Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud ) , n Svolgimento del processo

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1 Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud ) , n Svolgimento del processo 1. Il difensore di M.R. propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d'appello di Genova, emessa il 7 ottobre 2013, che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Genova, del 17 novembre 2009, appellata dall'imputato e dal Procuratore generale, qualificato il fatto contestato al capo a) n. 2, ai sensi dell'art. 216 legge fallimentare e qualificato il fatto contestato al capo b), ai sensi dell'art. 217 legge fallimentare, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante ai sensi dell'art. 219, comma 2, n. 1 legge fallimentare, riduceva la pena ad anni due di reclusione. Con la decisione di primo grado M.R. era stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo a) n. 2, diversamente qualificato come violazione dell'art. 217, n. 1 legge fallimentare, nonchè dei reati di cui ai capi b) e c) con le aggravanti equivalenti a quella di cui all'art. 219, comma 2, n. 1 legge fallimentare, contestata in fatto, ed era stato assolto per le altre ipotesi previste dal capo a), diverse dalla fattispecie di cui al n. 2. La vicenda riguardava l'imputazione per bancarotta fraudolenta per distrazione, compiuta da M. R., quale amministratore unico dal 4 novembre 2002 al 17 febbraio 2004, della società Porto Antico S.r.l., esercente attività di gestione di agenzie di viaggio, dichiarata fallita il 1 luglio 2004, realizzata attraverso l'acquisto, dalla società Leandro S.r.l., di numerosi viaggi vacanza, per sè e per i familiari e collaboratori, propri e del coimputato C.L. (amministratore di fatto), per complessivi Euro , in parte estinti mediante compensazione con crediti sociali (capo a) n. 2), nonchè l'ipotesi di bancarotta documentale poichè, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, teneva le scritture contabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione, attesa la totale mancanza dei libri sociali e l'assenza in contabilità della traccia dei movimenti finanziari e delle compensazioni, tra crediti e debiti, di cui al precedente capo di imputazione (capo b), nonchè per il reato di cui all'art. 224, n. 2 e art. 217, n. 4 della legge fallimentare, per avere concorso ad aggravare il dissesto della società astenendosi dal richiedere tempestivamente la dichiarazione di fallimento (capo c).

2 2. Il Tribunale aveva diversamente qualificato la residua ipotesi di cui al capo a), in quella meno grave prevista dall'art. 217, n. 1 legge fallimentare, assolvendo l'imputato per le altre ipotesi distrattive. 3. Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello M., chiedendo l'assoluzione e la valutazione delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza, e il Procuratore generale, lamentando l'ingiustificata concessione delle attenuanti generiche e la mitezza delle pene inflitte. 4. La Corte d'appello ha ritenuto che la condotta di cui al capo a) n. 2, trattandosi di società di capitali, doveva qualificarsi, così come originariamente indicato nella richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell'art. 216 legge fallimentare, mentre la condotta di cui al capo b) doveva qualificarsi bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 217, comma 2, legge fallimentare. Quanto al profilo sanzionatorio ha accolto le doglianze dell'imputato appellante. 5. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore di M.R., lamentando: - violazione di legge, ai sensi degli artt. 216 e 223 della legge fallimentare, con riferimento al capo a) n. 2 della rubrica, atteso il mancato coinvolgimento dell'imputato nelle condotte delittuose; - violazione degli artt. 217 e 224, con riferimento ai capi b) e c), attesa la riferibilità della gestione societaria alla esclusiva posizione del coimputato C.. Motivi della decisione La sentenza impugnata non merita censura.

3 1. Preliminarmente va rilevato che, con riferimento ai reati di cui ai capi b) e c) di imputazione, è maturato il termine di prescrizione. I reati di cui all'art. 217 della legge fallimentare sono stati consumati il 7 luglio 2004 e, quindi, il termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, con la sospensione di anni uno e giorni otto, è maturato alla data del 3 settembre 2013, ma l'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more (Sez. 2, n del 08/05/ dep. 08/07/2013, Ciaffoni, Rv ). La censura, infatti, è, per il primo motivo manifestamente infondata perchè contraria alla documentazione in atti e per il secondo motivo, generica ed acriticamente ripetitiva dei motivi di appello, con i quali non si confronta in alcun modo. 2. Con il primo motivo la difesa rileva che, mentre il giudice di primo grado aveva condannato M. per il reato previsto all'art. 217, comma 1, n. 2 legge fallimentare, con riferimento al capo a), la Corte territoriale ha qualificato quella condotta come ipotesi di bancarotta fraudolenta poichè, trattandosi di società di capitali, la sola distrazione rilevante è quella che riguarda il patrimonio della società, non potendosi ipotizzare le condotte previste per la bancarotta semplice, limitate ai soli casi di attività di impresa esercitata in maniera individuale. Rispetto a tale assunto la difesa deduce che, come emergerebbe dalla relazione del curatore, le spese di natura privata relativa ai viaggi e ai soggiorni, riguardavano soltanto i familiari del coimputato C., con conseguente mancanza di responsabilità dell'imputato che non aveva mai avuto consapevolezza dell'attività delittuosa posta in essere dall'amministratore di fatto. 3. Con il secondo motivo, relativo ai capi b) e c), lamenta violazione degli artt. 217 e 224 della legge fallimentare, deducendo che M., escluso dalla gestione della società fallita e dalla contabilità della stessa, non era in grado di conoscere le anomalie relative alla contabilità, trattandosi di condotte esclusivamente riferibili alla posizione dell'amministratore di fatto, C. L.. 4. Il primo motivo è manifestamente infondato. Come evidenziato anche dalla difesa, la Corte territoriale sostiene che la fattispecie relativa alla bancarotta semplice ex art. 217 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) per spese personali eccessive, non è applicabile all'amministratore di società di capitali.

4 5. La motivazione appare incensurabile avendo fatto corretta applicazione del principio secondo cui la nozione di "spese personali eccessive" richiamata dal citato art. 217, disciplinando e punendo le spese personali eccessive dell'imprenditore dichiarato fallito, è tipicamente riferibile all'imprenditore individuale e non anche all'amministratore societario. Questi, invero, non può essere ritenuto legittimato a spese personali, neppure se non eccessive, mentre può essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre ipotesi di cui al citato art. 217, nn. 4 e 5, che, in tali limiti, deve intendersi richiamata dall'art. 224 della medesima normativa con riferimento all'amministratore di società dichiarata fallita (Cass. Sez 5, 30 ottobre 2013 n ). 6. Devono, infatti, considerarsi spese "eccessive", quelle spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e più o meno connesse alla vita dell'azienda, risultano sproporzionate rispetto alla capacità economica dell'imprenditore. 7. Per il resto, la prospettazione del ricorrente è contraria ai fatti documentalmente accertati dalla Corte territoriale la quale, come motivazione puntuale e completa, ha evidenziato che i viaggi e soggiorni alberghieri erano stati compiuti, sia da M. direttamente, che dal coimputato C.L., anche in compagnia di parenti e familiari, di entrambi, come risulta dall'allegato n. 26 della relazione del curatore, contenente il prospetto dei viaggi organizzati dalla società Leandro Viaggi. Sotto tale profilo il ricorrente, con evidente vizio di autosufficienza, si è limitato a dedurre il mancato coinvolgimento proprio e dei familiari delle spese eccessive (circa Euro ) relative a viaggi e soggiorni, senza documentare in alcun modo tale circostanza, con l'allegazione o il richiamo in copia della relazione del curatore, nella parte relativa al prospetto delle spese di viaggio. 8. Quanto al secondo motivo, con riferimento al capo b), le censure sono manifestamente infondate poichè, come puntualmente evidenziato dalla Corte territoriale, anche attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado, dalla relazione del curatore fallimentare e dalle dichiarazioni rese in udienza, emerge l'assoluta inattendibilità della contabilità in quanto non risultano i movimenti finanziari della società fallita. La società aveva il libro giornale ed i registri IVA, ma non era stata effettuata nessuna registrazione, in particolare riguardo i consistenti pagamenti effettuati per i viaggi oggetto di imputazione. Sotto tale profilo, pertanto, l'affermazione di responsabilità dell'imputato è del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'amministratore di diritto risponde del reato di

5 bancarotta, anche laddove sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture. Con riferimento al capo c) il ricorso è assolutamente generico, poichè la difesa si limita a ribadire quanto già dedotto riguardo alla differente ipotesi oggetto del precedente capo b), senza confrontarsi in alcun modo con le puntuali argomentazioni poste a sostegno della sentenza di appello. In ogni caso, occorre prendere atto che non è vi è contestazione in ordine alla materialità del fatto e non vi sono censure riguardo ai dati documentali e contabili richiamati in sentenza, dai quali emerge, come adeguatamente evidenziato dalla Corte territoriale, il dato oggettivo, riferito già all'anno 2002, di una perdita superiore al capitale sociale, in assenza di provvedimenti idonei a porre rimedio a tale anomali. Inoltre, nell'anno 2003, risultano emesse fatture relative a operazioni inesistenti per ridurre le perdite. 9. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro in favore della Cassa delle Ammende.

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