8 RECUPERO E TRATTAMENTO DELLA FRAZIONE RESIDUA

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1 torna all Indice Capitolo 8 8 RECUPERO E TRATTAMENTO DELLA FRAZIONE RESIDUA La valutazione delle necessità impiantistiche per il trattamento del rifiuto residuo, in Provincia della Spezia, può essere ricavata, in prima approssimazione, dal calcolo della quota residua di rifiuti non recuperata (tab. 55), assumendo le seguenti ipotesi di scenario: 1. che la produzione di rifiuti non vari in modo significativo a causa dell attesa inversione della tendenza all aumento dei rifiuti urbani in seguito all applicazione delle iniziative idonee al suo governo, in particolare la tariffazione del servizio e la domiciliarizzazione delle raccolte; 2. che sia prevista una concreta attivazione delle iniziative che potranno far raggiungere gli obiettivi di raccolta precedentemente descritti. D altronde, anche se tali obiettivi venissero raggiunti in tempi più lunghi, non risulterebbe comunque opportuno surdimensionare le capacità impiantistiche poiché, quando le amministrazioni locali avranno adottato con successo le strategie di riduzione e riciclaggio, la carenza di rifiuti da trattare potrebbe creare seri problemi economici ai gestori degli impianti di trattamento e, in particolare, degli impianti di combustione. Negli Stati Uniti ed in Germania parecchi gestori di inceneritori, sia pubblici che privati, sono stati costretti al fallimento e i costi sono stati alla fine riversati sulla collettività. Anche in Italia, a Brescia, la municipalizzata è costretta ad importare, perfino dall estero, i rifiuti necessari al funzionamento dell impianto di incenerimento. Queste situazioni non incentivano, inoltre, il raggiungimento degli obiettivi di raccolta, poiché la raccolta differenziata diventa antitetica al trattamento del residuo. Tab. 55 Riepilogo flussi RU, obiettivi di recupero e RU residui in Provincia della Spezia Fraz. Merceologiche RU al lordo delle RD Obiettivo RD RU residuo % t/a % t/a % t/a Umido 22, Verde 5, , , Carta 17, , , Cartone 15, , , Alluminio 1, , , Metalli ferrosi 5, Vetro 6, , , Plastica imballaggi 7, , , Altra plastica 5, Legno 2, , , Tessili e cuoio 2, , , Pannolini 2, Inerti 0, R.U.P. 0, Ingombranti 4, Totale , , Il problema del corretto dimensionamento degli impianti risulta, comunque, assai complesso, poiché viene influenzato anche dalle seguenti variabili: 1. oltre alla stima sulle effettive potenzialità d intercettazione dei modelli di raccolta differenziata che si intendono promuovere sul territorio considerato, è necessario stimare la percentuale di scarti da inviare, comunque, a trattamento presso gli impianti di selezione, recupero e riciclaggio dei rifiuti residui. Nel caso della Provincia della Spezia, va prevista una quota di scarti dall impianto di compostaggio stimabile nell ordine delle t/a nel caso di utilizzo dei sacchetti in materiale biodegradabile e di t/a se verranno utilizzati sacchetti in polietilene. Per quanto riguarda la frazione riciclabile secca, si deve considerare una quota assai Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 135

2 Provincia della Spezia ridotta di scarti, poiché è stata prevista la massiccia diffusione di raccolte domiciliari e monomateriali che non comportano una cospicua produzione di residui; 2. le proiezioni sull andamento della produzione totale di rifiuti, nell arco temporale oggetto della pianificazione, sono influenzate anche da politiche condotte a livello nazionale. Questo rende difficile stimare il probabile impatto delle strategie sulla riduzione dei rifiuti: diminuzione della presenza di sovraimballaggi, revisione di normative sulla tariffazione del servizio, adozione di nuove direttive europee e normative più restrittive ecc.; 3. la stima sul quantitativo di rifiuti speciali assimilabili agli urbani non intercettati dal servizio pubblico di raccolta, ma potenzialmente conferibili agli impianti di prima categoria e del loro potere calorifico; 4. la stima sul quantitativo di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani che potrebbero essere conferiti, in base a specifiche convenzioni, agli impianti di trattamento e recupero del bacino; 5. le previsioni di possibili accordi di programma interprovinciali, anche infraregionali, che non possono o non siano in grado di realizzare in proprio gli impianti di trattamento necessari. In base a queste considerazioni occorre rispondere, in fase di prima approssimazione, alla necessità di trattamento di circa t/a di rifiuto residuo. Il diagramma di flusso successivo può servire a riepilogare la situazione. Fig. 12 Scenario sistema integrato di gestione dei RSU PRODUZIONE TOTALE RU: t/anno 54,3% 45,7% RACCOLTA INDIFFERENZIATA: t/anno RACCOLTA DIFFERENZIATA: t/anno 2,3% Ingombranti e spazzatura ecc. 52% Stabilizzazione organico: t/anno 11,6% Scarti alimentari 2,8% 0,1% RUP 4,9% ALTRO 26,3% SCARTI CDR t/a ENERGIA Discarica solo secco t/a* Fraz. organica stabilizzata t/a Ferrosi t/a Bonifiche ripristini ambientali Impianti di compostaggio Perdite di processo (evaporazione) VERDE Imp. compostaggio VERDE COMPOST DI QUALITÀ CARTACEI 16,8% VETRO 4% PLASTICA 4% METALLI 1,5% * : l intervallo di valori è legato alle opzioni della combustione o deposito in discarica del secco ed al riutilizzo di compost da RSU. 136

3 Capitolo 8 Va, comunque, chiarito che il flusso di rifiuti derivante dallo spazzamento stradale e il flusso residuo da valorizzazione degli ingombranti non dovranno essere conferiti all impianto di trattamento della frazione residua, ma dovranno essere conferiti direttamente all impianto di interramento controllato per evitare l ulteriore contaminazione dell indifferenziato con l alta concentrazione di metalli pesanti nello spazzamento stradale e per evitare le problematiche tecniche provocate dai rifiuti ingombranti negli impianti di selezione. Per il trattamento dei rifiuti residui dalla raccolta differenziata (resto o rifiuto residuo), il D.Lgs. 22/97 specifica che essi devono essere trattati prima dello smaltimento in discarica ed il recente DL 30 dicembre 1999, n. 500 Proroga dei termini per lo smaltimento in discarica dei rifiuti proibisce il conferimento in discarica dei rifiuti non stabilizzati a partire dal 16 luglio Alla luce delle proroghe già concesse, pare difficile che tale limite temporale venga posticipato ulteriormente. Relativamente alla scelta della tipologia impiantistica per il trattamento della frazione residua, si devono anzitutto considerare prioritari il recupero energetico della frazione combustibile, la minimizzazione del ricorso allo smaltimento in discarica e, comunque, la riduzione dell impatto ambientale degli impianti di interramento controllato. Negli ultimi anni, rispetto alla riduzione degli effetti collaterali dello smaltimento in discarica, sono stati realizzati vari studi focalizzati sull importanza di ridurre il più possibile la putrescibilità dei materiali da smaltire. Infatti la sostanza organica, fermentando in condizioni anaerobiche, comporta la produzione di biogas (con forte effetto-serra per l alta concentrazione in metano) e di percolato ad elevato carico organico e azotato. Le sostanze putrescibili determinano, inoltre, delle modifiche al profilo della discarica che richiedono rimodellamenti periodici e mettono a repentaglio l efficacia delle linee di drenaggio del biogas e della tenuta dei teli di contenimento. Questi impatti, oltre a costituire una seria minaccia per la falda idrica e per l atmosfera, ostacolano il risanamento dell area e rappresentano aspetti preoccupanti, sia per gli amministratori del territorio che per la popolazione che abita nei dintorni dell area. Alla luce di tali considerazioni, la recente Direttiva 99/31/CE sullo smaltimento in discarica richiede ai diversi Paesi Europei di delineare le strategie volte a conseguire i seguenti obiettivi: 1. diminuire sostanzialmente il quantitativo totale di rifiuti biodegradabili da avviare a discarica (25, 50, 65% di riduzione su base nazionale entro 5, 8, 15 anni) 2. garantire che i rifiuti da collocare in discarica siano comunque adeguatamente pretrattati allo scopo di ridurre l attitudine a fermentare e produrre anidride carbonica e percolati (questa previsione era stata d altronde sostanzialmente anticipata a livello nazionale dall art. 5 comma 6 del D.Lgs. 22/97). Gli strumenti attualmente a disposizione per conseguire pienamente tali obiettivi sono essenzialmente due: il primo è la raccolta differenziata dello scarto umido, il secondo è qualsiasi pre-trattamento (biologico o termico) che permetta la mineralizzazione della componente organica fermentescibile prima dell interramento del rifiuto o la sua stabilizzazione, ossia la degradazione delle componenti fermentescibili. In generale la raccolta differenziata e i pretrattamenti devono essere combinati in modo da garantire una gestione della discarica ambientalmente sostenibile. Infatti, anche in quelle esperienze italiane, dove viene effettuata un efficace raccolta differenziata dello scarto di cucina, sono state rilevate percentuali di sostanza organica all interno del rifiuto residuo dell ordine del 15-20% (Provincia di Milano, 1998); si noti che la percentuale dell organico nel rifiuto residuo tende ad essere sensibilmente superiore in altri Paesi Europei (40%, fino al 50% in Olanda) a causa di un effetto concentrazione dovuto all intercettazione più efficace di frazioni secche riciclabili rispetto a quella dello scarto di cucina (Baden-Baden Amt für Umweltschutz, 1996; Wiemer, Kern, 1995). Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 137

4 Provincia della Spezia Pertanto il pretrattamento del rifiuto residuo deve comunque essere effettuato anche nei contesti dove viene effettuata la raccolta dell umido. Il punto cruciale è stabilire quali siano i parametri da considerare per fissare gli obiettivi da perseguire per ottenere la perdita di fermentescibilità del materiale ammesso a smaltimento in discarica. Il primo tentativo degno di nota per risolvere questo problema è stato realizzato in Germania dove, nelle TASi (Technische Anleitungen Siedlungsabfall, disposizioni tecniche sui RU) si indicava nel 3% di Carbonio Organico Totale (TOC) o nel 5% di Solidi Volatili (VS), il valore da rispettare per poter smaltire il rifiuto in discarica. Le previsioni della TASi avevano dunque introdotto una fortissima distorsione nello scenario complessivo della gestione dei rifiuti, poiché in realtà gli effetti negativi della collocazione a discarica di sostanza organica possono essere perfettamente eliminati anche mediante una opportuna integrazione di raccolta differenziata alla fonte e trattamento biologico del rifiuto residuo in modo da abbattere le componenti organiche fermentescibili presenti in esso. Non a caso la TASi è stata fortemente contestata addirittura in sede costituzionale da diversi Länder (le Regioni tedesche) che, presentando anche situazioni di tipo rurale o montano in cui l incenerimento non consente di ottimizzare il sistema, anche per gli elevati costi di trasporto necessari a fare pervenire i quantitativi che danno «economia di scala» agli inceneritori, hanno preferito impostare il sistema integrato di gestione dei rifiuti sul trattamento biologico del rifiuto residuo, oltre che, ovviamente, sulla raccolta differenziata alla fonte. Se indichiamo un metodo di analisi come il contenuto di Solidi Volatili, con limiti che possono essere rispettati esclusivamente con l incenerimento, leghiamo dunque la Gestione Integrata dei Rifiuti ad un sistema poco flessibile, specialmente se la raccolta differenziata è all inizio. Gli impianti di incenerimento, se realizzati con le migliori tecnologie disponibili (in linea con la recente Direttiva europea 2000/76/CE) e con previsione di recupero energetico, sono opzioni valide nel sistema integrato di gestione dei rifiuti, soprattutto se vengono utilizzati esclusivamente per la frazione combustibile. Tuttavia, se la loro adozione diventa obbligatoria di fatto e subito, rischia di rallentare o arrestare la crescita del riciclaggio. Gli inceneritori, infatti, devono lavorare ad una certa capacità operativa costante e predefinita in sede progettuale. Se vengono realizzati prima che il riciclaggio arrivi a regime rischiano di impedire un ulteriore crescita della raccolta differenziata e del riciclaggio dei materiali, soprattutto laddove è ancora limitata o è previsto un lento sviluppo. Infatti la capacità operativa dell inceneritore, essendo rigida, diventa un fattore condizionante in negativo per lo sviluppo del sistema e la crescita delle attività operative ed imprenditoriali legate al riciclaggio. Va rilevato che numerosi studi tedeschi ed internazionali hanno da tempo rilevato l efficacia anche dei trattamenti biologici intesi a ridurre al minimo la putrescibilità del materiale, purché il trattamento biologico sia condotto per un tempo sufficientemente lungo e gestito in modo da assicurare un efficace attività microbica (vedi tabella 56). Tab 56 - Effetti dei pre-trattamenti biologici Parametro Indice di respirazione COD, N totale nel percolato Predisposizione alla produzione di gas Volume Fonti: Leikam, Stegmann, 1997 (1), Adani, 2001 (2) Risultato finale 10 mg O 2.g -1.s.s. (96 h) (2) circa mg O 2.kg -1.VS.h (2) < 100 mg.l -1 (1) < 200 mg.l -1 (1) 20 l.kg -1 s.s (1) 40 l.kg -1 s.s (2) Densità finale (compattato): 1,2-1,4 t.mc -1 Perdita di massa (causata da mineralizzazione): 20-40% % riduzione (rispetto al valore iniziale) 90-95% Circa 90% 90% Fino al 60% 138

5 Capitolo 8 D altronde, un impianto per il trattamento biologico è, in pectore, un impianto che potrebbe essere convertito progressivamente in impianto di compostaggio di qualità. Ciò può avvenire anche gradualmente, con la crescita della raccolta differenziata, in tutti gli impianti in cui la sezione biologica sia sufficientemente modulare da permettere l utilizzo separato di bacini, trincee, vasche, containers o aree, rispettivamente per il trattamento biologico del rifiuto residuo da un lato e per il compostaggio di qualità dall altro. Il trattamento biologico è un opzione estremamente valida, oltre che nelle situazioni con raccolte differenziate ancora in crescita, anche in quelle zone non densamente popolate dove un esigua produzione dei rifiuti non sarebbe sufficiente a garantire un incenerimento efficace o si dovrebbero affrontare eccessivi costi di trasporto. La validità di questa scelta risulta quindi assai evidente per quanto riguarda la Provincia della Spezia. Sulla base di queste stesse considerazioni anche in Germania, recentemente, si è fatta una riflessione su ruolo e codificazione dei trattamenti pre-discarica; a seguito del riconoscimento della validità strategica del trattamento biologico come strumento integrato alle raccolte differenziate ed al recupero energetico tramite termoutilizzazione, è stato legittimato il concetto della Gleichwertigkeit (equivalenza) degli effetti del trattamento biologico nel garantire l abbattimento dei rischi ambientali connessi allo smaltimento in discarica. Un sistema che consenta una versatilità di approccio, legittimando sia il trattamento termico che quello biologico come trattamenti prediscarica, è un sistema molto più flessibile ed in grado di adeguarsi alle varie specificità locali (territoriali, demografiche, operative). Proprio all inizio del 2001 il Governo tedesco ha licenziato una nuova ordinanza sullo smaltimento dei rifiuti urbani (Ablagerungsverordnung) ad emendamento delle precedenti disposizioni tecniche della TASi, in particolare la conferma del divieto di posa a discarica di materiale non trattato. Il Governo tedesco ha preso atto che è preferibile avere norme che consentano la costruzione di un sistema integrato flessibile in cui anche il trattamento biologico copra un ruolo importante, a seconda di situazioni e condizioni locali. Non va neanche dimenticato che la recente direttiva europea sull incenerimento, allo scopo di minimizzare il carico ambientale degli inceneritori, ha introdotto una serie di previsioni tecniche, quali i limiti alle emissioni, le temperature di combustione, l efficienza minima del recupero energetico, che convergono nel richiedere preferibilmente la combustione delle sole porzioni del rifiuto residuo ad elevato potere calorifico. A tale scopo molti degli impianti di più recente progettazione o costruzione prevedono la vagliatura in ingresso, con avvio a incenerimento delle sole componenti grossolane di sopravvaglio, in cui si concentrano materiali cartacei e plastici, mentre il sottovaglio, che contiene porzioni importanti di scarto alimentare, ancora presente nel rifiuto residuo anche in caso di sviluppo delle raccolte differenziate, viene deviato dal flusso da incenerire. Si genera conseguentemente la necessità di trattare il sottovaglio, ed il trattamento biologico è perfettamente adatto a tale scopo. In coerenza con i concetti espressi sopra, sono stati recentemente proposti alcuni metodi per indagare in maniera più approfondita gli effetti positivi del trattamento biologico prima della collocazione a discarica. Questi metodi permettono di descrivere meglio, rispetto al contenuto di solidi volatili, l attitudine dei rifiuti ad essere smaltiti in discarica. Recentemente i metodi analitici si sono focalizzati su: - indice di respirazione (un indicatore della fermentescibilità residua del materiale); - attitudine alla produzione di biogas ( Gär test ); - carico organico del percolato (COD, rapporto BOD/COD, ecc.). Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 139

6 Provincia della Spezia In Italia le nuove proposte di legge, ora in bozza, che devono essere emanate ai sensi dell art. 18 del D.Lgs. 22/97, fissano un determinato IR (indice respiromentrico) da rispettare. I valori proposti oscillano generalmente tra 400 e 600 mg O 2 /kg SV.h (milligrammi di ossigeno per kg di solido volatile per ora). Tale approccio è molto più affidabile della misura del contenuto dei solidi volatili allo scopo di avere una descrizione realistica della fermentescibilità del materiale, e con essa degli effetti indesiderati dello smaltimento in discarica e dei benefici del pretrattamento adottato. Anche in Germania da tempo sono state definite metodiche e valori-limite tramite la determinazione respirometrica. La stessa Ablagerungsverordnung definisce un valore limite secondo la determinazione dell attività respirometrica su 4 giorni (AT4), mentre da tempo in Austria viene utilizzata la stessa valutazione, ma allungando il periodo di determinazione a 7 giorni (AT7). Le norme tedesche fissano generalmente indici di fermentescibilità molto bassi, quali AT4 = 5 mg O 2 /g, che matematicamente corrisponde all incirca al nostro IR = mg O 2 /kgsv.h. Va tuttavia specificato che la metodica italiana valuta il consumo di ossigeno nell unità di tempo al picco di attività respirometrica, quella tedesca determina invece l integrale del consumo su 4 giorni e, dunque, tiene conto anche delle fasi di attività respirometrica scarsa o nulla (es. fase iniziale di lag). L estrema riduzione del valore-limite tedesco risponde comunque all intenzione di arrivare ad abbattere del 90% il potenziale di produzione di biogas (determinato con Gär-test, e con valore perseguito 20 Nl/kg normal litri per chilogrammo). Dalle esperienze condotte ad es. dal DIFCA dell Università degli Studi di Milano, è stato verificato che al valore di IR = 400 corrisponde uno sviluppo di biogas (determinato con Gär-test) pari a circa 40 Nl/kg, ossia si arriva all 80% di abbattimento della potenzialità di produzione del biogas. Il limite della posizione tedesca è che per arrivare a abbattere il residuo 10%, dovuto alla decomposizione delle componenti meno degradabili, si dovrebbero adottare dei tempi di trattamento biologico oggettivamente lunghi, fino a 6 mesi di trattamento. Ciò significherebbe spendere denaro inutilmente e combustibili fossili necessari per le operazioni di trattamento; dunque, nel bilancio complessivo dei gas-serra, l effetto dell abbattimento del 10% residuo potrebbe essere sostanzialmente negativo, con i costi ambientali che superano i benefici. Per quanto riguarda le tipologie impiantistiche si deve considerare che, nella maggior parte dei casi, gli impianti di trattamento meccanico-biologico sono costituiti da una sezione di trattamento biologico (aerobico o anaerobico) finalizzata alla stabilizzazione della frazione putrescibile. Queste tipologie impiantistiche possono essere connesse o integrate ad impianti di raffinazione e condizionamento della frazione combustibile per la produzione di CDR (Combustibile Derivato dai Rifiuti). La differenza sostanziale rispetto ai tradizionali impianti di selezione, compostaggio e produzione di RDF (Refuse Derived Fuel), realizzati in Italia negli anni 70, risiede soprattutto negli obiettivi del trattamento e non tanto nelle soluzione tecnologiche adottate che si differenziano soltanto in funzione della diversa concezione delle finalità del trattamento. Negli anni passati, infatti, diversi impianti per il compostaggio del rifiuto tal quale, indifferenziato o misto, miravano alla produzione di compost per uso agricolo. L ultimo rapporto dell ANPA sui rifiuti urbani (ANPA, 1999) ha rilevato la presenza in Italia di circa 30 impianti operanti per il compostaggio di rifiuto indifferenziato. Nel 1997 questi impianti, hanno trattato ton di rifiuto, mentre la loro capacità complessiva era di circa ton.anno -1. Molti di questi erano però solo parzialmente utilizzati, con attività temporaneamente sospesa o chiusi definitivamente. 140

7 Capitolo 8 Questi relativi insuccessi sono stati causati da diversi fattori: - insufficienza dei presidi ambientali (es. mancanza di appropriati sistemi per il trattamento delle arie di processo); - cattiva gestione del processo (con la produzione di frazione organica stabilizzata non matura); - inadeguatezza rispetto all obiettivo di impiego stabilito per il prodotto finale. Gli agricoltori, salvo poche eccezioni, non hanno attestato fiducia nel materiale ottenuto da rifiuto indifferenziato per le applicazioni di pieno campo, a causa della presenza di microinquinanti (metalli pesanti) e contaminanti macroscopici (frammenti di vetro, plastica, ecc.) in misura relativamente elevata. Queste considerazioni hanno fatto recentemente modificare gli obiettivi strategici per tale tipologia di impianti. Sempre più spesso gli impianti di compostaggio già esistenti sono stati totalmente o parzialmente convertiti, in parte in impianti di compostaggio di qualità, in parte destinati al trattamento biologico del rifiuto residuo. Recentemente ne sono stati addirittura aperti altri, come l impianto di Milano -Via Rubattino che può essere considerato l impianto di trattamento biologico più grande del mondo, infatti la sua capacità operativa raggiunge le ton/giorno di rifiuto residuo. Attualmente il trattamento biologico per il rifiuto residuo può essere finalizzato ad ottenere differenti scopi: - stabilizzazione (abbattimento della fermentescibilità) del rifiuto prima dello smaltimento in discarica; - aumento del potere calorifico del rifiuto residuo finalizzato al trattamento termico, stabilizzazione a secco o bio-essiccazione corrispondente al Trockenstabilat tedesco; - uso di materiali Compost grigio o F.O.S. (Frazione Organica Stabilizzata) per recuperi ambientali e bonifiche di siti contaminati. Va sottolineato che la grande necessità di sostanza organica, dovuta alle peculiari condizioni climatiche e di coltivazione dell agricoltura dei paesi del Mediterraneo, determina la necessità di riservare il compost di qualità per l agricoltura a pieno campo e i settori della vivaistica e del giardinaggio. Ciò apre parallelamente la necessità di ammendanti, anche di qualità relativamente inferiore, per operazioni d intervento sul territorio in siti degradati. Alcune Regioni e Province hanno dunque già emanato linee guida e/o regolamenti tecnici per permettere l utilizzo di compost da selezione meccanica del rifiuto misto, spesso definito FOS, per i ripristini ambientali: miniere abbandonate, consolidamento di scarpate, barriere antirumore, ecc.. Questi regolamenti si basano sull ipotesi di un unica applicazione, una tantum, con quantitativi elevati allo scopo di promuovere l attività biologica dello strato superficiale. Per quel che riguarda le restrizioni d uso, i regolamenti si riferiscono soprattutto alla necessità di controllare il carico di metalli pesanti e quello di azoto. I valori limite sono generalmente fissati in modo da contenere la massima concentrazione di elementi potenzialmente tossici (metalli pesanti) nel suolo e prevenire che l azoto in eccesso percoli in falda. Per il trattamento del rifiuto residuo si dovrebbe quindi pianificare la realizzazione di un impianto di selezione per la separazione della frazione ferrosa, della frazione organica da sottoporre a un trattamento di compostaggio o digestione anaerobica e della frazione leggera (carta, plastica, stracci, legno) per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti (CDR). Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 141

8 Provincia della Spezia Gli impianti di selezione sono costituiti da un assemblaggio di tecnologie diverse, ognuna deputata a particolari funzioni. Le funzioni principali sono: 1. il condizionamento iniziale dei rifiuti (ad es. con l eliminazione di oggetti ingombranti); 2. la selezione magnetica dei materiali ferrosi (fase che può anche ripetersi durante il processo); 3. la vagliatura dei materiali organici e una loro prima igienizzazione; 4. la vagliatura, la frantumazione e l omogeneizzazione dei materiali combustibili; 6. la stabilizzazione in piazzali idonei per la frazione organica. La separazione dei flussi metallici ferrosi è realizzate con elettrocalamite, generalmente poste in più fasi del ciclo. La frantumazione e omogeneizzazione dei rifiuti è realizzata generalmente con mulini a martelli o con mulini a coltelli. Per la simulazione riferita ai dati delle Provincia della Spezia, si è provveduto ad effettuare una ripartizione basata sull ipotesi dell utilizzo di un vaglio a 80 mm (vedi tab. 57). Il vaglio a 80 mm rappresenta il miglior compromesso tra l esigenza di ridurre la quota di sostanza organica nel sopravaglio, rendendone più agevole la commercializzazione, con l esigenza di ottenere una frazione organica più facilmente destinabile ad utilizzi alternativi al conferimento in discarica. Tab. 57 Rese di separazione dell impianto di selezione (vaglio 80 mm) in Provincia della Spezia. Frazioni Sottovaglio Ferro Secco Inerti Merceologiche % t/a % t/a % t/a % t/a Umido 83, , ,0 139 Verde 90, , Carta 21, , ,0 436 Cartone 8, , ,0 177 Alluminio 10, , , ,0 410 Metalli ferrosi 5, , , ,2 131 Vetro 80, , ,0 32 Plastica imballaggi 27, , Altra plastica 34, , Legno 50, , Tessili e cuoio 27, , ,0 94 Pannolini 5, , Inerti 50, , ,0 359 R.U.P. 20, , ,0 58 Totale Per quanto riguarda la fase di stabilizzazione della frazione organica si è poi provveduto ad effettuare una ripartizione basata sull ipotesi dell adozione di un impianto di tipo aerobico tradizionale (vedi tab. 58). 142

9 Capitolo 8 Tab. 58 Rese dell impianto di stabilizzazione. Frazioni FOS Perdite Scarti Merceologiche % t/a % t/a % t/a Umido 52, , ,0 581 Verde 90, , ,0 77 Carta 75, , ,0 469 Cartone 80, , ,0 106 Alluminio 30, ,0 96 Metalli ferrosi 30, ,0 209 Vetro 5, , Plastica imballaggi 15, , Altra plastica 20, , Legno 75, , ,0 172 Tessili e cuoio 50, ,0 253 Pannolini 10,0 13 5,0 6 85,0 110 Inerti 20, ,0 359 R.U.P. 10, ,0 17 Totale Tecnologie di trattamento della frazione combustibile Il D.Lgs 22/97 riprende le indicazioni comunitarie delineando una gestione dei rifiuti urbani basata su cicli integrati, che vanno dalla prevenzione nella produzione sino alle migliori pratiche per un efficace e sicuro smaltimento, passando attraverso una raccolta differenziata finalizzata a riciclo e recupero. Sia il decreto che le norme applicative prevedono, in questa strategia, l opzione della valorizzazione energetica dei rifiuti anche se per essa, contrariamente a quanto previsto per altre forme di gestione come la raccolta differenziata, il riciclo e recupero d imballaggi, l impiego della discarica come forma primaria di smaltimento, il «Decreto Ronchi» non ha fissato esplicitamente alcun obiettivo. Questa opzione risulta praticabile in maniera efficace solo se posta a valle delle azioni primarie di riutilizzo e raccolta differenziata, attraverso interventi sequenziali che influenzano quantitativamente e qualitativamente l intero ciclo. È indubbio infatti che la valorizzazione energetica di alcune frazioni dei rifiuti assume una rilevanza notevole in termini energetico-ambientali, all interno di un quadro di riferimento caratterizzato sempre più dalle necessità di risparmio di risorse fossili e di salvaguardia dell ambiente, che rappresentano elementi cardine per uno sviluppo sostenibile. Recuperando energia, infatti, si valorizza il rifiuto sostituendo potenziali vantaggi, in termini di risparmio energetico e di emissioni evitate sia di inquinanti che di gas con effetto serra, a dei rischi certi, legati allo spreco di risorse e alla dispersione nell ambiente, quali quelli che caratterizzano lo smaltimento dei rifiuti in discarica. In questo contesto l impiego di CDR in sostituzione o in combinazione con combustibili fossili, soprattutto in impianti industriali esistenti, può fornire un contributo significativo, anche se non risolutivo, all effettiva chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti solidi urbani e assimilati. Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 143

10 Provincia della Spezia A livello internazionale si registra attualmente un notevole interesse verso l impiego di rifiuti come combustibile alternativo, soprattutto attraverso l impiego simultaneo, in parziale sostituzione di combustibili fossili (co-combustione o co-incenerimento). Va subito detto, comunque, che la maggior parte delle esperienze, soprattutto a livello comunitario, hanno riguardato preferibilmente la combustione di particolari tipologie di rifiuti speciali o di rifiuti tipici della produzione industriale e che esse sono ancora oggetto di confronto e di diffusione reciproca. La scelta del Legislatore di dare origine con il CDR (si veda il Dm 5 febbraio scheda 14, all. 1, suballegato 1) ad un nuovo combustibile ha precorso i tempi di un dibattito tuttora aperto a livello internazionale e che riguarda non solo la fattibilità tecnica del suo impiego, ma anche la sua effettiva assimilabilità ad un vero e proprio combustibile, sottraendolo, tra l altro, al regime autorizzatorio caratteristico della gestione dei RU. Con il termine CDR è possibile identificare genericamente delle tipologie abbastanza variabili di rifiuti combustibili che vanno dalla frazione secca, ottenibile per semplice separazione meccanica dei RSU indifferenziati con rese nell ordine del 50-60% e poteri calorifici nell ordine di kcal/kg, fino a prodotti con caratteristiche ben determinate ottenuti da operazioni di successiva raffinazione con rese nell ordine del 30-35% e poteri calorifici compresi nel campo kcal/kg. A livello nazionale, attualmente, la normativa tecnica di riferimento (Norma CTI-UNI 9903) prevede due soli tipi di combustibili derivati (già Refuse Derived Fuel, RDF) differenziati sotto l aspetto qualitativo, al contrario di quanto avviene in realtà estere. L American Society for Testing and Material (ASTM) ha standardizzato ben 7 tipologie diverse, che spaziano dai RSU così come raccolti fino ai combustibili liquidi e gassosi da essi derivabili tramite specifici trattamenti termici. Secondo la normativa tecnica, emanata con il Dm 5 febbraio 1998, che permette il recupero dei rifiuti non pericolosi con procedura semplificata, i rifiuti solidi urbani possono essere impiegati per la produzione del CDR, da utilizzarsi come combustibile alternativo in impianti di produzione d energia. Per la produzione del CDR possono essere utilizzati i rifiuti solidi urbani ed assimilati, ad esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata, da destinare al recupero di materia. I rifiuti impiegabili, in riferimento alla classificazione adottata dal Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), sono i seguenti: carta e cartone imballaggi in plastica imballaggi in legno imballaggi compositi imballaggi in più materiali pneumatici usati parti leggere provenute dalla demolizione di veicoli legno (da costruzione e demolizione) plastica (da costruzioni e demolizione). I suddetti rifiuti assimilati agli urbani possono essere impiegati nella produzione del CDR in percentuale massima del 50% in peso, attraverso cicli di lavorazione (quali separazione, trattamento, triturazione, eventuali trattamenti di essiccamento, addensamento e pellettizzazione) che ne garantiscano un adeguato potere calorifico e riducano, ai fini della combustione, la presenza 144

11 Capitolo 8 di: materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile, contenuto di umidità e di sostanze pericolose. Il CDR ottenuto, per essere impiegato in impianti di combustione in regime semplificato, deve possedere le seguenti caratteristiche: Potere Calorifico Inferiore (sul tal quale) min KJ/kg,, Umidità (in massa) max 25%, Cloro (in massa) max 0,9%, Zolfo (in massa) max 0,6%, Ceneri (sul secco in massa) max 20%. Inoltre, il contenuto di metalli pesanti non deve superare i seguenti valori massimi: piombo 200 mg/kg, cromo 100 mg/kg, rame (composti solubili) 300 mg/kg, manganese 400 mg/kg, nichel 40 mg/kg, arsenico 9 mg/kg, cadmio + mercurio 7 mg/kg. I limiti minimali stabiliti, per la potenzialità nominale degli impianti di recupero, sono rispettivamente 10 MW per gli impianti di combustione dedicati e 20 MW per la co-combustione in impianti industriali. Per questi ultimi, inoltre, è stato stabilito che, nel caso di impiego simultaneo del CDR con combustibili autorizzati, il calore prodotto dal rifiuto non debba eccedere il 60% del calore totale prodotto dall impianto in qualsiasi fase di funzionamento Produzione del CDR La frazione secca non recuperabile può essere destinata a combustione in un impianto di incenerimento, a produzione di CDR o a smaltimento in discarica. I trattamenti da prevedere sulla frazione secca dovranno essere definiti in funzione degli impieghi che ne sono previsti in base ad un analisi di mercato che verifichi le possibilità di collocazione nell ambito industriale. Se tale frazione viene depositata in discarica non appare necessario alcun ulteriore trattamento ad eccezione di una eventuale pressatura, finalizzata a facilitare il trasporto e aumentarne la densità. Nel caso in cui il materiale sia conferito ad un impianto d incenerimento a letto fluido o ad un impianto industriale, come CDR, il materiale dovrà essere eventualmente trattato, nel caso tale trattamento non sia effettuato sul sito di utilizzo, in modo da rispettare le prescrizioni granulometriche, di densità, di umidità e le caratteristiche chimiche richieste dall utilizzatore. Poiché le caratteristiche richieste sono fortemente differenziate in funzione degli utilizzatori, appare necessario definire il lay-out di queste sezioni di lavorazione, una volta accertata la destinazione di questo materiale. Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 145

12 Provincia della Spezia Le fasi di trattamento, probabilmente necessarie, sono le seguenti: - triturazione fine; - classificazione ad aria per ridurre la presenza di materiali inerti e pesanti (pietre, vetro, cartoni umidi, plastiche pesanti clorurate) e migliorare il potere calorifico; - essiccamento del materiale; - trattamenti di densificazione e pellettizzazione. Una fase di classificazione ad aria appare necessaria solo nel caso di preparazione di CDR o di una frazione secca ad uso combustibile di alta qualità. I classificatori ad aria, utilizzati per anni nell industria mineraria ed in agricoltura, si basano sul principio che una miscela di particelle, immessa in un flusso d aria verticale, può essere separata nelle sue componenti mediante la regolazione della velocità del flusso. L utilizzo dei classificatori ad aria negli impianti di selezione dei RU è finalizzato alla selezione della frazione altamente combustibile del rifiuto, partendo da materiale già selezionato dalla vagliatura. L applicazione della classificazione ad aria ai RU ha evidenziato che i principali fattori che influenzano i rendimenti di classificazione ad aria dei RU sono: - umidità - composizione - forma delle particelle - portata dei rifiuti - geometria del classificatore - portata d aria. Un contenuto elevato di umidità nei rifiuti diminuisce l efficienza di separazione e la qualità dei materiali selezionati. Un elevato contenuto di carta nel rifiuto aumenta invece la possibilità di ostruzione del classificatore e diminuisce l efficienza di separazione a causa dell intrappolamento di particelle fini nella carta. Le caratteristiche aerodinamiche dei rifiuti hanno un importante influenza sull efficienza di separazione in quanto la velocità terminale di una particella è direttamente proporzionale alla resistenza aerodinamica della stessa. All aumentare della portata dei rifiuti, la sezione di passaggio del classificatore tende a congestionarsi, determinando una forte interazione tra le particelle con conseguente perdita d efficienza. La geometria dei classificatori, nonché le caratteristiche del flusso d aria utilizzato per la separazione sono i due fattori che sono stati maggiormente interessati da sviluppi e da studi. I classificatori ad aria maggiormente diffusi utilizzano un flusso d aria costante per separare la massa di rifiuti in due frazioni e si distinguono, in primo luogo, per la forma del canale verticale di separazione: - classificatori rettilinei - classificatori a zig-zag. I classificatori a zig-zag sono più efficienti di quelli rettilinei. Il principio fisico, su cui si basa la separazione in tali classificatori, è la velocità terminale cioè la velocità massima asintotica ed uniforme a cui tende un corpo in caduta libera in un aeriforme. Le particelle alimentate che si raccolgono sul fondo del classificatore vengono denominati pesanti in quanto la loro velocità terminale è superiore a quelle delle particelle denominate leggere trascinate dal flusso d aria. La frazione leggera, in un impianto di selezione, dovrebbe essere idealmente costituita solo da materiale altamente combustibile: carta e plastica leggera. In realtà, le frazioni combustibili e non combustibili dei RU non vengono perfettamente separate in un classificatore a flusso d aria 146

13 Capitolo 8 costante, in quanto la velocità terminale è fortemente influenzata dalle caratteristiche idrodinamiche delle particelle. Per ottimizzare la separazione della frazione combustibile dai RU sono stati sviluppati classificatori ad aria di nuova concezione che operano la selezione non più sulla base della velocità terminale, ma effettivamente sulla base della densità delle particelle come dovrebbe accadere in un separatore ideale. I classificatori ad aria basati su questo principio sono detti pulsanti in quanto la portata d aria immessa non è costante ma varia nel tempo (classificatori attivi) o nello spazio (classificatori passivi). La pulsazione del flusso d aria impedisce alle particelle di accelerare fino alla velocità terminale consentendo così una separazione ideale sulla base della sola densità. I classificatori pulsanti attivi sono dotati a valle della soffiante di una valvola che conferisce al flusso d aria la periodicità richiesta. I classificatori pulsanti passivi imprimono, invece, le pulsazioni al flusso d aria sfruttando la geometria del canale di separazione. Espansioni periodiche della sezione del canale imprimono al flusso d aria una serie di accelerazioni e decelerazioni periodiche. Tutti i separatori raggiungono elevate efficienze con rifiuti triturati (<25 mm). Tra i sistemi di classificazione non pulsanti a zig-zag e pulsanti attivi e passivi, la differenza maggiore non è tanto nell efficienza massima, ma quanto nella stabilità degli elevati rendimenti durante l esercizio. Le prestazioni migliori in termini assoluti di efficienza massima e di stabilità si riscontrano nei classificatori pulsanti passivi. Dopo questi processi di separazione dagli inerti, ferro e sostanza organica, il CDR subisce ulteriori processi di trattamento come la triturazione, per portarlo a dimensioni omogenee (fluff) e, se necessario, la compattazione e l essiccazione per aumentarne il peso specifico. Si ottiene, così, il CDR addensato in forma pellettizzata stabile e consistente. In linea generale è possibile affermare che non esistono limiti insormontabili di carattere tecnico alla possibilità di produrre notevoli quantitativi di CDR avente caratteristiche rispondenti alle prescrizioni richieste dal già citato Dm 5 febbraio Risulta comunque necessaria una caratterizzazione periodica del prodotto in modo che sia assicurata una certificazione di qualità dello stesso, in grado di garantire standard di emissione conformi al Dm 5 febbraio Risulta quindi necessario adottare protocolli operativi che fissino le modalità di campionamento ed analisi, definendo nel contempo la frequenza delle caratterizzazioni, almeno stagionale, ed un set minimo di parametri di controllo da verificare ad intervalli di tempo regolari. Si è infatti verificato che alcuni dei parametri più significativi del CDR (umidità e tenore di Cloro) possono subire rilevanti variazioni in funzione della eterogeneità merceologica dei RU e della diffusione della raccolta differenziata di alcuni materiali (ad es. dei RUP per ridurre la presenza dei metalli pesanti) Impiego del CDR Trattandosi di un materiale con ridotta, o pressoché nulla, putrescibilità, può trovare utilizzo in impianti dedicati ovvero in co-combustione con combustibili fossili in impianti industriali esistenti, tipicamente costituiti da centrali termoelettriche e cementifici. In generale, la separazione dei RSU per ottenere il CDR viene eseguita mediante processi meccanici che mirano, oltre che ad ottenere una omogeneizzazione dimensionale dei vari materiali, anche alla separazione della frazione combustibile. Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 147

14 Provincia della Spezia La combustione di CDR, finalizzata al recupero energetico sotto forma di energia elettrica e/o calore, può essere effettuata sia in impianti dedicati, sia in impianti industriali esistenti che utilizzano combustibili solidi tradizionali, tipicamente costituiti dalle centrali termoelettriche e dai cementifici. L impiego di CDR in impianti dedicati non presenta alcun problema di carattere tecnico a patto di impiegare le migliori tecnologie disponibili sul mercato, sia di combustione che di depurazione dei fumi, che consentono il rispetto dei limiti alle emissioni. Le principali tipologie di apparecchiature impiegabili per la combustione del CDR in impianti dedicati sono i combustori a griglia e a letto fluido. Il combustore a griglia impiegato, di norma, nella combustione dei rifiuti urbani tal quali o della frazione secca (CDR grossolano), soluzione consolidata e affidabile, è composto da una camera alla cui base si trova una suola di combustione costituita da una griglia, in genere inclinata e formata da una serie di gradini mobili. I rifiuti vengono immessi mediante una tramoggia posta nella parte alta della griglia, dalla quale uno spintore li sospinge verso i gradini inferiori, fino a formare uno strato di alcune decine di centimetri. L aria necessaria per la combustione viene insufflata in parte al di sotto della griglia (aria primaria) e in parte al di sopra del letto (aria secondaria), avendo quest ultima lo scopo di fornire l eccesso d aria necessario al completamento della combustione. Di seguito si presenta uno schema di funzionamento del forno a griglia. Fig Schema di funzionamento del forno a griglia. Fonte: A. Tornavacca, M. Boato Da rifiuti a risorse ediz. Forum Risorse e Rifiuti

15 Capitolo 8 Il combustore a letto fluido è costituito da una camera di combustione all interno della quale viene mantenuto un certo quantitativo di materiale inerte (letto), di solito sabbia, tenuto in sospensione da una corrente ascendente di aria (che funge anche da comburente) immessa attraverso una griglia di distribuzione posta sul fondo. Il movimento del letto di sabbia garantisce un buon contatto tra l aria e i rifiuti, oltre ad una uniformità di temperatura e di miscelazione, che contribuiscono a garantire una combustione costante e completa. Tale tecnologia, disponibile nella versione letto fluido bollente e letto fluido circolante, è stata inizialmente impiegata per i processi industriali e successivamente per la combustione di materiale di pezzatura limitata ed omogenea. Essa si presta bene alla combustione del CDR. Di seguito si riporta lo schema di un forno a letto fluido. Fig Schema di funzionamento del forno a letto fluido. Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 149

16 Provincia della Spezia La co-combustione di CDR in impianti industriali esistenti, così come definita dal Dm 5 febbraio 1998, risulta essere, allo stato attuale, una tecnologia non ancora sufficientemente consolidata ed in corso di ulteriori verifiche sperimentali. Per garantire un sufficiente e costante apporto in termine calorico, infatti, è necessaria una lavorazione più spinta del combustibile, soprattutto per quanto riguarda il contenuto di umidità e la pezzatura del materiale, mentre sono ancora da chiarire le problematiche connesse con il maggior contenuto di composti alogenati e di metalli del CDR rispetto ai combustibili tradizionali, che possono essere causa di fenomeni di corrosione negli impianti di produzione di energia, oltre che compromettere il possibile riutilizzo delle ceneri di combustione. Esperienze di studio sono in corso presso Macomer, Ravenna e Tolentino. Riguardo all effettiva potenzialità di utilizzo di questo combustibile negli impianti esistenti, l ENEL ha manifestato la propria disponibilità alla parziale sostituzione del combustibile fossile. Tuttavia occorre sottolineare che, nonostante tutte le centrali termoelettriche siano ormai dotate di sistemi per l abbattimento delle emissioni inquinanti sia gassose (SO 2, NO X, HCl ecc.) che particellari (polveri, metalli pesanti ecc.), la taratura dei suddetti presidi è effettuata sulla combustione ottimale del carbone, di conseguenza le quantità assorbibili di CDR non possono superare il 10-12% in peso rispetto al carbone. Una sperimentazione significativa è in fase di realizzazione presso la centrale termoelettrica di Fusina (VE), dotata di un gruppo al massimo carico nominale di 100 t/h di carbone per una potenza elettrica di 320 MW, secondo un piano predisposto dal Ministero dell Ambiente ed articolato in più fasi: - caratterizzazione del combustibile impiegato tramite confronto d esercizio dell impianto in bianco (solo carbone) e con dosi crescenti di CDR campionato secondo le norme UNI 9903; - rilevazione di inquinanti, quali polveri, biossido di zolfo, monossido di carbonio, ossidi di azoto, acido cloridrico, acido fluoridrico, ammoniaca, sostanze organiche, antimonio, arsenico, cadmio, cobalto, cromo, manganese, mercurio, nichel, nichel frazione respirabile, piombo, rame, stagno, tallio, vanadio, zinco, IPA, PCDD/PCDF, PCB; - validazione dei risultati da parte di un gruppo di lavoro composto da ANPA, ARPAV, CNR, Stazione Sperimentale per i combustibili, ISS ed ENEA. L impiego di CDR in impianti dedicati o in co-combustione comporta dei potenziali vantaggi ambientali proprio rispetto alla combustione dei rifiuti. Un primo vantaggio è quello di sostituire, ai fini della produzione di energia, un combustibile fossile con un materiale destinato oltretutto alla discarica che, com è noto, è una fonte di emissioni di metano, gas che presenta un potenziale di riscaldamento globale piuttosto elevato (21 volte superiore a quello della CO2 su un orizzonte temporale di 100 anni), in accordo con quanto suggerito dall IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Ne consegue un sicuro risparmio di risorse, quali carbone, olio combustibile e gas naturale, associato a una potenziale minore emissione globale di gas con effetto serra. Il secondo aspetto positivo è la possibilità, specie per i macroinquinanti tipici della combustione, di conseguire, in impianti dedicati, dei vantaggi ambientali, a parità di produzione netta di energia elettrica e/o termica; il legislatore, infatti, ha fissato dei limiti molto severi alle emissioni, attualmente di molto inferiori a quelli previsti sia per le centrali termoelettriche che per i cementifici. 150

17 Capitolo 8 L individuazione e la quantificazione degli effetti ambientali della combustione di CDR e, in generale, di quella dei rifiuti sono a tutt oggi ancora dibattute anche a livello internazionale. Un primo punto di discussione riguarda proprio se, e in quale misura, i RSU ed i combustibili da essi derivati siano classificabili come rinnovabili. Tale affermazione, su un piano strettamente concettuale, non sarebbe corretta in quanto nel rifiuto sono presenti componenti (plastiche, fibre e resine sintetiche) provenienti da fonti non rinnovabili. Un giusto compromesso potrebbe essere quello di tenere conto unicamente della frazione di carbonio presente nei RSU, che sicuramente proviene da fonti rinnovabili (carta, legno, materiale organico, eccetera), attualmente stimata intorno ai 2/3 del totale. Tale frazione tende a scendere passando a combustibili derivati, in quanto vengono via via eliminate le componenti rinnovabili, principalmente la frazione organica, con l eventuale aggiunta, anche in quantità limitata, di frazioni ad alto contenuto di componenti non rinnovabili. gomme, plastiche. Da rilevare l aspetto energivoro della produzione di CDR, che richiede nelle varie fasi (trasporto, trattamento, manipolazione, eventuale macinazione finale) un consumo piuttosto significativo e del quale si deve tener conto sia nella scelta del suo impiego, sia in un qualsiasi confronto con altre modalità di trattamento e recupero di rifiuti. In merito all emissione d inquinanti si può, in linea generale, affermare che la combustione di combustibili derivati dovrebbe portare ad un miglioramento delle emissioni globali, per lo meno per i principali inquinanti tipici degli impianti di combustione. In dettaglio, alla luce di quelli che sono i livelli di recupero energetico attualmente conseguibili da un moderno impianto di combustione di rifiuti, il bilancio in termini di emissioni di macroinquinanti (espressi come grammi di inquinante/kwh di energia elettrica prodotta) risulta favorevole per le polveri e la SO2, mentre non si rilevano grossi scostamenti per quanto riguarda il CO. Un discorso a parte va fatto per gli NOx, rispetto ai quali, essendo attualmente previsto lo stesso limite per le due tipologie di impianto in termini di concentrazione (200 mg/nm3), il confronto risulta sfavorevole al recupero energetico da rifiuti. 8.2 Tecnologie di trattamento della frazione organica residua In perfetta corrispondenza alle previsioni ed agli obiettivi della L.475/88, del DMA 29/5/91 e del D.Lgs. 22/97, sulla scorta delle esperienze in corso in Italia ormai diffusamente intraprese e consolidate, va condiviso e promosso l obiettivo strategico della gestione differenziata alla fonte dei flussi compostabili, sin dalla fase di conferimento. Ciò è indispensabile per la massima efficacia, sia economica che ambientale, sia delle strategie volte al loro recupero e valorizzazione. Questo non esclude, tuttavia, la possibilità di adottare, anche in forma sinergica, strategie che si basano su soluzioni impiantistiche, a valle della raccolta, per la separazione dei flussi intesa a trattamento biologico separato, come migliorare le condizioni di deposito in discarica delle frazioni organiche stabilizzate, o anche ad impiego agronomico meno nobile, come gli impianti di selezione e stabilizzazione per la produzione di terre per recuperi ambientali. Gli impianti intesi alla trasformazione biologica hanno, quindi, una doppia vocazione: come linee di compostaggio di qualità da matrici altamente selezionate e come sezioni di stabilizzazione di frazioni a basso grado di differenziazione. Questo criterio operativo è diffuso soprattutto negli impianti prima dedicati al solo compostaggio di RSU indifferenziato ed in corso di riconversione. La strategia risponde all obiettivo primario di conseguire prodotti di elevata qualità agronomica da Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 151

18 Provincia della Spezia matrici organiche differenziate alla fonte, ma anche di evitare gli effetti indesiderati collegati all invio del flusso organico fermentescibile in discariche ed inceneritori, separando, per via meccanica, le frazioni organiche ancora presenti nel RSU e destinandole a biostabilizzazione con obiettivi variamente articolati. Gli impianti a doppia vocazione si avvalgono della perfetta analogia processistica dei trattamenti di biostabilizzazione, siano intesi al compostaggio di qualità da matrici nobili, siano relativi alla stabilizzazione delle frazioni da selezione post-raccolta, mentre ovviamente le due linee differiscono in sede di pre e post-trattamenti, in relazione all articolazione degli obiettivi perseguiti. Le differenti linee possono anche essere ospitate in impianti fisicamente separati. I sistemi di stabilizzazione biologica aerobica (SBA) possono dunque essere applicati alla stabilizzazione, più o meno completa, di RSU tal quale o residuo di raccolte differenziate, che designamo sinteticamente resto. Sotto tale punto di vista, va, ad esempio, segnalato che in Centro Europa l estensione generale delle raccolte differenziate delle frazioni organiche valorizzabili, ma contestualmente quella di molte frazioni secche riciclabili, come materiale cartaceo ed imballaggi, conduce a scenari di composizione del rifiuto residuo (Restabfall) che presenta ancora un elevata presenza di organico, pari a valori compresi tra il 20/40% ed oltre. Tale quota è costituita da: - materiali organici non recuperabili o difficilmente valorizzabili (es.: pannolini); - sfridi organici, componenti che imbrattano altri materiali, quali vaschette, tetrapak, ecc.; - organico valorizzabile, oggetto di errore o negligenza nel conferimento. La percentuale di organico nel resto è, inoltre, fortemente variabile rispetto alle condizioni locali e al modello di raccolta. In alcune situazioni è ancora presente, nel rifiuto residuo da avviare a smaltimento, una quota sensibile di materiale biodegradabile che può essere convenientemente digerita mediante sistemi di trattamento biologico, in modo da evitare i problemi connessi al collocamento di frazioni organiche fermentescibili in discarica o all incenerimento di frazioni ricche di acqua. Va anche notato che, in realtà, in Italia la quota di organico nel restotende, laddove è stata attivata la raccolta differenziata spinta secco/umido, al 10% circa del RSU residuo. L adozione di meccanismi accessori di promozione della correttezza dei comportamenti (sacco trasparente per il resto abbinato a sanzioni amministrative) riesce, infatti, a fare coincidere l organico nel RSU residuo con le sole quote di organico non recuperabile e di sfridi organici. L obiettivo processistico per la stabilizzazione biologica della frazione organica residua può essere convenientemente individuato nell opportunità di: 1. abbattere il potenziale fermentescibile di RSU, resto, frazioni organiche da loro selezione postraccolta o con elevata contaminazione intrinseca, onde migliorarne le condizioni di stoccaggio a mediolungo termine in giacimenti per materiali a bassa fermentescibilità; 2. aumentarne il potere calorifico se destinati alla produzione di CDR, grazie soprattutto all allontanamento di acqua dal sistema per l azione congiunta della aerazione tecnologicamente indotta e del calore sviluppato dai processi biologici; 3. consentirne impeghi agronomici meno «nobili»; ripristino paesaggistico, bonifica, sistemazione di aree di rispetto di autostrade, grazie all annullamento dei fattori di incompatibilità con la fisiologia della pianta per l allontanamento delle frazioni a maggiore fermentescibilità e la 152

19 Capitolo 8 conduzione a termine delle trasformazioni biochimiche in grado di produrre sostanze fitotossiche (obiettivo processistico analogo al compostaggio). Per contribuire a chiarire il significato del trattamento biologico, i differenti obiettivi ed i relativi criteri operativi, si può distinguere tra: - Trattamento meccanico-biologico, propriamente detto. Il destino finale è lo stoccaggio a lungo termine in discarica dell intero resto o RSU e, a tale scopo, prevede la stabilizzazione dell intero flusso o dei soli materiali organici (frazioni di sottovaglio) ottenuti per selezione dimensionale. L obiettivo fondamentale è l abbattimento spinto dei potenziali impatti connessi alla collocazione in discarica (biogas, percolati ad elevato carico organico ed azotato). In Germania questo processo richiede tempi lunghi (4/8 mesi) per conseguire un notevole abbattimento del tenore in sostanza organica (al di sotto del 20%) anche se non congruente con quanto previsto dalle Technische Anleitung Siedlungsabfall (Disposizioni tecniche sui rifiuti urbani), che dettano in prospettiva un contenuto massimo del 3-5% di Solidi Volatili (sostanza organica) per il deposito in discarica. Si noti che le disposizioni tedesche sono, da più parti, contestate come incongrue con gli obiettivi perseguiti di riduzione degli impatti in discarica. In Austria, a Salisburgo, si adotta una processistica di 20/25 gg sul resto (non vagliato) aggiunto ai fanghi prima della collocazione in discarica. La Provincia di Milano, che per prima in Italia ha fatto uno sforzo di definizione dei parametri di valutazione dell efficacia del processo, adotta provvisoriamente indici respirometrici che descrivono l attività biologica ossia la fermentescibilità residua) congruenti con una processistica abbreviata (30/60 gg. a seconda del sistema adottato). Questi standard operativi ed analitici sono comunque in grado di garantire l obiettivo della massiccia riduzione degli effetti indesiderati in corpo di discarica. Anche a Montecchio Maggiore (VI) è stata adottata una processistica breve, su 40 giorni di processo, con risultati operativi più che soddisfacenti per la successiva posa in discarica. - Trattamento meccanico-biologico + trattamento termico. Prevede generalmente un iniziale separazione dimensionale tra una frazione di sovvallo (ad alto P.C.I.) ed una di sottovaglio, ricca di sostanza organica e di acqua, su cui viene condotta la stabilizzazione biologica Il processo ha in realtà, più che l obiettivo della completa stabilità biochimica, quello del disseccamento del materiale (umidità finale <15%), cercando di degradare contestualmente meno Carbonio organico possibile, qui valorizzato come fonte di energia, in modo da aumentare il P.C.I. della frazione organica e renderla manipolabile e stoccabile sul breve/medio termine. In seguito, sia la frazione di sovvallo che quella di sottovaglio stabilizzata vengono inviate a termoutilizzazione. Il processo è molto più breve di quello finalizzato alla mera collocazione di lungo termine in discarica, in quanto l utilizzo del calore metabolico prodotto e dell aerazione forzata consentono un veloce drenaggio di umidità: dai 7 ai 20 gg. per conseguire un tenore in umidità sufficientemente basso. - Splitting dei rifiuti. Viene prevista la separazione dimensionale: la frazione ad alto P.C.I. viene inviata a termocombustione, mentre quella a basso P.C.I. viene sottoposta a SBA per essere poi destinata a stoccaggio di lungo termine in discarica. Una variante dello splitting è rappresentata dall utilizzo del sottovaglio per impieghi agronomici meno nobili: terrapieni, barriere antirumore, operazioni di recupero ambientale, copertura di discariche esaurite, ecc.. Questo consente un ulteriore risparmio di spazio di discarica e l attribuzione di un valore d uso anche alle componenti organiche meno qualificate. Al trattamento biologico, stante la fondamentale analogia biochimica dei materiali trattabili, possono essere applicati gli stessi sistemi processistici individuati per il compostaggio di qualità a carico di biomasse fermentescibili. Tendenzialmente, comunque, si può mirare al contenimento Piano Provinciale per l organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU 153

20 Provincia della Spezia delle percentuali di bulking, in quanto quest ultimo (supporto lignocellulosico, scarto verde) costituisce un materiale pulito, qualificato e, dunque, valorizzabile. L RSU tal quale o il residuo della raccolta, come anche le frazioni organiche da loro selezione meccanica, tendono inoltre ad avere rispettivamente un ottimo o sufficiente grado di strutturazione, grazie alla presenza di materiali estranei (carte, plastiche, ecc.) di buona consistenza e rigidità meccanica. La necessità operativa specifica nel caso dell obiettivo dell applicazione agronomica (recuperi ambientali, bonifiche) è rappresentata dalla necessità di sistemi spinti di raffinazione finale del prodotto stabilizzato, con adozione di tavole densimetriche e vagli dimensionali. Nei sistemi volti al conseguimento degli altri obiettivi (aumento del potere calorifico, annullamento dei potenziali impatti di discarica) non è, invece, necessaria la raffinazione finale: è sufficiente una grossolana separazione dimensionale (vagliatura tipicamente a 60/100 mm) in testa al processo per la distinzione dei flussi di materiale ad alto e basso P.C.I. e potenziale di fermentescibilità. In alcuni casi, invece, viene applicata la SBA al totale del flusso, senza preselezione. Inoltre, sono in corso delle sperimentazioni per il trattamento in impianti di digestione anaerobica con recupero energetico del biogas e produzione di un digestato che, dopo un processo di stabilizzazione aerobica (compostaggio), potrebbe essere utilizzato in opere di ripristino ambientale Descrizione dei sistemi tecnologici I sistemi di processo possono essere ad aerazione forzata od a ventilazione naturale. Quest ultime sono adottate generalmente solo per i processi estensivi e naturaliformi di compostaggio di scarti verdi con cumuli rivoltati e per le fasi di maturazione post-act nei sistemi di processo intensivi. I sistemi intensivi, generalmente, si avvalgono efficacemente, quantomeno nella fase di bioossidazione accelerata, dell aerazione forzata necessaria all adduzione di ossigeno e al drenaggio del calore in eccesso. Sulla scorta di queste considerazioni descriviamo brevemente le caratteristiche dei diversi sistemi tecnologici, precisandone le vocazioni operative e le condizioni di adozione. CUMULO STATICO AERATO Conosciuto anche come Aerated Static Pile (ASP). Nelle diverse varianti, si configura come un sistema statico ed aerato, tipicamente e generalmente aperto: prevede la disposizione della biomassa in cumulo, con aerazione forzata in aspirazione al di sotto dei cumuli stessi ed invio delle arie esauste ad un biofiltro a compost. In una variante specifica a coibentazione naturale con compost maturo, conosciuta come sistema Beltsville dal nome dell Università americana che ha sviluppato tale sistema, sulla superficie del cumulo viene disposto uno strato di compost maturo, inteso a fornire un leggero effetto di coibentazione ed a garantire la biofiltrazione degli effluenti gassosi sfuggiti dalla superficie del cumulo. Il cumulo non viene rivoltato per impedire la diffusione massiva degli odori molesti e non disturbare la fisiologia microbica. Necessita, come sistema tipicamente statico, di un alta percentuale di materiale strutturale. Tale sistema è largamente diffuso negli USA per il compostaggio dei fanghi a livello di singola municipalità o di biomasse agricole in ambito rurale. In altre varianti, più diffuse in Europa, per il compostaggio di biomasse di varia natura compreso lo scarto alimentare, vengono usati come 154

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