CORTE D APPELLO DI TORINO. Il regime della connessione fra procedimenti soggetti al rito del lavoro e procedimenti soggetti al rito ordinario

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1 CORTE D APPELLO DI TORINO Ufficio dei Referenti per la Formazione Decentrata Convegno di studio sul tema: L obiettivo sulla riforma processuale Torino, 24 novembre 2001 Il regime della connessione fra procedimenti soggetti al rito del lavoro e procedimenti soggetti al rito ordinario Relatore dott. Federico GRILLO PASQUARELLI Giudice del Tribunale di Torino Sezione Lavoro

2 Il regime della connessione fra procedimenti soggetti al rito del lavoro e procedimenti soggetti al rito ordinario SOMMARIO: 1. La disciplina originaria dell art. 40 c.p.c.. 2. Le innovazioni introdotte dalla legge n. 353/ Art. 40, 3 comma: ambito di applicazione. 4. Individuazione dei riti speciali. 5. Criteri di prevalenza fra rito ordinario e riti speciali. 6. Art. 40, 4 comma: criteri di prevalenza fra differenti riti speciali. 7. Effetti della prevalenza del rito del lavoro. 8. Art. 40, 5 comma: conversione del rito. 9. Le ulteriori innovazioni introdotte dalla legge n. 374/ I primi due commi dell art. 40 del codice di procedura civile, rimasti invariati, prescrivono le modalità per consentire che più cause, pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, che possono essere decise in un unico processo per ragioni di connessione, siano riunite di fronte ad un unico giudice. Si tratta delle stesse ipotesi disciplinate dagli artt. da 31 a 36 - cause accessorie (art. 31), cause di garanzia (art. 32), cumulo soggettivo (art. 33), accertamenti incidentali (art. 34), eccezione di compensazione (art. 35), cause riconvenzionali (art. 36) con la differenza che gli artt. da 31 a 36 presuppongono che le cause connesse siano state proposte cumulativamente nello stesso processo davanti allo stesso giudice, mentre l art. 40 presuppone che le cause connesse si trovino pendenti di fronte ad uffici giudiziari diversi ed istituisce, quindi, un meccanismo per consentire che esse siano riunite davanti allo stesso giudice. 2

3 La funzione dell art. 40 è, quindi, quella di realizzare il simultaneus processus, per finalità di economia processuale e di coordinamento delle decisioni. Ad analoghe esigenze rispondono, oltre alle norme sulla connessione (artt ), anche le norme sulla litispendenza e continenza di cause (art. 39) e quelle sulla riunione dei procedimenti (artt. 273 e 274). Come l art. 39, che disciplina la litispendenza e la continenza tra cause pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, trova il suo pendant nell art. 273, che ordina la riunione dei procedimenti quando la litispendenza o la continenza sussistono fra cause pendenti davanti allo stesso giudice (1 comma) o davanti a giudici diversi appartenenti allo stesso ufficio giudiziario (2 comma), così l art. 40, che realizza la riunione di cause connesse pendenti davanti a uffici giudiziari diversi, trova il suo pendant nell art. 274, che consente la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse che pendono davanti allo stesso giudice (1 comma) o davanti a giudici diversi dello stesso ufficio giudiziario (2 comma). La connessione, peraltro, non è un presupposto processuale, ma un istituto che risponde ad esigenze (di economia processuale e di coordinamento delle decisioni) il cui rispetto non costituisce un requisito della pronuncia nel merito; quindi, mentre la presenza di una litispendenza o di una continenza di cause è rilevabile anche d ufficio in ogni stato e grado del processo ed impedisce la pronuncia di merito sicché, se il giudice decide ugualmente la causa, la sentenza è nulla la presenza di una causa di connessione non rende nullo il processo, anche se la riunione delle cause connesse non viene disposta. 3

4 Le condizioni perché possa operare la riunione delle cause connesse sono indicate nell art. 40, 2 comma: anzitutto, la connessione deve essere eccepita dalle parti, o rilevata d ufficio, non oltre la prima udienza della causa proposta successivamente; inoltre, la riunione non può essere disposta quando la causa proposta preventivamente si trova già in uno stato di istruttoria avanzato, tale da non consentire la trattazione esauriente della causa che ad essa dovrebbe essere riunita. Quando sussistono entrambe tali condizioni, la connessione opera secondo il meccanismo delineato dall art. 40, 1 comma: il giudice pronuncia sentenza, chiudendo il processo davanti a sé, con la quale fissa un termine perentorio per la riassunzione cioè per la prosecuzione del processo della causa proposta successivamente davanti al giudice della causa proposta per prima, ovvero per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale. Il giudice preventivamente adito, o il giudice della causa principale, viene così ad essere investito della trattazione e della decisione di entrambe le controversie connesse, quella che già pendeva davanti a lui e quella che ad essa viene riunita. La riunione delle cause connesse può avvenire anche in deroga alle norme ordinarie sulla competenza, nella stessa logica degli artt , al fine di consentire la realizzazione del simultaneus processus: in linea di massima, e salvo eccezioni, si può dire che le deroghe alla competenza per ragioni di connessione sono possibili con riguardo alla competenza per territorio semplice ed a quella per valore (ma soltanto all insù, cioè in favore del giudice superiore), ma non anche riguardo alla competenza per materia e alla competenza per territorio funzionale. 4

5 Le sentenze con le quali viene dichiarata la litispendenza o la connessione sono da considerarsi pronunce sulla competenza, e sono quindi impugnabili con il regolamento di competenza (art. 42 c.p.c.). 2. In un sistema processuale complesso, che prevede una molteplicità di riti per i diversi tipi di controversie, la trattazione congiunta delle cause connesse, che le disposizioni sopra esaminate intendono favorire, può trovare ostacolo nella diversità del rito previsto per una o per alcune di esse. Allo scopo di superare tale ostacolo la legge di riforma n. 353/1990 ha aggiunto all art. 40 tre nuovi commi (il 3, il 4 e il 5 ), entrati in vigore il , destinati ad assicurare che le cause connesse possano essere trattate unitariamente anche nell ipotesi in cui esse siano sottoposte a riti differenti. L introduzione di tali disposizioni rappresenta una novità significativa perché, in base al testo originario dell art. 40 c.p.c., l ostacolo costituito dalla diversità del rito era ritenuto insormontabile, con la conseguenza che il giudice doveva sospendere il giudizio sulla causa dipendente, ai sensi dell art. 295 c.p.c., in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato del processo sulla causa pregiudiziale, con il che si offriva alla parte interessata a ritardare la definizione del giudizio un formidabile strumento per rinviare nel tempo l emanazione della sentenza sul rapporto pregiudicato. Lo scopo dell intervento di riforma sull art. 40 è dunque ravvisabile proprio nella volontà del legislatore di ridurre la sfera di applicazione dell istituto della sospensione necessaria per pregiudizialità, attenuandone 5

6 così gli effetti lesivi del diritto costituzionale ad un provvedimento di merito in tempi ragionevoli. La nuova normativa, tuttavia, concerne unicamente il rito e non anche la competenza: i tre nuovi commi dell art. 40 si limitano a dettare i criteri di individuazione del rito applicabile nell ipotesi di cause connesse assoggettate a riti differenti, senza incidere sulla disciplina della competenza, e contemplano quindi deroghe al rito applicabile ma non anche deroghe circa la competenza (così, espressamente, Cass n. 898). In altre parole, può dirsi che le nuove disposizioni entrano in gioco solo se si sia già constatata la possibilità di concentrare le cause connesse davanti allo stesso ufficio giudiziario, che sia originariamente competente per tutte, o che lo sia diventato in applicazione dei criteri di competenza per connessione di cui agli artt. 31 e ss.. 3. Il nuovo terzo comma dell art. 40 stabilisce che nei casi previsti negli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli artt. 409 e 442. Un primo problema concerne l ambito di applicazione della nuova disciplina. Si rileva immediatamente che la norma non riguarda tutti i casi di modificazioni della competenza per ragioni di connessione: essa, infatti, richiama gli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 (ossia le figure dell accessorietà, della garanzia, della pregiudizialità, della compensazione e della riconvenzione), e non richiama invece l art. 33, cioè il cumulo soggettivo, che si verifica 6

7 quando tra più cause, proposte contro più persone, esiste connessione per l oggetto (petitum) o per il titolo (causa petendi), ovvero il litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.). Il legislatore appare quindi avere accolto la distinzione dottrinale tra la figura della connessione per coordinazione, in cui la trattazione simultanea delle cause dipende dalla volontà delle parti e la separazione è sempre possibile col solo rischio della contraddizione logica tra giudicati, e la figura della connessione per subordinazione, per la quale il pregiudizio che discende dalla mancata attuazione del processo simultaneo può tradursi o nell impossibilità temporanea della trattazione e decisione di una delle cause (e dare luogo alla sospensione necessaria del processo dipendente, ex art. 295 c.p.c.) ovvero nell eventuale conflitto pratico di giudicati. Restano quindi escluse dall ambito di applicazione dell art. 40, 3 comma, le fattispecie del cumulo soggettivo ex art. 33 e del cumulo oggettivo ex art. 104 (pluralità di domande contro la stessa parte, non altrimenti connesse), entrambe rientranti nella figura della connessione per coordinazione, perché non si può ammettere che il mutamento del rito (da ordinario a speciale) imposto dalla norma in esame sia opera di una mera scelta dell attore nelle cause non connesse, o collegate tra loro da un mero vincolo di coordinazione e non da un più intenso legame di subordinazione, ovvero che sia frutto di una scelta che comporterebbe, oltretutto, una violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, sancito dall art. 25 Cost. (per queste considerazioni, v. Cass n ). 7

8 Ne deriva che se il rito è diverso, le cause connesse soltanto per l oggetto o per il titolo (artt. 33 e 103), e le cause contro la stessa parte non altrimenti connesse (art. 104) non possono essere trattate congiuntamente. Si pensi all ipotesi in cui un lavoratore subordinato, che ha subito un infortunio sul lavoro a causa, ad un tempo, dell inosservanza delle norme antinfortunistiche da parte del datore di lavoro e del comportamento colposo di un terzo, chieda il risarcimento dei danni sia nei confronti del datore di lavoro ex art c.c. sia nei confronti del terzo ex art c.c.; fra le due cause c è una connessione oggettiva per il titolo in quanto il medesimo fatto storico (l infortunio) costituisce la causa petendi di entrambe le azioni; la causa verso il datore di lavoro è soggetta al rito del lavoro, mentre quella verso il terzo è soggetta al rito ordinario; pertanto, non è possibile la loro trattazione congiunta, poiché l art. 40, 3 comma, non richiama, fra le ipotesi di deroga al rito, anche la connessione oggettiva che dà luogo al cumulo soggettivo ex art. 33. Nei casi in cui, viceversa, le cause connesse possono essere trattate congiuntamente, la disciplina dell art. 40, 3 comma, si applica a tutti i casi di simultaneus processus, sia che esso si realizzi fin dall inizio attraverso la proposizione di più domande nell unico processo (artt , con l eccezione appena vista dell art. 33), sia che esso si realizzi in virtù della riunione di più cause, proposte separatamente e successivamente riunite, e in quest ultimo caso sia che la loro riunione avvenga ai sensi dell art. 40, 1 e 2 comma (cause pendenti davanti a uffici giudiziari diversi) sia che avvenga ai sensi dell art. 274 (cause pendenti davanti allo stesso giudice o davanti a giudici diversi dello stesso ufficio giudiziario). 8

9 4. Il secondo problema consiste nell individuazione di ciò che si deve intendere per rito speciale : la locuzione è di uso corrente per le controversie individuali di lavoro, per le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie e per le controversie in materia di locazione di immobili urbani, ma non ne è rinvenibile una definizione legislativa. Per rito speciale deve certamente intendersi un rito speciale nelle forme, ma a cognizione piena ed ordinaria. In tal senso è speciale, appunto, il rito del lavoro, ma non sono riti speciali quelli che il codice di procedura civile denomina procedimenti speciali e disciplina nel Libro Quarto. Tra questi ultimi sono compresi quei procedimenti che, oltre ad essere differenziati nelle forme, sono fondati sulla tecnica della cognizione sommaria: è il caso dei procedimenti cautelari (artt. 669 bis e ss. c.p.c.), ivi compresi i procedimenti possessori e quelli di denuncia di nuova opera e di danno temuto. Qui non è nemmeno ipotizzabile la fattispecie della connessione perché manca il presupposto essenziale dell istituto, che è dato dalla pendenza di più cause, intese come procedimenti contenziosi volti all accertamento dei diritti con efficacia di giudicato. Vi sono poi procedimenti speciali disciplinati anch essi nel Libro Quarto del codice di rito o in disposizioni extra-codicistiche fondati su una cognizione sommaria, ma che si concludono con un provvedimento potenzialmente idoneo ad acquisire efficacia di giudicato: è il caso del procedimento di ingiunzione (artt. 633 e ss. c.p.c.), del procedimento per convalida di sfratto (artt. 657 e ss. c.p.c.), del procedimento di repressione 9

10 della condotta antisindacale (art. 28 della legge n. 300/1970). Qui il presupposto della connessione e il conseguente problema del rito applicabile possono presentarsi soltanto nella successiva fase eventuale, a cognizione piena, e così con riferimento alla fase di opposizione a decreto ingiuntivo, di opposizione alla convalida, di opposizione al decreto ex art. 28 legge n. 300/1970; in questa stessa prospettiva sembra potersi inquadrare anche il procedimento sommario di verificazione dello stato passivo (artt. 93 e ss. della legge fallimentare), con conseguente operare della connessione solo nella fase di cognizione piena, ossia nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da un creditore escluso o ammesso con riserva (artt. 98 e ss. legge fall.) o nel giudizio di impugnazione dei crediti ammessi (art. 100 legge fall.). Non è idoneo alla formazione del giudicato sostanziale sulla pretesa il processo esecutivo, che pertanto non può rientrare nei riti speciali considerati dall art. 40, 3 comma; anche qui, peraltro, il mutamento di rito per connessione potrà avere luogo nelle fasi eventuali a cognizione piena, come a seguito dell opposizione all esecuzione o dell opposizione agli atti esecutivi del debitore o del terzo assoggettato all esecuzione (artt. 615 e ss. c.p.c.), che sono normalmente soggette al rito ordinario, a meno che si tratti di opposizioni all esecuzione o agli atti esecutivi nelle materie del lavoro e della previdenza che, in base all art. 618 bis c.p.c. sono appunto disciplinate dal rito speciale previsto per le controversie individuali di lavoro. Certamente, devono considerarsi riti speciali agli effetti dell art. 40, 3 comma, il rito delle controversie individuali di lavoro e di previdenza nonché i riti delle altre cause, diverse da quelle di lavoro e di previdenza, per 10

11 le quali la legge prevede l applicazione, più o meno integrale, del rito del lavoro: le controversie in materia di locazione di immobili urbani (ora disciplinate dal novellato art. 447 bis c.p.c.), le controversie agrarie (art. 47 della legge n. 203/1982 e art. 9 della legge n. 29/1990), le controversie in materia di liquidazione coatta amministrativa di società fiduciarie e di revisione (art. 2 della legge n. 430/1986). É definibile come rito speciale anche il giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione per sanzioni amministrative (art. 23 della legge n. 689/1981). La Relazione ministeriale alla legge di riforma processuale del 1990 parla di rito ordinario in contrapposizione oltreché al rito del lavoro al giudizio di equità e al rito camerale. Il giudizio di equità, tuttavia, è disciplinato dalle norme relative ai poteri del giudice (artt. 112 e ss. c.p.c.), come deroga eccezionale al principio di legalità nelle decisioni giudiziarie, e riguarda soltanto la fase della decisione di un procedimento svoltosi interamente secondo il rito ordinario, sicché il richiamo non può essere condiviso. Quanto al rito camerale, può parlarsi di rito speciale in relazione a quelle controversie contenziose, in materia di diritti soggettivi, che eccezionalmente si svolgono, per espressa disposizione legislativa, con il rito camerale: è il caso delle controversie in materia di modifica delle condizioni di separazione tra i coniugi (art. 710 c.p.c.) o delle condizioni di divorzio (art. 9 della legge n. 898/1970). Non sono ravvisabili rapporti di specialità di rito fra le cause che devono essere decise dal tribunale in composizione collegiale e le cause che devono essere decise in composizione monocratica: il problema della 11

12 connessione tra questi due tipi di cause viene risolto dall art. 281 nonies, che prevede la prevalenza del meccanismo della rimessione al collegio ove siano state trattate cause connesse, salvo il potere del collegio di separarle e di rinviare al giudice monocratico quelle che quest ultimo possa decidere da sé. Non è definibile come rito speciale nemmeno il c.d. vecchio rito tuttora applicabile alle cause instaurate fino al , in conseguenza della disciplina transitoria dettata dal D.L. n. 432/1995 convertito, con modificazioni, nella legge n. 534/1995: nuovo rito e vecchio rito sono, infatti, entrambi riti ordinari, sia pure regolati diversamente dalla legge, che si applicano a controversie differenziate soltanto ratione temporis. In caso di connessione di cause, di cui una assoggettata al vecchio rito ed assegnata alle sezioni stralcio e l altra assoggettata al nuovo rito ed assegnata a giudice togato, il simultaneus processus appare praticabile unicamente davanti al giudice togato perché i giudici onorari delle sezioni stralcio non possono conoscere cause instaurate dopo il il quale tratterà la causa con il vecchio rito, non potendosi applicare ex post, ad una causa di vecchio rito, le preclusioni previste dalla riforma del 1990 per il rito ordinario novellato (in tal senso, v. Trib. Torino, ord , in Foro it., 1999, I, 3389). 5. La regola generale fissata dall art. 40, 3 comma ipotizzando che almeno una delle cause connesse sia assoggettata al rito ordinario è che tutte le cause connesse vanno decise con il rito ordinario, anche quando per una di esse è prevista l adozione di un rito speciale. 12

13 Ma lo stesso 3 comma prevede subito una vistosa eccezione, verosimilmente destinata a soppiantare almeno sotto il profilo statistico - la regola generale: quando una delle cause connesse rientra fra quelle indicate negli artt. 409 e 442, e deve quindi essere decisa con il rito speciale del lavoro, il rito del lavoro ha la prevalenza su quello ordinario. Tale prevalenza, però, è assicurata al rito del lavoro non in sé, ma soltanto in quanto una delle cause connesse sia effettivamente una controversia individuale di lavoro ai sensi dell art. 409 o una controversia previdenziale ai sensi dell art Ciò significa che se la causa connessa è una causa di lavoro o di previdenza si verifica l attrazione a favore del rito speciale del lavoro anche per la causa che avrebbe dovuto essere assoggettata al rito ordinario, mentre se la causa connessa è soggetta al rito del lavoro ma non rientra tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 (perché, ad esempio, è una causa di natura locatizia o agraria) torna ad essere applicabile la regola generale della prevalenza del rito ordinario; infine, nelle ipotesi di connessione tra cause assoggettate al rito ordinario e cause assoggettate a riti speciali diversi da quello del lavoro, si ha sempre attrazione a favore del rito ordinario. La scelta di principio a favore del rito ordinario si giustifica con il rilievo che esso è il rito previsto dal legislatore per la generalità delle controversie e che offre maggiori garanzie di tutela dei diritti difensivi delle parti. La ragione della inversione della regola a proposito delle controversie di lavoro e di previdenza, invece, sta nel fatto che l adozione di un rito speciale per questo tipo di controversie è dettata non da semplici 13

14 regole tecniche o di accelerazione dei processi, ma da esigenze di tutela rafforzata di determinate situazioni sostanziali che trovano il loro riconoscimento al più alto livello dell ordinamento, nei principi fondamentali della Costituzione (v. art. 1, 1 comma, art. 3, 2 comma, art. 4 Cost.). 6. Il nuovo 4 comma dell art. 40 stabilisce che qualora le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore. La prima ipotesi è che i riti delle cause cumulate siano riti speciali diversi, e nessuna di tali cause sia una causa di lavoro o di previdenza. In questi casi le cause vanno trattate con il rito della causa in ragione della quale si determina la competenza, cioè con il rito della causa che ha attratto l altra, o che comunque avrebbe attratto l altra se questa non fosse ricaduta di per sé (cioè, secondo le regole di competenza ordinarie) nella stessa competenza della prima: ciò accade per le ipotesi degli artt. 31 e 32, nelle quali la causa principale attrae sempre quella accessoria o quella di garanzia. Se, invece, tra le due cause non ve ne è una che attragga l altra come accade per le ipotesi, di cui agli artt. 34, 35 e 36, della pregiudizialità, della compensazione e della riconvenzione, nelle quali la potenzialità attrattiva è a doppio senso il criterio può trovare applicazione solo se in concreto le due cause appartengono alla competenza di due giudici diversi e si sia realizzata la deroga alla competenza per connessione; altrimenti, se 14

15 cioè le due cause appartengono sin dall origine alla competenza dello stesso giudice e non vi è quindi una causa in ragione della quale determinare la competenza, dovrà farsi applicazione del criterio subordinato, che dà prevalenza al rito della causa di maggior valore. Anche questo criterio sussidiario, tuttavia, risulta inapplicabile nel caso in cui le due cause connesse, soggette a differenti riti speciali, siano di competenza dello stesso giudice ed abbiano lo stesso valore, o abbiano entrambe valore indeterminabile: l art. 40, 4 comma, non offre alcun criterio per determinare il rito da applicare in questo caso, che forse potrebbe essere risolto applicando per analogia il criterio della prevenzione (art. 40, 1 comma). La seconda ipotesi di concorrenza di riti speciali è che una delle cause cumulate sia una controversia di lavoro o di previdenza, come tale assoggettata al rito speciale del lavoro, e l altra causa sia da trattare con un differente rito speciale (eventualmente, anche il rito del lavoro, ma nei casi in cui esso si applica a cause non di lavoro ): l ipotesi non è specificamente disciplinata dall art. 40, né al 3 comma (che si occupa solo della concorrenza tra rito ordinario e riti speciali) né al 4 comma (che si occupa della concorrenza tra differenti riti speciali, senza però citare espressamente il caso in cui una delle cause connesse sia una controversia di lavoro o di previdenza). Sembra logico pensare che questa ipotesi sfugga alla disciplina del 4 comma e che le cause connesse vadano trattate con il rito del lavoro: se, infatti, il rito delle cause previste dagli artt. 409 e 442 prevale sul rito ordinario, e se il rito ordinario prevale, a sua volta, sugli altri riti speciali, si 15

16 può affermare che il rito delle cause di lavoro per la proprietà transitiva prevale anche sugli altri riti speciali. La soluzione contraria comporterebbe non solo la sottoposizione ad altro rito di cause di lavoro per il fatto di essere connesse con altre cause soggette ad un diverso rito speciale, in violazione dei principi costituzionali su cui si fonda l adozione del rito del lavoro per questo tipo di controversie, ma porterebbe anche a trasferire a giudici diversi da quelli del lavoro controversie che invece, per legge, devono essere trattate da questi ultimi, e quindi si risolverebbe anche in una violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). 7. Attraverso l applicazione dei principi sanciti dai commi 3 e 4 dell art. 40 in materia di modificazioni della competenza per connessione tra cause soggette a riti diversi, vengono portate alla cognizione del giudice del lavoro e sono soggette al rito del lavoro anche controversie che originariamente risultano estranee a quel rito e a quella competenza. Questa disciplina, peraltro, non si riferisce genericamente a tutte le possibili ipotesi di connessione, ma soltanto ad alcune fattispecie determinate. Vi rientrano le cause accessorie di cui all art. 31: quindi la causa non di lavoro, ma accessoria ad una causa di lavoro, viene attratta dal foro e dal rito della causa principale di lavoro, ma può anche avvenire il contrario, ossia che una controversia di lavoro sia accessoria ad una controversia strettamente patrimoniale, o comunque di natura diversa. 16

17 Sono ipotesi che possono verificarsi, per esempio, in materia di società di persone: si pensi alla fattispecie del socio di maggioranza di una società di persone che cede le quote sociali, ma che, in attuazione di un patto contenuto nel negozio di trasferimento, continua a prestare la propria opera nell azienda in qualità di lavoratore subordinato, e che poi voglia rivendicare crediti derivanti dal negozio di cessione e crediti di lavoro. In simili fattispecie sarà la causa di lavoro ad attrarre al proprio giudice e al proprio rito la causa connessa non di lavoro, anche se non è sempre facile distinguere quale sia la causa accessoria e quale quella principale che attrae l altra. Anche nei casi delle eccezioni di compensazione di cui all art. 35 e delle cause riconvenzionali di cui all art. 36 si verifica il fenomeno disciplinato dall art. 40, 3 e 4 comma - dell attrazione dei giudizi in via normale presso il giudice che applica il rito ordinario, ed invece presso il giudice del lavoro quando una delle cause sia di lavoro o di previdenza. Evidentemente, la domanda di lavoro o di previdenza può essere la prima o la seconda ad essere stata proposta, cioè la principale o la riconvenzionale o quella opposta in compensazione: si pensi all ipotesi del credito comune opposto in compensazione ad un credito di lavoro, o all ipotesi inversa del credito di lavoro opposto in compensazione ad un credito comune. In tutti i casi in cui una delle due cause, indipendentemente dalla sua precedenza temporale, riguardi la materia del lavoro o della previdenza, tutti e due i giudizi andranno riuniti presso il giudice del lavoro, e verranno trattati con il rito del lavoro. 17

18 Perché possa operare la connessione ex art. 36, tuttavia, è sempre necessario che la domanda riconvenzionale dipenda dallo stesso titolo dedotto in giudizio dall attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione: pertanto, non si verifica connessione tra la domanda principale del lavoratore per il pagamento di crediti di lavoro e la domanda risarcitoria proposta dal datore di lavoro convenuto che faccia valere una responsabilità extracontrattuale del ricorrente per fatti successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, perché non sussiste identità di titolo tra le due cause. Il nuovo 3 comma dell art. 40 rinvia anche all art. 32 sulle cause di garanzia e all art. 34 sugli accertamenti incidentali richiesti con efficacia di giudicato: anche in questi casi si ha attrazione verso il giudice del lavoro, con applicazione del rito del lavoro, ogniqualvolta una delle controversie connesse sia una causa di lavoro o di previdenza. Si pensi all ipotesi in cui un datore di lavoro, convenuto in giudizio da un terzo danneggiato per il risarcimento di un danno cagionato da un dipendente in occasione di lavoro (art c.c.), si difenda contestando l esistenza del rapporto di lavoro subordinato e chiamando in causa il responsabile del sinistro per ottenere l accertamento con efficacia di giudicato dell inesistenza del rapporto di lavoro subordinato: tanto la causa principale promossa dal terzo per il risarcimento dei danni quanto la causa pregiudiziale promossa dal datore di lavoro contro il lavoratore dovranno essere trattate con il rito speciale del lavoro, perché la domanda pregiudiziale appartiene alla competenza del giudice del lavoro. 18

19 Si pensi, ancora, all ipotesi in cui un datore di lavoro, convenuto in giudizio dall INAIL che esercita contro di lui l azione di regresso per ottenerne la condanna al pagamento delle somme erogate all assicurato, chiami in causa un terzo per sentirlo dichiarare responsabile dell infortunio, in via esclusiva o concorrente, e per esserne in tutto o in parte garantito: tanto la causa principale promossa dall INAIL quanto la causa di garanzia promossa dal datore di lavoro convenuto contro il terzo dovranno essere trattate con il rito speciale del lavoro, dal momento che la causa principale rientra nella competenza del giudice del lavoro. In tutte queste fattispecie, perverranno per attrazione davanti al giudice del lavoro e saranno così soggette al rito del lavoro controversie che prima ne erano escluse e che ne rimangono escluse in via normale. Vi sono, poi, casi di connessione tra cause ordinarie e cause di lavoro che non sono soggetti alla disciplina dell art. 40, 3 e 4 comma, e per i quali, quindi, rimangono in vigore le vecchie regole di separazione dei procedimenti e dei riti. Si tratta della fattispecie del cumulo soggettivo di cause contro più persone, connesse genericamente solo per l oggetto o per il titolo, di cui agli artt. 33 e 103 (litisconsorzio facoltativo) e di quella del cumulo oggettivo per connessione meramente soggettiva (pluralità di domande contro la stessa parte, non altrimenti connesse) di cui all art Le modifiche all art. 40 non hanno modificato le varie fattispecie di competenza funzionale non derogabile, per materia o per territorio, e i principi che le regolano. 19

20 Si tratta, innanzi tutto, delle fattispecie indicate nei nn. 1, 2 e 3 dell art. 70 c.p.c. - ovvero delle cause che possono essere proposte dal pubblico ministero, delle cause matrimoniali comprese quelle di separazione personale dei coniugi e delle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone e di non poche altre fattispecie previste dallo stesso codice di rito e da leggi speciali: vi rientrano, esemplificativamente e senza pretesa di completezza, le competenze speciali per la proposizione della querela di falso (art. 221 c.p.c.), quelle in materia fallimentare, quelle in materia di impugnazione delle deliberazioni delle assemblee di società di capitali (art c.c.) e di associazioni non riconosciute (art. 23 c.c.) e la competenza inderogabile del foro dello Stato (art. 25 c.p.c.). Negli uffici giudiziari divisi in sezioni, che comprendono una sezione specializzata per le controversie di lavoro e di previdenza, un ulteriore ostacolo alla riunione delle cause connesse può derivare non tanto dalle norme sulla competenza quanto dai limiti della legittimazione a provvedere riconosciuta a ciascun magistrato, dal momento che i magistrati in servizio in una determinata sezione possono trattare determinate controversie e non altre, per ragioni di assegnazione tabellare, sicché la riunione dei procedimenti relativi alle cause connesse, prevista dall art. 274 c.p.c., dovrà tenere conto anche di tali limiti. La prevalenza del rito del lavoro disposta dai tre nuovi commi dell art. 40, dunque, non autorizza affatto la conclusione che il carattere di lavoro di una controversia connessa ad altra controversia di natura diversa comporti sempre e necessariamente la riunione di esse davanti al giudice del lavoro e l applicazione del relativo rito speciale. 20

21 8. Il nuovo 5 comma dell art. 40 dispone che se la causa è stata trattata con un rito diverso da quello divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a norma degli artt. 426, 427 e 439 : gli articoli richiamati sono quelli che regolano, nel processo del lavoro, il passaggio dal rito ordinario a quello speciale e viceversa, in primo grado e in grado di appello. La conversione del rito viene disposta, anche d ufficio, con ordinanza con la quale il giudice nell ipotesi di passaggio dal rito ordinario al rito speciale fissa l udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all eventuale integrazione degli atti introduttivi e nell ipotesi opposta, di passaggio dal rito speciale al rito ordinario dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie. L ordinanza di conversione del rito è revocabile, ove l acquisizione delle risultanze istruttorie porti ad escludere che l oggetto del giudizio richieda l applicazione del rito speciale, anche se pare opportuno evitare un continuo andirivieni di riti: la revoca dovrà però necessariamente disporsi quando risultino venuti meno, per ragioni diverse, i presupposti della connessione, ad esempio quando una delle cause connesse si estingua per rinuncia agli atti del giudizio. L ordinanza di mutamento del rito, essendo revocabile e priva di contenuto decisorio, non è soggetta ad alcun mezzo di impugnazione, a meno che con la stessa ordinanza sia stata contestualmente disposta la rimessione della causa ad altro giudice; in tal caso, contenendo anche una 21

22 pronuncia sulla competenza, essa sarà impugnabile con il regolamento di competenza (art. 42 c.p.c.). Il rinvio alle norme sul mutamento del rito è letteralmente limitato, nel 5 comma dell art. 40, ai casi del 3 comma, cioè ai casi di concorrenza del rito ordinario con un rito speciale; ma le norme richiamate possono trovare applicazione anche nei casi di cui al 4 comma, cioè nei casi di concorrenza di differenti riti speciali, e di necessità di passaggio da un rito speciale ad un altro rito speciale. La formulazione letterale della norma (là dove parla di causa trattata e di rito divenuto applicabile ) fa pensare che l ipotesi tenuta presente sia stata soprattutto quella delle cause proposte separatamente davanti allo stesso giudice, o davanti a giudici diversi, e successivamente riunite. Ma la norma deve essere applicata anche nell ipotesi in cui le due domande siano state sin dall origine proposte nello stesso processo e siano state trattate con un rito diverso da quello divenuto applicabile, come può verificarsi se a dover prevalere è il rito della domanda proposta per seconda (e dunque, per lo più, dal convenuto): si pensi, ad esempio, al credito di lavoro eccepito in compensazione in una causa ordinaria. Dalla disposizione dell art. 40, 5 comma, si ricava agevolmente che l eventuale errore sul rito da seguire e, quindi, la violazione delle norme di cui all art. 40, 3 e 4 comma non produce alcuna nullità, né del procedimento né della sentenza, ma, se rilevato, determina semplicemente la conversione del rito, anche in appello. Gli atti compiuti nel corso del procedimento svoltosi con un rito rivelatosi sbagliato non sono nulli e non devono essere rinnovati dopo che il giudice ha disposto il mutamento di rito; 22

23 nel caso in cui il mutamento venga ordinato in grado di appello, non si ha annullamento della sentenza e rimessione della causa al giudice di primo grado, né rinnovazione degli atti davanti al giudice d appello, ma soltanto appunto - conversione del rito. La giurisprudenza della Cassazione conferma che l erronea adozione del rito non implica, per se stessa, nullità, e tuttavia non esclude che possa verificarsi la nullità quando l inversione del rito abbia prodotto concreti pregiudizi ai diritti di difesa delle parti: la S.C. ha affermato, infatti, che quando la legge impone l adozione del rito ordinario anziché di un rito speciale, il fatto che il giudizio si sia svolto erroneamente col rito speciale non comporta l invalidità del giudizio stesso, per il principio della conversione degli atti nulli che abbiano raggiunto il loro scopo (art. 156 c.p.c.), purché da tale erronea inversione del rito non sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all acquisizione delle prove e, più in generale, a quant altro possa aver impedita o anche soltanto ridotta la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario (Cass n. 6346: nella fattispecie, riguardante un giudizio erroneamente svoltosi con il rito camerale anziché con quello ordinario, la S.C. non ha pronunciato la nullità non essendo stato dedotto né provato che dallo scambio di forme fosse derivato alcun pregiudizio concreto ai diritti delle parti; il principio affermato, tuttavia, non può non destare perplessità, sia perché appare in contrasto con la chiara lettera dell art. 40, 5 comma, che in caso di errore sul rito prevede soltanto la conversione del rito anche in appello, sia perché effettivamente non può escludersi che il rito del lavoro con il suo rigoroso regime di preclusioni e 23

24 di decadenze possa comportare qualche compressione dei diritti delle parti rispetto al rito ordinario, per esempio riguardo all acquisizione delle prove, sicché l applicazione generalizzata del principio affermato dalla S.C. potrebbe addirittura scardinare il sistema, creato dall art. 40, 3 comma, della prevalenza del rito delle cause di lavoro sul rito ordinario). Va peraltro osservato che la decisione sul rito applicabile, se non espressamente impugnata, non può essere riesaminata nei gradi successivi del giudizio, per la preclusione che deriva dal formarsi del giudicato interno (in tal senso, v. Cass n. 285). 9. La legge n. 347/1991, istitutiva del giudice di pace, ha modificato ulteriormente l art. 40 c.p.c., aggiungendovi altri due commi, successivamente modificati dal D. Lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado, che ha tolto ogni riferimento al pretore. I nuovi 6 e 7 comma dell art. 40 dispongono: Se una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per i motivi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo. Se le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al giudice di pace e al tribunale, il giudice di pace deve pronunciare anche d ufficio la connessione a favore del tribunale. Anche qui, come nel 3 comma, i casi di connessione previsti sono quelli relativi alle cause accessorie (art. 31), alle cause di garanzia (art. 32), agli accertamenti incidentali (art. 34), alle eccezioni di compensazione (art. 24

25 35) ed alle domande riconvenzionali (art. 36), con esclusione quindi del cumulo soggettivo (art. 33). La modifica sancisce, in generale, la prevalenza della competenza del tribunale, anche se determinata soltanto dal valore della controversia, con conseguente attrazione delle cause connesse davanti al giudice togato anche in presenza di una competenza per materia del giudice di pace. Le norme in esame introducono, inoltre, un eccezione alla regola sancita dal 1 comma dell art. 40, poiché stabiliscono che la trattazione simultanea delle cause debba sempre avvenire davanti al giudice togato, tanto nel caso in cui la causa principale o pregiudiziale sia stata proposta al giudice di pace e davanti al tribunale penda quella accessoria o dipendente, quanto nel caso in cui il giudice di pace sia quello preventivamente adito. Le cause connesse possono essere tutte direttamente proposte davanti al tribunale; se sono proposte separatamente, la connessione opera, anche in questo caso, con le modalità di cui al 1 comma dell art. 40, per cui il giudice di pace dovrà pronunciare la connessione con sentenza, fissando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti al tribunale. La pronuncia dovrà essere adottata nei limiti temporali di cui al 2 comma, ossia entro la prima udienza, ma anche in questo caso sarà applicabile l ulteriore limitazione, di carattere generale, prevista dallo stesso 2 comma con riguardo allo stato della causa: ove, quindi, la causa pendente davanti al tribunale si trovi già in uno stato di istruttoria avanzato, o penda addirittura in appello, il giudice di pace dovrà evitare di pronunciare la 25

26 connessione, trattenendo davanti a sé la causa di sua competenza. BIBLIOGRAFIA BUCCI, Manuale pratico del giudice unico nel processo civile, 1999 GIUSSANI, Competenze, riti ed effetti della connessione, Le riforme della giustizia civile, a cura di M. Taruffo, seconda edizione, 2000, 169 LUISO, Diritto processuale civile, 1997 MANDRIOLI, Diritto processuale civile, tredicesima edizione, 2000 MERLIN, Connessione di cause e pluralità di riti nel nuovo art. 40 c.p.c., Riv. dir. proc., 1993, 1021 MONACI, La nuova disciplina della connessione ed il processo del lavoro, Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, 823 TRISORIO LIUZZI, Commento all art. 40 c.p.c., Le nuove leggi civ. comm., 1993, 28 26

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