PIANI AZIENDALI DI STOCK OPTIONS: DETERMINAZIONE E REVISIONE DEL PREZZO DI EMISSIONE DELLE NUOVE AZIONI

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1 1 di 7 23/01/ :36 PIANI AZIENDALI DI STOCK OPTIONS: DETERMINAZIONE E REVISIONE DEL PREZZO DI EMISSIONE DELLE NUOVE AZIONI Le Società, 3 / 2002, p. 301 Azioni e quote PIANI AZIENDALI DI STOCK OPTIONS: DETERMINAZIONE E REVISIONE DEL PREZZO DI EMISSIONE DELLE NUOVE AZIONI Piero Alonzo e Gianfilippo Scifoni Le operazioni di aumento di capitale a servizio di piani societari di stock options, cui le società ricorrono con sempre maggior frequenza nel tentativo di fidelizzare e coinvolgere nei risultati della gestione il proprio personale, trovano nelle oscillazioni delle quotazioni di Borsa dei titoli sottostanti le opzioni assegnate un aspetto problematico. Ciò, in particolare, nell'ipotesi nella quale il consiglio di amministrazione di una società, chiamato a definire le modalità pratiche di un piano di assegnazione di opzioni ai dipendenti, si trovi nella necessità di modificare, a causa di una consistente variazione dei corsi azionari dei titoli della società, il prezzo di emissione delle nuove azioni da offrire in sottoscrizione ai dipendenti al momento dell'esercizio delle opzioni. Sommario: Contenuto e limiti della delega agli amministratori - Modifica del prezzo di offerta delle nuove azioni con delibera consiliare Le osservazioni e i rilievi di seguito esposti faranno riferimento ad una fattispecie (effettivamente realizzatasi) caratterizzata da un'operazione di aumento di capitale a servizio di un'assegnazione di azioni ai dipendenti ex art. 2441, ultimo comma, c.c., deliberata dal consiglio di amministrazione di una società in esecuzione di un'apposita delega ricevuta dall'assemblea straordinaria ex art c.c. Oggetto della presente trattazione è, più in dettaglio, l'esame dell'eventualità se sia possibile modificare il prezzo al quale saranno emesse le nuove azioni - da assegnarsi ai dipendenti oblati che intendano esercitare le stock options ricevute - mediante una semplice delibera del consiglio di amministrazione, o se, invece, non appaia allo scopo necessaria un'espressa delibera dell'assemblea sociale riunita in sede straordinaria. Il corretto inquadramento della questione richiede una sintetica premessa tesa a riassumere i termini dell'operazione in questione. L'assemblea straordinaria della società X, nell'attribuire la delega al consiglio di amministrazione ad aumentare il capitale sociale ex art c.c., conferiva a tale ultimo organo la facoltà di aumentare, entro un termine massimo di cinque anni, in una o più volte, il capitale medesimo, deliberando, altresì, che tale aumento fosse posto al servizio di un piano di incentivazione azionaria a favore dei propri dipendenti. Il predetto piano prevedeva, più precisamente, l'offerta gratuita di opzioni a favore di alcuni dipendenti della società medesima, contemplando contestualmente la possibilità, per questi ultimi, di esercitare tali opzioni - divenendo in tal modo veri e propri azionisti della società - in occasione di prestabilite finestre temporali. La delega di tale facoltà al c.d.a. veniva accompagnata dalla previsione che l'aumento di capitale sociale [1] venisse liberato dietro versamento di un prezzo la cui determinazione veniva parimenti rimessa all'organo consiliare nel rispetto, peraltro, di una terna di criteri (non escludentisi a vicenda) rappresentati dal riferimento: 1) al patrimonio netto della società; 2) al prezzo in precedenza registrato in occasione del collocamento presso il pubblico dei titoli della società; 3) alla media dei prezzi ufficiali registrati dai suddetti titoli sul mercato nei trenta giorni antecedenti l'assegnazione dei diritti d'opzione. La delibera dell'assemblea straordinaria prevedeva, al riguardo, ampia libertà di manovra per gli amministratori, attribuendo ai medesimi ogni facoltà in ordine alla determinazione dei tempi, delle modalità e delle condizioni dell'offerta delle azioni di nuova emissione da offrire in sottoscrizione ai

2 ottrina 2 di 7 23/01/ :36 dipendenti esercitanti le opzioni, nonché dei termini del relativo godimento. In esecuzione della delega assembleare il consiglio di amministrazione della società X procedeva a deliberare un aumento di capitale sociale, entro l'importo massimo stabilito dall'assemblea, riservato ai dipendenti destinatari dell'assegnazione gratuita dei diritti di opzione. Quanto ai criteri di individuazione del prezzo di emissione delle azioni, il consiglio di amministrazione optava per quello indicato supra 2), rappresentato dall'importo del prezzo di collocamento al pubblico, registrato in occasione dell'offerta pubblica di sottoscrizione dei titoli della società. La determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni riservate ai dipendenti in base alla cifra realizzata dalla società in sede di o.p.s. unitamente al sensibile deprezzamento fatto registrare dai titoli stessi successivamente all'ammissione alla negoziazione presso la Borsa valori ha, peraltro, posto il consiglio di fronte all'eventualità di riconsiderare la scelta in precedenza operata tra i tre criteri di determinazione segnalati dall'assemblea straordinaria. La mera applicazione del criterio rappresentato dal prezzo ottenuto in sede di collocamento presso il pubblico avrebbe presumibilmente condotto ad un esito negativo dell'offerta in sottoscrizione ai dipendenti della società delle azioni di nuova emissione. Ciò equivale ad affermare che qualora le condizioni di prezzo per l'esercizio delle opzioni offerte ai dipendenti fossero rimaste invariate, sarebbe stato estremamente probabile che l'aumento di capitale loro riservato sarebbe andato deserto. La conclusione appena avanzata è avvalorata dal semplice confronto tra il valore (quasi doppio) al quale erano state collocate le azioni della società X presso la Borsa valori e la quotazione, sostanzialmente dimezzata, fatta registrare dalle medesime in prossimità dell'apertura della finestra temporale prevista per l'esercizio delle opzioni da parte dei dipendenti oblati [2]. L'operazione fin qui riassunta nei suoi tratti essenziali avrebbe corso, dunque, il tangibile rischio di andare deserta, con la conseguente frustrazione del fine ultimo per il quale era stata originariamente concepita, costituito dalla motivazione e dallo stimolo dei dipendenti, nella speranza di incentivare la permanenza di quelli già presenti e di attrarre nuove qualificate professionalità. Inquadrata adeguatamente la specifica fattispecie e riassunte le ragioni dell'indefettibile necessità di procedere ad una revisione [3] del prezzo di offerta delle azioni riservate ai dipendenti della società, si rende necessario verificare se una tale modifica possa avvenire per mezzo di una nuova delibera consiliare (sostitutiva di quella precedentemente assunta) [4] o se, al contrario, si debba procedere alla convocazione dell'assemblea straordinaria per una nuova delibera in tal senso. È opportuno premettere sin d'ora che la risoluzione della questione investe il complesso universo dei rapporti (e dei relativi ambiti di autonomia e manovra) tra l'organo assembleare e l'organo consiliare, argomento che ha lungamente impegnato (e continua ad impegnare) il dibattito dottrinario. Si tratta, in altre parole, di verificare in primo luogo se sia ipotizzabile la delegabilità agli amministratori della fissazione del prezzo di emissione, nell'ambito di un aumento di capitale delegato, ex art c.c., in un'ipotesi, quale quella de quo, in cui si verifichi l'esclusione del diritto di opzione dei vecchi azionisti (ai sensi dell'art. 2441, ultimo comma, c.c.). Occorrerà in secondo luogo, una volta acclarata la legittimità di tale delega, accertare quali limiti incontrino gli amministratori nel procedere alla concreta determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni e se sia, allo scopo, sufficiente l'indicazione - in sede di delibera di assemblea straordinaria - di una serie di criteri guida cui attenersi. La positiva risposta a tale ultimo quesito permetterà, infine, di concludere circa la sufficienza della semplice delibera consiliare al fine di modificare il prezzo di offerta delle nuove azioni destinate ai dipendenti. Delegabilità agli amministratori della fissazione del prezzo di emissione Quanto al primo punto, costituisce un dato ormai consolidato in dottrina quello secondo cui l'assemblea, al di fuori delle ipotesi di esclusione o limitazione del diritto di opzione, abbia il potere di delegare agli amministratori la fissazione del prezzo delle azioni [5] di nuova emissione. Passando a considerare l'ipotesi, ricorrente nel caso de quo, in cui si verifichi (ai sensi dell'art. 2441, ottavo comma, c.c.) l'esclusione del diritto di opzione, la più recente elaborazione dottrinaria è ormai pressoché concorde nel ritenere che anche in tal caso il potere di determinare l'entità del prezzo di emissione delle azioni di nuova emissione sia senza dubbio delegabile agli amministratori che potranno fissarlo tra un minimo, rappresentato dal valore patrimoniale e un massimo (collegato all'andamento

3 ottrina 3 di 7 23/01/ :36 della quotazione) [6]. La tesi contraria, negatrice della possibilità di delegare in tale ultima ipotesi agli amministratori la determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni, si fondava, in verità, su argomenti (quali il tenore letterale del sesto comma [7] dell'art c.c. e la perdita della possibilità di controllo dell'operato degli amministratori da parte dei soci) [8] dei quali la successiva dottrina ha adeguatamente dimostrato la non decisività. Sinteticamente chiarito che la dottrina più recente riconosce quasi concordemente in capo all'assemblea straordinaria il potere di delegare agli amministratori la determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni (anche nelle ipotesi, quale quella dell'offerta in sottoscrizione a favore dei dipendenti, in cui si verifichi l'esclusione del diritto di opzione dei vecchi soci), occorre esaminare quali limiti incontri tale potere al momento del relativo esercizio da parte del consiglio di amministrazione. Si è appena ricordato che anche nell'ipotesi di offerta in sottoscrizione di azioni ai dipendenti l'assemblea può conferire agli amministratori (se necessario, con la maggioranza rinforzata di cui all'art. 2441, ottavo comma, c.c.) la delega di durata massima quinquennale ex art c.c.: a tale scopo è sufficiente che la delibera di delega preveda la possibilità di emissione a favore dei dipendenti [9], l'esclusione [10] ovvero l'ammontare minimo e massimo del sopraprezzo o i relativi criteri di calcolo se differenti da quelli di legge. Contenuto e limiti della delega agli amministratori La delega agli amministratori può, quindi, essere di ampio contenuto, e i medesimi possono essere investiti di notevoli poteri limitatamente alla fissazione del prezzo, poteri che, in ogni caso, incontrano il limite minimo invalicabile rappresentato dal divieto di emissione di azioni ad un valore inferiore al nominale, ex art c.c. Anche entro il limite suddetto non può, peraltro, dirsi che l'operato del consiglio di amministrazione goda di assoluta insindacabilità nella determinazione del prezzo di emissione: si è giustamente rilevato come la discrezionalità degli amministratori trovi sempre un limite (la cui violazione si tradurrebbe in un abuso di potere) nella irragionevolezza e nell'arbitrio [11]. Un'offerta in sottoscrizione a condizioni di prezzo premianti [12] deve essere, pertanto, motivata e valutata nella sua proporzionalità rispetto alle specifiche finalità di coinvolgimento dei dipendenti, ovvero di particolare remunerazione dei medesimi. È opportuno sottolineare come, in effetti, nella determinazione del prezzo delle azioni in occasione di un'emissione destinata ai dipendenti, si prescinda dai criteri indicati nell'art. 2441, sesto comma, c.c.: in tale sede appaiono rilevanti altri fattori (relativi alla determinazione della retribuzione corrisposta ai dipendenti) che si collocano al di fuori delle vicende inerenti il negozio di sottoscrizione e che devono essere valutati sul diverso piano costituito dal rapporto di lavoro. Si verifica in tal modo un arricchimento dei parametri utilizzati, con estensione ad indici che eccedono la dimensione patrimoniale dell'ente, la sola contemplata dall'art e sulla quale possa esercitarsi un (indiretto e mediato) controllo assembleare [13]. Passando ad analizzare più da vicino il caso de quo, rimane da verificare se sia stato corretto da parte dell'assemblea della società X - riunita in sede straordinaria per deliberare la delega al c.d.a. all'aumento di capitale - limitarsi ad indicare dei criteri di massima ai quali avrebbe dovuto essere ancorata la successiva determinazione del prezzo di emissione ad opera dell'organo consiliare. A testimoniare la legittimità di tale pratica è la considerazione che in tale ultimo caso i soci non vengono privati della possibilità di controllare i criteri ai quali gli amministratori dovranno conformare la loro scelta, criteri che, essendo stabiliti dalla delibera assembleare, da un lato permettono di verificare l'operato degli amministratori stessi e, dall'altro, presuppongono una consapevole scelta degli azionisti, dal momento che dalla predeterminazione di tali criteri dipende la fascia di oscillazione all'interno della quale sarà compreso il concreto prezzo di emissione. Secondo l'impostazione appena riportata (che appare, per la verità, largamente condivisibile) il prezzo di emissione può dirsi «determinato» dall'assemblea (anche) quando siano dall'assemblea stessa formulati (soltanto) i criteri per individuarlo [14]. Il riferimento alla facoltà riconosciuta all'assemblea - di limitarsi ad indicare i criteri per la determinazione del prezzo di emissione, non essendo la stessa tenuta a fissarne il preciso e invariabile ammontare - rappresenta, a ben vedere, la chiave di volta della tesi della delegabilità della fissazione del prezzo di emissione a favore degli amministratori [15].

4 4 di 7 23/01/ :36 Modifica del prezzo di offerta delle nuove azioni con delibera consiliare Risolta positivamente la questione della delegabilità all'organo consiliare del potere di fissazione del prezzo di emissione delle nuove azioni (fatti salvi i limiti - valore nominale e ragionevolezza - appena descritti), occorre passare a considerare la specifica situazione oggetto della presente analisi: una situazione caratterizzata da una delibera consiliare che abbia in un primo tempo fissato un prezzo di emissione pari al prezzo spuntato in occasione del collocamento dei titoli sul mercato, che non appaia, per quanto detto in precedenza, più realistico e, pertanto, in grado di assicurare il buon esito del collocamento. Si rende, pertanto, necessario ricercare una soluzione che renda possibile un adeguamento del sopraprezzo all'andamento delle quotazioni nella prossimità dell'emissione. Appare utile sottolineare in proposito come le medesime esigenze sottese alla delegabilità della fissazione del prezzo di emissione delle azioni siano sostanzialmente riconducibili alla necessità di adeguare il prezzo stesso, nell'ipotesi di un rilevante mutamento delle variabili che ne influenzano la determinazione, tra il momento della delibera dell'aumento del capitale e quello dell'emissione delle azioni stesse [16]. Secondo l'orientamento dottrinario dominante ne discende automaticamente che solo chi può intervenire con rapidità e immediatezza, senza l'impaccio dei tempi e delle procedure dell'assemblea, può consentire che l'intento del legislatore (i. e. la considerazione dell'andamento dei corsi) sia pienamente soddisfatto, con la conclusione che deve ritenersi non solo legittima, ma addirittura indispensabile l'attribuzione agli amministratori del potere di stabilire l'entità del sopraprezzo tra un minimo (determinato sulla base del valore patrimoniale) e un massimo (collegato all'andamento delle quotazioni) [17]. Ciò che appare, in ogni caso, necessario è la sussistenza del requisito minimo - consistente nell'indicazione di un criterio da parte dell'assemblea [18] - che consenta di ritenere sostanzialmente rispettata la regola secondo la quale il prezzo di emissione delle azioni deve essere determinato dall'assemblea medesima. Tale ultima circostanza si è senza dubbio verificata con riferimento alla società X, dal momento che la delibera con la quale l'assemblea straordinaria delegava gli amministratori ad aumentare il capitale sociale a servizio di un piano di assegnazione di stock options ad alcuni dipendenti, conteneva l'indicazione di tre precisi criteri guida per la determinazione del prezzo di emissione. L'applicazione del criterio (riferimento al prezzo di collocamento) effettivamente scelto dal consiglio si è successivamente rivelata, a causa di una sensibile depressione dei corsi azionari dei titoli della società [19], del tutto impraticabile, in quanto conducente a un prezzo di esercizio assolutamente irrealistico se paragonato alle correnti quotazioni e, pertanto, inadeguato a garantire il successo del piano di incentivazione azionaria dei dipendenti varato dalla società. Preso atto della sopravvenuta inadeguatezza del criterio dell'aggancio al valore spuntato in sede di collocamento sul mercato ai fini in tale sede rilevanti, appare senza dubbio ragionevole procedere ad utilizzare un altro criterio tra quelli indicati nella delibera di assemblea straordinaria [20]. È, pertanto, assolutamente legittimo e condivisibile l'operato del consiglio di amministrazione della società X che, attraverso una nuova delibera [21], ha proceduto a deliberare nuovamente l'aumento di capitale da offrire in sottoscrizione ai dipendenti, avendo avuto cura di indicare, quale criterio di individuazione del prezzo di emissione delle nuove azioni, quello costituito dal prezzo ufficiale medio registrato dal titolo sul mercato nei trenta giorni precedenti l'assegnazione dei diritti di opzione. La sufficienza allo scopo della delibera consiliare è dimostrata alla luce delle argomentazioni sin qui presentate [22]. In conclusione, appare indispensabile sottolineare come l'unica condizione alla quale è risultata in concreto vincolata la modificazione dell'originaria misura del prezzo di emissione ad opera della nuova delibera del c.d.a. è stata rappresentata dalla previa acquisizione dell'esplicito assenso dei dipendenti già assegnatari dei diritti di opzione. Si è reso, in altre parole, necessario ottenere da ciascun dipendente oblato un documento contenente l'espressa rinunzia all'attribuzione dei diritti di opzione disposta a suo favore in adempimento di quanto stabilito dalla precedente delibera consiliare. Accettando la quota di diritti di opzione offerti a proprio favore, ciascun dipendente oblato è, in effetti, venuto ad acquisire la titolarità di un vero e proprio diritto soggettivo al perfezionamento del rapporto contrattuale (culminante con l'assegnazione finale dei titoli a seguito dell'eventuale esercizio di tale opzione): ciò ha reso, appunto, indispensabile un inequivoco atto di rinuncia da parte del medesimo al fine di rendere possibile la modificazione in oggetto.

5 5 di 7 23/01/ :36 Note: [1] E, quindi, l'emissione delle nuove azioni a favore dei dipendenti oblati che intendessero esercitare le opzioni ricevute. [2] Se i termini dell'offerta fossero rimasti invariati, in altre parole, i dipendenti della società X non avrebbero trovato alcuna convenienza ad esercitare le opzioni gratuitamente ricevute in precedenza. Esercitando tali opzioni, infatti, i dipendenti oblati si sarebbero trovati a dover pagare un prezzo quasi doppio rispetto alle correnti quotazioni di Borsa dei titoli che avrebbero ricevuto in corrispettivo. I titoli sottostanti le opzioni, in effetti, facevano registrare, in prossimità della prima finestra temporale prevista per il relativo esercizio, un valore pari a circa la metà del prescelto prezzo di esercizio: avrebbero, pertanto, potuto essere esercitate esclusivamente dietro il pagamento di un prezzo tanto più oneroso in quanto irrealistico, perché del tutto avulso dalle correnti quotazioni di Borsa. [3] È appena il caso di sottolineare come l'ipotesi di una revisione del prezzo di offerta delle azioni riservate ai dipendenti non debba essere ritenuta un'eventualità straordinaria o difficilmente verificabile. Alla luce dei veri e propri sommovimenti (per lo più in senso negativo, ma comunque a carattere generalizzato) fatti registrare negli ultimi tempi dalle quotazioni di Borsa, anzi, è del tutto lecito attendersi che delle condizioni di prezzo fissate con appena qualche mese di anticipo possano rivelarsi non più convenienti al momento del concreto esercizio dell'opzione e dell'ottenimento del titolo sottostante da parte del dipendente oblato. [4] Ci si riferisce alla delibera in occasione della quale il c.d.a della società X aveva effettuato la scelta del criterio di determinazione del prezzo di emissione delle nuove azioni emesse a favore dei dipendenti oblati nell'ambito della terna di criteri indicati dall'assemblea straordinaria della società medesima. [5] Vedasi in tal senso Fré, Società per azioni, V ed., in Commentario Scialoja - Branca, 779. «Nella grande maggioranza dei casi l'assemblea si limita a deliberare l'aumento di capitale determinandone la misura e demandando al consiglio di amministrazione di fissare le modalità per l'attuazione dell'operazione. Sarà dunque il consiglio di amministrazione che, di regola, stabilirà il termine entro il quale deve avvenire la sottoscrizione delle nuove azioni, non solo, ma che stabilirà molto spesso anche il prezzo a cui le nuove azioni devono essere collocate e il modo del collocamento». [6] Per tutti vedasi Fenghi, Questioni in tema di aumento del capitale, in Riv. soc., 1983, 966. [7] L'importanza del dato letterale è richiamata, sebbene con differente rilievo, dai seguenti Autori: Portale, Opzione e sopraprezzo nella novella azionaria, in Giur. comm., 1975, I, 223; Rivolta, Profili della nuova disciplina del diritto di opzione nelle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1975, I, 543 ss.; Rosapepe, Prime riflessioni sulla nuova disciplina del diritto di opzione, in Giur. comm., 1987, I, 61 ss.; Id., L'esclusione del diritto d'opzione degli azionisti, Milano, 1988, in particolare 168 ss.; Belviso, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle società per azioni, in Trattato Rescigno, XVII, Torino, 1985, 110, nota 106. [8] Tra gli autori che hanno richiamato l'attenzione sulla possibile compressione, quando non addirittura annullamento, dei mezzi di tutela del socio, nell'ipotesi della delega della fissazione del prezzo di emissione delle azioni agli amministratori si segnalano: Portale, op. cit., 223 ss.; Rivolta, op. cit., 544. Contra, Fenghi, op. cit., 963 ss. [9] Così Marchetti, Commentario all'art. 23, in Decreto del Presidente della repubblica 10 febbraio 1986, n Commentario (a cura di Marchetti), in Nuove leggi civ. comm., 1988, 202. [10] La Consob (comunicazione del 15 febbraio 2000, n ) dopo aver ricordato che «È pacificamente ritenuto che agli aumenti di capitale o alle quote di essi riservate ai dipendenti non si applichi l'art. 2441, comma sesto, c.c.» precisa al riguardo che in tal caso «... le azioni possono essere emesse anche senza sovrapprezzo ovvero con un sovrapprezzo inferiore a quello da stabilirsi obbligatoriamente nelle altre ipotesi di esclusione del diritto di opzione». [11] In tal senso, Acerbi, Osservazioni sulle stock options e sull'azionariato dei dipendenti, in Riv. soc., 1998, [12] È appena il caso di ricordare che la necessità, nella fattispecie esaminata, di procedere a modificare il prezzo di offerta in sottoscrizione delle azioni ai dipendenti della società X è giustificata dall'esigenza di continuare a garantire ai medesimi delle condizioni di prezzo, appunto, premianti rispetto alla corrente quotazione di Borsa. Appare in proposito opportuno effettuare un breve cenno (seppur un'analisi dei profili tributari dell'operazione sia estranea alla finalità del presente intervento) in merito al trattamento fiscale cui

6 6 di 7 23/01/ :36 verrebbe assoggettata un'operazione avente le caratteristiche di quella sin qui descritta. Si sottolinea al riguardo che la prospettata revisione (rectius diminuzione) del prezzo di esercizio delle opzioni originariamente stabilito dal c.d.a. per riportare il medesimo in linea con la corrente quotazione di Borsa del titolo sottostante, può comportare sfavorevoli conseguenze dal punto di vista tributario, ai sensi di quanto stabilito dall'art. 48, comma 2, lett. g bis), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (c.d. TUIR). A mente di tale disposizione, qualora il prefissato ammontare pagato dal dipendente al momento dell'esercizio dell'opzione risulti inferiore al prezzo fatto registrare dal titolo sottostante alla data dell'offerta, l'intera differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e il predetto ammontare verrà classificata quale «reddito di lavoro dipendente» del dipendente oblato e concorrerà alla formazione del relativo reddito imponibile, venendo, di conseguenza assoggettata, all'imposizione progressiva Irpef. Qualora, al contrario, il prezzo corrisposto dal dipendente oblato per l'esercizio dell'opzione risulti maggiore del valore delle azioni sottostanti al momento dell'offerta dell'opzione, l'eventuale differenza realizzata dal dipendente a proprio favore al momento (successivo) dell'esercizio dell'opzione costituirà un fringe benefit non tassato e (nell'ipotesi di una successiva alienazione sul mercato delle azioni) sconterà esclusivamente l'imposta sostitutiva sull'eventuale capital gain realizzato. [13] Sul punto, Robiglio, Delega all'aumento del capitale e D.P.R. n. 30/1986, in Riv. soc., 1991, 712, che osserva «Si spiega così che il prezzo di emissione possa essere oggetto di contrattazione con i lavoratori o con le loro rappresentanze sindacali; mentre quando l'offerta è rivolta a terzi, il valore dei titoli deve essere stabilito secondo parametri oggettivi. Si comprende anche l'attrazione della fissazione del prezzo di emissione nell'ambito della gestione dell'impresa e quindi nella sfera di competenza dell'organo amministrativo». Inoltre, Ferrara - Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, 575, nota 10, sottolineano che «Sembra logico ammettere non solo che la relazione degli amministratori si limiti a indicare i criteri lasciando la determinazione del prezzo di emissione all'assemblea, ma anche che quest'ultima lasci un margine di manovra sul prezzo al consiglio di amministrazione nel momento dell'effettiva emissione. La possibilità di delega è infatti ormai assai ampia». [14] Cfr. Mucciarelli, Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, 333. [15] Ad ulteriore dimostrazione della validità di quanto appena detto si rammenta quanto autorevole dottrina, seppur nel vigore della previgente normativa in tema di omologa degli atti societari (anteriormente cioè alle modificazioni apportate al codice civile dalla L. 24 novembre 2000, n. 340) sottolineava in proposito. Cfr. Mucciarelli - Spolidoro, Diffusione delle azioni fra il pubblico, ammissione alla quotazione e determinazione del sopraprezzo, in Riv. soc., 1986, 53 ss., che richiamano le osservazioni di Mignoli, Determinazione dell'entità del sopraprezzo, in Riv. soc., 1982, 528, sostenendo che in tal caso «il controllo del giudice dell'omologazione non è eluso, perché esso non può che riguardare il rispetto dei criteri che presiedono alla determinazione del prezzo di emissione, e questi sono enunciati nella delibera dell'assemblea». [16] Cfr. Mucciarelli, op. cit., 319. [17] Cfr. Mignoli, op. cit., 527 ss. [18] Marchetti, Problemi in tema di aumento del capitale, in Aumenti e riduzioni di capitale, Milano, 1984, 86 ss., dopo aver riconosciuto che «l'assemblea possa limitarsi a stabilire un criterio per la determinazione del sopraprezzo, lasciando agli amministratori di applicare tale criterio a dati patrimoniali e di borsa più aggiornati», suggerisce, peraltro, che «il criterio dovrebbe tuttavia essere preciso, sia per quel che concerne il suo contenuto, sia per quel che riguarda i parametri cui essere applicato, di guisa che gli amministratori non abbiano alcuno spazio di discrezionalità nella sua applicazione». [19] Del tutto in linea, peraltro, con quella fatta registrare nel medesimo periodo (II semestre I semestre 2001) dai titoli quotati di molte altre società negoziati presso la Borsa valori italiana. [20] I due criteri residui, si ricorda, sono rappresentati: a. dal riferimento al patrimonio netto; b. dal riferimento alla media dei prezzi ufficiali fatti registrare dal titolo presso la Borsa valori nei trenta giorni antecedenti l'assegnazione dei diritti di opzione. [21] Contenente l'espressa revoca della precedente delibera, in occasione della quale il consiglio di amministrazione della società X aveva scelto di utilizzare - per la determinazione del prezzo di emissione - il valore di collocamento realizzato in occasione della precedente offerta pubblica di sottoscrizione (o.p.s.). [22] Occorre in proposito dar conto di una qualificata dottrina minoritaria (per la verità, risalente nel

7 7 di 7 23/01/ :36 tempo) che appare, tuttavia, riconoscere l'esistenza di un'implicita clausola rebus sic stantibus, nel senso che gli amministratori, in presenza di mutamenti rilevanti delle condizioni sulla base delle quali fu deliberato l'aumento di capitale, dovrebbero soprassedere alla sua esecuzione, rimettendo la questione alla competenza originaria dell'assemblea. Vedasi Marchetti, Commentario all'art. 23, cit., 188: «Sembra infine pure da condividere l'opinione secondo la quale gli amministratori debbano comunque soprassedere all'esecuzione, e così riconvocare l'assemblea, allorché l'applicazione del prezzo (minimo) stabilito dall'assemblea o da essi fissato in applicazione dei criteri stabiliti dall'assemblea, risulti palesemente obsoleto verso l'alto o verso il basso, sì da provocare grave pregiudizio nei confronti della società o dei corsi». Cfr., poi, Rivolta, op. cit., 545, che con particolare riferimento all'aumento di capitale per tranches puntualizza che «... ove il patrimonio sociale o il valore della moneta subiscano variazioni tali da far apparire incongruo il prezzo di emissione a suo tempo determinato, dovere di diligenza impone agli amministratori, come si argomenta dall'art. 1710, secondo comma, c.c., di riconvocare l'assemblea per la revisione del medesimo: in mancanza di che scatteranno, a carico degli amministratori stessi, le sanzioni inerenti ai vari tipi di responsabilità (artt c.c.)». Copyright 2011 Wolters Kluwer Italia Srl - Tutti i diritti riservati UTET Giuridica è un marchio registrato e concesso in licenza da UTET S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l.

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