CORSO COMUNALE di CERAMICA

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1 Mario Buldorini CORSO COMUNALE di CERAMICA APPIGNANO novembre 2006 luglio 2007 APPIGNANO 2007

2 Il Comune di Appignano vanta nel suo territorio un antica tradizione nell arte della lavorazione delle terrecotte, attività le cui origini risalgono al lontano 1557 e che merita, senza alcun dubbio, un posto d onore nella storia del nostro paese. In questi ultimi anni, purtroppo, per mancanza di ricambio generazionale, sono tristemente pochi i torni che girano e questo interessante mestiere è a rischio di estinzione. L Amministrazione Comunale, attenta alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale del paese, ha inteso rivitalizzare l attività dei coccià istituendo la SCUOLA COMUNALE DI CERAMICA, il cui primo corso è stato avviato nel mese di Novembre Questo libro è il frutto delle lezioni teoriche sulla storia della ceramica appignanese, sui materiali e sulle tecniche di produzione della ceramica in generale e di quella appignanese in particolare, impartite con grande competenza e maestria dal Prof. Mario Buldorini, al quale va il più vivo ringraziamento da parte di questa Amministrazione. L Assessore alla Cultura Mario Gasparini Il Sindaco Maurizio Raffaelli

3 Mario Buldorini Appignano 2007

4 PRESENTAZIONE DEL CORSO Per iniziare vi ricordo le finalità di questa iniziativa: formazione di figure professionali che siano in grado di creare, rilanciare o sostenere (partecipando al ciclo produttivo) le aziende della ceramica e della terracotta ancora esistenti nel territorio, come ha ricordato il Sindaco nella riunione preliminare del 22 ottobre Strettamente legata a questa finalità di carattere economico io ne vedo un altra di tipo culturale: mantenere viva una tradizione che ha caratterizzato il nostro paese nell arco di quasi mezzo millennio condizionandone sì l economia, ma anche la visibilità in ambito regionale e oltre (Appignano è conosciuto come il paese delle còcce da Ascoli a Pesaro, fino a Perugia). Oggi che il discorso economico corre il rischio di concludersi con il venir meno della figura artigianale del tornitore, anche la tradizione rischia di scomparire. Iniziative come questa hanno l indiscutibile merito di tentarne un salvataggio in extremis. A voi, a noi, è affidato quindi un compito importante e molto impegnativo. Sono convinto che lo svolgeremo con l impegno e l entusiasmo necessari. 2

5 Ho articolato il corso in tre parti: Nella prima parte vi fornirò delle notizie storiche sull utilizzazione della ceramica dall antichità ad oggi con riferimenti al nostro paese e vi illustrerò le principali caratteristiche tecniche dei materiali e degli strumenti di cui farete uso in seguito. Passerò poi alla descrizione delle fasi della creazione dei manufatti in terracotta trattando la tornitura, l essiccazione, la decorazione e la cottura. Notate che ho usato il termine creazione, non fabbricazione perché i prodotti finali non saranno oggetti tutti uguali, ma pezzi unici risultato di un lavoro di manipolazione che in quanto tale è sempre diverso e irripetibile. Sia l illustrazione delle caratteristiche dei materiali sia delle fasi di lavorazione saranno finalizzate alla conoscenza della tipologia dei manufatti caratteristici della tradizione ceramica di Appignano cioè delle terraglie o stoviglie rustiche, per questo, nella seconda parte, darò spazio a riferimenti storici alla tradizione delle terrecotte appignanesi, alle tecniche messe in opera dai nostri vasai e vi mostrerò del materiale di riferimento. Cercherò di usare un linguaggio semplice e discorsivo, ma non potrò prescindere da una terminologia specifica poiché specifico è l argomento trattato. 3

6 Nella terza parte troverete comunque un glossario che credo potrà essere un utile punto di riferimento per la comprensione dei termini specifici. Questo volumetto, voluto dall Amministrazione Comunale in sostituzione delle usuali dispense, contiene gli argomenti trattati così come ve li ho esposti e le immagini della presentazione in formato elettronico che ho utilizzato, per questo motivo lo stile è colloquiale. È stato pensato come promemoria e manuale di riferimento utilizzabile, all occorrenza, durante le lezioni pratiche. Le nozioni sono frutto di ricerche su testi, come indicato nella bibliografia, e in Internet. Mario Buldorini 4

7 NOTIZIE STORICHE - CONSIDERAZIONI GENERALI Innanzitutto: cos è la ceramica? Il termine, che deriva da un antica parola greca, definisce un materiale inventato dall uomo. È utilizzato da qualche millennio e questo ci fa capire che ciò a cui si riferisce ha anch esso una storia millenaria. Anzi, tra i vari materiali che sono stati rinvenuti nei siti archeologici la ceramica è tra quelli più antichi (circa anni) e più frequentemente presenti anche se solo in forma di frammenti a causa della sua fragilità. Si può affermare che nella storia dell evoluzione umana la ceramica (o terracotta) ha accompagnato il trionfo dell intelligenza sulla condizione di animalità che caratterizzava i nostri progenitori, non per nulla gli archeologi la considerano un indicatore insieme all agricoltura, all allevamento, alla tessitura e agli attrezzi in pietra levigata per definire la civiltà cosiddetta neolitica. La scoperta delle proprietà dell argilla venuta a contatto con la fiamma è stata verosimilmente casuale, ma è stata successivamente sfruttata con ingegno, basti pensare alle 5

8 antiche città babilonesi le cui mura in mattoni cotti al sole affiorano ancora dopo dieci millenni dal deserto iracheno. Con gli utensili fabbricati cuocendo l argilla l uomo ha modificato enormemente la qualità della sua vita potendo immagazzinare cibi e acqua in modo protetto creando scorte. Sembra una banalità, ma è stato un passo importante nel percorso evolutivo dell umanità. La ceramica, come ho detto, rappresenta il prodotto artificiale caratteristico delle prime comunità agricole, divenute ormai completamente sedentarie, comparse nel Vicino O- riente e in Grecia. Da qui passò poi al Mediterraneo occidentale e alla nostra penisola dove l inizio della civiltà neolitica viene fatto coincidere appunto con la comparsa dei primi manufatti di terracotta, anni fa. È l ultima fase di quel periodo che chiamiamo Preistoria che si concluderà con l invenzione della scrittura. Terracotta è un sinonimo di ceramica, indica lo stesso materiale, ma viene spesso erroneamente utilizzato per indicare una ceramica meno pregiata, di produzione paesana destinata all uso quotidiano in casa. In realtà, se proprio si vuol fare una differenziazione, quest ultima dovrebbe essere correttamente definita terraglia. Siamo talmente abituati a sentire ceramica di Capodimonte e terracotta appignanese che siamo portati a pensare che siano due materiali diversi mentre sono sostanzialmente costituiti dagli stessi elementi, con diverso grado di purezza e trattati in 6

9 modo differente. Questo vi sembrerà particolarmente vero se pensate che la parola originale greca che suona chèramos significa terra da cuocere, terra da stoviglie, argilla. Nel corso delle lezioni io utilizzerò di preferenza la parola terracotta per abitudine intendendo ovviamente la ceramica in genere. 7

10 MATERIALI L ARGILLA L'argilla o meglio le argille, sono sostanze naturali provenienti dal mondo minerale e si trovano un po dappertutto sulla terra in depositi considerevoli. Si estraggono in apposite cave situate a cielo aperto. I vasai di Appignano usano attualmente quelle provenienti dalla zona di Gualdo Tadino. Chimicamente sono dei silicati di alluminio contenenti metalli, metalloidi e non metalli. I principali elementi contenuti nelle argille sono: Silicio, Alluminio, Titanio, Ferro, Calcio, Magnesio, Sodio, Potassio ed altri presenti in piccolissime tracce (oligoelementi). La madre delle argille sono delle rocce particolari dette feldspati, le quali sotto l'azione delle piogge e degli altri e- lementi atmosferici si sono sgretolate, sciolte e trasformate diventando, appunto, argille che si sono aggregate in forma di strati composti da microgranuli appiattiti di dimensioni inferiori a 2 millesimi di millimetro. Questi strati sono stati poi ricoperti da altro materiale sedimentario e sono rimasti im- 8

11 prigionati sul fondo dei fiumi e degli oceani primordiali compattandosi a diverse profondità. Questo avveniva più o meno 5 milioni di anni fa: a quell epoca gli Appennini erano in fase di innalzamento, il Conero era ancora un isola emergente da un Adriatico in formazione e il territorio di Appignano era fondo marino e sarebbe rimasto tale per un milione di anni ancora. Su questo fondale si sono formate quelle argille grigio-azzurre (dette a colombacci ) che possiamo vedere in occasione di scavi profondi particolarmente nella parte alta di Appignano (zona di via Carducci e via Manzoni). I nostri coccià non lavoravano volentieri questo tipo di terra perché, a loro dire, se paccava, si fessurava in fase di cottura. Sono in effetti argille con un elevato grado di purezza che richiedono un attenta e lenta fase di asciugatura. Apprezzavano invece le argille bianche, di color nocciola chiaro al momento del prelievo, che dopo essere state impastate con l acqua si presentano di colore grigiastro. Queste argille si sono stratificate sopra quelle a colombacci, sono quindi più superficiali e facili da estrarre e inoltre sono miste a sabbia che conferisce loro una maggiore resistenza alla trazione garantendo un essiccazione senza crepe. 9

12 l argilla industriale. In giro per il paese si vedono ancora vecchi vasi modellati con questo tipo di terra di colore del tutto diverso da quelli moderni fatti con I primi oggetti modellati dall uomo con l argilla non prevedevano l uso del tornio. Gli unici attrezzi per ottenere superfici concave erano le mani. Il passo successivo fu il sistema del bigolo che è usato ancora oggi (vedi immagine successiva). A volte i bigoli venivano applicati su strutture fatte di piccoli legni intrecciati che restavano inglobati nella massa oppure su zucche per assumerne la forma ritenuta adatta alle necessità. donne. Questi due modi di modellare erano prerogativa delle 10

13 Quando fu inventata la ruota (7/8000 anni fa), si scoprì che poteva essere utile anche per la fabbricazione di stoviglie. Il primo tornio a mano girò probabilmente a Babilonia, lo sappiamo, o meglio lo deduciamo, da un incisione che rappresenta un uomo chino su quella che sembra una ruota posta orizzontalmente su un asse piantato nel terreno sulla quale è posta una massa d argilla. Al contrario, c è chi so- 11

14 stiene che la ruota come mezzo di locomozione fu un evoluzione della ruota del vasaio che all inizio era una semplice pietra piatta e rotonda, forata nel mezzo. Altri sostengono che non di pietra si trattava, ma di legno. Questo tipo di lavorazione richiedeva forza fisica e particolare abilità, per cui divenne un lavoro maschile. Anche la cottura era portata avanti senza strutture fisse anni fa i primi manufatti in ceramica venivano cotti a contatto del materiale combustibile, in pratica immersi nel fuoco. Le temperature raggiunte erano appena sufficienti a dare consistenza all impasto ed il vasellame così ottenuto non era certo adatto a cuocere i cibi o a contenere i liquidi. I manufatti più antichi erano contenitori che servivano a tenere le granaglie al riparo dagli a- nimali. 12

15 In epoche successive si scavava una fossa nella quale si deponeva la legna e sopra di essa si appoggiava il vasellame. Come copertura si usava un impasto di argilla e sassi che si induriva e creava una camera di combustione con a- perture di sfiato. Probabilmente la cottura avveniva grazie alla presenza di una grande quantità di brace ardente perché nei ritrovamenti non sono stati osservati, per quanto ne so, fori di aerazione alla base, necessari per alimentare la fiamma viva. A circa 4500 anni fa risalgono i ritrovamenti delle prime vere fornaci con fori d aerazione, camera di cottura e sfiato. Si poteva alimentare il fuoco e raggiungere temperature abbastanza elevate per lungo tempo. Non erano tuttavia strutture fisse, venivano costruite ogni volta che servivano e venivano utilizzate in ambito familiare. Dalla Mesopotamia il tornio a terra impiegò quasi 3000 anni ad arrivare in Occidente, in Grecia, e ce ne mise altri 2500 per diffondersi in tutta Europa. Non sappiamo con certezza quando qualcuno trovò il modo di lavorare evitando di stare acco- 13

16 vacciati, forse questo avvenne attorno all anno 1000, quello che sappiamo è che ad un certo punto si cominciò a lavorare seduti allungando l asse di rotazione e collegandolo con una ruota-volano a portata di piede. Nel Rinascimento il tornio che noi conosciamo era divenuto di uso comune e si era evoluto assumendo la forma e le dimensioni di quelli che potete vedere nelle botteghe dei nostri coccià: un lungo asse collega due ruote di cui la superiore, piccola, costituisce il piano di lavoro mentre l inferiore, grossa e pesante, mossa con i piedi, fa da volano. Il piano di lavoro si alzò e con le mani libere il lavoro divenne più preciso, veloce e meno faticoso. Si poteva lavorare da soli, prima era quasi indispensabile la presenza di un'altra persona che aiutasse il torniante a girare la ruota. Anche le fornaci ovviamente si sono evolute nel tempo diventando vere e proprie costruzioni in muratura che hanno conservato la stessa forma per secoli giungendo fino ai giorni nostri. Nel manuale per vasai scritto nel 1548 da Cipriano Piccolpasso da Casteldurante, (oggi Urbania, PU) sono riportati i disegni del tornio e della fornace. 14

17 Qui vedete il tornio, l immagine è ricca di particolari, un vero e proprio disegno tecnico e qui avete la fornace. Sono praticamente identici a quelli usati dai nostri vasai delle Casette, come vedremo quando parleremo dei nostri vasai. Un confronto diretto mette in evidenza la sostanziale uguaglianza delle due costruzioni. Come vedete, l evoluzione delle 15

18 tecniche di manipolazione e cottura dell argilla è stata piuttosto lenta all inizio, ma non bisogna dimenticare che eravamo all alba della civiltà. Una volta trovato il sistema di lavorare l impasto restando in posizione relativamente comoda questo non è più cambiato ed è stato adottato praticamente dovunque. Lo stesso discorso vale per la cottura dei manufatti, almeno fino a pochi decenni fa, poi è sopravvenuta la produzione in grande serie che ha introdotto l uso massiccio degli stampi in gesso, ma questo è un argomento che non riguarda questo corso. Anche le tradizionali fornaci sono cadute in disuso, sostituite da forni a gas o elettrici. Dopo la recente demolizione dell ultima fornace delle Casette, è di questi giorni la scomparsa della superstite di Bozzi che si trovava all inizio di via Leopardi. Tipi di argille Veniamo ora a un discorso più specifico sui tipi di argille che ci interessano perché di uso più comune o perché erano usate per le terraglie nostrane. I concetti che sto per esporvi sono piuttosto tecnici e per questo utilizzerò un linguaggio semplice, ma per forza di cose tecnico. Tenete presente che i nostri vasai hanno portato avanti il loro mestiere facendo tranquillamente a meno di queste nozioni, ma erano altri tempi. Sarò comunque breve. 16

19 I materiali di base per la fabbricazione delle ceramiche di uso corrente e ornamentali sono le argille e il caolino; più precisamente dovrei dire che le argille sono rocce sedimentarie costituite da caolino misto a minuti detriti di materiali rocciosi con predominio di materiali alluminosi. La parola argilla deriva dal greco e significa bianca, chiara con evidente riferimento al colore del materiale. Caolino è invece un termine relativamente recente: deriva dal cinese kao-ling che significa cima alta della montagna e lo dobbiamo ad un gesuita europeo che si era recato in Cina nel 700 per scoprire il segreto della fabbricazione delle porcellane. A seconda della composizione, dell uso, della temperatura di cottura e della deformazione al calore, semplificando il discorso e limitandosi alle tipologie più comuni, le terre argillose si distinguono in: Terre da mattoni (marne): caratterizzate da elevata plasticità, con una notevole presenza di carbonato di calcio, di colore variabile, come già detto. Il coccio è poroso e presenta una colorazione rosata o rossiccia caratteristica che dipende dalla presenza di composti ferruginosi. La superficie risulta piuttosto ruvida dopo la cottura. Si usano per laterizi e terrecotte. Le nostre còcce erano fatte con terre di questo tipo sottoposte ad una temperatura di cottura di circa 900 C. I vecchi manufatti appignanesi che risultano molto chiari sono stati verosimilmente sottoposti a temperature legger- 17

20 mente inferiori. Come potete immaginare, la cottura veniva controllata a occhio e non veniva rispettato nessuno standard. Terre per maioliche: come le precedenti, ma più raffinate, servono a produrre manufatti di fattura più fine, più lisci. Sono utilizzate per le terrecotte prodotte a Faenza. Richiedono una temperatura di cottura di C. Ad Appignano non venivano usate e nemmeno quelle che seguono. Terre per grés (arenarie): argille piuttosto sabbiose. Sono cotte alla temperatura di C. Vengono utilizzate prevalentemente nell edilizia. Terre per porcellane (idrosilicato di alluminio): caratterizzate dalla forte presenza di silice, di colore variabile dal bianchiccio al giallo chiaro. Con queste terre si producono terrecotte pregiate caratterizzate da particolare lucentezza, superficie liscia, sonorità squillante, spesso translucide: pensate alle porcellane cinesi. Richiedono temperature di cottura piuttosto elevate che possono arrivare vicino ai C Terre refrattarie: ricche di minerali con alto punto di fusione (quarzo, magnesio ), sopportano temperature di cottura molto elevate, superiori ai 1580 C. Sono spesso utilizzate in associazione alle marne per limitare la loro contrazione in fase di essiccazione e cottura. L argilla refrattaria è un composto di marne e terre refrattarie e ve la cito per- 18

21 ché con mattoni fatti di questo materiale venivano costruite le fornaci dei nostri coccià a partire dalla seconda metà del secolo scorso. In questo modo duravano diversi anni. Caratteristiche delle paste ceramiche Come si vede, quella che chiamiamo argilla non è un materiale puro: se si facessero stoviglie di sola marna si a- vrebbe un ottima plasticità e quindi un eccellente plasmabilità, ma con un indice di contrazione rilevante che renderebbe impossibile evitare crepe e distorsioni dei manufatti già dalla fase di asciugatura. È necessario quindi miscelare e lavorare le varie terre a seconda dell uso a cui sono destinate. Premesso che oggi le argille vengono vendute già pronte per l uso a cui sono destinate, è bene sapere che una buona pasta ceramica correttamente preparata deve possedere le seguenti caratteristiche: - Buona attitudine ad essere lavorata con facilità mediante modellatura o al tornio. - Capacità di bene amalgamarsi a sabbia, argilla refrattaria e altri elementi che ne modificano la resistenza all essiccazione e alla cottura. - Un coefficiente di contrazione limitato, conseguenza della capacità di cui sopra, per evitare esplosioni, incurvamenti o fenditure durante l essiccazione o la cottura. 19

22 - Mantenimento della forma e delle proporzioni durante la cottura, senza deformazioni. - Buona tenuta dello smalto sul coccio senza che si formino fenditure o scaglie. Lo smalto non deve essere assorbito, ma deve restare in superficie. - Purezza delle materie prime. I componenti della pasta non devono contenere alcuna impurità che possa far assumere una colorazione indesiderabile o provocare deformazioni. Ma i coccià de re Casette come facevano a trovare argilla con queste caratteristiche? Non facevano semplicemente, con la pratica sapevano distinguere quali erano i posti dove si trovava la terra vòna e quali erano quelli dove conveniva non perdere tempo a scavare. Il metodo da loro usato non era per niente scientifico e i concetti che vi ho e- sposto erano loro sconosciuti, ma i loro manufatti durano ancora a distanza di decenni se non di secoli. Certo, ogni tanto si verificava qualche incidente di percorso. Il più frequente, oltre alla fessurazione dei pezzi, era dovuto alla presenza di corpi estranei anche di una certa dimensione. I nostri coccià li chiamavano carginélli, erano sassolini di calcare che restavano nascosti nello spessore dei manufatti e rivelavano la loro presenza solo dopo la cottura, anche a distanza di anni, esplodendo e staccando porzioni del pezzo dove stavano annidati. A me è capitato di assistere casualmente alla resurrezione di un carginéllu sulla pa- 20

23 rete di un vaso da fiori che era stato usato per una quarantina d anni. Era rimasto buono dove stava durante l uso, ma quando ho deciso di ripulire il vaso tenendolo immerso a lungo in acqua, durante l asciugatura al sole il sassolino ha rivelato la sua presenza con uno schiocco secco proiettando un frammento del vaso a un metro di distanza. Prove di plasticità dell argilla Ora vediamo alcuni metodi per conoscere le caratteristiche dell argilla che dobbiamo usare. Sono prove semplici, empiriche, che richiedono un po di pazienza, ma consentono di non dover ricorrere a costose analisi di laboratorio, una sorta di trucchi del mestiere. Il modo più semplice di testare la plasticità di un argilla è ovviamente mescolarla con l acqua. Un argilla troppo plastica, untuosa, terra grassa come si dice da noi, si mescola male, è appiccicosa e l acqua viene assorbita con difficoltà; 21

24 al contrario, un argilla poco malleabile, terra magra, si mescola con facilità e assorbe quasi immediatamente l acqua. La quantità d acqua necessaria per il composto costituisce un buon indicatore di plasticità: le argille grasse ne richiedono di più rispetto a una uguale quantità di quelle magre. Naturalmente sto parlando di argilla grezza, appena estratta, che si presenta sotto l aspetto di terra (per questo motivo i nostri coccià la chiamavano così). Voi userete argilla pronta all uso, ma potrebbe darsi che un giorno vogliate plasmare qualcosa con la terra de Pignà e questa prova vi servirà a capire come procedere. Un altro metodo consiste nel versare dell argilla diluita su un riquadro di gesso lasciandola asciugare: un argilla plastica perde l acqua lentamente, resta fluida e aderisce al gesso più a lungo di un argilla meno plastica. Un buon metodo, usato da qualcuno dei nostri vasai, consiste nel formare, rotolandolo su un piano, un bastoncino d argilla dello spessore di una matita: più si riesce ad allungarlo, più l argilla è plastica e adatta ad essere lavorata. I fenomeni che influiscono sulla plasticità del materiale sono diversi. Quando si mescola all acqua, l argilla si divide in piccoli conglomerati separati da un sottile strato di liquido che li rende più mobili all interno della pasta. La plasticità può essere accresciuta anche mediante fermentazione o invecchiamento, un processo che i manuali definiscono come acidificazione, consiste nel lasciar ripo- 22

25 sare un argilla mantenuta umida per periodi più o meno lunghi. I vasai cinesi, quelli dei famosi vasi di porcellana, conservavano l argilla per diversi anni sotto terra, per lasciarla fermentare. La plasticità aumenta anche per l azione dei microrganismi e della decomposizione organica; se vi capiterà di lasciare l argilla umida per diverso tempo in un contenitore, fateci caso: puzza di marcio. Prova di contrazione dell argilla Abbiamo visto che le argille plastiche si contraggono durante l essiccazione e la cottura. Se vogliamo valutare di quanto si contrae l argilla che usiamo c è un metodo semplice: si forma una barretta e si segna su di essa, finché è ancora umida, un intervallo preciso. Ad esempio, si tracciano due segni distanziati di 10 cm. Dopo l essiccamento si misura la distanza tra i due segni e si misura un altra volta dopo la cottura. La percentuale di contrazione si calcola applicando questa formula: ((distanza dopo essiccazione distanza dopo cottura) x 100) : distanza iniziale. Il risultato rappresenta la percentuale di contrazione. Ad es: da una distanza iniziale di 10 cm si passa ad una distanza dopo l asciugatura di 9 cm che si riduce a 8 cm dopo la cottura. Quindi: ((9 8) x 100) : 10 che dà come risultato 10. Il pezzo si è ridotto del 10% che è il limite massimo ac- 23

26 cettabile per un pezzo stampato, ma troppo elevato per un pezzo lavorato al tornio. Con la lavorazione a mano infatti il materiale si contrae meno che con la lavorazione a pressa. Per ottenere con quest ultima un basso coefficiente di contrazione bisognerebbe utilizzare un impasto quasi asciutto che però sarebbe poco plasmabile. Prova di cottura dell argilla e di tenuta del colore È essenziale testare l argilla che si usa per la prima volta della quale non si conosce come si comporterà in cottura per determinare come si formerà il coccio migliore e per a- deguare la composizione della pasta alla temperatura di cottura. Per fare questa prova bisogna preparare una striscia di argilla lunga 15 cm, larga 3,8 cm, spessa 6 mm. Queste dimensioni dovrebbero essere rispettate perché sono quelle ideali per determinare la temperatura di fusibilità. Si appoggia la striscia su un supporto a ciascuna estremità e si pone nel forno in posizione tale che possa essere facilmente osservata durante la cottura. La temperatura alla quale la striscia comincia ad incurvarsi verso il basso nel centro indica che si è oltre il massimo sopportabile per l infornata con quel tipo di argilla. Vi consiglio di usare due strisce una delle quali smaltata per controllare contemporaneamente la tenuta dello smalto 24

27 sul coccio. Il colore deve aderire perfettamente senza che si formino fenditure o scaglie, senza che si spacchi o si ritiri o che venga assorbito dal coccio. Se al termine della prova risultasse non brillante, macchiato o in qualche modo non ben cotto, significa che la temperatura è troppo bassa. In questo caso, per evitare la fusione (deformazione) del coccio bisogna arricchire l argilla con elementi che richiedono un più alto punto di fusione (ad esempio il magnesio o il caolino). Volendo eseguire la sola prova di smaltatura, usate preferibilmente un vaso e una comune vernice trasparente. Su un altro vaso applicate una vernice opaca di buona qualità. Se si verificano screpolature o esplosioni significa che i tassi di contrazione dell impasto e della vernice sono troppo diversi. Molto frequentemente la smaltatura risulta difettosa a causa della porosità del coccio che la assorbe. Per evitare questo difetto abbastanza comune bisogna usare una terra macinata molto finemente. Prova per scoprire la presenza di calcare La presenza di calcare favorisce la tenuta dello smalto sul coccio ed è in genere notevole nelle argille dette marne, quelle usate in genere dai nostri vasai. Favorisce però la fusione e se è presente in granellini si trasforma in calce viva 25

28 e provoca un aumento di volume che può rovinare il pezzo, come abbiamo visto. Per scoprire la sua presenza si usa l acido solforico o l acido cloridrico. ATTENZIONE, SE AVETE INTENZIONE DI FARE LA PROVA, PERCHÉ SONO MOLTO TOSSICI E PERICO- LOSI SPECIE PER I POLMONI E PER GLI OCCHI! Si versano alcune gocce di acido sull argilla appena estratta dopo averla macinata il più finemente possibile. Se non si produce né schiuma né effervescenza significa che il calcare non è presente, ma è una condizione che si verifica di rado. In genere il calcare c è e con l esperienza si impara a valutare quale terra è più o meno ricca di questo elemento e adatta al colore che si intende usare in modo che si possa raggiungere una temperatura adatta alla cottura dello smalto e sopportabile dal coccio. Io ho sperimentato i metodi di cui vi sto parlando e il risultato non è stato niente male, come potete vedere. Tuttavia ho commesso almeno tre errori che si sono manifestati con altrettanti difetti: Innanzitutto il calcare che affiora sotto forma di polvere bianca in vari punti. Sono le impurità 26

29 che i nostri vasai chiamano carginélli che sono esplosi a distanza di tempo (ogni tanto ne trovo uno nuovo). Il carbonato di calcio si è trasformato in calce viva per effetto del calore. Questa assorbe umidità e tende a gonfiarsi. L errore è stato non filtrare l argilla (ad esempio con uno staccio da farina o con una tela di sacco) e non impastarla più a lungo passando l argilla tra le dita. Nel pezzo che state vedendo i carginélli hanno le dimensioni di due o tre millimetri, ma se fossero scoppiati dopo la seconda cottura (quella per il colore) avrebbero portato via una superficie dieci volte maggiore rovinando irrimediabilmente il manufatto. Inoltre il pezzo si è spaccato durante la cottura esattamente a metà. Ho rimediato con l Attack ed ho riempito la fessura, che si presentava slabbrata, con polvere ottenuta da un pezzetto di coccio finemente macinato mescolato ad acqua e poco Vinavil. L errore è stato quasi certamente non aspettare qualche giorno in più che il pezzo si asciugasse anche in profondità. Oltretutto la madonnina è piena mentre avrei dovuto svuotarla dal retro per ridurla allo stesso spessore della parte piatta del pezzo. Questo dimostra che la fretta è nemica dei lavori in terracotta Il terzo errore è stato inevitabile: il pezzo, fatto con l argilla che si usava in passato, è stato cotto insieme ad altri manufatti plasmati con argilla industriale e quindi la temperatura non è stata ideale, ha cominciato a fondere e si è vistosamente incurvato. Nell immagine non si vede bene, 27

30 ma i bordi sono sollevati di quasi 3 cm rispetto alla parte centrale. L argilla estratta dal terreno di Governatori, molto calcarea, sopporta una temperatura di cottura inferiore di circa 100 C rispetto all argilla industriale. Mi sono dilungato un po sul materiale di base del ceramista, ma era necessario. Spero di essere stato chiaro. Adesso passiamo a trattare brevemente di altri materiali e delle attrezzature. Inizierò con qualche nozione sui colori da applicare sul coccio cotto o crudo o sulla smaltatura e sugli smalti che servono a ricoprire la superficie esterna del manufatto che si trovano in commercio. Vedremo poi quali attrezzature sono necessarie per impiantare un laboratorio di ceramista. 28

31 MATERIALI I COLORI Le decorazioni si applicano sul coccio prima o dopo la cottura. Nel caso vengano applicate sul biscotto (il coccio cotto) questo va poi ricoperto di smalto e si deve procedere ad una seconda cottura per ottenere una superficie vetrificata trasparente o pigmentata. Talvolta il colore viene mescolato allo smalto che viene applicato direttamente sul crudo invece che sul biscotto. Il risultato è un colore diverso da quello che ci si aspetterebbe. Confrontate (vedi foto precedente) il colore verdastro, dato sul crudo, della brocca in alto a destra con il colore bruno degli altri pezzi colorati e smaltati su biscotto. È una questione di reazione chimica diversa e di un diverso assorbimento dell acqua utilizzata come supporto dei coloranti. In questi pezzi le tonalità bruno-rossicce sono state ottenute macinando ossido di ferro (terra ferrosa). Il nero è dovuto al manganese, il bianco-rosato al caolino aggiunto allo smalto trasparente. Il verde è stato ottenuto dal rame. 29

32 In Appignano i colori usati erano pochi e caratteristici della zona e li vedete qui rappresentati. Quando vi parlerò dei coccià vi dirò anche come se li procuravano. Tipi di colore I colori ceramici sono fabbricati partendo da ossidi colorati, gli stessi che vedremo trattando degli smalti. In linea generale si suddividono in tre gruppi: 1 - I pigmenti: da soli servono a colorare i cocci, mescolati agli smalti servono a colorare questi ultimi. 2 - I colori a punto di fusione elevato. 3 - I colori a basso punto di fusione. Il primo gruppo si usa solo sotto lo smalto o in miscela con esso, il secondo e terzo gruppo sono utilizzabili anche sopra lo smalto. Quelli usati dai vasai di Appignano (e dei paesi limitrofi) appartengono al primo gruppo che esigeva meno attenzione ai dosaggi, richiedeva meno precisione riguardo alla temperatura di cottura e soprattutto costava poco (in soldi, non in 30

33 fatica, come vedremo). Questa superficialità si manifesta tuttavia nell assenza di uno standard che, a distanza di anni, rende non facile l identificazione della provenienza, tanto che gli stessi artigiani sono talvolta in disaccordo sull attribuzione all uno o all altro di un determinato pezzo. Un accortezza da tenere presente è che il colore non deve formare uno spessore sul coccio, ma deve essere armonizzato con la porosità di quest ultimo in modo da consentire allo smalto di formare uno strato uniforme sulle parti dipinte e su quelle non dipinte. E passiamo agli smalti ai quali è dovuta la brillantezza e la luminosità caratteristiche dei manufatti in ceramica. 31

34 MATERIALI GLI SMALTI QUARZO: è il principale componente degli smalti perché è la fonte principale di silicio. Si ottiene dalla roccia quarzosa, ma anche dalla comune sabbia destinata alla fabbricazione del vetro. È presente in modesta quantità nella comune argilla usata dai nostri vasai. FELDSPATO: è il secondo componente per importanza nella composizione degli smalti, è piuttosto comune e costituisce gran parte della crosta terrestre. In pratica non esiste allo stato puro, ma contiene in diversa misura potassio, sodio, alluminio, calcio e altri elementi che influiscono in modo diverso sulla qualità del colore. È usato come fondente per modificare il punto di fusione. Anche questo materiale è stato usato nel nostro paese. CAOLINO: conferisce agli smalti resistenza e durezza, migliora la tenuta sul coccio e, se viene usato dopo essere stato calcinato, diminuisce il grado di contrazione degli smalti. CALCARE: è un fondente molto usato per la cottura a temperature superiori a 1100 C. conferisce agli smalti brillantezza e durata nel tempo riducendo il rischio di spaccature. Negli smalti cotti a temperature inferiori a 1100 C agisce come opacizzante. Presente in discrete quantità nell argilla usata in Appignano. 32

35 MAGNESIO: produce smaltature più dure di quelle ottenute con il calcare. STAGNO: si usa per rendere opachi gli smalti trasparenti e per ottenere smaltature bianche. RAME: si usa per ottenere varie tonalità di verde o, in combinazione con altri smalti, per il blu detto egiziano e il rosso cupo. FERRO: è usato da tempo immemorabile sia alle basse sia alle alte temperature. Già nel periodo Paleolitico veniva usato per le pitture rupestri insieme al giallo e al nero di o- cra. Si trova facilmente in natura. I nostri vasai utilizzavano quello che si trova nella terra rossa. È uno dei principali componenti delle argille scure, le ocre. MANGANESE: a seconda della composizione dello smalto di base, della temperatura e dell atmosfera di cottura (più o meno ricca di ossigeno), produce colorazioni brune, rosse e gialle. URANIO, ARGENTO e ORO: li cito solo come curiosità, dato che sono usati solo molto raramente, mai in Appignano. L uranio produce colorazioni gialle e rosse ricche di sfumature, ma è estremamente pericoloso, come potete immaginare. L oro e l argento vengono utilizzati per decorazioni di superficie pregiate, scritte, stemmi. Chimicamente gli smalti sono parenti prossimi del vetro. Le smaltature sono rivestimenti vetrificati che ricoprono le ceramiche rendendole impermeabili e facili da pulire. Ne mi- 33

36 gliorano la solidità e giocano un ruolo importante come fattore di decorazione. Gli smalti possono essere classificati in funzione del colore (coloranti, incolori), della translucidità (brillanti, semibrillanti, opachi), della fusibilità (a basso punto di fusione o teneri, sotto i 1200 C, a elevato punto di fusione o duri, sopra i 1200 C), del trattamento (frittati cioè cotti in fornace e finemente macinati e non frittati o crudi), della composizione chimica (acido borico, piombo, feldspato, sale, alluminio, ecc.) o anche in funzione dell aspetto, delle qualità decorative, ecc. Gli smalti sono essenzialmente dei vetri a basso punto di fusione, composti da ossidi di differenti metalli che li rendono facilmente fusibili. I componenti più comuni degli smalti usati per la terracotta sono il quarzo, il feldspato, il caolino, il calcare, il magnesio, il piombo (usatissimo dai nostri vasai e fonte di gravi problemi di salute, come vedremo più avanti), lo stagno, il rame, il ferro, il manganese, persino l uranio, l argento e l oro. E ce ne sono moltissimi altri. Quest elencazione, me ne rendo conto, è noiosa e sicuramente starete pensando che avrei potuto risparmiarvela, ma l ho voluta per farvi rendere conto di quanto variata e in un certo senso complessa sia la scelta dei colori una volta che deciderete di decorare un manufatto in modo creativo. Per restare alle terraglie nostrane, la scelta dei colori sarà molto meno impegnativa in quanto limitata a poche tonalità, 34

37 come vedremo quando vi parlerò dei colori caratteristici della produzione locale. Tra gli smalti che vi ho presentato manca quello più usato dai nostri vasai, a base di piombo, che merita un discorso a parte perché era praticamente l unico usato per la produzione delle terraglie nostrane. È molto tossico, specie quello puro (carbonato di piombo) che si presenta come polvere bianca. I nostri vasai usavano macinare il piombo che trovavano nelle case demolite, di questo vi parlerò successivamente, ma negli ultimi tempi preferivano acquistare il minio, che chiamavano piombo rosso, mescolandolo alla silice (sabbia di lago). Ottenevano una smaltatura trasparente leggermente sfumata di giallo. Il piombo che si usa oggi è frittato cioè trattato in fabbrica con il calore, macinato e mescolato ad altri elementi (soprattutto silice) prima di essere messo in commercio. Questo procedimento lo rende meno tossico, ma è bene EVITARE DI VENIRE A CONTATTO CON ESSO O DI INALARNE I VAPORI. Quando i pezzi vengono ingobbiati, cioè immersi nel liquido a base di minio, 35

38 VANNO SEMPRE USATI GUANTI LUNGHI E PINZE E BISO- GNA PREVEDERE UN ADEGUATA PROTEZIONE PER OCCHI E POLMONI. Per produrre pezzi caratteristici del nostro paese (ma anche di Treia e Cingoli), non si può prescindere dall usare questo tipo di smalto. Vediamo adesso alcune regole per sfruttare appieno le potenzialità degli smalti. Norme di base che valgono per ogni tipo di smaltatura. Sono, grosso modo, le stesse che valgono nei lavori di verniciatura su legno e ferro. 36

39 Tre tecniche di applicazione degli smalti. Dall alto: per le parti esterne; per l interno dei recipienti piccoli; per l interno dei pezzi grandi. Questa è la tecnica per smaltare un piatto. Il movimento deve essere continuo e deciso, ma non veloce. Il pezzo deve tagliare il liquido, non attraversarlo in verticale agitandolo. 37

40 Appena estratto il piatto sarebbe bene imprimere allo stesso un movimento di rotazione per ottenere uno spessore più uniforme della smaltatura. Prova per controllare che la contrazione in cottura dell insieme coccio-smalto sia omogenea. Se non lo fosse si produrrebbero screpolature o si formerebbero delle scaglie e il pezzo sarebbe da buttare. Qualcuno provoca volontariamente questi difetti che se sono numerosi e ben distribuiti su tutta la superficie vengono considerati ornamentali. Per la buona riuscita della prova i pezzi debbono essere sospesi nel forno e non appoggiati. Il giusto accoppiamento coccio-smalto si ottiene con prove pratiche. Le contrazioni dello smalto possono essere causate dalla polvere presente sul coccio o dalle tracce lasciate su di esso 38

41 dalle dita unte. La pulizia del coccio è quindi, come ho già detto, essenziale. Accennerò adesso agli smalti colorati usati nel nostro territorio. Riprenderò più ampiamente l argomento più avanti. Gli smalti argillosi Sono smalti non trattati con il calore, preparati sulla base di minerali naturali come il feldspato, il quarzo (silice), il calcare, le rocce vulcaniche, le argille da ingobbio. Questi due pezzi (pitale e pizzetta) tradizionalmente u- sati in Appignano sono ricoperti con gli smalti ottenuti dalla sabbia macinata addizionata di piombo. Questa dopo la cot- 39

42 tura diventava translucida, ma non completamente trasparente perché non era raffinata. Il coccio sottostante risultava così colorato di bruno-giallo, bruno scuro, brunorossiccio. In tempi recenti si ottenevano stoviglie bianche aggiungendo un po di caolino. Sono considerati materiale povero, per questo fino a qualche decennio fa le stoviglie così smaltate erano tenute in poco conto. Venivano usate nelle famiglie di ceto basso e sono state buttate via appena si è potuto sostituirle con altre in alluminio o in plastica. Oggi che non se ne producono più c è una forte richiesta da parte di collezionisti che ha creato dei circuiti di scambio su scala nazionale. Basta girare per i mercatini dell antiquariato per rendersene conto: per un brocchetto malamente scheggiato di Testa o di Sittì o di qualche vasaio di Treia o di Cingoli chiedono 70/80, per una trufa arrivano a 100/120 e per una brocca di dubbia origine appignanese vi sparano 150! 40

43 ATTREZZATURA DI BASE PER MODELLARE E CUOCERE Tornio completo di sesti Bacinelle e secchi di diverse misure e capacità Stecche per modellare e filo per tagliare la creta Cavalletti e tavole o scaffali Forno elettrico o a gas Guanti in pelle ignifuga Molle d acciaio Stracci e spugne PER DECORARE E SMALTARE Colori e pennelli di diverse misure Setaccio per colori Pinze per smaltatura Panno di spugna abrasiva Tamponi per stampaggio a spolvero OPZIONALI Impastatrice con mascherine per trafilare Degassatrice per recuperare gli scarti Trafilatrice a pistone (stampatrice) per manici Punzoni per stampaggio Tornietto per decorare ATTREZZATURA PER UN LABORATORIO ARTIGIANALE DI TERRACO TTA Tornio completo di sesti Tornietto per decorare Contenitori di diverse misure e capacità in plastica, facilmente lavabili creta Stecche per modellare e filo per tagliare la Spugne Cavalletti e tavole o scaffali Colori Setacci per colori 41

44 Pennelli di diverse misure Pinze per smaltatura Panni di spugna abrasiva o apposita macchina Forno elettrico o a gas Impastatrice con mascherine profilatrici Degassatrice - opzionale Trafilatrice a pistone (stampatrice) per manici - opzionale Guanti spessi in pelle ignifuga (meglio se da siderurgia) Molle d acciaio Punzoni per stampaggio - opzionali Tamponi per stampaggio a spolvero opzionali - per decorazioni creative Stracci Ovviamente queste sono indicazioni standardizzate, ciascuno può utilizzare attrezzature sofisticate o fatte in casa, almeno in certi casi, a seconda delle preferenze e delle possibilità di spesa. Faccio qualche esempio: Sittì usava un pettine rotto per incidere le greche sulle pareti dei vasi da fiori; alcuni vasai 42

45 usavano uno straccio per fare i baffi neri agli órci, altri usavano le piume di gallina. Tutti usavano le dita per schizzare i colori ed ottenere l effetto macchie di leopardo o le scolature, come sul vaso e sulla zuppiera che avete già visto. Ora vediamo le tecniche standard di tornitura, essiccazione e cottura. Tornio in legno appignanese di fattura artigianale (anni 90) 43

46 TECNICA LA TORNITURA Del tornio vi ho già parlato all inizio del corso. Vi ricordo i momenti principali della sua storia: Esiste da migliaia di anni; deriva dalla ruota da carro girata a mano (prime notizie storiche: circa anni fa); arriva in Grecia circa anni fa; si diffonde nel resto d Europa circa anni fa e si evolve nella forma che vedete nell immagine alla pagina precedente. Il tornio a ruota si compone di una pesante ruota-volano in legno collegata con un asse in ferro ad una piccola ruota anch essa in ferro, anticamente in legno o gesso. La struttura è piuttosto robusta perché destinata a sostenere la rotazione del meccanismo e le oscillazioni indotte dai colpi del torniante sulla ruota. L asse oltrepassa la ruota e va ad incastrarsi in una sede posta in terra, in genere una pietra forata. Del tornio di Appignano parlerò ancora più avanti. La tornitura è l aspetto più noto ed affascinante dell attività del vasaio. Sono abbastanza frequenti le immagini di tornianti mentre sono rare le immagini che ritraggono il vasaio negli altri momenti della sua attività. Questo perché l argilla che si 44

47 trasforma tra le dita suscita nello spettatore emozione e stupore. È indubbiamente un momento magico quello durante il quale la materia prende forma, ma non bisogna dimenticare che dietro il movimento delle mani di chi plasma l argilla c è la tecnica più che la poesia. Se chiedete ai vasai di Appignano, quelli che si occuperanno della parte pratica di questo corso, vi sentirete dire che ci vuole tempo e costanza per imparare i movimenti necessari a costringere l argilla ad assumere la forma che voi volete, cioè ci vuole tecnica. Ora vi propongo una serie di nozioni su come si tornisce un pezzo. Non sono vere e proprie istruzioni, ma una serie di informazioni che vi danno la possibilità di cominciare a usare il tornio, quando sarà il momento, con qualche conoscenza di ciò che vi aspetta. Inoltre potrete consultare queste informazioni quando avrete dei dubbi, come promemoria. 45

48 La tornitura è regolata da regole specifiche. Anche se ogni vasaio possiede una propria tecnica e i propri trucchi, le procedure sono sempre le stesse. Ricordate che durante tutto il lavoro di tornitura le mani devono essere mantenute bagnate. Si prende l argilla necessaria da un blocco di terra accuratamente impastata (la quantità si apprende con la pratica) e si forma una palla. Usando entrambe le mani la si pone al centro del piatto che viene messo in moto. Questa operazione si chiama centraggio ed è essenziale per tutte le operazioni successive. All inizio l argilla girerà fuori asse, ma spingendo con una mano e contrastando con l altra si riesce a centrarla facilmente. Le mani devono coprire l argilla lateralmente e sopra per evitare che durante l operazione di centraggio essa tenda ad alzarsi assottigliandosi. 46

49 Si comincia con l introdurre dolcemente i pollici nella massa dando alla palla la forma di una tazza a pareti spesse. Premendo i pollici sul fondo si dà a questo lo spessore richiesto e si comincia a stringere dolcemente le pareti partendo dalla parte inferiore; la massa comincia a prendere forma e le pareti iniziano ad alzarsi. Fate in modo che la parte superiore sia sempre più spessa di quella inferiore: è la riserva di argilla da utilizzare per il successivo innalzamento delle pareti. 47

50 L argilla viene fatta salire premendo con le mani poste di taglio fino a formare un cilindro. Questa è la forma di base. Se si vuol fare un piatto o una tazza verrà schiacciata e aperta, premendola dall interno e partendo dall alto. Se invece si vuol fare un pezzo alto la forma va ulteriormente costretta tra le dita (una mano all esterno, l altra all interno) per farla salire. Lo spessore delle pareti va tenuto sempre uniforme costringendo l eventuale eccesso di argilla a salire verso l alto con la pressione sulle pareti. 48

51 Premendo con una mano di taglio dall interno e contrastando con la stecca all esterno si fanno ancora salire le pareti e si comincia a costringere la parte superiore verso l interno. In questa fase si cura con particolare attenzione lo spessore delle pareti: costante nei pezzi piccoli, sempre più sottile verso l alto in quelli grandi. Ci si sta avvicinando alla forma definitiva. Il torniante ha stretto l apertura del manufatto ritirando l avambraccio e continuando a contrastare la pressione dall esterno con le dita. 49

52 Il pezzo è completo. Il foro è stato chiuso formando un collarino nello spazio tra due dita allargate. Manca solo una fessura e il salvadanaio gigante è pronto a passare all essiccazione. La soddisfazione è legittima se pensate che qualche minuto prima c era solo una palla d argilla come quella che vedete in alto a destra. 50

53 Per modellare l artigiano si serve anche di attrezzi: la stecca, i ferri, la spugna, il filo di ottone. La stecca è un quadrato di legno duro, in genere di ciliegio, ma oggi anche di plastica. Si chiama così perché un tempo si usava un pezzo di legno o di canna tagliata a metà. I ferri sono sagomati per eseguire rifiniture in punti difficili. La spugna naturale serve per lisciare. Con il filo di ottone (oggi di plastica) si stacca il pezzo dal piatto del tornio. Una volta posto ad asciugare, non resta che controllarne l essiccazione. Quando ha raggiunto la consistenza del cuoio la superficie può essere rifinita con la lisciatura per mezzo di una spugna bagnata. Infine il pezzo viene messo ad asciugare definitivamente. 51

54 Uso del ferro e della stecca. Una curiosità: i ferri usati dai nostri coccià sono uguali a quelli raffigurati nel 500 nel manuale del Piccolpasso. 52

55 TECNICA L ESSICCAZIONE ESSICCAZIONE Tipi di acqua contenuta nelle argille ACQUA LIBERA trattenuta meccanicamente negli spazi vuoti ACQUA COMBINATA legata alle particelle di argilla ACQUA CRISTALLIZZATA fa parte della struttura delle particelle d argilla Sembra facile: basta aspettare che il pezzo si asciughi per bene e poi lo si cuoce. Non è così semplice perché se è vero che quella contenuta nelle argille è solo acqua, è anche vero che assume caratteristiche diverse a seconda di come si lega ai vari componenti (vedi tabella). Innanzitutto c è l ACQUA TRATTENUTA MECCANICA- MENTE (libera): riempie le cavità all interno della massa del materiale e i minuscoli spazi tra le particelle. Conserva tutte le caratteristiche di un fluido e la sua evaporazione causa una contrazione notevole. Quando controlliamo un pezzo 53

56 che si sta asciugando e diventa mano a mano più chiaro stiamo assistendo all evaporazione dell acqua libera. C è poi l ACQUA LEGATA A LIVELLO FISICO- CHIMICO (combinata) che forma una pellicola sulla superficie delle particelle ed ha caratteristiche differenti dall acqua libera se non altro perché aderisce fortemente al supporto che ricopre. Evapora molto più lentamente. Infine l ACQUA LEGATA A LIVELLO CHIMICO (cristallizzata): è integrata nella struttura cristallina della terra cioè non evapora durante la fase di essiccazione, ma solo durante la cottura quando si raggiunge la temperatura di circa 500 C. La rapidità dell asciugatura non dipende quindi soltanto dalla velocità d evaporazione dell acqua dalla superficie, ma anche dalla facilità con la quale l acqua trattenuta nella massa può circolare verso la superficie. Come già detto in altra occasione, nozioni così specifiche non erano conosciute dai coccià nostrani che pure campavano lo stesso. Il discorso vale anche per voi, ovviamente, ma conoscendole si possono evitare risultati insoddisfacenti. Non si presentano particolari problemi durante l asciugatura dei pezzi modellati con argille poco plastiche composte da terre da fuoco del tipo usato nella nostra tradizione. Queste argille presentano una grana grossolana che aiuta il movimento dell acqua nella massa e favorisce la sua evaporazione. Gli eventuali interventi sono semplici: evitare correnti d aria, esposizione al sole d estate, vicinanza a fonti 54

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