LOTTA ALLA DISPERSIONE E ORIENTAMENTO Che cosa c è di nuovo nelle grandi città europee

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1 LOTTA ALLA DISPERSIONE E ORIENTAMENTO Che cosa c è di nuovo nelle grandi città europee I Quaderni 3

2 La collana I Quaderni è dedicata alla pubblicazione delle esperienze, dei risultati e dei materiali di studio e di lavoro che scaturiscono dai progetti promossi dalla Fondazione per la Scuola. FONDAZIONE PER LA SCUOLA DELLA COMPAGNIA DI SAN PAOLO Corso Ferrucci, Torino Tel fondazionescuola@compagnia.torino.it

3 LOTTA ALLA DISPERSIONE E ORIENTAMENTO Che cosa c è di nuovo nelle grandi città europee I Quaderni 3

4 INDICE Prima sezione INTRECCI E PERCORSI Presentazione Onorato Castellino, Presidente della Compagnia di San Paolo, Università di Torino Successo formativo: obiettivo per ogni società civile Lorenzo Caselli, Presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, Università di Genova Torino: orientamento, prevenzione, recupero Paola Pozzi, Assessore al Sistema Educativo e alle Politiche di Pari Opportunità, Comune di Torino La Provincia: coordinatrice dell orientamento Gianni Oliva, Assessore all Istruzione, Provincia di Torino La Regione: orientamento e lotta alla dispersione Gilberto Pichetto Fratin, Assessore all Industria, Lavoro e Formazione Professionale, Regione Piemonte Il MIUR e la dispersione scolastica Fernando Lazzaro, Direzione Generale del MIUR, Piemonte Il disagio: linee di analisi comparativa Alessandro Cavalli, Università di Pavia L immagine del lavoro nei giovani della scuola media inferiore Luciano Gallino, Università di Torino L orientamento come fattore di successo formativo Maria Luisa Pombeni, Università di Bologna Il ruolo del volontariato nell orientamento di vita Don Luigi Ciotti, Presidente del Gruppo Abele e di Libera Nessuno rimanga indietro. Le nuove scelte della scuola americana Vittorio Campione, Esperto di sistemi formativi 5

5 Seconda sezione LE GRANDI CITTÀ EUROPEE CONTRO LA DISPERSIONE Le città educative Pilar Figueras Espoo (Helsinki) Helena Thuneberg Göteborg Olov Lernberg Berlino Dorlies Radike Thiel Monaco Thomas Boisai Anversa Marc Van Praet Rennes Frédéric Bourcier Marsiglia Olivier Briard Barcellona e il progetto EXIT Isabel Boix Junquera e Marlene Colmenares Roma Opportunità per tutti : i ragazzi nomadi Martino Rebonato Roma La formazione professionale Gianna Nicoletti Milano Walter Coti Bologna Miriam Traversi 6

6 Terza sezione IL MODELLO TORINO Il ruolo della Regione Piemonte Anna Totolo, Regione Piemonte La Provincia e l integrazione Ludovico Albert, Provincia di Torino L orientamento Corrado Borsetti, Comune di Torino Il COSP e il modello Arianna Danilo De Brevi, COSP (Centro di Orientamento Scolastico e Professionale) L orientamento nella scuola media Laura Vercelli, Dirigente, Scuola Media G. Marconi, Torino Centro di formazione professionale e orientamento Bartolomeo Avataneo, Direttore, CFP Valdocco CNOS-FAP L esperienza della rete centro Annalise Caverzasi, Rete Centro di Torino Quarta sezione I PROGETTI MAGGIORI DEL MODELLO TORINO Sul Tappeto Volante Domenico Chiesa, Presidente CIDI Provaci ancora Sam Progetto di contrasto alla dispersione scolastica Cesare Chiesa, Compagnia di San Paolo Corrado Paracone, Direttore della Fondazione per la Scuola La valutazione del Progetto Sam Alberto Martini, Giuseppina Meli, Massimo Pizzo Progetto Valutazione, Torino Conclusioni Corrado Paracone, Direttore della Fondazione per la Scuola 7

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8 Prima sezione INTRECCI E PERCORSI

9 PRESENTAZIONE di Onorato Castellino, Presidente della Compagnia di San Paolo, Università di Torino La Compagnia di San Paolo considera di cruciale rilevanza la lotta alla dispersione scolastica e gli sforzi per inserire socialmente i giovani a rischio, compresi gli immigrati. La Compagnia di San Paolo è una fondazione che opera in molti settori: nella ricerca, nella sanità, nei beni artistici e culturali, nell assistenza e nell istruzione. In quest ultimo ambito si è dotata di una istituzione specializzata, a testimonianza del grande interesse che ripone verso i problemi scolastici: la Fondazione per la Scuola, con un proprio Consiglio direttivo, un Presidente, il professor Caselli, e una attività diffusa. La scuola è il fondamento della formazione dei futuri cittadini, dei futuri lavoratori e costituisce la base della società civile che avremo tra dieci, venti, trenta anni. Appare dunque di particolare rilievo raccogliere le testimonianze di quanto si stia facendo nelle principali città europee in tema di contrasto alla dispersione e di inclusione sociale. Ringrazio perciò tutti gli Esperti, ospiti europei e italiani, che contribuiscono a questa riflessione. 11

10 SUCCESSO FORMATIVO: OBIETTIVO PER OGNI SOCIETÀ CIVILE di Lorenzo Caselli, Presidente della Fondazione per la Scuola, Università di Genova Esiste una duplice esigenza con cui le politiche formative, le politiche di education, devono oggi fare i conti. Da un lato l esigenza di massimizzare le chance di successo, i gradi di libertà progettuale, le capacità di costruzione del proprio futuro da parte dei giovani, ciò sul presupposto che ogni ragazzo perso è una sconfitta per la scuola e per il sistema sociale e che neppure si possono ridurre o chiudere le strade davanti ai giovani con scelte precocemente irreversibili. Le strade vanno invece ampliate grazie ad un educazione finalizzata a tirar fuori, educere, il meglio delle persone. Dall altro lato, come seconda esigenza, va sottolineata la necessità di condizioni istituzionali e strumentali per un effettivo coordinamento, per una effettiva integrazione tra il sistema educativo-formativo e il sistema sociale. Abbiamo bisogno di sistemi aperti, policentrici, dialoganti, che crescano e si valorizzino con l apporto di ciascun soggetto in un ottica di responsabilità, qualità, trasparenza. Queste due esigenze, massimizzare le possibilità di scelta per i giovani e garantire un coordinamento efficace, assumono una valenza particolare con riferimento alle tematiche della dispersione e dell orientamento. 12

11 La promozione del successo formativo, e quindi il contenimento del fenomeno della dispersione scolastica, rappresentano un fondamentale obiettivo di civiltà. La formazione è una risorsa essenziale e permanente per la crescita di ogni individuo con l obiettivo esplicito di prevenire l esclusione e favorire quindi l inserimento lavorativo e sociale. Le ricerche a nostra disposizione evidenziano una correlazione sempre più stretta tra insuccesso scolastico, emarginazione e talvolta anche devianza. La formazione è molte cose ad un tempo, è un concetto plurale. Certamente è una risorsa economica, un fattore di competitività del sistema paese, un fattore di tenuta dei sistemi produttivi. Ma la formazione non è soltanto questo; è anzitutto diritto di cittadinanza, garanzia di discrezionalità, garanzia di libertà rispetto a più alternative. È quindi ampliamento dell area di inclusione, fattore di coesione sociale, bene collettivo, strumento di regolazione sociale, punto di raccordo tra la persona e l organizzazione complessiva, a partire da quella cittadina. E la città, cos altro è, se non un progetto per vivere insieme? Da questo punto di vista la dispersione scolastica, il disagio scolastico rischiano di segnare una persona per tutta la vita; introducono nel sistema sociale fattori di emarginazione, disuguaglianza, squilibri che non possono più essere accettati a livello della coscienza comune. Certamente la dispersione scolastica è un fenomeno complesso nelle manifestazioni e soprattutto nelle cause. Le manifestazioni possono riguardare il mancato ingresso, l evasione dell obbligo, l abbandono, il non conseguimento del titolo, le ripetenze, le bocciature, i ritardi, la qualità scadente degli esiti. Le ricerche statistiche nel nostro Paese valutano l area della dispersione nelle scuole secondarie superiori essere del 25%, e quella nelle scuole medie del 12%-13%. Sono cifre pesanti. 13

12 Le cause sono collegabili al più ampio contesto culturale, economico, familiare, e a dinamiche anche di tipo soggettivo; sicuramente la posizione e l origine sociale del giovane continuano a condizionare fortemente la scelta della scuola ed il rendimento scolastico. Le cause esterne si combinano poi con le cause interne proprie delle singole scuole, quali le disfunzioni, la mancanza di dialogo educativo, l avvicendarsi degli insegnanti, la scarsa sensibilità rispetto al dovere di non perdere i propri ragazzi per strada. Anche se non mancano fenomeni di dispersione da benessere, propri di aree territoriali caratterizzate dalla possibilità di facile e rapido guadagno connesso al secondo e al terzo lavoro, per cui mandare i figli a scuola è per molte famiglie un inutile perdita di tempo, la combinazione che produce più dispersione è quella tra sottosviluppo e degrado ambientale urbano in congiunzione con i fenomeni immigratori. Da questo punto di vista Torino rappresenta un laboratorio oltremodo significativo. Come aggredire il problema? Non è facile. Per problemi complessi non esistono soluzioni semplici; occorre creare le condizioni per una strategia articolata ed evolutiva, fondata su alcuni presupposti chiave, su alcuni principi ai quali rapportare la coerenza dei singoli interventi specifici. Più propriamente occorre passare da logiche di recupero, di riparazione dei guasti della dispersione, a logiche di prevenzione. È giocoforza risalire a monte dei fenomeni, non si può agire soltanto sugli effetti cercando di indennizzarli o talvolta di monetizzarli. Occorre in secondo luogo passare dalla logica della straordinarietà alla logica della ordinarietà. I problemi che abbiamo di fronte vanno affrontati nell ottica della quotidianità, non in quella dell una tantum. Occorre in terzo luogo passare dalla patologia alla fisiologia di una scuola e di un sistema sociale che offrano a tutti le chance di una buona vita, di una buona vita che si estrin- 14

13 seca poi in una buona scuola e in un buon lavoro, o per lo meno decente. Occorre infine passare da interventi per punti, per compartimenti stagni, a interventi invece sistemici, a rete, traguardati e radicati nel territorio. L autonomia delle scuole da un lato, il decentramento di compiti e di competenze alle Regioni, alle Province e ai Comuni dall altro, devono portare a comuni codici di lettura e di interpretazione dell insieme e quindi alla promozione di azioni integrate di ricerca, intervento, verifica. A questo fine si rileva di estrema importanza l attivazione di programmi sperimentali con l intento di dare vita a modelli replicabili e generalizzabili. Si muove in queste direzioni il progetto Provaci ancora Sam, promosso dal Comune di Torino con la partecipazione della Compagnia San Paolo e quindi della Fondazione per la Scuola. Il progetto Provaci ancora Sam è probabilmente uno dei programmi di più concreta efficacia realizzati in Italia in materia di lotta all abbandono scolastico e al rischio di esclusione sociale per giovani di età compresa tra i 14 e i 20 anni. Lo scorso anno è stata consegnata la licenza media a più del 90% dei partecipanti al programma di recupero. Attualmente gli obiettivi sono stati ampliati: ci si propone anche di prevenire l insuccesso scolastico intervenendo fin dalla prima media sui ragazzi che vanno male, per cercare di riportarli ad un profitto scolastico decente, il che è un obiettivo anche sociale. La sfiducia in se stessi può generare inconvenienti più gravi e duraturi di una semplice bocciatura. Le scuole medie coinvolte sono quest anno 27. Aggiungo infine che il progetto Provaci ancora Sam è la tappa iniziale di un processo che successivamente, con le borse lavoro, faciliterà l inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Le valenze etiche e culturali di questi ragionamenti sono di piena evidenza. Delors nel suo rapporto all Unesco di qualche anno fa, afferma che scegliere un modello di educazione significa scegliere un modello di società. Da questo punto di vista le indi- 15

14 cazioni contenute nel piano predisposto dalla Commissione Europea sembrano andare nella direzione di un modello solidale ovvero di un modello che deve porsi come obiettivi la riduzione delle disuguaglianze culturali, economiche, sociali, territoriali; la valorizzazione delle differenze; la tutela dell ambiente; la promozione della cooperazione tra le parti sociali, tra tutti gli attori dello sviluppo locale. Solo nell ambito di un modello solidale e di concertazione tra gli attori l impegno contro la dispersione ed il disagio scolastico può conseguire il massimo dell efficacia. La scuola dell inclusione è la scuola del dialogo da persona a persona, è la scuola ove si evita la costruzione di nuovi muri tra coloro che possono accedere alle conoscenze, ai saperi che contano e coloro che rischiano di essere appiattiti su competenze del tutto banali. È la scuola dove viene privilegiata non tanto la selezione dei migliori, bensì la valorizzazione delle capacità specifiche di tutti gli alunni. La scuola dell inclusione è la scuola dove si apprende la centralità dell alterità nella storia e nella società. In mezzo a tensioni e conflitti (il mondo della scuola non sarà mai idilliaco) tra la unicità e la molteplicità, tra l universalità e la specificità, tra la globalità e la località, la scuola dell inclusione è in definitiva la scuola ove si impara la democrazia e la vita. 16

15 TORINO: ORIENTAMENTO, PREVENZIONE, RECUPERO di Paola Pozzi Assessore al Sistema Educativo e alle Politiche di Pari Opportunità, Comune di Torino L appartenenza di Torino all Associazione Internazionale delle Città Educative (AICE) è motivata da un obiettivo che Torino si è posta: considerare la città nel suo insieme, come soggetto ed oggetto perenne di educazione, soprattutto per le giovani generazioni. Nessun adulto può pensare di educare se non è contemporaneamente disposto a ricevere stimoli e ad essere educato, anche dai più giovani. Torino ha avuto inizialmente un periodo di esplosione industriale, con una corrispondente crescita demografica enorme, accompagnata da processi di migrazione interna complessi e difficili. In questo contesto, ha trovato nella scuola, con le relative politiche di educazione e di istruzione, un formidabile strumento di inclusione degli immigrati, temperando così le tensioni create dal cambiamento sociale. Superata questa fase, Torino ha sottoscritto la Carta delle Città Educative. Contemporaneamente stavano avvenendo due fenomeni: 1) la crisi del modello industriale, di tipo prevalentemente metalmeccanico, causata dall introduzione delle nuove tecnologie, con la conseguente necessità di cambiamenti anche in campo culturale: nel modello fino ad allora vigente i fabbisogni del mondo del lavoro richiedevano una scolarizzazione elevata per un 17

16 numero limitato di persone, e si accontentavano di una scolarizzazione di livello inferiore per la maggioranza degli individui. 2) L afflusso a Torino di immigrati provenienti dalle aree del nord Africa e successivamente da molti altri Paesi extraeuropei. La combinazione di questi due elementi rischiava di essere drammaticamente esplosiva. Le scelte che la Città ha fatto e sta facendo si basano sull idea di usare l educazione e l istruzione come strumenti di governo di questi fenomeni. La Città Educativa non è la città per la scuola o della scuola; è la città che si pone fini educativi in tutto ciò che fa. Il raggiungimento degli obiettivi preposti rimane centrale, anche se implica una trasformazione culturale enorme tra i cittadini e tra gli amministratori. Si devono creare percorsi comuni, in cui i soggetti agiscano interscambievolmente, senza prescindere dall Istituzione che costituisce il soggetto maggiormente responsabile nei processi educativi e formativi: la Scuola. Questo è il motivo che porta ad affermare: Bisogna uscirne tutti insieme. A Torino, partire dai ragazzi ha significato partire dall indagine e dalla ricerca, quali strumenti per sostenere, aiutare e far rientrare nei percorsi scolastici quei ragazzi che ne erano usciti senza aver raggiunto l obiettivo del diploma di terza media. In una prima fase si è pensato al progetto Provaci ancora Sam, che ha fatto emergere come la motivazione fosse la carta vincente. Affinché la scuola diventasse un posto in cui i ragazzi avessero voglia di andare non poteva essere solo scuola, doveva comprendere anche attività sul territorio (culturali, sportive, di animazione), favorire una diversa interazione tra studenti ed insegnanti, ed essere rete di relazioni tra sistema scolastico e servizi sociali sul territorio. 18

17 Ragazzi dispersi dalla scuola vi sono ritornati, hanno raggiunto il diploma di terza media e molti di loro hanno proseguito gli studi. Qualcuno si è iscritto ad una scuola media superiore, molti si sono iscritti a corsi di formazione professionale. Hanno compreso che l istruzione, il crescere e il formarsi erano strumenti indispensabili per il loro futuro. La seconda fase del progetto è iniziata da due anni, in collaborazione con le scuole medie inferiori. Si è ritenuto che il successo per i quindicenni o ultraquindicenni dovesse essere ricercato nei Centri Territoriali per l educazione degli adulti, mentre il lavoro nella scuola media inferiore doveva essere incentrato sulla prevenzione. Da due anni, in collaborazione con la Fondazione per la Scuola, con Stefano Lepri dei servizi sociali e con tutti i servizi del territorio, comprese varie associazioni giovanili, abbiamo provato a costruire un ipotesi di lavoro che partisse dai ragazzi, tenendo conto del disagio e delle difficoltà degli insegnanti. Si è cercato di stimolare nei ragazzi di prima media la voglia di andare a scuola mediante un progetto che consentisse a ciascuno dei soggetti - scuola ed associazionismo - di non perdere la propria peculiarità di azione. La scuola non deve ritenere di essere l unica depositaria dell istruzione e dell educazione; deve mettersi in relazione, valorizzando anche il lavoro che viene svolto al di fuori dell edificio scolastico. In un operazione di questo genere ci si educa costantemente; il progetto va quindi man mano modificato. Qualche problema è insito anche nell impostazione culturale della scuola. Va cambiato l approccio scolastico. L interazione tra mondi è l unico strumento che consente di aggiornarsi reciprocamente. 19

18 I torinesi investono annualmente oltre quindici miliardi in attività di supporto e di sostegno alla scuola dell infanzia e dell obbligo. La preoccupazione sull efficacia di queste azioni deve essere costante nell amministrazione pubblica e comunale. In Torino la dispersione all interno della scuola dell obbligo si può considerare marginale dal punto di vista quantitativo, ma il 19,5% di ragazzi che nel biennio della scuola superiore non vengono promossi preoccupa e fa sorgere il dubbio che la dispersione formale sia un fenomeno marginale e quella latente un fenomeno ancora reale, solo che si manifesta più avanti nel tempo. Per questo si è pensato di lavorare sulla prevenzione di ciò che costituisce una forma di disagio scolastico evitabile, ossia su quei ragazzini che non sarebbero dispersi, in quanto di norma i dispersi sono quelli che hanno un disagio evidente o che reagiscono al loro disagio in modo disturbante. Questo progetto è parte di un sistema più complesso: l intervento della Città nella scuola, con la scuola e per la scuola, che prevede costante attenzione e monitoraggio dell efficacia degli interventi e richiede alla scuola dell autonomia responsabilizzazione nell individuare i percorsi migliori per i ragazzi, al fine di realizzarli con la Città e con il territorio, senza dimenticare l importanza della famiglia. Negli ultimi anni si è assistito alla crisi della famiglia, con conseguenti ricadute anche sui ragazzi. Nei centri territoriali per l educazione degli adulti si potrebbe pensare a qualche progetto che coinvolga i genitori, creando un sistema, anche con la famiglia, sul tema dell istruzione, dell educazione, della cultura. Il contrasto al disagio e alla dispersione scolastica è strettamente legato al tema dell orientamento, che porta a svolgere azioni positive per il successo educativo e formativo. 20

19 È un operazione complessa, poiché comprende sia l orientamento scolastico che quello professionale. Non bisogna limitarsi ad informare. Occorre insegnare a orientarsi più che orientare. L imparare a orientarsi sarà una capacità e una competenza che forse i giovani dovranno applicare più volte nel corso della vita. Nonostante la legge del 1962, che istituiva la scuola media unica, si proponesse, tra i fini, quello dell orientamento, si continua attualmente a discutere sul ruolo orientante delle scuole, soprattutto della media inferiore e del biennio delle superiori. La scelta precoce di un indirizzo di studi dipende poco dalle capacità e dalle inclinazioni del giovane e più dalle scelte della famiglia, in base anche alle condizioni socio-culturali della famiglia stessa. Il lavoro di orientamento che il COSP fa, da due anni anche con studenti del biennio delle scuole medie superiori, testimonia come spesso i giovani, una volta capito di aver intrapreso l indirizzo di studi sbagliato, debbano riprogettare il proprio futuro. Anche nel campo dell orientamento, occorre agire insieme, in interazione e senza sovrapposizioni di ruoli, sapendo che tutti nel loro fare concorrono ad un obiettivo unico e comune. Vengono anche effettuate delle scelte di istituti superiori orientate in base al genere, tenendo conto che alcune professioni sono tendenzialmente femminili e altre tendenzialmente maschili. A riguardo due anni fa, con il professor Gallino, abbiamo fatto una ricerca sulle scelte dei giovani nelle scuole superiori e sugli esiti di queste scelte. Un altra indagine, svolta come Servizi Educativi, ha mostrato che molti degli studenti di terza media che si sono preiscritti al liceo, se avessero potuto scegliere liberamente, avrebbe- 21

20 ro preferito un corso di formazione professionale. Essendo stati obbligati a compiere una scelta involontaria, si presume rientrino nel numero di coloro che dovrebbero accorgersi nel corso del biennio di aver sbagliato indirizzo e quindi avere dei problemi. In realtà il tasso di selezione nei licei è il più basso, soprattutto nei classici. I dati in possesso sarebbero in contraddizione con l immagine che si ha dell orientamento. Su questo occorre riflettere. 22

21 LA PROVINCIA: COORDINATRICE DELL ORIENTAMENTO di Gianni Oliva Assessore all Istruzione, Provincia di Torino La mia prima riflessione è indubbiamente di preoccupazione perché l orientamento ha un senso laddove esiste un integrazione tra i sistemi formativi, cioè laddove l istruzione, la formazione professionale, il mondo del lavoro rappresentano un tutto integrato in cui siano possibili scambi, passaggi, passerelle reali. Il dibattito maturato negli anni scorsi ha ruotato intorno a questo concetto per immaginare non percorsi a compartimento stagno, ma percorsi che avessero affinità, vicinanze, possibilità di passaggio rapido, riconosciuto con un sistema di crediti. La riforma Moratti da questo punto di vista mi sembra rappresenti un passo indietro; non solo perché viene ridotto l obbligo scolastico di un anno, ma soprattutto perché si immagina che alla fine della terza media ci sia una scelta tra due percorsi diversi: istruzione e formazione. E non mi sembra che ci sia sufficiente chiarezza su che cosa vogliano dire istruzione e formazione. Molte volte, anche nei dibattiti tra operatori, mi sembra che si scambi la formazione professionale con l istruzione professionale, che sono invece due concetti diversi. L istruzione insegna i saperi, le competenze trasversali, le abilità che poi possono essere perfezionate in un corso di studi successivo oppure possono essere utilizzate per un percorso formativo di tipo professionale. La formazione professionale serve per insegnare una competenza professionale, un mestiere per parlare in modo semplice. Ora preoccupa l anticipazione di questa scelta per due ragioni. La prima perché oggi, 23

22 per potersi spendere in modo proficuo nel mercato del lavoro, appare necessaria una preparazione di base, che non si esaurisce negli otto anni di scuola primaria ma deve necessariamente andare oltre. Non possiamo immaginare che le competenze di base richieste per inserirsi all interno di un industria, di un impresa, di un amministrazione pubblica siano soltanto quelle che si acquisiscono con i primi otto anni. Ci vogliono competenze di base maggiori, rafforzate, più solide, che possano permettere non soltanto di imparare un mestiere, ma anche di avere gli strumenti per cambiare mestiere, per riconvertirsi su una professionalità diversa, perché diverse diventano le tecnologie, i modi di produzione, il sistema di lavoro. La prima preoccupazione è dunque il rischio di abbassamento della soglia di competenze comuni, che mi pare vada in contro tendenza rispetto agli orientamenti degli altri Paesi europei. Preoccupa ancor di più il fatto che due canali così distinti, scelti in età molto giovane, non possano poi permettere passerelle reali. Si parla di passerelle nella legge delega, se ne parla nel testo della commissione Bertagna, ma perché una passerella non sia soltanto la dizione di un testo legislativo, ma un percorso reale e concreto, è necessario che tra i due sistemi non ci sia una divaricazione netta, bensì un integrazione. Il primo elemento di integrazione è proprio l obbligo scolastico elevato ben oltre la soglia dei anni, capace di fornire quelle competenze trasversali che poi si possono spendere nell uno o nell altro specifico canale formativo. Dei problemi dell integrazione non sembra esservi traccia nel testo della commissione Bertagna: un testo faticoso, perché chi lo ha scritto ha tante virtù e tanti meriti ma non propriamente la dote della chiarezza. Bisogna fare uno sforzo rispolverare le proprie reminiscenze di greco per recuperare l etimologia di molte parole e capire cosa si voglia dire. Nel testo il concetto di 24

23 integrazione non c è o è molto sfumato. Allora l orientamento diventa un problema difficile: perché non si può immaginare un orientamento che sia fatto una volta per sempre. L orientamento è una scelta continua, per tutta la vita: c è tanta gente a sessant anni che non sa ancora cosa fare da grande. Al di là del paradosso è difficile che a anni si riesca a scegliere con una certa solidità e con sufficienti strumenti ciò che si vorrà fare. La possibilità di un orientamento reale è legata al fatto che ci sia realmente nel corso di tutta l esistenza, e a maggior ragione nel corso dell età dell obbligo formativo, la possibilità di una forte integrazione tra i sistemi. Detto ciò, in termini di perplessità e preoccupazioni, agli enti locali e regionali non viene meno una responsabilità che comunque deve essere esercitata. Anzi, proprio in presenza di difficoltà e di scenari non ottimali, in questo settore occorre spendere risorse finanziarie ed esercitare la fantasia e le capacità di progettazione. La Provincia ha una centralità in tutto questo: non per campanilismo istituzionale, ben inteso, ma per il carattere stesso della Provincia che è un ente che trae la sua ragion d essere dalla funzione di coordinamento sul territorio. La Provincia non ha i poteri legislativi e le risorse finanziarie della Regione, nè ha la sovranità territoriale dei Comuni. La sua ragione d essere consiste nel coordinare, in un territorio geograficamente omogeneo, una serie di attività, tra cui l orientamento. Credo occorrano figure specifiche di orientatori, i quali non esauriscono il compito dell orientamento, ma sono coloro che sul territorio coordinano tutti quelli che nel settore dell orientamento hanno contributi da offrire. Un orientatore deve essere un soggetto con competenze di psicologia, che nel colloquio diretto con l orientando sappia cogliere le aspettative, le attitudini. Che disponga anche di competenze sullo sviluppo del mercato del lavoro del territorio, sappia quali siano i 25

24 mestieri richiesti, cosa voglia dire lavorare in un certo contesto locale, sappia relazionarsi con le amministrazioni comunali del territorio, e con le scuole in primo luogo, dell obbligo e superiori. La scuola infatti è l istituzione che ospita il ragazzino o l adolescente per molte ore e per molti anni, e che, a maggior ragione, può cogliere gli elementi fondamentali di osservazione utili per sviluppare un processo di orientamento. L orientatore, dunque, è una figura con competenze trasversali, che orienta stimoli, suggerimenti, opportunità di informazione presenti sul territorio. Tra Regione, Provincia, Comune di Torino e tutte le province piemontesi si sta preparando il salone dei mestieri. Il salone dei mestieri dovrebbe essere in primo luogo un esposizione di ambienti di lavoro per visualizzare che cosa significhi oggi lavorare in fabbrica. Qual è l immagine della fabbrica che hanno i ragazzi? Presumo sia ancora un immagine legata alla fabbrica fordista di cui parlano ancora i manuali scolastici di storia. Gli ambienti di fabbrica sono evidentemente diversi, così come l immagine di un ambiente di ufficio non è esattamente quella radicata nell immaginario collettivo. Il salone dei mestieri è un esposizione che può far toccare con mano quali siano gli ambienti di lavoro in cui si andrà ad operare. L orientatore non è chi racconta al giovane quale sia l ambiente della fabbrica, ma colui che deve stimolare il giovane a visitare il salone dei mestieri come passo iniziale di un percorso che poi si snoderà nella visita alle fabbriche, agli uffici pubblici, ai luoghi, cioè, dove si può vedere materialmente che cosa sia l ambiente di lavoro. Dovrà favorire gli stage. La riforma Moratti ha un aspetto estremamente positivo: l alternanza scuola-lavoro. Si tratta di capire come sarà declinato questo concetto, quali risorse saranno disponibili. Certamente l alternanza scuola-lavoro deve essere proposta come uno stru- 26

25 mento di orientamento: l andare a vedere sul posto cosa significhi fare quel determinato mestiere può diventare un occasione per le imprese per verificare le capacità dei giovani e formulare prospettive in termini di assunzione. Ma prima di tutto deve essere per i giovani un modo per misurarsi con un mestiere: altra cosa è immaginarlo o sentirne parlare. In questa prospettiva, la Provincia attraverso i Centri per l impiego e una loro valorizzazione in direzione dell orientamento può assumere un ruolo centrale, che non sia un ruolo egemone, o esclusivo, ma in interazione con gli altri: Enti locali, Regione, scuole, associazioni di categoria, parti sociali. È difficile immaginare un soggetto della società civile che non abbia qualche contributo da offrire per l orientamento. Serve qualcuno che operi da coordinatore. È una figura che in prospettiva dovrebbe diventare istituzionalizzata perché non basta affidare l orientamento alla buona volontà degli insegnanti che svolgono la funzione obiettivo sull orientamento, alle imprese che aprono la domenica ogni tanto le loro officine. Il volontariato è utile e indispensabile, ma non basta. Se immaginiamo che l orientamento sia il vero strumento per coniugare l offerta formativa con il bisogno di formazione e per veicolare e indirizzare il giovane verso le sue reali potenzialità dobbiamo far diventare l orientatore una figura istituzionalizzata e l orientamento un settore nel quale investano tutti e investano meglio. 27

26 LA REGIONE: ORIENTAMENTO E LOTTA ALLA DISPERSIONE di Gilberto Pichetto Fratin Assessore all Industria, Lavoro e Formazione Professionale, Regione Piemonte L orientamento è una partita che sta diventando cruciale per lo sviluppo del territorio piemontese e di tutti quei territori dell Unione Europea che non hanno più la grande pressione demografica di qualche anno fa. Gestire la politica significa gestire il presente e guardare al futuro, valutare in prospettiva ciò che abbiamo di fronte, creare condizioni di sviluppo dei saperi di base che permettano adattabilità nel percorso formativo e consentano di non sbagliare percorso fin dall'inizio. Finora abbiamo avuto molto disordine, in quanto l orientamento ha significato campagna acquisti, ossia la ricerca di allievi per mantenere le classi, in un sistema che demograficamente porta a un crollo del numero di studenti nella scuola superiore. In quest ottica non si è tenuto conto delle attitudini, degli scenari futuri del mondo del lavoro e delle relative necessità. I fabbisogni di mercato sono condizionati, come affermato dal Prof. Gallino, dalla cultura e dalla moda del momento. Non si deve sprecare la grande ricchezza dei giovani. Occorre un percorso automatico fatto da meccanismi sistematici di selezione del sistema, che tenga conto di attitudini e fabbisogni e riduca al minimo la dispersione che avviene dopo i primi otto anni. 28

27 Si deve inoltre considerare coloro che hanno maggiore influenza sui giovani: i genitori. Una sfida importante è l educazione culturale delle famiglie, in modo che non influenzino negativamente i propri figli seguendo le mode, comunemente interpretate solamente in termini di prospettive economicamente allettanti. In parole più semplici è un errore stabilire che il figlio debba fare una certa professione che rende bene economicamente senza badare al fatto che il ragazzo abbia o meno la capacità di seguire il percorso di studi che consente di acquisire le relative competenze. Andiamo verso una società che ha sempre più la necessità di adeguare le competenze al cambiamento degli scenari di lavoro. È necessario, nel corso della propria vita, attrezzarsi per gli opportuni adeguamenti, seguendo corsi che consentano di aggiornare competenze e conoscenze. Occorre recuperare tutto ciò che costituisce dispersione. A riguardo vi è uno sforzo finanziario della Regione Piemonte, grazie all asse B del Fondo Sociale Europeo, cui si accompagna un passaggio di gestione alle Province, in base alla delega di trasferimento 2002 delle relative funzioni di formazione a queste ultime. È prevista una serie di azioni che prevedono il recupero con un ritorno o all istruzione (nei casi in cui è ancora possibile) o a percorsi di formazione pratica, in vista poi di un reinserimento, soprattutto per giovani di fascia molto debole. Abbiamo norme e leggi, come la 22 e la 28, riguardanti l imprenditoria, ma anche l inserimento nel mondo del lavoro, con meccanismi di accompagnamento e tutoraggio che finora hanno dato risultati positivi. La valutazione non può essere fatta su grandi numeri, perché molto costoso e di complessa gestione, ma se si agisce adeguatamente nella prima fase dell orientamento e del servizio del percorso, si riduce fortemente anche il numero di casi di disagio. 29

28 La seconda chance può allora essere giocata meglio, riducendo i casi più difficili a poche unità. È uno sforzo che, come Enti, stiamo realizzando, ma questo implica in primo luogo comprendere culturalmente il sistema formato da Enti e scuole, in secondo luogo far maturare una mentalità della sinergia e della cooperazione tra tutti coloro che intervengono in questo percorso. 30

29 IL MIUR E LA DISPERSIONE SCOLASTICA di Fernando Lazzaro Direzione Generale del MIUR, Piemonte È dall epoca della scuola di Barbiana che si è cominciato a capire che la dispersione non era una semplice modalità di fuga dal sistema scolastico che potesse essere combattuta con interventi tradizionali. Ma l amministrazione pubblica a quell epoca non era dotata di un organizzazione e di una cultura per poter rispondere a un problema con radici profonde e motivazioni diverse. Oggi la trasformazione dell ordinamento giuridico nel suo complesso è in una fase di traslazione costituzionale. In questa traslazione ordinamentale, anche l organizzazione della pubblica istruzione è in movimento; cerca di cambiare struttura interna proprio per offrire risposta a problemi che richiedono coordinamento istituzionale, per usare la terminologia del Prof. Caselli. Questa in qualche modo è una scommessa che comporta l acquisizione di quella sensibilità culturale che permetta la trasformazione della percezione del fenomeno esterno in risposta a un problema sociale. Questo è il grande passaggio. Molti ricorderanno che la prima identificazione semantica del problema era stata condensata nell espressione mortalità scolastica, denominazione incisiva, immediata, scoraggiante. Da mortalità si è passati a dispersione: definizione indicativa di una gamma molto più ampia, più variegata di problemi. Sarebbe un passaggio drammatico se dovessimo accorgerci che il termine più appropriato potrebbe essere dissipazione scolastica, intendendo per dissipazione la perdita, ricordata da Lorenzo 31

30 Caselli, di energie, capacità e apporti possibili alla costruzione della società. Il coordinamento istituzionale è una necessità, ma per molti versi, è ancora un termine che deve essere riempito di contenuti propri. Una delle condizioni è certamente quella dell accentuazione del tema della lotta alla dispersione come problema politico importante. Nella direttiva sull azione amministrativa, del MIUR, tra le missioni fondamentali che l amministrazione assegna a se stessa, si colloca quella della lotta alla dispersione secondo una strategia di intervento che inizia proprio con le parole coordinamento istituzionale tra i soggetti. Non sarebbe improprio usare la parola mobilitazione, perché certamente la dispersione ha raggiunto livelli tali da allarmare: in Italia e in Europa. Gli impegni dell Istruzione come Ministero ci sono, sono stati assunti con coscienza e consapevolezza e sono declinati nel senso della creazione delle condizioni più favorevoli perché la mobilitazione contro la dispersione possa dispiegarsi. 32

31 IL DISAGIO: LINEE DI ANALISI COMPARATIVA di Alessandro Cavalli Università di Pavia Vorrei partire da una riflessione sul concetto stesso di disagio scolastico: quando si parla di disagio scolastico normalmente si fa riferimento agli alunni, ai ragazzi e alle ragazze che stanno nella scuola, ai loro insuccessi scolastici, alla propensione che manifestano nell abbandonare gli studi. Spesso si tralascia l altra faccia del disagio scolastico. Il disagio non è soltanto degli allievi, ma è anche dei loro insegnanti. Molte ricerche, ad alcune delle quali ho partecipato, hanno dimostrato come questa condizione sia diffusa in una parte consistente della popolazione docente, come gli insegnanti manifestino disagio nei confronti della loro classe, dei problemi che insorgono con i loro alunni - problemi quindi di relazione con gli studenti - ma anche, e forse in certi casi soprattutto, disagio con le autorità scolastiche, in particolare con i loro dirigenti scolastici. Il rapporto tra insegnanti e dirigenti scolastici è spesso un rapporto teso, di incomprensione reciproca. Nonostante i dirigenti scolastici siano stati quasi tutti reclutati nel corpo insegnante, quando entrano a far parte della categoria dei dirigenti si genera una tensione con i colleghi di un tempo, che crea disagio. Ma c è un altro indicatore - anche se pochi sono gli studi sull argomento - che è preoccupante: ho avuto notizia di un indagine, non ancora conclusa, condotta sulle domande di invalidità perma- 33

32 nente o provvisoria presentate da dipendenti del Pubblico Impiego alle autorità sanitarie, tra queste, ovviamente, anche quelle degli insegnanti. Tra le domande della categoria insegnanti, la patologia che prevale è quella dei disturbi psichici. Gli insegnanti sono una popolazione a rischio - il termine tecnico che viene utilizzato è quello di burn out -. È una professione, la loro - come peraltro quella degli psichiatri, la categoria a più alto tasso di suicidio - che, come tutte le professioni che implicano contatto con un pubblico o assistenza al pubblico, è a rischio di logoramento. Sono temi che dovremmo studiare con maggior attenzione, per ricordare che la popolazione degli insegnanti è colpita dal disagio quanto e forse addirittura più dei destinatari della loro azione, cioè gli studenti. Per quanto riguarda questi ultimi, vorrei partire da un dato che emerge dall indagine condotta dall OCSE nella primavera del 2000, denominata PISA (Programme for International Student Assessment), finalizzata a misurare i livelli di comprensione linguistica di testi scritti e di competenza matematica e scientifica, ma che aveva anche un altra stimolante caratteristica. È stato chiesto ai ragazzi e ragazze di quindici anni, appartenenti a 31 Paesi, cui l indagine si rivolgeva, se erano d accordo o meno con la seguente affermazione: La scuola è un luogo dove non ho voglia di andare. C è grande variabilità tra i vari Paesi sulla malavoglia di andare a scuola e l Italia si colloca in questa graduatoria ai primi posti. Non è un primato di cui andare orgogliosi. Se non ci fosse il Belgio (42%), che dai dati di questa indagine mostra un atteggiamento ancor più negativo degli studenti nei confronti della scuola superiore, l Italia sarebbe addirittura in testa alla classifica. L Ungheria segue a ruota. 34

33 In Italia il 38% dei quindicenni intervistati hanno dichiarato di non andare a scuola volentieri, in Francia il 37%, negli Stati Uniti il 35%, in Germania solo il 25%. È curioso notare come agli ultimi gradini della graduatoria oltre ai Paesi Scandinavi - Danimarca, Svezia, Finlandia - si trovino il Portogallo e il Messico. Non è una graduatoria correlata alla spesa per l istruzione e al prodotto interno lordo: altri fattori influenzano questa variabile. È un dato, come altri, ma indica che non si tratta solo di un problema di entità delle risorse investite nell istruzione. Non è vera l equazione più risorse, migliori scuole, quindi più ragazzi e ragazze soddisfatti di andare a scuola. Non è così. Anche perché - e si tratta di un dato che stupirà molti colleghi italiani - l Italia è uno dei Paesi che presenta la spesa per studente più alta per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria di 1 grado. È stato calcolato che il costo globale di uno studente dall inizio della scuola elementare all età di 15 anni si collochi appena al di sotto della Svizzera, sia di poco inferiore alla Norvegia, e veda l Italia prima della Francia, prima del Belgio, prima del Regno Unito, prima della Germania. Uno studente italiano dalle elementari fino alla scuola media inferiore costa di più che in tutti questi Paesi. È un dato impressionante se lo misuriamo in riferimento alla malavoglia di andare a scuola e soprattutto alle performance che le indagini comparative internazionali segnalano in relazione alla comprensione della lettura dei testi, alle competenze matematiche e alle competenze scientifiche, dove normalmente i nostri studenti si collocano a livelli piuttosto bassi. Non solo il costo per unità è piuttosto elevato, comunque superiore a molti Paesi che noi riteniamo da questo punto di vista 35

34 più avanzati, ma anche le ore di lezione all anno sono di più che negli altri Paesi. In Italia il numero e la durata delle lezioni all anno è intorno a 3300 ore. In Francia, Spagna, Danimarca, Germania non supera le 2800 e la Svezia prevede un numero di ore ancora più basso (2300). Le differenze sono marcate: rispetto alla Svezia, per esempio, noi abbiamo un terzo di ore di scuola in più. Tuttavia, il più efficiente indicatore di mal funzionamento, e quindi di disagio, è il numero di giovani che hanno abbandonato prematuramente la scuola. I dati sono noti, l entità del disagio si aggira intorno al 30% di coloro che hanno meno di 18 anni. Quando si parla di mancato completamento dell'obbligo scolastico e dell'obbligo formativo si fa riferimento grosso modo a un ragazzo su tre della popolazione giovanile. Per le ragazze la quota è di poco inferiore. Va però sottolineato che negli ultimi dieci anni sono stati compiuti enormi progressi per ridurre il fenomeno della dispersione scolastica. Nonostante la lentezza con cui si manifestano gli effetti, il recupero è stato consistente e in parte lo si coglie quando si analizza un dato molto semplice, vale a dire il livello di istruzione per classi di età - tra i 25 e i 34 anni - cioè giovani presumibilmente in gran parte usciti dal circuito scolastico. L Italia è ancora sensibilmente al di sotto dei Paesi dell OCSE: ci collochiamo tra Spagna, Portogallo e Grecia. C è una tendenza dei Paesi mediterranei - il Portogallo non è un Paese mediterraneo, ma per certi versi ha notevoli somiglianze - all uscita precoce dai circuiti formativi. La contro-tendenza alla riduzione della dispersione è quindi incoraggiante. Non dobbiamo dimenticare che il problema della ritardata scolarizzazione in Italia ha una storia lontana e che il grande recupero è avvenuto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Un solo dato: l obbligo scolastico in Italia è stato introdotto per la prima volta nel 1877; in quell anno il tasso di iscrizione alla 36

35 scuola primaria era del 29% della popolazione nella classe d età corrispondente. In Prussia, Paese rurale e arretrato dal punto di vista economico, 100 anni prima, alla fine del XVIII secolo, era del 67%; in Francia alla stessa epoca dell introduzione in Italia dell obbligo scolastico, era già del 75%; in Svizzera del 74%; nel Regno Unito del 49%. Pensiamo dunque all Italia dalla quale veniamo, un Italia dove l arretratezza culturale era a dir poco abissale. Nel secondo dopoguerra sono stati enormi i progressi. Lo si vede esaminando i livelli di istruzione per classi d età. Se prendiamo la classe d età tra i 55 e i 64 anni troviamo che, nel 1996, solo il 12% aveva conseguito un titolo di studio di diploma o laurea. In Austria per la stessa classe di età la percentuale era il 50%, nel Regno Unito il 59%, in Germania il 69%. Anche se il divario, nelle classi di età più giovani, si è ridotto, nelle classi di età più adulte è impressionante. Occorre ricordarsi questo peso della storia per capire il disagio: una parte consistente degli studenti che frequentano le nostre scuole ha un retroterra di genitori con livelli di istruzione bassi. Ciò significa che la famiglia non è in grado di funzionare efficacemente come sostegno motivazionale e culturale del successo scolastico dei figli. Non si esce da questa condizione se non mettendo in moto processi di lunga durata. Oltre alle cause storiche, vi sono due elementi che vorrei sottolineare e che differenziano il nostro Paese dagli altri: - il mancato sviluppo di un canale di formazione professionale adeguato; - la forte sperequazione sociale tra i vari ordini di scuola superiore. 37

36 In altri termini, una parte della popolazione scolastica non trova una scuola adatta ai propri bisogni ed interessi formativi e soprattutto una scuola adatta alla cultura della famiglia d origine. Tra gli studenti degli istituti tecnici industriali solo il 27% ha un padre laureato o diplomato, negli istituti tecnici commerciali la percentuale sale al 35%, nei licei scientifici al 68% e nei licei classici al 70%. Tra gli studenti degli istituti tecnici industriali solo il 29% (meno di un giovane su tre), vive in una famiglia dove in casa vi siano almeno 100 libri; la percentuale sale di poco negli istituti tecnici commerciali (31%), ma raggiunge il 64% nei licei scientifici e il 72% nei licei classici. Questo vuol dire che, comunque, la metà della nostra popolazione scolastica vive in famiglie dove in casa ci sono meno di cento libri. A ciò si deve aggiungere che tali dati non si riferiscono a coloro che sono precocemente usciti dal circuito scolastico: si riferiscono a coloro che sono attualmente iscritti in questi istituti. È assai probabile che la stragrande maggioranza di coloro che sono usciti prematuramente dalla scuola viva in famiglie dove i genitori hanno elevati livelli di analfabetismo funzionale e dove la cultura scritta non ha ancora fatto il suo ingresso. Il nostro è quindi un Paese particolare: lo sviluppo della scolarità è recente, gran parte delle famiglie non è in grado di sostenere lo studio dei propri figli né ha gli strumenti per capire che senso abbia andare a scuola e acquisire cultura. E la scuola non ha sviluppato istituzioni e pratiche adatte a questo tipo di popolazione scolastica, così consistente dal punto di vista quantitativo. Si possono fare molte cose per combattere il disagio e la dispersione, ma la prima è adattare la scuola ai ragazzi. Che cosa vuol dire adattare la scuola ai ragazzi? Offrire un tipo di istruzione che parta dagli apprendimenti attraverso l esperienza e che attraverso tali apprendimenti conduca alla cultura alta. 38

37 Se si vuole invece partire dalla cultura alta e adattare ad essa una parte consistente della popolazione studentesca, continueremo a perpetuare condizioni che producono disagio. Per concludere, per riformare il nostro sistema scolastico e ridurre dispersione e disagio, appare del tutto prioritario costruire un canale professionale che non sia, come è attualmente, una scuola di serie B o C, ma di pari dignità con gli altri canali scolastici. Una buona scuola professionale, fondata sul saper fare oltre che sul sapere tout court, non solo può recuperare, trasmettendo la voglia di apprendere, ragazzi e ragazze che ora escono demotivati, ma può avere ricadute positive anche sull'insieme del sistema. 39

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