno che si sta sempre più tenendo conto per contrastare il bullismo. Il contesto relazionale che si produce con il bullismo è tipico di un sistema chiuso, problematico che non ha trovato sbocchi per uno sviluppo evolutivo corretto della relazione tra pari. In assenza di ciò prendono spazio le dinamiche negative dove i rapporti interni tra i compagni si ritualizzano in comportamenti di sopraffazione e svalorizzazione dell altro, di passività e d impotenza, oppure in atteggiamenti d indifferenza e di non intervento. In generale qualsiasi gruppo produce sia identità individuali, sia identità di gruppo che si possono, talvolta, fissare in relazioni e comportamenti ripetitivi e negativi, assegnando ruoli, stereotipi ed etichette che durano nel tempo. Il bullismo, come fenomeno che si genera e si mantiene nel gruppo classe, non fa eccezione. La scuola ha un ruolo fondamentale nei processi di adattamento/disadattamento dei 23

24 Il bullismo come fenomeno psicosociale bambini e dei ragazzi, poiché assume notevole rilevanza ponendosi come fattore di protezione o di rischio rispetto ai possibili percorsi evolutivi. La qualità dell esperienza scolastica viene qui intesa in senso globale: non solo come successo o insuccesso scolastico, ma anche come socializzazione, condivisione di esperienze, partecipazione, crescita cognitiva ed affettiva del singolo e del gruppo. Le condizioni della scuola e la sua organizzazione possono costituire un elemento di prevenzione o di aggravio delle dinamiche di prevaricazione. Nel contesto extrascolastico un ragazzo che subisce una prepotenza può scegliere di non stare più con quel gruppo; a scuola ciò non è possibile, essendo obbligato a condividere con gli stessi compagni almeno un intero anno scolastico. Per la vittima di prepotenze tutto ciò ha conseguenze a breve e a lungo termine. Spesso la vittima non trova le condizioni per il riscatto, perché non ci sono né condizioni ambientali di tutela fisica, né l aiuto di un adulto che interrompa la routine. Il bullo non trova, invece, il contenimento necessario all impulsività e all aggressività, in un contesto in cui si sente perfettamente a proprio agio e che gli appare senza regole; non trova adulti che lo possano aiutare a raggiungere la consapevolezza e ad uscire dal ruolo che si è costruito e che talvolta è l unico modo che conosce per socializzare (Costantini, 2000). Alcune ricerche hanno dimostrato che non esiste correlazione tra la frequenza degli episodi di bullismo e l ampiezza della scuola e della classe, né tanto meno che il fenomeno si manifesti con maggior incidenza nelle grandi città. Per concludere, sembra essere fondamentale l attenzione dell adulto ai processi relazionali e alle dinamiche interpersonali che si stabiliscono all interno della scuola. Le statistiche riferiscono che un bambino su tre all interno della scuola dell obbligo subisce prepotenze, e se è vero che poi il numero di ragazzi coinvolti diminuisce al passaggio alla scuola secondaria, è altrettanto vero che i protagonisti del fenomeno vanno incontro ad un alto rischio psicosociale. Alcuni studi condotti longitudinalmente hanno cercato di affrontare l argomento ed hanno portato a disegnare per lo più scenari di tipo disadattivo. Non stupisce che i bulli, avendo una certa incapacità a rispettare le regole, incorrano più facilmente in comportamenti problematici, quali abuso di alcool o di altre sostanze, e in azioni criminali. Lo status di adulto antisociale o deviante deriva sicuramente dalla loro condotta impulsiva, irrequieta ed aggressiva, ma anche dalla reputazione agli occhi di chi li circonda: i bulli non possono comportarsi in altro modo in quanto da loro ci si aspetta solo questo. Le vittime manifestano, invece, a lungo termine un maggior numero di episodi depressivi, una stima di sé più bassa, un elevata percentuale di abbandoni scolastici, problemi nel realizzarsi in ambito professionale e un maggior numero di suicidi. I nostri protagonisti poggiano quindi su una struttura disadattiva, che si articolata diversamente. Entrambi, cioè, si differenziano dai compagni non coinvolti nel fenomeno per evidenti connotazioni maladattive, che nei bulli si traducono talvolta in disturbi nella condotta e nelle vittime più probabilmente in disturbi affettivi. Si può, in ultimo, sottolineare che l estensione o la riduzione del fenomeno del bullismo dipende in buona parte dalla volontà e dal coinvolgimento degli adulti interessati, sia familiari che educatori, poiché hanno la possibilità, oltre che la responsabilità, di assicurare al bambino le condizioni migliori per il suo sviluppo e di favorire la consapevolezza dei valori della socialità fin dall infanzia. 24

25 Il bullismo come fenomeno psicosociale 1.4 L entità del fenomeno. I dati internazionali ed italiani Il bullismo è stato studiato a livello internazionale (Olweus, 1978; Slee, Murray-Harvey, Saebel, Taki, 1997; Rigby, 1997; Whitney e Smith, 1993) e i dati hanno mostrato che porzioni significative della popolazione scolastica di diverse nazioni sono coinvolte nel fenomeno delle prepotenze. In Norvegia e in Spagna il 15% degli alunni sembra essere implicato in episodi di bullismo, in Irlanda l 8%, nel Regno Unito il 27%, in Giappone il 12,5% e in Canada il 20% (Fonzi, 1997). Nello specifico, i Paesi della Scandinavia sono stati i primi a occuparsi del problema del bullismo. Nel 1983 all interno di una campagna nazionale antibullismo, promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione norvegese, furono coinvolte 715 scuole per un arco di età che variava dagli 8 ai 16 anni. Per l occasione fu utilizzato un questionario appositamente creato da Olweus (Olweus, 1979, 1991). Dai risultati emergeva che circa il 15% del campione complessivo era stato coinvolto nel fenomeno del bullismo: approssimativamente il 9% degli studenti rientrava nella categoria di vittima, il 7% in quella di bullo. La più grande e vasta indagine che coinvolse più di alunni di scuola elementare e media fu condotta in Gran Bretagna da Whitney e Smith nel Secondo i risultati ottenuti il 27% degli alunni di scuola elementare e il 10% di quelli di scuola media affermavano di essere stati vittima di prepotenza durante il periodo scolastico, mentre i bulli risultavano essere il 12% del campione nella scuola elementare e il 6% nella scuola media. Dal 1999 al 2002 il fenomeno è stato indagato anche in Paesi non Europei come Israele, Giappone e Stati Uniti. A Gerusalemme è stata condotta un indagine che ha coinvolto circa ragazzi tra i 14 e 16 anni e gli indici del fenomeno sono risultati molto elevati. Infatti il 39,5% delle ragazze e il 50,3% dei ragazzi hanno dichiarato di subire azioni bullistiche, mentre il 27,0% delle ragazze e il 57,1% dei ragazzi ha affermato di agirle (Gofin, Palti e Gordon, 2002). In Giappone la percentuale di vittime è del 12,7% per i ragazzi e dell 8,3% per le ragazze, mentre i bulli dichiarati sono il 6,7% dei maschi e il 12,4 % delle femmine (Smith, Morita, e al., 1999). Infine negli Stati Uniti si stima che quasi il 30% dei giovani (oltre 5,7 milioni), nonostante assuma forme differenti a seconda di maschi e femmine, sia coinvolto in fenomeni di bullismo come bullo, come vittima o bullo e vittima nello stesso tempo. Prima di passare ad illustrare la situazione italiana abbiamo scelto di presentare una breve carrellata del fenomeno a livello internazionale per mostrare come, al di là delle differenze culturali e di contesto, il bullismo sia un fenomeno presente nelle società industriali avanzate che segnala una situazione più complessa di disagio sulla quale è necessario intervenire (Iannacone, 2005). Il primo progetto di ricerca sul fenomeno del bullismo in Italia risale al 1993, curato da Ada Fonzi, coinvolse scolari delle ultime tre classi delle scuole elementari e delle tre classi della scuola media. A tale progetto ne sono seguiti altri e allo stato attuale disponiamo di dati che riguardano molte città italiane distribuiti in tutta la penisola (Iannacone, 2005). Dovendo fare una sintesi delle ricerche si può affermare che in Italia il fenomeno sembra avere dimensioni più elevate rispetto ai dati degli altri paesi europei, sia per quanto riguarda i prevaricatori che per quanto riguarda le vittime. Circa il 40% degli studenti di scuola elementare e il 28% degli studenti di scuola media dichiara d aver subito delle prepotenze qualche volta o piuttosto spesso, mentre il 20% e il 15% dichiara di aver inflitto prepotenze ad altri compagni con la stessa frequenza 25

26 Il bullismo come fenomeno psicosociale (Menesini et al., 1997). Si nota quindi una significativa diminuzione della percentuale nel passaggio dalla scuola elementare a quella media. Allo stato attuale, disponiamo di dati sulle ultime classi delle scuole elementari e sulle scuole medie relativi a tutta penisola. Si può vedere dalla tab. 1 che il bullismo è ampiamente diffuso nelle scuole italiane, seppur con differenze di rilevo tra le diverse province. Tab.1 Scuole Elementari* Scuole Medie Prepotenze subite Prepotenze agite Prepotenze subite Prepotenze agite M ** F** M F M F M F Torino 35,1% 35,2% 30,4% 24,8% 19,2% 16,5% 21,7% 10,0% Milano 51,9% 48,3% 48,5% 39,5% 32,0% 29,8% 37,9% 30,9% Bologna 46,5% 37,1% 34,9% 31,5% Nd Nd Nd Nd Firenze 41,0% 50,6% 33,3% 13,5% 29,2% 31,2% 28,5% 15,1% Roma Nd Nd Nd Nd 14,4% 19,4% 20,5% 12,8% Napoli 50,1% 45,6% 43,6% 31,9% 29,6% 32,3% 33,1% 30,3% Cosenza 21,9% 16,8% 13,8% 6,7% 10,6% 16,9% 10,9% 8,4% Palermo 39,4% 39,6% 26,6% 31,8% 17,5% 25,7% 19,9% 20,2% Cagliari 57,5% 30,7% 42,4% 19,4% Nd Nd Nd Nd *Classi terze, quarte e quinte ** M (maschi); F (femmine) Fonte: Iannacone (2005). Il Bullismo scolastico. Un fenomeno da prevenire e contrastare. Queste ricerche sono nate per rispondere ad esigenze locali, pertanto, il quadro riportato dalla tabella non deriva da un progetto di ricerca su scala nazionale finalizzato a rilevare e monitorare il fenomeno nel nostro paese. È importante sottolineare, inoltre, che i dati sul bullismo relativi alle scuole superiori siano davvero ridotti, nonostante segnalazioni e fatti di cronaca mettano in luce come esso riguardi non solo fasce di età inferiori. Indagini nazionali che includono anche ragazzi delle scuole superiori, sono state realizzate dal Telefono Azzurro e da Eurispes ( Rapporto Nazionale sulla Condizione dell Infanzia e dell Adolescenza ). I dati pubblicati nel 5 Rapporto (2004) indicano che il 33% degli intervistati, la cui età è compresa tra i 12 e i 18 anni, ha dichiarato che nella propria scuola si verificano continui atti di prepotenza nei confronti dei compagni. La stessa indagine è stata ripetuta nel 2005 e, in base al 6 Rapporto Eurispes-Telefono Azzurro, emerge che circa il 40% dei ragazzi delle elementari, il 25% delle scuole medie e il 15% delle scuole superiori ha subito soprusi e prevaricazioni dai propri compagni. Le prepotenze subite risultano essere per il 26,5% di natura fisica e per il 39,2% di natura verbale. Scendendo ancora di più nello specifico possiamo notare come, per la maggior parte di casi relativi alle prepotenze verbali, i bulli ricorrano a prese in giro (41,9%), ad offese (30,1%), a mettere in giro voci sul conto delle loro vittime (23,9%). In relazione alle prepotenze di tipo fisico i bulli ricorrono spesso a pugni e spinte (16,9%). Per quanto riguarda la comunicazione della prepotenza subita, una larga fetta del campione dichiara di non dirlo a nessuno (46,4% in relazione ad adulti della scuola, 36,4% in relazione ad adulti di casa, 26

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