Compendio di teoria della misura (con un occhio alla probabilità) D.Bertacchi, M.U.Dini

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1 Compendio di teoria della misura (con un occhio alla probabilità) D.Bertacchi, M.U.Dini 11 settembre 2006

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3 Indice 0 Prefazione Notazione Spazi di misura Algebre e σ algebre Misure Probabilità Approfondimenti σ algebre come informazione Rappresentazione degli elementi delle σ algebre Cardinalità delle σ algebre Misure reali e misure complesse Estensione di misure Costruzione dell estensione Unicità dell estensione Completezza Costruzione della misura di Lebesgue su R n Probabilità generali e probabilità uniforme su [0, 1] Approfondimenti Il teorema della classe monotona Integrale astratto di Lebesgue Funzioni misurabili Integrazione di funzioni semplici positive Integrazione di funzioni positive Integrazione di funzioni integrabili Teoremi di convergenza Confronto Riemann-Lebesgue Integrali rispetto ad altre misure, serie Approfondimenti Approssimazione di funzioni positive con successioni monotone di semplici

4 4 INDICE 4 Probabilità su R Probabilità discrete e assolutamente continue Funzione di ripartizione di una probabilità su R Probabilità singolari e teorema di rappresentazione Integrale di Lebesgue-Stieltjes Approfondimenti Teorema di rappresentazione di Riesz Teorema di Radon-Nikodym Funzioni assolutamente continue Integrali di Stieltjes Misura e integrazione in spazi prodotto Prodotto cartesiano e rettangoli Sezioni Misura prodotto Integrale prodotto e integrali iterati

5 Capitolo 0 Prefazione 0.1 Notazione Nel corso di queste dispense le stesse lettere verrano utilizzate per indicare oggetti diversi e lettere diverse verranno utilizzare per indicare stessi oggetti. Ad esempio L potrà, a seconda del contesto, essere una semplice famiglia di insiemi, una sigma-algebra, la sigma-algebra di Lebesgue su (0, 1] o sempre la sigma-algebra di Lebesgue ma sull intera retta R. Il contesto NON sarà sufficiente a garantire chiarezza per raggingere la quale il lettore tenterà inutilmente di rivolgersi a testi più attendibili quali il Billingsley o l Halmos. Infatti sfogliando i suddetti testi il gentil lettore avrà l amarezza di scoprire che il primo le sigma-algebre di Lebesgue non le nomina nemmeno (ma chiama R i le sigma-algebre di Borel) mentre l altro le chiama S in quanto completamento della sigma-algebra di Borel chiamata S. Lo stesso (Halmos) chiama la misura di Lebesgue µ in quanto completamento della misura µ sulla sigma-algebra di Borel. Per far sparire ogni dubbio sulla possibilità di un testo chiaro, l autore si affretta a specificare che per praticità al posto di µ verrà usato il più semplice µ. È opportuno avvisare il lettore che sempre il medesimo autore usa in tutto il testo sempre e solo µ per indicare ogni sorta di misura che gli venga in mente di citare. Le cose non vanno meglio con Billingsley. Cito testualmente: Se Ω 0 F, allora F Ω 0 = [A : A Ω 0, A F]. Se Ω = R 1, Ω 0 = (0, 1], e F = R 1, e se A è la classe degli intervalli finiti sulla retta, allora A Ω 0 è la classe dei subintervalli di (0, 1], e B = σ(a Ω 0 ) è dato da: B = [A : A (0, 1], A R 1 5

6 6 CAPITOLO 0. PREFAZIONE Un sottoinsieme di (0, 1] è quindi un insieme di Borel (giace in B) se e solo se è un insieme di Borel sulla retta (giace in R 1 ) e pertanto la distinzione nella notazione può essere omessa. A parte che nelle prime due righe compaiono 8 (otto) simboli diversi definiti in altrettante diverse pagine del testo, anche in questo caso stessa notazione per oggetti diversi. Resta un dubbio: quale tra gli otto simboli esposti nelle righe precedenti non verrà più utilizzato nel seguito? Billingsley non lo dice...

7 Capitolo 1 Spazi di misura In questo capitolo definiremo gli spazi di misura, cioè le terne (Ω, F, µ) dove Ω è un insieme, F è una σ algebra su Ω e µ è una misura su F. Gli spazi di probabilità sono un caso particolare e lo metteremo in luce scrivendo P al posto di µ. 1.1 Algebre e σ algebre Definizione 1. Una classe F di sottoinsiemi di Ω è un algebra se soddisfa le tre condizioni: (i) Ω F; (ii) A F implica A c F (cioè F è chiusa rispetto alla formazione di complementari); (iii) A 1,..., A n F implica n i=1 A i F (cioè F è chiusa rispetto alla formazione di unioni finite). Nella definizione di algebra compaiono solo due operazioni insiemistiche: il complementare e l unione. In realtà le altre operazioni (intersezione, differenza, differenza simmetrica) possono essere scritte usando solo le due operazioni di cui sopra, perciò se una famiglia di sottoinsiemi F è un algebra, essa risulta chiusa anche rispetto alla formazione di intersezioni finite, differenze e differenze simmetriche. Esercizio 1. Dati A, B, A 1,...,A n insiemi, scrivere gli insiemi differenza A \ B, differenza simmetrica A B e intersezione A 1 A n, utilizzando solo il simbolo di unione e di complementare (ricordiamo che A B = (A \ B) (B \ A)). Definizione 2. Una classe F di sottoinsiemi di Ω è una σ algebra se soddisfa le tre condizioni: (i) Ω F; (ii) A F implica A c F (cioè F è chiusa rispetto alla formazione di complementari); 7

8 8 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA (iii) {A n } n 1 F implica A n F (cioè F è chiusa rispetto alla formazione di unioni numerabili). La differenza fra la definizione di algebra e quella di σ algebra sta nella terza richiesta, dove appare chiaro che la numerabile additività è una richiesta più forte della finita additività. Come le algebre, anche le σ algebre risultano chiuse rispetto alla formazione di differenze, differenze simmetriche e intersezioni finite, nonché, in virtù della richiesta (iii), anche rispetto alla formazione di intersezioni numerabili. Esercizio 2. Una σ algebra è anche un algebra. Esempio 1. La più piccola σ algebra in Ω è {, Ω}. La più grande è l insieme delle parti P(Ω). Osserviamo che in generale un algebra non è detto sia una σ algebra, come mostra il seguente esercizio. Esercizio 3. Sia Ω un insieme infinito, sia F la famiglia di sottoinsiemi di Ω che o sono finiti o cofiniti (il loro complementare è finito) e sia G la famiglia di sottoinsiemi di Ω che o sono numerabili o conumerabili (il loro complementare è numerabile). a. Dimostrare che F è un algebra ma non è una σ algebra. b. Dimostrare che G è una σ algebra. c. G è chiusa rispetto alle unioni arbitrarie? Quando G = P(Ω)? Definizione 3. Dato un insieme Ω e una σ algebra F su di esso, la coppia (Ω, F) è detta spazio misurabile, e gli elementi di F sono anche detti F misurabili o semplicemente misurabili. Gli elementi F misurabili sono gli insiemi su cui poi andremo a definire la misura (o, nel caso della teoria delle probabilità, ne definiremo la probabilità). Nella teoria delle probabilità inoltre gli insiemi misurabili sono anche detti eventi. Un paio di esempi ci chiariranno perché è naturale chiedere che la classe degli insiemi misurabili sia una σ algebra piuttosto che un algebra. Esempio 2. Si lanci una moneta infinite volte: sappiamo che la probabilità dell insieme A i = esce testa all i-esimo lancio è 1/2, e in particolare tale insieme è un evento. (a) Sarebbe interessante determinare la probabilità dell insieme A = esce testa prima o poi, dunque come minimo questo insieme deve essere un evento. È facile vedere che A = i=1 A i, e se la classe degli eventi è una σ algebra il fatto che A sia un evento è conseguenza del fatto che gli A i sono eventi. (b) Marco e Paolo giocano a testa e croce, Marco vince 1 euro ogni volta che esce testa (e Paolo lo perde), e viceversa se esce croce. Marco ha inizialmente a euro e Paolo b euro, e giocano finché uno dei due non può proseguire perché non ha più denaro. Ci si può chiedere qual è la probabilità che a perdere tutto sia Marco. Vedremo che l insieme Marco perde tutto è un unione numerabile di intersezioni finite di eventi A i, dunque è sicuramente evento se la classe degli eventi è una σ algebra (mentre non lo sarebbe necessariamente se tale classe fosse solo un algebra).

9 1.1. ALGEBRE E σ ALGEBRE 9 Spesso ci si focalizza su una famiglia ristretta di insiemi semplici (chiamiamola A), che si vuole siano misurabili, dopo di che si cerca una σ algebra che contenga questi insiemi semplici. Ovviamente P(Ω) è fra le σ algebre candidate, ma noi siamo interessati a quella minimale, cioè alla più piccola σ algebra che contiene A. Definizione 4. Data una famiglia A di sottoinsiemi di Ω, σ(a) := è la σ algebra generata da A. Fα A F α σ algebra Proposizione 1. Sia A una collezione di sottoinsiemi di Ω. Allora σ(a) è una σ algebra ed è la più piccola che contenga A. Dim. Cominciamo con l osservare che gli elementi di σ(a) sono quei sottoinsiemi di Ω che sono elementi di ognuna delle σ algebre F α che contengono la famiglia A. La tesi è conseguenza dei tre punti seguenti: 1. L intersezione di σ algebre è una σ algebra: infatti poiché Ω F α per ogni α (le F α sono σ algebre) allora Ω σ(a). Se A σ(a) significa che A F α per ogni α, ma allora vale anche A c F α per ogni α e dunque A c σ(a) (e dunque σ(a) è chiusa rispetto alla formazione di complementari). Infine se {A n } n 1 σ(a) significa che {A n } n 1 F α per ogni α e allora A n F α per ogni α, da cui A n σ(a). 2. L intersezione che definisce σ(a) è non vuota, cioè esiste almeno una F α, infatti P(Ω) è una σ algebra che contiene A (qualunque sia A). 3. Se G è σ algebra che contiene A, allora σ(a) G. Infatti G è una delle σ algebre la cui intersezione definisce σ(a). F α Esercizio 4. (1) Sia F una σ algebra. Dimostrare che σ(f) = F. (2) Sia A la famiglia dei singoletti. Determinare σ(a). (3) Sia A = { }. Determinare σ(a). (4) Sia A = {Ω}. Determinare σ(a). (5) Sia A la classe vuota. Determinare σ(a). (6) Dimostrare che se A A allora σ(a) σ(a ). (7) Dimostrare che se A A σ(a) allora σ(a) = σ(a ).

10 10 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA (8) Determinare σ(a) nei seguenti tre casi: A = {A}, A = {A, B}, A = {A 1,...,A n } con A i partizione disgiunta di Ω. Concludiamo con la definizione di una σ algebra molto importante: quella dei boreliani. La definizione è ambientata in un qualsiasi spazio topologico a partire dagli aperti, noi naturalmente la useremo per lo più in R n. Definizione 5. Sia τ la classe degli insiemi aperti di R n. Denotiamo con B(R n ) B n := σ(τ) la σ algebra di Borel di R n, e chiamiamo boreliani i suoi elementi. Analogamente in un qualsiasi spazio topologico (Ω, τ) la σ algebra di Borel è quella generata da τ. Su R (e analogamente su R n ) per ottenere B 1 non è necessario utilizzare tutti gli aperti, infatti vale la seguente proposizione. Proposizione 2. La σ algebra B 1 è generata da una qualsiasi delle seguenti classi di sottoinsiemi di R: 1. da I 1, classe degli intervalli (a, b] (oppure [a, b), o (a, b), o [a, b]); 2. da I 2, classe degli intervalli (, b] (oppure (, b)); 3. da I 3, classe degli intervalli [a, + ) (oppure (a, + )). Dim. Basta mostrare che ogni elemento di τ può essere scritto tramite operazioni insiemistiche a partire dagli elementi di I j, j = 1, 2, 3, e viceversa. In particolare accenniamo alla dimostrazione nel caso j = 1: (a, b] = (a, + ) \(b, + ) (differenza di due aperti) dunque I 1 B 1 e dunque σ(i 1 ) B 1. Viceversa dalle nozioni di topologia su R è noto che gli aperti di R sono unione al più numerabile di intervalli aperti (x, y) e ognuno di essi può essere scritto come (x, y 1/n]. Analogamente si procede per [a, b) e [a, b] ((a, b) è un aperto perciò non c è nulla da dimostrare). Si potrebbe pensare che data una classe di insiemi M, si riesca a dare una rappresentazione degli elementi di σ(m) in funzione degli elementi di M (in effetti una cosa del genere si riesce a fare con le topologie, si vedano gli approfondimenti). In realtà questo, non appena M = +, diviene in generale impossibile e, scelto A Ω, non neppure semplice decidere se A σ(m) oppure no. Tuttavia fortunatamente spesso non occorre conoscere tutti gli insiemi di una certa σ algebra F, ma solo sapere che a F appartengono determinati insiemi (come gli intervalli o gli aperti nel caso dei boreliani), oppure che certe proprietà valgono per tutti gli elementi di F. Esercizio 5. Sia Ω un insieme e siano x e y due suoi elementi. Sia A la famiglia di sottoinsiemi di Ω tali che se A A e x A allora è anche y A (ovvero tutti gli elementi di A che contengono x contengono anche y). Allora questa proprietà rimane vera per tutti gli elementi di σ(a).

11 1.2. MISURE Misure Definizione 6. Data un algebra F una funzione µ : F [0, + ] si dice finitamente additiva se si ha che per ogni A 1,...,A n di elementi di F e a due a due disgiunti vale ( n ) n µ A i = µ(a i ), i=1 Ha senso chiedere che la misura soddisfi la proprietà di finita additività perché è il modo più naturale e ovvio per definire la misura sull unione finita di insiemi disgiunti dell algebra. Ciò, però, non sarà sufficiente in quanto, abbiamo visto, risulta necessario lavorare con una σ-algebra e non solo con un algebra. Pertanto dovremo introdurre una condizione più restrittiva che fornisca le medesime garanzie ma su una famiglia per la quale vale l unione numerabile. i=1 Definizione 7. Data una σ algebra F una funzione µ : F [0, + ] è una misura se è numerabilmente additiva ovvero se soddisfa la seguente richiesta (detta di numerabile additività o σ-additività): per ogni successione {A n } n 1 di insiemi F misurabili e a due a due disgiunti vale ( ) µ A n = µ(a n ). Si dice che µ è una misura finita se µ(ω) < + (si dice anche che µ ha massa totale finita). Un caso particolare è quello in cui µ(ω) = 1: in quel caso µ è per definizione una misura di probabilità. La misura è invece σ finita se Ω è unione numerabile (non necessariamente disgiunta) di insiemi misurabili di misura finita. Definizione 8. Dato uno spazio misurabile (Ω, F) e una misura µ su F, la terna (Ω, F, µ) è detta spazio di misura (e se µ è una probabilità è detta spazio di probabilità). Alcune correnti di pensiero, in particolare per studiare le probabilità (si veda De Finetti [3]) preferiscono utilizzare una definizione di misura che richieda solo la finita additività, ritenendo che la numerabile additività non sia un assioma giustificato. Tuttavia la numerabile additività permette di ottenere molti risultati con relativa facilità: perciò seguiremo la linea di quella che ormai è la teoria della misura e della probabilità largamente utilizzata in tutto il mondo.

12 12 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA Osservazione 1. Riguardo alla numerabile additività, notiamo che l unione A n è invariante rispetto a riordinamenti della successione A n, dunque potrebbe sorgere il dubbio che vada richiesto che la serie µ(a n) converga (e allo stesso numero) qualsiasi sia l ordine dei suoi termini. Ma è noto che una serie a termini positivi se converge, converge assolutamente, dunque incondizionatamente (e se non converge diverge a + qualunque sia l ordine dei termini). Nel prossimo capitolo vedremo come costruire misure interessanti, nel frattempo vediamo due facili esempi di misure. Esempio 3. (a) La misura del conteggio ν c è definita su P(Ω): { A se A è finito ν c (A) = + se A è infinito dove A indica il numero di elementi di A. ν c è finita se Ω è finito, mentre è σ finita (ma non finita) se Ω è numerabile. (b) Fissato ω 0 Ω, la massa concentrata in ω 0, o delta di Dirac in ω 0, è la misura di probabilità δ ω0 definita su P(Ω): { 1 se A ω 0 δ ω0 (A) = 0 se A ω 0 Passiamo ora alle proprietà delle misure che discendono dalla definizione. Proposizione 3. Sia µ una misura su una σ algebra F. Allora 1. µ( ) = µ è finitamente additiva. 3. µ è monotona, cioè A B implica µ(a) µ(b). 4. µ è numerabilmente subadditiva, cioè ( ) µ A n µ(a n ), {A n } n 1 F. 5. µ è continua dal basso, cioè µ(a n ) µ(a) se A n A, ovvero A = A n e A 1 A 2 A 3 6. µ è condizionatamente continua dall alto, cioè µ(a n ) µ(a) se µ(a 1 ) < + e A n A, ovvero A = A n e A 1 A 2 A 3

13 1.2. MISURE 13 Dim. 1. Dalla numerabile additività: ( ) µ( ) = µ = µ( ), da cui segue che non può essere µ( ) > 0 e dunque µ( ) = Data un unione finita n i=1 A i, basta scriverla come unione numerabile aggiungendo infinite volte il vuoto: A 1 A 2 A n = A 1 A 2 A n... e per la numerabile additività di µ si ha che ( n ) µ A i = µ (A 1 A n...) = i=1 n µ(a i ) + µ( ) + µ( ) +, i=1 che grazie a 1. porta alla tesi. 3. Se A B allora B = A (B \ A) e questa unione è disgiunta, perciò per la finita additività µ(b) = µ(a) + µ(b \ A) µ(a). 4. Definiamo la sequenza di eventi disgiunti B 1 = A 1 e B n := A n \ A n 1 per n 2. Allora A n = B n e allora dalla numerabile additività ricaviamo ( ) µ A n = µ(b n ) e per la monotonia µ(b n ) µ(a n ) (infatti B n A n ) e quindi la tesi segue da µ(b n ) µ(a n ). 5. Utilizziamo ancora la sequenza disgiunta {B n } n definita al punto precedente, e osserviamo che µ(a n ) = n i=1 µ(b i). Inoltre per la numerabile additività è µ(a) = i=1 µ(b i). Ma allora (dalla definizione di serie) µ(a) = lim n n i=1 µ(b i ) = lim n µ(a n ).

14 14 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA 6. Definiamo A n := A 1 \ A n (A n è il complementare dentro A 1 di A n ). Allora la sequenza {A n} n è crescente e A := A n = A 1 \ A n. Per il punto precedente D altra parte e µ(a ) = lim µ(a n ). (1.1) n ( ) µ(a ) = µ(a 1 ) µ A n = µ(a 1 ) µ(a). µ(a n ) = µ(a 1) µ(a n ). Da queste due equazioni e da 1.1 segue la tesi. Ovviamente una misura finita (ad esempio una probabilità) è sempre continua anche dall alto. Vediamo un esempio in cui la continuità dall alto non vale. Esempio 4. Sia ν c la misura del conteggio su N e sia A n = {n, n + 1, n + 2,...}. Allora A n ma ν c (A n ) = + per ogni n. 1.3 Probabilità Come abbiamo già detto nel paragrafo precedente, una probabilità P è una misura per cui P(Ω) = 1. Questa caratteristica consente di ottenere ulteriori proprietà per le probabilità (che si possono generalizzare per le misure finite). Proposizione 4. Sia (Ω, F, P) uno spazio di probabilità. Valgono le seguenti proprietà. (a) Se A F allora P(A c ) = 1 P(A). (b) Se A, B F allora P(A B) = P(A) + P(B) P(A B). (c) Principio di inclusione-esclusione: dati A 1,...,A n F si ha ( n ) P A i = P(A i ) P(A i A j ) + ( 1) n 1 P(A 1 A n ). i=1 i i<j La dimostrazione è lasciata al lettore per esercizio. Nel prossimo capitolo vedremo che sarà utile poter dimostrare che una funzione definita su un algebra a valori in [0, + ] è σ additiva. Per questo sono utili i criteri forniti dal seguente teorema. Teorema 1. Sia F una σ algebra in Ω e P : F [0, 1] sia finitamente additiva. Allora i seguenti fatti sono equivalenti.

15 1.4. APPROFONDIMENTI 15 (a) P è numerabilmente additiva; (b) P è numerabilmente subadditiva; (c) P è continua dal basso: se A n F, A n A e A F, allora P(A n ) P(A); (d) P è continua dall alto: se A n F, A n A e A F, allora P(A n ) P(A); (e) P è continua al vuoto: se A n F, A n, allora P(A n ) 0; Dim. (a) (b) (c) (d) si dimostra come nella Proposizione 3, mentre è ovvio (d) (e). Occorre mostrare che, in presenza della finita additività, (e) (a). Infatti se {A n } n 1 è una successione di eventi disgiunti, per la finita additività vale ( ) ( k ) ( P A n = P A n + P = ( k P(A n ) + P n=k+1 n=k+1 A n ) A n ) Il secondo termine va a zero per l ipotesi di continuità al vuoto, dato che n=k+1 A n, per k che tende a infinito. Come commento notiamo che l enunciato resta valido nei seguenti casi: 1. per misure finite (non necessariamente limitate da 1); 2. per P definita su un algebra F anziché una σ algebra. In tal caso per enunciare correttamente le proprietà bisogna chiedere che esse valgano ogni qual volta A n F e i=n A n F (o i=n A n F se si parla del limite da sopra). Infatti il fatto che l unione e l intersezione numerabile stiano in F non è garantito a priori se F è un algebra; 3. per misure non finite resta vera l equivalenza di (a), (b) e (c) Approfondimenti σ algebre come informazione Una domanda potrebbe apparire a questo punto naturale. Qual è l importanza della σ algebra quando poi degli insiemi misurabili si valuta la misura? Equivalentemente, nell ambito della teoria delle probabilità, qual è il ruolo della σ algebra degli eventi, dato che poi quello che interessa è la probabilità degli eventi stessi? Il ruolo risulta più chiaro (e diventa cruciale nell ambito dello studio dei processi stocastici) se si interpreta la σ algebra F degli insiemi misurabili come informazione da noi posseduta riguardo allo spazio Ω. Gli elementi di F sono quelli che conosciamo, cioè quelli di cui possiamo valutare la misura. È chiaro che l optimum si ha con F = P(Ω) (informazione

16 16 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA = tutti i sottoinsiemi di Ω), ma ad esempio se F = σ(a 1, A 2, A 3, A 4 ) con gli A i come in figura, allora l informazione è limitata ai quattro insiemi A 1 e alle loro unioni (si veda l esercizio 4). Ω Α 1 Α Α 3 2 Α 4 In particolare, se (Ω, F, P) è uno spazio di probabilità, sappiamo che Ω è l insieme dei possibili esiti ω di un esperimento aleatorio e la scelta di ω Ω (cioè di quale esito particolare si realizza) è fatta dal caso secondo la probabilità P. Nella figura qui sotto se il caso sceglie ω noi, tramite l informazione della famiglia F non sappiamo quale elemento preciso sia ω, ma sappiamo che ω A 2. Ω Α 1 Α 2 ω Α 4 Α 3 In generale la σ algebra F rappresenta l informazione nel senso che quando il caso sceglie l esito particolare ω, noi sappiamo dire, per ogni A F, se ω A oppure no. Per approfondire questo concetto, si veda [1] a pagina Rappresentazione degli elementi delle σ algebre Abbiamo già accennato al problema della non rappresentabilità degli elementi di una σ algebra. Infatti confrontandoci con quanto avviene per le topologie potremmo essere indotti a credere che sia facile, data una famiglia di insiemi A, capire come sono fatti gli elementi di σ(a). Nel caso della topologia, per costruire a partire da A la più piccola famiglia di insiemi τ che contenga A e sia stabile rispetto ad intersezioni finite e unioni qualunque (definizione

17 1.4. APPROFONDIMENTI 17 di topologia generata da A), basta considerare tutte le intersezioni finite di elementi di A, ottenendo così la famiglia C, e poi le unioni qualunque degli elementi di C (si veda ad esempio il Capitolo 3 di [2]). Dunque con due passaggi leciti si hanno tutti gli elementi della topologia. Per le σ algebre sono leciti i complementari e le unioni finite o numerabili. Tuttavia si può dimostrare (si veda [1] pagina 30) che ripetendo un numero finito di volte queste operazioni sugli elementi di A = intervalli di (0, 1], non si ottengono tutti i boreliani. Non solo, neppure ripetendole un insieme numerabile di volte (già definire cosa questo significhi genera problemi!), a meno di farlo in maniera ordinata. Siamo qui volutamente vaghi: per essere più precisi occorrerebbe la teoria dei numeri ordinali infiniti Cardinalità delle σ algebre È piuttosto semplice vedere che una σ algebra generata da una partizione finita di Ω (cioè F = σ(a) dove A = {A 1,...,A n } con A i A j = per i j e Ω = n i=1 A i) ha cardinalità 2 n. Inoltre conosciamo σ algebre aventi la cardinalità del continuo: ad esempio P(N) ha cardinalità c = 2 ℵ 0 (c è il simbolo con cui si indica la cardinalità del continuo, mentre ℵ 0 che si legge aleph zero indica la cardinalità del numerabile). Inoltre si potrebbe dimostrare che i B((0, 1]), B 1 e B(R n ) hanno la cardinalità del continuo. È naturale chiedersi se esistono σ algebre infinite con cardinalità inferiore al continuo, ovvero, assumendo valida l ipotesi del continuo (che dice che non esistono cardinalità intermedie fra ℵ 0 e c), se esistono σ algebre numerabili (attenzione: stiamo contando gli elementi della σ algebra, non di Ω!). La risposta è negativa, come mostra il seguente esercizio. Esercizio 6. Mostrare che non esiste una σ algebra F tale che F = ℵ Misure reali e misure complesse Le misure definite in questo capitolo sono a valori in [0, + ], ma si possono anche definire misure a valori in R (misure reali o con segno) o C (misure complesse). In tal caso l unica richiesta diviene la numerabile additività, ovvero che, se {A n } è una successione disgiunta, ( ) µ A n = µ(a n ) (e la convergenza assoluta della serie è parte della richiesta). Tali misure compaiono quando si voglia definire una misura ν a partire da un altra misura µ e da una funzione f (reale o complessa): ν(a) = fdµ. A

18 18 CAPITOLO 1. SPAZI DI MISURA

19 Capitolo 2 Estensione di misure Supponiamo di aver costruito un algebra A di sottoinsiemi di Ω e di aver definito una misura su tale algebra. Nel capitolo precedente abbiamo appurato che, data una famiglia di sottoinsiemi di Ω, esiste sempre ed è unica la σ-algebra generata da tale famiglia: dunque sappiamo estendere la famiglia a una σ-algebra che la contenga. In questo capitolo vedremo che, sotto certe condizioni, esiste ed è unica anche l estensione a σ(a) della misura definita su A. Come caso particolare vedremo la costruzione della misura di Lebesgue. 2.1 Costruzione dell estensione Sia µ una misura definita su un algebra F 0 di sottoinsiemi di Ω (ovvero che soddisfi i requisiti della Definizione 6 del Capitolo 1). Ci proponiamo di estendere µ a σ(f 0 ). Definizione 9. Dato un evento A Ω chiamiamo misura esterna la quantità: µ (A) = inf µ(a n ) A dove l operazione inf è estesa a tutte i ricoprimenti A {A 1, A 2,...} finite o numerabili di A ovvero a tutte le famiglie A di insiemi di F 0 tali che A + A n. Osservazione 2. Rammentiamo che un ricoprimento non è necessariamente una partizione dunque gli elementi A n del ricoprimento non sono per forza disgiunti ma è chiaro che meno essi si sovrappongono e più la somma delle misure si avvicina a µ (A). Osservazione 3. Se A F 0 allora µ (A) = µ(a) (il ricoprimento minimale è quello costituito dal solo A). Affinché la misura esterna sia una misura occorre che sia per lo meno finitamente additiva. Questo non è in generale vero se la consideriamo definita su P(Ω), ma mostreremo invece che vale se la consideriamo ristretta agli insiemi misurabili secondo la seguente definizione. 19 n

20 20 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE Definizione 10. Un sottoinsieme A di Ω si dice µ -misurabile se soddisfa il seguente criterio (di Carathéodory): µ (A E) + µ (A c E) = µ (E) E Ω, e la classe degli insiemi µ -misurabili è indicata con M. In altre parole un insieme A è µ -misurabile se taglia bene in due ogni insieme E Ω: in figura A E e A c E hanno misure esterne che si sommano a dare µ (E). A E A c Ω Ora dovremo verificare che la famiglia M appena costruita costituisce una σ algebra, che essa contiene la σ algebra generata da F 0 e che µ ristretta a σ(f 0 ) è proprio la misura che estende µ. A tale scopo serviranno alcune proprietà. Proposizione 5. La misura esterna µ gode delle seguenti proprietà: (i) µ (A) 0, per ogni A Ω; (ii) µ ( ) = 0; Dim. (iii) per ogni A, B P(Ω) con A B si ha che µ (A) µ (B) (monotonia); ( ) (iv) per ogni successione {A n } P(Ω) si ha che µ A n µ (A n ) (numerabile subadditività). (i) Per definizione µ (A) 0 (inf di quantità positive!). (ii) Per la proprietà precedente µ ( ) 0. L insieme vuoto appartiene a F 0 ed è ricoperto da se stesso, dunque µ ( ) = 0. (iii) Ogni ricoprimento di B ricoprirà anche A, dunque per definizione l inf che definisce µ (A) sarà minore o uguale di quello che definisce µ (B).

21 2.1. COSTRUZIONE DELL ESTENSIONE 21 (iv) Sia ε > 0. Possiamo scegliere {B n,k } k=1 successione di insiemi in F 0 in modo che e Allora e quindi k=1 A n B n,k µ(b n,k ) < µ (A n ) + ε 2 n. A n B n,k n,k ( ) µ A n µ(b n,k ) < n,k Dall arbitrarietà di ε discende la tesi. n µ (A n ) + ε. Lemma 1. M è un algebra. Dim. Verifichiamo le tre proprietà caratterizzanti: (i) Ω M, infatti E Ω si ha che µ (Ω E) + µ ( E) = µ (E) (ricordiamo che µ ( ) = 0). (ii) A M = A c M, infatti E Ω si ha che µ (A E) + µ (A c E) = µ (E). (iii) A, B M = A B M, infatti E Ω si ha che µ (E) = µ (B E) + µ (B c E) = µ (B A E) + µ (B A c E) + µ (B c A E) + µ (B c A c E) µ (B A E) + µ ((A B) c E) (per la prima uguaglianza abbiamo spezzato B E e B c E con A, mentre la disuguaglianza segue dalla subadditività). D altro canto, sempre per la subadditività, µ (A B E) + µ ((A B) c E) µ (E), e dunque µ (A B E) + µ ((A B) c E) = µ (E). Quindi A B M cioè M è chiusa rispetto alle intersezioni finite e ai complementari, perciò grazie alle formule di De Morgan, è chiusa anche rispetto alle unioni finite.

22 22 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE Lemma 2. Sia {A k } k=1 allora per ogni E Ω una successione finita o numerabile di insiemi disgiunti di M ) µ (E A k = µ (E A k ). k=1 k=1 Dim. Dividiamo la dimostrazione in più parti: Il caso finito {A k } n k=1 si dimostra per induzione: se n = 1 non c è nulla da dimostrare. se n = 2 se A 1 A 2 = Ω la relazione da dimostrare non è altro che il criterio di Carathéodory ( definente ) µ infatti, posto A 1 = A e A 2 = A c abbiamo che: µ E 2 A k = µ (E) = µ (E A) + µ (E A c ) = 2 µ (E A k ) k=1 se ( A 1 A 2 Ω ) allora trattiamo E (A 1 A 2 ) come un qualsiasi E Ω: µ E 2 A k = µ (E ) = µ (E A 1 ) + µ (E A c 1 ) = 2 µ (E A k ) k=1 se n > 2 chiamiamo B n = n A k e osserviamo che B n = B n 1 A n. Allora: ( ) k=1 µ E n A k = µ (E (B n 1 A n )) = µ (E B n 1 ) + µ (E A n ) perché k=1 il lemma vale per n = 2 e, infine, µ (E B n 1 ) + µ (E A n ) = n µ (E A k ) per l ipotesi induttiva. Il caso numerabile si dimostra sfruttando la monotonia e la numerabile subadditività di µ. Infatti, poiché n E n A k E A k, per la monotonia: ( ) ( k=1 ) k=1 µ E A k µ E n A k = n µ (E A k ) n µ (E A k ) k=1 k=1 k=1 D altro ( canto, per ) la numerabile ( subadditività, ricaviamo: µ E ) A k = µ (E A k ) µ (E A k ) k=1 da cui l asserto. k=1 k=1 k=1 k=1 k=1 k=1 Lemma 3. µ M è numerabilmente additiva. Dim. La numerabile additività di µ M si ricava dal lemma precedente ponendo E = Ω. Lemma 4. M è una σ algebra.

23 2.1. COSTRUZIONE DELL ESTENSIONE 23 Dim. Poiché abbiamo già visto che M è un algebra non ci resta da dimostrare che M è chiusa rispetto all unione numerabile. E per questo ci basterà mostrare che M è chiusa rispetto all unione numerabile disgiunta (in quanto ogni unione numerabile può essere scritta come unione numerabile disgiunta). A tale scopo sia A 1, A 2,... una successione numerabile di insiemi disgiunti di M e sia A = A k la sua unione. Sia inoltre B k = n A k l unione finita arrestata al termine n. k k=1 Ovviamente ogni B n M in quanto M è un algebra. Dobbiamo mostrare che anche A M ovvero che µ (E) = µ (E A) + µ (E A c ). Grazie alla numerabile subadditività basterà mostrare che µ (E) µ (E A)+µ (E A c ). Osserviamo che: µ (E) = µ (E B n ) + µ (E B c n) perché B n M; µ (E B n ) = n µ (E A k ) per il lemma precedente; k=1 µ (E B c n) µ (E A c ) per la monotonia di µ, essendo A c B c n; µ (E A) = µ (E A k ) ancora per il lemma precedente. k=1 Dunque: µ (E) = µ (E B n ) + µ (E Bn c) n µ (E A c ) = µ (E A) + µ (E A c ). Lemma 5. F 0 M. k=1 µ (E A k ) + µ (E A c ) n k=1 µ (E A k ) + Dim. Dobbiamo mostrare che se A F 0 allora A M. Infatti se A F 0 allora E Ω e ε > 0 esiste una successione A 1, A 2,... in F 0 tale che E A n e µ(a n ) µ (E)+ε. Siano B n = A n A e C n = A n A c. Allora B n e C n appartengono a F 0 perché F 0 è un algebra. Inoltre E A B n e E A c C n. Quindi: µ (E A) + µ (E A c ) µ(b n ) + µ(c n ) = µ(a n ) µ (E) + ε e, pertanto, A M. A questo punto conosciamo già molti insiemi µ misurabili: ad esempio tutti quelli di F 0, i loro complementari, le loro intersezioni o unioni numerabili. Molti altri insiemi sono µ misurabili, ad esempio quelli di misura esterna nulla. Lemma 6. Sia A Ω tale che µ (A) = 0. Allora A M.

24 24 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE Dim. Sia E Ω. Per la subadditività si ha che Inoltre per la monotonia dunque µ (A E) + µ (A c E) µ (E). µ (A E) = 0 e µ (A c E) µ (E), µ (A E) + µ (A c E) µ (E), da cui A M. Ne segue che tutti i sottoinsiemi di insiemi di misura esterna nulla sono misurabili. Corollario 1. Sia B A Ω e µ (A) = 0. Allora B M. Dim. La tesi deriva dal lemma precedente e dal fatto che per la monotonia µ (B) = 0. Lemma 7. µ F 0 µ. Dim. Se A F 0 allora µ (A) µ(a) per definizione di µ. Inoltre, se A A n e A n F 0 allora, per la monotonia e la subadditività di µ su F 0, µ(a) µ(a A n ) µ(a n ) da cui l asserto. Siamo ora pronti per dimostrare il seguente teorema. Teorema 2 (di estensione). Sia µ una misura definita su un algebra F 0 e sia F = σ(f 0 ) la σ algebra generata da F 0. Allora esiste l estensione µ di µ a F. Dim. Per i lemmi introdotti F 0 F M P(Ω). Inoltre µ (Ω) = 1 e µ M è una misura su M che su F 0 coincide proprio con µ. Allora µ F è l estensione cercata. Osservazione 4. Per semplicità solitamente (e anche noi adotteremo nel seguito tale convenzione) si scrive µ anziché µ. 2.2 Unicità dell estensione Definizione 11. Una famiglia A di sottoinsiemi di Ω è detta π-sistema se è chiusa rispetto all intersezione finita cioé se: (π) A, B A = A B A Definizione 12. Una famiglia A di sottoinsiemi di Ω è detta λ-sistema se contiene Ω ed è chiusa rispetto alla formazione di complementari e di unioni numerabili di insiemi disgiunti della famiglia ovvero se valgono le seguenti proprietà:

25 2.2. UNICITÀ DELL ESTENSIONE 25 (λ 1 ) Ω A; (λ 2 ) A A = A c A; (λ 3 ) {A n } successione in A di insiemi disgiunti = A n A. Osservazione 5. Se valgono le proprietà (λ 1 ) e (λ 3 ) allora (λ 2 ) è equivalente a: (λ 2) A, B A, A B = B \ A A. Infatti se L soddisfa (λ 2 ) e (λ 3 ) e A, B L, A B, allora L contiene B c, A B c (unione disgiunta) e B \ A = (A B c ) c. Per cui vale (λ 2 ). Viceversa, se L soddisfa (λ 1 ) e (λ 2 ), allora A L implica che Ac = Ω \ A L e dunque vale (λ 2 ). Osservazione 6. Un algebra è certamente un π-sistema e una σ-algebra è certamente un λ-sistema ma non è sempre vero il viceversa. Esempio 5. Sia Ω = {a, b, c, d}. Consideriamo A = {, Ω, {a, b}, {a, c}, {a, d}, {b, c}, {b, d}, {c, d}} allora A è un λ-sistema ma non è un algebra. Lemma 8. Se una famiglia L è sia un π-sistema che un λ-sistema allora è anche una σ-algebra. Dim. Ω L in virtù della proprietà (λ 1 ). L è chiusa rispetto alla formazione di complementari in virtù della proprietà (λ 2 ). L è chiusa rispetto alle unioni numerabili perchè lo è rispetto alle unioni numerabili disgiunte (λ 3 ). Teorema 3 (π-λ di Dynkin). Se A è un π-sistema e L è un λ-sistema tali che A L, allora σ(a) L. Dim. Sia L 0 il λ sistema generato da A (ovvero l intersezione di tutti i λ sistemi contenenti A). È facile mostrare che A L 0 L. Se mostriamo che L 0 è anche un π sistema, la tesi segue dal Lemma 8. Per ogni A Ω, sia L A la famiglia di insiemi B tali che A B L 0. Mostriamo che se A A oppure A L 0 allora L A è un λ sistema. Infatti poiché A Ω = A, L A soddisfa (λ 1 ). Se B 1, B 2 L A e B 1 B 2, allora L 0 contiene A B 1 e A B 2 (è λ sistema) e dunque contiene la differenza propria (A B 1 ) \ (A B 2 ) = A (B 2 \ B 1 ) e dunque L A contiene

26 26 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE B 2 \ B 1 e L A soddisfa (λ 2 ). Infine se B n L A sono insiemi disgiunti, allora L 0 contiene A B n (che sono disgiunti) e dunque anche la loro unione A ( B n) e L A soddisfa (λ 3 ). Se A, B A allora A B A L 0 e dunque B L A. Quindi A A = A L A, e poiché L A è un λ sistema, deve essere L 0 L A. Perciò A A e B L 0 implicano che B L A e A L B. Ne segue che se B L 0 allora A L B e quindi L 0 L B. Infine, B L 0 e C L 0 implicano che C L B o, che è lo stesso, B C L 0 e L 0 è un π sistema. Osservazione 7. Il seguente teorema di unicità è l unico del capitolo che richiede una condizione più restrittiva. I teoremi di estensione, infatti, valgono per misure generiche mentre l unicità dell estensione cade se non si postula che le misure in gioco siano σ-finite. Teorema 4 (di unicità). Sia A un π-sistema e siano µ 1 e µ 2 misure entrambe definite su σ(a) e σ-finite rispetto ad A, ovvero esista una successione {B n } A tali che B n = Ω e sia µ i (B n ) < per ogni n e per ogni i = 1, 2. Inoltre sia µ 1 A µ 2 A allora µ 1 e µ 2 coincidono anche su σ(a). Dim. Si supponga che B A e µ 1 (B) = µ 2 (B) < e sia L B la famiglia degli insiemi A σ(a) tali che µ 1 (B A) = µ 2 (B A). Allora L B è un λ sistema, infatti: Ω L B ; se A L B = A c L B infatti, essendo B di misura finita: µ 1 (B A c ) = µ 1 (B) µ 1 (B A) = µ 2 (B) µ 2 (B A) = µ 2 (B A c ); se A 1, A 2,... L B disgiunti allora, essendo B A n = B A n, ricaviamo: ) ) µ 1 (B A n = µ 1 (B A n ) = µ 2 (B A n ) = µ 2 (B A n, e dunque A n L B. Inoltre A L B da cui, per il teorema di Dynkin, σ(a) L B, per ogni B A. Ecco che entra in gioco la condizione di σ-finitezza: siano B n gli insiemi tali che B n = Ω con µ 1 (B n ) = µ 2 (B n ) <, che esistono per ipotesi. Senza perdita di generalità possiamo pensare che i B n siano disgiunti. Ma allora se A A allora A L B n e per la numerabile additività abbiamo: ( ) µ 1 (A) = µ 1 (B n A) = µ 1 (B n A) = ( ) µ 2 (B n A) = µ 2 (B n A) = µ 2 (A).

27 2.3. COMPLETEZZA Completezza Gli insiemi di misura nulla hanno una certa importanza nella teoria della misura (e della probabilità), infatti in generale non è solo l insieme vuoto ad avere misura nulla. Per questo diamo la seguente definizione. Definizione 13. Un insieme misurabile A con µ(a) = 0 si dice trascurabile. Nel caso in cui si abbia una misura di probabilità si attribuisce un nome anche ai complementari degli insiemi trascurabili. Definizione 14. Un insieme misurabile A con P(A) = 1 si dice quasi certo. Sembrerebbe naturale che tutti i sottoinsiemi di un dato insieme che è trascurabile abbiano misura nulla. Il problema è che tali sottoinsiemi se sono misurabili, allora hanno misura zero (per la proprietà di monotonia), ma non è detto che siano misurabili. Definizione 15. Le misure per cui, per qualsiasi A trascurabili, tutti i sottoinsiemi di A sono misurabili si dicono complete. Per il Corollario 1 l estensione della misura µ alla σ algebra M dei misurabili è completa. Inoltre data una misura su una σ algebra F è sempre possibile completarla ovvero considerarla sulla σ algebra F c generata da F più tutti i sottoinsiemi degli elementi di F aventi misura nulla. Si può dimostrare che se E F c allora E = A B dove A F e B C, C F e µ(c) = Costruzione della misura di Lebesgue su R n Nel caso particolare in cui Ω = R n la costruzione appena vista (ovvero definizione della misura esterna e sua restrizione alla σ algebra dei misurabili) si può applicare alla nozione di lunghezza in modo da ottenere la misura di Lebesgue. Cominciamo col definire gli insiemi di cui la lunghezza è ovvia : gli intervalli e le loro unioni finite. Definizione 16. Un intervallo di R n è n i=1 I i dove I i è un intervallo di R (che può essere aperto, chiuso, aperto a destra e chiuso a sinistra, eccetera). Chiamiamo B0 n l algebra dei pluriintervalli, ovvero delle unioni finite e disgiunte di intervalli di R n. Notiamo che la σ algebra dei boreliani B n è generata da B n 0, ovvero σ(b n 0) = B n. Allora definendo bene (cioè in modo che sia numerabilmente additiva) una misura su B n 0, potremo poi estenderla a B n (e oltre). Definizione 17. Sia I i un intervallo di estremi a i e b i con a i b i. Indichiamo con I i la lunghezza in R di I i, ovvero I i = b i a i. Se A = n i=1 I i è un intervallo di R n la sua lunghezza in R n è λ n (A) = n i=1 I i. Se B = m j=1 A j è un pluriintervallo (gli A j sono dunque intervalli), la lunghezza di B è λ n (B) = m j=1 λn (A j ).

28 28 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE Teorema 5. λ n è una misura su B n 0 ovvero è numerabilmente additiva. Dim. Facciamo solo il caso n = 1 (il caso generale è solo più complesso dal punto di vista della notazione). Sia A = k=1 A k dove A B0 n e gli A k sono disgiunti anch essi in B0 n. Allora A = n i=1 I i e A k = m k j=1 Jk j dove gli I i sono intervalli disgiunti, e così pure i Jj k. Dunque λ(a) = I i = n m k I i, e λ(a k ) = Jj k, i=1 m k ( ) Ii Jj k, k=1 j=1 inoltre l unione che fornisce I i è disgiunta. Se dimostriamo che data una unione numerabile disgiunta di intervalli la sua misura secondo λ è la somma delle misure dei singoli intervalli, allora concludiamo, perché in tal caso: n i=1 I i ( ) = ( ) = n i=1 m k Ii Jj k k=1 j=1 m k J k ( ) j = k=1 j=1 j=1 λ(a k ). In queste uguaglianze ( ) è appunto la proprietà che andremo a dimostrare; ( ) segue dalla stessa e dal fatto che possiamo scrivere A = mk n k=1 j=1 i=1 Ii Jj k (unione disgiunta) e ( ) segue dalla definizione di λ(a k ). Dimostriamo dunque che se I è un intervallo e I = k=1 I k e gli I k sono intervalli disgiunti, allora I = k=1 I k. Ciò è conseguenza del seguente Lemma. Lemma 9. a. Se k I k I e gli I k sono disgiunti, allora k I k I. b. Se I k I k, allora I k I k. Dim. del Lemma a. Se gli I k sono n l asserto è dimostrato per induzione. Se invece gli I k sono un infinità numerabile, per ogni sottofamiglia si ha n i=1 I k i I e per l arbitrarietà di n si conclude. b. Come per il punto precedente il caso finito si dimostra per induzione. Supponiamo ora che I = (a, b] e (a, b] k=1 (a k, b k ]. Se 0 < ε < b a, gli aperti (a k, b k + ε2 k ) sono una copertura di [a + ε, b]. Poiché [a + ε, b] è un compatto di R (teorema di Heine Borel) esiste un sottoricoprimento finito (definizione di compatto in spazi topologici), cioè [a + ε, b] n i=1 (a k i, b ki + ε2 k i ). Usando allora la proprietà vera nel caso finito b a ε n i=1 (b k i + ε2 k i a ki ) ε + k=1 (b k a k ). La tesi segue dall arbitrarietà di ε. k=1

29 2.4. COSTRUZIONE DELLA MISURA DI LEBESGUE SU R N 29 Teorema 6 (di esistenza e unicità della misura di Lebesgue). Esiste una ed una sola estensione di λ n a B n e questa estensione è una misura completa definita su una σ-algebra L n che contiene B n. Tale misura è anch essa indicata con λ n (o semplicemente λ se non ci sono ambiguità sulla dimensione) ed è detta misura di Lebesgue su R n, mentre L n è la σ-algebra di Lebesgue di R n. Dim. Basta applicare il Teorema di estensione e quello di unicità. Poiché i singoletti hanno lunghezza zero, dalla numerabile additività segue che ogni insieme numerabile ha misura di Lebesgue zero, non è però vero il viceversa, come mostra il seguente fondamentale esempio. Esempio 6 (Insieme di Cantor). È noto che l insieme di Cantor C è un frattale dell intervallo [0, 1] (volendo si può considerarne anche la versione multidimensionale), avente cardinalità pari a quella del continuo. Mostriamo che ciononostante λ(c) := λ 1 (C) = 0. Basterà mostrare che λ(c c [0, 1]) = 1. La costruzione di C si fa per induzione togliendo via via intervalli che vanno a finire in C c [0, 1]: al passo 1 si toglie un intervallo di lunghezza 1/3, al passo 2 si tolgono 2 intervalli di lunghezza 1/9 (lunghezza totale 2/9), e così via: al passo n si toglie un pluriintervallo di lunghezza 1 3 (2/3)n 1. Quindi λ(c c [0, 1]) = 1 3 n=0 ( ) n 2 = 1. 3 Osservazione 8. B n 0 B n L n P(Ω). La catena di inclusioni è a questo punto ovvia, meno ovvio è che le inclusioni sono strette. a. B n 0 B n infatti le unioni numerabili di intervalli disgiunti non sono in generale elementi di B n 0 ma lo sono di Bn. b. L insieme di Cantor C è tale che λ(c) = 0 dunque per la completezza di λ su L tutti i suoi sottoinsiemi sono elementi di L. La cardinalità dell insieme dei sottoinsiemi di C è 2 C = 2 c > c dove con c indichiamo la cardinalità del continuo. Poiché B = c (lo diamo per scontato) allora L > B e devono esistere elementi di L che non sono in B (ad esempio qualcuno dei sottoinsiemi di C. Il ragionamento si può ripetere in dimensione n. c. Esiste un insieme non misurabile. Per costruirlo osserviamo che la misura di Leesgue è invariante per traslazioni, e in particolare lo è per la somma modulo 1 (che indichiamo con ˆ+) in [0, 1) (ovvero xˆ+y = x + y se x + y < 1, altrimenti xˆ+y = x + y 1). Questo risultato è il Lemma 16 del Capitolo 3 del Royden [6]. Dividiamo [0, 1) in classi di equivalenza: x y se x y Q. Sia P un insieme che contiene uno e un solo rappresentante di ogni classe (P esiste per l assioma della scelta). Numeriamo i razionali in [0, 1): {r i } i=1 e definiamo P i = P ˆ+r i. Osserviamo che i P i sono a due a due disgiunti, infatti se x P i P j allora x = p i ˆ+r i = p j ˆ+r j con p i e p j

30 30 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE in P. Ma p i p j Q e allora p i p j. Siccome P contiene un unico rappresentante per classe deve essere i = j. D altra parte ogni x [0, 1) è equivalente ad un elemento di P, dunque differisce da un elemento di P per un razionale r i e quindi è in P i. Detto in altro modo [0, 1) = i=1 P i, dunque 1 = λ([0, 1)) = λ(p i ) = λ(p), i=1 dove l ultima uguaglianza segue dall invarianza di λ rispetto alla somma modulo 1. Il che è assurdo perché l ultima serie può valere solo 0 oppure a seconda che λ(p) = 0 oppure λ(p) > 0. Di conseguenza P non può essere misurabile. Osservazione 9. Come visto nel caso generale L n è il completamento di B n rispetto alla misura λ n. Dunque λ n ristretta a B n non è completa, mentre lo è su L n. Inoltre ogni elemento di L n è unione di un boreliano e di un sottoinsieme di un boreliano avente misura nulla. Osservazione 10. Si potrebbe pensare che il fatto che non si riesca ad estendere la nozione di lunghezza alla totalità dei sottoinsiemi di R n sia dovuta alla nostra richiesta di fissare il valore della lunghezza per tutti gli intervalli. Se così fosse indebolendo opportunamente le richieste su µ forse si potrebbe trovare una lunghezza su P(R n ). Questa speranza risulta frustrata: infatti sembrerebbe ragionevole chiedere che µ sia invariante per traslazioni, ma anche in quel caso si dimostra che non esiste un estensione a P(R n ). Lo stesso accade se si richiede solamente che µ({x}) = 0 per ogni x R n Probabilità generali e probabilità uniforme su [0, 1] Nel caso in cui la misura definita su F 0 da estendere a σ(f 0 ) sia una probabilità, ovvero µ(ω) = 1, oltre alla misura esterna di ogni insieme si può definire facilmente anche la misura interna (in realtà lo si può fare anche in spazi di misura generici, ma qui non lo faremo). Definizione 18. Dato un evento A Ω chiamiamo misura interna la quantità: µ (A) = 1 µ (A c ) Osservazione 11. In analogia con la definizione di misura esterna si potrebbe pensare di definire la misura interna come µ (A) = sup µ(a n ) A in cui ora le A sono famiglie di insiemi disgiunti di F 0 e contenuti in A. Tale scelta produce però risultati indesiderati: in alcuni casi, insiemi A per i quali ci si aspetta µ (A) = 1 forniscono, secondo questa definizione, µ (A) = 0 (rimandiamo agli approfondimenti). n i=1

31 2.5. APPROFONDIMENTI 31 Osservazione 12. Dopo aver definito misura esterna e misura interna si potrebbe essere indotti a definire un criterio più semplice per la µ -misurabilità limitandoci al solo caso E = Ω. Sarebbe infatti molto naturale affermare che un insieme A è µ -misurabile quando le sue misure esterna e interna coincidono: o, equivalentemente, quando: µ (A) = 1 µ (A c ) µ (A Ω) + µ (A c Ω) = µ (Ω) Perché, allora, usare il più restrittivo criterio di Carathéodory? Perché, a priori, una misura esterna non è necessariamente additiva (né finitamente né, tantomeno, numerabilmente) e pertanto, al fine di garantire l additività, Carathéodory introduce questo criterio che, tra tutti gli insiemi (A) le cui misure interne ed esterne coincidono, seleziona quelli che suddividono ogni altro insieme (E) mantenendone l additività. Per quanto riguarda il caso particolare Ω = [0, 1], restringendo la misura di Lebesgue λ all intervallo [0, 1] si ottiene una misura di probabilità P: quella uniforme su [0, 1]. Essa risulta definita sugli insiemi A L [0, 1], ovvero agli A [0, 1] tali che esiste L L e A = L [0, 1]. La σ algebra L [0, 1] contiene i boreliani di [0, 1] e ne è il completamento rispetto alla misura P. Alternativamente P può essere costruita direttamente considerando Ω = [0, 1], B 0 (0, 1) l algebra delle unioni finite e disgiunte di intervalli di Ω e la nozione di lunghezza usuale su B 0 (0, 1). Per il teorema di esistenza ed unicità esiste ed è unica l estensione di questa lunghezza ad una σ algebra che completa quella dei boreliani. 2.5 Approfondimenti Il teorema della classe monotona Abbiamo visto che l unicità dell estensione della misura è una conseguenza del teorema di Dynkin. Un teorema analogo che poteva essere usato in alternativa al teorema di Dynkin per dimostrare la stessa cosa è il seguente. Una classe monotona è una famiglia di insiemi chiusa rispetto alla formazione di unioni e intersezioni numerabili e monotone. Teorema 7 (teorema della classe monotona). Siano F 0 un algebra e M una famiglia monotona tali che F 0 M. Allora σ(f 0 ) M. Il teorema di Dynkin e quello della classe monotona sono spesso usati per dimostrare che una proprietà P è goduta da tutti gli elementi di una certa σ algebra F: la procedura è la seguente. 1. Prendere una famiglia A (che sia un algebra o un π-sistema) di insiemi semplici che generi F;

32 32 CAPITOLO 2. ESTENSIONE DI MISURE 2. dimostrare che gli elementi di A godono di P; 3. dimostrare la famiglia degli insiemi che godono di P è un λ-sistema (se vogliamo usare Dynkin) o una classe monotona (se vogliamo usare il teorema della classe monotona).

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