Libertà religiosa in Lombardia e in Italia: un vero confronto

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1 Libertà religiosa in Lombardia e in Italia: un vero confronto Lunedì, 18 febbraio 2013, ore 21:00 Prof.ssa Marilisa D Amico Schema intervento 1. Il principio di laicità in Italia 2. Il caso problematico dell esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici 3. La legge lombarda sull esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici 4. La legge lombarda sui luoghi di culto 1. Il principio di laicità in Italia Il termine laico, di regola, viene utilizzato per indicare chi non ha un orientamento religioso. Chi è laico, inoltre, si ispira a impostazioni di autonomia dalle autorità ecclesiastiche ritenendosi svincolato rispetto ai precetti propri di una confessione religiosa. Uno Stato può, di conseguenza, essere definito laico quando non fa propria una morale ecclesiastica. In quest ottica esso si contrappone allo Stato clericale in cui i precetti propri di una fede vengono seguiti dallo Stato medesimo e diventano vincolanti per tutti i consociati. Tale principio può essere attuato in modi diversi a seconda dell atteggiamento che ogni singolo Stato sceglie di adottare nei confronti del fenomeno religioso. Esistono, da un lato, ordinamenti in cui quest ultimo viene visto esclusivamente come una questione privata ed interiore del singolo e dove i pubblici poteri devono essere assolutamente neutrali. Fra Stato e confessioni religiose c è, inoltre, un rapporto di assoluta separazione e il primo non può prevedere alcuna disciplina di sostegno, ancorché fondata sul rispetto dell uguaglianza di tutte le fedi, per i soggetti confessionalemente orientati. Vi sono, dall altro lato, Paesi in cui la scelta a favore della laicità non è condotta sino alle estreme conseguenze e dove è consentito il sostegno agli enti ecclesiastici purché questo venga effettuato senza discriminazioni senza, cioè, trattare in maniera più favorevole una confessione religiosa rispetto alle altre. I rapporti fra Stato e confessioni religiose hanno subito, nel nostro Paese, una notevole evoluzione. La nostra Costituzione, anche se non lo ha espressamente stabilito, si ispira al principio di laicità. Da esso deriva l impossibilità, per lo Stato, di dare prevalenza ad un orientamento ideologico rispetto agli altri. Tutte le ideologie, indipendentemente dal seguito che esse hanno, devono convivere in maniera pacifica e hanno pari cittadinanza purché, ovviamente, non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell ordinamento costituzionale. Il principio di laicità si ricava dalla lettura combinata di numerose disposizioni della Costituzione. Come ha precisato la Corte costituzionale con la sentenza n. 203 del 1989, questo emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione e rappresenta un

2 principio supremo. Ne deriva che esso non potrebbe venir eliminato neppure mediante il procedimento di revisione costituzionale. Tre sono le declinazioni del principio di laicità, alla luce delle norme costituzionali: il principio di separazione degli ordini (art. 7 Cost); il principio di eguaglianza di tutte le religioni (artt. 8 e 20); il principio della libertà individuale religiosa e di culto (art. 19). Ne deriva, sia l inammissibilità di discipline volte ad assicurare ad una fede un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato alle altre, sia il divieto di discriminare una confessione specifica rispetto a tutte le altre. Inoltre, dal punto di vista dei singoli, il supremo principio di laicità impone di dare analoga tutela al sentimento religioso di tutti, ivi compresi gli atei. Va precisato subito che il principio di laicità non va inteso come assoluta neutralità dello Stato rispetto al fenomeno religioso. La stessa sentenza n. 203 del 1989 precisa, infatti, che esso implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. La sua esistenza, ribadita successivamente in numerose decisioni comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose (Corte cost. sentenza n. 329 del 1997). Diversamente da quanto accade in altre esperienze, allora, la natura laica dello Stato italiano non implica un disinteresse assoluto nell ambito ecclesiastico, con l esclusione di qualsivoglia intervento attivo dei pubblici poteri, ma implica, appunto, equidistanza. In altre parole, la Repubblica può farsi promotrice di provvedimenti volti a tutelare il fenomeno religioso purché ciò avvenga in maniera tale da assicurare un eguale trattamento a tutte le confessioni. L affermazione del principio di laicità comporta, inoltre, una separazione fra la sfera temporale e quella spirituale. In altre parole, esso implica che tanto lo Stato quanto le confessioni religiose non interferiscano con le scelte proprie dei rispettivi ordini. Una simile necessità è affermata dall art. 7 Cost. (che si riferisce ai rapporti fra Italia e Chiesa cattolica) e dall art. 8 Cost.(che si riferisce a tutte le altre confessioni religiose). Come si è già accennato, il principio in esame è strettissimamente connesso con il diritto fondamentale alla libertà di religione garantito a tutti, quindi sia ai cittadini sia agli stranieri, dall art. 19 della Costituzione. Tale libertà, inoltre, è riconosciuta anche dall art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo che assicura, fra l altro, la possibilità di cambiare religione o credo. La norma internazionale, tuttavia, consente limitazioni maggiori rispetto a quella italiana. Infatti, l art. 19 Cost. vieta solo i riti contrari al buon costume, mentre l art. 9 CEDU considera ammissibili tutte le limitazioni stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui. Sul punto va segnalato che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell uomo ha interpretato in maniera assai ampia la formula ora richiamata ritenendo ammissibili, ad esempio, norme adottate in Turchia finalizzate ad impedire alle studentesse universitarie di seguire le lezioni con il velo. ***

3 Ragionando sul principio di laicità, considerato anche che esso non è stato esplicitamente previsto in Costituzione, non si può prescindere dall analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale. Un elemento che ha certamente contribuito ad una graduale affermazione del principio di laicità nella giurisprudenza della corte costituzionale ed a trarne le logiche conseguenze è stata la modifica del Concordato sottoscritta, il 18 febbraio 1984, fra il Governo italiano e la Santa Sede, poi ratificata e resa esecutiva con la legge 25 marzo 1985, n Tra le modifiche apportate in tale sede fondamentale è quella secondo cui si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. Ad ogni modo la svolta definitiva nell applicazione giurisprudenziale del principio di laicità si ha con la sent. n. 440 del La Corte chiarisce che in materia di religione, non valendo il numero, si impone ormai la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza. Questa affermazione risulta di centrale importanza in quanto, sviluppando gli spunti contenuti in alcune precedenti decisioni, dà rilevanza al sentimento religioso di tutti i cittadini in maniera assolutamente uguale. Da queste affermazioni si deduce l illegittimità delle disposizioni che prevedono un favor per la religione cattolica che fonda le premesse del successivo orientamento della Corte che utilizzando tali motivazioni sopra indicate interviene dichiarando incostituzionali le norme, specie del codice penale, che prevedevano un trattamento privilegiato per la religione cattolica (vanno segnalate le sentenze n. 329 del 1997; 508 del 2000; 327 del 2002; 168 del 2005 con le quali vengono dichiarate illegittime le norme del codice penale che punivano il vilipendio ai simboli ed ai ministri di culto delle singole confessioni religiose prevedendo un trattamento più favorevole per la religione cattolica. Ci si riferisce agli artt. 402; 403; 404 e 405 del codice penale). Dopo l intervento fondamentale della giurisprudenza costituzionale è intervenuto, infine, anche il legislatore. Esso da un lato, con la legge n. 85 del 2006, infatti, ha sostituito, in ossequio alle decisioni della Corte costituzionale, la locuzione religione dello Stato o religione cattolica con quella di una confessione religiosa, dall altro con la legge n. 507 del 1999 ha definitivamente depenalizzato il reato di bestemmia. 2. Il caso problematico dell esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici In Italia le questioni più problematiche in tema di laicità si pongono in maniera particolarmente forte in merito all esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. I casi più emblematici riguardano l esposizione nelle aule scolastiche. Il nostro ordinamento giuridico, come si è già detto, vieta qualunque forma di privilegio a favore di una sola confessione religiosa. Di conseguenza, nell ipotesi in cui si considerasse il crocifisso un simbolo della sola religione cattolica, dovrebbe derivarne il contrasto con gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione. Inoltre, la presenza del crocifisso sembra in antitesi rispetto alla libertà di coscienza che proprio l art. 19 Cost. riconosce a ciascun individuo.

4 Non essendo più possibile far affidamento su alcuna delle giustificazioni che, per lungo tempo, hanno consentito di salvare le norme di favore per la Chiesa cattolica, dovrebbero valere contro l esposizione del crocifisso tutte le affermazioni fatte dalla Corte costituzionale nella sua più recente giurisprudenza. In primo luogo l esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici pome problemi rispetto al principio della neutralità dello spazio pubblico che trova copertura costituzionale nell art. 97 della Costituzione. In effetti, come ricordato dalla Corte di cassazione nel caso Montagnana, esiste un interesse costituzionalmente rilevante a che le prestazioni della pubblica amministrazione vengano realizzate in uno spazio neutro dal punto di vista dell orientamento religioso. Nel caso in cui venga esposto un simbolo collegato con una confessione religiosa si avrebbe, in particolare, una lesione della libertà di coscienza del singolo individuo. Ciò sia avendo riguardo a chi svolge una funzione pubblica in un luogo non sufficientemente neutro rispetto all aspetto religioso, sia avendo riguardo al cittadino a alla singola persona che si trovi a qualunque titolo a dover ricevere una prestazione pubblica. Il problema si pone con particolari caratteristiche a seconda del luogo in cui il crocifisso viene esposto. Con riferimento alle aule scolastiche va sottolineato come vengano in rilievo anche le norme costituzionali relative, da un lato, alla libertà di insegnamento e, dall altro, alla potestà dei genitori di poter educare i propri figli. In sintesi i docenti dovrebbero avere il diritto ad operare in un ambiente ideologicamente neutro, mentre agli alunni e alle loro famiglie andrebbe assicurata la tutela della libertà religiosa. Un altro luogo in cui tradizionalmente è esposto il crocifisso è il seggio elettorale. Ciò deriva dal fatto che essi sono allestiti negli edifici scolastici ove, lo si è appena visto, tale simbolo si trova abitualmente. Nel caso di specie, oltre alle questioni sopra indicate, se ne possono porre altre. Nel seggio sono chiamati a svolgere importanti funzioni, da una parte, il Presidente e gli scrutatori e, dall altra, gli elettori. I primi sono chiamati ad operare, obbligatoriamente e sotto minaccia di una sanzione penale, sia nella fase del voto sia allo spoglio delle schede, svolgendo un ruolo fondamentale per l esercizio del diritto di voto da parte dei secondi. L esposizione del crocifisso può compromettere la serenità di entrambi. Gli elettori potrebbero considerare il simbolo religioso alla stregua di un indebita turbativa della propria coscienza e, di conseguenza, di una lesione della libertà e segretezza del voto solennemente garantita dall art. 48 della Costituzione. Il non cattolico, ad esempio, potrebbe considerare l affissione della croce una violazione della neutralità dell amministrazione pubblica che deve essere garantita in un momento tanto importante quanto quello delle elezioni. Il cattolico, invece, potrebbe trovarsi in una situazione di soggezione rispetto alla divinità ed essere condizionato nella scelta finale del voto. Inoltre, soprattutto se le autorità ecclesiastiche si fossero espresse su alcuni temi della campagna elettorale, il crocifisso potrebbe ricordare al credente proprio quelle prese di posizione e, ancora una volta, influenzarlo. Infine, non può dimenticarsi che vi sono in Italia partiti che si richiamano espressamente alla fede cattolica. Anche qui il simbolo religioso potrebbe, forse, essere inteso come una sorta di messaggio. Dal versante di chi gestisce il seggio i problemi paiono essere due: da una parte, pare violata la libertà di coscienza di quanti si trovano a dover svolgere una pubblica funzione,

5 dall altra, essi potrebbero considerare leso il principio dell imparzialità della pubblica amministrazione che, esponendo il crocifisso, si schiererebbe dalla parte di una confessione religiosa. Il Presidente e gli scrutatori, allora, si troverebbero nella condizione di vedersi considerati e di considerarsi istituzionalmente come non imparziali. Anche l esposizione del crocifisso nelle aule di giustizia sembra avere ulteriori e specifici problemi. In particolare la presenza del simbolo potrebbe indicare alle parti (ed in particolare agli imputati nei procedimenti penali) l esistenza, accanto alla giustizia degli uomini, della giustizia divina, quasi essa fosse, insomma, l ultima istanza di giudizio. Persino la collocazione del simbolo, alle spalle e sopra al giudice, sembrerebbe presupporre un collegamento fra divinità e giudice. In altre parole, l organo decidente parrebbe agire sotto la direzione e la guida divina. Si tratta, come si vede, di una situazione che pare, se non altro, inserirsi in maniera difficilmente armoniosa coi principi costituzionali di imparzialità dell amministrazione della giustizia e con il fondamentale diritto di difesa degli individui. Diritto, quest ultimo, che la corte costituzionale ha riconosciuto come principio supremo del nostro ordinamento. 3. La legge lombarda sull esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici La Regione Lombardia ha approvato, nel 2011, una legge che nell intento di dare rilievo ai valori storico-culturali e sociali considerati alla base della tradizione lombarda e di riconoscere l importanza delle sue radici giudaico-cristiane prevede che la Regione espone il crocifisso nelle sale istituzionali e all'ingresso degli immobili regionali e di quelli in uso all'amministrazione regionale. Si tratta di un intervento che pone, per le ragioni sopra esposte, diversi e forti dubbi di legittimità costituzionale. In effetti, dagli artt. 3, 7, 8 e 19 della Costituzione si ricava il principio di laicità dello Stato che costituisce uno dei principi supremi dell ordinamento costituzionale. Esso ponendo alla Repubblica, in tutte le sue articolazioni, l obbligo di parità di trattamento per tutte le confessioni religiose, difficilmente può ammettere la previsione di un vincolo di esposizione di un simbolo religioso che, come espressamente riconosciuto dalla legge lombarda, appartiene ad una specifica tradizione religiosa. Inoltre, l esposizione del crocifisso altera quella necessaria neutralità dello spazio pubblico cui si è fatto riferimento e che è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza della corte di cassazione (specie nel caso montagnana) un principio di rilievo costituzionale. 4. La legge lombarda sui luoghi di culto Legge regione Lombardia n. 12 del 2005, Legge per il governo del territorio Criticità della normativa in tema di realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi. Titolo IV Attività edilizie specifiche

6 Capo III Norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi Con riferimento alla regolamentazione, disciplinata con legge r. n. 12 del 2005 in tema di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, possono essere posti in rilievo, in questa sede, alcuni profili di dubbia legittimità costituzionale relativi ad alcune sue disposizioni. In primo luogo, viene in rilievo quanto dispone l articolo 70 della legge r. n. 12 del Al suo primo comma, infatti, l articolo 70 stabilisce che: La Regione ed i comuni concorrono a promuovere, conformemente ai criteri di cui al presente capo, la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica. Con riferimento all ambito applicativo della disposizione in esame, il secondo comma precisa la sua applicabilità anche agli enti delle altre confessioni religiose, che però siano qualificabili come tali sulla base di criteri desumibili dall'ordinamento ed aventi una presenza diffusa, organizzata e stabile nell'ambito del comune ove siano effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo, ed i cui statuti esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e previa stipulazione di convenzione tra il comune e le confessioni interessate. Un primo rilievo da fare attiene alla distinzione tra primo e secondo comma, determinata dal diverso trattamento per la confessione cattolica. Per gli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica la norma, al suo primo comma, si limita a richiamare l intervento della Regione e dei Comuni, finalizzato a promuovere la realizzazione delle opere in esame. L intervento promozionale dell ente locale è in questo caso automatico. Il secondo comma dell art. 70, destinato alle confessioni diverse da quella cattolica, richiede innanzitutto il soddisfacimento di una serie di requisiti ulteriori e a cui risulta subordinato l intervento della Regione e del Comune. Tra i criteri a cui fa riferimento il secondo comma dell art. 70 della legge r. n. 12 del 2005, con riferimento alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, possono essere richiamati: 1. la previa stipulazione di un apposita convenzione con il Comune interessato 2. una presenza diffusa, organizzata e stabile sul territorio interessato. Da notare, dunque, in aggiunta, che la norma opera una distinzione tra la disciplina a cui assoggettare la realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi, a seconda della diffusione, dell organizzazione e della stabilità della confessione religiosa nell ambito del Comune.

7 Importante riportare, quanto all interpretazione dell art. 70, comma secondo, l. r. n. 12 del 2005, quanto affermato dal T.A.R. Brescia, Lombardia, 14 settembre 2010, n. 3522, il quale ha precisato che: L'art. 70 comma 2, l. r. n. 12 del 2005 non autorizza i comuni a decidere sulla qualificazione delle confessioni religiose in luogo dello Stato, ma riserva alle amministrazioni locali una competenza urbanistico-edilizia, diretta ad accertare che la confessione religiosa per la quale è richiesta la realizzazione di un luogo di culto abbia sul territorio una presenza diffusa, organizzata e stabile, e a regolare i vari problemi edilizi, igienico-sanitari e di sicurezza collegati al notevole afflusso di persone. Nonostante tale interpretazione del Tribunale amministrativo, volta a ridurre la valutazione discrezionale dell ente locale competente ad un attività di mero accertamento, vi è da rilevare che, alla base dell intervento promozionale sta comunque la previa stipulazione di una convenzione tra confessione religiosa e lo stesso ente locale, nonché comunque un esame sulla diffusione, organizzazione e stabilità della confessione sul territorio. Sulla base del contenuto della norma sopra richiamata, possono essere sottolineate alcune criticità sia quanto al rispetto del principio costituzionale di eguaglianza formale, art. 3 comma 1, Cost, che non consente trattamenti differenziati operati in ragione della confessione religiosa professata; sia con riferimento a quanto dispongono gli articoli 19 e 20 della Costituzione in tema di tutela della libertà di religione e di pari trattamento delle associazioni o istituzioni che perseguano una finalità religiosa o di culto. Altra norma del presente Capo a venire in rilievo è l art. 72, Rapporti con la pianificazione comunale, con specifico riferimento a quanto disposto ai sensi del suo quarto comma, il quale così stabilisce: Le aree destinate ad accogliere gli edifici di culto e le altre attrezzature per i servizi religiosi, anche di interesse sovracomunale, sono ripartite fra gli enti che ne abbiano fatto istanza in base alla consistenza ed incidenza sociale delle rispettive confessioni. La norma si espone ad alcune criticità dal punto di vista costituzionale, rispetto agli articoli 3 e 19 della Costituzione. Più in particolare, la norma, nel subordinare alla consistenza e alla incidenza delle rispettive confessioni la distribuzione delle aree destinate ad accogliere gli edifici di culto, opera una discriminazione irragionevole tra confessioni religiose, in violazione del principio di eguaglianza formale e di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.) e del principio di eguaglianza tra tutte le religioni (artt. 8 e 20 Cost.). Inoltre, nel modulare gli interventi promozionali ripartizione di aree e finanziamenti (si veda, infra art. 73) adottati dagli enti locali competenti sulla base della consistenza numerica delle confessioni religiose, la norma pregiudica il diritto alla libertà di professare liberamente il proprio credo religioso, che l articolo 19 Cost. garantisce non soltanto in forma individuale, bensì anche quale momento collettivo. Il momento della promozione delle diverse associazioni e organizzazioni, che perseguano finalità religiose, dovrebbe, infatti, essere preordinato a garantire a ciascuna la possibilità di valersi degli strumenti apprestati dagli enti locali competenti, funzionali a dare un

8 contenuto effettivo al diritto del libero esercizio, garantito a livello costituzionale, e non solo nel momento attuativo, ma anche nella precedente fase di pianificazione delle modalità di utilizzo del territorio (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8298, 27 novembre 2010). Se delle distinzione nell ampiezza o nel numero delle aree possono essere ammissibili, sulla base della consistenza e incidenza sociale della confessione, non dovrebbe essere invece consentito, come la norma sembra fare, che l ente locale possa sottrarsi dal concedere spazi a confessioni con un esiguo numero di seguaci. Analoghe osservazioni possono essere formulate con riferimento a quanto disposto ai sensi del terzo comma dell art. 73, l. r. n. 12 del 2005, Modalità e procedure di finanziamento. Nel prevedere che: entro il successivo 30 novembre, il comune, dopo aver verificato che gli interventi previsti nei programmi presentati rientrino tra quelli di cui all'articolo 71, comma 1, ripartisce i predetti contributi tra gli enti di cui all'articolo 70 che ne abbiano fatto istanza, tenuto conto della consistenza ed incidenza sociale nel comune delle rispettive confessioni religiose, finanziando in tutto o in parte i programmi a tal fine presentati, la norma non contempla l ipotesi di destinare un finanziamento minimo a tutti gli enti che presentino la suddetta istanza, così discriminando, quanto all ammontare del contributo erogato dall ente locale, tra le varie confessioni religiose sulla base della consistenza numerica delle medesime, in violazione degli artt. 3 e 19 della Costituzione. Se può condividersi un impostazione che attribuisca finanziamenti proporzionalmente più elevati sulla base della consistenza ed incidenza sociale delle associazioni ed enti cattolici all interno del territorio del Comune interessato, è necessario altresì ricordare come l argomento quantitativo, che per lungo tempo ha giustificato politiche di favore nei confronti della Chiesa Cattolica, sia stato da lungo tempo abbandonato dalla Corte costituzionale, secondo la quale è da considerarsi: ormai inaccettabile ogni tipo di discriminazione che si basasse soltanto sul maggiore o sul minore numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose (Corte cost. sent. n. 925 del 1988).- In conclusione, può osservarsi come le norme sopra richiamate dettino una regolamentazione della materia che, complessivamente considerata, si risolve in una discriminazione tra le varie confessioni religiose presenti sul territorio, in violazione degli articoli 3, comma 1, e 19 della Costituzione. Più in particolare, l art. 70, comma 2, l. r. n. 12 del 2005 discrimina tra confessioni religiose quanto alla fruizione di interventi adottati dall ente locale competente in materia di realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi. Le norme di cui agli artt. 72, comma quarto, e 73, comma terzo, finiscono con il riverberarsi negativamente nei confronti delle sole confessioni religiose diverse dalla cattolica, sia sotto il profilo della ripartizione delle aree destinate agli edifici di culto, sia sotto quello economico, integrando così gli estremi di una discriminazione indiretta in loro danno. Alla dubbia conformità a Costituzione delle suddette norme rispetto all articolo 3, comma primo, Cost., si affiancano ulteriori profili che riguardano la tutela della libertà di

9 religione (art. 19 Cost.) e il principio di cui all art. 20 Cost., in forza del quale la Costituzione stabilisce che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività, cosa che invece sembra emergere dalla normativa vigente in Regione Lombardia. Inoltre, nell interferenza del legislatore regionale, che si risolva in una discriminazione in danno di confessioni religiose diverse dalla cattolica, potrebbe altresì scorgersi una problematica compatibilità con il principio supremo di laicità dello Stato, che, come ha affermato il Giudice costituzionale, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale (Corte cost. sent. n. 203 del 1989). In conclusione, sempre nella direzione di offrire tutela alla libertà di religione, da esercitarsi in forma individuale e collettiva, depongono alcune disposizioni a livello sovranazionale e di Unione Europea. Più in particolare, s intende fare riferimento alle previsioni di cui all art. 9 CEDU ( Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l insegnamento, le pratiche e l osservanza dei riti. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui. ) e all art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione Europea ( Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio ).

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