Vittorio Sgarbi LEZIONI PRIVATE

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1 Vittorio Sgarbi LEZIONI PRIVATE

2 ISBN Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione novembre 1995 NOTE DI COPERTINA La copertina di questo libro riproduce un opera cara a Sgarbi: la Biblioteca musicale, conservata nel Museo Bibliografico Musicale di Bologna. Si tratta delle ante di uno scaffale che Giuseppe Maria Crespi ha decorato dipingendovi l architettura e i volumi di una libreria. E una metafora senza tempo del pensiero, un allusione al godimento spirituale della letteratura in una natura morta dentro la quale, come scrive Sgarbi, «ci sono oggetti silenti, inerti, fermi che servono a distrarre dalla vita quotidiana e a riportare nella dimensione più alta, che è quella del pensiero». Questa immagine che accanto a una libreria di volumi «veri» costituiva la scenografia del programma televisivo Lezioni private riassume perfettamente il contenuto del libro: il ritorno alla riflessione sul significato dell arte, alla «condivisione» dei valori e dei piaceri dell arte attraverso l analisi delle opere di alcuni grandi scrittori e poeti. È un ritorno atteso dal pubblico di Vittorio Sgarbi. In molti, infatti, gli hanno scritto chiedendo «perché non torna a parlare di quadri, a parlare di poesia, di cultura?». Un invito che Sgarbi ha accolto volentieri. Nelle Lezioni televisive «private» in quanto confidenziali, selettive, destinate a un pubblico che le sceglieva e le sapeva apprezzare e nel libro che ora le raccoglie, parla di arte, di poesia, di letteratura in modo tutt altro che accademico, mantenendo anzi intatta quell attenzione costante alle vicende della nostra quotidianità che contraddistingue il suo focoso impegno polemico e politico. E così troviamo in questo libro riflessioni sulla vicenda della Bosnia filtrate attraverso l analisi della figura di Adelchi, assieme a quelle sulla poesia notturna delle canzoni di Fred Buscaglione; l intrico più che mai attuale tra politico e giudiziario esemplificato nella vicenda di un poeta del Settecento, Tommaso Crudeli; l inquietudine del giovane Holden che, di fronte alla retorica pedagogia del suo professore, si chiede dove mai andranno a finire le anitre quando i laghi gelano. E tutto con la sua riconosciuta capacità di divulgazione, con la sua sensibilità per l arte e per la vita; perché, come Sgarbi stesso indica, «l arte coincide con la vita, la poesia è dentro di noi». Vittorio Sgarbi (Ferrara 1952), critico e storico dell arte, è autore di numerosi saggi e articoli, e di diversi volumi. Deputato del Parlamento italiano dall aprile 1992, attualmente è presidente della Commissione Cultura. Con Mondadori ha pubblicato Le mani nei capelli (1993), Onorevoli fantasmi (1994) e Poesie d amore (1995). Indice Premessa Lezione I Lezione II Lezione III

3 Lezione IV Lezione V Lezione VI Lezione VII Lezione VIII Lezione IX Lezione X Lezione XI Lezione XII Lezione XIII Lezione XIV Lezione XV Lezione XVI Lezione XVII Lezione XVIII Lezione XIX Lezione XX Lezione XXI Lezione XXII Lezione XXIII Lezioni private Premessa E durante l estate ci fu una pausa. Si tornò a leggere i poeti e a guardare i quadri, e non solo per privato diletto come avviene ancora, in qualche ora rubata, per intervalla insaniae, ma per tutti, in televisione. «Lezioni private» popolari, senza limiti di tempo, di spazio, di argomento. I miei poeti, i miei quadri. Anche a capriccio. Racconti, ricordi, storie. Libertà di divagare, licenza di sfuggire alla cronaca: insomma, niente «Sgarbi Quotidiani» ma consigli per l eternità. Non la nostra, s intende, l eternità loro, degli artisti e dei poeti, davanti ai quali noi siamo già morti. Così, d improvviso, avvenne il miracolo: tutti d accordo. Niente critiche, niente polemiche, niente querele. Sgarbi è tornato a fare il suo mestiere. E poi tante lettere, nessuna minaccia, qualche rimpianto per le eccitanti ire dell inverno, ma, per carità, con la più rispettosa ammirazione per tanta dottrina profusa, senza risparmio e senza riserve, alle famiglie italiane durante l ora di pranzo, nel tempo delle vacanze. Non propriamente un ritorno a scuola, ma appunto nell intimità domestica lezioni private rapsodiche: Manzoni, Whitman, Salinger,

4 Cosmè Tura, Guido Cagnacci, Giorgio Morandi, Francesco Petrarca, Giovanni Pascoli, Jackson Pollock Poi di colpo l estate finisce, riprende la battaglia, i libri sono chiusi, i quadri riparati in un deposito per difenderli dalla guerra. Ecco allora, da parte di molti, i rimpianti. Ma perché non torna a parlare di quadri? Ma perché non torna a parlare di libri? Non si potrebbe avere la cassetta di quella sua puntata così interessante? Così è nato questo libro, in piena contraddizione con la lezione quindicesima, dove si parla di libri-non libri stampati in virtù della popolarità dei loro autori. Perché, dunque, l abbiamo consentito? Per amore della contraddizione e perché ci sembrava che, nel tentativo di spiegare in modo semplice qualche poesia e qualche quadro amati, una parola e un pensiero utili, alcune idee, fossero usciti. E quando avremmo trovato il modo di ricomporre quelle parole, quei pensieri con ordine? Meglio rischiare la contraddizione anche con il conforto di osservatori e amici imprevisti. Da Turi Vasile a Gualtiero Jacopetti. Quest ultimo ha affidato le sue osservazioni a una lettera, così puntuale, lusinghiera e convincente che mi permetto di riprodurla qui a giustificazione di questo libro. E voi che, dopo avermi ascoltato, ora mi leggete, pensate a me, con indulgenza. V.S. Roma, 23 settembre 95 Caro Sgarbi, a metà giugno un brutto incidente mi ha fermato per tre mesi a Orbetello, tra l ospedale e la mia casa di campagna. Le scrivo appena rientrato a Roma. Non per informarla dei miei guai. Ma per ringraziarla. Perché senza le sue lezioni, private e a domicilio, di questa interminabile estate ricorderei soltanto le smanie, l insonnia, l afa, il gesso, il prurito. Al ginnasio e al liceo ho avuto anch io un insegnante di Storia dell Arte voluminosa e ortodossa come la Sua. Chi sbagliava un luogo di nascita oppure spostava un anagrafe di appena un quarto di secolo, era subito sbattuto a ottobre. Cinquant'anni dopo, Lei libera la mia memoria in declino dall obbligo di tutte quelle date; e in un lampo mi rivela qualcosa che sotto sotto avevo da sempre intuito: la con temporaneità dell Arte e degli Artisti. Che bello. Anni di nascita e di morte diventano optional di lusso, e io non andrò mai più a ottobre. Ero nel gesso, confinato in giardino, mentre gli amici andavano al mare. Ma poi arrivava Lei e mi parlava di Whitman; e della Dickinson, che «non voleva andare oltre il giardino, che non voleva andare da nessuna parte». Mi rassegnavo in buona compagnia. La televisione era sempre accesa. Subivo impotente le chiacchiere di chi faceva un mestiere e sproloquiava di un altro che non era il suo. Ma poi arrivava Lei in compagnia di Montaigne, ed era un po come quando arrivavano i nostri. Avevo tempo da vendere. Tornavo al passato, fra gioie, rimpianti e qualche rancore. Un paio di donne bellissime avevano fatto danni e poi se ne erano andate

5 spavalde, sicure di un eterna primavera. Non erano ancora sparite del tutto quando Lei mi diceva: «Non far niente, aspetta. A castigarle ci penserà il tempo». Il tempo ci ha pensato; e ora ho piena fiducia in esso per un altro paio di castighi in arrivo. Forse anche Lei conosce quel quadro tremendo che qualche anno fa vidi a Bari, al Castello Svevo. Si chiama Nudo dai capelli rossi davanti a un telo rosa ed è dell espressionista tedesco Otto Dix. Un opera impietosa, grondante perfidia, che avrebbe indifferentemente potuto chiamarsi «Il Marasma», «La Disfatta», «La Vendetta», «Il Giustiziere», «Il Tempo e il Castigo». Peccato non fosse alle Sue spalle, sullo schermo. Ora Lei è tornato ai Suoi «Sgarbi» con una lena e un coraggio che meriterebbero bersagli adeguati, e non faide provinciali e meschine. D altronde è questo il genere di nemico che Le passa il governo. Io sto invece tornando in Oriente, lontano dalle cattive notizie nostrane: da quando abbiamo perduto Maradona e Cicciolina, i giornali di lingua inglese hanno smesso di occuparsi di noi. Grazie ancora, caro Sgarbi. Ricordo con grande piacere la bella serata trascorsa con Lei poco prima del mio incidente, e Le auguro un gran bene. Suo Gualtiero Jacopetti Lezione I Dove si parla dell arte, e di come per comprendere l arte dobbiamo entrare in possesso dei fondamentali strumenti critici, e soprattutto di come non possa esistere arte senza libertà. «Alla domanda Che cosa è l arte? si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l arte è ciò che tutti sanno che cosa sia.» Benedetto Croce, Breviario di estetica. Per parlare di libertà artistica occorrerebbe che tutti voi aveste chiaramente puntualizzato il concetto di arte: cosa difficile da fare anche per chi da sempre si occupi d arte. Stabilire cosa sia l arte è un impresa ardua, perché l arte è mutevole al punto che non possiamo fissarla in un dogma estetico. Se esistesse un paradigma fisso dell arte, Picasso non potrebbe essere considerato un grande artista qualora lo si paragoni a Fidia: chi guarda Fidia e guarda Picasso vede due espressioni talmente lontane che, se vi fosse un unico modello fuori dalla storia, una delle due non sarebbe arte. Invece l arte esiste nella storia, ed esiste in quanto rappresenta il mutamento del tempo; e comunque, anche se astratta, è sempre realistica. L arte astratta di cui chiunque conosce qualche esempio è determinata in una certa epoca, e questo permette, vedendo un dipinto di Mondrian, di capire che non si è nel Rinascimento o nel Romanticismo, bensì tra il 1925 e il Anche un opera astratta è realistica e pertanto non è possibile stabilire un principio assoluto ponendo come condizione della bellezza la facoltà di comprensione, che invece è evidentemente un limite.

6 Ogni cosa che non capiamo è un nostro limite: quindi il primo passo da fare per comprendere un opera d arte è entrare in possesso degli strumenti per «vederla». Un opera astratta, non avendo referenti nella realtà, diventa incomprensibile, eppure spesso è più comprensibile di un opera figurativa, la quale presuppone una conoscenza storica specifica. Pertanto la comprensione di un ritratto, di un soggetto mitologico o religioso, impone anche una conoscenza letteraria. Di fronte a un dipinto di Michelangelo o di Raffaello occorre avere delle conoscenze più maturate di quanto occorra per capire i dipinti di Mondrian o di Pollock, nei quali vediamo un espressione quasi fisica, animale, bestiale, di sensibilità, di emotività che si scarica nel colore o nella rigorosa razionalità dell impaginazione, ma dove l equivalente psicologico è immediatamente riconoscibile. L arte moderna ha la grande forza di rappresentare emozioni, e cioè non quello che si vede bensì quello che si sente. L atto d inizio dell arte moderna è proprio in quegli artisti di cultura e di ambito simbolista che sostengono di dipingere quello che non si vede. Ciò che conta è che si percepisca il dramma, l emozione: come in Van Gogh, che dipinge con colori che sembrano passare direttamente dal tubetto alla tela, e quindi non ha una pittura compiuta, finita, maturata in un disegno che abbia una ragionevolezza, bensì una pittura molto spesso impulsiva, irrazionale. Quello che ci cattura, ci emoziona di Van Gogh è che egli rappresenta la propria emotività, il proprio malessere: quel malessere che è il fondamento dell arte contemporanea. Se invece consideriamo una scultura di Fidia o un capolavoro di Canova o, più in generale, un opera classica o neoclassica abbiamo la sensazione di un pulsare della carne che viene congelato nel marmo, sentiamo la passione della carne in composizioni così finite in cui emozione e ragione stanno insieme, e in cui la ragione finale del disegno riesce a stringere l emozione dell artista in una forma chiusa e compiuta, apparentemente realistica, ma anch essa astratta. Ogni forma è, dunque, forma astratta: forma del pensiero che si stampa sulla realtà e la informa di sé; che è poi il principio per cui ogni artista è diverso da un altro. La forma chiude e definisce anche l impulso più alto. Michelangelo, ad esempio, ha una passione prorompente, che si sente e si intuisce chiusa nel disegno; meno evidente è la passione in Raffaello, un artista solo apparentemente freddo, ma che in realtà riesce a stringere la propria emotività in una misura talmente razionale, quasi platonica, da farci pensare che in lui non pulsino emozioni o traumi emotivi come quelli che pulsano in Michelangelo e nei Manieristi: non c è pittore più romantico di Raffaello, ma è romanticismo che diventa classicismo. Se dovessimo accettare come punto di riferimento dell estetica l opera di Raffaello o quella di Fidia, di fronte a un dipinto di Van Gogh non potremmo che dire: «Non lo capisco, non è arte, non è ben disegnato», e quindi la sua arte dovremmo rigettarla. Invece non possiamo stabilire che l estetica abbia un parametro o un paradigma fisso, né che ci sia un valore che possa essere riprodotto anche se legato al tempo. E ciò vale anche per la poesia; pensate a Petrarca e al petrarchismo che si diffondono dal Trecento al Cinquecento, fino a Leopardi: un codice linguistico che attraversa la storia e la scavalca, la travolge. I codici della letteratura e dell arte figurativa talvolta riescono a prevalere sulla Storia, tanto che vediamo opere di autori neoclassici che

7 sembrano modellate sullo stesso spirito di Raffaello, pur essendo trascorsi due o tre secoli. Il tempo è fondamentale per capire questo ragionamento. Dobbiamo immaginare di avere un tempo lungo nel quale gli avvenimenti dell arte si dispongono, talvolta con un contrappunto immediato al fenomeno storico, e talaltra con un carattere evasivo o onirico: struttura e sovrastruttura. I più grandi studiosi di letteratura e di pittura, De Sanctis e Vasari, hanno quale punto in comune l idea che la poesia o la pittura procedano con uno sviluppo in un blocco storico complessivo, in cui c è un prima e un dopo. Questa tesi è contraddetta da Croce, per il quale ogni opera è un individuum, che non ha niente a che fare con il prima e il dopo, se non per gli agganci materiali che, però, vengono in qualche modo superati nella dimensione poetica. In questa identità superiore c è una Poesia che Croce ricerca, quasi slegandola dalla Storia, giacché la Storia nega la Letteratura. Croce ha fatto una Letteratura della nuova Italia e ha scritto profili di artisti che si contrappongono, costituendosi solo a posteriori come Storia, e non come percorso. Pertanto salta la cronologia e gli autori vengono accostati tra loro per identità e individualità poetica: non c è un prima e un dopo, non c è una maturazione e uno sviluppo, non c è una concatenazione, bensì un rapporto che è storico solo marginalmente. Perché se è vero che ogni autore insiste su un quadrante culturale storico e civile, è pur vero che l autore quello che scrive «dolce e chiara è la notte senza tempo» o «sempre caro mi fu quest ermo colle» non ha nessun obbligo di essere riferito a un momento preciso. La poesia, dunque, sta in un «senza tempo» pur avendo mille ragioni per essere ancorata al proprio tempo. Svincolando la poesia dalla storia, Croce stabilisce un principio fondamentale, e cioè che ogni valore estetico vale per se stesso senza riferimento al precedente, e senza un principio di riferimento che sia dogma estetico. Da Benedetto Croce sia pure con un processo evolutivo che si affida ad altre fonti, quale quella del filosofo Antonio Banfi dipende l ultima estetica contemporanea, quella di Luciano Anceschi, nella quale si sostituisce il principio dell individuum estetico, che vale tanto per la poesia quanto per la pittura e la scultura, con il principio delle poetiche. Ovvero ogni autore ha una propria poetica, compiuta in se stessa e che è la sua estetica e vive massimamente come individuum. Il pregiudizio di De Sanctis, invece, era che la letteratura italiana puntasse a una identità nazionale, per cui essa esisteva come Italia unita cioè come identità geografica e nazionale, civile, storica e culturale anche prima dell unità politica e mercé quell identità nazionale che è la lingua. Nel Quattrocento, Cinquecento, Seicento, l Italia è divisa, e viceversa la pittura italiana è singolarmente unita; è come se, per quanto in luoghi diversi, si usasse lo stesso linguaggio, lo stesso sistema di rappresentazione. Ogni artista ha la propria cultura locale, ma tutti insieme hanno quell idea dello spazio che è quanto connota l identità prima in un opera d arte, e che diviene lingua comune. Vi è quindi uno scarto tra un arte e un altra nel recepimento dei canoni sui quali sono state fondate, e vi è poi uno scarto tra la Storia e le proprie identità estetiche. Esiste quindi un unità

8 dell Italia prima che l Italia sia unita, ed è unità linguistica, letteraria e pittorica, già prima del Quattrocento. De Sanctis cerca di vedere in tutti i fenomeni della letteratura come Vasari aveva fatto per la pittura uno schema progressivo. Ogni autore serve per far capire lo spirito che poi sarà del Risorgimento, e quindi contribuisce al senso di una storia che procede fino alla compiuta unità civile e geografica d Italia. Per De Sanctis ognuno dei grandi poeti, da Dante a Machiavelli, è in qualche modo un segnale, un prototipo del Risorgimento. L unico autore in cui egli non ritrova questo impegno civile, e che invece fa l arte per l arte, è Ariosto, che perciò egli odia, non trovandovi ciò che cerca negli autori. Croce invece recupera Ariosto asserendo che, seppure egli non abbia senso civile, è autore di un capolavoro che non può non essere annoverato tra le grandi opere solo perché non vi si ritrova un forte impegno civile. Croce ha quindi immaginato una storia della letteratura italiana fuori dalla Storia, dal percorso cronologico, in cui gli autori sono inclusi al di là del fatto che siano concatenati sul piano della pura cronologia esterna. Il quadro estetico è molto complesso e non potremo mai fissarlo in un modello, perché verrebbe contraddetto. Il salto fra l estetica tradizionale e l estetica moderna è un salto dalla ragione all emozione, si passa da una costruzione con elementi che hanno ciascuno una propria funzione a una liberazione degli istinti. Se non si comprende questo passaggio fondamentale, cioè l irruzione dell irrazionale nell arte contemporanea, è inutile porsi davanti a un quadro di un autore contemporaneo. Molto spesso, infatti, non ci troviamo di fronte a qualcosa senza forma, o informale, bensì, come diceva Arcangeli, dinanzi a «una forma non premeditata». Nell arte antica l artista sa quello che sta per fare: infatti crea un bozzetto che trasporterà nell opera compiuta, un bozzetto che, benché «raffreddato» rispetto all opera finale, è l opera vera. Fondamentale per intendere i criteri di valutazione dell estetica fino al termine del Settecento è il progetto, la premeditazione, la forma predefinita che diventa il grande affresco, quel passaggio che rende difficile stabilire se in Michelangelo vi sia più tensione in un disegno o nell affresco finale della Cappella Sistina. L opera d arte informale non è un opera senza forma, poiché nasce da una forma che magari è la forma emotiva del profondo quindi psicanalitica -: una forma che corrisponde al calco del corpo ma anche a quello della mente. La componente istintiva prevale su quella razionale: non vi è progetto dell opera compiuta, bensì l opera nasce con il movimento della vita, l artista vive e l opera esce da lui: il suo impulso, il suo gesto è l opera. E il gesto è come quello del direttore d orchestra, non è confondibile, non è mutabile: ognuno ha il proprio stile, ognuno ha la propria vita e l opera nasce dalla vita dell autore: ecco l action painting, ecco l opera informale. Ecco quindi che, se non si hanno gli strumenti per capire queste opere, davanti a esse si rimane del tutto scettici. Ogni opera esiste in quanto ha un rapporto con il proprio tempo e con l uomo che l ha concepita con il proprio tempo; e, per capirne l importanza anche in un rapporto gerarchico, di graduazione dei valori, dobbiamo cercarne l identità nell armonia interna delle sue forme. Di un opera cubista dovremo intendere quanto sia compiuta, quanto abbia raggiunto la propria entelechia, la

9 propria armonia, con la quale va inteso il senso dell estetica: armonia di forme in riferimento al tempo. Abbiamo dunque un opera nuova quando avvertiamo in essa un diverso modo di percepire la realtà. Se siamo abituati a percepire la realtà seguendo determinati modelli, quando vediamo un artista nuovo sapremo che quell artista è tanto più grande quanto più riesce a farci percepire la realtà in modo diverso: in quella variante, pur piccola, c è la sua poetica. L estetica, quindi, i valori dell arte e della poesia, stanno in una diversa percezione della realtà. L estetica non è forma, e si muove come si muove il tempo: e noi quindi dobbiamo essere in grado di sentire il tempo, giacché l opera d arte vuol dire, appunto, sentire il tempo. Tornando all opera cubista, quando la osserviamo dobbiamo spogliarci dal pregiudizio o dall abitudine di qualcosa che ci piace, il cui modello è magari nella classicità, e vedere se all interno dell opera che stiamo guardando sussista un armonia delle forme che la rende classicamente degna di essere un riferimento. Questo ci permetterà di capire quelle opere in cui è contenuta l irruenza della vita contemporanea nell arte: vita contemporanea che ha un umiltà duplice, quella del soggetto «basso» che appare nei quadri oppure il realismo di oggetti semplici, modesti. C è un altra cosa che appare miracolosa a chi non si occupa di estetica o di arte moderna, ed è la capacità di datare le opere. Questa capacità è fornita da supporti scientifici e tecnici, grazie ai quali si riesce a immagazzinare una serie cospicua di dati che consente l analisi della qualità del risultato su un certo artista, e quindi di risalire all identità dell autore e al periodo di esecuzione dell opera. Ovviamente ciò non è sempre possibile: talvolta, per esempio, il Neoclassicismo riesce a riprodurre effetti che col tempo si stemperano nella materia al punto da impedire di capire se un opera sia stata realizzata cinquanta o seicento anni prima. Quindi capita che la scienza intuitiva si fermi di fronte alla materia; ma nella maggior parte dei casi i riferimenti stilistici sono tali che non si può sbagliare. Certamente non si può sbagliare da Giotto in avanti. Questo singolare principio di identificazione cronologica di un opera d arte è legato a una conoscenza esperita e a una frequenza del vedere che insieme fanno il mestiere del critico d arte. Non può stupire che un critico d arte riconosca un decennio in un pittore del Quattrocento, per esempio, quando chiunque nell arco della propria vita distingue perfettamente, grazie alla moda o al design delle automobili, gli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Quindi la cronologia si capisce dalla forma di un abito, dalla moda dell epoca. Moda a tal punto importante che, per capire alcuni problemi di cronologia trecentesca intorno alla peste del 1348, alcuni storici hanno guardato alla moda: ovvero, se un opera era stata dipinta prima della peste i personaggi indossavano la sottana, se dopo indossavano i pantaloni per «difendersi dal morbo». Quello che sembra miracolo, dunque, non è altro che esperienza. Si distinguono i decenni del quindicesimo o del sedicesimo secolo conoscendo i movimenti della storia e del gusto, esattamente come si distinguono i nostri anni Sessanta e Settanta attraverso l esperienza che ce li ha fatti vivere.

10 In tutto quanto detto sinora la libertà entra poiché l espressione artistica con tutto quello che la connota e l aggancia alla Storia, ma anche dalla Storia la libera non esisterebbe senza la libertà dell individuo. Non è concepibile esperienza artistica senza l individuo che la crea: le masse non creano niente, i gruppi non creano niente; gli individui, attraverso la propria libertà, stabiliscono una serie di svincoli dal tempo: esempi di una libertà che nasce sulla necessità storica. Quindi libertà e necessità che sono due poli nel modello filosofico di Spinoza servono anche a capire che c è una necessità storica, ovvero che non ci si può liberare del proprio tempo: su questa differenza l artista stabilisce la differenza di percezione attraverso la propria libertà; e noi intuiamo lo scarto tra il tempo esterno e quello dell artista grazie all intelligenza di artisti che sono i paradigmi assoluti della libertà. Non esiste espressione artistica senza libertà: Modigliani è libertà, Van Gogh è libertà. Gli impressionisti e gli espressionisti sono tante individualità che pure hanno come punto di riferimento un evasione dal dato reale, giacché rappresentano i sentimenti e le emozioni anziché le visioni: e questo elemento li accomuna. Ogni artista è una differenza in un sistema; ma ci sono anche personaggi che anche in questo secolo, che è il secolo degli «ismi», cioè dei raggruppamenti riescono a essere soltanto individui. Il caso emblematico è Modigliani, che è addirittura un classico moderno: è primitivo poiché guarda l arte negra, ma è primitivo anche perché guarda l arte toscana del Trecento; è inclassificabile, e in questo nostro secolo di movimenti e di tendenze gli inclassificabili creano emozioni straordinarie, poiché qualcuno riesce addirittura a essere oltre movimenti e tendenze. Alcune espressioni dell arte figurativa sono destinate a inaridirsi forse per sempre a causa delle nuove tecnologie: dipingere con i pennelli è un epifenomeno di un comportamento che la tecnologia ha superato attraverso la televisione e il computer. Per cui la difficoltà che noi abbiamo nel comprendere certe espressioni d arte contemporanea dipende dallo sfasamento tra tecnologia e creatività. Tecnologia e pittura, infatti, hanno strade separate che conducono in vicoli ciechi, e forse le espressioni più importanti e più belle di questo secolo sono quelle del design, cioè di un disegno che è a tal punto in rapporto con la tecnologia da diventare industriale, cioè da risultare in prodotti automobili, oggetti d arredamento realizzati in serie. Si tratta di forme d arte consustanziate nella tecnologia, per cui una Ferrari o una motocicletta disegnate nel nostro tempo provocano una serie di stimoli che le rendono opere d arte. La televisione, ad esempio, per me diventa il punto più avanzato dell arte contemporanea, e lo dimostrano capolavori come Blob, che nascono soltanto con e grazie alla tecnologia televisiva. Non esiste artista che sia capace quanto una puntata di Blob di rendere la tensione del nostro tempo. Del resto come forse può essere fatto per altre epoche non è nemmeno definibile il più grande artista contemporaneo, poiché non ce n è uno solo. Ma, soprattutto, poiché gli artisti non sono più essenziali.

11 Lezione II Dove si tratta di libri come oggetti e come soggetti, e di nature morte in realtà vivissime, per giungere al come l arte coincida con la vita. «Non sarebbe possibile immaginare nulla di così strano e poco credibile che non sia stato affermato da qualche filosofo.» Cartesio, Discorso sul metodo. Il dipinto che vedete sulla copertina di questo libro è un capolavoro del Settecento italiano, opera di un artista bolognese, Giuseppe Maria Crespi, che venne incaricato di decorare gli sportelli di una libreria. Sembra inutile immaginare un libro dipinto, quando già di per sé i libri, veri o finti, rappresentano una scenografia naturale, un ambiente accogliente: tanto che alcune teste vuote, per decorare il loro bar, mobilebar o per qualche altro orribile luogo della loro casa, prediligono la finzione di libri che non contengono niente, che sono soltanto dorso o costa. Il che se ha significato e ha senso per le scenografie, è assurdo per una casa. Che cos è la scenografia? È lo spazio che un regista, uno scenografo, chi inventa l ambiente del teatro o del cinema o della televisione, immagina per l azione; e quindi dev essere un ambiente che in qualche modo rimandi - per l opera lirica, per il teatro di prosa, per la televisione - a quello che la realtà non consente di vedere: quindi un aula di tribunale, una prigione, lo spazio di un palazzo ducale, un salotto, una camera da letto. Le mille possibilità della vita vengono rappresentate dallo scenografo, il quale lavora insieme a un pittore, insieme a un coreografo, insieme a quelli che si occupano dei costumi, e insieme a chi si occupa delle luci (perché un ambiente deve essere anche illuminato) in sostanza creando l ambiente. E in quell operazione lo scenografo ricorre a pittori, i quali a loro volta fingono gli spazi, fingono prospettive reali che invece sono soltanto dipinte; oppure ricorrono a oggetti finti, che sono la negazione della verità e della vita dell oggetto, che sono soltanto da vedere e non da usare. Una cosa analoga ha pensato evidentemente Giuseppe Maria Crespi, il quale è stato chiamato a eseguire una finzione di ciò che la realtà dava in abbondanza, cioè tanti libri, e in parte gli stessi di cui qui si leggono i titoli, che lui immagina abbandonati in uno scaffale, alcuni, come si può vedere nella parte superiore, schierati quasi secondo un principio architettonico. Infatti il libro al centro è più piccolo, come se il pittore avesse affidato ai libri la funzione che le colonne hanno in architettura; invece nello scaffale sottostante i libri sono messi in un certo disordine, come a significare una frequente consultazione. Più sotto ancora c è uno spartito musicale, riferimento al Conservatorio di Bologna, e altri libri messi in un certo disordine; nello scaffale più basso ecco il calamaio con la penna per scrivere. È un illusione perfetta dello spazio della biblioteca. Questo consente a Crespi prima di tutto di eliminare ogni riferimento alla vita, alla figura umana, alla storia, alla religione, a tutto quello che è il soggetto più frequente della pittura; e di applicarsi a quella che si chiama natura morta. Che cos è la natura morta? Cosa connota il termine «natura morta»? Connota un dipinto in cui non si veda l animazione della vita umana o animale, ma si vedano invece oggetti, oggetti silenti, oggetti inerti,

12 oggetti fermi che rimandano a qualcosa di lontano, anche a qualcosa di metafisico, a un pensiero oltre la vita. Vedere i libri, in questo caso, serve a far pensare, serve a distrarre dalla vita quotidiana e a riportare nella dimensione più alta, che è quella del pensiero. Altra sostanza vera di questo dipinto è la profonda umanità che nasce dall assenza dell uomo: pochi dipinti sono capaci di dare il senso della vita vera, della vita e della mobilità del pensiero, quanto questa natura morta, che è tutto meno che morta. Della natura morta si può dire che talvolta rischia di essere veramente sigillata, cristallizzata; nel caso di questo dipinto, invece, c è un umanità che è ancora un tratto comune del mondo bolognese, del mondo emiliano. Per esempio, nella trovata di mettere, in questa perfetta architettura di libri, un foglio singolo che richiama il passaggio di qualcuno che ha lasciato temporaneamente qualcosa in disordine, qualcosa che potrà essere ripreso: è il segnale di un allentamento del rigore, l allentamento di una misura necessaria che può verificarsi in una biblioteca perfettamente ordinata. Questo disordine è un principio di vita. A questo proposito è interessante ricordare un altro grande bolognese, autore quasi unicamente di nature morte: Giorgio Morandi. Morandi è forse il più grande pittore di questo secolo. Per protesta contro il fascismo, per insufficienza della forza dell uomo, per consapevolezza che non ci sono più gli eroi o che non ce ne sono stati più in questo secolo, per mille ragioni egli decise di non rappresentare più la figura umana. È singolare che duecento anni prima di lui, come un segnale, un anticipazione della sua stessa scelta straordinaria fosse stata fatta da un altro bolognese come Crespi. Questi paralleli, queste teorie si possono trovare in alcuni libri di Francesco Arcangeli, che studiava la storia dell arte come «tramando», identificando in alcuni autori l annuncio di qualcosa che sarebbe poi stato costante di una certa civiltà o anche costante di una forma mentale. Arcangeli parte da un grande scultore romanico che si chiama Wiligelmo, artista con cui si aprono i libri di storia dell arte moderna (moderna nel senso del Medioevo, che è il momento in cui l arte italiana si configura in una sua precisa distinzione), e va avanti fino a collegarlo a Jackson Pollock. Pollock è un artista americano contemporaneo, quindi lontanissimo da Wiligelmo nel tempo e nello spazio, ma non nel pensiero, unico legame autentico e possibile tra artisti: e Arcangeli svela il collegamento tra Wiligelmo, straordinario scultore dell umanità e della natura, e Pollock, che rappresenta una condizione in cui la natura prevale sull uomo. Altri arditi collegamenti faceva Arcangeli, per esempio fra Piero della Francesca e Mondrian, famoso pittore astratto. Arcangeli immaginava i «tramandi», e cioè che da un epoca all altra la stessa sensibilità, la sensibilità bolognese, emiliana, calda, appassionata in cui il corpo è tanto importante, legasse artisti che sembrerebbero non avere niente in comune. Nel caso di Crespi e di Morandi, collegati nel soggetto ma anche in questa potenza, in questa forza, in questa umanità che trabocca, che tracima, esce dalla natura morta. In Morandi la natura morta non è un oggetto inerte, è un oggetto che vive, che respira, che palpita, che ha una sua umanità. Una bottiglia, una scatola di Morandi hanno più umanità di tanti dipinti fatti durante il fascismo per celebrare le imprese di Mussolini. Nei quadri di Morandi si sente che la materia

13 stessa vive, che la pittura è come avesse l anima, palpita, è materia che pensa. Ecco, chi vede un dipinto di Morandi sentirà questa vita anche in oggetti apparentemente inanimati, che invece incredibilmente si muovono, respirano. La stessa cosa vedete nel dipinto di Giuseppe Maria Crespi: sono libri, ma dentro quei libri non c è soltanto la verità del pensiero di chi li ha scritti, né solo la polvere depositata dal tempo; si sente che c è una mano che li ha mossi, che ha dato loro il soffio della vita. Indipendentemente da come io cerco di spiegarla, chiunque può sentire la suggestione di quest'opera d arte. Guardate con attenzione la riproduzione, sufficientemente fedele da farci ricordare il dipinto conservato a Bologna, e sentite che nell intuizione della forma, ovvero nella pittura, nel modo in cui il pittore ha dipinto, sta la verità di quell opera. Perché l arte è nella forma, l arte è nella capacità che il colore, il pennello dell artista ha di rendere viva l immagine. Questo è lo stile, questa è l arte: la capacità di trasmettere la vita attraverso un immagine, che non è un immagine morta, che non è un immagine finta, che non è scenografia. È esistenza. L arte coincide con la vita. Lezione III Dove attraverso le vicende editoriali e cinematografiche del capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa si perviene a una definizione della sceneggiatura, e si perora la conservazione non solo dei monumenti ma anche degli odori del nostro passato. «La filosofia va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa pone, perché nessuna risposta precisa si può, di regola, conoscere, ma piuttosto per amore delle domande stesse.» Bertrand Russell, I problemi della filosofia. Che cosa è la sceneggiatura? Anzitutto non va confusa, come molti fanno, con la scenografia: è mettere in scena non lo spazio ma un testo, perché senza una storia non può esistere un film, un opera di teatro, un opera lirica, un racconto televisivo, qualunque cosa voi vediate. Spesso la storia sarà stata scritta da uno scrittore, sarà un racconto, un romanzo. È, per esempio, il caso del Gattopardo, un libro che racconta la fine di una società e l inizio di un altra, descrive l aristocrazia superata dalla borghesia, la nostalgia e la memoria di tempi bellissimi per pochi eletti che vengono pressoché soppiantati da una nuova classe politica e dirigente fatta di persone rozze, che però portano nuova linfa e ricchezza. Da questo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è stato tratto un film bellissimo, il principe di Salina, il protagonista, è interpretato da Burt Lancaster; Angelica, la bellissima Angelica, da Claudia Cardinale; Tancredi, il nipote del principe, da Alain Delon. Molti ricorderanno il film, molti ricorderanno anche il fortunato romanzo che vinse un premio Strega, e vendette più di un milione di copie; tutto questo però senza che se ne potesse accorgere il povero principe di Lampedusa, morto prima del successo del suo libro. Cosa aveva cercato di fare Tomasi di Lampedusa? Aveva cercato in tarda età di raccontare una situazione che lo riguardava personalmente, che si è protratta fino ai tempi nostri, nel mondo democristiano contemporaneo: quella di

14 un aristocrazia che deve fare i conti non soltanto con la mafia, ma anche con il potere politico. Così Tomasi di Lampedusa se ne sta nel suo palazzo a scrivere, come chiuso in un altro mondo, e ne difende le memorie, le tradizioni, il prestigio e il potere; ma il suo mondo è attraversato esattamente come accadde a un suo avo dopo l impresa garibaldina - dalle contraddizioni introdotte, fin dentro il chiuso cerimoniale della sua selezionata mondanità, dalla nuova borghesia militare e politica, con i suoi diversi «valori» e interessi. E cerca di imbrigliarne l irruenza, di assorbirne lo slancio dentro il codice antico di un aristocrazia culturalmente, socialmente ed economicamente dominante. È famosa la frase pronunciata nel Gattopardo da Tancredi, e fatta propria dal principe di Salina: «Bisogna cambiare tutto perché nulla cambi». È quel fenomeno di trasformismo per cui comunque chi comandava prima continuerà a comandare, e tutto resta immutato. Quasi tutto: purtroppo di quel palazzo, di quei saloni in cui si aggirava il principe si sono perse le atmosfere, i costumi, gli umori, gli odori. Talvolta, quando mi capita di visitare un luogo antico, penso che si dovrebbe trovare un modo per conservare gli odori. Ci vorrebbe una sovrintendenza che tutelasse anche le tracce odorose rimaste nei secoli, vietando di usare nei restauri sostanze che le cancellino del tutto. Di trasformare, per esempio, ripulendo tutto, l odore di un luogo dove ha abitato un santo, una sagrestia o una chiesa. Perché un epoca ha anche i suoi odori. Credo che potremmo ancora trovare in alcuni ambienti odori della seconda metà dell Ottocento, mentre gli odori del Seicento purtroppo si sono persi per sempre, nessuno ha pensato di conservarli. Si conservano i muri ma non gli odori. Lo stesso vale per i suoni. Il celebre violinista Uto Ughi mi ha raccontato la disperazione di teatri restaurati dove si è persa completamente la giusta sonorità. Viceversa, alcuni teatri non restaurati, magari con qualche palchetto cadente, hanno un suono perfetto. Chi restaura non presta attenzione alla funzione del suono, si preoccupa solo di rimettere in piedi i muri e di preparare gli spazi per le scene: si dimentica che chi suona ha bisogno che, in quegli spazi, il suono viva. Ecco allora, si perdono i suoni, si perdono gli odori, si perdono le usanze. Tutto si perde, si perde la memoria di momenti straordinari: questo ha descritto Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo, raccontando il passaggio da un epoca a un altra attraverso la crisi del principe di Salina. Le vicende editoriali del libro non sono state meno contraddittorie e travagliate di quelle del suo autore: Il Gattopardo, infatti, è stato pubblicato con molte difficoltà perché a quell epoca (1958) più ancora di oggi c era una cultura di sinistra che trovava intollerabile un libro di memorie, considerato come un libro non impegnato. Un grande scrittore, Elio Vittorini, non volle che il romanzo fosse pubblicato da Einaudi. Il libro allora finì nelle mani di uno scrittore di Ferrara, Giorgio Bassani, il quale ne avvertì l importanza e lo fece pubblicare da Feltrinelli, con enorme e immediato successo. La bellezza del libro richiamò l attenzione di un grande regista, Luchino Visconti, uomo di sinistra ma tanto sensibile da capire gli umori, gli odori, le atmosfere del mondo decadente o che perlomeno era ritenuto decadente - nell opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Visconti decise di trarne un film.

15 Il regista andò a Palermo, e a Palazzo Ganci, un palazzo di una bellezza meravigliosa, un luogo sublime, girò la scena cruciale del film: il ballo durante il quale, nel raffinato ambiente del palazzo del principe, si incontrano e si scontrano le due culture, quella aristocratica e quella borghese, in reciproci tentativi di seduzione e di affermazione di prestigio e di potere, come nel caso, appunto, del principe e del padre di Angelica, neo-proprietario terriero. Un film tratto da un libro è l incontro di due sensibilità, quella del regista e quella dello scrittore; e di due linguaggi, quello del film e quello del libro. La «traduzione» del libro in film è affidata appunto alla sceneggiatura, alla sua funzione di adattare i dialoghi, di risolvere la storia in immagini. Il linguaggio delle immagini ha infatti uno stile profondamente diverso da quello della parola scritta: nel film l immagine è centrale, è fondamentale. Su questo ho polemizzato con Gore Vidal, il quale sostiene che in un film la sceneggiatura è tutto, mentre io sono convinto che la sceneggiatura sia sì una parte essenziale, portante, un po come lo scheletro di un corpo, ma che l immagine lo sia anche di più, poiché è ciò che arriva più direttamente allo spettatore, è la qualità stilistica primaria del film, un po come i tessuti e la carne di un corpo. La sceneggiatura non è tutto, è lo scheletro del film che per stare in piedi ha bisogno di una trama, di un racconto, di una traccia molto articolata. Partendo dal testo iniziale, da un riassunto che dà il senso di ciò che si intende trattare, pian piano si costruiscono i dialoghi, gli ambienti, tutto quello che è la carne del film; ciò che rappresenta il senso e la vita del regista che prima di tutto vede, perché un film è un opera visiva. Ecco allora che cos è la sceneggiatura: è il testo su cui si costruisce l immagine che voi vedrete. Lezione IV In cui si mostra come i poeti, attraverso il loro individualissimo stile, riescano a darci una nuova visione del mondo. E dove ci si pongono domande sul significato e sulla reale utilità della poesia. «L uomo è nato libero e ovunque è in catene.» Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale. Che cos è lo stile? Ogni autore ha uno stile: è la forma che egli dà, la forma che la sua mente imprime all opera che sta intraprendendo. È chiaro che per un romanziere lo stile coinciderà in parte con la qualità della storia prescelta. E la storia stessa in qualche modo può coincidere con le esperienze di vita dell autore. Lo stile sarà anche nella sensibilità trasmessa attraverso i personaggi del suo romanzo. È il caso, ad esempio, del Manzoni, che in Don Abbondio, Lucia, Renzo, trasferisce aspetti diversi della propria psicologia. Potrà però anche avvenire che l autore, come prevalentemente accade nella poesia lirica italiana, esprima sentimenti assolutamente comuni, come l amore; il che può farci legittimamente ritenere che non ci sia niente di più comune che essere unici. Quando si dice di qualcuno «più unico che raro», perché si pensa all unicità? Perché molti fanno le stesse cose, sono senza stile, e solo

16 qualcuno si distingue. Spesso ho incontrato ragazze di buona volontà che hanno fatto affermazioni un po ardite: «Tu un giorno capirai che cosa vuol dire amare». Io forse un giorno l ho anche provato, non è da escludere che lo sappia come loro e che lo abbia sperimentato, come accade un po a tutti, in età giovanile. Perché da giovani si ha molto tempo e il tempo si volge nella direzione delle passioni, delle emozioni, dei sentimenti, per cui si occupa la vita con l amore. Per i giovani non c è niente di più comune che amare, provare quel sentimento che sembra rarissimo ma che è assolutamente comune: il mondo infatti è pieno di canzoni d amore, di poesie d amore, di lettere d amore. Ci vorrebbe una legge che proibisse prevedendo pene pesanti per i trasgressori di scrivere poesie d amore, o di scrivere poesie in generale. E questo non perché uno non possa scrivere, ma perché rischia di scrivere cose già scritte all infinito e di farlo anche in modo banale; rischia di dire scemenze in versi, sia per i contenuti sia per la forma. Allora coltiveremmo un popolo meraviglioso di poeti clandestini che saprebbero quanto sia pericoloso e difficile scrivere. Con la pena di morte per i trasgressori, scriverebbero soltanto i poeti veri, quelli che hanno vere motivazioni per sfidare eroicamente Polizia, Carabinieri, Magistrati: e sarebbero clandestini della poesia, gli unici, veri poeti. Quelli editi generalmente sono orribili, e fanno orrore soprattutto poiché non si capisce quello che scrivono. La nostra letteratura è infatti una letteratura colta che si esprime in una lingua per pochi; per questo motivo negli ultimi trent anni gran parte dell emotività è stata espressa nelle canzoni. Nelle canzoni di Battisti, di Mina, nei testi di Mogol, Nannini, Conte, Fred Buscaglione, Ornella Vanoni c è più poesia che in tutta la letteratura italiana di sei secoli: non perché non ci siano belle poesie, ma perché sono state fatte per la letteratura, non sono filtrate nella vita delle persone, nella vita quotidiana. Non si recita il Tasso, o l Ariosto o il Parini, mentre molti hanno nella memoria arie di Puccini, Verdi, Rossini giacché almeno attraverso la musica c è stato quell aggancio con la sensibilità popolare che la poesia non ha mai raggiunto. Questa situazione non si è verificata in Francia o in Spagna, dove autori come Prévert o Lorca sono popolarissimi perché si esprimono nella lingua di tutti, con una sensibilità che è esattamente la stessa delle canzoni. È un paradosso questo, ma Prévert è stato messo in musica; provate invece a mettere in musica Parini o Alfieri o Montale: «Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d orto». Sono bellissime parole, ma per pochi. Difficile mettere in musica Saba, Cardarelli: forse è più facile con Penna, ma certo è un operazione sempre per pochi, per diecimila lettori, per poche anime elette, sensibili e nobilissime. Musicare Carducci è impossibile, e solo il depresso Metastasio è riuscito a entrare in musica con alcune sue arie che sono diventate marginalmente popolari. Invece Neruda, Lorca, Prévert sono poeti di tutti, talvolta anche considerati con una certa sufficienza dai poeti colti, perché ritenuti troppo facili. E in effetti lo sono, proprio perché dotati della semplicità di chi ha voluto parlare a tutti e non ha quindi usato una lingua colta e astrusa. Oggi bisognerebbe vietare di scrivere: quelli che scrivono non prendono a modello Fred Buscaglione, o Ornella Vanoni, o Gino Paoli, o Bruno Lauzi, ma Arturo Onofri, Dino Campana, Giuseppe Ungaretti. E purtroppo scrivono cose incredibili, vere

17 schifezze che poi mandano a me chiedendomi di leggerle. E che cosa dovrei fare? Un sacco di gente viene arrestata per molto meno e invece questi «poeti» sono a piede libero. Nessuno li leggerà, ma a loro non interessa: non scrivono per essere letti. La cosa singolare è infatti che essi scrivono per essere pubblicati ma non leggono le poesie degli altri. Stampano mille copie dei loro «capolavori» nella speranza che ci sia qualche fesso che li legga, ma sono loro i primi a non leggere le opere degli altri infelici e infestanti colleghi. Molti, invece, entrano in circuiti aberranti in cui c è un furbissimo editore che fa pagare le spese di stampa; sborsano il denaro per pubblicare i libri che nessuno leggerà mai, solamente per vedere il proprio nome stampato. Per quelli che hanno ritenuto di mandare a editori o a me i loro testi è facile che la valutazione o il giudizio non siano positivi. Non perché non abbiano buone intenzioni, ma perché le buone intenzioni non bastano. La poesia infatti non è fatta di buone intenzioni, e neanche di buoni sentimenti: lo stile non nasce dalla spontaneità e dalla creatività pura. Ci possono essere persone cattivissime, crudeli, insopportabili, ciniche e orribili, che risultano poeti meravigliosi, e invece persone delicatissime, buone, dolci, gentili che si rivelano perfetti incapaci. Da questa situazione nasce la categoria, molto diffusa, dell «incompreso». L incompreso non è tale perché è cretino chi non lo comprende, ma in realtà lo è perché spesso non c è nulla da comprendere. L incomprensione, quasi sempre, deriva dal fatto che non c è niente da comprendere: ciò che ci viene mostrato, ciò che vediamo non esiste. C è, infatti, un livello di «non esistenza» che impedisce anche il giudizio critico. Quando qualcuno mi chiede cosa penso dei suoi quadri, rispondo: «Niente». Nessuno però se ne fa una ragione: «Come non pensa niente, non è possibile un uomo come lei non può non avere un opinione, mi dica il suo giudizio anche negativo». Di fronte all insistenza, ci sono due possibilità: o mi incazzo, oppure divento didattico, spiegandogli che non penso niente non perché cerco una scappatoia, ma perché si può parlare di un opera d arte solo quando esiste; così come si può amare «fisicamente» una persona solo quando è viva. Allo stesso modo, gran parte della produzione poetica e pittorica oggi è morta, sta sotto il livello di vita, per cui non è possibile pensare di avere con essa un rapporto attivo, si può solo dire che non c è, che è al di là della soglia del giudizio, ossia di quella linea al di sotto della quale dico di non poter esprimere un giudizio. Sopra la linea testimoniata dallo stile comincio a pensare, e lì nasce la valutazione. Ecco perché è essenziale lo stile. Che cos è lo stile? Lo stile è il pensiero di un artista sul mondo. Pensiero che non può essere uguale a quello di un altro perché altrimenti sarebbe già preceduto e contenuto in un opera d arte, non ci sarebbe motivo di esprimerlo. L opera d arte, la poesia, l «invenzione» ci offrono una nuova visione del mondo. Attraverso un quadro, attraverso una poesia noi vediamo il mondo come prima non l avevamo mai visto. Per questo motivo un poeta è diverso da ogni altro, perché connota il suo stile in maniera unica, anche di fronte a una stessa porzione di mondo che un altro con il proprio stile ha già espresso. Ecco perché la sceneggiatura è ininfluente, perché ci possono essere dieci pittori che dipingono la fuga in Egitto con gli stessi elementi realizzando dieci opere diverse

18 e ugualmente originali: ogni opera d arte è unica per l unicità del suo stile. Ogni artista dipinge in modo diverso, e la forma che esprime è una sua deformazione della realtà, perché vi immette la propria vita, la propria visione del mondo. Per questo motivo le madonne con il bambino di Raffaello, Bellini, Tiziano, Michelangelo sono tutte diverse l una dall altra. Potremmo giudicarle soltanto per il contenuto? Per l immagine che vediamo? No, ciò che le fa vivere è lo stile. L amore è il sentimento più diffuso e provato, qualcosa che tutti hanno conosciuto. E qual è la linea prevalente della poesia italiana? È la poesia lirica, la poesia d amore, attraverso la quale un poeta descrive le proprie emozioni, sempre le stesse, in nome e per amore di Laura, di Beatrice, di Francesca, di Silvia. Ma perché Leopardi è diverso da Petrarca o perché Tasso è diverso da Manzoni? Perché ognuno racconta l esperienza amorosa in modo diverso, e questa diversità è il suo stile. Rappresentare l emozione in una condizione assolutamente personale è lo stile dell artista. Ecco: lo stile è l arte. Lezione V Dove si analizza la forza di rappresentazione della poesia «notturna» di Fred Buscaglione, artista capace di raccontare la straordinarietà della vita, nonché di vivere egli stesso una vita straordinaria. «Ci sono solo due tipi di uomini: i giusti che si credono peccatori e i peccatori che si credono giusti.» Pascal, Pensieri. Tra i più grandi poeti di questo secolo non ci sono soltanto quelli che scrivono poesie che a scuola o non si capiscono o appaiono estremamente noiose, e che magari per trovare una giustificazione alla loro noiosa astruseria si autodefiniscono ermetiche, e cioè: meno si capisce e meglio è. Ci sono, invece, autori che si capiscono, chiari, che non vogliono essere ermetici e che, anzi, hanno quella grande forza che la poesia italiana, nella sua lunga tradizione, raramente dimostra: quella di inventare un immagine. La poesia tende a rappresentare malinconie, sofferenze, languori, amori lontani; si leggono interi canzonieri in cui si parla della bella mano, degli occhi, della sofferenza che dà una donna: secoli e secoli di languori e lamentele. Raramente accade che un poeta in questo sono grandi i poeti cavallereschi rappresenti immagini, descriva episodi, racconti storie e avventure. Rare eccezioni. Tasso che, sia pure anche lui con estenuante languore, descrive vicende, intreccia storie; e soprattutto Ariosto: questi due sono cantastorie, è addirittura possibile che le loro opere vengano musicate, come è avvenuto. Arrivati al nostro secolo, la canzone italiana, prendendo il posto della poesia lirica, si indirizza verso i temi amorosi, ma in alcuni casi miracolosamente riesce a descrivere fatti, cose, a fare nascere una lambretta, una bicicletta, un quartiere di una città, un uomo che fuma: si vedono, sono davanti a noi, e questa è la forza più straordinaria che può avere la parola, quella di evocare immagini, di far nascere corpi.

19 È assai raro che i nostri più illustri poeti raggiungano questa forza espressiva, mentre è più facile che la raggiungano appunto gli autori di «canzonette», in particolare uno di questi, che ormai ha raggiunto la statura di mito: Fred Buscaglione. Anche la sua vita è quasi mitica, la vita di un uomo che amava le donne, fumava, beveva, stava in giro tutta la notte. A tal punto era entrato dentro la vita segreta della città, con i suoi eroi popolari, i gangster da strapazzo, le debordanti prostitute, i giocatori d azzardo da poche lire, quelli che, come il personaggio di una delle sue canzoni più famose, facevano «il grano col tressette», e a tal punto la gergalità sotterranea della città notturna era entrata nelle sue canzoni che non si capiva dove finisse il personaggio e dove cominciasse la persona, l uomo vero. Anche per questo motivo è diventato un mito. Qualcuno avrà potuto farsene un idea vedendo la sua immagine riproposta nel musical interpretato da Umberto Smaila; ma è un immagine sbiadita, perché già in vita Buscaglione era il mito di se stesso. Io l ho visto nel 1960 in televisione e ricordo che mi attrasse la sua faccia vera da simpatico delinquente, da burlone ironico; esprimeva in immagini dense e corpose tutte le caratteristiche che possono eccitare la fantasia dei ragazzi. Anche la sua morte è stata una morte eroica: una notte, con la sua Cadillac decappottabile, macchina bellissima e inconsueta a quei tempi in Italia, si è scontrato contro un altra macchina, ed è morto così, giovanissimo. Ma dopo una vita compiutamente vissuta. Ha però lasciato un patrimonio straordinario di canzoni, una più bella dell altra. Belle perché riescono a ricostruirci l umore, la vita, i piaceri, il mondo notturno degli anni tra i Cinquanta e i Sessanta. Se l avete nella vostra discoteca, ascoltatevi una canzone di Buscaglione, una delle più belle, Che notte. Il testo è di Leo Chiosso lui è ancora vivo una persona di grande sensibilità e talento; Buscaglione poi li metteva in scena, i testi, li recitava con la sensibilità di un grande attore della commedia dell arte, con la sua capacità di tradurre le parole in immagini, di far vedere con la voce. «Che notte, che notte quella notte! Se ci penso mi sento le ossa rotte: m aspettava quella bionda che fa il pieno al Roxy Bar, l amichetta tutta curve del capoccia Billy Karr. Che nebbia, che nebbia quella notte. Mi cercavano tre auto poliziotte. Ma per un appuntamento, se c è zucchero da far, quando esiste l argomento lo sapete: so rischiar. Ci vado, la vedo, è lei, ma dalla nebbia ne spuntano altri sei: Buck la Peste, Jack Bidone coi fratelli Bolivar, mentre sotto ad un lampione, se la spassa Billy Karr. Che botte, che botte quella notte. Mi ricordo di sei mascelle rotte: ho un sinistro da un quintale, e il destro, vi dirò, solo un altro ce l ha eguale, ma l ho messo k.o. Li stendo, li conto, son sei, poi li riconto perché non si sa mai; ed intanto quella matta s avvicina e sai che fa? Mi sistema la cravatta mormorandomi: si va? Che baci, che baci quella notte! Sono un duro, ma facile alle cotte. Mi son preso un imbarcata per la bionda platinée, pensa un po che in un annata m ha ridotto sul pavée. Che nebbia, che botte, che baci, che cotte, ragazzi che notte quella notte». Ritmo, sintesi, ironia. E se ne frega della voce Fred Buscaglione, voce rauca, caricata dal fumo, e poi anche il raffreddore in questa e altre canzoni: mi sono accorto che ha registrato senza preoccuparsi che la voce fosse nasale per il raffreddore, quindi niente bella la voce,

20 niente cura dell esibizione, soltanto la capacità di rappresentare drammaticamente, vivacemente. Ecco, se analizziamo questo testo, oltre ad avere immediatamente percepito la situazione, sentiamo l azione, la sirena, i rumori nella notte. Provate ad ascoltarvela, questa canzone: spari e sirena, musica sopraffatta da questi rumori della strada e poi, evocazione psicologica dello spazio indeterminato, le notti: «Che notte quella notte», ma subito la battuta: «Se ci penso mi sento le ossa rotte». Quasi come un fumetto, un immagine immediatamente divertita. E poi entrano nella canzone, senza nessuna volontà di velare i toni, i juke-box, i bar, i Roxy Bar, l amichetta tutta curve, le auto poliziotte. C è un divertimento letterario, qualcosa che sarebbe piaciuta a certi poeti del primo Novecento come Gozzano: il poliziotto diventa aggettivo, le auto poliziotte è un immagine sofisticata anche se presa direttamente dal mondo notturno della strada; e ancora l indicazione di alcuni personaggi come Buck la Peste, Jack Bidone, i fratelli Bolívar: tutti personaggi da fumetto, mentre sotto un lampione se la spassa Billy Karr. E poi ancora il tono da fumetto: «Che botte, che botte quella notte, mi ricordo di sei mascelle rotte, ho un sinistro da un quintale e il destro vi dirò, solo un altro ce l ha eguale»: quindi il mondo della boxe, altro mondo affascinante, certamente affascinante e vivo nella mente di Fred Buscaglione; e poi l ho messo k.o. Il k.o. è un altro riferimento da giornale, da cronaca televisiva. E poi si affaccia un inedito capo d abbigliamento, la cravatta: «mi sistema la cravatta, mormorandomi: si va». E poi l incontro amoroso, che baci, che baci, dopo la violenza, dopo l inseguimento, i baci nella notte. La ricostruzione di quella situazione, di quell istante di vita è talmente forte che è difficile per altri autori di questo momento riuscire a competere con Fred Buscaglione: sono tutti meno vivaci, più monocordi, più ripetitivi. Lui anche quando Leo Chiosso gli propone testi tra loro simili, con gli stessi riferimenti, gli stessi ingredienti, il fucile, le pistole, è sempre capace di variare i toni, si sente che si diverte ed è dentro il racconto, e trascina dentro anche noi, come se fossimo con lui e lui raccontasse qualche cosa che è in realtà anche nostra autobiografia. Se era finzione nel mito i confini tra realtà e finzione sono labili è stato in grado di recitarla come pochissimi attori di questo secolo. E ascoltatevi anche, se volete una conferma, Teresa non sparare, la storia di una casalinga tradita dal marito con un amica: «Teresa, ti prego, non scherzare col fucile, per la rabbia la tua bile può scoppiar. Teresa, ti prego, io non sono certo un vile, ma se tocchi quel fucile può sparar! È stata una follia, l ho incontrata per la via, disse Vieni a casa mia, cosa mai potevo far? Un bacio ha domandato, te lo giuro ho rifiutato ed abbiamo poi parlato, pensa un po, sempre di te! Perciò Teresa, ti prego, non scherzare col fucile, far così non è gentile, lascia andar Teresa (NO!) Non mi sparar!». Cronaca nera in musica.

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