Un tentativo di introdurre alla matematica qualche non matematico

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1 Un tentativo di introdurre alla matematica qualche non matematico di Paolo Valabrega Chi ha seguito (con un po di impegno) studi secondari superiori di indirizzo classico o scientifico ha certamente letto e analizzato alcune opere della nostra letteratura ritenute fondamentali: la Divina Commedia, I Promessi sposi, le poesie di Petrarca, Leopardi, Foscolo, Carducci, Pascoli e magari anche Ungaretti, Montale, Quasimodo, oltre alle novelle di Pirandello e ai Malavoglia. Ed è in grado di parlarne, di fare qualche commento. Conosce anche la grammatica italiana e sa distinguere fra soggetto, verbo, complemento, sa costruire una frase corretta (o quasi) in italiano. Sa anche leggere un romanzo, o un articolo di giornale, o un saggio riguardante il riscaldamento globale, la seconda guerra mondiale e il nazismo, la rivoluzione francese o il Risorgimento. Ha inoltre qualche ricordo di chi siano Platone, Aristotele, Kant, Marx e saprebbe certo leggere e capire qualche cosa di non troppo tecnico su di loro. Chi proviene dal Liceo scientifico forse sa anche con un po di fatica capire una semplice citazione latina (e greca se ha seguito studi classici). Non vorrei sopravvalutare le conoscenze umanistiche di chi ha seguito con impegno (buoni) studi secondari superiori, ma certo le loro conoscenze e abilità in campo umanistico non sono disprezzabili, nemmeno se gli studi successivi sono stati scientifici o tecnici (matematica, ingegneria, fisica, chimica, medicina,... ). Nulla di simile si può dire della matematica. Chi ha frequentato scuole secondarie superiori e lì si è fermato o ha proseguito con studi umanistici difficilmente è in grado di capire qualcosa di più di quello che ha appreso nelle scuole elementari e medie inferiori (operazioni con i numeri interi e razionali, equazioni di primo grado, triangoli, aree). Anche se ha studiato al liceo scientifico o all istituto tecnico, non ricorda più che cosa siano un limite o una derivata, a meno che non li usi nel suo lavoro (e ciò avviene di rado). E nemmeno chi ha proseguito con studi tecnico-scientifici è in genere (con eccezioni) capace di ricordare che cosa sia un limite. Ed è certo che la lettura di un libro o un articolo matematico, contenente qualche formula e soprattutto qualche idea non troppo vaga, non è alla sua portata. La matematica purtroppo (grazie a Croce e Gentile e ai loro epigoni) viene presentata in modo ben diverso. È ben vero che fin dalle scuole medie inferiori si studia la geometria euclidea, che è un bellissimo esempio di costruzione logico-deduttiva, ma purtroppo la sua struttura logico-deduttiva rimane nell ombra e non sempre è chiaro che cosa si ammette (assioma), che cosa si introduce per definizione, che cosa si dimostra. Il concetto stesso di dimostrazione è spesso poco chiaro. Ma la confusione maggiore viene

2 dall insegnamento dell algebra, ridotta a un noiosissimo e inutile calcolo letterale, dove non è nemmeno chiaro che cosa si deve fare (che cosa significa con esattezza semplificare un espressione, se non indovinare il risultato desiderato dall insegnante?). E una quantità esagerata di tempo viene poi impiegata a studiare (di nuovo in modo un po confuso) la trigonometria piana, che potrebbe essere liquidata in una settimana. Salvo qualche tentativo (non sempre riuscito) di far capire la struttura logico-deduttiva della geometria euclidea, il resto degli studi matematici è rivolto a questioni ben poco interessanti e noiose, ma soprattuto è privo di organicità e coerenza. Qualunque studente si fa un idea della struttura e della complessità della lingua italiana (o inglese, o latina), dello sviluppo della letteratura, dello sviluppo del mondo occidentale, dai greci e romani (o addirittura sumeri e babilonesi) fino all Europa moderna (magari escludendo la II guerra mondiale, il fascismo e il nazismo), ma nessuno si fa un idea di come sia articolata la matematica. Non stupisce che, quando si è dimenticato tutto ciò che si è studiato, la letteratura, la storia, la filosofia lascino una traccia non superficiale, e la matematica scompaia dalla mente dei più: degli intellettuali, dei professori di italiano, di storia e di filosofia, dei giuristi e dei linguisti, ma anche dei biologi, dei medici, degli economisti (che probabilmente conoscono principalmente la statistica), forse perfino degli ingegneri e dei fisici. Nelle scuole secondarie naturalmente si studiano anche altre discipline scientifiche, fra le quali la fisica, che usa in modo significativo la matematica. Ma il collegamento fra leggi fisiche e loro formulazione matematica non è frequentemente occasione per mettere in evidenza l uso della matematica, nella fisica ma anche in molte altre e varie discipline, a partire dall informatica. È facile gettare tutta la colpa su Croce e Gentile, ma un esame anche superficiale della cultura matematica di chi ha seguito scuole superiori in altri Paesi europei o negli Stati Uniti (forse non in Cina o India), dove Croce e Gentile sono per fortuna sconosciuti, fa capire che ci deve essere qualche cosa d altro oltre al disprezzo per la cultura scientifica. Io credo che si tratti semplicemente della intrinseca difficoltà della matematica, del suo linguaggio astratto e formale, della sua grande varietà e complessità (brutta parola oggi molto di moda e usata spesso a sproposito per motivi di immagine, ma ben adatta a descrivere la matematica). Un elenco dei campi della matematica è di infinita lunghezza, tanto più se si vogliono considerare anche i collegamenti con altre scienze e le applicazioni. Ma se anche ci si limita ai primi elementi, ad esempio i numeri, la difficoltà di capire di che cosa si tratta è notevole, soprattutto per chi non abbia voglia e tempo di riflettere. Il progetto Polymath vorrebbe (ambiziosamente) dare un contributo a far capire ai non specialisti che cosa sia la matematica. Spero di avere fra i lettori qualche umanista, anche se quanto scrivo è rivolto soprattutto a studenti di scuole secondarie superiori e a laureati in discipline tecnico-scientifiche. Le conoscenze di matematica acquisite in una buona scuola secondaria superiore dovrebbero essere sufficienti a capire quanto scrivo, sia pure con qualche occasionale difficoltà. Paolo Valabrega

3 Indice Parte I 1 Numeri 1.1 Numeri naturali. Tutti conoscono i numeri interi (e magari anche i numeri decimali con un paio di cifre dopo la virgola), se non altro per il fatto che li usano continuamente nella vita quotidiana: per calcolare i prezzi di ciò che acquistano (1 euro al chilogrammo le pesche) per identificare oggetti (ad esempio l aula 5 di una scuola) per contare con un certo ordine, ad esempio i mesi e gli anni (settembre = 9, anno 1876, ovvero pagina 81 di un libro) per misurare (10 chilogrammi, 22 metri) per calcolare gli interessi (un obbligazione rende il 3% annuo) per telefonare (si compone un numero intero) per contare oggetti (2 pillole, una dozzina di uova) per identificare con un sistema misto lettere-numeri (il libro catalogato BL 23415)... Quindi i numeri si usano sia in quanto numeri (1 euro, 22 metri, 3% di interesse, 12 uova,..) sia come etichette quando si vogliano identificare oggetti in quantità superiore a 4 o 5 pezzi (è più semplice contare le aule di una scuola da 1 a 21 che dare etichette come A, B, C,..., fino a Z). 1.2 Numeri cardinali e ordinali. I numeri interi hanno due aspetti abbastanza diversi fra loro. Se ho 12 uova significa che ho un contenitore di uova con 12 posti, ciascuno con un uovo, e tale numero coincide con il numero di mele in un cesto di 12 mele, o con il numero di pillole in una confezione di 12 pillole. In sostanza posso immaginare un contenitore con dei posti nei quali posso mettere oggetti qualsiasi, il numero intero mi dice quanti sono i posti disponibili. In questo uso il numero intero si chiama cardinale. Se ho 10 mele anziché 12, ho il numero cardinale 10, che mi dice che ho meno di 12 mele. Quindi i numeri cardinali misurano quanti oggetti si considerano e permettono di fare confronti di quantità. 1

4 Ma i numeri interi si possono usare anche per mettere in ordine. Ad esempio supponiamo di dover formare una graduatoria al fine di assegnare un premio. Se ci sono 10 candidati e 2 premi, i candidati vengono messi in ordine: il 1 o, il 2 o, il 3 o, fino al 10 o. Non è tanto interessante sapere che i candidati sono 10, quanto sapere chi occupa il posto 1, ovvero il posto 2 oppure 3. In questo senso i numeri interi si dicono ordinali. Il numero ordinale 3 segue i numeri ordinali 1 e 2 e non indica qualcosa di più numeroso, ma qualcosa che viene dopo. Questo esempio serve a dimostrare che anche in questioni apparentemente semplici i numeri interi presentano questioni delicate e non facili da chiarire: la differenza fra ordinali (mettere in ordine) e cardinali (contare). 1.3 Il numero 0. Anche la funzione del numero 0 (che talvolta non si considera nemmeno fra i numeri interi) richiede qualche commento. Quando si pensa al numero cardinale 5 si intende che conta 5 oggetti (5 mele, 5 uova,... ); che cosa conta allora il numero 0? Poiché deve contare meno di 1 oggetto, vuol dire che non ne conta nessuno, cioè che abbiamo un cestino senza mele, o una confezione di uova le cui uova sono già state tutte mangiate. Quando un insieme non ha elementi diciamo che è vuoto (simbolo matematico: ). Se invece ordiniamo gli oggetti, ci sembra naturale parlare del primo oggetto (primo premio) e non dello zeresimo oggetto (espressione che non usa proprio nessuno). Quindi i numeri interi ordinali potrebbero cominciare da 1. I matematici sono divisi su questo punto: i logici e gli esperti di fondamenti della matematica preferiscono partire da 0 anche con gli interi ordinali (magari non nei premi) e dire che il primo ordinale è 0. Non è poi terribile numerare 5 oggetti da 0 a 4 invece che da 1 a 5, vuol solo dire che 0 significa che prima non c è nulla (l insieme degli oggetti che vengono prima è vuoto). Ma altri matematici (soprattutto chi studia l analisi matematica) preferiscono partire da 1, in quanto è più naturale, in una lista di elementi, indicare con il numero 1 il primo elemento, con 2 il secondo, ecc. Anche gli informatici vivono, spesso a loro danno, un ambiguità dello stesso tipo: in certi linguaggi di programmazione si sottintende che gli oggetti che formano una certa struttura (tecnicamente un vettore) siano etichettati con un indice che parte da 1, mentre in altri linguaggi si parte da 0. Ciò è spesso sorgente di incomprensioni Il numero 0 e la numerazione degli anni. In realtà scegliere 0 oppure 1 come primo numero può comportare qualche problema. Un esempio famoso e dibattuto di problema che ha origine nella presenza o assenza dello 0 riguarda la numerazione degli anni. Nessuno si sarebbe preoccupato di sapere che cosa significa con precisione anno 1907 o 1568 se non ci fosse stato il cambio di millennio. Il terzo millennio è iniziato il primo gennaio del 2000 o del 2001? Entrambe le possibilità sono, almeno dal punto di vista teorico, accettabili. La nostra numerazione parte dalla nascita di Cristo (a differenza di altre che partono ad esempio dalla creazione del mondo o dall Egira). Ma l anno che inizia con la nascita di Cristo (e 2

5 per semplicità diremo che dura 365 giorni) porta il numero 0 oppure il numero 1? Ha senso dire che, prima che passino 365 giorni non si è compiuto alcun anno, e quindi il numero giusto dovrebbe essere 0. Oppure si può anche pensare che la numerazione si riferisce agli anni mentre scorrono e quindi tra 0 e 365 giorni scorre l anno con il numero 1. Tuttavia nel mondo antico (e fino al medioevo) non esisteva un simbolo per il numero 0 e il concetto stesso di 0 mancava. Quindi l anno fra 0 e 365 giorni portava il numero 1 (e il precedente si chiamava anno 1 prima di Cristo, noi diremmo anno 1). Questo è quanto è stato stabilito nel VI secolo dal matematico e astronomo Dionigi il Piccolo, vissuto prima che gli Arabi introducessero in Europa il simbolo dello 0, proveniente dall India. Si conclude quindi che l anno che porta il numero 2 si riferisce al periodo di 365 giorni dopo lo scorrere dell anno che porta il numero 1,..., l anno che porta il numero 10 si riferisce allo scorrere del decimo gruppo di 365 giorni e il secondo decennio dell era volgare inizia il primo gennaio dell anno 11. Pertanto l anno che porta il numero 2000 si riferisce al duemillesimo periodo di 365 giorni dopo la nascita di Cristo, e quindi il terzo millennio, cioè il terzo gruppo di mille anni, inizia il primo gennaio Si noti che i numeri con i quali denotiamo gli anni sono gli ordinali e quindi, quando diciamo anno 70, intendiamo anno settantesimo. Questo tuttavia non chiarisce completamente la data di inizio del terzo millennio, in quanto esiste, almeno per i matematici, il difficile da digerire numero ordinale zero. A questo punto possiamo, con i matematici fondamentalisti, decidere che i nostri numeri naturali sono 0, 1, 2,..., n,..., ma ci riserviamo in qualche ragionamento di partire da 1. Siccome ci sono anche altri numeri interi (i relativi), di cui parleremo in seguito, chiamiamoli numeri naturali e chiamiamo N la loro collezione (o insieme), mettendoli fra parentesi graffe quando li consideriamo come insieme di elementi: N = {0, 1, 2, 3,..., n,...}. 1.4 Somma e prodotto di numeri naturali. Fra numeri naturali sono definite due operazioni, la somma e il prodotto. Entrambe associano ad ogni coppia (m, n) di numeri naturali un terzo numero, m + n nel caso della somma, mn nel caso del prodotto (talvolta indicato m n, soprattutto quando si scrive qualcosa come 2 3 per evitare di fare confusione con il numero 23). Si noti che il prodotto mn può essere definito a partire dalla somma: mn = n + n + n + + n m volte (3 moltiplicato 4 vuol dire: ). Non è il caso di ricordare le proprietà (associativa, commutativa,...) della somma e del prodotto di numeri, che si imparano fin dalle scuole elementari. È solo opportuno notare che non sono per nulla ovvie. Ad esempio non è evidente che debba valere la proprietà associativa della somma: (m + n) + p = n + (m + p) per ogni m, n, p. È in certo senso sorprendente che la somma di = 7 con 6 e la somma di 3 con 4+6 = 10 debbano portare allo stesso numero 13, cioè che (3+4)+6 = 3+(4+6) = 13. 3

6 Si noti che la proprietà associativa della somma permette di eliminare le parentesi in una somma di tre numeri. In effetti senza parentesi non ha alcun significato perché la somma è definita fra due numeri, non fra tre, ma la proprietà associativa afferma che se calcolo la somma dei primi due e la aggiungo al terzo, oppure aggiungo al primo la somma tra il secondo e il terzo il risultato è lo stesso. Cioè afferma che i due modi di mettere le parentesi portano allo stesso risultato e che quindi le parentesi si possono togliere e il calcolo si può eseguire nel modo che si preferisce. Non è parimenti ovvio che valga la proprietà distributiva m(n + p) = mn + mp per ogni m, n, p. Non è cioè ovvio che si abbia 3(4 + 7) = , ovvero che si abbia: 3 11 = La divisione invece si può eseguire solo in alcuni casi: n : m ha senso solo se n è un multiplo di m (6 : 2 = 3 ha senso, ma 6 : 4 no). 1.5 Ordinamento dei naturali. I numeri naturali sono anche ordinati: dati due numeri qualsiasi m e n, o m è minore di n (m < n) oppure n è minore di m (n < m), a meno che m e n siano lo stesso numero (m = n). In altre parole: o m n (m minore o eguale di n) ovvero n m. Si noti che n è minore di m se esiste un numero r tale che m = n+r. Valgono le seguenti proprietà: 1. m minore o eguale di n e n minore o eguale di p implica anche m minore o eguale di p, per ogni terna di numeri m, n, p (3 5 e 5 8 implica 3 8); 2. m minore o eguale di n implica anche m + t minore o eguale di n + t, per ogni terna di numeri m, n, t (3 5 implica ); 3. m minore o eguale di n implica sm minore o eguale di sn per ogni m, n, s (ad esempio, ponendo s = 2, si ottiene che il doppio di 5 è più piccolo del doppio di 8, perché 5 è più piccolo di 8). 1.6 Il successore di un numero naturale. Un altro fatto considerato comunemente ovvio è l esistenza del successore n + 1 di ogni numero naturale n. Questa proprietà ha l interessante conseguenza che, dato un qualsiasi numero, se ne trova sempre uno più grande. In effetti esiste un numero, cioè 1, che sommato con n, dà come risultato n + 1 e questo significa che n + 1 è maggiore di n. Siccome si ha: n < n + 1 < n + 2 < n + 3 <..., si deduce che i numeri naturali sono infiniti e crescono indefinitamente. 4

7 Si noti che la somma di numeri naturali può essere definita proprio usando il successore: n + 1 è il successore di n n + 2 = (n + 1) + 1 è il successore di n Insiemi finiti e infiniti. Il concetto di infinito è (come quello di ordinale e cardinale) particolarmente delicato da trattare, perché comporta anche proprietà del tutto inaspettate. 2.1 Insiemi finiti. Cominciamo col discutere di insiemi di numeri che non sono infiniti, ma sono invece finiti. Ad esempio è finito l insieme di tutti i numeri naturali che sono minori di un numero fissato n, cioè l insieme A = {0, 1, 2,..., n 1} (usiamo le parentesi graffe per indicare al solito un insieme, o collezione, di oggetti). Un insieme di numeri naturali può essere finito anche se non si tratta dei primi n numeri, è sufficiente che siano tutti minori di un numero fissato. Ad esempio l insieme dei numeri naturali B = {1, 2,...,n} da 1 a n è finito, come anche C = {2, 4, 9} è finito perché è formato da numeri minori di 10 (ma non contiene tutti i numeri minori di 10, solo alcuni). Se un insieme S di numeri è finito si possono contare i suoi elementi e decidere quanti sono. A questo scopo basta operare nel modo seguente: si prende un elemento di S, ad esempio il più piccolo, e gli si assegna un etichetta che porta il numero 1 (qui conviene partire da 1 per non confondersi), si prende l elemento più piccolo di S dopo che si è tolto il precedente con etichetta 1, e gli si assegna l etichetta 2, si procede in questo modo fino a esaurire gli elementi di S. A questo punto si esaminano le etichette: se queste corrispondono ai numeri 1, 2,..., n, l insieme S ha esattamente n elementi. L operazione di associare ad ogni numero un etichetta con un numero da 1 a n ha un nome: si chiama corrispondenza biunivoca. Una corrispondenza biunivoca fra due insiemi A e B di numeri è una legge che, ad ogni numero di A, associa uno e un solo numero di B, in modo che a due numeri diversi siano associati numeri di B diversi, ogni numero di B sia associato a qualcosa. 5

8 Ad esempio, se A = {5, 8, 3} e B = {0, 1, 2} la seguente legge è biunivoca: Non è invece biunivoca la legge così definita: , in quanto a 5 e 8 (in A) è associato lo stesso numero 0 (e inoltre 1 in B non è associato a nulla). Allora possiamo dire che un insieme S di numeri ha n elementi se è in corrispondenza biunivoca con l insieme {1,..., n}. Il fatto ovvio, ma non per questo meno interessante, è il seguente: un insieme di numeri non può avere contemporaneamente n elementi e m elementi se n è diverso da m (si scrive n m). In pratica non è possibile mettere in corrispondenza biunivoca gli insiemi {1, 2,..., n} e {1, 2,..., m} se n ed m sono numeri diversi fra loro. Se un insieme ha n elementi diciamo che il suo numero di elementi è misurato dal numero cardinale n (qui gli interi sono pensati come cardinali, cioè misurano quanti elementi ci sono in un insieme). E ricordiamo che il numero cardinale 0 ci serve per contare gli elementi quando non ce ne sono: l insieme vuoto ha 0 elementi, cioè nessun elemento. Abbiamo visto che gli stessi interi possono essere pensati come ordinali, quando si abbia a che fare con un elenco ordinato (ad esempio in un teatro c è sempre la prima fila di posti, poi la seconda, e qui l ordine conta, non è detto che basti sapere che le file sono 30). 2.2 Corrispondenze biunivoche e insiemi infiniti. Il concetto di corrispondenza biunivoca si può estendere a insiemi con oggetti qualsiasi, non necessariamente numeri naturali. Ad esempio, se A è un insieme che contiene 12 uova e B è un insieme di 12 mele, si può far corrispondere a ogni uovo una mela, mele diverse a uova diverse. Quindi A e B sono insiemi con 12 elementi. Ma il concetto di corrispondenza biunivoca ha senso anche per tutto l insieme N dei numeri naturali. Anzi ci può servire per capire meglio che cosa significa la parola infinito. 6

9 Consideriamo in effetti la seguente legge: La legge stabilisce che ogni numero n si trasforma nel suo doppio: È facile vedere che tale legge n 2n 1. trasforma numeri diversi in numeri diversi 2. trasforma ogni numero n in un altro numero (il suo doppio) senza eccezioni. Chiamiamo I l insieme formato da tutti i numeri pari: I = {0, 2, 4, 6,..., 2n,...} Allora la nostra legge è una corrispondenza biunivoca fra l insieme N e l insieme I. Dobbiamo però notare che I non è un insieme qualsiasi, si tratta di un insieme più piccolo di N, in quanto gli elementi di I sono anche elementi di N, ma ci sono elementi di N che non sono in I (i numeri dispari). Dunque l insieme N può essere messo in corrispondenza biunivoca con un insieme più piccolo di N (diciamo che I è un sottoinsieme di N e scriviamo I N, e diciamo inoltre che si tratta di un sottoinsieme proprio, cioè mancante di qualche elemento di N). Questa proprietà distingue in modo decisivo gli insiemi finiti da quelli infiniti, perché un insieme con n elementi non può mai essere messo in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme proprio, mentre gli insiemi infiniti possono. Anzi ha senso addirittura chiamare infinito un insieme con tale proprietà. Una storiella molto amata dai matematici fa capire meglio (o peggio?) che cosa è l infinito. Un albergo possiede infinite stanze singole, con i numeri 1, 2,..., tutte occupate da clienti. Arriva un nuovo cliente che chiede una stanza. L albergatore lo accontenta come segue: sposta il cliente della stanza 1 nella stanza 2, il cliente della stanza 2 nella stanza 3,..., e quindi mette il nuovo cliente nella stanza 1, che si è liberata. Dal punto di vista matematico costruisce una corrispondenza biunivoca fra l insieme infinito J = {1, 2,..., n,...} e il suo sottoinsieme proprio infinito K = {2, 3,...}, formato da tutti i naturali esclusi lo 0 e l 1. Con 10 stanze non sarebbe possibile, il cliente della stanza numero 10 dovrebbe passare nella stanza successiva, che non esiste e quindi dovrebbe cambiare albergo. 7

10 3 Divisione 3.1 Divisione con resto. Abbiamo visto che la divisione fra numeri interi non si può eseguire quasi mai. Tuttavia è possibile eseguirla se si accetta di ottenere un quoziente ma anche un resto. Più precisamente, se m e n sono due numeri naturali, esistono altri due numeri naturali q (quoziente) e r (resto) che godono delle seguenti proprietà: m = qn + r 0 r < n (il resto è minore di n) dove q ed r sono determinati in modo unico (cioè la divisione ha un unico quoziente e un unico resto). Non è difficile capire come si prova l esistenza della divisione cosiddetta euclidea. In effetti si considerano successivamente i numeri 0n = 0, 1n = n, 2n, 3n,... fino a che non si trova il primo che supera m, sia (q + 1)n. Il precedente dà luogo al quoziente q. Quanto al resto si ha: r = m qr. Il resto è 0 quando m è esattamente divisibile per n. Esempio. Si divida 37 per 5. Si considerano succesivamente i numeri e si nota che 1 5 = = = = 35 < = 40 > 37 Di qui si deduce che il quoziente è q = 7. Poiché = = 2, il resto è 2, cioè: 37 = Numeri primi e fattorizzazione. Un numero naturale maggiore o eguale a 1 si dice primo se è divisibile solo per se stesso e per 1. Esempi: 1, 2, 3, 5, 7, 31 sono primi, 4 = 2 2 non è primo. Ogni numero naturale n maggiore di 1 si può esprimere come prodotto di numeri primi, i cosiddetti fattori primi di n: n = p q r, 8

11 dove p, q,..., r sono tutti numeri primi diversi da 1. Può capitare che non siano tutti distinti fra loro; ad esempio si può avere p = q. In questo caso scriviamo n = p 2 r invece di n = p p r. Esempi: 10 = = = Come si può vedere che ogni numero naturale n > 1 si fattorizza? Prima di procedere ricordiamo due proprietà molto importanti dei numeri naturali: I. se A è un insieme qualsiasi, anche infinito, ma non vuoto, di numeri naturali, esso contiene sempre un numero che è più piccolo di ogni altro nell insieme (il cosiddetto minimo); II. se un numero m è prodotto di due fattori r e s entrambi maggiori di 1, allora m è maggiore di r e di s (m > r, m > s). In effetti si ha: ed inoltre m = rs = s + s + s + + s s + s = s + ( ), dove l 1 in parentesi è ripetuto s volte. Ma si ha: Se ne deduce che (r volte) s < s + 1 < s + 2 = (s + 1) + 1 < s < s + s < s + s + s < < s + s + + s (r volte) = rs. Ciò prova che rs è maggiore di s, cioè del secondo fattore. Ma rs = sr (per la proprietà commutativa del prodotto) e quindi la stessa dimostrazione prova che rs > r. Supponiamo dunque che esistano numeri interi maggiori di 1 che non si possono scomporre nel prodotto di fattori primi. Allora esiste il più piccolo di tali numeri (in base alla proprietà I), e chiamiamolo n. Il numero n non è esso stesso primo perché i numeri primi si scompongono in fattori primi, con un fattore soltanto, cioè il numero stesso. Quindi n è il prodotto di due numeri p e q maggiori di 1. Per la proprietà II p e q sono minori di n, e quindi ognuno dei due è prodotto di primi. Ne segue che anche n deve essere prodotto di primi: n = prodotto dei primi che fattorizzano p e di quelli che fattorizzano q. La dimostrazione precedente è basata su un ragionamento per assurdo. Ciò significa che si suppone per assurdo che quanto affermiamo (la nostra tesi) sia falso, e di qui 9

12 deduciamo una conseguenza che contraddice qualche proprietà (nota e vera) dei numeri. Allora la tesi non può essere falsa. Nel nostro caso abbiamo supposto per assurdo che ci siano interi non fattorizzabili e abbiamo dedotto che il più piccolo intero non fattorizzabile deve in realtà essere fattorizzabile. Quindi non può esistere il più piccolo intero non fattorizzabile, la qual cosa contraddice il fatto che ogni insieme non vuoto di numeri naturali ammette il più piccolo elemento. Una volta che si è fissato il numero n, i suoi fattori primi sono determinati in modo unico, cioè non sono possibili due fattorizzazioni diverse. Questa è una proprietà di non facilissima dimostrazione che non discutiamo. I numeri primi pongono molte interessanti domande, alcune abbastanza semplici, altre così difficili che nessuno è riuscito a dare risposte soddisfacenti e complete. Una prima domanda riguarda la quantità di numeri primi: quanti ce ne sono in totale? O almeno: sono in numero finito o infinito? La risposta a questa domanda è abbastanza semplice (i primi sono infiniti), ma richiede un ragionamento per assurdo Ci sono infiniti numeri primi. Supponiamo dunque che ci sia un numero finito di primi (n in totale) e mettiamoli in ordine: p 1 < p 2 < p 3 : < p n. Questo vuol dire che non ci sono numeri primi dopo il numero p n. Facciamo ora vedere che questo è impossibile, cioè che questa ipotesi conduce a una contraddizione con proprietà note dei numeri, in particolare con la scomposizione in fattori primi. Consideriamo perciò il numero naturale p = p 1 p 2 p 3... p n + 1. Tale numero non può essere primo in quanto è più grande di tutti i numeri primi esistenti. Quindi p si deve scomporre in fattori primi, cioè p deve essere il prodotto di alcuni dei numeri primi che lo precedono e che abbiamo elencato. Ma, se dividiamo p per p 1, oppure per p 2,... otteniamo sempre come resto 1; cioè p non è divisibile per nessuno dei numeri primi che lo precedono, ovvero non è divisibile per nessun numero primo. Ma tutti i numeri non primi ammettono una scomposizione in fattori primi, mentre noi abbiamo costruito un numero non primo che non rispetta la nota proprietà della scomposizione in fattori primi. Quindi un tale numero p non primo non può esistere. Resta soltanto, per evitare l esistenza di un tale p, la possibilità che i numeri primi siano infiniti Ragionamenti per assurdo. La struttura del nostro ragionamento per assurdo è la seguente: a. supponiamo che i primi siano n in totale b. da a. segue che un certo p da noi costruito non è primo c. deduciamo che p si può scomporre in fattori primi d. nessun primo divide p 10

13 e. p non si può scomporre f. resta contraddetta la proprietà di scomposizione in fattori primi di ogni numero non primo g. l ipotesi a. è assurda e i primi sono quindi in numero infinito. Osservazione. Il ragionamento precedente permette anche di costruire nuovi primi. Ad esempio è noto che 2,3,5 sono primi. Quindi sono primi anche: Congetture sui primi. 7 = , 31 = , 211 = Altre questioni riguardanti i numeri primi sono molto più difficili da trattare anche se si possono enunciare in forma molto semplice. Citeremo soltanto la celebre congettura di Goldbach (che risale al 1742 e non ha ancora avuto una risposta completa): è vero che ogni numero pari è somma di due numeri primi? La risposta è facile per i numeri più piccoli: 2 = = = = = = Naturalmente con un computer si può arrivare molto più lontano e avere risposta per numeri pari molto grandi (milioni o miliardi), ma una risposta valida in generale non si conosce. Cioè non si sa dimostrare che la congettura è vera per ogni numero pari ma non si sa nemmeno trovare un numero pari che non sia somma di due primi. 4 Rappresentazione in base 10. Il nostro modo di scrivere i numeri naturali è basato sul fatto che usiamo i simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Ogni numero si può scrivere usando i dieci simboli (incluso lo 0 che, come abbiamo visto, è una scoperta di grande rilievo). Ma che cosa significa scrivere 5407? Si tratta soltanto di un modo abbreviato per scrivere 5 volte mille + 4 volte volte

14 ovvero , o anche, ricordando che 1000 = 10 3, 100 = 10 2, 10 = 10 1, 1 = 10 0, In altre parole i numeri hanno una rappresentazione decimale: si usano solo i simboli dei numeri da 0 a 9 (minori di 10) e le potenze di 10. Le cifre vengono allineate eliminando le potenze di 10 e la loro posizione dice quale potenza di dieci (invisibile) moltiplicano: in 5407 il 4, che occupa il terzo posto da destra, moltiplica 10 2, mentre 0, che occupa il secondo posto da destra, moltiplica In generale, se un numero intero n si esprime come segue: n = a b c d e f 10 0, noi scriviamo in forma abbreviata abcdef. Bisogna solo far attenzione al fatto che non esiste la cifra 10, cioè che non si scrive mettendo in fila le sue tre cifre , ma osservando che in realtà è il numero , cioè 1030 (con quattro cifre). Si noti che usiamo nei nostri ragionamenti il numero 10, ma non come cifra: dieci è semplicemente 1 per dieci + 0 per (dieci elevato a 0). Osserviamo inoltre che nella rappresentazione decimale le cifre acquistano significato in base alla loro posizione: 31 = è completamente diverso da 13 = Non è obbligatorio usare dieci simboli per denotare le cifre da 0 a 9. Ad esempio si può immaginare di avere solo 2 simboli, uno per lo zero (0) e uno per l uno (1). In questo caso si avrà la numerazione binaria. Ad esempio il numero che in forma decimale si scrive 23 in forma binaria si scrive Basta osservare che il ruolo del numero 10 è ora assunto dal numero 2 e che quindi occorre considerare le successive potenze di 2. Quindi si ha: ventitré = Le formule precedenti sono tuttavia scritte in modo non ancora corretto, perché il simbolo 2 non esiste, ci sono soltanto 0 e 1 e il numero due, in numerazione binaria ha la stessa rappresentazione del dieci in forma decimale: due = 10 = 1 (due) (due) 0. È quindi meglio scrivere, in forma binaria: ventitrè =

15 dove 10 non significa dieci (nel senso usuale che noi diamo a questa parola) ma due. Se invece abbiamo a disposizione dodici simboli, 0, 1, 2,..., 9, a, b, dove a è il simbolo per il numero che chiamiamo comunemente dieci e b è il simbolo per il numero che chiamiamo comunemente undici, avremo la numerazione in base dodici. Il numero scritto 24 in base dodici, ad esempio, coincide con il numero che noi chiamiamo comunemente ventotto, cioè scritto 28 in base dieci (perché?). 5 Principio di induzione. Quando si debba dimostrare una proprietà che riguarda un numero finito di numeri si può procedere all esame di tutti i casi possibili, magari con l aiuto di un computer se i casi sono molti. 5.1 L esempio della somma dei primi n numeri interi. Se si desidera dimostrare che la somma dei primi 10 numeri a partire da 1 vale 55, basta eseguire la somma. E lo stesso vale se si chiede di calcolare la somma dei numeri interi da 4 a 10, osservando tuttavia che, essendo nota la somma da 1 a 10 ma anche quella da 1 a 3, che è 6, si può ottenere la risposta con una sottrazione: 55 6 = 49. Ma come si può procedere se la richiesta è di provare che la somma n dei primi n numeri vale n(n+1)/2 per ogni intero n? Non è ovviamente possibile esaminare tutti i casi, nemmeno con l ausilio di un computer, che è solo in grado di esaminare un numero finito, per quanto grande, di casi. Occorre quindi un ragionamento astratto, valido per ogni numero n. Nel caso specifico della somma dei primi n numeri ci sono più modi di procedere, ma è particolarmente interessante quello che si basa sul principio di induzione. Osserviamo quindi che, se n vale 1, se cioè vogliamo calcolare la somma fermandoci al primo addendo, il risultato è pronto, cioè 1, e che tale risultato è in accordo con la formula generale: 1(1 + 1) 1 =. 2 Supponiamo ora di avere dimostrato la nostra formula per un valore di n, cioè supponiamo che per un certo numero n fissato si sappia che n = n(n + 1) 2 Riusciamo da questo risultato a dedurre informazioni per l intero successivo n + 1? La formula che ancora non abbiamo dimostrato, relativa a n + 1, afferma che n + (n + 1) = (n + 1)(n + 2) 2 13

16 (è la nostra formula in cui n è sostituito da n + 1). Noi sappiamo già che n = n(n + 1). 2 Vediamo di aggiungere ancora il termine mancante n + 1: n + (n + 1) = n(n + 1) 2 + (n + 1). A sinistra abbiamo semplicemente la somma dei primi n+1 numeri, a destra una formula che non è quella desiderata. Tuttavia possiamo riaggiustarla cercando di farla diventare quello che vogliamo, usando le proprietà delle operazioni fra numeri: n + (n + 1) = n(n + 1) 2 + (n + 1) = n(n + 1) + 2(n + 1) (riduzione al denominatore comune 2) = = 2 (n + 1)(n + 2) (raccoglimento a fattor comune di n + 1) =. 2 Quest ultima è esattamente la formula che noi cerchiamo. Noi abbiamo quindi dimostrato che: la nostra formula è valida quando n vale 1; se la formula è valida per un certo n fissato, automaticamente è valida anche per il suo successore n + 1. È sufficiente tutto ciò per dimostrare che la formula vale per ogni numero n? Supponiamo (per assurdo) che esista almeno un numero (ovviamente maggiore di 1) che non rispetta la formula. Fra tutti i numeri di questo tipo prendiamo il più piccolo (abbiamo visto che esiste sempre), diciamo m. Quindi ci troviamo in questa situazione: m è diverso da m(m + 1) 2 (e non sappiamo quanto valga) ma si ha: m(m 1) (m 1) = 2 (perché m 1 è più piccolo di m e quindi la formula vale). Ma noi abbiamo dimostrato che, se la formula vale per un certo intero (ad esempio proprio m 1) allora vale anche per l intero che lo segue, cioè nel nostro caso m. Ma allora si deve avere m(m + 1) m = 2 e questo è assurdo (perché contrario all ipotesi che la formula non valga per m). Non resta che la possibilità che un tale m non esista, cioè che la formula valga sempre. 14

17 Il principio da noi usato in questa dimostrazione si può enunciare in generale: Principio di induzione sia data una proprietà relativa a tutti i numeri interi maggiori o eguali a 1 e si supponga che la proprietà sia valida per l intero n = 1, se la proprietà è valida per un certo n, allora è valida anche per il suo immediato successore n + 1. Allora segue che la proprietà vale per ogni numero intero n maggiore o uguale a 1. La dimostrazione coincide con quella fatta nell esempio: se ci sono dei numeri che non soddisfano la proprietà, si prenda il più piccolo; la proprietà vale per il numero che lo precede,... Si noti che il principio di induzione si può dimostrare anche per i numeri maggiori o uguali a 2, oppure a 3,..., basta partire da n = 2 oppure 3 anziché da L esempio della serie geometrica Questa tecnica di dimostrazione si applica a molti problemi. Ad esempio si può dimostrare che = 2 n+1 n 1 1, per ogni n 1. 2 La dimostrazione richiede di provare che: la formula vale per n = 1: = = 3 2 = = = = 3 2 se la formula vale per n allora vale anche per il suo successore n + 1:... (Esercizio suggerito al lettore: si scopra, e provi, una formula analoga, quando il numero 1/2 sia sostituito da un numero x tale che 0 < x < 1) Diseguaglianza di Bernoulli. Si può anche dimostrare la cosiddetta diseguaglianza di Bernoulli: 1. (1 + x) n 1 + nx per ogni n 1, se x è un numero maggiore di 1 2. (1 + x) n > 1 + nx per ogni n 2. Per dimostrarla basta ragionare come segue: 15

18 1. per n = 1: (1 + x) 1 = 1 + 1x 2. per n = 2: (1 + x) 2 = 1 + 2x + x x 3. supponiamo che sia vera per un certo intero n 2, cioè che si abbia (1 + x) n > 1+nx e cerchiamo di provare che è vera per n+1, cioè che (1+x) n+1 1+(n+1)x. Ma si ha (usando il fatto che vale per n): (1 + x) n+1 = (1 + x) n (1 + x) (1 + nx)(1 + x) = 1 + (n + 1)x + nx (n + 1)x. Osservazione. Il principio di induzione funziona molto bene quando si debba dimostrare una proprietà sulla quale si ha un informazione essenziale: si pensa di conoscere una formula che la esprime. Nel primo esempio che abbiamo esaminato abbiamo chiesto di provare che n vale [n(n + 1)]/2, non abbiamo chiesto di calcolare la somma n senza indicare il risultato. Ma come si può arrivare a indovinare il risultato prima di dare una dimostrazione, in modo da avere pronta la formula per l induzione? Molto spesso il risultato non si indovina affatto, e quando si indovina è perché si sono esaminati molti esempi, traendone una (presunta) regola generale; si è arrivati al risultato per altra via e l induzione serve da conferma; la formula da dimostrare è molto semplice e ragionevole;... Ad esempio la formula per la somma dei primi interi fu scoperta (nel primo Ottocento) dal matematico Gauss, con un ragionamento ingegnoso, che suona più o meno così: La somma dei primi n interi secondo Gauss Se n è pari, raggruppiamo i numeri da 1 a n in coppie, la prima coppia contiene 1 e n, la cui somma è n + 1; la seconda coppia contiene 2 e n 1, la cui somma vale sempre n + 1; finché non arriviamo all ultima coppia n/2 e (n/2) + 1. Poi cerchiamo di contare quante sono le coppie (1, n), (2, n 1),.... È molto evidente che le coppie sono tante quanti i numeri da 1 a n/2, cioè esattamente n/2. Se ho coppie di numeri con somma n + 1, la somma totale vale (n/2)(n + 1), che, a parte il modo in cui è scritta, coincide con la formula cercata; in effetti (n/2)(n + 1) = n(n + 1)/2 Se n è dispari il ragionamento è di poco diverso dal precedente. 6 Digressione su come affrontare con la matematica alcuni problemi concreti La matematica è un utile strumento per risolvere molti problemi concreti. Spesso si tratta di una matematica abbastanza semplice: una equazione di primo o al massimo 16

19 secondo grado, un sistema di due o tre equazioni di primo grado, un uso intelligente delle proporzioni o della matematica discreta, che insegna a lavorare con gli insiemi formati da un numero finito di elementi e a contarne gli elementi. Un passo ulteriore è l uso delle derivate e degli integrali, che però possono essere utili quando si studino problemi di difficoltà maggiore, nei quali non ci si imbatte tutti i giorni (ad esempio la traiettoria di una palla lanciata in aria, o il moto dei pianeti). I problemi più semplici e concreti hanno tuttavia una difficoltà iniziale: si tratta di questioni provenienti dalla vita di tutti i giorni e sono formulati in un linguaggio non direttamente adatto alla risoluzione matematica. La vera difficoltà è dunque la traduzione in linguaggio matematico, magari con l individuazione della incognita che permette di arrivare rapidamente a una soluzione chiara. Vediamo alcuni esempi. 6.1 Calcolo dell interesse. Tutti sanno che cosa è l interesse percepito da chi acquista azioni, obbligazioni, BOT o anche lascia il suo denaro su un conto corrente. È quindi facile stabilire che euro investiti al 3% annuo danno un interesse di 3/100 ogni euro, ovvero di 3 euro ogni 100 euro investiti per ogni anno, e quindi di 300 euro, in quanto = Ma la questione è meno semplice se si domanda quanto interesse si ricava in due anni. Ci sono due possibilità: 1. dopo il primo anno si ritirano i 300 euro di interesse e si lasciano solo i ; in tal caso l interesse alla fine del secondo anno continua ad essere di 300 euro; 2. i 300 euro di interesse ottenuti il primo anno si lasciano investiti; in tal caso il capitale investito diventa di euro e quindi rende i 3/100 di quest ultima somma, cioè /100 = 309 euro. Dunque dopo due anni si saranno ricavati 609 euro di interesse. Si conclude che, nel secondo caso, il capitale di euro cresce a euro dopo un anno e a euro dopo due anni. A questo punto si potrà provare la curiosità di sapere a quanto cresce dopo n anni, ovvero quale interesse complessivo si sarà incassato dopo n anni. Inoltre sarebbe interessante trovare una formula che permetta di calcolare la crescita di un capitale qualsiasi, diciamo X euro. Cominciamo a ragionare su un capitale semplice, pari a 1 (un euro, o se dà fastidio una somma così piccola, un milione di euro, fa lo stesso). Dopo un anno va aumentato di 3/100 e quindi diventa 1,03 = 1 + 3/ Dopo due anni diventa 1,03 + 3/100 1,03. 17

20 Si noti a questo punto che la nostra operazione consiste, ogni anno, nel prendere il numero dell anno precedente e aggiungergli 3/100: 1 + 0,03 = 1,03 dopo un anno 1,03 + 1,03 3/100 = 1,03 (1 + 0,03) = 1,03 2 dopo due anni 1, ,03 2 3/100 = 1,03 2 (1 + 0,03) = 1,03 3 dopo tre anni... = 1,03 n dopo n anni. Quindi abbiamo una formula generale: il capitale di 1 euro dopo n anni diventa 1,03 n euro. Possiamo ad esempio stabilire dopo quanti anni il capitale raddoppia: occorre che si abbia 1,03 n = 2, cioè n = log 2 : log 1,03 (che non è un numero intero di anni). Il capitale in effetti diventa quasi doppio (1,97 circa) dopo 23 anni e poco più che doppio (2,03 circa) dopo 24 anni. Possiamo anche rispondere alla domanda sull interesse: quanto ho incassato di interesse su 1 euro dopo 10 anni? Poiché in banca mi trovo 1,34 euro, l interesse è pari a 0,34 euro, cioè il 34 per cento (34 centesimi di euro per ogni euro). E se il mio capitale iniziale è pari a X euro? Ognuno degli X euro diventa 1,03 n e quindi in totale avrò X 1,03 n euro. La somma di euro dopo 5 anni diventa circa ,16 euro cioè euro. E se l interesse è pari al 5% quanto diventano dopo 8 anni euro? Basta calcolare , ,477 = euro Nota sulla formula X 1,03 n e sulla sua dimostrazione mediante il principio di induzione. Abbiamo calcolato questa formula in modo euristico, cioè esaminando i primi casi (due o tre anni) e cercando di ricavarne una legge generale. Se vogliamo una buona dimostrazione, è proprio il caso di usare il principio di induzione, perché la formula deve essere valida per ogni intero n e inoltre è già nota con fortissima speranza che sia corretta. Osserviamo allora che la formula vale per n = 1 (l abbiamo già visto). Supponiamo quindi che sia valida per un certo intero n, cioè che dopo un certo numero n di anni si ottenga effettivamente un capitale pari a X 1,03 n, ed esaminiamo che cosa avviene con il passare di un ulteriore anno, cioè dopo n + 1 anni. Se il capitale investito vale X 1,03 n e gli aggiungo il 3 per cento ottengo: X 1,03n + X 1,03n 3 : 100 = X 1,03n (1 + 0,03) = X 1,03n 1,03 che, per le proprietà delle potenze, è proprio X 1,03 n+1, cioè proprio la formula cercata per n + 1 anni. Per il principio di induzione la formula vale per ogni intero n Nota sulle formule relative all inflazione (con le loro inverse). Questa stessa formula si può utilizzare per rispondere a una domanda apparentemente diversa: se ogni anno si registra un inflazione del 3%, quale sarà l inflazione complessiva dopo n anni? Ovvero, se il prezzo di 1 euro al chilo del pane aumenta ogni anno del 3%, quanto costerà il pane dopo n anni? Si osservi che dopo un anno diventa 1,03, 18

21 dopo due anni bisogna aggiungere i 3/100 di 1,03, ecc. Quindi si otterrà di nuovo 1,03 n, moltiplicato per 2 se il pane parte dal prezzo di 2 euro. Il prezzo del pane quindi raddoppia dopo circa 23 anni. Supponiamo di sapere che oggi il pane costa 2 euro al chilo e che 10 anni fa costava 0,5 euro. Supponendo che l inflazione sia sempre stata costante, qual è il tasso di inflazione negli ultimi 10 anni? Se ogni anno il prezzo del pane fosse aumentato del 3%, in 10 anni sarebbe diventato 0,5 (1,03) 10 = 0,67 euro, se l inflazione fosse stata del 5% il prezzo attuale sarebbe 0,5 (1,05) 10 = 0,814 euro. Operando per tentativi, abbiamo qualche speranza di scoprire il tasso di inflazione, ma non esiste una formula che ce lo dice subito? Chiamiamo x il tasso di inflazione incognito, o meglio indichiamo con x le cifre decimali (due o tre) da scrivere dopo 1 nel calcolo dell inflazione. Allora il prezzo dopo 10 anni diventa 0,5 (1,x) 10 = 2. Il calcolo di x richiede di risolvere l equazione (1,x) 10 = 2/0,5 = 4. È quindi chiaro che occorre utilizzare le radici e cercare il numero incognito 1,x che elevato alla decima potenza dà 4. Si tratta proprio della radice decima di 4, e si vede (magari usando la calcolatrice o le tavole) che si tratta di 1,149, dal che deduciamo che l inflazione annua è stata pari a 14,9%, ovvero un bene che costa un euro passa in un anno al nuovo prezzo di 1+0,149 = 1,149 euro. 6.2 Interesse dei BOT. Il calcolo dell interesse si fa più complicato quando si acquista un BOT, perché il BOT non accredita un interesse alla scadenza, ma viene venduto ad un prezzo più basso di 100 per poi essere rimborsato a 100. Se ad esempio un BOT a un anno viene venduto a 95 euro per ogni cento nominali e rimborsato a 100 dopo un anno, qual è l interesse? Sembrerebbe di 5 euro ogni cento, cioè del 5%, ma non è così. In effetti l acquirente non investe 100 euro ma soltanto 95 e quindi ricava dopo un anno 5 euro di interesse su di un capitale di 95 euro. Il valore corretto è quindi 5 : 97 = 0,0526 cioè il 5,26%. Quando il BOT sia invece, ad esempio, semestrale, ecco come si può ragionare. Supponiamo di pagare 97 euro un BOT semestrale acquistato il primo gennaio che alla scadenza (il 30 giugno) sarà rimborsato al valore di 100 euro. Noi abbiamo dunque investito 97 euro e ricavato 3 euro dopo 6 mesi, cioè dopo mezzo anno; abbiamo pertanto un interesse pari a 3 : 97 = 3,09, cioè pari al 3,09 per cento. Siccome l anno è il doppio del semestre, potremmo affermare che abbiamo ottenuto un interesse pari al 6,18%. In realtà l interesse è maggiore perché viene incassato dopo 6 mesi e quindi potrei teoricamente investire i 100 euro ottenuti in nuovi BOT per altri sei mesi. Occorre poi osservare che un calcolo più preciso non assegna al periodo 1 gennaio-30 giugno metà dell anno, perché si tratta di 181 giorni, che formano una parte pari a 181 : 365 = 0,49589 dell anno di 365 giorni. Allora per essere più precisi si potrebbe dire che il nostro interesse annuo è pari al 3, : 181 = 3,09 : 0,49589 = 6,23%. 19

22 6.3 Certi tipi di movimento Un problema che richiede di risolvere una semplice equazione di primo grado Un equazione di primo grado si scrive nella forma: ax + b = 0 dove a, b sono due numeri e a 0. La soluzione di tale equazione è x = b/a. Ma il problema più difficile è la scelta dell incognita x. Ecco il problema. Le ruote anteriori di un trattore hanno una circonferenza di 2 metri, mentre quelle posteriori sono più grandi e hanno circonferenza pari a 2,5 metri. Dopo un certo tempo le ruote anteriori hanno compiuto 100 giri completi più di quelle posteriori. Quanti metri ha percorso il trattore? Si noti che il numero di metri percorsi dal trattore si può far coincidere con il percorso delle ruote anteriori: ogni giro completo vuol dire un avanzamento del trattore di 2 metri. Ma anche un giro completo delle ruote posteriori significa un avanzamento del trattore, precisamente di 2,5 metri. Occorre quindi osservare che un avanzamento di 2 metri significa un giro completo delle ruote anteriori e un giro incompleto delle ruote posteriori, che avanzano solo di due metri; un avanzamento di 2,5 metri significa un giro completo delle ruote posteriori e un giro più qualcosa delle ruote anteriori. Invece un avanzamento di 10 metri significa 5 giri completi delle ruote anteriori e solo 4 giri completi delle ruote posteriori. Il nostro problema richiede di trovare il numero incognito di metri percorsi quando le ruote anteriori hanno percorso 100 giri più delle posteriori. Si potrebbe in un primo momento accettare il suggerimento implicito del problema e scegliere come incognita x tale numero di metri percorsi. Siccome le ruote anteriori percorrono due metri ogni giro, quindi 4 metri ogni due giri, ecc., si può affermare che percorrono x metri in x/2 giri, in quanto x = 2 x/2. Contemporaneamente le ruote posteriori percorrono gli stessi metri, ma meno giri. Precisamente, se i metri percorsi sono x e ogni giro vale 2,5 metri, i giri delle ruote posteriori sono x : 2,5. Si sa che la differenza vale 100 giri e quindi posso impostare l equazione seguente: x 2 = x 2,5. Dobbiamo quindi risolvere un equazione di grado uno nell incognita x = numero di metri percorsi dalle ruote anteriori. Si può riscrivere come: x 2 x 2,5 = 100 ovvero x ( ) = 100 2,5 20

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