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1 INDICE INTRODUZIONE... 2 L ANGINA CRONICA REFRATTARIA... 2 LE ONDE D URTO... 8 L applicazione in campo cardiologico: la neoangiogenesi indotta dalle onde d urto SCOPO dello STUDIO MATERIALI e METODI Selezione dei pazienti Protocollo di studio Caratteristiche generali della popolazione RISULTATI DISCUSSIONE Limiti CONCLUSIONI PROSPETTIVE FUTURE BIBLIOGRAFIA

2 La terapia extracorporea con onde d urto nell angina pectoris cronica refrattaria nell AOUI di Verona (ottobre- dicembre 2011) INTRODUZIONE L ANGINA CRONICA REFRATTARIA Definizione e cenni di epidemiologia L angina pectoris è il risultato dell ischemia miocardica, che si verifica ogni qualvolta si istauri una discrepanza tra la richiesta di ossigeno da parte del tessuto miocardico e l apporto di ossigeno al miocardio stesso (1). La prima dipende dalla frequenza cardiaca, dalla tensione parietale ventricolare e dalla contrattilità miocardica; il secondo è determinato dal flusso ematico coronarico e dal tasso di ossigeno arterioso coronarico. L aumento del fabbisogno di ossigeno deriva in genere dal rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose adrenergiche nel cuore e nel letto vascolare, come risposta fisiologica allo sforzo, alle emozioni o allo stress mentale (2). Una riduzione dell apporto miocardico di O₂ è secondaria nella maggior parte dei casi a riduzione o assenza di flusso coronarico dovuto a stenosi fisse, ossia placche stabili (70-80% dei casi), o a stenosi dinamiche, vale a dire un aumento del tono vascolare coronarico (vasospasmo, 20-30% dei casi). Il vasospasmo può anche sovrapporsi alla presenza di una placca instabile e a trombosi intraluminale (3). La variabilità della soglia ischemica suggerisce che una combinazione di ostruzioni fisse e dinamiche giochi un ruolo fondamentale nel determinare l insorgenza di tale sintomo. Oltre che dal flusso coronarico, l apporto di O₂ al miocardio dipende anche dalla saturazione arteriosa di O₂ e dall estrazione miocardica di O₂. In condizioni fisiologiche di riposo, l estrazione miocardica di O₂ è molto vicina ai valori massimali, per cui un aumentata richiesta può essere soddisfatta quasi esclusivamente da un incremento del flusso coronarico per vasodilatazione del microcircolo (Autoregolazione Coronarica) (4). In pazienti con stenosi coronariche significative (> 70%) e persistenti, è sufficiente che si verifichi un minimo 2

3 aumento dell ostruzione dinamica affinché il meccanismo di autoregolazione divenga insufficiente, il flusso cali al di sotto di un livello critico e si manifesti ischemia miocardica. Inoltre, in presenza di una stenosi organica, i trombi piastrinici e i leucociti possono produrre sostanze vasocostrittrici, come la serotonina ed il trombossano A2, ed il danno endoteliale nelle arterie coronarie aterosclerotiche può causare una riduzione della produzione di sostanze vasodilatatrici e un anormale risposta vasocostrittrice allo sforzo e ad altri stimoli. Quindi una soglia variabile dell ischemia miocardica in pazienti con angina stabile può essere dovuta a modificazioni dinamiche del tono della muscolatura liscia intorno alla stenosi ed anche a costrizione di arterie distali alla stenosi (5). L approccio terapeutico tradizionale per l angina è mirato al miglioramento della prognosi, al controllo dei sintomi e alla riduzione del rischio di eventi futuri, e si basa su una complessa integrazione tra modificazione dei fattori di rischio, educazione del paziente alla terapia farmacologica e interventi di rivascolarizzazione miocardica. In conseguenza degli enormi passi avanti sia nell ambito della terapia farmacologica sia nelle tecniche di rivascolarizzazione miocardica, la aspettativa di vita per i pazienti con malattia coronarica (CAD) è di gran lunga migliorata. Ciò significa che pazienti con coronaropatia critica diffusa oggi vivono più a lungo, ma molti di questi svilupperanno ischemia miocardica e quindi soffriranno di angina, non più suscettibili di correzione chirurgica e/o percutanea (6,7). Tali pazienti con malattia coronarica severa, sintomatica e cronica sono descritti come pazienti con angina intrattabile, o CAD end-stage, ma il termine più appropriato è angina refrattaria, considerando il gran numero di interventi terapeutici disponibili al giorno d oggi. La Canadian Cardiovascular Society ha definito angina pectoris refrattaria come una condizione persistente (da più di 3 mesi) caratterizzata da dolore toracico causato da insufficienza coronarica in presenza di CAD, che non può essere controllata da una combinazione di terapia medica, rivascolarizzazione miocardica percutanea (PCI) e chirurgica (CABG). Sono quindi condizioni necessarie per definire l angina come refrattaria l impossibilità di sottoporre il paziente ad interventi di rivascolarizzazione miocardica percutanea e chirurgica, la presenza di una terapia medica on top e, ovviamente, l esclusione di altre possibili cause di dolore toracico (8). Inoltre la Canadian Cardiovascular Society ha anche proposto un sistema di classificazione dell angina (CCS Angina Scale) universalmente riconosciuto, che suddivide sulla base della severità dei sintomi i pazienti con angina stabile in 4 Classi, numerate progressivamente da 1 a 4, a seconda del grado di limitazione funzionale determinato dall angina stessa (9). Attualmente non molti dati sono disponibili circa il numero di pazienti non rivascolarizzabili. 3

4 Alla fine degli anni 90 Mukherjee et al in uno studio retrospettivo hanno evidenziato che circa il 12% dei pazienti con CAD sintomatica e documentazione di ischemia, sottoposti ad angiografia coronarica non sono candidabili né a PCI né a CABG (10). Dal registro svedese di Bernstein at al si evince che circa il 10% dei pazienti sottoposti ad angiografia coronarica tra il 1994 ed il 1995 per angina stabile sono stati giudicati non eligibili ad intervento di rivascolarizzazione nonostante presentassero sintomi severi (11). Un lavoro più recente condotto in Minnesota, ha registrato un 6,7% di pazienti con lesioni coronariche > 70% non passibili di interventi di rivascolarizzazione (12). L epidemiologia dell angina refrattaria a tutt oggi non è del tutto chiara; la prevalenza stimata è di circa 100,000 pazienti/anno negli USA e 30,000-50,000 pazienti/anno in Europa (13). I pazienti che soffrono di angina refrattaria generalmente hanno una lunga storia di coronaropatia e sono già stati sottoposti ad uno o più interventi di angioplastica coronarica percutanea o ad intervento di rivascolarizzazione miocardica chirurgica tramite bypass. Sono per lo più maschi, tendenzialmente giovani, spesso con disfunzione sistolica ventricolare sinistra, che si collocano in classe CCS III-IV, ossia presentano angina determinante una marcata limitazione nell attività fisica ordinaria o assoluta incapacità a svolgere qualsiasi tipo di attività fisica ordinaria senza avvertire sintomi (14,15). Anche l outcome di questa categoria di pazienti è ancora controverso. Vari studi condotti con gruppo di controllo riguardo le terapie alternative nei pazienti con angina pectoris refrattaria hanno documentato (nel braccio controllo) un tasso di mortalità compreso tra il 3% ed il 21% ed un tasso di eventi coronarici (che includevano sindrome coronarica acuta e ospedalizzazioni per angina) tra l 11% ed il 69% (16,17,18). In contrasto con tali dati, in una serie di 1066 pazienti consecutivi affetti da angina refrattaria seguiti in media con un follow up di 3,5 anni, solo 126 pazienti (11,8%) sono deceduti, e solo 58 di tali decessi (5,4%) erano attribuibili a cause cardiovascolari (19). Altri dati raccolti su un registro di 200 pazienti con angina cronica refrattaria confermano questo tasso di mortalità cardiovascolare annuale tendenzialmente basso (2%) (20), dato per altro confermato anche dal sopracitato studio condotto in Minnesota (15% mortalità a 3 anni) (12). Dal momento che è emerso che la mortalità dei pazienti affetti da angina cronica refrattaria è inferiore a quanto considerato in precedenza, è corretto pensare che il primo obiettivo delle terapie che si stanno facendo strada per questa popolazione di pazienti in fase di crescita 4

5 debba essere il sollievo dai sintomi ed il miglioramento della qualità di vita, e non necessariamente la riduzione degli eventi cardiovascolari e/o dell ischemia miocardica (21). Opzioni terapeutiche La terapia farmacologica convenzionale della cardiopatia ischemica si basa sull utilizzo di farmaci antianginosi a prevalente effetto emodinamico, che mirano a ridurre l ischemia miocardica attraverso la riduzione della richiesta di ossigeno da parte del miocardio e/o tramite il miglioramento dell apporto di ossigeno miocardico (B-bloccanti, Ca²+-antagonisti, Nitroderivati), e di più recenti agenti ad azione metabolica o modulatori puri della frequenza cardiaca (Trimetazidina, Ivabradina, Ranolazina), e su farmaci profilattici, quali statine e antiaggreganti piastrinici (22). La trattazione della terapia farmacologica dell angina cronica stabile esula dagli scopi di questo lavoro; al contrario ci soffermeremo più a lungo sulla terapia non-farmacologica. Negli ultimi anni sono state proposte numerose differenti modalità di terapia non farmacologica per l angina refrattaria, ma non tutte hanno avuto successo: stimolazione elettrica nervosa e spinale transcutanea, contropulsazione esterna rinforzata, rivascolarizzazione miocardica percutanea o chirurgica con laser e angiogenesi terapeutica sono le principali. La stimolazione elettrica nervosa e spinale transcutanea (SCS) consiste nella neuromodulazione, ossia nella trasmissione di stimoli elettrici ad un particolare segmento spinale, in funzione delle zone di dolore avvertite dal paziente (aree algiche). Il principio di base è la teoria del Gate Control: un elettrocatetere posizionato nello spazio peridurale, nel caso del trattamento dell angina pectoris tra C7 e T1 (23), determina una stimolazione che produce un campo elettrico, e quindi uno stimolo elettrico, che viaggia sulle fibre nervose e agisce come un interruttore che blocca la trasmissione dello stimolo doloroso. Ciò si traduce nella comparsa di una parestesia avvertita nella zona algica target, che allevia il senso di dolore (24). Nell ambito dell angina refrattaria tale tecnica pare in grado di indurre un miglioramento della classe funzionale NYHA, una riduzione delle ospedalizzazioni ed un significativo miglioramento della qualità di vita (25,26). Essendo una procedura invasiva, non è del tutto priva di complicanze (principalmente dislocazione o frattura degli elettrodi, esaurimento della batteria e infezioni sottocutanee) (27). 5

6 La contropulsazione esterna rinforzata (EECP) consiste nell applicazione intorno alle gambe e ai fianchi del paziente di manicotti ad aria compressa, che vengono gonfiati progressivamente e gradualmente dal basso verso l alto durante la diastole per sgonfiarsi rapidamente in sistole. Questo favorisce il ritorno venoso al cuore e consente di aumentare la pressione in aorta durante la diastole, che è il momento in cui le coronarie perfondono il muscolo cardiaco, senza ostacolare la sistole, quando il sangue fuoriesce dal cuore, per entrare in aorta e perfondere tutti gli organi (28). Esistono dati che documentano una riduzione della frequenza di angina e dell uso di nitroderivato sublinguale e un miglioramento della tolleranza allo sforzo e della qualità di vita in seguito all applicazione della contropulsazione esterna ma le evidenze oggettive di riduzione dell ischemia sono molto limitate (29). L accesso è ambulatoriale e gli effetti collaterali descritti sono minimi. La rivascolarizzazione miocardica chirurgica e percutanea con laser (TMLR) si avvale dell uso di un ablazione con laser per creare dei canali attraverso aree di miocardio ischemico che dovrebbero ripristinare il flusso sanguigno e quindi migliorare la perfusione di quelle stesse aree. E stata utilizzata anche in aggiunta alla terapia chirurgica per ottenere una migliore e più completa rivascolarizzazione (30). Diversi studi clinici randomizzati hanno documentato per i pazienti sottoposti a rivascolarizzazione chirurgica con laser rispetto ai pazienti in sola terapia medica un miglioramento significativo della tolleranza all esercizio fisico a distanza di un anno e una migliore qualità di vita, ma non un concomitante miglioramento della perfusione alla scintigrafia miocardica (31,32,33). Tale procedura risulta però associata ad un elevato rischio di mortalità e morbidità perioperatorie e di complicanze, per lo più rappresentate da fibrillazione atriale, aritmie ventricolari, infarto miocardico e scompenso cardiaco. Per ridurre la mortalità perioperatoria associata a tale tecnica, si è tentato un approccio percutaneo, ma i risultati ottenuti poco si discostano da quelli ottenuti con la stessa procedura per via chirurgica. Un cenno un poco più approfondito meritano le più recenti tecniche di angiogenesi terapeutica. Si tratta in sostanza della stimolazione della crescita di nuovi vasi sanguigni allo scopo di migliorare la vascolarizzazione e quindi la funzione miocardica. I fattori neoangiogenetici maggiormente studiati sono VEGF e FGF, sia in fase pre-clinica che clinica. Uno degli studi più convincenti è stato effettuato mediante la somministrazione endocardica di VEGF-2 con mappaggio endocavitario in pazienti con cardiopatia ischemica 6

7 cronica refrattaria. In tali pazienti si è registrato un incremento della perfusione miocardica e un miglioramento significativo dei sintomi (34). Sono state esplorate differenti vie di somministrazione di questi fattori, trans catetere, intravenosa o intracoronarica, iniezione diretta intraoperatoria, iniezione trans endocardica mediante catetere o diffusione intrapericardica, ma la via più sicura e più efficace non è ancora stata definita. I problemi principali connessi alla somministrazione di fattori angiogenetici riguardano gli effetti collaterali, in primis l edema da aumentata permeabilità e la vascolarizzazione di neoplasie occulte, oltre al possibile effetto pro-aterogenico, dovuto all aumento della massa di placche preesistenti e alla in-stabilizzazione delle stesse. Le cellule progenitrici endoteliali rappresentano un altra opzione per la neo-vascolarizzazione del miocardico ischemico. Tali cellule derivano da un comune precursore emoangioblastico a livello del midollo osseo: la cellula staminale. Sono state utilizzate due diverse modalità di vascolarizzazione miocardica tramite cellule staminali. La prima prevede la purificazione di tali cellule a partire dalla frazione mononucleata del midollo osseo o del sangue circolante ed il successivo trapianto delle stesse nel tessuto miocardico all interno di regioni colpite da ischemia; la seconda strategia riguarda l uso di citochine in grado di mobilizzare le cellule staminali, attirandole verso la zona danneggiata, dove esplicherebbero la loro funzione, differenziandosi in cellule endoteliali (35). Negli ultimi anni sono state studiate in quest ambito diverse strategie, molte delle quali si sono dimostrate efficaci in modelli animali ma solo in pochi casi si è registrata una progressione verso la sperimentazione clinica con risultati inequivocabili. Ciò può essere attribuito almeno in parte ai difetti tecnici dei vettori attualmente disponibili, poco sicuri e poco tessuto-specifici, e ai sistemi di rilascio degli stessi. Oltre a ciò è indispensabile una maggiore conoscenza dei meccanismi coinvolti nella mobilizzazione, integrazione e sopravvivenza delle cellule staminali progenitrici a livello della zona d impianto. Dunque, mentre la terapia con cellule staminali è ancora in stadi sperimentali, stimolazione cordale e contropulsazione esterna e hanno dato buoni risultati, ma si sono dimostrate non del tutto scevre da complicanze. Al contrario, sono emersi risultati contrastanti da terapia genica e rivascolarizzazione con laser: nonostante i primi incoraggianti risultati ottenuti da trials di piccole dimensioni, i successivi grandi trials non hanno evidenziato significativi benefici associati all utilizzo di tali metodiche, probabilmente in relazione all invasività delle procedure stesse e all elevato rapporto rischio/beneficio. 7

8 Il nuovo approccio ideale per il trattamento dell angina refrattaria dovrebbe innanzitutto alleviare i sintomi e migliorare la qualità di vita, essere facilmente accessibile e poco invasivo, e soprattutto sicuro, ossia associato ad un basso tasso di complicanze, considerata la bassa mortalità complessiva di tale categoria di pazienti. LE ONDE D URTO Cenni storici L'utilizzo delle onde d'urto in medicina nacque agli inizi degli anni 70, originariamente per applicazioni in Urologia (litotripsia), dove questa metodica, non invasiva ma con effetti paragonabili a quelli di un intervento chirurgico, viene impiegata tuttora per la frantumazione dei calcoli renali (36). Le prime applicazioni risalgono però al 1810, quando Heurteloup utilizzò un rudimentale apparecchio litotritore introdotto in vescica per rompere i calcoli urinari. Solo all inizio degli anni novanta è stata utilizzata questa metodica nel campo delle patologie ossee, in seguito all osservazione di un odontoiatra di Francoforte, il quale notò una marcata riduzione della flogosi peridentale in pazienti sottoposti al trattamento per calcolosi delle ghiandole salivari. Al contempo l osservazione accidentale di un ispessimento dell osso iliaco in pazienti sottoposti a litotripsia (37). In ambito ortopedico le prime applicazioni sull uomo vennero effettuate all inizio degli anni 90. Valchanou e Michailov nel 1991 descrissero il consolidamento e la guarigione in 70 su 79 pazienti di una casistica eterogenea che presentava ritardo di consolidamento di fratture con formazione di pseudoartrosi. Risultati positivi assimilabili vennero riportati da Schleberger e Senge nel 1992: venne ottenuta l induzione della formazione del callo osseo entro 6 settimane dall applicazione di onde d urto, senza che si verificassero lesioni ossee strutturali né ossificazioni ectopiche. Tra i primi a studiarne l effetto in ortopedia fu Haist, sempre a Francoforte, a cui si deve il merito dell introduzione della terapia con onde d urto nella pratica clinica quotidiana. 8

9 In Italia le prime applicazioni cliniche furono condotte nel 1992 dall èquipe del Prof. Corrado della Divisione di Chirurgia della Mano dell Università degli Studi di Napoli, che utilizzò le onde d urto in casi di pseudo artrosi di scafoide carpale partendo dall idea che gli aggregati cristallini presenti in questa patologia avrebbero potuto subire un influenza fisica diretta, in modo analogo a ciò che accade per i calcoli renali. Sempre nei primi anni 90 le onde d urto vennero applicate nelle patologie a carico dei tendini e dei legamenti. Nel 1992 Dahmen e coll. descrissero l applicazione di onde d urto a bassa energia per il trattamento di tendiniti calcifiche della regione scapolo omerale. Da allora sono stati compiuti numerosi progressi, soprattutto in seguito all osservazione che, oltre ad un azione fisica diretta, le onde d urto producono effetti biologici indiretti. Ciò ha permesso di allargarne le possibili indicazioni cliniche dalla pseudoartrosi ad un più vasto campo di patologie ortopediche muscolo-scheletriche, e ha dato avvio ad una serie di ricerche sperimentali in altri campi medici, tra cui per l appunto l ambito cardiologico. Che cos è un onda d urto e com è generata L onda d urto (O.U.) è definita come un onda acustica di breve durata (< 10 µs) ad alta energia (100 MPa) caratterizzata sul fronte d avanzamento da una pressione in grado di passare, in frazioni di nanosecondi (< 10 ns), da valori atmosferici (1,01-1,02 Bar) fino a valori estremamente elevati ( Bar), per poi ritornare ai livelli di partenza dopo una breve fase negativa (figura 1). Figura 1: Onda d'urto 9

10 La sua velocità di propagazione è funzione del mezzo nel quale si trasmette (impedenza acustica) e dell intensità dell onda; conoscendo questi dati è possibile calcolare lo spessore del fronte d onda che è definito come lo spazio tra il punto in cui si è raggiunta la massima altezza pressoria e quello in cui prevale nuovamente la pressione atmosferica. Strutture quali le pareti cellulari, il cui spessore è valutabile a livello molecolare, sono quindi sottoposte a gradienti pressori elevatissimi al passaggio dell O.U. Il principio fisico di base utilizzato per la generazione dell onda d urto in un apparecchiatura consiste nella creazione dell evento iniziale di rapidissimo innalzamento della pressione nell acqua contenuta nella speciale camera della testa terapeutica; questa è anche dotata di una superficie interna riflettente, avente lo scopo di focalizzare l energia dell onda d urto in un definito volume focale terapeutico ad una precisa profondità focale. Il principio fisico può essere: - elettroidraulico: l evento iniziale viene creato mediante una forte scarica di alta tensione tra le punte di un elettrodo posto nel Fuoco F1 di una camera avente la superficie riflettente interna con la forma geometrica di un semi-ellissoide. L energia dell onda d urto così generata viene focalizzata in un area o volume focale avente come centro il Fuoco F2 dell ellissoide di sviluppo della camera riflettente. - elettromagnetico: un impulso elettrico si propaga attraverso una bobina, di forma piatta o cilindrica, generando un campo magnetico che colpisce una membrana metallica. L onda sonora così creata viene focalizzata da una lente acustica per formare un onda d urto. - piezoelettrico: l evento iniziale viene creato mediante la rapida e contemporanea dilatazione del volume di più elementi di cristallo piezoelettrico montati sulla superficie di un settore sferico e sottoposti ad un forte differenziale di alta tensione; la superficie sferica, sulla quale sono montati, concentra tutti i contributi di pressione, esercitata sull acqua dai singoli cristalli, nel centro focale corrispondente al centro della sfera. Gli effetti Si è dimostrato che gli impulsi pressori prodotti dalle O.U. sono in grado di indurre a livello delle zone colpite Riduzione della flogosi locale Neoformazione di vasi sanguigni Riattivazione dei processi riparativi 10

11 Tali effetti sono solo in parte dovuti ad un azione diretta dell onda d urto (distruzione meccanica degli aggregati inorganici o comunque impatto pressorio sulle strutture biologiche), dal momento che sono soprattutto mediati da alcuni fenomeni fisici conseguenti al passaggio dell onda nel tessuto colpito. Allorquando un onda d urto attraversa un fluido genera molteplici differenze pressorie responsabili della formazione di bolle di gas e del fenomeno della cavitazione ; infatti la ridotta pressione che si produce sul lato interno della semionda consente un rapido passaggio dell acqua alla fase gassosa con formazione di una vera e propria bolla di dimensioni variabili a seconda dell energia sprigionata. Una successiva O.U. colpisce la bolla così formata dando luogo ad una violenta implosione che forma un getto d acqua, il cosiddetto jet stream, che è notevolmente accelerato dal campo di bassa pressione esistente all interno della bolla (velocità di Km/h). Tale getto d acqua direzionale, colpendo i tessuti viciniori, determina microlesioni la cui entità è funzione del numero degli impulsi e della loro energia (38) (figura 2). Figura 2: Cavitazione La membrana cellulare è la più sensibile e sono sufficienti livelli di energia pari a 0,2 mj/mm² per alterarne le proprietà di permeabilità. Più resistenti sono invece il citoscheletro, i mitocondri e la membrana nucleare nei quali gli effetti delle O.U. si cominciano a vedere per valori di energia pari a 0,5 mj/mm². 11

12 Diversi studi sperimentali hanno dimostrato che le alte energie sprigionate dai jet streams cavitazionali, generati nei tessuti attraversati dalle O.U., producono alterazioni biomolecolari tali da spiegare le molteplici risposte biologiche-tissutali che si osservano in corso di trattamento, vale a dire quelle angiogenetiche, citotossiche e neuro modulanti (39). Pare che il punto di innesco principale sia rappresentato dalla molecola di monossido di azoto (NO), molecola assai instabile, che fisiologicamente è prodotta in condizioni di stress da diverse isoforme delle cosiddette sintetasi: essa rappresenta il vero mediatore chimico delle O.U. ed è considerata la molecola starter della neoangiogenesi come anche della risposta infiammatoria, neuromodulante, citotossica (per le più alte concentrazioni) e probabilmente anche di una risposta immunitaria. L intuizione nasce in ambito ortopedico, dall osservazione che l applicazione di O.U. determina nell area colpita un immediato effetto antiinfiammatorio e analgesico, e successivamente (1-4 mesi) un effetto neo-rigenerante, tutti effetti che potrebbero essere mediati dalla molecola di NO, in virtù del suo potente effetto vasodilatatore. Sulla scorta di tali osservazioni, Gotte et al. nel 2002 dimostrarono sperimentalmente che l applicazione di O.U. ad una soluzione contenente L-Arginina e H₂O₂ (in concentrazioni tali da mimare la fisiopatologica condizione dell infiammazione) è in grado di portare alla rottura di tali molecole, dal cui riassemblamento si otterrebbe direttamente NO, saltando quindi il fisiologico meccanismo enzimatico a cascata. Non solo, la produzione di NO risultava funzione sia del numero di shots applicati, sia del livello di energia delle O.U (39). Subito dopo, allo scopo di valutare se l applicazione di O.U. può modulare la produzione di NO, lo stesso gruppo ha esaminato l attività dell e-nos e i livelli di NO intracellulare in cellule endoteliali di vene ombelicali umane (HUVEC) normali e dopo trattamento con LPS/IFNγ in modo da simulare in vitro una condizione infiammatoria. I risultati hanno dimostrato che il trattamento di HUVEC con onde d urto aumenta l attivazione di e-nos e quindi i livelli di NO intracellulare, shiftando verso l espressione di una forma di sintetasi meno fosforilata su tirosina, maggiormente attiva. Oltre a ciò in HUVEC trattate con LPS/IFNγ, l applicazione di O.U. determina, tramite il mantenimento di elevati livelli di NO, la soppressione dell attivazione di NF-kB e quindi della cascata di eventi caratteristici dello stato infiammatorio (40). Altre indagini sperimentali hanno dimostrato in vivo il fenomeno della cavitazione indotta da O.U. mediante la registrazione, durante la formazione delle bolle di cavitazione, di due distinti spikes, di marcata intensità, legati a due differenti momenti di compressione e rarefazione massima (bubble oscillation); tale evenienza potrebbe dipendere non solo dall energia delle 12

13 O.U., ma anche dalla concentrazione d acqua nei tessuti, dal mezzo di propagazione e dall intervallo di tempo tra le singole O.U. (41). La risposta al trattamento con onde d urto è diversa a seconda dei tessuti colpiti. Nel tessuto osseo è stata osservata una reazione di tipo osteogenetico ed una di tipo vascolare; nei tessuti molli, invece, oltre ad una risposta vascolare si verifica anche un effetto antiinfiammatorio e antalgico. La risposta osteogenetica è stata osservata nelle aree di pseudoartrosi dove è possibile ottenere la rottura di cristalli di idrossiapatite e la liberazione di microcristalli che determina un espansione del numero di nuclei di aggregazione calcica e quindi una riattivazione ed un ampliamento della risposta osteogenetica. Infatti la pseudoartrosi riconosce tra l altro, come fattore eziopatogenetico, la formazione di cristalli di idrossiapatite lungo la rima di frattura che impedisce l avanzamento delle gemme vascolari provenienti dai capi di frattura provocando, di conseguenza, un ridotto apporto ematico che non permette al callo fibroso di trasformarsi in tessuto osseo. Le O.U. inducono, da una parte, la frammentazione dei cristalli di idrossiapatite che provoca una riattivazione e addirittura un ampliamento della risposta osteogenetica attraverso la liberazione di fattori di crescita attivi sull osteogenesi (BMP), e, dall altra, l innesco di un attività neoangiogenetica conseguente alla perforazione della membrana cellulare dell endotelio capillare e alla migrazione di cellule endoteliali nello spazio interstiziale con rilascio di ESAF (Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor). Studi successivi hanno dimostrato che l azione delle O.U., da un punto di vista istopatologico, si tradurrebbe nell induzione di fratture trabecolari a livello della lesione con conseguenti fenomeni microemorragici e formazione di trombi; ciò renderebbe la lesione più recettiva allo stimolo dei fattori piastrinici. Le piastrine, infatti, se attivate, rilasciano numerosi fattori di crescita capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali, esercitando, peraltro un azione chemiotattica per macrofagi, monociti e polimorfonucleati. Si è ipotizzato che nel sito della lesione ossea si verifichi per effetto della degranulazione delle piastrine presenti in loco un rilascio iniziale di PDGF (Platelet derived growth factor), TGF-b (Transforming growth factor-beta), EGF (Epidermal growth factor) e IGF I e II (Insulin-like growth factor I e II), cioè fattori di crescita osteoinduttivi di derivazione piastrinica. Il PDGF stimola la mitosi delle cellule staminali midollari presenti nell osso e, in virtù dell effetto angiogenetico, determina e potenzia la formazione di nuovi capillari già indotta dall onda d urto nelle sedi di lesione. Contemporaneamente si assiste ad una proliferazione di fibroblasti e pro- 13

14 osteoblasti per effetto del TGF-b, che successivamente induce la differenziazione dei proosteoblasti in osteoblasti, stimolandoli a produrre matrice ossea, mentre i fibroblasti depositano la matrice del collagene destinata a sostenere la crescita vasale. In una fase più avanzata del processo, il rilascio di IGF I e II agisce sugli osteoblasti dell endostio che iniziano così a riempire le trabecole dell osso spugnoso. Per quanto riguarda l effetto vascolare, sono stati documentati due tipi di risposta. Una, precoce e transitoria, è dovuta all effetto delle O.U. sulle terminazioni nervose simpatiche, una sorta di simpaticoplegia, che induce l apertura del letto capillare con un effetto wash-out. Ne consegue che la risposta antiinfiammatoria osservabile dopo il trattamento, è sostenuta dall intenso lavaggio circolatorio tissutale che si viene a determinare nell area bersaglio e che causa l allontanamento delle molecole ad attività chinino e istamino-simile e dalla cosiddetta sostanza P presenti nella regione di flogosi. A distanza di alcuni giorni segue una seconda risposta, legata all incremento del numero dei capillari nel distretto irradiato; secondo le teorie più recenti, tale formazione di vasi capillari si produrrebbe grazie ad un meccanismo simil-fisiologico delle O.U. che mimerebbero l azione dell ESAF, un peptide in grado di perforare la membrana basale delle strutture vascolari locoregionali con conseguente fuoriuscita di cellule endoteliali negli spazi interstiziali dove queste cominciano a proliferare formando nuovi capillari. Per quanto riguarda l effetto analgesico sono state avanzate diverse teorie: secondo alcuni le O.U. modificherebbero l eccitabilità della membrana cellulare, in modo tale da impedire ai nocicettori di generare alcun potenziale. Secondo altri, invece, le O.U. stimolerebbero i nocicettori a generare un alta quantità di impulsi nervosi che bloccano la trasmissione del segnale ai centri cerebrali, perciò la soglia del dolore si innalza (teoria del Gate Control). Infine è stato anche ipotizzato che le O.U. siano in grado di aumentare il livello di radicali liberi presenti nell ambiente cellulare e questi di generare sostanze inibitorie del dolore. Studi sperimentali condotti alla fine degli anni 90 hanno dimostrato una chiara relazione dose/effetto del micro danno cellulare, dove per dose si intende non solo la potenza delle onde d urto ma anche il numero totale di colpi applicati. Infatti la risposta cellulare dose-dipendente varia dal semplice incremento della permeabilità cellulare per le potenze più basse, alla lesione del reticolo endoplasmatico e della membrana nucleare e a quelle del citoscheletro, fino alla rottura cellulare completa per quelle più elevate (38). Gli effetti delle O.U. sui tessuti sono dunque strettamente correlate ai dosaggi utilizzati. Se intensità troppo basse sono insufficienti a determinare risposte biologiche significative, queste cominciano a manifestarsi con una precisa gradualità al crescere della potenza e/o del numero 14

15 di colpi. A seconda della risposta che si intende evocare, il rapporto dose/colpi va attentamente valutato e predefinito. Una semplice risposta antidolorifica e antiflogistica può richiedere potenze basse e medie (tra 0,1 e 0,3 mj/mm²) sufficienti a determinare un wash out della regione trattata e un incremento della vascolarizzazione tale da portare ad un più fisiologico metabolismo locale. Quando sono invece presenti calcificazioni o pseudoartrosi, le potenze richieste sono senz altro più elevate, ma la valutazione pre-trattamento deve tenere conto della sede oltre che delle dimensioni delle stesse (figura 3). Figura 3: Livelli di energia ed applicazioni Impieghi attuali L effetto destruente di onde d urto ad alta energia che era sfruttato inizialmente si discosta dal più recente utilizzo delle stesse a livelli di energia più bassi con finalità rigenerative (42,43). L immediato aumento del flusso sanguigno osservato nelle aree trattate, dovuto alla vasodilatazione locale e alla formazione di nuovi capillari (44), ha condotto all attuale sperimentale impiego delle O.U. anche in campo cardiovascolare come possibile terapia per pazienti con angina cronica refrattaria. Al giorno d oggi i principali campi di utilizzo della terapia con onde d urto comprendono: 15

16 Litotripsia Affezioni infiammatorie e generative dei tendini, a vari livelli Pseudoartrosi e ritardi di consolidamento (mancata guarigione di una frattura Necrosi ossee Ulcere croniche e ferite difficili L applicazione in campo cardiologico: la neoangiogenesi indotta dalle onde d urto Si sono tentate un gran numero di strategie terapeutiche per il trattamento dell angina cronica refrattaria, sfruttando diverse vie fisiopatologiche. Una di queste è la stimolazione della neoangiogenesi. Al contrario di quanto si pensava, il processo di neovascolarizzazione non è limitato al periodo prenatale, ma si può verificare anche nel cuore adulto allorchè ne insorga la necessità (45). Esistono tre diversi meccanismi di formazione di nuovi vasi sanguigni: vasculogenesi, angiogenesi e arteriogenesi (46). La Vasculogenesi consiste nella formazione di nuove strutture vascolari attraverso la differenziazione dei precursori delle cellule endoteliali, un processo che inizialmente era descritto verificarsi durante lo sviluppo embrionale, e più recentemente è stato dimostrato anche nella vita adulta. L Angiogenesi è lo sviluppo di nuovi capillari a partire da vasi pre-esistenti attraverso la migrazione e la proliferazione di cellule endoteliali, sia per un processo di intussuscezione,che divide un vaso in due, sia per sepimentazione di una vaso-madre, sia per gemmazione di nuovi vasi da uno pre-esistente. Arteriogenesi descrive il fenomeno di rimodellamento che si verifica durante la formazione di nuove arteriole e che consiste nella migrazione longitudinale di cellule muscolari lisce di supporto da un vaso pre-esistente lungo le pareti di un nuovo vaso in via di gemmazione dal vaso-madre. Con il termine collaterali si intende un particolare tipo di arteriogenesi, che consiste nella formazione di nuove arteriole mature da arteriole pre-esitenti che fa seguito all occlusione di un vaso coronarico (figura 4). 16

17 Figura 4: Meccanismi di formazione di nuovi vasi sanguigni La formazione di una vascolarizzazione funzionante richiede una precisa interazione di cellule endoteliali, matrice extracellulare e cellule di sostegno. I principali stimoli fisiologici per l angiogenesi sono rappresentati dall ischemia e l ipossia, l infiammazione e lo stress indotto da forze di taglio (shear stress). Oltre a ciò sono stati individuati vari fattori in grado di stimolare o inibire l angiogenesi, come fattori di crescita vascolare, citochine infiammatorie, fattori solubili, che possono agire sia in modalità paracrina sia autocrina, molecole di adesione e ossido nitrico. Le cellule endoteliali, in più, comunicano direttamente e indirettamente tra di loro e interagiscono con la matrice extracellulare per regolare la risposta a tali stimoli angiogenetici (figura 5). 17

18 Figura 5: Fattori locali e neoangiogenesi Una precisa regolazione dei rapporti spaziali e temporali tra tutti questi fattori è fondamentale per lo sviluppo di un efficiente vascolarizzazione, così come sono necessarie differenti attività biologiche nelle diverse fasi del processo di angiogenesi, dall iniziazione alla maturazione. Si è dimostrato in diversi studi che l applicazione di O.U. a bassa energia esercitare in quest ambito distinti effetti a livello vascolare. è in grado di Wang et al. furono tra i primi a documentare la neoangiogenesi indotta da onde d urto a livello delle giunzioni osteo-tendinee di un modello animale, associata alla presenza di markers angiogenetici come VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), NO-sintetasi endoteliale (e- NOS) e la proliferazione di cellule endoteliali (47). Tali dati furono confermati da Gutersohon et al, i quali dimostrarono che l applicazione di O.U. stimola la produzione e l espressione di mrna di VEGF e del suo recettore Flt-1 in colture di cellule endoteliali di vene ombelicali umane in vitro (HUVECs). Fu dimostrato inoltre che l espressione di VEGF in tali colture raggiunge un massimo in seguito alla stimolazione con O.U. ad una energia di 0,09 mj/mm², che corrisponde approssimativamente a circa il 10% dell energia usata per la litotripsia (48). In seguito Yip et al dimostrarono che O.U. a bassa energia applicate a cellule mononucleate di derivazione midollare (BMDMNCs) amplificano l espressione di m-rna di VEGF e la 18

19 produzione dello stesso VEGF, e favoriscono la differenziazione delle stesse BMDMNCs in cellule endoteliali CD31+ (49). Sempre nello stesso ambito hanno lavorato Aicher et al, dimostrando che il precondizionamento sia del tessuto non-ischemico sia di quello cronicamente ischemico con O.U. a bassa energia induce reclutamento di progenitori di cellule endoteliali circolanti (che esprimono sulla propria superficie recettori per VEGF e SDF-1) attraverso un aumentata espressione tissutale di fattori chemiotattici, come SDF-1 (stromal cell-derived factor-1) (50). Poco dopo, sulla scia di questi risultati, Nurzynska et al hanno esaminato in vitro gli effetti del trattamento con onde d urto a bassa energia su cellule cardiache adulte isolate da frammenti bioptici di cuori normali e di cuori affetti da cardiomiopatia post-ischemica. I risultati hanno documentato un effetto favorevole delle O.U. sulla differenziazione e proliferazione di cardiomiociti, cellule muscolari lisce e precursori di cellule endoteliali, effetto più evidente nelle colture di cellule di miocardio sano che in quelle di miocardio patologico (51). Il meccanismo esatto attraverso cui l applicazione di O.U. determina un aumentata produzione di VEGF non è ancora chiaro; uno dei meccanismi coinvolti potrebbe essere, come proposto da Wang et el, un alterazione della permeabilità di membrana a seguito dell interazione del jet stream con la parete cellulare, che induce iperpolarizzazione della cellula e attivazione di Ras, a cui segue una cascata di eventi intracellulari che esita nella trascrizione di determinati geni coinvolti appunto nel processo di neo-angiogenesi (52). Quello che si sa è che l applicazione di O.U. è seguita da aumentata espressione di fattori chemiotattici, e quindi reclutamento di progenitori di cellule endoteliali nel sito di ischemia, aumentata produzione di VEGF e attivazione del sistema VEGF-Flt, che è cruciale nell avvio dei processi di vasculogenesi e angiogenesi, e da una accelerata differenziazione di precursori midollari in cellule endoteliali. In aggiunta a ciò è stato ampiamente dimostrato che le onde d urto generano effetti biologici anche attraverso un interazione meccanica con le cellule e le strutture vicine al sito di attivazione tramite il già citato meccanismo della cavitazione, in grado di esercitare a livello delle membrane cellulari uno stress che mima lo shear stress fisiologico, esitante nell induzione dell espressione di determinati geni (53,54). La distruzione di microbolle nel sistema vascolare causata dall applicazione di O.U. determina anche la rottura di capillari, che a sua volta può dare avvio al processo di arteriogenesi e rimodellamento micro-vascolare in grado di ripristinare e potenziare il flusso sanguigno, come dimostrato in muscoli scheletrici di modelli murini affetti da ischemia (55,56). 19

20 SCOPO dello STUDIO Questo lavoro si propone di descrivere l esperienza iniziale del nostro centro nell applicazione della terapia cardiaca con onde d urto per il trattamento dell angina cronica refrattaria, dimostrando come tale terapia possa rappresentare una strategia innovativa, non invasiva, efficace e sicura nella terapia della cardiopatia ischemica cronica end-stage. In particolare, scopo dello studio è stato quello di valutare per i pazienti in esame il miglioramento clinico, inteso principalmente come miglioramento della qualità di vita, occorso in seguito ad un ciclo completo di terapia, tramite valutazione di SAQ (Seattle Angina Questionnaire) (57), CCS score (Canadian Cardiovascular Society score) (9), classe NYHA (New York Heart Association) (58), uso ISDN s.l. (Isosorbide-di-nitrato sub-linguale)/week e numero di episodi di angina/week. In secondo luogo abbiamo valutato la possibilità che tale miglioramento clinico sia associato ad un miglioramento di differenti parametri strumentali che esplorano la performance cardiaca (ecocardiografia e eco-stress), la tolleranza allo sforzo (test da sforzo), e il grado di perfusione miocardica (scintigrafia miocardica da sforzo). MATERIALI e METODI Selezione dei pazienti Tra Ottobre e Dicembre 2011, sono stati arruolati e quindi sottoposti al trattamento extracorporeo con onde d urto 5 pazienti consecutivi afferenti al nostro ambulatorio cardiologico con diagnosi di cardiopatia ischemica cronica post-infartuale. La terapia cardiaca con onde d urto è stata indicata a pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica in presenza di angina refrattaria, ossia angina cronica stabile in classe CCS III-IV, con evidenza di ischemia miocardica reversibile in almeno un segmento miocardico nonostante terapia medica ottimale (22) da almeno 6 settimane, senza indicazione a rivascolarizzazione miocardica né chirurgica né percutanea. La documentazione di ischemia miocardica reversibile è stata ottenuta mediante l esecuzione di test di imaging, quali scintigrafia miocardica da sforzo e/o ecocardiografia da sforzo o con stress farmacologico, e test da sforzo al cicloergometro. Sono stati ritenuti validi tali test anche se eseguiti entro i 6 mesi precedenti il momento della valutazione. 20

21 Sono stati considerati criteri di esclusione: un evento coronarico acuto entro i tre mesi precedenti, angina instabile, documentazione di trombosi intracavitarie, endocardite/miocardite/pericardite in atto, instabilità emodinamica e valvulopatie severe. Sono stati esclusi anche i pazienti cardiotrapiantati, le donne in gravidanza, i pazienti con aspettativa di vita inferiore ad un anno ed i pazienti arruolati in altri studi che prevedono l assunzione di farmaci sperimentali o l applicazione di procedure sperimentali. Protocollo di studio Tutti i pazienti arruolati sono stati sottoposti inizialmente a un attenta valutazione clinica, che comprende: anamnesi ed esame obiettivo con rilevazione dei principali parametri emodinamici, valutazione della classe funzionale mediante classificazione NYHA e CCS score, e determinazione per ciascuno dell uso di ISDN sl/week e del numero medio di episodi di angina/week facendo riferimento alle ultime 4 settimane. Ciascun paziente è stato inoltre sottoposto a esecuzione di ECG a 12 derivazioni e alla compilazione del questionario SAQ per la valutazione della qualità di vita. E stata eseguita poi per ciascun paziente un ecocardiografia completa con la valutazione sul ventricolo sinistro (Vsx) dei principali indici di funzione sistolica e diastolica (frazione di eiezione -FE-, frazione di accorciamento -FS-, pattern diastolico al doppler pulsato e al TDI), volumi, diametri e spessori, presenza di segmenti ipo/acinetici, % di area ischemica e wall motion score (WMS). Ognuno è stato quindi sottoposto al ciclo di terapia con O.U. mediante dispositivo Modulith SLC, Storz Medical, dotato di una sorgente di onde d urto posizionata su un braccio flessibile e di un trasduttore ad ultrasuoni montato in-line alla sorgente, in modo tale da permettere una visualizzazione in tempo reale della zona d interesse e la precisa focalizzazione delle onde d urto nel segmento miocardico bersaglio. Al contempo un elettrocardiografo ha permesso la rilevazione di tre derivazioni periferiche, una delle quali, a scelta, è visualizzata in diretta su un monitor. Le onde d urto vengono rilasciate entro 1-2 millisecondi dal complesso QRS, in modo tale da ricadere solo nel periodo refrattario assoluto del ciclo cardiaco. La regione d interesse viene individuata mediante l ecocardiografo e suddivisa idealmente in tre aree, ciascuna delle quali viene trattata in settimane diverse (figura 6). Per 3 sedute la stessa area in una settimana. 21

22 Figura 6: Individuazione e suddivisione della regione di interesse Il protocollo utilizzato prevede tre cicli di terapia ad intervalli di almeno tre settimane l uno dall altro. Ciascun ciclo ha durata di una settimana ed è composto da tre sedute a distanza di almeno 48 h l una dall altra, secondo lo schema seguente (figura 7). Figura 7: Protocollo di trattamento In ogni settimana di trattamento viene trattata per tre sedute consecutive un area ischemica diversa, partendo da quelle più periferiche e spostandosi nei cicli successivi verso la zona centrale della regione di interesse. 22

23 Ad ogni seduta sono stati trattati da 5 a 10 punti (spots) diversi all interno dell area bersaglio, a seconda dell estensione della regione di interesse, con l applicazione di 200 shocks/spot ad energia costante. Il livello di energia delle onde d urto (capacità di penetrazione fino a 150 mm) utilizzato per la terapia cardiaca è compreso tra 0,08 e 0,2 mj/mm² ed è stato impostato inizialmente a seconda delle caratteristiche anatomiche del paziente e poi gradualmente aumentato fino ad un massimo di 0,2 mj/mm² nei pazienti che ben tolleravano i livelli più alti di energia. Raggiunto il livello massimo tollerato, questo è stato mantenuto per tutta la durata della terapia. Durante la procedura il paziente è a riposo in posizione supina; vengono monitorati ECG, saturazione periferica di O₂, pressione arteriosa pre, durante e post seduta ed eventuali sintomi. Il follow up previsto ha durata complessiva di 6 mesi e prevede la valutazione del paziente a 30, 90 e 180 giorni dalla conclusione del ciclo di terapia. Durante il controllo a 30 giorni sono stati ripetuti per ciascun paziente il medesimo test di ischemia eseguito al momento dell arruolamento e la valutazione clinica con determinazione a seguito del ciclo completo di terapia di classe funzionale NYHA, CCS score, uso di ISDN sl/week, episodi di angina/week e la compilazione del questionario SAQ. E stato ripetuto inoltre l esame ecocardiografico completo con la valutazione degli stessi parametri rilevati all arruolamento. Nel corso delle visite a 90 e 180 giorni la valutazione prevista sarà eminentemente clinica e volta principalmente alla determinazione della qualità di vita. 23

24 Caratteristiche generali della popolazione Le caratteristiche generali della popolazione in esame sono riassunte nella tabella seguente (tabella I) Tabella I: Caratteristiche generali della popolazione PZ ETA SESSO DURATA MALATTIA (anni) PRECEDENTE TRATTAMENTO D M T H L H FU MO C KD TERAPIA in ATTO 1 58 M 11 CABG, PCI ASA, BB, ACE-i, DIUR, S, IVAB 2 70 M 19 PCI AP, BB, ARB, N, S ASA, BB, ARB, 3 77 M 31 CABG, PCI DIUR, S, ACO, ALD, RAN ASA, BB, ACE-i, 4 74 M 12 CABG DIUR, S, N, IVAB, VAST 5 73 M nd PCI ASA, BB, ACE-i, DIUR, N, ALD, S DM= Diabete mellito; HT= Ipertensione; HL= Dislipidemia; CKD= Insufficienza renale cronica; M= maschio; CABG= coronary artery by pass grafting; PCI= percutaneous coronary intervention; 0= no; 1= si; 2= pregresso; ASA= acido acetilsalicilico; ACE-i= ACE inibitore; ACO= Anticoagulante orale; ALD= Antialdosteronico; ARB= Sartano; BB= B-bloccante; DIUR= diuretico; IVAB= Ivabradina; N= Nitroderivato; RAN= Ranolazina; S= Statina; VAST= Vastarel I pazienti arruolati sono tutti di sesso maschile, con un età compresa tra 58 e 77 anni (media 70,4 anni) e sono tutti affetti da cardiopatia ischemica post-infartuale di lunga data (durata 24

25 media 18,25 anni), con documentazione di malattia coronarica critica coinvolgente 2 o più vasi coronarici Tre dei cinque pazienti sono stati sottoposti precedentemente ad intervento di rivascolarizzazione miocardica chirurgica con confezionamento di tre by pass aorto-coronarici (CABG) e due di questi pazienti sono andati incontro successivamente ad un secondo evento coronarico che ha li ha portati ad essere sottoposti ad intervento di angioplastica percutanea (PTCA) con posizionamento di stent su uno dei tre by pass. Due dei cinque pazienti sono stati sottoposti solo ad intervento di rivascolarizzazione percutanea con PTCA e posizionamento di stent su un vaso coronarico. I fattori di rischio riscontrati comprendono ipertensione arteriosa (n=5), dislipidemia (n=4), diabete mellito di tipo II (n=2), insufficienza renale cronica di grado lieve (n=2). Il 60% dei pazienti erano ex fumatori (n=3) mentre i restanti non riferivano storia di tabagismo. Esaminando la terapia in atto, tutti i pazienti assumono un antiaggregante piastrinico, rappresentato da Acido Acetilsalicilico (n=4) o da Ticlopidina (n=1). Tutti assumono un B bloccante, e più della metà anche un ACE-i (n=3); i pazienti che non assumono ACE-i, sono in terapia con un Sartano (n=2). Tre pazienti sono in terapia con Nitroderivato a lunga durata d azione in associazione a B- bloccante e ACE-i o Sartano; dei due intolleranti ai nitroderivati, uno è in terapia con Ivabradina e l altro con Ranolazina, entrambi al dosaggio massimo tollerato. Tutti i pazienti assumono un farmaco ipolipemizzante e un solo paziente assume Trimetazidina, in aggiunta a B-bloccante, ACE-i, Nitroderivato e Ivabradina. Altri farmaci in uso sono diuretico (n=4), antialdosteronico (n=2) e anticoagulante orale (n=1). Per quanto riguarda la valutazione clinica (vedi tabella III pag 35), al momento dell arruolamento due pazienti erano in classe funzionale NYHA II e tre in NYHA III; tre pazienti risultavano in classe 3 del CCS angina scale e gli altri due in classe CCS IV. Dalla valutazione dell utilizzo settimanale di ISDN sl è emerso che due pazienti non assumono mai nitroderivati in occasione degli episodi di angina, pur avvertendo angina rispettivamente 2 e 3 volte a settimana; un paziente assume nitroderivati in media meno di una volta a settimana, a fronte di 3 episodi di angor/week; i restanti due pazienti assumono nitroderivati almeno una volta al giorno in occasione di episodi di angina più frequenti di una volta al giorno (rispettivamente 1-3 episodi angor/die e 4 o più episodi angor/die). 25

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