Luca Pagliari. FLAy. una storia di persone

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1 Luca Pagliari FLAy una storia di persone

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3 Prefazione Rosario Messina Presidente Federlegno Arredo La mia presidenza non era ancora all orizzonte, ma già l argomento giovani era nei miei pensieri ed in quello della Federazione tutta. Spesso dibattiti e parole scivolavano verso lo scottante tema legato alla mancanza di un ricambio generazionale, e questo non poteva che costituire motivo di apprensione. Sotto questo profilo, la nascita di FLAy è stata molto importante. Lo è stata anche nell ambito delle aziende paterne dove sono confluite idee nuove e lo è stata per gli stessi ragazzi, in molti alla prima esperienza associativa. Dai giovani è arrivata una scossa significativa; la loro presenza è un chiaro antidoto all immobilismo ed un invito concreto all agire. Aggiungerei che attraverso la loro pulizia di pensiero è giunto un segnale forte, anche su come affrontare alcune argomentazioni all interno dello stesso Consiglio. Un tempo la domanda superava l offerta ed il mercato si chiamava Europa. Oggi, in tempi di globalizzazione e di cambiamenti costanti, la loro rapidità mentale risulta fondamentale, poi provo 3

4 una simpatia epidermica nei confronti di questi ragazzi che hanno saputo dare corpo a un idea. Come sempre accade, ogni tanto i giovani vanno frenati, in quanto la loro innata predisposizione al fare, rischia di bruciare fondamentali tappe del percorso di crescita. Un elemento deve comunque rimanere centrale nel loro pensiero; osservare con attenzione il nostro passato di Federazione, le nostre scelte ed il percorso fatto in tutti questi anni. La vita soventemente ripropone copioni simili, i cicli si ripetono ed il futuro molto spesso attinge dal passato. Per questo la storia continuerà sempre a rappresentare la base per la costruzione di ogni percorso. 4

5 Roberto Snaidero Past President Ho avuto il piacere ed anche la fortuna di veder nascere, durante il mio mandato presidenziale, la nascita del Gruppo Giovani. Non è cosa da poco, in quanto era un sogno che sotto pelle coltivavo da tempo. Ripensando alle mie esperienze giovanili di associazionismo territoriale ed all energia che eravamo capaci di generare, negli anni passati mi ero trovato spesso a domandarmi come mai non potesse nascere un movimento simile anche nell ambito di Federlegno Arredo. Ora la creatura esiste ed ha gettato basi solide per il suo futuro. Di questo, non posso che ringraziare Alberto Conficconi, la persona che ha saputo cogliere questa esigenza comune, dandogli corpo e concretezza. FLAy per Federlegno Arredo significa poter guardare avanti con maggiore sicurezza e serenità. Impossibile non dimenticare la prima riunione fatta nel settembre del 2006; ero entusiasta, tutto era ancora da creare e costruire, ma io dissi semplicemente rimboccatevi le maniche e andate avanti. 5

6 Il vento delle nuove idee è entrato all interno dei nostri direttivi, ci obbliga a riflettere, a confrontarci in maniera più dinamica ed a guardare sempre oltre. Nel frattempo i ragazzi crescono, cadono, si rialzano e si formano, garantendoci un confronto costante. Alcuni di loro, partendo da quel serbatoio di idee che è FLAy, sono già passati ad altri incarichi associativi, andando a ricoprire nuove mansioni. E questo è fondamentale. FLAy signfica proprio questo, innovare seguendo il filo della continuità. Avviare un ciclo di esperienze positive importanti per il presente e fondamentali per il futuro. 6

7 Il perché di un libro Giovanni De Ponti AD Federlegno Arredo Srl È la prima volta che la Federazione decide di realizzare una pubblicazione dedicata al Gruppo Giovani di Federlegno Arredo e per me questo è motivo di grande soddisfazione. Quello che il nostro settore sarà in futuro dipende in gran parte dal contributo che questi, e tanti altri giovani imprenditori che si stanno formando professionalmente, saranno in grado di offrire. Per chi avrà l occasione di leggere questa pubblicazione ho due auspici: innanzitutto mi auguro che chiunque possa percepire la ricchezza di vita che emerge dal racconto di tante storie personali, ciascuna diversa dalle altre, ma tutte accomunate dalla stessa passione di diventare grandi e dare il proprio originale apporto alla costruzione della società in cui viviamo. In sostanza, che questo libro sia un luogo di confronto di esperienze personali. In secondo luogo ho la speranza che la pubblicazione offra una chiara indicazione di metodo: per imparare ad essere imprenditori occorre sporcarsi le mani ; è infatti l esperienza del fare e del fare con qualcuno la sorgente 7

8 migliore della conoscenza e quindi della capacità all intrapresa. In tal senso posso testimoniare che, da quando è nato, il Gruppo Giovani di Federlegno Arredo continua ad offrire alla Federazione un contributo di originalità e spinta positiva. Mi preme infine dare rilievo ad un aspetto che reputo importante. Per molti nostri giovani diventare imprenditori significa entrare attivamente nella gestione dell azienda di famiglia. Essere figli di imprenditori, e spesso di imprenditori di successo, con la prospettiva in futuro di prendere in mano le redini dell impresa, è certamente una dimensione complessa, soprattutto per chi vive questa condizione con senso di responsabilità. Essere figli significa attingere ad una tradizione di valori, di sacrifici, di esperienze, che necessariamente devono essere la base su cui costruire la propria impresa. Significa riconoscere di essere come nani sulle spalle di giganti. Ma questo patrimonio familiare non può in alcun modo essere un bagaglio troppo ingombrante: in 8

9 tale senso i giovani rappresentano una sfida di innovazione, di freschezza, di ottimismo, di cui al giorno d oggi c è davvero un gran bisogno. 9

10 Una giornata di pioggia Senigallia, 23 ottobre 2009 È la prima giornata di un inverno arrivato all improvviso, il vento gelido di bora spazza la sabbia verso il muretto che delimita la spiaggia, piove a ventaglio, in strada nessuno e in cielo solo qualche gabbiano che controvento lambisce il pelo di un acqua torbida e nervosa. E dire che speravamo d inciampare in un weekend di sole, di quelli dove l estate s infila come un intrusa in mezzo all autunno, invece niente di tutto questo. Le autostrade come ogni venerdì sono gonfie di auto e quando a ciò si aggiunge la pioggia, tutto diventa ancora più complicato. Onestamente sono perplesso. Entro la sera, sfidando questa giornata infame e ingoiando chilometri di asfalto bagnato, in questo hotel che guarda l Adriatico dovranno arrivare imprenditori da ogni angolo d Italia; da Bisceglie, Torino, Salerno, Parma, Vicenza e via dicendo. Persone che probabilmente hanno già vite complesse e agende perennemente intasate; persone 10

11 che immagino vorrebbero dedicarsi maggiormente alle famiglie, ci sono le mogli, gli amici e soprattutto i figli che continuano a crescere senza aspettarti, passando dal 38 al 42 di piede e dalla terza elementare alla prima Liceo in meno di un istante. Il week-end, quando il lavoro non invade anche quello, dovrebbe essere il battito di ciglia in cui si finge il relax e si riconnettono i rapporti familiari, invece, in questa giornata d autunno travestita d inverno, loro si sono infilati in auto con ancora addosso giacca e cravatta per venire a Senigallia. Non c è un Consiglio Direttivo e neppure un cliente da incontrare. No. Non è questione di soldi. Si stanno sobbarcando questo scomodo viaggio semplicemente per raccontarmi una storia. La loro. La storia di un gruppo di persone che ha deciso di condividere un percorso e forse anche dell altro. La prima ad arrivare è Eliana da Milano. Ha viaggiato assieme a Duccio, il suo inseparabile cocker spaniel nero che vive giocando. È sfinita poverina, come immaginavo il viaggio è stato pesante. 11

12 Eliana è da otto anni in Federlegno Arredo, ma solo dal maggio 2009 ha avuto l incarico di seguire il Gruppo Giovani. Una soddisfazione ed una responsabilità enormi. Dopo Cesare Bergamini, ora spetta a lei coordinare le attività del gruppo. Un lavoro bello e soprattutto stimolante. È buio, ma alla spicciolata arrivano tutti. Mauro, Francesco, Riccardo, Paolo, Lorenzo, Luca, Ettore e poi Alberto, l amico Alberto. È stato lui a inventarsi la cosa, ad incuriosirmi, a gettare a mare l ennesima sfida, come fosse una ciambella di salvataggio. Scriviamo un libro. Raccontiamola questa storia aveva detto qualche mese prima. Tutti avevamo risposto sí, senza ben sapere a cosa saremo andati incontro. Ceniamo tutti assieme con Duccio che vorrebbe saltare sul tavolo, si parla, si ride, si beve e soprattutto capisco molte cose. Non sono seduto affianco a dei membri di una Federazione facente capo a una sigla. Sono in mezzo a un gruppo di amici. La porta è aperta, posso entrare nelle loro vite, nei loro percorsi, raccogliere le tracce che si sono lasciati alle spalle 12

13 e provare a metterle in fila. Capisco anche che non sarà un racconto lineare, perché nella vita di lineare c è veramente poco. Capisco che di fronte ad una tastiera dovrò cercare di andare oltre le date, i fatti e gli atti costitutivi. Capisco che per fortuna parlerò di uomini e di cose essenziali, di quelle cose che non possiamo toccare con mano e neppure quantificare o misurare. Bello parlare di cose essenziali; quelle che in un week-end d autunno travestito d inverno, ti fanno attraversare l Italia in cambio di un sorriso. 13

14 Pensieri di ragazzi Pioggia e vento ci accompagnarono per l intero week-end, negando a Duccio la possibilità di una corsa liberatoria tra i gabbiani assiepati sulla riva. Fu strano e curioso isolarmi con ognuno di questi ragazzi, pronto a raccogliere pezzi di vita sparsi, pensieri, ricordi. Avevo ipotizzato uno schema di massima per la costruzione di questo piccolo libro, ma inevitabilmente furono le loro storie a trascinarmi dentro pagine bianche. Forse sarebbe stato più semplice ricostruire dei percorsi professionali; l ingresso in azienda, il primo incarico e le crescenti responsabilità, invece ci ritrovammo a parlare di altro. Episodi piccoli e lontani nel tempo. Quelli che riescono a spiegare molte cose su ciò che siamo oggi, su quello che facciamo e soprattutto come. Sono gli episodi e le giornate in cui si diventa grandi senza saperlo. Giornate apparentemente simili alle altre e spesso neppure programmate. Poi passano gli anni, ti volti indietro e scopri la perfetta geometria della tua vita imprecisa. 14

15 Francesco La forza del confronto No. Non era facile. Non era semplice aprire un dialogo, non era semplice fare in modo che la loro attenzione durasse più di un attimo, e spesso l idea che quell insieme di teste così distanti l una dall altra si sarebbe dovuta trasformare in una squadra di Scout, perdeva luce e consistenza. Ma quello era il compito che avevano deciso di assegnarmi e volevo portarlo avanti con tutta la forza e l energia dei miei quindici anni. Mica semplice unire delle persone e tentare di motivarle, tra l altro alcuni di quei ragazzi si portavano sulle spalle e nel cuore problemi che pesano e uccidono il sorriso. Tiravo fuori il Vangelo dal mio zainetto, chiedevo silenzio, provavo a leggere qualche passo, cercavo con pazienza e ostinazione quel filo che unisce le persone e le porta a condividere frammenti di vita che restano e sedimentano, ma non riuscivo a trovare un varco. Lo sconforto a volte si manifestava fin da subito, 15

16 quando domandavo chi avesse portato da casa una copia del Vangelo per condividere delle letture. La timida speranza svaniva accompagnata dai loro silenzi neppure imbarazzati, ma io puntualmente lo domandavo perché mi sembrava giusto, perché a volte nella vita le cose possiamo riuscire a cambiarle solo con l applicazione di ogni giorno. Era sempre freddo dentro quel convento dei frati minori ricavato da un ex carcere, dove tutto ci sembrava troppo grande. Ogni incontro si chiudeva con la mia solita richiesta di portare alla prossima riunione una copia del Vangelo e mentre parlavo vedevo le mie parole nascere e morire all interno di quella stanza dai soffitti esageratamente alti. Io, Capo Squadriglia Volpi Agesci, ero fiero di tutti quegli stendardi che riempivano le pareti di quelle tre stanze divise da altrettanti archi. Appese a quei muri senza tempo c erano le nostre storie di scout, i nostri simboli, le foto che testimoniavano un modo di vivere, di essere e di interpretare la nostra adolescenza. 16

17 Beh, quando si esce sconfitti dopo aver combattuto, la resa ha un sapore meno amaro; così dopo oltre una decina d incontri lasciai il Vangelo nel cassetto di casa e con esso la speranza che quei ragazzi sarebbero rimasti all interno del gruppo. Non c era condivisione, non ero riuscito a trasferirgli ciò che avrei voluto e fu così che mi presentai a quell ultimo incontro. Ci sedemmo in circolo e non ci fu bisogno di chiedere nulla, perché ognuno, senza una parola estrasse una copia del Vangelo. Ne chiesi in prestito uno ed iniziammo a camminare. Lorenzo Gli obiettivi che riempiono la vita Il giro in palleggio era per tutti un gesto tecnico difficile, a me risultava invece impossibile. Avevo iniziato a giocare a Basket a nove anni, ora ne avevo dodici e per la prima volta la palla era diventata una nemica. Maurizio, l allenatore, era uno di quelli che ti fanno piangere; era sempre 17

18 pronto a spostare il tuo limite un centimetro oltre le tue possibilità, a metterti in discussione, a farti capire che se non avevi stimoli a sufficienza, potevi benissimo scordarti il parquet e passare ad altro. Maurizio non mi perdonava il fatto di non saper fare il giro in palleggio. Parto, poi mi blocco, vado in confusione e la palla schizza lontana. No. Maurizio non lo accettava e allora mi scendevano lacrime di rabbia, di fronte a quell uomo che aveva sempre da chiederti qualcosa di troppo. Eravamo tutti in fila durante gli allenamenti e mentre si avvicinava il mio turno il cuore iniziava a battermi più in fretta. Poi il solito fallimento, io da una parte e la palla dall altra. Lo spirito di quello spogliatoio aveva qualcosa di speciale, in partita diventavamo una cosa sola, ma il giro in palleggio restava lì, sospeso tra i conti da saldare e Maurizio lo sapeva. Lo sapeva anche mio padre che adorava il basket e con il quale condividevo ogni cosa. Ne parlammo a lungo a casa, perché non era mica cosa da poco. 18

19 Cambiai tattica, così mi ritrovai a provarlo quasi in solitudine, senza pressioni ed occhi puntati e improvvisamente quella danza misteriosa per la prima volta mi riuscì. Ero quasi incredulo. Riprovai pensando fosse un caso fortuito, una coincidenza o forse un semplice sogno. Anche la volta successiva, fatto il giro mi ritrovai la palla tra le mani e allora compresi che c ero riuscito. Oramai era fatta e quel pensiero assomigliava a una cosa che si chiama felicità. Il basket è rimasto nella mia vita fino al duemila. Molto spesso rivedo quel bambino correre sul parquet, pronto a smistare palloni sempre con maggior sicurezza. Molto spesso rivedo le sue paure e le ombre che ha dovuto spingere lontano. Altrettanto spesso penso al caro Maurizio, alle sue grida che facevano tremare i vetri ed i cuori. Tutto questo è ancora dentro di me. Allora non potevo sapere che i suoi insegnamenti me li sarei portati dietro per sempre. Non potevo sapere che la vita molto spesso sarebbe stata identica a quello sport. Non potevo neppure sospettare 19

20 che il parquet sarebbe rimasto al centro della mia esistenza, mutandosi nell elemento principe della mia professione. Oggi affronto avversari diversi e gioco partite diverse, ma la filosofia è rimasta le stessa; la squadra deve avere obiettivi comuni, deve osare, credere in se stessa e non smettere mai di lottare. A pensarci bene, da quel campo di basket non ne sono mai uscito. Paolo La forza delle radici Andar via di casa per sperimentare cosa significhi essere indipendenti, per comprendere cosa vuol dire rimpiangere le abitudini di sempre, spostare le proprie radici per scoprire quanto siano profonde. A 13 anni tutte queste motivazioni magari neanche le conosci, però un giorno dici ai tuoi genitori che finita la terza media vorresti andartene a studiare in collegio. Tutto lì. Il resto sono i loro tentativi a volte disperati di farti tornare sulla decisione 20

21 e la tua ostinazione nel difendere la scelta. Una domenica pomeriggio d autunno, mi ritrovo in auto con mamma, papà e le valige; destinazione Palidano, provincia di Mantova. Il giorno dopo inizia il nuovo anno scolastico, da casa saranno quaranta chilometri, ma dalla precedente vita la distanza è incalcolabile. Quasi che verrebbe voglia di tornare indietro, poi arriva un ragazzo che sorridendo mi dice - Tu sei Paolo, vero? - Prende una delle mie borse e mi guida verso la mia nuova stanza. Poi loro partono e capisci che il viaggio è iniziato. Prima di cena sono arrivati tutti gli altri ragazzi. Poche parole, ognuno preso a ricostruirsi il suo angolo di vita. La notte c è tempo per pensare, per annusare odori nuovi e ascoltare rumori sconosciuti. Le giornate iniziano a scorrere veloci, i pomeriggi sono fatti di studio, intervallati da una breve ricreazione, poi tutti a letto dopo il film. Giorno dopo giorno ci si conosce, mentre complicità e confidenza iniziano a riempire quella stanza diventata amica. Per la prima volta sento di ap- 21

22 partenere a qualcosa, la camerata ha regole che rispettiamo, equilibri che si modellano nel tempo trasformandosi in piacevole sicurezza. La mia scommessa l ho vinta superando quei primi giorni che assomigliavano ad una voragine da riempire. E l anno trascorse in un battito di ciglia. Nonostante ciò la mia esperienza in collegio è durata una sola stagione, poi nei successivi anni scolastici ho preferito le alzatacce da pendolare ed ancora non riesco a farmene una ragione. Immagino che tutto ruoti attorno all amore per la mie origini. Forse per comprendere l importanza della propria terra è necessario osservarla da lontano, desiderarla e immaginarla. Forse, come scriveva Cesare Pavese Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti 22

23 Riccardo Salire assieme è più facile C è quel nastro d asfalto che come una biscia avvolge la montagna e ti porta su in cima, fino al valico del Monginevro. Saranno 30 chilometri o forse 40, ma poco importa, perché i calcoli quando stai per partire non servono più. Inutile guardare la montagna dal basso, contibuirebbe solo a farti sentire piccolo e insicuro. Certi traguardi te li devi conquistare metro dopo metro, concentrato sulla pedalata, su te stesso e sul tuo sudore. Tutto il resto non conta. Siamo in tre, tre amici da sempre e decidiamo di partire dalla centrale idroelettrica; oggi c è il sole giusto, c è l aria giusta per provare a spingere il rapporto più leggero e macinare chilometri di una salita che ogni tanto decide d impennarsi come un cavallo. Saliamo in sella e si parte a caccia di fatica, perché questa è la bici, e non esiste traguardo troppo lontano se si è concentrati sull attimo, dimenticando ciò che si è fatto ed evitando di guardare troppo distante. Poi la salita si trasforma 23

24 in una cosa seria e allora tutti e tre ci facciamo più vicini. Non siamo tutti contro tutti, ma tutti contro la salita. Avanti così. Iniziamo a darci il cambio e quando io sono davanti devo tenere il passo altrimenti spezzo il ritmo, se mollo io mollano anche gli altri e allora tengo duro, per me, per loro e perché non esistono altre ipotesi. E quando sono in mezzo, seguo la pedalata di chi mi precede e aiuto chi è alle spalle. E quando sono dietro, perdere la ruota significherebbe darla vinta all asfalto. Allora stringo i denti e vado. Continuano i cambi, strana sensazione quella di essere soli in mezzo agli altri, eppure l energia di uno diventa una risorsa per tutti. Intanto cambia la vegetazione, l aria si fa più fresca e con essa aumenta la consapevolezza che il valico è quasi arrivato. Poi l ultima pedalata e la strada che torna ad essere buona. Ce l ho fatta, ce l abbiamo fatta. Sotto di noi scorre il fiume che si tuffa verso valle. Restiamo in silenzio ad osservarlo. Una piccola grande squadra di solisti ha scalato una montagna. Ricordi che aiu- 24

25 tano a vivere meglio. Silvia La condivisione del successo La poesia iniziava così: Ho barattato la mia vita per un centesimo, e la vita non ha voluto pagarmi di più. Erano poche strofe che imparai a memoria in un paio di letture. Mi riusciva facile memorizzare le poesie, ma a dire il vero mi riusciva facile studiare; ero interessata ai fatti del mondo e giravo attorno ai suoi perché, fino a quando non trovavo una porta d ingresso. Ero la più brava in quella quinta elementare, ma nulla avevo in comune con chi sfoggia il proprio sapere come un bel vestito, anzi, Silvia era quella sempre pronta a suggerire risposte, a lasciare il quaderno generosamente aperto affinché qualcuno potesse sbirciare ed a incoraggiare chi con lo studio non andava a braccetto. La poesia. Giorno delle prove generali. La recita di 25

26 Natale si sarebbe svolta la mattina successiva e già tutta la scuola era attraversata dal clima elettrico che precede le grandi occasioni. Uno ad uno, in piedi sul palco di legno, recitammo la poesia di fronte alla Madre Superiora; davanti al suo sguardo affilato e severo non esistevano difese, ma io declamai la poesia senza tentennamenti. L unica, su dieci ragazzini, ad uscire indenne da quella prova. Il presentimento della classe si trasformò in certezza. La Superiora, ultimate le prove, mi citò come unico esempio positivo nel mezzo di un gruppo composto da asini incapaci e privi di un briciolo d amor proprio. Non mi sentii affatto bene per i compagni mortificati da quelle parole, per quel complimento isolato che mi era stato rivolto, per il clima di festa che, anche lui terrorizzato da quell uragano, sembrava essersi nascosto chissà dove. Quando la Superiora uscì lasciandosi alle spalle una gelida scia di silenzio, aspettai un minuto e poi decisi una cosa; quella poesia l avremmo im- 26

27 parata. Eccome se l avremmo imparata! Li trascinai tutti nell aula affianco ed iniziammo a riprovare, li caricai di entusiasmo insegnando loro il mio metodo per imparare a memoria le poesie e uno ad uno li aiutai, incoraggiandoli quando s inceppavano e applaudendoli quando ci riuscivano. Una di loro era balbuziente e l impresa fu più ardua, ma ricordo che convinsi mia mamma a farla venire a casa nostra a cena, per continuare ad aiutarla finché non l avesse imparata. Beh, finalmente arrivò il giorno della sospirata recita di Natale e tutti assieme iniziamo a declamare la poesia di fronte alla classica platea di genitori commossi, insegnanti agitati ed altri compagni distratti. Fu un successo. Non il mio, ma quello della classe. E per la prima volta un individualista come me, provò il piacere profondo e inestimabile della condivisione. 27

28 Mauro Quando le parole lasciano il segno La sansa è formata dagli scarti delle olive, buccia, nocciolo e via dicendo. Beh, il vecchio campo di calcio della Diaz era composto da un tappeto di sansa ed il suo colore oscillava tra il bruno e il nero. Di erba ovviamente neanche a parlarne. Oggi quel campo pieno di storie è solo un ricordo. Al suo posto solo palazzi senz anima in un quartiere di periferia. L ingresso era proprio affianco al Comunale, lo stadio dove giocava il Bisceglie e qualche compagno fortunato che dalla Diaz era passato alla prima squadra del paese. Chissà perché, catturare palloni tra i pali era sempre stata la mia vocazione, e così mi trovai ad essere il portiere di quella squadra che giocava sopra un tappeto di olive tritate. Maglia gialla un po sbiadita e pantaloncini neri figli di cento battaglie, perso nel mezzo di una porta che a volte sembrava immensa, quello ero io a 13 anni. Il calcio lo avevo nel cuore e per inse- 28

29 guire quel pallone ero disposto a sobbarcarmi le urla di papà perché non lo avevo aiutato al lavoro o quelle di mamma per un compito non fatto. La mia dimensione era lì, in mezzo ai compagni, in mezzo a quelle maglie bianche con i bordi rossi, dentro quegli spogliatoi dalle pareti perennemente ammuffite, dove l acqua calda rappresentava una specie di lusso. Poi c era lui, Mimmo, l allenatore delle giovanili, alto e longilineo come Facchetti e faccia da calciatore vero, infatti aveva giocato persino in serie B. Le sue parole dicevano sempre qualcosa, i suoi gesti tecnici non erano mai fini a se stessi. Mimmo l insegnamento l aveva nell anima. Per lui vincere era importante, ma vederci crescere era la cosa a cui teneva di più. Gli allenamenti terminavano e per me iniziava il momento più bello; io da solo con Mimmo che mi lanciava palloni sempre più distanti da catturare tra le mie mani. Mi affidavo alle sue parole, le seguivo, e tutto, sulla scia della sua passione, mi sembrava più semplice. La mia crescita gli illuminava lo sguardo, 29

30 perché aveva l altruismo innato di chi sa concedere se stesso in cambio di nulla. Ancora oggi ogni tanto l incontro per Bisceglie. Mimmo l allenatore, quello che sapeva farti diventare uomo in mezzo ad un campo di olive. Cristian L invisibile spinta degli altri Il rumore della pallina sempre uguale e sempre diverso, l odore della gomma sulla racchetta e lo stridio delle scarpe sul pavimento della palestra, nei continui cambi di direzione. Questo è il tennistavolo. Concentrazione totale ed estraneazione dal mondo. Una pallina da inseguire, corteggiare e farti amica. Avevo 14 anni quando scoprii la bellezza di questo sport e fu amore a prima vista. Due, a volte tre allenamenti a settimana, all interno di una squadra composta da me, Lorenzo e Matteo. Dopo un anno, il primo grande risultato; eravamo riusciti a conquistarci la fase finale del campionato regionale, arrivando quindi ad un passo dal- 30

31 la competizione nazionale. Ero inaspettatamente tranquillo quel giorno, mentre con il pullmino facevamo rotta verso Reggio Emilia. Una serenità che prendeva corpo dalla consapevolezza che nulla avevamo da perdere, tenendo conto che le altre formazioni, almeno in teoria, erano decisamente più forti e soprattutto esperte. Volando sulle ali della nostra leggerezza, raggiungemmo le semifinali, ora però bisognava vedersela con la temutissima squadra del San Marino. Come a volte accade nella vita, lentamente prese consistenza la trama che più mi terrorizzava; giocare l ultima partita in situazione di parità. Avere nelle mani e nella testa la responsabilità di traghettare la squadra verso la finale. A complicarmi ulteriormente le cose il fatto che l avversario fosse un mancino. Ciò significava raddoppiare concentrazione e coraggio. Vinsi quella partita ancor prima di giocarla. Mentre attendevo che l incontro iniziasse, Lorenzo e Matteo mi parlarono, si dissero certi che avrei vinto, sorrisero, sdrammatizzarono, mi caricarono e innanzitutto mi fecero capire che quella partita l avremmo 31

32 giocata in tre contro uno. E così fu. Venne fuori la partita perfetta e approdammo alla finale che poi perdemmo per l inevitabile calo mentale. Di quella giornata non mi è restato negli occhi il colore della sconfitta in finale, quello è un dettaglio, ma l intima convinzione che con la fiducia di una squadra alle spalle, la vita è immensamente più facile. 32

33 Da dove tutto inizia A volte capita di prendere parte ad un evento perché una data è rimasta imprigionata in mezzo all agenda, o perché qualcuno ci ha detto meglio esserci. A volte le cose accadono semplicemente perché debbono accadere. Alchimie e coincidenze che la vita tutti i giorni si diverte a metterci di fronte. Era il giugno 2005 quando Alberto Conficconi a Forlì imboccò l autostrada puntando su Villa D Este. In quell angolo di paradiso che si affaccia sul lago di Como, si sarebbe tenuta l Assemblea annuale di Federlegno Arredo. A dire il vero non aveva la minima idea di cosa sarebbe accaduto, comunque a fargli compagnia c era anche Elisabetta, la moglie, quindi alla peggio si sarebbero ritagliati una piccola vacanza. Da 15 anni Alberto era iscritto alla Federazione, ma di queste cose non ne sapeva mica niente. Le dinamiche associative, gli equilibri, gli scopi; concetti abbastanza astratti ed appartenenti ad un microcosmo distante e misterioso. Del resto Alberto aveva sempre lavorato sodo fin da ragazzino, fin da quando il tavolo buono 33

34 del salotto durante la settimana si trasformava in tavolo da lavoro, con la mamma e la zia, curve a tagliare pelli e stoffe. Fin da quando, terminata la seconda media, l estate schizzava sulla bicicletta ed arrivava trafelato in laboratorio, pronto a rifinire bottoni da cucire sui divani. Negli anni le aveva passate tutte le esperienze, tagliando anche lui stoffe e pellame, caricando la merce, facendo consegne ed ogni tanto dormendo sul camion. Ma di vita associativa neanche a parlarne. Finalmente Villa D Este e mille facce sconosciute, perché Alberto lì in mezzo non conosceva veramente nessuno. Poi la serata di Gala, i discorsi e poco altro. Quello fu il suo esordio ufficiale nel mondo associativo, un esperienza abbastanza incolore ma tutto sommato gradevole. L anno successivo, senza incertezze, aderì all assemblea 2006 che si sarebbe tenuta all isola di San Clemente. In questo isolotto che dalla laguna centrale osserva Venezia, come sempre erano convenuti tutti i grandi nomi dell imprenditoria 34

35 di settore. Un mondo, quello del legno, che per le sue tante declinazioni, risulta essere estremamente vario ed eterogeneo. Poi accade quello che non era prevedibile, il fatto destinato a segnare l inizio di un percorso fatto di sogni, uomini e passione. Durante l assemblea pomeridiana il discorso scivolò sui giovani, sul rinnovamento e sulla necessità di sapersi reinventare. Il tema è forte, in fin dei conti si parla del domani e della perenne necessità di mettere in campo muscoli e cuore per andare avanti, per continuare a costruire ciò che si è iniziato. Alberto alza la mano, chiede d intervenire, parla senza strategie, senza un disegno, senza un filo a cui aggrapparsi. Si affida all istinto quando dice che i giovani hanno il dovere di camminare, di cadere e di rialzarsi. Hanno bisogno di cielo per far volare in alto i propri sogni, perché è lassù che il mondo cambia. Elisabetta come sempre lo ascolta, ed anche lei alla fine del suo intervento rimane in silenzio, toccata da quel discorso denso di parole che restano nell aria. 35

36 Roberto De Martin, neo Direttore della Federazione, era arrivato a San Clemente da un paio di giorni. Nelle relazioni finora ascoltate aveva percepito una certa stanchezza. Sfumature, ma la sua esperienza e la sua intelligenza viva, in quei sintomi impercettibili di stagnazione, avevano colto un certo rilassamento piuttosto diffuso. Poi aveva parlato quel Conficconi. Mica male il suo intervento. Era andato dritto al cuore contagiando la platea con la sua voglia di fare, tenendosi a debita distanza dalle paludi della retorica e da frasi plastificate. Beh, le parole di quel ragazzo sembravano aprirsi al futuro ed avevano trasmesso una scossa energica allo scontato procedere dei lavori assembleari. Anche Cesare Bergamini, al tempo responsabile della segreteria di Assarredo, rimase colpito dal pensiero fresco di quel ragazzo. Singolare il fatto che in una federazione ampiamente sbilanciata tra Brianza e Veneto, a prendere la parola fosse stato un imprenditore proveniente dal distretto dell imbottito romagnolo. 36

37 Cesare, in Federlegno dal 92, oramai sapeva leggere ed interpretare ogni respiro di quel micro universo, ebbe subito la percezione che quel discorso non sarebbe rimasto fine a se stesso. Durante la cena di Gala, come da programma, il Presidente di Federlegno Arredo Roberto Snaidero, accompagnato dal Direttore Roberto De Martin passarono di tavolo in tavolo per salutare e ringraziare, ma con grande sorpresa di Alberto, quando si accomodarono al suo fianco, fecero immediatamente scivolare la conversazione sulle parole e sui concetti espressi nel suo intervento pomeridiano. E così, attorno a un tavolo, parlando e tracciando nuove rotte, cercando di scrollarsi addosso il presente e tentando di gettare lo sguardo un po più avanti, qualcosa di nuovo iniziò a profilarsi. Per Alberto la soddisfazione fu enorme, e con questo profondo piacere si chiuse quella serata da favola nello specchio magico della laguna. Fu il giorno dopo a colazione che il collega Franco Cappellini, con il suo sguardo buono e quell aria 37

38 perennemente rassicurante, si presentò ad Alberto complimentandosi per il suo precedente intervento. La sera prima ne aveva anche parlato con De Martin, rimarcando il fatto che la costituzione di un Gruppo Giovani avrebbe fatto solo che bene all intero meccanismo associativo. Anche Franco non aveva molta esperienza di Federazione, ma una cosa l aveva notata sin dall inizio, e cioè la carenza di giovani a questi incontri. Alberto rimase subito colpito dalla profondità di pensiero di questo giovane imprenditore che nel suo infinito girovagare per il mondo, aveva sempre avuto occhi per osservare e domande da porre, trasformando il tutto in esperienza. Franco e Alberto si conobbero a San Clemente e confrontandosi, parola dopo parola, scoprirono con piacere di viaggiare su identiche lunghezze. L incontro veneziano che tante sorprese aveva riservato si concluse nel migliore dei modi, ma Alberto, tornando verso Forlì, ripensò alla cena ed alle parole di De Martin, unite ad una sottile promessa - perché voi giovani non provate a 38

39 far qualcosa?...sono certo che la Federazione vi seguirà. L idea prende corpo Fu verso la metà di luglio che ad Alberto arrivò una telefonata da Milano, con la quale gli venne chiesta la disponibilità a prendere parte ad un incontro ristretto, per verificare concretamente l ipotesi della nascita del Gruppo Giovani. De Martin era stato di parola e dopo aver portato la proposta in consiglio, era pronto a dare il via a questa avventura. Neanche a farlo apposta la convocazione era stata fissata per il 27 luglio, giorno in cui ricorreva il suo anniversario di matrimonio, Elisabetta come al solito comprese e Alberto quella mattina si mise in marcia verso la sede di Foro Buonaparte. L estate del 2006 era stata contrassegnata da un distacco doloroso, la scomparsa di Sauro Petrini, Direttore Commerciale dell azienda ma innanzitutto un fratello maggiore sempre pronto 39

40 a dispensare consigli. Impossibile durante quel viaggio, non ripensare a tutte le occasioni in cui Sauro gli aveva spiegato quanto fosse importante l associazionismo. Alberto allora faticava a capire, a mettere a fuoco l esigenza di essere parte di un qualcosa che andasse oltre le mura della propria azienda. Ex calciatore di serie A, Sauro troppe volte gli aveva parlato della incredibile forza che può svilupparsi all interno di uno spogliatoio, quando si è pronti a mettersi a disposizione dell altro. Associazionismo; ora che l amico Sauro era scomparso da meno di un mese, i suoi pensieri e le sue parole sembravano prendere concretezza e vita, ennesima dimostrazione di come le idee giuste non conoscano la parola fine. Quel giorno d estate, in sede a riceverlo c erano il Direttore De Martin e il Vice Presidente Alberto Stella cui spettava il compito di valutare se esistessero realmente i presupposti per la nascita di un gruppo giovani. Assieme a loro Cesare Bergamini e Franco 40

41 Cappellini. Durante quell incontro ristretto si parlò concretamente della possibile nascita del Gruppo. De Martin con il suo consueto pragmatismo aveva già ben chiari i passaggi successivi: in primis convocare una riunione aperta a tutti gli associati giovani, per illustrare l iniziativa e valutarne poi il livello d interesse suscitato. Gli obiettivi erano comunque chiari: far crescere le nuove leve attraverso un confronto più ampio, avviare uno scambio di esperienze e nozioni, creare quel senso di unione e di coesione che aiuta ogni imprenditore a sentirsi meno solo ed isolato. Al termine della lunga riunione, guardando Cappellini, il Direttore De Martin disse: Avete voluto la bicicletta. Beh, adesso pedalate!. Proprio così. De Martin sapeva bene che quel Gruppo, per irrobustirsi avrebbe dovuto pedalare e sbagliare in totale autonomia, avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare decisioni spesso difficili trovandosi di fronte a problematiche del tutto nuove. Ma la vita è questa. Lui li avrebbe osservati mantenendosi a debita di- 41

42 stanza, come si è soliti fare con un bimbo che muove i suoi primi passi. Nessun condizionamento e nessuno stimolo aggiuntivo. Che fossero loro ad inventarsi percorsi ed a scovare le strade tortuose e spesso invisibili della crescita. Quelle parole e quei concetti, risvegliarono il senso di responsabilità e l innata attitudine al dovere di Franco Cappellini. Parole che lo spaventarono e contestualmente lo stimolarono a percorrere quel sentiero mai battuto. Franco non aveva alcuna esperienza al riguardo, ma l istinto gli suggerì che si stavano trovando di fronte ad una grande opportunità. E come tale andava colta senza troppi tentennamenti. Lui ci credeva come ci credeva Alberto e di certo non era la volontà a far difetto. Fissarono una data. Appuntamento a metà settembre per la grande riunione, quella decisiva da cui forse tutto sarebbe nato. 42

43 20 Settembre 2006 La prima riunione Cappellini e Conficconi il giorno della riunione improvvisamente avvertirono il peso di un idea che si materializza e si trasforma in una sala piena di gente che attende e vuole spiegazioni convincenti. Alberto, figlio di un barbiere che a un certo punto della sua vita aveva pensato di far divani, si trovò seduto accanto a persone e nomi che conosceva da anni solo attraverso le riviste e la televisione. Al tavolo c erano il Presidente Roberto Snaidero con il suo Vice Alberto Stella e il Direttore Roberto De Martin. La sala prese a riempirsi di ragazzi che si scrutavano senza dirsi nulla, la grande maggioranza non era mai entrata in associazione e non aveva neppure ben chiaro il motivo per cui quel giorno fosse lì. Erano figli d imprenditori importanti e meno importanti, qualcuno era stato mandato a forza, altri erano venuti per curiosità, altri ancora con la speranza reale che potesse nascere un qualcosa di buono; tutti erano comunque in attesa di conoscere il progetto attraverso le parole dei relatori. 43

44 Quel giorno nella mente sovraffollata di Alberto si aggirava un pensiero più prepotente degli altri: non fare brutta figura, dire cose sensate ed evitare di deludere le aspettative di chi gli aveva fornito l opportunità di sedere a quel tavolo. Erano quasi cento in sala, e se ciò poteva essere galvanizzante in un senso, era assolutamente terrorizzante nell altro. Matteo Perego Matteo Perego quel giorno si trovò lì per curiosità. Quella curiosità che nella vita lo aveva spesso portato a sperimentare percorsi innovativi, a rompere schemi rassicuranti ma logori, ricercando nuove soluzioni. Matteo, laurea in architettura al Politecnico di Milano, per anni si era limitato a fare il buon architetto progettando camere per ragazzi e seguendo rigorosamente la filosofia della qualità. Regola basilare all interno dell azienda di famiglia, con alle spalle una storia di oltre 40 anni. Nel 2001 il cambiamento e la nascità di Modà, 44

45 la sua creatura, pezzi contaminati che arrivano dal passato e si specchiano nel futuro. Parigi, conoscenze illuminanti, aperture al nuovo, poltrone vestite come modelle partendo da scocche barocche. Stili di vita e creazioni che insegnano a giocare con la vita, ricordandoci che l ironia è una grande compagna di viaggio. Una mail tra le tante gli aveva preannunciato questo incontro. Beh, una buona occasione per andare ed ascoltare. Un creativo deve essere sempre pronto a cogliere nuovi segnali. Poi c era il fascino dell associazione di cui sapeva poco o nulla; il carisma di questo misterioso palazzo dove tutto veniva deciso da sempre. Al di là di ciò, quell istinto che raramente lo aveva sinora tradito, gli suggeriva che forse, dietro la semplice costituzione di un associazione ci sarebbe stato dell altro; entusiasmo, amicizia, spirito di squadra. Erano sensazioni, ed in quel giorno di settembre ne avrebbe sicuramente saputo qualcosa in più. 45

46 Silvia Gorlini Vivendo a Milano, per Silvia non fu difficile in quella giornata un po grigia e già travestita d autunno, ritagliarsi lo spazio per prendere parte all incontro. A parte il Presidente Snaidero incontrato a Villa D Este due anni prima, non conosceva assolutamente nessuno tra i presenti in sala, ma del resto per chi produce finestre, guardare fuori è quasi un obbligo imposto dalla vita. E dire che la sua passione, dopo aver fatto il Liceo Classico e conseguito la laurea in Giurisprudenza, erano le traduzioni di greco e latino eseguite quasi in simultanea. Poi un occasionale sostituzione all interno dello show room: Solo per un breve periodo. Devi semplicemente aprire la porta e rispondere al telefono aveva detto papà che non è mai stato troppo prodigo di parole. Il breve periodo, in quel 2003 si era poi trasformato in una scelta di vita. Stanca di non poter fornire risposte esaurienti agli architetti ed i clienti che si presentavano allo show room, Silvia iniziò a studiare i misteri del 46

47 legno, le infinite applicazioni del vetro e l arte di costruire finestre. Tutto era partito dal talento di nonno Remo, depositario di una straordinaria manualità, suo papà aveva poi trasformato quell arte in impresa ed ora toccava a lei ed ai suoi tre fratelli continuare a tracciare il percorso. Orgoglio, voglia di sapere e innanzitutto passione, da quella prima esperienza allo show room hanno poi continuato a farla crescere, portandola oggi ad essere Direttore Commerciale e Marketing dell azienda. Mentre Silvia prendeva posto in sala ripensò a Villa D Este e già allora, parlando con Snaidero, era emersa la parola giovani. Evidentemente certi percorsi, pur seguendo traiettorie imprevedibili e simili a gocce d acqua lungo un vetro, sono destinati a raggiungere una meta. Silvia si accomodò in sala aspettando l inizio dell assemblea. Ettore Corà Anche Ettore si trovò in quella sala seguendo le 47

48 indicazioni di una mail. Pur avendo già avuto in passato delle esperienze associazionistiche, quella era la sua prima volta all interno della Federazione. Guardandosi in giro si rese subito conto di non conoscere nessuno e non era difficile intuire che il suo disagio era un po il disagio di tutti, visto che sulla sala sembrava gravare un alone di timidezza diffusa. Comunque era soddisfatto di essere presente, sapeva quanto un associazione può essere di conforto e d appoggio nella vita di un imprenditore. Oltre a quella sorta d imbarazzo generale, anche nel mezzo silenzio dell auditorium era comunque percepibile un clima positivo, di cambiamento, di desiderio d impegnarsi in un qualcosa che ancora non era neppure stato tratteggiato, ma che già profumava di nuovo. Poi, pensandoci bene, tutti si trovavano lì uniti in una qualche maniera dal materiale che lui aveva iniziato ad amare sin da bambino. Il legno. L odore del legno è memoria. Gli ricordava le scorazzate in bicicletta per l azienda, avvolto dall odore di questo elemento che accompagna 48

49 l uomo da sempre. Dopo la laurea in economia e commercio, Ettore aveva trascorso sei mesi in Inghilterra, occupandosi sempre di legname. Quindi il ritorno nell azienda di famiglia, ad Altavilla Vicentina, dove si era dato due anni di prova per comprendere se quella sarebbe stata la sua vita. Di anni ne erano passati otto e quel lavoro si era trasformato definitivamente nella sua passione. L amore per la sua attività, se possibile, con il tempo era aumentato, come erano aumentate le responsabilità e le competenze. La cultura del legno ed il suo corretto utilizzo da anni facevano oramai parte del suo progetto di imprenditore e di uomo. Certo, Ettore si sente tuttora al posto suo, nell attimo in cui riesce ad interfacciarsi con il mondo produttivo. Con gli artigiani che il legno lo usano, lo addomesticano e lo domano. Le mani di un artigiano sono mani d artista, in un mondo dove il saper fare è virtù sempre più rara e per questo preziosa. Tutto era iniziato con Domenico, bisnonno di Et- 49

50 tore, nel lontano Mondi lontani e presenti solo in qualche vecchia foto sbiadita. A parte la sede principale rimasta sempre ad Altavilla Vicentina, tutto era cambiato. La tecnologia, i mercati, le strategie, ma quel profumo di legno rimaneva un qualcosa d immutabile, fuori dal tempo e immune da qualsiasi alterazione. Ora le radici erano nel volto di Zio Gianfranco, 77 anni e Presidente dell azienda. In quella sala della Federazione, tutti dovevano qualcosa a quella nobile materia. Rimaneva ora da capire cosa avrebbero detto e proposto. Francesco Giannattasio Francesco si presentò all appuntamento accompagnato da una contentezza quasi incontenibile, in quanto l associazionismo era una parola che lo accompagnava da sempre. Dal 2004 era entrato a far parte di Federlegno Arredo e l assenza di un movimento giovanile interno all associazione l aveva avvertita sin dall inizio. 50

51 Alberto Conficconi, con invidiabile tempismo, aveva dato corpo e forma al suo pensiero ed alla sua volontà. Francesco era cresciuto con gli odori del legno nelle narici. Legno africano, americano, del nord Europa; ognuno con una fragranza diversa che allegramente prendeva possesso dell intero stabilimento di Montecorvino, ad un passo da Battipaglia. Del resto papà Leonardo l aveva sempre detto: nelle vene della nostra famiglia scorre segatura!. Aveva ragione papà. Quando con il treno arrivavano i tronchi dalla Svezia e Francesco adolescente se ne stava in segheria, bastava socchiudere gli occhi per sognare laghi e montagne. Quel profumo di bosco riempiva cuore e polmoni e persino l aria sembrava rinfrescarsi, rispettando questa meravigliosa illusione. Se invece si tagliava il mogano proveniente dall Africa centrale, il clima sembrava adeguarsi a quell odore intenso che emanava caldo ed evocava terre misteriose e impenetrabili. Nonno Francesco durante la prima guerra mondiale 51

52 aveva fatto il falegname al seguito delle truppe. Tra Gorizia e Innsbruck aveva riparato molti ponti e soprattutto assemblato centinaia di croci per i morti. Croci semplici, da piantare in ogni angolo di terra dove una pallottola o una bomba avevano compiuto la loro missione. La guerra poi finì, ma il nonno continuò ad occuparsi di legname. È stato sempre uguale nonno Francesco, piccolo, magro, allegro e perennemente in salute fino al giorno in cui ci ha lasciato, esattamente ad un mese dalla scomparsa di nonna Rosa. Il fiore più bello della sua vita. Sulla sua lapide una semplice epigrafe: Qui riposa Francesco Giannattasio. Il lavoratore. Anche il nipote omonimo aveva iniziato presto a lavorare sbirciando la manualità e le mansioni degli operai. Faceva domande il piccolo Francesco, ma raramente otteneva risposte, così imparò ben presto l arte dell osservare restando in silenzio e cercando di catturare schegge d esperienza altrui. Nel 92, quando stava frequentando Economia 52

53 Aziendale all Università di Siena, un capo area passò improvvisamente alla concorrenza e Francesco fu costretto a rilevarne immediatamente il posto. Nel giro di un paio d anni recuperò quasi tutti i clienti, annullando così il possibile contraccolpo. Quella piccola grande impresa gli costò una laurea mai più conseguita, notti in bianco e mesi d incessante lavoro. Da allora la vita di Francesco è quella dell azienda, della famiglia composta dalla moglie e due splendide creature, della fede che lo accompagna e dell associazionismo che rimane un punto fermo della sua esistenza. Mauro Mastrototaro Quella mattina, come del resto accadeva quasi sempre, la sveglia suonò prestissimo. Quando Mauro uscì di casa Antonella ancora dormiva e così anche Gaia e Martina, le due bambine. La famiglia. Quella per cui si vive e tutto viene fatto. Poi da Bisceglie fino all aeroporto di Bari, appe- 53

54 na in tempo per infilarsi dentro il primo volo della giornata su Milano. Lui non solo sarebbe stato l unico rappresentate della Puglia, ma anche uno dei pochissimi provenienti del meridione. Come se non bastasse, in mezzo ad un mondo di aziende specializzate nell arredamento, la sua si occupava d imballaggi; insomma, c erano sufficienti elementi per non sentirsi propriamente al centro di quell incontro. Mauro in mezzo a tronchi e cassette di legno c era nato. Aveva otto anni quando alla vecchia fabbrica, dietro il porto, sentendo una taglierina che si era messa in moto per sfogliare tronchi, provò una strana sensazione di gioia. Quasi che il rumore di quell attrezzo ricordasse i suoni della festa. C erano sempre i tronchi in mezzo alla strada fuori dall azienda e la segatura addolciva le forme dei marciapiedi. Naturalmente con il tempo tutto era mutato e successivamente erano emigrati in un non luogo, cioè nella zona industriale; aree che si assomigliano un po tutte a qualsiasi latitudine, senza un anima, con strade identiche 54

55 che s incrociano in sequenze infinite. E dire che quando nell 89 aveva scelto di acquistare in quella zona, i debiti contratti gli avevano tolto sonno ma moltiplicato energie e senso di responsabilità. Mica facile prendere certe decisioni e forse un associazione sarebbe servita proprio a questo; condividere la solitudine delle scelte, avere il supporto di un collega che nei tuoi problemi intravede le sue paure. Allora si parla, si cresce, si cammina assieme. Quando Mauro varcò la soglia della Federazione, nel cuore della vecchia Milano ad un passo dal Castello Sforzesco, si guardò attorno leggermente spaesato. Non conosceva ovviamente nessuno, ma lo consolò il fatto che quell aria di velato imbarazzo sembrava aver contagiato tutti come un virus influenzale. Di esperienza ne aveva oramai accumulata Mauro, dopo il Tecnico Commerciale si era iscritto a Giurisprudenza (corso di laurea in scienze politiche), quindi una vita spaccata tra studio e azienda di famiglia. Poi la scelta fondamentale, quella che 55

56 profumava di legno e segatura. I periodi difficili non erano mancati, come negli anni 80, quando la plastica sembrava vincere su tutto e rappresentare il futuro dell umanità. Eppure anche allora Mauro non ebbe cedimenti restando ancorato alle sue convinzioni; il legno e l uomo avevano una storia di condivisioni troppo lunga, era impossibile che tutto potesse concludersi così. Il legno significa rispetto per l ambiente, sostenibilità, riciclo. Insomma bisognava attendere e poi la storia avrebbe ripreso il suo corso. Le ventimila tonnellate di legna all anno che attualmente movimenta, trasformandole in dieci milioni di cassette, oggi sono lì a dargli ragione. Era andata bene. Osservando le tante persone in sala, lo colpì un altro aspetto: la trasversalità. Stringendo qualche mano, presentandosi ed ascoltando altri commenti, ebbe modo di rendersi conto che in quella sala erano rappresentati un po tutti. Con questa sensazione rincuorante, anche lui si accomodò aspettando che qualcuno parlasse. 56

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