«Non solum alimenta praestari debent»

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1 Luigi Sandirocco «Non solum alimenta praestari debent» 1. Diritto personale agli alimenti 2. Libertus 3. Patronus 4. Pater avumve paternum proavumve paterni 5. Matres et filii 6. Parenti in linea collaterale: fratres et sorores 7. Iustae nuptiae: una ipotesi ricostruttiva 8. Considerazioni finali 1. L articolo 2 della Carta costituzionale, che testualmente recita «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», sancisce i principi fondanti di aiuto, assistenza, partecipazione e sostegno ed è alla base dell obbligazione alimentare e del conseguente diritto agli alimenti. Il presupposto fondamentale del vincolo è lo stato di bisogno e gli alimenti stessi possono essere chiesti, solo da chi versa in detta condizione e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, a una gerarchia di individui tenuti alla prestazione 1. Il diritto agli alimenti nella nostra cultura giuridica ha, com è noto, natura di diritto personale, non si prescrive e non si tramanda, quindi non si può cedere e proporre in compensazione e si distingue dal diritto al mantenimento, in quanto si caratterizza per la situazione di bisogno del soggetto avente titolo, che non è, al contrario, presupposto costitutivo del mantenimento stesso. L obbligo alimentare, pur dovendo tenere conto delle differenze di posizione sociale, è limitato nel quantum dallo stato di bisogno e, quindi, non può eccedere la misura necessaria a eliminare la stessa situazione di indigenza. Il diritto al mantenimento ha, al contrario, un oggetto più ampio e comprende la soddisfazione non solo dei bisogni primari del vivere quotidiano ma anche delle esigenze legate a un determinato tenore di vita. La misura del diritto alimentare è quindi proporzionata alla situazione di bisogno del richiedente e alle condizioni economiche dell obbligato e l entità del bisogno e l impossibilità di provvedere al proprio sostentamento debbono essere valutate in relazione alle capacità psicofisiche dell individuo, alla sua posizione sociale e alle reali possibilità di svolgere un attività lavorativa consona allo status della persona. Nel nostro ordinamento esiste inoltre un ordine di gradazione di soggetti passivi tenuti alla prestazione alimentare che si dipana a cascata da coniuge, figli legittimi, legittimati, naturali e adottivi e, in loro assenza, discendenti prossimi, anche naturali; genitori e, in loro mancanza, ascendenti prossimi, anche naturali e adottanti; nonché, nei limiti dello stretto necessario, generi e nuore; suoceri e suocere; fratelli e sorelle 2. Anche nell esperienza giuridica romana esiste, com è noto, una classificazione di soggetti passivi tenuti alla prestazione alimentare che con plausibile attendibilità e secondo quanto verrà di seguito spiegato e chiarito attraverso una rilettura delle fonti sono: i patroni e i liberti; i genitori e i figli; i fratelli e le sorelle; i coniugi, ma questi probabilmente solo a partire dall età giustinianea. 1) Art. 438 cod. civ. 2) Art. 433 cod. civ. ( 1 ) 323

2 «Non solum alimenta praestari debent» La natura personale del diritto, nonché il riferimento agli obbligati e onerati, allo stato di bisogno e alle condizioni economiche di chi è tenuto alla prestazione e, quindi, al principio del concorso in proporzione allo status patrimoniale degli obbligati, rappresentano elementi in qualche modo comuni alla nostra cultura e a quella giuridica romana. Di qui il campo di esplicazione della presente indagine. Le relazioni umane risultano finalizzate alla garanzia di salvaguardia e prosecuzione della specie, attraverso forme e modalità che garantiscano ai soggetti che, per qualsiasi ragione, attraversino una qualsivoglia situazione motivata di difficoltà, l assicurazione delle condizioni materiali indispensabili a soddisfare le esigenze di vita 3. Questo principio socio-evoluzionistico ha avuto una tradizione giuridica variegata e complessa, risalente all esperienza romana che si è occupata e ha fissato le peculiarità dell obbligo alimentare ed è stato oggetto di interessanti ricerche che ne hanno messo in evidenza vari aspetti e differenti caratteristiche 4. Gli studiosi si sono soffermati in particolare sulla ricca casistica e le implicazioni connesse ai vincoli parentali nonché sulle corrette interpretazioni dei testi, e sull analisi dei presunti interventi di interpolazione operati dai compilatori giustinianei 5. Quello che la romanistica però parrebbe aver relegato in una sorta di cono d ombra è una questione interessante che sembra emergere dalle fonti, relativa alla portata e all ampiezza dell obbligo alimentare in relazione allo stato di bisogno e alle facoltà economiche dell onerato: un tema destinato ad avere grande sviluppo nella modernità. 3 ) Anche l assistenza pubblica, come il vincolo alimentare, garantisce, sebbene con caratteristiche peculiari e finalità distinte e differenti, situazioni di necessità e congiunture economiche avverse ed è in origine fondata, com è noto, essenzialmente su elargizioni private (l iscrizione di Atina [«CIL.» X.5056] conferma la natura privata della munificenza). Solo con l imperatore Nerva (96-98 d.c.), infatti, ha inizio una forma di assistenza pubblica in favore dei minori, fanciulli e fanciulle, bisognosi (sul punto, cfr. A. GARZETTI, Nerva, Roma, 1950, p. 60 ss., G. PUGLIESE, Assistenza all infanzia nel principato e «pie cause» del diritto romano cristiano, in «Sodalitas. Scritti A. Guarino», VII, Napoli, 1984, p. 3176). Si tratta di un vincolo assistenziale pubblico probabilmente ideato da Marco Cocceio di Narnia ma formalizzato, con plausibile attendibilità, dal successore Marcio Ulpio Traiano (98-117) con la tabula di Veleia che mette in pratica il sistema degli alimenti quale programma sociale ed economico di sostegno e beneficenza. L iscrizione bronzea traianea ( ), in particolare, riporta del mantenimento di 300 fanciulli e fanciulle poveri che vengono aiutati con intervento pubblico: coloro che hanno infatti ottenuto in qualità di proprietari o possessori di agri vectigales in territorio di Veleia, Piacenza, Lucca e Parma la distribuzione di una somma messa a contributo, pari a sesterzi, devono restituire l ammontare ricevuto con il pagamento di un tasso di interessi agevolato del solo 5% annuo; gli accessori non confluiscono però nelle casse imperiali bensì in quelle municipali e, quindi, ad opera dei magistrati locali, vengono devoluti ai giovani bisognosi: 263 fanciulli di età inferiore ai 18 anni e 35 fanciulle di età inferiore ai 14 anni (in argomento e circa il dibattito dottrinario sulla tabula, nello specifico, cfr. N. CRINITI, «La tabula alimentaria» di Veleia, Parma, 1991, passim e l ampia bibliografia ivi riportata): su alimenta e meccanismi burocratici dell apparato assistenziale, nonché sulle fondazioni alimentari private in Italia e nelle province dell impero, e quindi sul coinvolgimento delle donne e del loro ruolo attivo di benefattrici, si veda da ultimo I. CAO, Alimenta. Il racconto delle fonti, Padova, 2010, p. 25 ss. 4 ) In tema di regime alimentare tra i contributi di portata generale, che affrontano con puntualità anche l argomento specifico, si vedano P. BONFANTE, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia, Roma, 1925, p , P.F. GIRARD, Manuel élémentaire de droit romain 7, Paris, 1924, p , G. MANDRY, Das gemeine Familiengüterrecht, Tübingen, 1876, p , e S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano 2, II, Roma, 1928, p Tra i lavori destinati precipuamente alla materia, invece, cfr. E. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, Milano, 1925, passim, ID., Sul diritto agli alimenti nel diritto romano e nelle patristiche, in «Studi di diritto romano», I, Milano, 1933, p. 249 ss., A. DE FRAN- CESCO, Il diritto agli alimenti tra genitori e figli. Un ipotesi ricostruttiva, in «Labeo», XLVII, 2001, p , ID., Giudizio alimentare e accertamento della filiazione, in «Diritto e giustizia nel processo. Prospettive storiche, costituzionali e comparativistiche», Napoli, 2002, p , F. LANFRANCHI, Ius exponendi e obbligo alimentare in diritto romano, in «SDHI.», VI, 1940, p. 2-69, G. LAVAGGI, Alimenti, in «ED.», II, Milano, 1958, p. 19, C. LONGO, Sul diritto agli alimenti, in «AUMA.», XVII, 1948, p , R. ORESTANO, Alimenti, in «NNDI.», I, Torino, 1968, p ; M. ROBERTI, Il diritto agli alimenti, in «Miscellanea Vermeersch», Roma, 1935, p , E. SACHERS, Das Recht auf Unterhalt in der römischen Familie der klassischen Zeit, in «Festschrift F. Schulz», Weimer, 1951, p ; R. TAUBENSCHLAG, Die Alimentationspficht in Rechte der Papyri, in «Studi S. Riccobono», I, Palermo, 1936, p. 507 ss., M.G. ZOZ, In tema di obbligazioni alimentari, in «BIDR.», LXXIII, 1970, p , e EAD. Alimenti: tentativo di ordinare in modo sistematico le fonti autoritative citate dai giuristi, in «Mélanges F. Sturm», I, Liège, 1999, p ) Fra tutti cfr. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 14 ss., e ID., Sul diritto agli alimenti nel diritto romano, cit., p. 249 ss. ( 2 )

3 Luigi Sandirocco Nel suo commento alle Pandette, Christian Friedrich von Glück evidenzia come il vincolo agli alimenti comportasse un impegno di spesa utile a quanto esclusivamente essenziale a far fronte alle esigenze primarie: cibo, vestiario, ricovero notturno 6. Una rilettura delle fonti consente, come vedremo, di rimodulare l affermazione in una maniera forse più aderente alla portata dei testi, in quanto sia la giurisprudenza sia le disposizioni normative non sembrano limitare l obbligazione alle necessità stringenti di sopravvivenza, ma «allargarla» alla soddisfazione di più ampi bisogni, finanche morali e psicologici, attraverso lo sviluppo delle attitudini e inclinazioni personali del soggetto beneficiario che, in tal modo, deve poter essere messo in condizione di «realizzare» compiutamente se stesso. Presupposto del diritto agli alimenti è, in ogni caso, sempre e comunque il bisogno del soggetto debole, con la conseguenza che la misura dell obbligo dipende, in linea di principio, dai mezzi dell onerato e il suo contenuto è variabile a seconda dei legami parentali. Ciò che invece, con un apprezzabile margine di attendibilità, sembra differenziarlo dall accezione moderna, sono la misura, la grandezza quantitativa e l estensione: il vincolo agli alimenti nell esperienza giuridica romana si sostanzierebbe non solo entro il limite irrinunciabile della sussistenza, ossia di ciò che risulta basilare e necessario in quanto configurabile come determinante e vitale per il soggetto che versi in stato di bisogno ma, più in generale e nel caso di onerato di famiglia abbiente, anche di quanto utile a garantire condizioni di vita agiata, includendo, quindi, persino esborsi per l educazione, la cultura e la formazione dell avente diritto. A questo punto è d obbligo procedere a una accurata indagine su quali cambiamenti e modifiche si registrino nel corso degli oltre dodici secoli di storia romana in tema di regime alimentare nell ambito dei distinti rapporti di parentela: in linea retta e in linea collaterale, nonché di coniugio, tutti singolarmente considerati; quindi occorre valutare e ponderare se il vincolo di solidarietà abbia davvero assolto, come sembra emergere dalle fonti, la funzione garante non solo dell esistenza minima del soggetto, bensì delle più vaste aspirazioni legate a un ampia e completa istruzione ed educazione della persona, ossia non solo a quanto esclusivamente essenziale e necessario ma, all opposto, anche a ciò che è accessorio per una completa formazione psicofisica dell alimentando: le vie percorse dalla presente indagine si articolano così sulla casistica pervenuta attraverso le fonti e sul contenuto del vincolo alimentare come appare delineato dagli interventi normativi e giurisprudenziali. 2. Ulpiano ci informa del diritto del patrono, che versa in stato di bisogno, ad ottenere dal liberto quanto necessario al proprio sostentamento: D (Ulp. 2 off. cons.): Solent <iudices> cognoscere et inter patronos et libertos, si alendis his agatur: itaque si negent se esse libertos, cognoscere eos oportebit: quod si libertos constiterit, tunc demum decernere, ut alant: nec tamen alimentorum decretum tollet liberto facultatem, quo minus praeiudicio certare possit, si libertum se neget. La conseguenza è che il liberto deve nei confronti del patrono non solo obsequium ma anche la corresponsione di quanto necessario ai bisogni primari suoi o dei di lui discendenti o ascendenti, verso i quali non è comunque tenuto all obsequium quando lo abbiano accusato ingiustamente di crimina : D (Ulp. 2 off. cons.): Utrum autem tantum patroni alendi sint an etiam patronorum liberi, tractari potest. Et puto causa cognita <iudices> et liberos quoque patronorum alendos decernere, non quidem tam facile ut patronos, sed nonnumquam et ipsos: nam et obsequium non solum patronis, verum etiam liberis eorum debere praestari. 6) C.F. GLÜCK, Ausfürliche Erläuterung der Pandekten nach Hellfeld, ein Commentar, Erlangen, , XXV (1826), trad. it. Commentario alle Pandette, XXV.3 (De agnoscendis et alendis liberis, vel parentibus, vel patronis, vel libertis ), cur. G. BAVIERA, Milano, 1907, p. 149 ( 1285). ( 3 )

4 «Non solum alimenta praestari debent» E ancora: D (Ulp. 2 off. cons.): Sed et patroni filium, qui capitis accusavit libertum paterum, negat exhibendum. Secondo il giurista severiano, infine, nel caso di rapporto di patronato ridotto o affievolito il diritto agli alimenti viene a mancare: D (Ulp. 2 off. cons.): Si quis a liberti liberto ali se desideret vel ab eo, quem ex causa fideicommissi manumisit, quemque suis nummis redemit, non debet audiri, ut et Marcellus scribit, exaequatque eum, qui mercedes exigendo ius libertorum amisit. La specifica conseguenza è che nulla è dovuto a titolo di alimenti al patrono del patrono, al patrono che ha manomesso per fidecommesso, al patrono che abbia operato il riscatto con danaro del liberto servus pecunia sua emptus 7 o al patrono che abbia preteso pecunia dal liberto per la concessione della libertà 8. Settimio Severo ( ) e il figlio Caracalla ( ), inoltre, intervengono con un provvedimento normativo del 204 d.c., nell anno del consolato di Cilone e Libone, sancendo che il patrono, in luogo delle prestazioni specifiche puntualmente determinate e formalmente stabilite in occasione della manomissione, può pretendere a titolo di alimenti pro alimentis id extra ordinem peti necessitas suaserit somme di danaro periodiche necessarie a far fronte al proprio stato di bisogno: C.I : Si tempore manumissionis operae tibi impositae sunt, scis te eas praestare debere. solet autem inter patronos et libertos convenire, ut pro operis aliquid praestetur, licet pretium non possit, nisi quando propter inopiam pro alimentis id extra ordinem peti necessitas suaserit, cum, etsi operae non erant impositae, defectis tamen facultatibus patroni alere eum cogebaris. Il magistrato, pertanto, avanzata dal patrono la richiesta extra ordinem, accertato e riscontrato il vincolo di patronato, si pronuncia in merito al diritto agli alimenti nonché al quantum di spettanza. Lucio Aurelio Commodo ( ), quindi, secondo quanto si apprende da Modestino, avrebbe previsto, per il caso di inadempienza grave del liberto all obbligo alimentare e di contestuali condizioni economiche di estrema indigenza del patrono, la possibilità di riduzione del medesimo liberto allo stato servile di origine 9 : D (Mod. l.s. manum.): Imperatoris Commodi constitutio talis profertur: Cum probatum sit contumeliis patronos a libertis esse violatos vel illata manu atroci esse pulsatos aut etiam paupertate vel corporis valetudine laborantes relictos, primum eos in potestate patronorum redigi et ministerium dominis praebere cogi: sin autem nec hoc modo admoneantur, vel a praeside emptori addicentur et pretius patronis tribuetur. 7) D (Ulp. 6 disp.): Is qui suis nummis emitur epistula divorum fratrum ad Urbium Maximum in eam condicionem redigitur, ut libertatem adipiscatur. 8) D (Ulp. 11 ad l. Iul. et Pap.: Iulianus ait, si patronus libertatis causa imposita libertae revendiderit, filium eius a bonorum possessionem summoveri, scilicet quia nec contra tabulas testamenti liberti bonorum possessionem accipiat, quotiens pater eius donum munus operas liberto revendiderit. plane si patroni filius libertatis causa imposita revendiderit, nihilo minus familiam bonorum possessionem contra tabulas liberti accipere ait, quia filius revendendo libertatis causa imposita fratrem suum non summovet. Si libertus heredem scripserit isque prius, quam de familia quaestionem haberet, adierit hereditatem, patronum ad contra tabulas bonorum possessionem non admitti Iulianus ait: debuit enim et patronus liberti necem vindicare. quod et in patrona erit dicendum ), nonché D (Ter. 5 ad l. Iul. et Pap.: Non prohibentur lege Aelia Sentia patroni a libertis mecedes capere, sed obligare eos: itaque si sponte sua libertus mercedem patrono praestiterit, nullum huius legis premium consequetur ). 9) Si tenga però presente che la fine del vincolo di patronato avrebbe comportato il venir meno dell obbligo alimentare del liberto nei confronti del patrono. Sul punto, in particolare, cfr. G. IMPALLOMENI, Le manomissioni mortis causa, Padova, 1963, p. 78 ss. ( 4 )

5 Luigi Sandirocco Il liberto reo di avere abbandonato in stato di assoluto bisogno il patrono deve sottostare al potere dello stesso secondo i termini originari dello ius dominii con la conseguenza che il patrono, previa autorizzazione del magistrato, può disporne sino ad alienarlo a terzi e ottenere così, attraverso la vendita, i connessi benefici economici essenziali a far fronte alle sopravvenute impellenti esigenze alimentari: l inottemperanza grave all obbligo legittima l azione di reductio in servitutem. Se è il patrono ad essere vincolato nei confronti del liberto 10, la misura e quantificazione del dovuto a titolo di alimenti, in assenza di specifiche previsioni normative, è limitata a un impegno minimo di spesa necessario al sostentamento di colui che versa in stato di bisogno, senza che l onerato sia vincolato in proporzione ai propri averi: la parametrazione viene, infatti, solitamente riferita, come sembra emergere da una accurata lettura dei documenti e avremo modo più avanti di vedere, a legami e rapporti di cognazione; nell obbligo del liberto verso il patrono 11 le fonti lasciano emergere, al contrario, che il vincolo non limita al soddisfacimento minimo dei bisogni e a quanto necessario ed essenziale per la sussistenza, giacché la solidarietà assolve la funzione garante di tutela delle più vaste aspirazioni per un adeguato tenore di vita della persona ( Alimenta autem pro modo facultatium erunt praebenda, egentibus scilicet patronis ) 12 : il calcolo del dovuto, come nel caso del figlio verso il padre, è determinato anche in ragione delle esigenze e condizioni personali dell avente diritto Con la legge rogata del 4 d.c. dei consoli Aelius Cato e Sextius Saturninus viene specificamente sancito l impegno del patrono ad assistere il liberto con formale vincolo agli alimenti in suo favore nel caso versi in stato di necessità, e viene contestualmente previsto per il patrono il diritto a succedergli 14 : D (Mod. l.s. manum.): Si patronus non aluerit libertum, lex Aelia Sentia adimit eius libertatis causa imposita tam ei, quam ipsi ad quem ea res pertinet Le fonti peraltro inducono a ritenere che il patrono più che all obbligo agli alimenti, quale dovere di comportamento funzionalmente rivolto alla realizzazione dell interesse particolare facente capo al liberto, correlato al suo diritto soggettivo nell ambito dello specifico rapporto fattuale sia tenuto a un onere alimentare, a una condotta, quindi, non obbligata ma certamente posta in essere per conseguire gli specifici vantaggi connessi e per ottenere i precipui risultati collegati, ossia evitare gli effetti negativi della perdita del patronato 15. La conseguenza è che il patrono che abbia con negligenza, imprudenza, imperizia gravemente disatteso il suo onere alimentare perde ex lege Aelia Sentia le proprie aspettative successorie, salva la possibilità di ricevere, al pari dei terzi estranei, per testamento. Sul punto, infatti, il giurista Modesti- 10) D (Mod. l.s. manum.). 11) D (Ulp. 2 off. cons.). 12) D (Ulp. 2 off. cons.). 13) La circostanza sembra trovare ulteriore conferma nel fatto che Giustiniano raccolga sotto la stessa rubrica De agnoscendis et aliendis liberis vel ( ) vel patronis vel libertis l obbligo agli alimenti da vincolo familiare e di patronato (D , Ulp. 2 off. cons.) e che nell esperienza giuridica romana la figura del liberto sia sotto molteplici aspetti assimilata a quella del filius familias, con ogni consequenziale effetto sui plurimi e differenti ambiti, alimenti inclusi (sul punto, cfr. C. COSENTINI, Studi sui liberti. Contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini, I, Catania, 1948, p. 214 ss.). Quanto al vincolo tra genitori e figli si veda infra, 4. 14) In argomento di bonorum possessio contra tabulas, si vedano in particolare G. LA PIRA, La successione ereditaria intestata e contro il testamento, Firenze, 1930, p. 277 ss., e P. VOCI, Diritto ereditario, I, Milano, 1967, p. 404 nt ) Su vincolo di patronato e di dipendenza nel mondo antico, fra gli altri, cfr. F. CANALI DE ROSSI, Il ruolo dei patroni nelle relazioni politiche fra il mondo greco e Roma in età repubblicana ed Augustea, München - Leipzig - Saur, 2001, p. 33 ss., G. MANCINETTI, Et ideo nec volens quis reddere potest. Osservazioni sulla causa operarum, in «BIDR.», XLII-XLIII, 2001, p. 397 ss., C. MASI DORIA, Civitas, operae, obsequium. Tre studi sulla condizione giuridica dei liberti, Napoli, 1993, p. 47 ss., P. PESCANI, Le operae libertorum. Saggio storico-romanistico, Trieste, 1967, p. 70 ss., W. ECK, La dipendenza come concetto ambivalente a proposito del rapporto tra patrono e liberto, in Tra epigrafia, prosopografia e archeologia. Scritti scelti, rielaborati ed aggiornati, Roma, 1996, p. 165 ss., R. SIGNORINI, Adsignare libertum. La disponibilità del patronatus tra formazione senatoria e interpretatio giurisprudenziale, Milano, 2009, p. 17 ss., e A. WALLACE-HADRILL, Patronage in roman society: from republic to empire, in «Patronage in Ancient society» (cur. A. Wallace-Hadrill), London, 1989, p. 63 ss. ( 5 )

6 «Non solum alimenta praestari debent» no così continua: D (Mod. l.s. manum.): item hereditatem ipsi et liberis eius, nisi heres institutus sit, et bonorum possessionem praeterquam secundum tabulas. Marciano, inoltre, riferisce che il patrono che disattende il proprio onere alimentare perde egli stesso irrimediabilmente il diritto agli alimenti e, con esso, ogni diritto connesso all obbligo di patronato: per la violazione, pertanto, nessuna sanzione personale afflittiva ma solo effetti patrimoniali e conseguenze civili 16. Per tirare le fila del discorso, il vincolo reciproco agli alimenti implica e prevede che: a) in caso di inadempienza del liberto, il patrono possa esperire l azione giudiziaria e in ipotesi di conflitto sul dovuto è il magistrato a determinare il quantum di spettanza (C.I , Severus et Antoninus, a. 204); l obbligato è tenuto in ragione delle proprie condizioni economiche e a salvaguardia delle più ampie esigenze per la realizzazione di un vivere soddisfacente (D , Ulp. 2 off. cons.); la sanzione per l inottemperanza, purché si tratti di mancanza grave e nel solo caso di assoluta indigenza, incide sullo stato giuridico del soggetto con il carattere afflittivo proprio della riduzione in stato servile dell obbligato: eos in potestate patronum redigi (D , Mod. l.s. manum.); b) in ipotesi di trasgressione del patrono, venga riconosciuta la tutela processuale dell avente titolo al beneficio per ottenere, però, solo quanto necessario alla sopravvivenza (D , Mod. l.s. manum.) e sia applicata la sanzione della perdita del diritto successorio e dei vincoli alimentare e di patronato per l ingiustificata inottemperanza all onere (D , Mod. l.s. manum.). 4. Nell esperienza giuridica romana l obbligo agli alimenti nasce, secondo la ricostruzione storica, dapprima nei rapporti di clientela e di patronato per avere quindi applicazione nei legami familiari. Si tratta, più che di un obbligazione in senso proprio, di un officium derivante dai vincoli di parentela. In età antica la famiglia è, com è noto, un organismo «politico-economico» sottoposto al potere assoluto del capostipite in vita ed è proprio il legame di soggezione che tiene unito il gruppo. La familia è pertanto vincolata al potere di un individuo di pieno diritto normalmente a capo di una articolata compagine familiare costituita da esseri umani (moglie in manu, figli del pater con le loro eventuali famiglie nucleari e schiavi, soprattutto domestici) nonché da animali e cose materiali. Il pater familias non è così soggetto all altrui patria potestas e, quindi, non ha alcun ascendente diretto per linea maschile o è emancipato da chi su di lui esercitava il potere potestativo ed è, in tal modo, il titolare dei beni familiari 17. E pertanto probabile che il vincolo alimentare si affermi in ambito familiare solo con il progressivo affievolirsi e attenuarsi del legame rigido e subordinato in senso assoluto che congiunge i figli alla potestas paterna 18 : il padre inizia progressivamente ad esigere soccorso e sostegno dall assoggettato e 16) Secondo quanto contenuto in una disposizione normativa di Caracalla: cfr. Marciano (2 inst.), D ( Imperatoris nostri rescripto cavetur, ut, si patronus libertum suum non aluerit, ius patroni perdat ). 17) La concezione romana della famiglia eminentemente patriarcale il pater familias non ha ascendenti vivi ed esercita la patria potestas sui discendenti, la dominica potestas sui beni ed eventualmente la manus maritalis sul coniuge (sul punto, fra gli altri, cfr. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Ancora sui poteri del paterfamilias, in «BIDR.», LXXIII, 1970, p. 357 ss., F. GALLO, Osservazioni sulla signoria del pater familias in epoca arcaica, in «Studi P. De Francisci», II, Milano, 1956, p. 193 ss., e A.M. RABELLO, Effetti personali della patria potestas. Dalle origini al periodo degli Antonini, Milano, 1979, p. 20 ss.) si richiama, com è noto, a primitive condizioni sociali, quando le tribù delle origini erano organismi indipendenti, autonomi rispetto all autorità politica con la conseguenza che il concetto di famiglia è essenzialmente «politico» e non rappresenta un nucleo composto da sole persone legate da vincoli agnatizi e di cognazione, bensì un complesso di soggetti sottoposti a vario titolo al potere del comune capostipite. Sulla struttura e organizzazione familiare nell età delle origini, in particolare, cfr. C. FAYER, La familia romana, I, Roma, 1994, p. 17 ss., G. FRANCIOSI, Famiglia e persone in Roma antica. Dall età arcaica al principato, Torino, 1989, p. 31 ss., e F. SERRAO, Diritto privato economia e società nella storia di Roma, I, Napoli, 1999, p. 181 ss. 18) Il vocabolo potestas, com è noto, individua una classe di potere e la radice del termine, confermata dal potis, trova origine nel greco posis e nel sanscrito patis (in argomento, cfr. A. ERNOUT, A. MEILLET, Dictionnaire é- ( 6 )

7 Luigi Sandirocco di converso si preoccupa del suo mantenimento. Il vincolo agli alimenti viene così a poco a poco riconosciuto alla parentela legittima, reciprocamente fra ascendenti e discendenti, nella linea paterna; quindi alla parentela illegittima nella linea materna, e anche a quella legittima nel diritto giustinianeo, che estende l obbligo alla linea paterna nell ambito della famiglia naturale. L impegno reciproco tra pater e liberi alieni iuris nasce quindi solo in epoca imperiale in considerazione del progressivo imporsi del vincolo di cognazione sul vincolo agnatizio e della sua rilevanza giuridica ai fini ereditari ordo unde cognati 19 nonché in ragione dell intervenuta autonomia economica dei figli di famiglia titolari di peculio castrense o quasi castrense 20 : tramontata la struttura familiare rigidamente patriarcale delle età precedenti, si riconosce definitiva rilevanza giuridica agli alimenti con il consequenziale diritto-obbligo reciproco tra padri e figli 21. Tale progressiva estensione si realizza antymologique de la langue latine. Histoire des mots 4, Paris, 1967, II, sv. potis, p. 528, e A. WALDE, J.B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg, 1954, sv. possum e potis, p ). 19) L adgnatio, che com è noto indica la comune discendenza da uno stesso capostipite maschio attraverso altri maschi (Iust. inst Sunt autem agnati per virils sexus cognationem coniucti ), quale rapporto che lega tra loro i vari componenti della famiglia, si computa per gradi determinati dal numero delle generazioni e rileva giuridicamente sino al sesto: D (Paul. l.s. grad. et adf.: Hic proximo nomine definitur parentis sui sobrinus, ut Trebatius ait, rationemque nominis hanc reddit, quod ultimi cognationum gradus sobrinorum fiunt ). Il sobrinus, in quanto secondo cugino, è parente di sesto grado e infatti in argomento Cicerone, coevo del giurista Trebazio, conferma (off ) prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia ; sequentur fratrum coniunctiones, post consobrinorum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possint, in alias domos tamquam in colonias exeunt. La concezione patriarcale della famiglia subisce, col passare dei secoli e l evolversi della società civile, notevoli mutamenti. In epoca arcaica, comunque, la lex XII Tabularum esclude qualsiasi rilevanza alla discendenza materna, la cognatio (Iust. inst : At qui per feminini sexus personas cognatione iunguntur, non sunt adgnati, sed alias naturali iure cognati ); successivamente questa assume valore di impedimento al matrimonio e si riconosce la possibilità di donazione tra cognati, mentre in materia successoria, allo scopo di evitare il passaggio dei patrimoni da una famiglia ad altra, la resistenza alla successibilità dei cognati è più dura; in epoca imperiale, infine, si formalizza la regolare successione tra madre e figli; in età giustinianea, da ultimo, la distinzione fra adgnati e cognati è abolita, e con il solo termine di cognati sono chiamati tutti i parenti, sia in linea maschile sia in linea femminile (su adgnatio e cognatio e vincoli di parentela, in particolare, cfr. FAYER, La familia, cit., p. 21 ss., A. GUARINO, Adfinitas, Milano, 1939, p. 33 ss., e R. SALLER, I rapporti di parentela e l organizzazione familiare. Il matrimonio, in «Storia di Roma», IV, «Caratteri e morfologie», Torino, 1989, p. 523 ss.). 20) Su peculio, amministrazione, titolarità, poteri e competenze, cfr. G. LONGO, Il concetto classico e il concetto giustinianeo di «administratio peculii», in «BIDR.», XXXVIII, 1930 p. 29 ss., e ID., Appunti critici in tema di peculio, in «SDHI.», I, 1935, p. 392 ss. Sulle caratteristiche e particolarità del peculio castrense, diffusosi in età adrianea, comprendente, com è noto, gli acquisti fatti dal figlio di famiglia durante la vita militare, del quale la prole ha pieno e legittimo godimento e può disporne mortis causa per testamento, cfr. E. ALBERTARIO, Appunti sul peculium castrense, in Studi di diritto romano, I, Milano, 1933, p. 157 ss., A. GUARINO, L oggetto del «castrense peculium», in «BIDR.», XLVIII, 1941, p. 41 ss., ora in Pagine di diritto romano, VI, 1995, p. 105 ss., H. FITTING, Das castrense peculium in seiner geschichtlichen Entwickelung, Halle, 1871, passim, e F. LA ROSA, Ancora in tema di «peculium castrense», in «Studi P. De Francisci», II, cit., p. 393 ss. Quanto, invece, al peculio quasi castrense di età costantiniana, che si sostanzia degli acquisti fatti dal figlio mentre ricopre pubblici uffici, cariche ecclesiastiche o nell esercizio di professioni liberali, cfr. infine G. ARCHI, In tema di peculio quasi castrense, in «Studi di storia e diritti E. Besta», I, Milano, 1937, p. 117 ss., e B. LEHMANN, Das «peculium castrense» der «palatini», in «Labeo», XXIII, 1977, p. 49 ss. 21) Circa l obbligo alimentare tra padre e figlio ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 253, ritiene che il vincolo tra ascendente e figlio emancipato pubere in età ulpianea sia sancito da «una norma nuovissima e forse ancora contrastata da una parte della giurisprudenza classica». Al contrario, A. DELL ORO, I libri de officio nella giurisprudenza romana, Milano, 1960, p. 54, sostiene che, quanto agli emancipati impuberi, «proprio per tale loro situazione non comportante alcun onere familiare» non vi è alcun dubbio, qualora facoltosi, sul loro obbligo nei confronti del padre in situazione di seria difficoltà economica (D , Ulp. 2 off. cons.). Il vincolo contrasta, comunque, con la cultura familiare rigidamente gerarchica dell età delle origini, quando ogni potere è concentrato nelle mani del pater familias che esercita sui figli sia il ius vitae ac necis (drasticamente ridotto nei contenuti, com è noto, all inizio dell età imperiale con la previsione della pena personale afflittiva della deportatio per chi uccide il proprio filius per motivi futili: sulla vitae necisque potestas, in particolare, cfr. B. ALBANESE, Note sull evoluzione storica del ius vitae ac necis, in «Scritti C. Ferrini», III, Milano, 1948, p. 343 ss., FAYER, La familia, cit., p. 140 ss., FRANCIOSI, Famiglia, cit., p. 55 ss., e A.M. RABELLO, Il ius occidendi iure patris della lex Iulia de adulteriis e la vitae necisque potestas del paterfamilias, in «Atti del seminario romanistico internazionale», Perugia, 1972, p. 228 ss.) sia il ius vendendi (che già la lex XII Tabulàrum tenta di contenere e arginare attraverso il limite al numero delle vendite tanto che tab. IV.2 si pater filium ter venum duit perde la patria potestas : in argomento, cfr. FAYER, La familia, cit., p. 210 ss., e FRANCIOSI, Famiglia, cit., p. ( 7 )

8 «Non solum alimenta praestari debent» cor più compiutamente nell età dei Severi, tant è che il giurista Ulpiano testualmente riferisce: D (Ulp. 2 off. cons.) Sed utrum eos tantum liberos qui sunt in potestate cogantur quis exhibere, an vero etim emancipatos ( ) vedendum est. Allo stesso modo del padre anche i di lui ascendenti hanno, nel predetto contesto storico, diritto e obbligo alimentare: avumve paternum proavumve paterni avi patrem 22. Il diritto e la sua reciprocità si registrano, inoltre, per la madre e il figlio, ma non nelle medesime modalità, poiché la donna, al pari dei soggetti liberi sottoposti al potere potestativo, ha titolo agli alimenti in ragione della potestas che il soggetto investito esercita sulla medesima: obbligato è in primis il marito al quale la moglie è assoggettata, o il suo pater familias se questi è alieni iuris ; quindi il padre, che la mantiene in potestate, nei casi di matrimonio formalizzato senza conventio in manum. Un simile diritto, invece, nella famiglia legittima, non sembrerebbe sussistere, in detti casi, in capo alla madre 23 come lascia intendere D (Ulp. 2 off. cons.): Si mater alimenta quae fecit in filium a patre repetat, cum modo eam audiendam. Nella famiglia illegittima, al contrario, il diritto agli alimenti nei confronti degli spurii o vulgo concepti è previsto tra madre e figlio illegittimo, così come è dato ricavare da D (Ulp. 27 ad Sab.): qui nascitur sine legitimo matrimonium mater sequitur. Ne deriva che, al pari del padre e degli ascendenti paterni, come stabilito nel caso di famiglia legittima, in quella illegittima sono obbligati la madre e gli ascendenti materni. Sul punto, infatti, nel II secolo d.c. una costituzione sine die et consule contenuta nel Codice di Giustiniano precisa: C.I (Pius a. 161): Parentum necessitatibus liberos succurrere iustum est. Il principio è richiamato da Ulpiano in D (Ulp. 2 off. cons.): Item Divus Pius significat, quasi avus quoque maternus alere compellatur. Lo stesso giurista, poi ribadisce: D (Ulp. 2 off. cons.): Idem rescripsit, ut filiam suam pater exhibeat, si constiterit apud iudicem iuste eam procreatam. Si esclude, al contrario, l obbligo del padre in caso di famiglia illegittima: il pater familias è tenuto solo nei confronti dei figli nati da giuste nozze. Il diritto e l obbligo reciproco agli alimenti tra padre e figlio viene così ufficializzato e formalmente regolato in epoca imperiale e nell età dei Severi; il vincolo di parentela determina l insorgenza del diritto agli alimenti, tanto che pretendere quanto necessario per la sopravvivenza, in caso di impossibilità a procacciarsi l essenziale, assume rilevanza giuridica, con la conseguenza che la mancata osservanza dell impegno legittima l azione giudiziaria straordinaria: un dovere imperativo oggetto di 49 ss. Sull evoluzione normativa in età tardo antica, invece, cfr.: M. BIANCHI FOSSATI VANZETTI, Vendita ed esposizione degli infanti da Costantino a Giustiniano, in «SDHI.», XLIX, 1983, p. 179 ss., P. BONFANTE, Il ius vendendi del paterfamilias e la legge 2 Cod di Costantino, in Scritti giuridici vari, I, Torino, 1916, p. 64 ss., ed E. COSTA, La vendita e l esposizione della prole nella legislazione di Costantino, in «MAB.», IV, 1910, p. 107 ss.), difficilmente conciliabili con la previsione di un obbligo o impegno alimentare. 22) D (Ulp. 2 off. cons.). 23) Per una più attenta analisi, cfr. infra, 5. ( 8 )

9 Luigi Sandirocco regolamentazione normativa imperiale 24, ma in ogni caso un istituto atipico la cui giurisdizione extra ordinem è devoluta al console 25. Ai soggetti legati da vincoli di parentela si riconosce così il diritto-obbligo al sostentamento in ragione del rapporto che rende sanzionabile l ingiustificata condotta omissiva in considerazione del valore che nel tempo acquista il legame cognatizio 26. Ulpiano, parlando di obbligo agli alimenti, richiama, infatti, Antistio Labeone che lo avrebbe previsto in caso di stretti congiunti, lasciando così intendere la sua risalenza temporale al finire del I secolo a.c. 27 e la definitiva regolamentazione, come detto, solo in età successiva 28. Il giurisperito severiano chiarisce inoltre che, in linea di principio, contro il padre che riconosce il figlio può essere intentato immediato giudizio per gli alimenti; contro quello che, invece, non lo riconosce si procederebbe in via preventiva per ottenere pronunzia di riconoscimento di paternità: D (Ulp. 34 ad ed.): Idem per contrarium quoque ait, si mulier divortio facto non fecerit ea, quae senatus consulto praecipiuntur, ut liceat patri non agnoscere, non eo pertinere, ut filius natus suum se dicere non possit, sed ad id tantum, ut ita pater alere eum cogatur, si constiterit eum filium esse. La distinzione tra i figli legittimi, generati in costanza di matrimonio, e figli venuti alla luce dopo lo scioglimento del vincolo per divorzio, produce così la conseguenza che la prole nata da giuste nozze ha titolo agli alimenti mentre i figli nati decorsi trenta giorni dal divorzio devono essere formalmente riconosciuti per avere diritto alla prestazione alimentare. Nel primo caso, nulla quaestio : il figlio di famiglia potrà agire, extra ordinem, intentando una azione volta a ottenere il sostegno economico; mentre, nel secondo caso, non è escluso che possano 24) Sul punto, in particolare, Pietro Bonfante (Corso, I, cit., p. 279) ritiene che il diritto sorge in età imperiale, nello specifico, sotto il governo dell imperatore Marco Aurelio, sebbene tracce dell obbligo siano rinvenibili in età precedente. Anche i retori in differenti controversie si occupano, infatti, del tema degli alimenti tra genitori e figli (Sen. Rhet., contr. 1.1, 1.7 e 7.4, Quint., decl. maior. 5.9 e decl. min. 330 e 368). Seneca il Retore nel I secolo d.c. prevede l obbligo alimentare del figlio nei confronti del proprio pater familias (contr. 1.1: duo fratres inter se dissidebant. Alteri filius erat. Patruus in egestatem incidit. Patre vetante adulescens illum aluit. Ob hoc abdicatus tacuit. Adoptatus a patruo est. Patruus accepta ereditate locuples factus est. egere coepit pater; vetante patruo alit illum. Abdicatur ; 1.7: Quidam alterum fratrem tyrannum occidit, alterum in adulterio deprehensum deprecante patre interfecit. A piratis captus scripsit patri de redemptione. Pater piratis epistola scripsit: si praecidisset manus, duplam se daturum. Pirataeillum dimiserunt. Patrem egentem non alit ; 7.4: Quidam, cum haberet uxorem et ex ea filium, peregre profectus est. A piratis captus scripsit de redemptione epistola uxori et filio. Uxor flendo oculos perdidit. Filium euntem ad redemptionem patris alumenta poscit; non remanentem aligari volt ) e i casi presi in esame attengono, in particolare, alle ipotesi di figli che si impegnano anche nei confronti di coloro verso i quali nulla devono (in argomento, cfr. F. LANFRANCHI, Il diritto nei retori romani, Milano, 1938, p. 274). Certamente è però difficile credere che l istituto risalga al tempo in cui la struttura familiare romana è ancora rigidamente organizzata in modo gerarchico piramidale, sottoposta al potere assoluto del parter familias, quando i componenti del nucleo agnatizio non hanno alcuna autonomia patrimoniale e il pater esercita un ius vitae ac necis certamente inconciliabile con il vincolo alimentare. 25) Si ritiene che il competens iudex (D , Ulp. 2 off. cons.) coincida con la figura del consul (in argomento, fra gli altri, cfr. F. DE MARTINO, La giurisdizione nel diritto romano, Padova, 1937, p. 332 ss.). Il console decide summatim (D , Ulp. 2 off. cons.): sul punto, in particolare, cfr. B. BIONDI, Summatim conoscere, in «BIDR.», XXX, 1921, p. 244, e F. LANFRANCHI, Ricerche sulle azioni di stato nella filiazione in diritto romano, I, Modena, 1953, p. 25 s.). La giurisdizione, peraltro, non sembra esclusiva del console e nelle propaggini dell impero le cause per alimenti sono trattate dal governatore (in merito, specificamente, cfr. SACHERS, Das Recht auf Unterhalt, cit., p. 347). Per parte della dottrina, infine, la iurisdictio appartiene a differenti magistrati: i praeses (sulla questione, nello specifico, cfr. S. SOLAZZI, Leggendo i libri off. cons., in Scritti di diritto romano, II, Napoli, 1957, p. 86). Su iudices e funzioni giusdicenti in età tardo antica, da ultimo, cfr. S. BARBATI, Studi sui iudices nel diritto romano tardo antico, Milano, 2012, passim. 26) In età risalente, come osserva Pietro Bonfante (Corso, cit., I, p. 7 ss.)., il pater è probabilmente abilitato a chiedere aiuto economico ai sottoposti in caso di necessità e al contempo sente, in ragione di un principio di diritto naturale, l obbligo al sostentamento dei propri assoggettati: ripartire beni familiari e risorse domestiche tra i componenti del nucleo è prerogativa discrezionale del titolare della potestas. 27) D (Ulp. 36 ad ed.). 28) In argomento si ritiene doveroso richiamare il contributo di Emilio Albertario che, negli anni Trenta del secolo scorso, ha revisionato la portata interpretativa dei testi giuridici romani con l intento di rappresentare quanto appartiene al diritto dell età classica e quanto, invece, al diritto di età tardo antica: si veda Sul diritto agli alimenti nel diritto romano, cit., p ( 9 )

10 «Non solum alimenta praestari debent» aprirsi due possibilità, e precisamente: o il filius sceglie di agire in via ordinaria al fine di acquisire una pronuncia sulla paternità negata e, quindi, in caso di esito positivo, può procedere, extra ordinem, per gli alimenti, oppure formalizza immediatamente, nei modi e termini consentiti, la richiesta di alimenti alla quale seguirà, incidenter tantum, l accertamento della paternità 29. Sul punto, infatti, eloquente è il caso, fatto risalire ai tempi dell imperatore Claudio (41-54), di una donna, presumibilmente divorziata, che agisce in nome e nell interesse del figlio al fine di ottenere giudizialmente gli alimenti in favore del giovane, insieme al riconoscimento di paternità, che il giudicante è chiamato ad accertare in via incidentale: C.I (Divi fratres, a. 162): Si competendi iudici eum, quem te ex Claudio enixam esse dicis, filium eius esse probaveris, alimenta ei pro modo facultatum praestari iubebit. D (Ulp. 34 ad ed.): Plane si denuntiante muliere negaverit ex se esse praegnatem, tametsi custodes non miserit, non evitabit, quo minus quaeratur, an ex eo mulier praegnas sit. Quae causa si fuerit acta apud iudicem et pronuntiaverit, cum de hoc agetur quod ex eo pregna fuerit nec ne, in ea causa esse, ut agnosci debeat: sive filius non fuit sive fuit, esse suum. D (Ulp. 34 ad ed.): Sive contra pronuntiaverit, non fore suum, quamvis suus fuerit: placet enim eius rei iudicem ius facere. La ex moglie deve denunciare, comunque, al marito, nei trenta giorni successivi allo scioglimento del vincolo matrimoniale, il proprio stato di gravidanza: D (Ulp. 34 ad ed.): Illud notandum est, quod denuntiato a marito non incipit, sed a muliere: sed si maritus ultro custodes offerat et ea non admittat, vel si non denuntiaverit mulier, aut si denuntiaverit quidem, custodes autem arbitrio iudicis non admiserit, liberum est marito parentive eius partum non agnoscere. D (Ulp. 34 ad ed.) Permittit igitur mulieri parentive in cuius potestate est vel ei cui mandatum ab eis est, si se putet praegnatem, denuntiare intra dies triginta post divortium communerandos ipsi marito vel parenti in cuius potestate est, aut dominum denuntiare, si nullius eorum copiam habeat. Accertata, quindi, la veridicità del denunciato status, fatta salva la prova contraria, il concepimento deve intendersi avvenuto in costanza di matrimonio, con ogni consequenziale effetto sul diritto agli alimenti per la prole. In merito poi alla tardività della denuncia da parte della ex moglie al marito, o al di lui pater familias se alieni iuris, qualora il ritardo non sia alla stessa imputabile, o comunque sia giustificato o giustificabile, non produce effetti diversi da quelli previsti per il caso di comunicazione nel rigoroso rispetto del termine dei trenta giorni. Quanto infine ai liberi, sia alieni iuris sia sui iuris, non sembrano esistere particolari distinzioni considerata la genericità con la quale si richiama la prole nelle previsioni normative Parentum necessitatibus liberos succurrere iustum est 30 e infatti, in argomento, Ulpiano riferisce: D pr.-1 (Ulp. 2 off. cons.): Si quis a liberis ali desideret vel si liberi, ut a parente exhibeantur, <iudex> de ea re cognoscet. Sed utrum eos tantum liberos qui sunt in potestate cogatur quis exhibere, an vero etiam emancipatos vel ex alia causa sui iuris constitutos, videndum est. Et magis puto, etiamsi non sunt liberi in potestate, alendos a parentibus et vice mutua alere parentes debere. Come si vede, il giurista precisa che il diritto agli alimenti tra genitori e figli è reciproco, con la con- 29) D (Ulp. 34 ad ed.) sembra evidenziare che la legittimazione all azione sia attribuita alla madre (tra l altro è eloquente: an ex eo pregna fuerit ) in considerazione del fatto che, com è noto, nella giurisdizione ordinaria non è consentita l azione diretta del sottoposto contro il titolare del potere potestativo: impossibile la pretesa dell assoggettato figlio avverso il preposto padre, con la conseguente interdizione dell azione di stato del figlio avverso il padre (in argomento, cfr. in particolare S. SOLAZZI, Sulla capacità del filius familias di stare in giudizio, in «BIDR.», II, 1898, p. 197). 30) C.I (Ant. Pius a. 161). ( 10 )

11 Luigi Sandirocco seguenza che la pretesa può essere vicendevolmente avanzata quando l uno o l altro versano in stato di indigenza. Non emergono dubbi, quindi, sul fatto che il padre sia tenuto tanto nei confronti dei liberi in potestà quanto nei confronti dei liberi sui iuris : il legame di parentela, infatti, rende obbligatorio il reciproco vincolo alimentare. Il giureconsulto utilizza, in aggiunta, una locuzione terminologica che invita a operare una puntuale riflessione. Nello specifico: an vero etiam emancipatos vel ex alia causa sui iuris constitutos, videndum est. Il richiamo è esplicito e lineare quanto ai figli emancipati, ma vale anche per ogni figlio che abbia acquistato il nuovo status giuridico di sui iuris, con l effetto che il padre naturale deve prestare quanto necessario a titolo di alimenti pure a detta prole. La regola che si ricava dal passo è che l ascendente deve contribuire in caso di necessità in favore di: figli in potestà; figli emancipati; figli che da alieni iuris, per qualunque altra ragione o causa, siano divenuti sui iuris ; figli adottivi e figli dati in adozione nel caso di impossibilità per indigenza del padre adottivo (almeno per l età giustinianea, quando con l adoptio minus quam plena non si interrompono legami e vincoli giuridici tra adottato e famiglia naturale) 31. Ulpiano, comunque, lascia intendere, con il ricorso all espressione parentes debere, a conclusione del sopra riportato frammento, che il reciproco rapporto alimentare esisterebbe anche in presenza del vincolo cognatizio in linea retta madre-figlio. La genitrice e gli ascendenti materni sono così tenuti nei confronti del figlio in difficoltà, nell ipotesi il padre versi in stato di bisogno, con il conseguente e ipotizzabile obbligo alimentare anche del padre naturale in caso di adozione: l assenza dell agnazione, infatti, non eliderebbe il rapporto di cognazione al quale, in argomento di alimenti, il diritto appare dare rilevanza giuridica 32. Chiaro e conseguente, per chiudere, è invece l obbligo dell adottante nei confronti dell adottato, sia perché il giurista severiano utilizza una terminologia generale, senza operare alcuna distinzione tra figli naturali e figli adottivi, parlando espressamente di liberos qui sunt in potestate, come si ricava anche da D (Ulp. 46 ad ed.): Cognationem facit etiam adoptio: etenim quibus fiet adgnatus hic qui adoptatus est, isdem etiam cognatus fiet: nam ubicumque de cognatis agitur, ibi sic accipiemus, ut etiam adoptione cognati facti contineantur. Evenit igitur, ut is qui in adoptionem datus est tam in familia naturalis patris iura cognationis retineat quam in familia adoptiva nanciscatur: sed eorum tantum cognationem in adoptiva familia nanciscetur, quibus fit adgnatus, in naturali autem omnium retinebit, sia perché Paolo evidenzia che l adozione determina l insorgenza del rapporto agnatizio, che genera quale esito consequenziale il vincolo di cognazione, con ogni conseguente effetto logico-giuridico 33 : 31) Nell esperienza giuridica romana l adottato, com è noto, esce dalla famiglia originaria, perde ogni rapporto di parentela nonché diritti e i doveri nei confronti della medesima, per acquistare nuovi legami, diritti e obblighi, verso quella dell adottante; in caso di bisogno il filius quindi è legittimato a chiedere un sostegno economico al solo padre adottivo (sull adoptio in età classica, cfr. Gai., inst. 1.97, nonché, sul procedimento di adozione, 1.98: adoptio autem duobus modis fit, aut populi auctoritate, aut imperio magistratus, veluti praetoris ). In età giustinianea, invece, si distinguono i casi di adozione piena (adoptio plena ) e meno che piena (adoptio minus quam plena ). Nella prima ipotesi formalizzata dagli ascendenti o parenti dell adottando: adozione del figlio sottoposto al potere potestativo di un proprio discendente emancipato o di un discendente in linea femminile la capitis deminutio minima dell adottato lo equipara, anche ai fini successori, ai filii dell adottante, ma la cognazione tra adottato e padre naturale perdura così come l impegno economico in caso di necessità della prole. Nell adoptio minus quam plena tra estranei considerato che l adottante non acquista la patria potestas sull adottando e il filius familias non perde i diritti successori nei confronti del padre naturale e della sua famiglia di provenienza, il rapporto tra adottato e il nucleo familiare originario continua e con esso anche il vincolo agli alimenti in caso di bisogno (cfr. C.I [Iustinianus a. 530], e il titolo D. 1.7, de adoptionibus et emancipationibus et aliis modis quibus potestas solvitur ). In argomento, in particolare, cfr. M. MIGLIORINI, L adozione tra prassi documentale e legislazione imperiale nel diritto del tardo impero romano, Milano, 2001, p. 334 ss.). 32) D (Ulp. 2 off. cons.): A milite quoque filio, qui in facultatibus sit, exhibendos parentes esse pietatis exigit ratio ribadisce il principio del vincolo alimentare per il figlio militare, mentre D (Ulp. 2 off. cons.: Idem rescripsit, ut filiam suam pater exhibeat, si constiterit apud iudicium iuste eam procreatam ) conferma il principio dell obbligo agli alimenti in favore delle figlie maggiori legittime. 33) Diversa è l ipotesi dell adottato emancipato, poiché il figlio perde ogni legame con il padre adottivo e salvo quanto previsto in argomento di unioni illegittime dove la situazione giuridica rimane invariata anche una ( 11 )

12 «Non solum alimenta praestari debent» D (Paul. l.s. grad.): Inter adgnatos igitur et cognatos hoc interest quod inter genus et speciem: nam qui est adgnatus, et cognatus est, non utique autem qui cognatus est, et adgnatus est: alterum enim civile, alterum naturale nomen est. In età tardo antica, infine, Flavio Valerio Costantino ( ) con il disposto del 21 luglio 336 vieta, per gli ordini superiori dell impero, ogni forma di elargizione, anche per interposta persona, in favore della concubina e dei figli avuti dalla medesima. Questi, anzi, devono restituire i beni loro pervenuti (per donazione, vendita o sotto qualunque forma) ai congiunti di sangue (figli legittimi, genitori, fratelli e sorelle) del convivente della madre o del di lui padre. In mancanza di eredi legittimi subentra il fisco: la violazione comporta il ricorso alla tortura e una pena che è quattro volte l importo dell elargizione 34. La disposizione normativa stabilisce, inoltre, che è colpito da infamia e da perdita della cittadinanza ( maculam subire infamiam et peregrinos a Romanis legibus fieri ) il genitore che provi a far rientrare i figli frutto dell unione concubinaria numero legitimorum, sia attraverso adozione ( aut proprio iudicio ) sia tramite rescritto imperiale ( aut nostri prærogativa rescripti ). La deterrenza trascura il fatto di colpire persone innocenti, cioè la prole, per raggiungere i genitori, sui quali si esercita una pressione affinché riconducano la loro unione all interno dei canoni del legittimo matrimonio 35. Successivamente, gli imperatori Flavio Valentiniano ( ), Flavio Giulio Valente ( ) e Flavio Graziano ( ), nel 371, stemperano il rigore mostrato dal loro predecessore consentendo di elargire ai figli naturali o alla concubina un oncia (un dodicesimo) delle proprie sostanze in presenza di ascendenza o discendenza legittima, quota che viene elevata a tre once (quindi un volta eliminati gli effetti dell adozione (Gai., inst. 1.58) cessano impegni e vincoli, compreso quello alimentare nel caso di bisogno (sulle conseguenze dell adozione in ambito matrimoniale, in particolare, cfr. BONFANTE, Corso, I, cit., p. 275, E. VOLTERRA, La nozione «dell adoptio» e dell «adrogatio» secondo i giuristi romani del II e del III secolo d.c., in «BIDR.», LXIX, 1966, p. 140 ss., B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979, p. 228 ss., M. KURYLOWICZ, Die adoptio im klassischen römischen Recht, Warszawa, 1981, p. 30 ss., e C. RUSSO RUGGERI, La datio in adoptionem. Origine, regime giuridico e riflessi politico-sociali in età repubblicana ed imperiale, Milano, 1990, p. 398 ss.). 34) Il provvedimento normativo in C.Th (Constantinus a. 336, ancora presente in C.I ) viene infine abrogato da parte di Giustiniano (Nov [a. 539]). 35) La concubina, almeno sino alla metà del V secolo d.c., è esclusa dai benefici economici in ipotesi di necessità. Nel 447 d.c. però l imperatore Zenone ( e ) formalizza la legittimazione della donna con la quale si intrattiene una relazione di fatto per susseguente matrimonio (C.I [Zeno a. 477]: sacratissimam constitutionem renovantes iubemus eos, qui ante hanc legem ingenuarum mulierum [nuptiis minime intercedentibus] electo contubernio cuiuslibet sexus filios procreaverunt, quibus nulla videlicet uxor est, nulla ex iusto matrimonio legitima proles suscepta, si voluerint eas uxores ducere, quæ antea fuerant concubinæ, tam coniugium legitimum cum huiusmodi mulieribus ingenuis [ut dictum est] posse contrahere ) e il vincolo diviene così un possibile rimedio allo stato di bisogno. La soluzione della trasformazione del concubinato in matrimonio riguarda naturalmente le ingenuae concubinae (donne che possono essere mogli sia per il diritto sia per l opinione pubblica, ma che l uomo preferisce tenere come concubine, pur correndo il rischio di essere accusato di stupro) e le donne che l opinione pubblica vuole che siano tenute non come mogli ma come concubine, sebbene il diritto non vieti di sposarle (obscuro loco natae e liberte per gli ingenui non di rango senatorio). Nell epoca giustinianea, da ultimo, la relazione stabile fuori dal vincolo matrimoniale, ormai assunta a rapporto giuridico, conosce una rilevante innovazione: è possibile instaurarla anche con una donna ingenua et honesta, purché se ne faccia dichiarazione pubblica (D pr.-1, Marc. 12 inst.: In concubinatu potest esse et aliena liberta et ingenua et maxime ea quæ obscuro loco nata est vel quæstum corpore fecit. Alioquin si honestæ vitae et ingenuam mulierem in concubinatum habere maluerit, sine testatione hoc manifestum facente non conceditur, sed necesse est ei vel uxorem eam habere vel hoc recusantem stuprum cum ea committere. Nec adulterium per concubinatum ab ipso committitur. Nam quia concubinatus per leges nomen assumpsit, extra legis poenam est, ut et Marcellus libro septimo digestorum scripsit ). Il rapporto di fatto, in quanto relazione stabile che prescinde dalla condizione sociale della donna, non deve necessariamente contenere gli elementi dell affectio maritalis e dell honor matrimonii (C.I , Iustinianus a. 531). Si richiedono, comunque, perché il rapporto sia lecito i medesimi requisiti del matrimonio (C.I [Iustinianus a. 531], Nov [a. 536], Nov [a. 539]). La conseguenza potrebbe essere, quindi, una sostanziale equiparazione, per la concubina e la moglie legittima, del regime alimentare in caso di bisogno (in argomento, in particolare, cfr. P. BONFANTE, Nota sulla riforma giustinianea del concubinato, in «Studi S. Perozzi», Palermo, 1925, p. 283 ss., R. DANIELI, Sul concubinato in diritto giustinianeo, in «Studi V. Arangio-Ruiz», III, Napoli, 1953, p. 178 ss., e C. TOMULESCU, Justinien et le concubinat, in «Studi G. Scherrillo», I, Milano, 1972, p. 319 ss. Quanto allo specifico atteggiamento assunto dalla comunità cristiana sul concubinato, rinvio, invece, al mio contributo, Il concubinato nella tarda antichità. Tra legge laica e visione religiosa, in «Labeo», L, 2004, p ). ( 12 )

13 Luigi Sandirocco quarto) in mancanza di eredi legittimi per linea diretta 36. Nel 426 Teodosio II ( ) e Valentiniano III ( ) stabiliscono formalmente che i figli della concubina sono liberi naturales invece di spurii o vulgo concepti ciò comunque sta a significare non una parificazione di diritto ma una deminutio rispetto ai consueti canoni che configurano la famiglia romana ed estendono la quota di elargizione a un ottavo del patrimonio 37, mentre due anni dopo, nel mese di febbraio, con un provvedimento indirizzato al prefetto del pretorio Hierio, richiamano la costituzione di Valentiniano I del 371, pur avvertendo che il rigore della legge resta immutato ( nec tamen legis asperitate premantur ) 38. L effetto è che le richiamate disposizioni normative dei secoli IV e V d.c. sembrano escludere, nei limiti riferiti, conseguenze giuridiche di ordine patrimoniale in favore della filiazione naturale. Nel VI secolo d.c., da ultimo, Giustiniano ( ), al contrario, sancendo che solo i figli illegittimi non hanno diritto agli alimenti, riconosce implicitamente il beneficio a quelli naturali. Con la Novella (a. 539) diretta al prefetto del pretorio d Oriente Giovanni di Cappadocia, inoltre, l imperatore detta una disposizione dal contenuto particolarmente drastico: Nov (a. 539) Ac primum quidem quisquis ex complexibus (neque enim nuptias vocabimus) nefariis vel incestis vel damnatis procreator est, is neque naturalis vocabitur neque a patribus aletur neque cum praesenti lege quicquam commune habebit. In tema di capacità e di diritti dei figli naturali è possibile legittimarli, con ogni conseguente effetto in ambito successorio e alimentare, mentre si sancisce, diversamente, per i figli nati da unioni illegittime, la formale preclusione da ogni tutela: vengono esonerati persino dal diritto agli alimenti in caso di bisogno. Il disposto normativo, in particolare, disciplina la capacità di succedere dei figli naturali al pater, prevedendo la loro legittimazione per oblationem curiae (cap. 1-4) e quindi stabilendo il diritto reciproco agli alimenti tra genitori e figli naturali (cap. 12) e contestualmente imponendo il dovere di detti figli di ossequio e rispetto nei confronti del padre naturale medesimo (cap. 13) 39. Il legislatore è indulgente verso i figli nati da matrimoni legittimi, prima o dopo il vincolo contra 36) Il contesto storico è sintetizzato dal dettato normativo dei provvedimenti contenuti in C.Th (Valentinianus, Valens, Gratianus a. 371): Placuit man(entibus) ceteris, quae de naturalibus liberis Constantinianis legibus c(auta) sunt, haec tantummodo temperare, ut is, qui heredem h(eredes)ve filios ex legitimo matrimonio vel nepotes, qui filioru(m loco) habendi sunt, patrem quoque matremve dimittit, si ex cons(ortio) cuiuslibet mulieris naturales susceperit,unam tant(um bo)norum suorum et hereditatis unciam naturalibus vel m(ulieri) donandi aut relinquendi habeat facultatem. Si qui(s vero) nullo ex his, quos excipimus, superstite morietur at(que ex mu)liere, quam sibi adiunxerat, naturalem pluresve d(imit)tet, usque ad tres tantum, si volet, uncias tam in mulie(rem) quam in naturales, quo maluerit iure, transcri(bat). La lettura integrale del testo lascia emergere un quadro limitato in materia di elargizioni e ne deriverebbe di conseguenza l assenza di un vincolo cogente agli alimenti, per quanto si registri un ammorbidimento rispetto ai dettami di Costantino del ) C.Th (Theodosius et Valentinianus a. 426): Naturali[um his no]men sancimus inponi, quos sine honesta cele[bratione] matrimonii procreatos legitima coniunctio fud[erit in lu]cem; servos autem ex ancillae utero ipso iure gen[erari pat]et, quamvis per vim naturae ne illis quidem possi[t natura]lium nomen auferri. In hereditariis tamen cor... Naturales sane, si ex ancilla nati fuerint et non manumittuntur a domino, inter hereditaria mancipia computantur. Quod si aut de ingenua fuerint naturales aut de liberta aut certe libertina, ultra sescunciam matri cum naturalibus filiis dari amplius non licebit, hac ratione, ut donatio nuptialis in hereditatis supputatione non veniat, sed de eo, quod supra donationem nuptialem fuerit, inde sescuncia deputata naturalibus iure debetur. Quod si aliquid ultra aut per donationem aut per testamentum aut per suppositam quamcumque personam illis fuerit derelictum, ab herede legitimo legibus revocetur. Le fonti non esplicitano una disciplina specifica e neppure una interpretazione estesa consente di individuare la sussistenza di un presunto vincolo giuridico alimentare. 38) C.Th (Theodosius et Valentinianus a. 428): Naturales liberi eorumque matres nec parentum arbitrio in successionibus ceterisque modis, quibus rei mobilis vel immobilis dominium confirmatur, passim et sine legis distinctione congrua permittantur, nec tamen legis, quae nuper lata est, asperitate premantur, cum satis sit eos secundum priorem constitutionem aut extantibus iustis liberis aut etiam non extantibus id tantum consequi, si patris deferatur arbitrio, quod per eam iusta moderatione decretum est, ceteris, quae de eorum matribus libertis libertinisque per novam constitutionem decreta sunt, in sua manentibus firmitate. Le quote fissate dal disposto appaiono più come un indirizzo di liberalità che un obbligo, con la conseguenza che in ambito alimentare è improbabile ricavarne una previsione specifica. 39) In argomento di legittimazione dei figli naturali nella legislazione imperiale di età postclassica, cfr. in particolare B. BIONDI, Il diritto romano cristinano, III, Milano, 1956, p. 189 ss. ( 13 )

14 «Non solum alimenta praestari debent» legem, ed estremamente severo nei confronti dei figli illegittimi. Il fine del provvedimento è quindi dissuasivo e preventivo insieme: i soli figli nati da unioni «impure» non posseggono la figura né di legittimi né di naturali e non hanno diritto agli alimenti. Si nega, in tal modo, la loro esistenza giuridica nonché la sussistenza fisica e per l effetto la legge si pone in contrasto con la praefatio della Novella 12, che dice che non possono gravare sui figli le malefatte e i crimini dei padri 40. Con la Novella (a. 542), infine, Giustiniano stabilisce le giuste cause di diseredazione dei figli e, da parte dei figli, dei genitori, con la conseguenza che in caso di vincolo illegittimo il rapporto si intende di mera sessualità, anche se stabile, e non di tipo matrimoniale (congiunzione carnale e non unione coniugale) e la sanzione, che non è personale afflittiva ma patrimoniale, è tale da spogliare l uomo di ogni mezzo essenziale alla sopravvivenza, alimenti inclusi, come la Novella dispone nei confronti dei figli illegittimi 41. Ciò in un quadro in cui natura, carità, umanità ed equità sono richiamate alla base del nuovo e sentito diritto agli alimenti 42. La tematica, estremamente articolata e complessa sul piano giuridico, riguarda aspetti personali e sociali che incidono in modo determinante sulla convivenza umana e sulle relazioni interpersonali in ambito strettamente familiare e non solo. Appare opportuno pertanto valutare, oltre alla ratio legis, come concretamente l apparato normativo e l assetto giurisprudenziale intervengono nella definizione dei criteri per la determinazione del dovuto a titolo alimentare. Nelle ipotesi in cui il vincolo è previsto e sancito, esso sembra tenere conto delle condizioni socio-economiche dell obbligato e dell avente diritto, così che tra genitore e figli l impegno economico viene quantificato in ragione delle possibilità del soggetto tenuto alla prestazione: non solo secondo quanto risulta da C.I (Divi fratres, a. 162): filium eius esse probaveris, alimenta ei pro modo facultatum praestari iubebit. Idem, an apud eum educari debeat, aestimabit, ma implicitamente anche da quanto disposto disposto in C.I (Severus et Antoninus, a. 197) Si patrem tuum officio debito promerueris, paternam pietatem tibi non denegabit. Quod si sponte non fecerit, aditus competens iudex alimenta pro modo facultatim praestari tibi iubebit. Quod si patrem se negabit, quaestionem istam in primis idem iudex examinabit. nonché delle facoltà dell avente diritto secondo quanto emerge da D (Ulp. 2 off. cons.) Si quis ex his alere detrectet, pro modo facultatium alimenta constituentur: quod si non praestentur pignoribus capti set distractis. Dove si registra il vincolo agli alimenti tra ascendenti e discendenti, dall età dei Severi e sino al VI secolo d.c., questo non sembra rigidamente connaturato allo stato di puro bisogno, ma va al di là della sussistenza in vita, esercitando riflessi più ampi; l obbligo si sostanzierebbe nel limite della sopravvivenza nonché, più in generale, di quanto utile a garantire migliori condizioni di vita. 40) Nov. 12 (a. 535), Praef.: Leges antea ab imperatoribus conscriptas non perfectas existimamus, quae quidem eos, qui incestas nuptas contraxerunt, impunitos reliquant, prolem vero ex iis progenitam quamvis insontem paternis bonis privent: quasi necesse sit eos qui peccarunt impunitos esse, insontes autem tamquam peccantes puniri. In argomento, in particolare, cfr. S. PULIATTI, Incesti crimina. Regime giuridico da Augusto a Giustiniano, Milano, 2001, p. 202 ss. 41) Cfr. Nov. 115 (a. 542), 3 ( Causas autem iustas ingratitudinis has esse decernimus si novercae suae sese miscuerit ) e 4 ( Si pater nurui suae sese miscuerit ). 42) Cfr. C.I (Iustinianus a. 531: Ipsum autem filium vel filios vel filias et deinceps alere patri necesse est non propter hereditates, sed propter ipsam naturam et leges, quae et parentibus alendos esse liberos imperaverunt et ipsis liberis parentes, si inopia ex utraque parte vertitur ), D (Ulp. 22 ad Sab.: et caritate eius, modus statui debebit ), C.I (Honorius et Theodosius a. 409: si quicquam in usum vestium vel alimonie impensum est, humanitati sit praestium ) e D (Ulp. 2 off. cons.: iniquissimum enim quis merito dixerit patrem egere, cum filius sit in facultatibus ). ( 14 )

15 Luigi Sandirocco 4. Nella società delle origini la parentela per linea femminile non rileva giuridicamente ai fini giuridico-economici e successorii e, pertanto, non sembra ipotizzabile un vincolo agli alimenti. Il progressivo riconoscimento della capacità giuridica patrimoniale dei figli di famiglia sottoposti al potere potestativo e l individuata rilevanza del vincolo cognatizio in età risalente significativo nella sola sfera del fas e di ostacolo soltanto alle nozze in quanto giudicate «impure» 43 ai fini successori (bonorum possessio sine tabulis unde cognati ) rendono progressivamente necessario provvedere in merito al diritto al sostentamento attraverso l introduzione del formale principio di reciproco obbligo alimentare senza suddivisioni tra individui nati o meno da giusto matrimonio 44. La genitrice e suoi avi sono obbligati nei confronti della prole legittima in via sussidiaria al pater familias e, per il solo caso di sua inadempienza, qualora versi in condizioni economiche fortemente precarie: D (Marc. 1 ad l. Iul. et Pap.) Non quemadmodum masculorum liberorum nostrorum liberi ad onus nostrum pertinent, ita et in feminis est: nam manifestum est id quod filia parit non avo, sed patri suo esse oneri, nisi pater aut non sit superstes aut egens est. Quando, al contrario, il padre non provvede, pur potendone assumere l onere, la madre si deve impegnare a soddisfare i bisogni del figlio indigente e per questo le viene riconosciuto il diritto di esigere dal coniuge quanto offerto al figlio medesimo a titolo di alimenti. Gli imperatori Marco Aurelio 45 ( ) e Antonino Pio 46 ( ), in particolare, stabiliscono che la madre, al fine del corretto esercizio del diritto di rivalsa nei confronti del coniuge inadempiente, deve però dare al figlio quanto avrebbe dovuto corrispondere il pater, e che, diversamente, non può pretendere indietro quanto offerto, poiché ritenuto omaggiato a titolo di pura liberalità. In ragione di quanto rappresentato e in considerazione del fatto che il figlio effettua la richiesta economica per il proprio sostentamento al pater e quindi, per il caso di sua impossibilità economica, alla madre, appare evidente che quella agli alimenti è una obbligazione semplice e non solidale 47 : D (Ulp. 2 off. cons.: quantum a patre eius praestari oportet ) è chiaro nel sancire che l obbligazione grava essenzialmente ed esclusivamente sul padre. Si ritiene, pertanto, di potere correttamente concludere sostenendo che in età classica esiste con plausibile attendibilità un reciproco diritto agli alimenti tra madri e figli, sia nati fuori dal vincolo sia nati da matrimonio legittimo; in questa seconda ipotesi però la genitrice è preceduta, nell ordine degli obbligati, dal coniuge padre della prole che non versa in stato di bisogno 48. La circostanza sembra confermata dalle fonti di età severiana che specificamente riferiscono: - dell obbligo dell avo materno, e quindi a maggior ragione dell ascendente diretta, nei confronti dei discendenti (D , Marc. 1 ad l. Iul. et Pap.); - della reciprocità e correlazione del vincolo alimentare, con la conseguenza che, se il figlio non può abbandonare la madre (D , Ulp. 36 ad ed.: Praeterea si matrem aluit pupilli tutor, putat Labeo im- 43) In argomento si rinvia a PULIATTI, Incesti crimina, cit., p. 1 ss. e nt. 2, nonché all ampia bibliografia ivi citata. 44) Sebbene in assenza di fonti che testimonino la rilevanza giuridica del vincolo di cognazione tra le persone di stato servile, sembra sostenibile che anche tra madri e figli nati in stato servile sussista un vincolo agli alimenti, ciò almeno dal VI secolo d.c. quando emerge quella sostanziale equiparazione tra cognazione civile e servile (C.I [Iustinianus a. 531]; Iust. inst e 3.7.3). 45) D (Ulp. 2 off. cons.). 46) D (Paul. 1 quaest.). 47) Sulla parzialità e solidarietà della prestazione, fra gli altri, cfr. E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni solidali, Milano, 1948, p. 11 ss., E. BETTI, La struttura dell obbligazione romana e il problema della sua genesi, Milano, 1955, p. 33 ss., A. GUARINO, Diritto privato romano 12, Napoli, 2001, p. 789, C. MASI DORIA, Solidarietà, in «NNDI.», XVII, Torino, 1976, p. 832, e M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p ) Dubbi sull obbligo agli alimenti da parte della madre nei confronti dei figli nati da matrimonio legittimo sono prospettati da Emilio Albertario (Sul diritto agli alimenti, cit., p. 251 ss.) sulla base di quanto rappresentato in D , 8, 11 e (Ulp. 2 off. cons.), visto che nell ultimo paragrafo si sostiene che la genitrice può richiedere e ottenere dal coniuge quanto erogato a titolo alimentare. ( 15 )

16 «Non solum alimenta praestari debent» putare eum posse: sed est verius non nisi perquam egenti dedit, imputare eum oportere de largis facultatibus pupilli: utrumque igitur concurrere oportet, ut et mater egena sit et filius in facultatibus positus ; ai fini cronologici si noti che Ulpiano richiama il giurista di età augustea, allievo di Trebazio, Labeone), questa non può farlo nei confronti del figlio (D , Paul. 2 sent.: necare videtur qui alimonia denegat ); - della possibilità della moglie di avanzare richiesta al coniuge di porzione della propria dote al fine di far fronte alle esigenze alimentari della prole avuta da precedente relazione (D , Paul. 7 ad Sab.). Il reciproco e più generale obbligo alimentare tra ascendenti e discendenti, infine, è confermato e formalmente provato da molteplici fonti contenute sia nel Codice (C.I [Pius a. 161]) sia nel Digesto di Giustiniano (D , Ulp. 2 off. cons., e D , Paul. 1 quaest.). Ulpiano, in particolare, conferma in D (Ulp. 2 off. cons.) che il vincolo agli alimenti esiste sia in presenza di parentela per ramo maschile avumve paternum proavumve paterni avi patrem ceterosque virilis sexus parentes sia al cospetto di quella per ramo femminile an vero etiam matrem ceterosque parentes illum sexum contingentes, sebbene il progenitore per linea paterna venga anteposto a quello per linea materna, come il padre alla madre. 5. In origine, come detto, la parentela per linea femminile non rileva giuridicamente ai fini economici e successorii e il diritto agli alimenti si sostanzia di contenuti giuridici con il progressivo riconoscimento della capacità patrimoniale dei figli di famiglia, divenendo così necessario provvedere anche al sostentamento tra parenti in linea collaterale attraverso un formale reciproco vincolo alimentare. Giuliano ci informa dell obbligo agli alimenti tra fratello e sorella, inserendo la questione all interno di un più complesso contesto che vede coinvolti un pupillo tenuto agli alimenti nei confronti della genitrice e della sorella e, in particolare, formalmente stabilisce: D (Iul. 21 dig.): Qui filium heredem instituerat, filiae dotis nomine, cum in familia nupsisset, ducenta lagaverat nec quicquam praeterea, et tutorem eis Sempronium dedit: is a cognatis et a propinquis pupillae perductus ad magistratum iussus est alimenta pupillae et mercedes, ut liberalibus artibus institueretur, pupillae nomine praeceptoribus dare: pubes factus pupillus puberi iam factae sorori suae ducenta legati causa solvit. quaesitum est, an tutelae iudicio consequi possit, quod in alimenta pupillae et mercedes a tutore ex tutela praestitum sit. respondi: existimo, etsi citra magistratuum decretum tutor sororem pupilli sui aluerit et liberalibus artibus instituerit, cum haec aliter ei contigere non possent, nihil eo nomine tutelae iudicio pupillo aut substitutis pupilli praestare debere. A seguito di decreto di condanna, come si legge nel passo, il tutore ottempera fedelmente al provvedimento e corrisponde gli alimenti alla madre e alla sorella del pupillo che, a parere del giurista, avrebbe correttamente versato anche in assenza di decisione giudiziale. Circostanza confermata, inoltre, con espresso richiamo a Giuliano, da parte di Ulpiano, che in argomento precisa e ribadisce: D (Ulp. 36 ad ed.): Unde quaeritur apud Iulianum libro vincensimo primo digestorum, si tutor pupillo auctoritatem ad mortis causa donationem accomodaveit, an tutalae iudicio teneatur. et ait teneri eum: nam sicuti testamenti factio, inquit, pupillis concessa non est, ita nec mortis quidem causa donationes permittendae sunt. Il giureconsulto, quindi, sia puntualizza la necessità di ottemperare al dovere alimentare verso madre e sorella, sia sancisce il principio, giuridicamente protetto, alla tutela del vincolo familiare riconoscendo al pupillo l azione formale di buona fede nam cum bonae fidei iudicium sit contro il tutore infedele che omette di ottemperare al proprio ufficio negando immediato soccorso economico ai bisogni di ascendente e parente in linea collaterale del giovane sotto tutela ) Ulpiano (36 ad ed.) in D rappresenta con chiarezza l obbligo del tutore di occuparsi degli alimenti della consanguinea del pupillo e, pertanto, prevede che nonnullos casus posse exsistere, quibus sine reprehensione tutor auctor fit pupillo ad deminuendum, decreto scilicet interveniente: veluti si matri aut sorori, quae aliter se tueri non possunt, tutor ali- ( 16 )

17 Luigi Sandirocco L obbligo alimentare garantito e difeso giuridicamente nei confronti di madre e di sorella, pertanto, risulta ampiamente provato e documentato già dall età dei Severi come confermato, da ultimo e a fortiori, anche da Paolo che in e in D (Paul. 2 sent.): Manente matrimonio non perditurae uxori ob has causas dos reddi potest: ut sese suosque alat ( ) parenti praestet alimonia ( ) fratrem sororermve sustineat D (Paul. 7 ad Sab.): Quamvis mulier non in hoc accipiat costante matrimonio dotem, ( ), sed ut liberis ex alio viro egentibus aut fratribus ( ) consuleret ( ) quia iusta et honesta causa est, non videtur male accipere et ideo recte ei solvitur ( ), ove si prevede in costanza di giuste e legittime nozze la restituzione del cespite dotale al fine di permettere al coniuge di soccorrere i bisogni economici, tra gli altri familiari, anche dei fratelli. 6. Il matrimonio romano si sostanzia, com è noto, nella seria, palese e riconosciuta durevole unione tra individui liberi di differente sesso; si tratta di un rapporto di fatto con significative e rilevanti conseguenze in ambito giuridico 50 ed è condivisione per tutta la vita di una medesima sorte, comunione del diritto divino e umano: D (Mod. 1 reg.): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio. Due sono quindi gli elementi costitutivi dell unione che si sostanzia, da un punto di vista materiale, nella coabitazione rispondente ai costumi sociali e, da un punto di vista spirituale, nella reciproca idea di vivere nel rispetto del principio monogamico come marito e moglie, l affectio maritalis appunto. Presupposti del legame «giusto», cioè idoneo a creare il vincolo agnatizio, sono lo status libertatis e il ius connubii, mentre dalle iustae nuptiae derivano quali effetti sia che i figli nati in costanza di matrimonio siano legittimi e cittadini romani, sottoposti alla patria potestas del genitore o, se questi è a sua volta filius familias, del di lui pater familias, sia che tra coniugi, nonché tra ciascuno di loro e i parenti dell altro, si crei il vincolo di adfinitas 51, sia che, da ultimo, trovino applicazione le norme che presuppongono il rapporto di coniugio. Non sembra però che sussistano disposizioni normative o previsioni giurisprudenziali in argomento di obbligo all assistenza alimentare tra marito e moglie: l irrilevanza giuridica, almeno per l età delle origini, del legame parentale per linea femminile ai fini economici e successori lascia ipotizzare la conseguente assenza di ragguardevolezza giuridica anche menta praestiterint, non lasciando dubbi sulla natura giuridica vincolante dell obbligo agli alimenti tra fratelli. 50) Sul vincolo e su presupposti ed effetti dell unione coniugale nell età delle origini, cfr. in particolare U. BARTOCCI, Le species nuptiarum nell esperienza romana arcaica: relazioni matrimoniali e sistemi di potere nella testimonianza delle fonti, Roma, 1999, passim, ID., Spondeabatur pecunia aut filia. Funzione ed efficacia arcaica del dicere spondeo, Roma, 2002, passim, e L. PEPPE, L urnetta n di Chiusi ed il matrimonio arcaico: alcuni spunti per una riflessione sulla formazione del diritto, in «Ricerche F. Gallo», II, 1997, p. 97 ss. In merito a disciplina e peculiarità del rapporto matrimoniale nei successivi secoli II-I a.c. e I-II d.c., cfr. in particolare R. ASTOLFI, Il matrimonio nel diritto romano preclassico, Padova, 2002, passim, nonché E. BARAGLI, Matrimonio, in «Enciclopedia delle Scienze Sociali», V, Roma, 1995, p. 587, F. FURLAN, Ex tui animi sententia, tu uxorem habes? in «BIDR.», XXXI-XXXII, , p. 461 ss., S. TREGGIARI, Roman Marriage, iusti coniuges from the Time of Cicero to the Time of Ulpian, Oxford, 1991, passim, e M.V. SANNA, Matrimonio e altre situazioni matrimoniali nel diritto romano classico. Matrimunium iustum - matrimonium iniustum, Napoli, 2012, p. 15 ss. Sull unione in età tardo antica e giustinianea, cfr. da ultimo R. ASTOLFI, Studi sul matrimonio nel diritto romano postclassico e giustinianeo, Napoli, 2012, passim. 51) Il significato di adfinitas nell età risalente individua, com è noto, anche una implicazione di tipo territoriale quale matrimonio tra aggregazioni confinanti: ed è la stessa semantica ( adfines da ad fines, «presso i confini») che ne conferma la derivazione ( Adfines in agris vicini, sive consanguineitate coniuncti : Fest., verb. sign., sv. adfines [L. 158]). Nella medesima accezione territoriale di contiguità si veda ancora «CIL.» VI.32 e 42). ( 17 )

18 «Non solum alimenta praestari debent» del rapporto coniugale ai fini del vincolo agli alimenti in caso di necessità. Il carattere patriarcale della famiglia, infatti, prevede la netta supremazia dell uomo sulla donna che arriva sino alla riconosciuta possibilità di uccidere la moglie per commesso adulterio o per ulteriori illeciti 52 : Aul. Gell., noct. Att : Verba Marci Catonis adscripsi ex oratione, quae inscribitur De Dote, in qua id quoque scriptum est in adulterio uxores deprehensas ius fuisse maritis necare: vir, inquit, cum divortium fecit, mulieri iudex pro censore est, imperium, quod videtur, habet, si quid perverse taetreque factum est a muliere; multatur, si vinum bibit: si cum alieno viro probri quid fecit, condemnatur. De iure autem occidendi ita scriptum: «In adulterio uxorem tuam si prehendisses, sine iudicio inpune necares; illa te, si adulterares sive tu adulterarere, digito non auderet contingere, neque ius est». La donna entra sotto la mano del marito o del suo avente potestà (filiae loco o neptis loco ) e ne segue la stessa condizione e lo stesso domicilio sebbene la titolarità dei beni rimanga del coniuge, o del di lui pater se alieni iuris, con la conseguenza che il matrimonio è sostanzialmente predisposto al fine ultimo del concepimento 53, della formazione e quindi della educazione della prole con ogni consequenziale effetto economico: D (Ulp. 1 inst.): Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. Hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio. L assenza di informazioni sul reciproco obbligo agli alimenti tra moglie e marito, o anche di unilateralità del vincolo del marito nei confronti della propria compagna, inducono a ritenere che non sussista, almeno sino all età tardo classica, il concetto di obbligo alimentare tra coniugi 54. Sintomatica l assenza nell ambito del Digesto di Giustiniano nella parte riservata alla trattazione della giurisdizione del console dalla quale si traggono quasi interamente le notizie in argomento di obblighi agli alimenti di riferimenti espliciti alla tutela giurisdizionale extra ordinem del vincolo alimentare in favore del coniuge o, nella forma equipollente, del compagno, consorte, marito, moglie, sposa, da assistere in caso di bisogno tanto da indurre a ritenere che, come per il caso di divorzio, mancherebbe un effettivo obbligo giuridico. Solo un vincolo di natura morale sembra spingere il coniuge a mantenere l altro che versa in stato di bisogno una volta sciolte le nozze; probabilmente per preservare il legame e tenere il partner al proprio fianco per la durata della vita ci si impegna a sostenerlo in caso di bisogno e a fornirgli quanto utile e necessario per la durata del matrimonio. Se in verità in origine, nel corso dei secoli, e sino all età dei Severi, la garanzia giuridica agli alimenti in favore del coniuge non è ufficializzata e l impegno è probabilmente rimesso all affetto, cura, protezione e fedeltà economica nei confronti del consorte, progressivamente la necessità di soccorso economico comincia ad essere sempre più avvertita. Nel tempo, quindi, la tutela viene progressivamente supportata e garantita secondo quanto sembra trasparire sia in D (Ulp. 33 ad ed.): Sin autem in saevissimo furore muliere constituta maritus dirimere quidem matrimonium calliditate non vult, spernit autem infelicitatem uxoris et non ad eam flectitur nullamque ei competentem curam inferre manifestissimus est, sed abutitur dotem: tunc licentiam habeat vel curator furiosae vel cognati adire iudicem competentem, quatenus necessitas imponatur marito omnem ta- 52) Il potere dell uomo sulla donna è illimitato, e può ripudiarla nell ipotesi che avveleni i figli (Plut., Rom. 22.3), quindi punirla se beve vino (Val. Max., mem , e Cic., off ) o ha relazioni extraconiugali (Dion. Hal., ant. Rom ). 53) C.I (Probus): Si vicinis vel aliis scientibus uxorem liberorum procreandorum causa domi habuisti et ex eo matrimonio filia suscepta est, quamvis neque nuptiales tabulae neque ad natam filiam pertinentes factae sunt, non ideo minus veritas matrimonii aut susceptae filiae suam habet potestatem. 54) Sul punto, cfr. ZOZ, In tema di obbligazioni, cit., p. 344 ss. ( 18 )

19 Luigi Sandirocco lem mulieris sustentationem sufferre et alimenta praestare et medicinae eius succurrere et nihil praetermittere eorum, quae maritum uxori adferre decet secundum dotis quantitatem. Sin vero dotem ita dissipaturus ita manifestus est, ut non hominem frugi oportet, tunc dotem sequestrari, quatenus ex ea mulier competens habeat solacium una cum sua familia, pactis videlicet dotalibus, quae inter eos ab initio nuptiarum inita fuerint, in suo statu durantibus et alterius exspectantibus sanitatem et <mortis eventum>, che lascia ritenere possibile per la donna ricorrere al magistrato per il caso di alimenti negati 55, sia in D (Paul. 2 sent.): Manente matrimonio non perditurae uxori ob has causas dos reddi potest: ut sese suosque alat, ut fundum idoneum emat, ut in exilium vel in insulam relegato parenti praestet alimonia, aut ut egentem virum <filium ex alio viro> fratrem sororemve sustineat, che ufficializza, tra l altro, il diritto del marito al mantenimento attraverso il godimento dei beni della donna che trova il suo fondamento proprio nel rapporto di coniugio e non certamente nell istituto dotale le cui sostanze hanno, com è noto, una differente natura e destinazione: la cura e la soddisfazione delle esigenze economiche familiari 56. Il pretto impegno etico diviene, certamente, formale obbligo giuridico al mantenimento o forse meglio al soddisfacimento delle ristrettezze del coniuge bisognoso con la Novella 53.6 (a. 537) e con la Novella (a. 542), quando l imperatore Giustiniano, formalizzando la successione necessaria a vantaggio del coniuge lascia, con una plausibile attendibilità, intendere definitivamente sancito anche il connesso diritto agli alimenti in caso di bisogno. Il vincolo alimentare, da ultimo, non sembra configurarsi tra un coniuge e i parenti dell altro coniuge, gli affini appunto, così come può ritenersi sussistente, al contrario e almeno per l epoca giustinianea, tra marito e moglie, riguarda comunque ascendenti e discendenti con la richiamata differenziazione tra nuclei familiari legali e autorizzati e unioni spurie. 7. L analisi degli elementi sin qui vagliati e ponderati impone a questo punto di focalizzare i risultati dell indagine sui prospettati cambiamenti e sulle modifiche che si registrano nel corso dei secoli in tema di regime alimentare in connessione con la casistica e nell ipotesi dell esistenza di un vincolo di solidarietà che abbia davvero assolto la funzione garante non solo dell esistenza minima del soggetto, bensì delle più vaste aspirazioni legate a un ampia e completa istruzione ed educazione della persona: un profilo non esclusivamente essenziale e necessario ma, all opposto, anche accessorio per una effettiva formazione psicofisica dell alimentato. I cinque campi d indagine, che sono la risultante del presente studio, portano a disegnare i seguenti scenari: dal I secolo a.c. è sancito sia l onere del patrono di assistenza del liberto in stato di bisogno, sia il diritto del patrono a ottenere dal liberto medesimo, in caso di effettiva necessità, quanto utile al proprio sostentamento. Il liberto è tenuto nei confronti del patrono nonché dei suoi discendenti o ascendenti, mentre nulla deve a titolo di alimenti al patrono del patrono e nei casi in cui il rapporto è affievolito. L obbligo alimentare, da ultimo, cessa con il venir meno dello ius patronatus. Il patrono, invece, può pretendere dal liberto somme di danaro periodiche necessarie per far fronte al proprio stato di bisogno e per la sua inadempienza grave può legittimamente ridurlo, nuovamente, in stato di schiavitù. Nel VI secolo d.c. sembra pienamente confermata l identità di disciplina giuridica in materia di obbligo alimentare tra soggetti legati da vincolo familiare e individui stretti da rapporto di patronato (liberto-patrono). Ne deriva, quanto alla misura di erogazione degli alimenti, che il patrono verso il liberto è tenuto a un impegno minimo di spesa necessario al sostentamento e non è evidentemente onerato in 55) Sul contenuto e interpretazione del passo, cfr. ALBERTARIO, Sul diritto agli alimenti, cit., p. 272 ss. 56) Albertario (Sul diritto agli alimenti, cit., p. 272) e Bonfante (Corso, I, cit., p. 287) ritengono comunque che interventi di interpolazione e fraintendimenti abbiano permesso di parlare in presenza di coniugio di un presunto reciproco obbligo agli alimenti risalente all età imperiale. Non si può escludere che il vincolo, almeno del marito verso la moglie, possa segnatamente ascriversi però all età giustinianea. ( 19 )

20 «Non solum alimenta praestari debent» proporzione ai propri averi; il principio, in verità, non è sancito da disposizioni normative o decisioni giurisprudenziali ma può ricavarsi dal fatto che la parametrazione e, quindi, l esatta quantificazione del dovuto vengono dalle fonti costantemente riferite a legami e vincoli strettamente familiari non puntualmente attinenti ai rapporti economici tra patrono e liberto: differenza e disparità sociale tra onerato e avente diritto impegnano e costringono al minimo utile ed essenziale ai bisogni primarii, facendo apparire irrilevanti quindi le reali ed effettive possibilità economiche dell onerato. Nell obbligo del liberto verso il patrono, al pari del padre verso i figli, le fonti lasciano emergere, al contrario, che il vincolo non è limitato al minimo dei bisogni che consente di vivere, ossia che non è contenuto a quanto necessario ed essenziale per la sussistenza. Sul presupposto che liberto et filio semper honesta et sancta persona patris ac patroni videri debet 57, gli alimenta autem pro modo facultatium erunt praebenda, egentibus scilicet patronis: cenerume si sit unde se exhibeant, cessabunt partes <iudicis> 58. La giurisprudenza sembra così chiarire che l obbligo agli alimenti implichi il dovere di corrispondere ben oltre quanto utile ed essenziale per vivere; il vincolo di solidarietà assolverebbe pertanto la funzione garante non tanto dell esistenza minima del soggetto, quanto di tutela delle più vaste aspirazioni legate a una completa formazione della persona: un concetto «allargato» dell essenzialità che va ben oltre la pura sopravvivenza. Il diritto e l obbligo reciproco agli alimenti anche tra padre e figlio viene ufficializzato e formalmente regolato in epoca imperiale: nell età dei Severi poi il legame di parentela determina l insorgenza di un vero e proprio diritto agli alimenti tutelato con giurisdizione straordinaria interamente devoluta al console. Il legame rende coercibile l ingiustificata condotta omissiva in considerazione del valore che nel tempo acquista il vincolo cognatizio. Il fondatore, secondo tradizione, della scuola proculiana però avrebbe già previsto l obbligo alimentare in caso di stretti congiunti, lasciando così intendere che il vincolo risalga quantomeno intorno al 45 a.c. 59 Il diritto agli alimenti tra genitori e figli è reciproco con la conseguenza che la pretesa può essere vicendevolmente avanzata quando l uno o l altro versino in stato di indigenza. Non emergono, inoltre, dubbi sul fatto che il padre sia tenuto tanto nei confronti dei liberi in potestà, quanto nei confronti dei liberi sui iuris : la parentela civile rende obbligatorio il reciproco vincolo alimentare. La regola è che il padre deve contribuire in caso di necessità in favore di figli legittimi in potestà, figli emancipati e di tutti i figli che da alieni iuris divengono sui iuris, nonché dei figli adottivi e dati in adozione, nel caso di indigenza del padre adottivo. L obbligo alimentare del padre naturale è ipotizzabile almeno per l età giustinianea: l assenza dell agnazione non elide, infatti, il rapporto di cognazione che in argomento di alimenti assume rilevanza giuridica ed effetti consequenziali. Costantino sposa una linea di inflessibilità e intransigenza imponendo, per gli ordini superiori, il divieto di elargizioni in favore sia della concubina, sia dei figli avuti dalla medesima: per inosservanza o violazione sono contemplate sanzioni personali afflittive severe nonché sanzioni patrimoniali ingenti, a riprova della gravità del fatto represso 60. Fino al I secolo d.c. quindi, le relazioni fuori dal legittimo vincolo coniugale assumono una posizione parimenti distante dal pieno riconoscimento legale, dalla tolleranza sociale e dalla riprovazione morale. Sostituiscono il rapporto matrimoniale, di cui non possiedono però l esteriorità formale e, so- 57) D (Ulp. 66 ad ed.). 58) D (Ulp. 2 off. cons.). 59) D (Ulp. 58 ad ed.): Verbo victus continentur, quae esui potuique cultuique corporis quaeque ad vivendum homini necessaria sunt. Vestem quoque victus habere vicem Labeo ait. Come si vede Ulpiano, a proposito di legato alimentare, riporta ancora l opinione di Labeone lasciandone al pari intuire contenuti e risalenza temporale. 60) Per tutto il IV-V secolo d.c. sembrano sussistere limitazioni giuridiche di ordine patrimoniale per la filiazione naturale. Solo nel VI secolo, infatti, Giustiniano da un lato riconosce una sorta di legittimazione al rapporto fuori dal vincolo legittimo, purché si manifesti nel rispetto di rigorosi requisiti (C.I , a. 531), dall altro stabilisce che è possibile legittimare i figli naturali con conseguente loro diritto alla successione ed evidentemente anche agli alimenti in caso di bisogno (in argomento, cfr. P. GIDE, De la condition de l enfant naturel et de la concubine dans la législation romaine, in Étude sur la condition de la femme, II, Paris, 1885, p. 548 ss., e J. PLASSARD, Le concubinat romain sous le Haut Empire, Paris, 1921, p. 17 ss.), mentre ancora nel VI secolo nessun beneficio, alimenti inclusi, è previsto per la prole nata da unioni illegittime (cfr. PULIATTI, Incesti crimina, cit., p. 223 ss). ( 20 )

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